Storia della scienza per le lauree triennali Prof. Giuliano Pancaldi 2011-12 Modulo 6 Le critiche di William Thomson e Fleeming Jenkin alla teoria di Darwin I punti salienti della “rivoluzione darwiniana” 1859-1882 Quali erano dunque le principali difficoltà opposte alla teoria della selezione naturale tra i contemporanei di Darwin? Le obiezioni principali sul piano scientifico – si è visto nella lettura del Modulo 5 – erano di due tipi: una riguardava l’età della Terra (e dunque il tempo a disposizione per l’azione evolutiva della selezione naturale); l’altra riguardava il meccanismo particolare della selezione, ossia la conservazione delle variazioni favorevoli nella lotta per l’esistenza. L’età della Terra Nel 1866, si è visto in quella lettura, William Thomson, fisico famoso (noto più tardi come Lord Kelvin), sostenne che, secondo una stima dei tempi di raffreddamento del Sole resa possibile dalla termodinamica, la Terra doveva essere stata un pianeta abitabile per non più di 100 milioni di anni. William Thomson, Lord Kelvin (1824-1907), fisico ed esperto di telegrafia. Darwin aveva concepito la sua teoria della selezione immaginando dei tempi molto più lunghi. D’accordo con alcuni geologi contemporanei, come Charles Lyell che abbiamo già incontrato, immaginava che la Terra fosse stata abitabile per almeno 300 milioni di anni e forse molti, molti di più. In risposta a queste difficoltà Darwin – nelle nuove edizioni dell’Origine delle specie che intanto si stampavano – si vide costretto a sottolineare il ruolo di fattori evolutivi diversi dalla selezione naturale, che a dire il vero non aveva mai escluso del tutto neppure nella prima edizione. Tra questi fattori diversi dalla selezione vanno segnalati soprattutto l’uso e il non uso degli organi, in risposta alle modificazioni dell’ambiente (fisico e biologico), che ora immaginava che si sommassero agli effetti della selezione accelerando il cambiamento delle forme viventi nel corso dell’evoluzione. NB: Oggi – tenendo conto di fenomeni come la radioattività, sconosciuti ai tempi di Thomson ma decisivi per calcolare l’età del Sole – fisici e geologi stimano l’età della Terra come pianeta abitabile in circa 3,5 miliardi di anni: la vecchia obiezione dei fisici nei confronti della teoria darwiniana della selezione ha perso molta della sua efficacia. Ma a quei tempi sembrava un’obiezione potente. La selezione “impantanata”? La seconda importante obiezione, si è visto nella lettura del modulo precedente, riguardava la “materia prima” della selezione: le variazioni. Possono davvero le variazioni, piccole e isolate, che Darwin concepiva come ciò su cui agisce la selezione naturale, farsi strada nelle popolazioni e trasformare gradualmente le specie? Alcuni contemporanei di Darwin lo mettevano in dubbio. Nel 1867, si è visto, H. C. Fleeming Jenkin - un ingegnere che si interessava anche delle tecniche usate dagli allevatori per selezionare le razze degli animali domestici - sottopose la teoria della selezione di Darwin a una critica sottile e pericolosa. Fleeming Jenkin (1833-1885), ingegnere elettrico. L’esperienza mostrava secondo Jenkin che le variazioni individuali si distribuiscono all’interno di “una sfera di variazione possibile”, al centro della quale sta l’”animale medio” della specie. Mentre era relativamente facile per l’allevatore selezionare in tempi brevi gli individui delle razze domestiche con le caratteristiche a lui più gradite dentro quella sfera di variazione, impedendo la riproduzione degli altri individui, era arbitrario supporre che in natura la stessa variabilità potesse estendersi spontaneamente e indefinitamente fino a produrre la trasformazione di una specie in un’altra, secondo quanto sosteneva Darwin. Ancora più insidiosa era la trattazione cui Jenkin sottoponeva la questione dei gruppi di individui di una certa specie portatori di caratteristiche nuove e della loro capacità di soppiantare col tempo, riproducendosi in proporzioni più elevate degli altri, gli individui della medesima specie privi di quelle caratteristiche. Darwin, si è visto, aveva sostenuto che qualunque piccolo vantaggio dei primi nella lotta per l’esistenza avrebbe fatto pendere la bilancia a loro favore, consentendo ai loro discendenti di diffondersi nella popolazione della specie trasformandola. Jenkin sosteneva che l’argomentazione era tutt’altro che sicura se si utilizzavano le argomentazioni probabilistiche, che Darwin adottava in qualche misura quando alludeva all’enorme numero di variabili o catene causali in gioco in ogni regione particolare, ma sembrava disposto a seguire solo fino a un certo punto. Secondo Jenkin il vantaggio di possedere certe caratteristiche nella lotta per l’esistenza andava posto a confronto con lo svantaggio rappresentato, al primo insorgere di una variazione del genere, dal numero ridottissimo di individui che ne erano portatori. Considerato quest’ultimo aspetto, era assai più probabile che la nuova variazione restasse “sommersa dai numeri” o “impantanata”, anziché mettere radici e diffondersi nella popolazione. Una possibile via d’uscita di fronte a questa obiezione consisteva nel supporre che ogni nuovo gruppo di individui del genere presentasse delle caratteristiche già profondamente distinte dal resto della specie, in modo da annullare l’effetto dei numeri a suo sfavore. Ma questo, sosteneva Jenkin, equivaleva a supporre tante piccole “creazioni” del tipo che i darwiniani volevano escludere. Darwin rispose che le variazioni di cui parlava nella sua teoria come strettamente individuali, potevano essere considerate in effetti come l’indice di una “tendenza a variare nella stessa maniera” propria della specie o di una parte di essa. Si poteva quindi supporre che questa tendenza a variare potesse essere trasmessa alla generazioni successive, anche quando la variazione in quanto tale non si trasmetteva. Così Darwin cercò di indebolire un’obiezione che, in privato, riconosceva essere molto efficace e potenzialmente pericolosa per la sua teoria. Il punto sulla “rivoluzione darwiniana”, 1859-1882: Può essere utile fare il punto sulla “rivoluzione darwiniana”, tenendo conto delle molte precisazioni fatte fin qui: 1. Darwin nel 1859 riportava all’attenzione di un pubblico vasto - composto dagli esperti di biologia ma anche da coloro che erano esperti “soltanto a metà” - una concezione evoluzionistica del mondo che alcuni autori avevano già abbozzato nel corso del Settecento. Era una visione del mondo radicata nella scienza, che aveva tuttavia un’inconsueta ambizione e una portata filosofica generale. 2. L’”evoluzionismo darwiniano” proponeva una concezione naturalistica, prevalentemente laica, in qualche caso atea del mondo vivente, che veniva spesso percepita come una minaccia per le religioni tradizionali, per l’ordine morale e per la società. L’idea che la specie umana “si era fatta da sola”, attraverso un processo naturale di evoluzione, sembrava garantire indirettamente una possibilità di emancipazione a tutti coloro che, in qualche modo, potevano attribuire alle tradizioni religiose e/o sociali la loro condizione di subordinazione. 3. Questo stesso evoluzionismo, d’altra parte, sembrava andare d’accordo con le filosofie e le ideologie del “progresso” che intanto erano molto popolari nelle nazioni europee e negli Stati Uniti, che stavano conoscendo un periodo di sviluppo industriale e di successi tecnologici senza precedenti. 4. In alcune forme particolari – indicate come “darwinismo sociale” – le idee darwiniane della “lotta” e della “sopravvivenza del più adatto” venivano adottate per giustificare l’azione delle nazioni europee che intanto stavano consolidando i loro imperi coloniali, come pure l’azione degli individui e dei gruppi “più forti” dentro le singole nazioni. 5. Ma in effetti - dato l’enorme prestigio di cui godevano le scienze, gli scienziati e Darwin personalmente - l’evoluzionismo veniva piegato a giustificare molte diverse concezioni della natura e della società, a volte tra loro in contraddizione. 6. All’interno di questa diffusione dell’evoluzionismo in tante forme diverse, la teoria particolare proposta da Darwin per spiegare l’evoluzione delle specie – la teoria della selezione naturale – riceveva un’accoglienza limitata. Spesso la vecchia spiegazione dell’evoluzione proposta da Lamarck veniva preferita a quella di Darwin. 7. In queste circostanze, come vedremo a partire dal prossimo modulo, una parte delle scienze della vita – quella che potremmo chiamare la “biologia di laboratorio” – si sviluppò negli ultimi decenni dell’Ottocento, grazie a importanti innovazioni nelle tecniche d’indagine e nei microscopi, anche per strade indipendenti da quelle battute dall’evoluzionismo di ispirazione più o meno darwiniana. ______________