Microst-Oscillatori

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OSCILLATORI SINUSOIDALI
Generalità
Per comprendere il principio di funzionamento di un oscillatore, si consideri un
amplificatore reazionato privo del segnale esterno d’ingresso, e quindi privo del nodo di
confronto.
Fig.1 - schema a blocchi di un oscillatore
Supponiamo che all'ingresso sia presente un segnale Ve con frequenza fo cui corrisponde
in uscita un segnale Vu = AVe della stessa frequenza. La condizione affinché il sistema
possa mantenere in uscita il segnale Vu, e’ che, attraverso la rete di reazione, venga
riportato all'ingresso un segnale Vr uguale, in modulo e fase, a Ve.
Vr = Vu = AVe = Ve
Da questa relazione discende la condizione di autoeccitazione:
A=1
nota come criterio di Barkausen.
Poiché in generale  e A sono grandezze complesse, il criterio di Barkausen si traduce
nella duplice condizione che il prodotto A abbia modulo unitario ed argomento nullo:
A|=1;

1
Allo stesso risultato si perviene considerando l'espressione del guadagno di un
sistema con retroazione positiva, che qui riportiamo:
Ar = A / (1-A)
Per poter avere la condizione di autoeccitazione la relazione seguente:
Vu = Ar Vi
deve essere non nulla. Questo si traduce nelle seguenti condizioni:
Ar --> infinito
1-A=0;
A=1
In definitiva, se alla frequenza fo risulta soddisfatto il criterio Barkausen, l'amplificatore e’
in grado di oscillare a tale frequenza, cioè di produrre in uscita un segnale di ampiezza e
frequenza costanti, sollecitato soltanto dalla tensione continua di alimentazione.
L’origine del segnale di autoeccitazione Ve può essere individuata nella presenza
immancabile del rumore termico all'ingresso dell'amplificatore. Infatti, a causa
dell'agitazione termica, qualunque componente resistivo produce una tensione di rumore
con spettro uniforme (rumore bianco). Se per la componente spettrale del rumore a
frequenza fo si ha:
Ainiz| > 1
tale componente viene amplificata e riportata in ingresso con ampiezza maggiore di
quella di partenza; il processo di esaltazione si ripete e prosegue, dando luogo ad
un segnale in uscita di ampiezza sempre maggiore, fino a che, interessando la zona
non lineare della caratteristica di trasferimento, il guadagno iniziale
dell'amplificatore scende al valore A per cui si verifica la condizione di Barkausen,
con conseguente stabilizzazione dell'ampiezza del segnale di uscita.
Concludendo, per avere un oscillatore devono essere soddisfatte i seguenti
requisiti:
a) il sistema deve contenere almeno un elemento attivo (amplificatore) sottoposto a
reazione positiva;
2
b) nel sistema devono essere compresi degli elementi reattivi che esercitino un'azione
filtrante, in grado di determinare univocamente la frequenza di oscillazione;
c) alla frequenza di oscillazione deve essere verificato il criterio di Barkausen in modulo e
fase, cioè il segnale di reazione deve valere 1/A di quello presente in uscita e deve essere
in fase con quello presente in ingresso (condizione di autoeccitazione);
d) inizialmente (cioè all'atto in cui si applica I'alimentazione all'oscillatore) alla frequenza fo
il guadagno di anello deve essere maggiore di 1, per assicurare l' autoinnesco delle
oscillazioni.
In pratica gli schemi circuitali adottati per la realizzazione degli oscillatori sinusoidali sono
molteplici, per soddisfare le diverse esigenze di frequenza, stabilita, potenza di uscita, ecc.
Una prima suddivisione può essere fatta in oscillatori per:
bassa frequenza (al disotto del MHz), con filtro di selezione della frequenza di tipo RC,
alta frequenza (dalle centinaia di kHz alle centinaia di MHz), con filtro di selezione di tipo
LC o a quarzo.
Oscillatori per bassa frequenza
Alle basse frequenze gli oscillatori RC di impiego più frequente sono quelli a rete di
sfasamenfo e quelli a ponte di Wien.
Oscillatori a rete di sfasamento
Un oscillatore a sfasamento è costituito da un amplificatore invertente reazionato mediante
una rete costituita da 3 celle RC identiche come indicato in fig. 2.
3
Fig. 2 - Schema di principio di un oscillatore a rete di sfasamento
La rete di reazione introduce uno sfasamento complessivo di 180° che, sommato allo
sfasamento di 180° proprio dell'amplificatore invertente rende soddisfatta la seconda delle
condizioni di autoeccitazione imposte dal criterio di Barkausen. Supponendo che
l'amplificatore abbia un'impedenza d'ingresso molto elevata (ipotesi verificata in particolare
nel caso di un amplificatore operazionale), possiamo considerare il circuito equivalente di
fig. 3:
Fig. 3 - Circuito equivalente dell'oscillatore a rete di sfasamento
Risolvendo la rete di figura 3, dalla relazione che lega Vu e Ve e ponendo: w0= 1 / (2.45*
R* C) si ha:
Ve= - Vu / 29 ;  = -1 / 29
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Se ne deduce che, a detta frequenza, la rete sfasa di 180° ( segno negativo) ed il
guadagno dell’amplificatore deve valere, per soddisfare anche alla prima delle condizioni
di autoeccitazione imposte dal criterio di Barkausen (A=1):
A| = Vu / Ve= 29
La fig. 4 rappresenta un possibile schema di oscillatore a rete di sfasamento, utilizzante
come elemento attivo un amplificatore operazionale in configurazione invertente.
Fig. 4 - Oscillatore a rete di sfasamento con AO invertente.
Tenuta presente la relazione che esprime il guadagno invertente dell'amplificatore, per
soddisfare la precedente relazione deve valere:
R2 =29 R
In generale gli oscillatori a rete di sfasamento sono caratterizzati da una buona stabilita di
frequenza. Vengono impiegati per lo più in laboratorio come oscillatori a bassissima
frequenza (anche frazioni Hz) e possono essere realizzati anche a frequenza variabile,
con regolazione "grossa" sulle R e "fine" sulle C.
Oscillatori a ponte di Wien
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La figura 5 riporta uno schema di un oscillatore a ponte di Wien realizzato impiegando
come elemento attivo un amplificatore operazionale.
Fig. 5 - Oscillatore a ponte di Wien
Si può notare la presenza di una reazione negativa, che determina il guadagno, ed una
reazione positiva che rende possibile l'autoeccitazione. L'oscillatore viene detto "a ponte"
perché le due reti di reazione costituiscono i lati di un ponte la cui tensione di squilibrio
viene applicata all'ingresso di un amplificatore differenziale, come mostra lo schema
equivalente in figura 6, basato sulle ipotesi ideali di amplificatore a resistenza d'ingresso
infinita e resistenza di uscita nulla.
Fig. 6 - Schema equivalente dell'oscillatore a ponte di Wien
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Dall'analisi di tale circuito si ricavano le relazioni:
w0 = 1 / ( R* C);
R2 = 2 R;
e quindi i anche:
A| = 1+R2 / R1 = 3
Oscillatori per alte frequenze
Alle frequenze elevate. dalle centinaia di kHz alle centinaia di MHz, si impiegano oscillatori
di tipo LC, caratterizzati dalla presenza di un circuito risonante LC che determina la
frequenza di oscillazione . Per frequenze al di sopra dei 500 MHz i componenti concentrati
L e C (bobine e condensatori) sono generalmente sostituiti da componenti a costanti
distribuire come tronchi di linea di trasmissione o cavità risonanti. L'impiego degli
amplificatori operazionali come elementi attivi degli si rivela poco idoneo alle alte
frequenze, soprattutto a causa della riduzione che subisce il guadagno ad anello aperto. Si
preferisce perciò impiegare transistor BJT o JFET in forma discreta.
Il modello adottato per gli oscillatori in alta frequenza e' normalmente quello detto a tre
punti, mostrato in figura 7, costituito da un amplificatore invertente con 3 impedenze Z1,
Z2, Z3 poste rispettivamente tra ingresso e massa, tra uscita e massa e tra ingresso e
uscita.
Fig. 7 - Modello a 3 punti di un oscillatore per alte frequenze
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Supponendo che l'amplificatore abbia un'impedenza d'ingresso elevata e che non sono
presenti effetti reattivi apprezzabili alla frequenza fo, si dimostra che le condizioni relative
al criterio di Barkausen sono soddisfatte se le 3 impedenze sono costituite da 3 reattanze
X1, X2, X3 di diverso segno, tali che alla frequenza fo risulti:
X1 + X2 + X3 = 0
Precisamente, le due reattanze X1, X2 devono essere dello stesso segno, e X3 di segno
opposto. Deve valere inoltre la relazione:
Aa > X2 / X1
che lega il valore dell'amplificazione di tensione senza retroazione ll'amplificatore al
rapporto fra le due reattanze dello stesso segno.
Se X1, X2, sono costituite da induttanze e X3 da un condensatore, si ottiene l'oscillatore di
Hartley;
Se X1, X2,sono costituite da condensatori e X3 da un'induttanza, si ottiene l'oscillatore
Colpitts.
Oscillatore Hartley
Lo schema di principio dell'oscillatore di Hartley è come mostrato in fig. 8.
Fig.8 - schema di principio dell'oscillatore Hartley
8
Come si vede la X1 e la X2 sono di tipo induttivo mentre la X3 e' di tipo capacitivo.
Tenendo conto della mutua induttanza M fra le due bobine che vale:
M = K (L1' L2')½
e dalla relazione sulle reattanze che garantisce l'oscillazione, si possono le formule
relative alla frequenza di oscillazione f0
w0= (LC)½
essendo
L= L1' + L2' + 2M
e al guadagno dell'amplificatore:
Aa >( L2' + M) / ( L1' + M)
Oscillatori Hartley: circuiti applicativi
In figura 9 è riportato un possibile schema di un oscillatore di tipo Hartley a JFET.
Fig. 9 - Oscillatore Hartley a JFET
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Il guadagno Aa è dato dal coefficiente di amplificazione gm*ro del dispositivo, per cui la
relazione può essere riscritta come:
gm > = (L2' + M) / [rd (L1' + M)]
Se e' soddisfatta la relazione sul guadagno espressa in termini dei parametri del JFET,
applicando la tensione di alimentazione si ha l'autoinnesco delle oscillazioni alla frequenza
voluta e il JFET passa a lavorare in classe C, stabilizzando l'ampiezza delle oscillazioni
per effetto della non linearità. Il gruppo di autopolarizzazione Rg Cg è infatti previsto per il
funzionamento in classe C. La sua costante di tempo deve essere maggiore del periodo di
oscillazione solitamente si assume:
 = RG CG = 10 / f0
Va tenuto presente che il funzionamento in classe C, caratterizzato da un maggior
rendimento di conversione, è consentito solo agli oscillatori del tipo LC; per quelli del tipo
RC è possibile solo la classe A, poiché la mancanza nei loro schemi di circuiti risonanti
non consente di ricostruire, mediante il filtraggio delle armoniche, la sinusoidalità del
segnale.
Un esempio di un schema di un oscillatore Hartley a BJT è quello mostrato in figura 10:
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Fig. 10. Oscillatore Hartley a BJT
La condizione di autoeccitazione, nell'ipotesi di connessione a collettore comune, può
essere espressa in termini di ibridi dalla seguente relazione:
(L1' + M) hfe > (L2' + M) hoehie
Oscillatore Colpitts
Lo schema di principio dell'oscillatore Colpitts è mostrato in figura 11.
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Fig. 11. schema di principio dell'oscillatore Colpitts
Applicando le relazioni sulle reattanze relative agli oscillatori basate sul modello a tre punti
si ottengono le relazioni: (trascurando le perdite nella bobina e néi condensatori):
Aa >C2 / C1
w0= (LC)½
con C equivalente alla serie di C1 e C2
C = C1 C2 / (C1 + C2)
Un possibile schema realizzativo di oscillatore di tipo Colpitts a JFET e' mostrato in figura
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Fig. 12 - Oscillatore Colpitts a JFET.
Le capacità C1, C2 e l'induttanza L costituiscono il circuito risonante a 3 punti. La Lb e'
un'induttanza di blocco (choke) che impedisce alle alte frequenze di entrare nella rete di
alimentazione. La Rs è una resistenza di elevato valore che consente l'autopolarizzazione
del JFET nel punto di lavoro imposto da Rs
Oscillatori a quarzo
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Gli oscillatori a quarzo sfruttano l'effetto piezoelettrico per ottenere una elevata stabilita di
frequenza. Si definisce stabilità di frequenza la variazione percentuale della frequenza
del segnale prodotto da un oscillatore nell'intorno del valore nominale fo. La relazione che
esprime matematicamente la stabilità di frequenza e':
S% = 100 f / fo
Le cause della instabilità di frequenza sono molteplici, legate in particolare alle variazioni
della temperatura, della tensione di alimentazione e del carico. L'influenza del carico può
essere minimizzata inserendo tra l'oscillatore e l'utilizzatore uno stadio separatore (buffer),
costituito ad esempio da un amplificatore nella configurazione a inseguitore. L'impiego di
tensioni di alimentazione fortemente stabilizzate, di componenti resistivi a basso
coefficiente di temperatura e di circuiti filtranti ad alta selettività, consente di raggiungere
valori della stabilita di frequenza dell'ordine dello 0,01%, che tuttavia non sono sufficienti
per molte applicazioni nelle quali sono richieste frequenze di lavoro rigorosamente
costanti.Valori di stabilita nettamente superiori, dell'ordine di 10e-5 ÷ 10e-7 (ovvero di 10e1÷ 10e-4 ppm, parti per milione), si ottengono inserendo nel circuito fíltrante
dell'oscillatore un cristallo piezoetettrico, cioè una lamina di quarzo compresa fra due
elettrodi.
Elettricamente il cristallo piezoelettrico presenta due frequenze di risonanza, come risulta
dal circuito equivalente rappresentato in figura 13
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Fig. 13 – a) Circuito equivalente di un cristallo piezoelettrico; b) caratteristica di
impedenza
I valori di L, C, R dipendono dalle caratteristiche meccaniche del cristallo e precisamente
dalle sue dimensioni (maggiore è la massa, più bassa e' la frequenza di vibrazione), dal
coefficiente di elasticità del materiale e dall'attrito interno (perdite per isteresi meccanica).
Il valore di Co è invece quello della capacità elettrica fra i due elettrodi metallici della
lamina. Ne risulta un circuito serie-parallelo con una risonanza serie frequenza s per cui
si ha:
s2 LC = 1
ed una risonanza parallelo alla frequenza p
p2 LC = 1
p > s
In corrispondenza di s l'impedenza e' minima ( risonanza di corrente), mentre in
corrispondenza di p e' massima (risonanza di tensione), come indicato nel grafico di
figura 13. A tali frequenze, il valore di R nel circuito equivalente risulta piccolo in confronto
alla reattanza della L, per cui il fattore di risonanza Q ha un valore elevatissimo dell'ordine
di 10e3 ÷ 10e6. Da qui la grande selettività del circuito e l'alta stabilita di frequenza che ne
deriva per gli oscillatori a quarzo. Come si vede, le due frequenze di risonanza sono molto
vicine fra loro. In corrispondenza di s e di p l'impedenza del cristallo è, per definizione,
puramente ohmica; tra le due frequenze è invece di tipo induttivo, mentre al disotto di s e
al disopra di p è di tipo capacitivo.
Oscillatori a quarzo: circuiti
L'inserimento del cristallo piezoelettrico in un oscillatore può avvenire in molti modi, cui
corrispondono diversi tipi di oscillatori a quarzo, per lo più realizzati secondo lo schema a
tre punti. Esempio applicativo di oscillatore a quarzo e il circuito di Pierce, schematizzato
in figura14:
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Fig. 14 Oscillatore di Pierce.
Si tratta di un oscillatore Colpitts nel quale, al posto dell'induttanza L del circuito risonante
a tre punti, è inserito un cristallo di quarzo funzionante nella zona induttiva, cioè a
frequenza compresa tra fs e fp. I valori della frequenza di oscillazione degli oscillatori a
quarzo vanno da alcuni kHz fino al centinaio di MHz. Al disotto di qualche kHz lo spessore
della lamina di quarzo diventa eccessivo per una efficace eccitazione; viceversa, per
frequenze al disopra di alcuni MHz la lamina risulta troppo sottile per una sufficiente
resistenza meccanica: si può pero eccitare il quarzo "in armonica" (funzionamento in
overtone) e giungere così fino centinaia di MHz.
I quarzi con frequenze di risonanza non elevate possono essere impiegati oscillatori per
bassa frequenza, realizzati con amplificatori operazionali secondo uno schema detto a
ponte di Meacham come indicato in fig. 15.
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Fig. 15 Schema di principio di un oscillatore a ponte di Meacham
la condizione di oscillazione è espressa dalla relazione:
R1 ( R + R3) >= R ( R1+ R2)
dove R è la resistenza serie del circuito equivalente del quarzo. Il circuito oscilla alla
frequenza di risonanza serie fs coincidente con la frequenza di risonanza meccanica
propria del quarzo (detta anche frequenza naturale del quarzo), e ciò consente di ottenere
oscillatori ad elevatissima stabilità di frequenza.
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