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27 MARZO 1999
7° LEZIONE
SCIENZA COME SCIENZA DEL MOTO DEL CORPO UMANO, OSSIA
PARTENDO DALLA FISICA
GIACOMO B. CONTRI
Forse termineremo prima, perché mi accorgo di avere presunto troppo, ossia di riuscire oggi a
proporre un ordine conclusivo, il che non è. C’è un disegno, non c’è ancora il raggiungimento di questo.
Adesso ascolterete solo degli appunti, in ogni caso attorno a un’idea che si può introdurre così,
partendo alti alti, come la metafisica classica, dalla domanda «che cosa è questo?».
A questo altissimo livello ha già risposto molto recentemente il dottor Cavalleri con una barzelletta
che è proprio una barzelletta del «che cos’è?», che parla di un vigile, malvagio, sadico, che vuole divertirsi
con un automobilista. Ferma un automobilista e gli dice che gli deve dare una multa da un milione;
l’automobilista cerca di difendersi, ma il vigile inesorabile comincia a scrivere. Poi si ferma e gli dice: «Però
se le indovina un mio quiz, niente multa. Che cos’è quella cosa che ha quattro ruote, una carrozzeria, un
motore di solito davanti, un volante…». «Facile — risponde l’automobilista — è un’automobile». «Eh, no,
caro signore. Troppo facile. C’è la Fiat, la Mercedes, … Devo darle la multa». E riprende a scrivere. Si
arresta una seconda volta e dice: «Le do ancora una possibilità: cos’è quella cosa che ha una ruota davanti,
una ruota dietro, un telaio in mezzo, un manubrio…». «Facile, è una motocicletta». «Eh, no, caro signore.
C’è la Cagiva, la Guzzi, …Non c’è più niente da fare» e si rimette a scrivere la multa. Il nostro automobilista
ha ormai fatto a tempo a riprendere lo spirito e gli dice: «Guardi. Io sono avvocato nel più importante studio
legale della città. Io le faccio causa per abuso di potere. Le faccio perdere il posto… Però se risponde al mio
quiz… Che cos’è quella signora che alla sera passeggia lungo i viali avanti e indietro con la gonna corta
corta, con la scollatura larga larga, con i tacchi alti alti?» «Facile — risponde il vigile — è…». «Eh, no, caro
signore: c’è sua mamma, sua moglie, …»
Ora che abbiamo ristabilito il vero livello della metafisica, dell’ontologia, ripartiamo dicendo che il
nostro operare dice che c’è più di una scienza, e aggiunge allora un’altra definizione di scienza: la scienza, si
chiamerà scienza da ora in poi, per noi almeno, come proposta a chiunque, il sapere che sa contemplare
contemporaneamente tutte le specie di legame o di nessi. La pluralità delle scienze dipenderà dalla non
reciproca riducibilità di un nesso a un altro nesso, di un legame ad un altro legame.
Tanti anni fa partivamo a questo proposito rammentando la frase di Freud che diceva «Io conosco
solo due scienze: la fisica e la psicologia». Lui stesso sapeva già che la parola «psicologia» non designava
altro che un campo di battaglia fra due psicologie. Ne abbiamo parlato qui. Nel programma della psicologia,
partito americano alla William James, e quell’altro progetto di una psicologia, che ormai noi chiamiamo
pensiero di natura sulla scorta essenziale e ineliminabile di Freud. Abbiamo anche detto che da questa
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Testo non rivisto dall’Autore
CORSO DI STUDIUM ENCICLOPEDIA 1998-1999
«SCIENZA» O DEI QUATTRO LEGAMI SOCIALI
predire, predicare, comandare, imputare
psicologia, grazie ad essa, sul fondamento di essa, posso dipartirsi nuove scienze; abbiamo detto che la prima
di esse è la psicopatologia; abbiamo parlato tanto, a partire da questa, dello stato di salute della scienza.
Ho aggiunto poco fa, prima dell’intervallo, che si diparte una nuova scienza, una specie a sé di
linguistica, che ho suggerito essere una scienza linguistica, scienza della lingua vera e propria. Una
linguistica come scienza del moto, come scienza di uno dei moti.
Ma non siamo partiti da alcuni presupposti, men che meno dall’uomo come presupposto: non
abbiamo detto che c’è la natura e poi c’è l’uomo, da cui un’antropologia. Noi non facciamo alcuna
antropologia. E proprio dei nostri anni accorgersi che se si parte da un’antropologia, si finisce, come ai tempi
nostri, stile gay o lesbico, che le scienze dell’uomo diventano due: l’antropologia e la ginecologia. Noi non
partiamo da alcuna antropologia, così come non facciamo alcuna teologia; semmai, potremmo dire che la
nostra è una patrologia, senza che questa implichi, deduca, e meno ancora ponga l’esistenza del Padre.
L’esistenza del Padre viene ad essere esclusivamente assegnata o riconosciuta a un qualcuno che possa dire
«Io lo conosco». Poi ciascuno si arrangi quanto al prestar fede a chi ha detto «Il Padre esiste perché io lo
conosco come figlio», ma è l’unico caso in cui possa darsi l’asserzione positiva dell’esistenza di un Padre.
Giusto l’adagio che ho proposto da anni: il Padre non è Padre perché Dio, ma Dio, se esiste, è Dio perché è
Padre. Il che rinforza che soltanto un figlio può alzarsi a dire positivamente, storicamente, che il Padre esiste.
Noi non abbiamo alcuna antropologia. Non abbiamo per presupposto l’uomo, ma lavorando come
già la più antica meccanica con dei corpi, esplorando il moto di corpi, quindi partendo da una cinetica,
facendo una cinetica, scienza del moto dei corpi ed estendendo l’esplorazione al moto di certi corpi,
individuiamo che esistono delle leggi di moto che non sono altre leggi di moto, che non sono le leggi di moto
della meccanica.
La fisica, riguardo la scienza dei corpi, anzi a tutti i corpi, anche i corpi umani, ha potuto costruire
determinate descrizioni e leggi ed equazioni: anche un corpo umano, se gettato nello spazio, concepito come
vuoto, senza agenti interferenti, si muoverà secondo le leggi di moto di Galileo.
Semplicemente noi abbiamo individuato che vi sono dei corpi che potremmo benissimo in un primo
tempo considerare corpi di specie P, e questi corpi sono corpi umani. Ma fino a qui non abbiamo bisogno di
fare un’antropologia. E non abbiamo il presupposto che siccome sono umani, allora deve essere una cosa
diversa. Non ci mettiamo a inventare le “scienze umane”. Le scienze umane, anche sulla scorta di Lacan,
per me è stata definita come scienza della servitù, della schiavitù.
Indubbiamente, si è trovato che questi corpi sono suscettibili, nell’ordine della possibilità, niente
affatto della necessità, di avere una legge di moto che si diversifichi dalla legge di moto della fisica e della
biologia. Un po’ come, ma senza fare lo stesso errore, il «che cos’è questo?» della Sfinge, la stupida
domanda della Sfinge nell’Edipo Re di Sofocle: «Che cos’è quella roba che al mattino va a quattro zampe, a
mezzogiorno va a due, e alla sera va a tre?». È la domanda cretina della Sfinge. Edipo ci casca anche lui.
Sarebbe stata correttissima la risposta di Edipo se avesse detto che è più corretta la domanda: «Che cos’è
quella cosa che fa domande cretine come la tua?». Solo l’uomo può fare domande cretine. Il «cos’è questo?»
di corpi P, definiti come parte per il tutto, definiti anche solo nella patologia, i corpi P sono quei corpi che
sono capaci di fare domande cretine, la parte per il tutto, perché sia parte per il tutto, noi avremo il principio
di una nuova scienza. Esistono corpi che a differenza di tutti gli altri corpi sono suscettibili di fare domande
cretine.
I corpi materiali della fisica non sono capaci di fare domande cretine e in fondo neanche il fisico:
può solo fare domande reali, ma peraltro utili in se stesse. La scienza si alimenta benissimo dei propri errori.
Il fisico non fa domande cretine per la semplice ragione che se facesse domande cretine non gli avrebbero
dato neanche il posto pagato per fare il fisico; non arriverebbe nemmeno alla possibilità di fare domande
cretine.
Per il filosofo è già diverso, non è la stessa cosa.
Allora, il nostro atto è molto semplice. Messi i corpi umani in un primo elenco alla rinfusa di tutte le
specie di corpi, una volta individuato che questi corpi, i corpi P, hanno la proprietà, fra altre, di poter fare
domande cretine, o di diventare nevrotici o quant’altro, questi corpi potranno essere estranei dalla serie, alla
rinfusa o casuale, in cui figurano alla lettera P e diventeranno i corpi di un’altra scienza. Ma siamo partiti
lavorando esattamente come ha sempre lavorato la fisica. Non partiamo neanche dal presupposto che questi
corpi si distinguerebbero da altri perché c’è una mente distinta dal corpo, o una mente distinta dal cervello, e
tanto meno che c’è un’anima e che c’è una materia, che c’è uno spirito e che c’è una materia. La nostra
prestazione di spinge a dire di no a una presa di posizione di questo genere.
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È solo inversamente, a partire dal momento in cui si coglie con il nostro disegno a clessidra, che vi
sono dei corpi che nell’ordine della possibilità si possono muovere o no secondo questa legge, è solo arrivati
a questo risultato, che è partito da un modo di lavorare che è identico a quello del fisico. Non partiamo dalla
metafisica; si parte lavorando come in fisica: individuando che ci sono dei corpi che possono muoversi
secondo un’altra legge di riferimento. Non si tratta di presupporre che c’è l’anima, lo spirito, il piano sopra e
il piano sotto. A noi basta individuare questa nuova legge di moto e allora sì e volentieri, riassorbiamo,
facciamo ricadere su legge di moto tutti i moti che volete, anima, spirito, mente e quant’altro.
Al punto che potremmo anche farne a meno di tutte queste parole: non abbiamo bisogno di tagliare
dal nostro vocabolario alcune parole. Semplicemente si tratta di riconoscere che se anima, spirito, etc., si
vuole parlare, è di questa legge di moto che si tratta e dunque neanche le brave distinzioni «Ma sopra c’è lo
spirito…».
San Tommaso si è sicuramente accorto: tutto il suo aristotelismo, entusiastico peraltro, il punto in cui
ha corretto Aristotele è stato il punto in cui Aristotele descrive l’anima come un costrutto a due piani:
“l’anima intellettivo-razionale” su e l’anima che si occupa di funzioni materiali giù, sensitiva, vegetativa, al
piano terra; e fra le funzioni sensitive e vegetative è collocata la funzione riproduttiva, la sessualità — e ci
risiamo — e San Tommaso obietta che c’è una sola anima che assume tutte le funzioni: vegetativa, sensitiva,
riproduttiva, intellettiva. L’unico errore di San Tommaso è di non essere andato oltre su questo. Ma
obbedendo a un’esigenza logica propria, almeno in questo punto, è certamente riconoscibile come
inizialmente vicino, identico a quello che diciamo, questa capitale correzione di Tommaso, che equivale a
quello che noi diciamo: che non ci sono istinti.
Che cosa significa che non ci sono istinti? Ricominciamo da capo a lavorare come i fisici. Non
presupponiamo che siccome l’uomo è l’uomo, allora le sue leggi sarebbero differenti o se non differenti,
almeno superiori. Il passo immediatamente successivo, nell’esaminare i corpi P è questo: non appena ci si
occupi del «che cosa è questo?» che riguarda i corpi P — o i corpi U se proprio vogliamo mettere l’iniziale
di “uomo”, ma varierebbe per tutte le lingue — la prima scoperta è che si tratta di corpi tali che, fatta la
scoperta che subito dico, si è indotti a chiedersi se siano dei corpi più sfortunati o più fortunati degli altri. Per
quale ragione? Perché la prima scoperta riguardo a questi corpi è che questi corpi, diversamente dai sassi o
quant’altro, sono privi di leggi di moto, non ne hanno. Il passaggio è questo: tutto il resto discende. Sono
corpi non equipaggiati da leggi di moto. I corpi umani hanno questa singolare caratteristica: di muoversi
secondo leggi di moto ma di partire dal non averne avuta alcuna in natura o dalla natura. Ma che non per
questo restano privi di movimento e di leggi di tali movimento.
E allora la domanda è: da dove viene la legge del movimento dei corpi umani, se non hanno un
istinto di nessuna specie? Specialmente — volesse Iddio che i religiosi di qualsiasi specie, filosofi morali e
quant’altro se ne fossero accorti — l’uomo che è nettamente, seccamente privo di istinti sessuali, neanche
l’ombra.
Il disdoro del prete è che usi ancora la parola sessualità, che creda ancora in questa credenza
incredibile, che esista una cosa di questo genere. Quante volte abbiamo insegnato che la sessualità è un
errore, un errore che è saltato in noi e ci possiede più che le possessioni diaboliche, senza che io faccia
equazione fra sessualità e possessioni diaboliche. Ma potremmo anche dire che il pensiero “sessualità” è un
caso di possessione. E perché no, mettiamoci pure diabolica.
Semmai potremmo dire che la parola “sessualità” designa sì una passione, ma non è l’eccitamento.
C’è stata un’azione che ha indotto in noi una tale passione, ma questa passione — è un gioco sull’etimologia
— è una patologia.
Qual è? Descrivo questa passione, ma solo per un momento, perché ciò che risulta invece in positivo
da ciò che osserviamo riguardo ai sessi è che quella certa legge di moto normale dei corpi, che include la vita
stessa dei sessi, appartiene all’anima intellettiva o l’anima razionale. Non c’è alcuna natura che faccia legge
di attrazione fra un corpo e un altro corpo. La stessa parola “attrattiva” è già in questo errore. Possiamo pure
tollerarla, ma solo perché è bene che siamo tolleranti verso noi stessi e gli altri. Ma la possiamo tollerare allo
stesso modo come tolleriamo di dire che il sole tramonta o sorge. In verità, sappiamo che il sole non si sogna
né di sorgere né di tramontare. Poi a noi pare che sorga, ma in realtà è la terra che sta girando.
La passione “sessualità” è stata precisamente descritta da Freud, ma accidenti se i moralisti si
piegano a questa ovvia verità.
Freud osserva che dopo un brevissimo tempo di vita sessuale del bambino, che è la vita autoerotica
del bambino — che è autoerotica per puro buon senso: il bambino esplora tutte le possibilità del suo corpo e
del suo ambiente; una di quelle che incontra è la gradevolezza di certi atti e li fa. Punto e basta. Il bambino è
perfettamente normale — ma con l’accadere di un certo qualcosa, che noi abbiamo chiamato inizio della
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malattia, e che poi diventerà patologia, nascerà quello che possiamo benissimo chiamare un istinto, come
patologia, la sessualità, il cui contenuto si descrive semplicemente così: i propri sessi vengono individuati
come un grande fastidio con il quale bisogna farla fuori. E ciò che chiamiamo desiderio sessuale, istinto
sessuale, altro non sarà che tutte le mosse fisiche, di pensiero, per “farla fuori” alla lettera. Ci sarà chi si butta
nel massimo attivismo di questa specie o nel massimo astensionismo di questa specie, ma ambedue hanno in
comune il farla fuori.
In questo senso, non è meno sublimatorio ciò che ho chiamato attivismo che non l’astensionismo più
nero. Né nell’uno, né nell’altro caso vi si troverà ciò che Freud ha chiamato «castrazione» e che noi, a un
livello precedente abbiamo chiamato con la parola «verginità» che diventa quella parola che designa il
concetto non del non farlo, ma della possibilità del farlo.
La scoperta è che ci sono dei corpi che non hanno leggi di movimento eppure si muovono. Se “eppur
si muove”, la domanda diventa da dove gli vengono questi movimenti nelle loro leggi, che noi abbiamo
disegnato e risegnato così. Non vengono dalla terra, intesa come mondo fisico, dalla sua legge, ma non
vengono neanche da Dio. Ecco tutta la diatriba millenaria e più che millenaria sulle “leggi di natura”; con
quell’idea che la legge morale sarebbe stata scritta nei cuori dell’uomo, con quel verbo “scrivere” che non è
stato fortunato neanche in Galileo, quando dice che Dio scrive nella natura geometricamente e le leggi che
noi scopriamo sono leggere il libro della natura in cui Dio avrebbe scritto. Io sono convinto che se Dio non è
analfabeta; e non è perché è analfabeta che non ha scritto un tale libro. Ecco perché l’idea di ineffabilità non
è un’idea buona. Dio se esiste, non è analfabeta. Non sono mai stato interessato a capire cos’é la lingua degli
angeli, ma Dio, se esiste, parla italiano; ammettiamo un poliglottismo molto esteso.
Dato che “eppur si muove”, applicavo ai corpi P, ormai ex-corpi P, e dato che una fonte li muovesse,
ebbene questa fonte dobbiamo semplicemente individuarla nella banalità dell’essersi dato l’allattamento o
quant’altro, nella serie degli atti fisici che come passione il bambino subisce nei primissimi tempi della sua
vita.
Allora, se proprio non trovassimo ancora un interesse alla parola — io personalmente la maneggio
con una prudenza che non trovo mai sufficiente —, se proprio volessimo individuare qualche carattere di
mistero da qualche parte, volessimo ancora ancora frequentare una parola di questo genere, l’intero statuto
dirà che vi sono dei corpi, i corpi P, che sono eccitabili — con il significato che noi diamo a questa parola —
mentre vi sono tutti gli altri corpi che non sono eccitabili in questa maniera. E — e ricordo che se ne
discuteva già una volta in una discussione che avvenne con Ambrogio Ballabio — io non mi metterei dietro
il progetto di costruire una scienza dell’eccitabilità, della scoperta del perché mai in questi corpi P si dà
un’eccitabilità, una vocabilità, una chiamabilità addirittura tale per di più che non solo si metterà in moto e a
pensare quale moto e come, ma un’eccitabilità che istituisce l’eccitamento o la chiamata venuta
dall’allattamento, che non solo è tale, ma che è fonte di movimento nel Soggetto così come in fisica si
chiama “moto perpetuo”. Non cesserà mai più una tale eccitabilità. Solo la distruzione fisica di tali corpi P
potrebbe farla cessare. L’intera e integrale distruzione fisica di questi corpi. Ossia, che non si dà per questi
corpi P la possibilità di uscire dall’alternativa fra salute e psicopatologia; anche la psicopatologia è la
permanenza dell’eccitabilità.
Sto riaccennando solo ai punti più generali. Ora un’esplicitazione che non sarebbe stata possibile
senza il riesame dei principali concetti della fisica. Me li ero elencati, ma ho fatto poi un ripasso nell’ultima
settimana.
Massa, inerzia, forza, lavoro, energia, interazione, corpo, quiete, moto: l’esame di tutti questi punti
porta a scoprire una serie di cose. Per esempio, esiste o non esiste lo stato di quiete. Nell’inerzia i corpi fisici
sono in quiete o in moto uniformemente accelerato. L’inerzia è la resistenza di un corpo a variare la propria
velocità.
Allorché ci interroghiamo sull’inerzia nei corpi P, noi troveremmo che l’inerzia dei corpi P è
una condizione patologica. In questi anni abbiamo a lungo esaminato i concetti di equilibrio, o di inerzia, di
quiete. Si ritrova nell’inibizione, nella fissazione nei corpi P, che ormai accettiamo di chiamare “umani”, ma
solo perché dopo essere partiti come i figli, allora ammettiamo che le nostre lingue che ci forniscono anche la
parola “uomo”, che questa parola “uomo” designi questi corpi P, ma non siamo partiti dalla parola “uomo” e
da nessun presupposto sull’uomo. Abbiamo lavorato come lavorano i fisici.
Che cosa risulta, che cosa si vede in questa formula? Osservavo un po’ di anni fa che più spremo
quella formula come un limone e più risulta del succo. Non è semplicetto. Non conosco maggiore
complessità, in tutte le forme che conosco, che la complessità di questa formula. Adesso spremo questo. In
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fisica e credo anche in biologia, sia la descrizione del moto, sia le leggi di questi moti, vedono questi corpi
soggiacenti come condizione stessa della descrizione, della formulazione della legge, mostrano questi corpi
come soggiacenti a un sistema di riferimento; per esempio i tre assi cartesiani. Lo spazio e tempo. Ci sono
anche altri sistemi di riferimento.
Si potrebbe anche dire che questi corpi sono soggiacenti a dei punti di vista; c’è un osservatore. E
l’osservatore può essere il sistema di riferimento stesso o si può descrivere il comportamento di Marte a
partire da un’altra galassia, a partire da un altro punto di vista, Weltanschauung. È visibile dal disegno di
questa legge che non è così per i corpi umani: non sono inscritti in alcun contenitore, foss’anche un sistema
di riferimento come quello cartesiano od altri ancora. Non ci sono punti di vista su di esso corpo, specie di
corpo. Perché in questa legge di movimento la legge e il sistema di riferimento coincidono, sono i due posti.
L’annullamento o la riduzione o la deformazione della distinzione di questi posti non ottiene qualcosa di
nuovo, ottiene solo della patologia, che mai è qualcosa di nuovo: si tratta solo di un impoverimento del punto
di partenza.
Si parla dunque di corpi che esistono nella loro pratica, pensiero, conoscibilità, soltanto a livello
macroscopico. Sembra una favoletta messa così, perché anche le leggi della termodinamica trattano i corpi al
solo livello macroscopico.
Non è così semplice, o almeno non finisce lì: la conoscibilità e la vedibilità di tali corpi in tali legge,
tale legge di beneficio a favore del corpo, fa precisare che l’essere, la vita di questi corpi al solo livello
macroscopico, fa precisare questo macroscopico come non avente né un livello inferiore, microscopico, né
— e questo dovrebbe far capire bene — neanche un livello superiore. Non esiste per questi corpi una legge
di moto superiore, sociale. O persino di Dio. I corpi P, che ormai abbiamo accettato di riconoscere come
“uomo”, sono corpi che non hanno limite superiore nella legge del loro movimento. Nessuna legge di moto
superiore a questa macroscopia è una legge di tale moto, salvo che ne sia una patologia. Bravo Freud che ha
chiamato tali leggi di movimento superio: un usurpatore. Ecco perché abbiamo attaccato il programma di una
psicologia come una scienza esterna e superiore ai corpi. Abbiamo persino proposto come legge
costituzionale una frase come «la psicologia è in capo al singolo e a nessuna istanza sopraindividuale,
politica, scientifica o di altra natura».
Ho provato a passare in esame tutti i concetti della fisica che ho citato prima; in tutti i casi si trova
che quando un corpo umano si muove secondo leggi simili alle leggi della fisica, non è perché è soggetto alle
leggi della fisica, ma perché è malato. Ho già detto prima cosa accade a un corpo umano se si muove
secondo leggi di inerzia: sarà uno schizofrenico, un inibito, etc.
Un’applicazione particolare si ha quando si tratti del concetto di materia, che poi nella storia della
fisica finisce nel concetto di massa. Poi il concetto di massa altrimenti non si definisce che come la misura di
inerzia. Ebbene, il concetto di massa non fa parte di questa legge di moto fisica; si tratta di moti fisici,
corporei, sensibili. Non si troverà alcun concetto di massa. Non si troverà mai nei corpi umani, nella misura
in cui si muovono così, non si arriverà mai alla materia. Il concetto di materia non pertiene al corpo detto
“uomo”. È dunque abolita qualsiasi distinzione tra materia e spirito. Ci sono dei filosofi del passato che si
alzerebbero in piedi applaudendo, ma non perché sono bravo io. Lo spiritualismo si regge tutto sulla
distinzione spirito-materia, e basta aver introdotto la distinzione perché nasca lo spiritualismo.
Ricordo che c’ero arrivato una quindicina di anni fa solo che a quell’epoca usavo dei cartoncini per
prendere appunti ed erano diventati un pacco così. E in alcuni di questi mi ero esercitato, perché partendo dal
concetto di pulsione di Freud volevo mettere i denti sulla materia, sul trovare un po’ di materia. Ero arrivato
alla dimostrazione che nel corpo umano il concetto di “materia” non entra nella formulazione della legge di
moto. Non è pertinente.
Potremmo dire che in fin dei conti in questa legge di moto si tratta di una legge di moto che fa tenere
i piedi per terra — buona definizione popolare di normalità — ma dove la terra non è alcun altra terra che
quei due posti. Questo non dice che noi svolazziamo per l’aere, come peraltro è noto.
La nostra relazione con la terra comunemente intesa, che è quella della gravitazione, per cui abbiamo
un peso distinto dalla massa, è la medesima relazione che abbiamo con l’alimentarci e con il sonno; è quella
relazione che io descrivo — uso delle parole a fini descrittivi e non predicatori — come relazione di
obbedienza. Sappiamo che nell’alimentazione il passaggio all’atto alimentare trova una condizione nel fatto
che certe sostanze nel sangue hanno diminuito il loro tasso; quando mangiamo obbediamo a questa
condizione. Quando siamo anoressici disobbediamo a questa condizione. È proprio tutto lì. È la stessa cosa
che facciamo con la forza di gravità. E obbediamo anche a come sono fatti i nostri neuroni. La nostra
relazione di obbedienza la si vede anche per quanto riguarda il sonno. Il dormire è il fenomeno psicologico di
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obbedienza a determinate condizioni che sono sia interne — SNC, ecc. — sia determinate altre condizioni
che possiamo chiamare complessivamente una sollecitazione al ristoro.
L’insonnia è la disobbedienza, come l’anoressia, il non assolvere o il non onorare come l’anoressia, a
certe condizioni terra-terra che sono la riduzione di determinate sostanze nel sangue. Possiamo parlare di
fabbisogno. Il solo caso — alimentazione sì, sonno sì — in cui non esiste fabbisogno è proprio il caso della
vita dei sessi: non esiste il fabbisogno sessuale. Non esiste in alcuna misura, in alcun modo: non esiste
fabbisogno sessuale. Il «Quante volte, figliolo?» non corrisponde a un’idea di fabbisogno.
Avevo già ricordato l’ironia di Freud. Probabilmente quando era studente, lui e altri sapevano il latino, e
goliardicamente si sono inventati quella frasaccia che dice che il medico prescrive a una signora sul ricettario
«Coitus normalis dosim repetatur», il coito normale venga ripetuto a giuste dosi. In natura non esiste alcun
fabbisogno di questo genere. Il che significa anche che è un’assurdità scientifica parlare di sessuologia:
sessuologia è solo una sciocchezza scientifica; è una semplice deduzione. Ecco perché concludevo circa il
non fabbisogno della vita sessuale.
E allora si tratta di una specie di vita che nulla la causa e nulla la proibisce, che suscita, appena ci si
avvicina a questo pensiero, un salutare imbarazzo. Non un imbarazzo patologico. Salutare imbarazzo che non
è neanche quello di «Ma allora, si fa o non si fa? Andiamo o non andiamo?» e tutti i classici di questa specie,
è già sfogliare la margherita, è già ossessiva, è già «m’ama o non m’ama?» e quando si è qui è già finita. «Lo
facciamo o non lo facciamo?»: non lo si fa. O se si fa, solitamente non si rifà, non risorgerà quel desiderio.
Ritorna piuttosto il fastidio, che è un’osservazione peraltro pertinentissima, quando Freud nota che dopo la
malattia il nocciolo del rapporto con i sessi ha soltanto un fine: quello di disfarsene. L’uomo malato, l’uomo
nevrotico è quello che inizia a essere sessuoclasta, proprio come si diceva iconoclasta. Lo si vede a destra e a
manca. La nostra esperienza è persino straboccante; di questo è persino strafottente. È una strabocchevolezza
strafottente.
Sto solo vedendo se c’è una bella frase per finire, perché le belle frasi fanno bene allo spirito.
Diciamo così: spostiamoci un istante su Dio, poi ritorniamo su questi corpi P cui ormai abbiamo
riconosciuto la dignità per rivestire la parola “uomo”.
Ci sono dei campi, anche propriamente liturgici, in cui a Dio viene attribuito lo stato di quiete. Io
accetto questi campi e questa parola in tali campi ma solo per una ragione e una condizione: che questa
parola si traduca come “pace”, che non è un concetto della fisica. Se Dio fosse in “quiete” sarebbe malato
anche lui. Ho sempre fatto notare la presenza della bestemmia allorché non si presta attenzione a
considerazioni come questa. Così come il corpo umano in quiete, è dalla schizofrenia in giù. Se c’è uno stato
che non è di quiete è il sonno, a parte il fatto che il cuore continua ad andare; non è in quiete perché continua
a regolarsi secondo quel principio di moto infinito che si chiama pensiero. Il pensiero non cessa mai. Ecco
perché è capitale la scoperta del sogno. Il pensiero non ha alcuna ragione di arrestarsi e non conosce la fatica.
Non esiste il “sudore del pensiero”, a parte la schifevolezza di questa immagine, e non il sudore
dell’operaio. Il sudore del pensiero è un pensiero sudaticcio. C’è un mucchio di gente che ha il pensiero
sudaticcio: la perversione ha il pensiero sudaticcio.
Anche per l’uomo non vale il concetto di quiete; ma se va bene — alla lettera — si tratta solo di
pace, del concetto sociale di pace che non esiste altro che come sociale, che noi descriviamo come relazione
di uno con l’universo di tutti, a condizione di un Altro privilegiato, cioè della conservazione della distinzione
dei posti.
Ora, ritornando fra uomo e Dio, mi verrebbe da fare, mi viene ancora da fare l’apologia di Feuerbach
e dell’ Essenza del cristianesimo. È stato preso come il grande testo dell’ateismo, mentre dopo tutto implica
la scoperta che questi corpi P, ormai recuperati a U di “uomo” e “universo”, non avendo limite superiore
nella loro legge di moto, parlare di questi corpi e parlare di Dio che differenza fa? Semplicemente possiamo
liberarci dall’esigenza — parola usata da Feuerbach — della proiezione in un supremo S di prerogative che
sono di questi corpi allorché si muovono secondo questo movimento. Ed è qui che un giorno siamo arrivati a
parlare di Cristo il moderno, con Feuerbach, con Miss- senza o con s.
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