Val Boreca, l`intrigo di un mistero da svelare - 2a

Val Boreca, l'intrigo di un mistero da svelare - 2a parte
Scritto da Marco Gallione
Domenica 18 Gennaio 2009 07:49 - Ultimo aggiornamento Domenica 18 Gennaio 2009 08:03
Di questo paesino, Bogli, parla un bellissimo libro fotografico dal titolo "Un'isola fra i monti" di
Fabrizio Capecchi che, raccogliendo la testimonianza di un parroco, racconta questa strana
storia.
Pare che il paese in passato fosse stato occupato dai Saraceni che vi posero dimora, ma non
vi sostarono a lungo, non sopportando i rigori invernali.
Gli stessi abitanti dei luoghi avevano predetto all'arrivo dei Saraceni "verranno le mosche
bianche a cacciarli via", indicando con questa metafora i fiocchi di neve; in effetti questo popolo
a un certo punto abbandonò i luoghi occupati e scomparve.
Identica storia ha sentito raccontare chi scrive queste note a Bogli, dove veniva indicata come
residenza degli "stranieri" la località "il Castello" menzionato prima.
La qualifica di saraceni data dal prete non potrebbe riferirsi ai Cartaginesi, abituati a climi più
miti ed allontanati successivamente dal rigore invernale identificato nelle "mosche bianche"?
Può una tradizione orale superare duemila e duecento anni? Se sì, gli stranieri di questo
racconto potrebbero essere proprio i Cartaginesi di cui si trovano le tracce, ma che non si riesce
a raggiungere.
Finora si sono trovati toponimi e leggende che documentano il passaggio cartaginese, ma non
manca anche qualche reperto trovato in seguito, durante i lavori di scavo e di pulizia a Zerba,
nella cui torre, sono state rinvenute otto armille di bronzo, oggi conservate al museo del castello
Sforzesco di Milano.
Le armille sono anelli in bronzo di varie dimensioni che i guerrieri antichi, cartaginesi compresi,
per proteggere l'avambraccio, infilavano numerose a formare un tubo protettivo che permetteva
però all'arto di muoversi.
Altri nomi interessanti s'incontrano lungo la strada, denominata su una vecchia carta degli stati
sardi "Strada di Annibale", che da Brallo porta al Lesima, passando per Cima Colletta.
Secondo una leggenda conosciuta da molti e riportata anche in vari testi ed articoli il monte
Lesima prenderebbe il suo nome dal fatto che Annibale, salito sulla vetta per rendersi conto
della geografìa della zona, si sarebbe ferito una mano e quindi da lesa manus-Lesima.
In zona insomma non mancano curiose leggende con personaggi sconosciuti e altre con
precisi riferimenti ad Annibale.
Nelle vicinanze inoltre s'incontrano due località dal nome strano, ma non di origine africana:
Pian dell'Arma, un pascolo oggi diventata pista da sci, posta fra il monte Lesima e il monte
Chiappo e Capanne del Romano situata sul costone che unisce il monte Antola al Cavalmurone
e quindi lungo la via più corta verso Genova.
Un tuffo nella storia
Uno sguardo alla situazione dell'epoca puntato sulla Valtrebbia: mostra come avamposto
militare romano le colonie di Piacenza e Cremona di recente fondazione in piena Gallia per
creare azioni di disturbo alle tribù galliche in zona.
A Genova si è insediata una guarnigione romana che controlla la strada litoranea ed il porto, il
territorio però è in mano ai Liguri che occupano una vasta regione che non comprende soltanto
la Liguria, ma arriva dalla foce del Rodano alla Lunigiana.
I Liguri del litorale sono una antica popolazione divisa in tribù e legata ai Cartaginesi con cui
hanno sempre commerciato e a cui forniscono basi d'appoggio e uomini.
I Liguri montani, anche loro divisi in molti gruppi etnici spesso in guerra fra loro, occupano le
zone montuose interne, hanno un forte spirito d'indipendenza e forniscono tradizionalmente ai
Cartaginesi mercenari forti e pugnaci.
Quando nel 218 a.C. Annibale parte da Cartagena in Spagna con un esercito di centomila
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Scritto da Marco Gallione
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uomini conosce bene le situazioni di conflittualità latente presente sul territorio che sta
percorrendo e spera di trarne vantaggio.
Inizia in tal modo una guerra totale tra le due superpotenze dell'epoca: Roma e Cartagine per
l'egemonia del mondo conosciuto , un conflitto destinato a durare ben quindici anni.
Questa autentica guerra mondiale del III secolo A.C. viene combattuta in Africa la terra dei
cartaginesi, in Spagna regno dei Barcidi, in Sicilia, dove Siracusa si schiera con Cartagine, in
Sardegna dove si ribellano i Sardi, in Italia meridionale, dove Annibale combatte
ininterrottamente per quindici anni, in Macedonia, alleata di Annibale, in Val Padana, dove
insorgono i Celti, in Piemonte e sulle Alpi dove Annibale deve lottare per aprirsi la strada.
Sul finire del 218 A.C. si svolge la battaglia del Trebbia, il primo grande scontro campale fra
l'esercito cartaginese al completo e quello romano.
Esistono molte pubblicazioni che ricostruiscono questo avvenimento e tutte prendono avvio
dagli scritti di Polibio e Tito Livio.
Fra gli studi che ricostruiscono questo combattimento assai interessante risulta l'analisi del
generale Roberto Olmi pubblicata nel 1970 sul libro "Bobbio una città".
Nella fase finale della battaglia compare un personaggio sovente trascurato Magone, fratello
minore di Annibale, che viene incaricato di costituire un corpo di guardia, scegliendo cento
uomini ritenuti i migliori, ognuno dei quali ne sceglie a sua volta dieci. Con questi mille uomini
sceltissimi Magone si apposta in una zona nascosta nei pressi del Trebbia in attesa degli
eventi, pronto a dare il suo appoggio al fratello.
I Romani, che baldanzosamente hanno attraversato il fiume per affrontare un nemico prima
sottovalutato e di cui ora invece subiscono gli attacchi dei fanti, rinforzati dagli elefanti e dalla
cavalleria sulle ali, si trovano improvvisamente alle spalle Magone
Il fratello minore di Annibale ha un ruolo non secondario nella battaglia, assestando ai Romani
il colpo finale, concludendo la giornata con una vittoria cartaginese che passerà alla storia e che
rimarrà fino ad oggi la battaglia più importante combattuta in Val Trebbia.
Dopo questo scontro nelle cronache c'è qualche divergenza, da una parte si parla di Annibale
che sverna in Val Trebbia, dall'altra della sua presenza a Bologna presso i Galli Boi.
In ogni caso sul finire dell'inverno o meglio ai primi incerti segni della primavera, Annibale
compie due tentativi per raggiungere l'Etruria, il primo si traduce in un vero fallimento, perché
scoppia una bufera violenta di vento, pioggia e neve che, nel superare forse gli orrori del
passaggio delle Alpi, seppellisce l'esercito per due giorni.
Molti soldati, molti somieri e moltissime bestie periscono per il freddo, fra questi anche sette
degli elefanti superstiti della battaglia del Trebbia.
Ai morti si aggiungono molti malati, Annibale stesso si busca un'oftalmia che gli costa la perdita
di un occhio. Il secondo tentativo è più fortunato, ma siamo già a maggio, quando l'esercito,
dopo aver finalmente varcato gli Appennini ed attraversato insidiose paludi, sbuca nella valle
dell'Arno e giunge a Fiesole.
Di questo episodio parla anche Don Tosi nella sua "Storia di Piacenza" che sempre sulla base
dei testi di Polibio e Tito Livio e sostenuto dalla conoscenza dei luoghi, cerca di ricostruire il
probabile percorso dei resti dell'esercito cartaginese,
L'autore ipotizza che le truppe cartaginesi abbiano risalito la Valtrebbia fino a Rovegno, dove
anticamente si estraeva il rame, per seguire l'antica via dello stagno, (infatti col rame e con lo
stagno si produceva e si produce il bronzo) che percorre le valli del Ceno, del Taro e poi,
attraverso il passo del Bratello, porta in Etruria.
Qualcuno tende a giustificare i nomi di derivazione punica presenti in zona come il risultato di
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Scritto da Marco Gallione
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questo itinerario percorso dall'armata cartaginese in alta Valtrebbia.
Tuttavia un semplice tragitto, ovunque si sia svolto, non può lasciare in eredità toponimi,
perchè un esercito in movimento può dare il nome ad una strada, ma non può denominare
località specialmente se non le attraversa.
Per trovare una spiegazione convincente alla toponomastica della Valboreca occorre quindi
seguire Annibale nei suoi spostamenti, interrogare gli episodi più importanti di cui il condottiero
è protagonista per scoprire che egli non torna mai sui suoi passi e pertanto non può essere lui a
battezzare quelle località.
Valboreca, quartiere generale di Magone
E' il giugno del 217°A.C,.quando si svolge la battaglia del Trasimeno, di nuovo una sonora
sconfitta per i romani con il console Flaminio ucciso, 15000 romani morti, 10000 legionari fatti
prigionieri. È qui che Marbale esorta Annibale ad attaccare subito Roma, in modo che i
Cartaginesi giungano prima della notizia del loro arrivo.
Annibale però decide di non attaccare la città eterna che giudica ancora troppo forte e difesa
da mura che il suo esercito potrebbe a malapena circondare, inizia quindi un'azione di disturbo,
con saccheggi e devastazioni dei territori degli alleati romani nel tentativo di stringere alleanze
con le popolazioni disponibili.
Si arriva poi al 2 agosto 216 A.C., quando con la battaglia di Canne, Annibale si conferma un
vero stratega, infliggendo ai Romani, una sconfitta spaventosa; Polibio parla di 70000 morti e
10000 prigionieri, Tito Livio dà invece come caduti la cifra di 46200 romani e 3000 prigionieri, in
ogni caso la sconfitta è disastrosa.
Nuovamente Annibale scarta l'idea di attaccare direttamente Roma, si dirige invece verso il
meridione e manda emissari in ogni parte del mondo conosciuto, perché è giunto, secondo lui, il
momento di rovesciare definitivamente la supremazia dell'odiata città nemica.
Fra questi emissari vi è Magone, il fratello minore, che, dopo aver attraversato la Calabria e la
Sicilia, si imbarca alla volta di Cartagine, per organizza rinforzi per Annibale.
All'inizio buona parte del meridione passa dalla parte di Annibale, al nord inoltre entrano in
campo i Galli Cisalpini che attaccano e distruggono un esercito consolare, mentre le colonie di
Cremona e Piacenza rimangono isolate.
I Macedoni dal canto loro armano una flotta per portare rinforzi ad Annibale e Magone parte da
Cartagine con un esercito imbarcato su sessanta navi. Tutto sembra volgere a favore dei punici,
però imprevedibilmente la sorte si capovolge.
Magone deve accorrere in Spagna, dove l'esercito degli Scipioni, sta sbaragliando il regno dei
Barcidi, in Grecia una flotta romana impedisce ai macedoni di passare in Adriatico, in Sicilia,
Siracusa, dopo varie vicende, rientra nella sfera di influenza romana.
Inizia pertanto una fase di stallo che impedisce ad Annibale, nonostante le sue strepitose
vittorie del passato e il suo indubbio genio militare, di consolidare l'occupazione territoriale e lo
costringe in pratica a ritirarsi nelle zone montane della Calabria da dove, inattaccabile, può
facilmente difendersi con un esercito, un po' smagrito, ma sempre temibile e invitto.
Annibale, dunque, è arroccato nel "Bruzio", mentre Magone è costretto ad approdare in
Spagna. Qui alle iniziali vittorie degli Scipioni, padre e zio di Publio Cornelio, segue una
dolorosa sconfitta che vede anche la morte dei due fratelli romani. Il senato dell'Urbe decide di
passare il comando dei due caduti all'erede, si tratta del giovane Scipione che diverrà in seguito
il glorioso "l'africano". Il nuovo arrivato ribalta subito la situazione, siamo ora nel 209 a.c. e
l'Africano, con un coraggioso e fortunato colpo di mano conquista Cartagena, la capitale del
regno Barcide di Spagna, sede operativa degli eserciti punici e importante arsenale colmo di
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tutti i materiali bellici necessari al tempo per condurre una guerra. L'anno successivo nella
battaglia del Guadalquivir viene battuto Asdrubale secondo figlio di Bomilcare e fratello
anch'egli di Annibale costringendolo ad uscire col suo esercito dalla Spagna attraverso i
Pirenei. Asdrubale, dopo aver soggiornato in Francia e rinforzato il suo esercito, entra in Italia
con l'intenzione di congiungersi con il fratello Annibale, viene però intercettato da un agguerrito
esercito romano che sul fiume Metauro lo circonda e lo sconfigge, Si dice che la testa
decapitata dello sconfitto venga lanciata con la catapulta nell'accampamento di Annibale,
rimasto sempre trincerato nel Bruzio.
Nel 206 a.c, dopo un'ennesima sconfitta cartaginese ad Ilipa in Spagna ad opera di Scipione,
un esercito punico s'imbarca su una flotta formata da navi da guerra e da trasporto.
Questa armata è comandata da Magone che guida le truppe alle isole Baleari
per trascorrervi l'inverno.
Da lì Magone decide di trasferirsi in Italia; se voglia anche lui ricongiungersi con suo fratello
non si sa, perché le notizie al riguardo sono scarne. Quello che è certo è che Magone, giunto
inaspettato sulla costa ligure, occupa e saccheggia Genova, poi lascia parte delle navi a
Savona ed invia il resto della flotta a Cartagine, mentre lui soggiorna per due anni presso i
Liguri.
Che cosa fa esattamente in questo periodo di tempo Magone si sa solo in parte, sicuramente:
appoggia i liguri Ingauni contro gli Epanteri ed accresce il suo esercito, perché Tito Livio scrive
che, a causa del suo nome famoso, affluivano a lui da ogni parte Galli e Liguri.
Magone quindi arruola mercenari locali disposti a combattere contro i Romani, perciò, è lecito
supporre, che abbia bisogno di un luogo isolato e facilmente controllabile, dove senza sorprese,
sia possibile addestrare e formare nuove reclute che devono apprendere il mestiere di soldato,
imparare ad obbedire agli ordini ed eseguire con prontezza le manovre richieste.
Non a caso le memorabili vittorie del fratello Annibale dimostrano quanto importante sia sul
campo di battaglia la pronta esecuzione dei movimenti per conseguire il successo.
Colombano Leoni
(Questo articolo è stato tratto dal N° 30 del 11/09/08
18/09/08 del settimanale "La Trebbia")
e N° 31 del
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