Storia naturale dell’Epatite C: fattori influenzanti la progressione Luciana Framarin, Rosaria Innarella, Floriano Rosina. Divisione di Gastroenterologia Presidio Sanitario Gradenigo Torino La descrizione della storia naturale dell’epatite cronica è resa difficoltosa dal fatto che • l’inizio della malattia non è in genere identificabile per l’assenza di segni e sintomi che l’accompagnano, • l’evoluzione della malattia durante la fase cronica è asintomatica, • i tempi impiegati per raggiungere eventualmente lo stadio di insufficienza epatica possono raggiungere i 30 – 40 anni Inoltre le metodologie impiegate per descrivere la storia naturale includono studi retrospettivi, studi prospettici e studi retrospettivi/prospettici di coorte. Ciascuna di queste metodologie, focalizzandosi su diverse tipologie di pazienti e diverse fasi di malattia, rileva tassi di sviluppo di insufficienza epatica estremamente variabili. Si stima che il 3 % della popolazione mondiale sia cronicamente infetta dal virus dell’epatite C (HCV). Dopo il contagio, l’epatite acuta decorre asintomatica in oltre l’80% dei casi, mentre in meno del 20% si presenta nella forma itterica, con una durata che varia da 2 a 12 settimane. L’HCV-RNA risulta positivo fin dalla prima settimana dopo l’esposizione. Il decorso fulminante, in assenza di altri cofattori o coinfezioni è estremamente raro . 1 Indipendentemente dalla presentazione clinica, l’85% dei pazienti infettati da HCV sviluppano infezione cronica. L’infezione cronica può essere accompagnata da livelli di transaminasi normali ( 25%) o elevati ( 75%). Nella prima condizione sono generalmente presenti minime alterazioni istologiche, associate in termini generali, ad una prognosi favorevole. Nella seconda condizione si riconoscono due distinte entità istologiche con diversa prognosi: • l’epatite cronica minima ( score di fibrosi 0-1 e di infiammazione inferiore a 6 secondo Knodell), più comune tra i giovani, con progressione molto lenta e basso rischio di sviluppo di cirrosi ; • l’epatite cronica moderata o severa ( score di fibrosi 3-4 e di infiammazione superiore a 6 secondo Knodell), più diffusa tra pazienti meno giovani ed in quelli con fattori aggravanti come l’alcool e l’immunodeficienza acquisita, associata ad alto rischio di evoluzione verso la cirrosi. Pertanto la valutazione dell’attività istologica e lo stadio della fibrosi costituiscono il parametro principale per la valutazione della prognosi nel singolo paziente. Nella valutazione del rischio di cirrosi occorre tuttavia non trascurare l’età del paziente al momento della diagnosi in quanto un quadro istologico a basso profilo evolutivo potrebbe seppur tardivamente sfociare in cirrosi in un paziente con una lunga aspettativa di vita. Si stima che, in assenza di fattori acceleranti, la cirrosi si sviluppi nel 20% dei casi in infezioni della durata di 20 – 30 anni e che, una volta instauratasi, l’intervallo medio di tempo che porta allo sviluppo di ipertensione portale e alla insufficienza epatica sia compreso tra i 5 e i 10 anni. La cirrosi da HCV costituisce un fattore di rischio maggiore per l’epatocarcinoma. Ogni anno l’1-5% dei soggetti cirrotici HCV positivi sviluppa HCC. Sono comunque segnalati casi occasionali di HCC in pazienti con infezione cronica, senza cirrosi. 2 La rapidità di progressione verso la fibrosi è influenzata da diversi fattori • correlati all’HCV ( genotipo e carica virale), • correlati all’ospite (stato immunitario, età al momento dell’infezione, sesso, alcool e coinfezioni virali – HBV, HIV). Il ruolo dei fattori virus–dipendenti, quali carica virale e genotipo, è ancora dibattuto e parrebbe ridotto. La maggior parte degli studi individua una scarsa correlazione tra livelli sierici di HCV-RNA e severità delle lesioni istologiche. Nei pazienti con infezione cronica C, livelli di transaminasi persistentemente normali e limitate alterazioni istologiche è possibile trovare alti livelli di viremia, malgrado i livelli sierici di HCV-RNA rappresentino un segno indiretto della replica virale intraepatica. Anche l’influenza del genotipo virale è controversa. Prima di tutto la distribuzione dei genotipi non è diversa tra i pazienti con infezione cronica e transaminasi persistentemente normali da quelli con epatite cronica e transaminasi alterate. Taluni studi hanno invece evidenziato l’associazione tra il genotipo 1b e malattia epatica più severa, con maggiori percentuali di cirrosi ed epatocarcinoma. In realtà molti di questi studi sono criticabili non tenendo essi conto di variabili, quali età, modalità e durata di infezione: il genotipo 1b è infatti maggiormente rappresentato nei pazienti più anziani e quindi con più lunga durata di malattia. In studi successivi la rilevanza del genotipo virale sul rischio di progressione di malattia non è stata infatti confermata. Il ruolo dei fattori ospite correlati è stato dimostrato ma non completamente chiarito. Nei soggetti immunocompromessi affetti da HIV, la progressione verso la cirrosi è più rapida rispetto ai pazienti HIV negativi. In questa popolazione tuttavia co-fattori come l’uso di sostanze stupefacenti o l’abuso di alcool potrebbero giocare un ruolo importante. Anche la co-infezione con il virus 3 dell’epatite B aumenta il rischio di progressione e di sviluppo dell’epatocarcinoma. Molti studi hanno dimostrato come il consumo di alcolici acceleri la progressione della fibrosi e lo sviluppo della cirrosi, mediante tossicità diretta da alcool e modificazioni della risposta immunitaria al virus. Inoltre l’elevato consumo di alcool da solo è già probabilmente associato ad un rischio più alto di epatocarcinoma ed in corso di terapia con interferone può determinare una riduzione delle possibilità di eradicazione del virus. In molti studi è enfatizzato il ruolo dell’età: pazienti infettati in età più avanzata hanno lesioni istologiche più severe e sono suscettibili di una evoluzione più rapida verso la cirrosi. L’evoluzione benigna dell’epatite cronica nelle donne giovani ha suggerito un possibile ruolo di fattori ormonali: in queste, in corso di gravidanza, è anche possibile osservare la normalizzazione delle transaminasi, con aumento dei livelli sierici di HCV-RNA . Poynard et al. hanno proposto un modello predittivo per l’evoluzione verso la fibrosi che tiene in considerazione tre fattori (età del contagio, sesso e consumo di alcool). In base a questo modello predittivo l’evoluzione verso la cirrosi si verifica dopo circa 13 anni in un uomo infettatosi dopo i 40 anni, e dopo 42 anni in una donna astemia, infettatasi prima dei 40 anni . Malgrado questo modello sottolinei l’importanza dell’età, sesso e consumo di alcool, è chiaro che questi fattori concorrono solo parzialmente alle potenzialità evolutive dell’epatite cronica. E’ verosimile infatti che altri fattori ospite-dipendenti geneticamente determinati e in grado di modulare lo sviluppo della fibrosi, quali citochine, enzimi del sistema Renina-Angiotensina, Metalloproteinasi e loro inibitori, possano giocare un ruolo importante e a tutt’oggi poco conosciuto nella evolutività dell’epatite cronica C. Il migliore banco di prova per un trattamento anti-virale è rappresentato dalla sua capacità di modificare la storia naturale della epatite cronica C. A poco servirebbe infatti una terapia antivirale 4 che, eliminando l’HCV normalizzi i livelli di transaminasi e abbatta l’infiammazione intraepatica, senza prevenire l’evoluzione a cirrosi e le sue complicanze. I dati della letteratura, derivati prevalentemente da studi di trattamento con solo Interferone, e mancanti di gruppi di controllo non trattati, dimostrano che i soggetti con una risposta a lungo termine hanno un tasso di evoluzione in cirrosi e di sviluppo di epatocarcinoma molto più basso rispetto ai non Responders. Scarsi, per ovvi motivi temporali, i dati sull’impatto della terapia di combinazione sulla storia naturale dell’epatite cronica C. Nondimeno studi istologici condotti su ampie coorti di pazienti hanno dimostrato che la terapia di combinazione con Interferone e Ribavirina è capace di rallentare la progressione delle fibrosi epatica, potendo condurla a regressione in una certa quota di pazienti, tale effetto appare enfatizzato con l’associazione fra Interferone Peghilato e Ribavirina, dove si è osservata una regressione della cirrosi in circa il 50% dei Responders con quadro istologico di cirrosi alla biopsia basale. 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