E i Romani scoprirono la “sporca guerra”

ANTICHITà
LA NASCITA DELLA REALPOLITIK
E Roma sco prì la
sporca gu erra
A
nnibale, il cartaginese, era intelligente. Uno
dei generali più
intelligenti della
storia. Questo lo
sanno anche i
bambini. Quello
che i bambini forse non sanno è che Annibale fondò l’Impero romano. È una boutade, l’ammetto. Ma almeno rivelo la fonte: in
«Scipione e Annibale, La guerra per salvare
Roma», un saggio di 412 pagine (Laterza,
20,00 euro), Giovanni Brizzi, l’autore, scrive: «A uno Stato che si era vantato sempre
di fondare i propri rapporti sulla fides egli
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«Hannibal ad portas!»
dicevano le donne romane
per spaventare
i bambini capricciosi
e farli obbedire. Annibale
fu la nemesi di Roma,
ma, paradossalmente
secondo un saggio ora
in libreria, il padre
involontario del suo Impero.
Roma, terrorizzata come
mai dall’invasione
del grande cartaginese
cambiò definitivamente,
abbandonando lo status
di polis per diventare
un vero e proprio impero,
e iniziando una catena
di guerre preventive
che la porterà a conquistare
quasi tutto il mondo allora
conosciuto. Una lezione
severa, con alcuni, inquietanti
parallelismi con i tempi
in cui viviamo noi…
di Valeria Palumbo
aveva insegnato l’inganno e la paura; e, con
essi, il sotterfugio e la violenza gratuita. A
uno Stato avvezzo a prevalere grazie alla saldezza dei suoi ordinamenti e alla capacità
di cooptare in senato
le altrui aristocrazie, fondendo tra
loro con questo
mezzo le realtà
più diverse, egli
aveva insegnato
a vincere grazie
alla nuova, soverchiante forza
delle armi. Così
facendo, però, aveva liberato senza volerlo
un’energia immane e priva di controllo».  E’
vero: Brizzi non dice che Annibale
ha fondato l’Impero romano.
Spiega però, benissimo,
come, lo sforzo che
Roma fu costretta a
sostenere per i 17,
lunghissimi anni,
della
Seconda
guerra
punica,
dal 219 al 202
Publio Cornelio Scipione,
detto l’Africano (285-183),
vincitore di Annibale nella
battaglia di Zama
Luglio\Agosto 2007
a.C., e la coscienza di trovarsi a un passo
dall’annientamento, non solo costrinsero i
romani a mettere insieme tutte le
risorse, mentali e materiali,
per respingere il nemico. Ma li obbligarono
anche a ripensare il
loro ruolo a livello
internazionale,
a mettere a fuoco quali fossero
realmente
gli
Annibale Barca (247/182
a.C.), comandante
cartaginese, fu il piú
acerrimo nemico di Roma
Luglio\Agosto 2007
obiettivi dello Stato e non quelli dei singoli
clan aristocratici (e qui è una delle differenze con Cartagine, rimasta, in realtà
una «polis» agitata da lobbies
affaristiche in contrasto),
a smettere di considerare Roma una cittàstato con una rete
di «socii». Roma
comprese
che,
prima ancora che
dei nemici, non ci
si poteva fidare
dei presunti alleati italici, che tradirono quasi tutti. E
che c’era un unico motivo che costringeva
gli alleati a restare fedeli: la forza. Roma,
insomma, grazie al pericolo mortale corso
con Annibale dovette ripensare la sua stessa
natura e la sua vocazione.
Ma anche questo forse si sapeva già.
Quello che Brizzi sottolinea è in qualche
modo il merito diretto, sia pure involontario, di Annibale, di aver scatenato il cambiamento. E di aver insegnato a Scipione,
il più intelligente e dotato di tutti i comandanti romani (tantissimi) che si alternarono contro di lui, un modo diverso di fare
battaglia. Intelligente, sì. Ma soprattutto
sporco. Ovvero che mandava in soffitta le
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