ROMA - Liceo Mascheroni

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ROMA
CAPITOLO 2
DA MONARCHIA A REPUBBLICA (VIII secolo – 270 a.C.)
Storia della società e delle istituzioni romane
[le istituzioni monarchiche, le istituzioni repubblicane fino al 270 a.C. ca.]
LA SOCIETÀ E L’ECONOMIA
1. LA SOCIETÀ ROMANA DELLE ORIGINI
1.1 Una società di pastori e contadini
Conosciamo molto poco del primo periodo della storia romana, se non quanto ci hanno tramandato
le leggende. È probabile che all’origine della storia romana non esistessero distinzioni sociali e gli
abitanti dei villaggi avessero in comune le terre. Secondo la tradizione, in età monarchica vennero
distribuiti a ciascun cittadino romano due iugeri (corrispondenti a mezzo ettaro, 5000 m²) di ager
romanus, cioè di terreno dello stato romano, una quantità insufficiente a mantenere una famiglia.
L’economia era quindi povera, basata sull’agricoltura di sussistenza, che produceva quasi
esclusivamente cereali, integrata con la caccia, la raccolta, la pastorizia e l’allevamento su terreni di
uso comune. La durata media della vita era intorno ai vent’anni.
Box lessicale
Iugero
Lo iugero, che deriva da iugum, “giogo”, era l’unità di misura romana di superficie e indicava la
quantità di terreno che un uomo avrebbe, ipoteticamente, potuto arare in un giorno con un giogo di
buoi (una coppia di buoi aggiogati, v. box cap. 1 “Passare sotto il giogo”). Aveva una lunghezza di
70 m e una larghezza di 36, per un totale di poco più di 2.500 m², che corrispondono a un quarto di
ettaro.
Box lessicale
Una pecora per moneta
In un’economia ancora pastorale come quella della Roma arcaica, gli scambi avvenivano tramite il
baratto. Era però necessario scegliere un’unità di misura per stabilire il valore delle merci. I romani
usarono il bestiame, perciò dal termine pecus, (“gregge”, ma anche “pecora”), la fonte principale
della ricchezza dei pastori, derivò il termine pecunia, “denaro”, e peculium, “patrimonio”, da cui il
nostro pecuniario, “relativo al denaro”, peculio, “somma di denaro risparmiata e conservata
gelosamente”, e peculato, “appropriazione indebita di denaro pubblico da parte di un funzionario”.
La ricchezza veniva calcolata in base ai “capi”, capita, di bestiame che costituivano quindi quello
che oggi chiamiamo capitale.
1.2 La nascita di un’aristocrazia guerriera
Con l’incremento e la diversificazione delle attività produttive e l’unificazione dei villaggi in un
centro urbano, cominciarono a crearsi delle differenze sociali. Le famiglie più potenti si
impossessarono delle terre più fertili e costituirono un’aristocrazia guerriera simile a quella cantata
da Omero.
La popolazione fu divisa in tre tribù sulla base, secondo l’opinione degli antichi, delle differenze
etniche delle popolazioni che col tempo erano affluite a Roma: i Ramnes, gli indigeni che
abitavano il Palatino, vicino al fiume, erano i latini di Romolo, i Tities (Tizi), stanziati sul
Quirinale, erano i sabini di Tito Tazio, il mitico re che avrebbe affiancato Romolo dopo la fusione
dei due popoli; i Luceres, di cui non si conosce la residenza, erano gli etruschi che via via erano
immigrati a Roma (ma, secondo altri, gli abitanti della selva, lucus).
Le tribù erano suddivise ciascuna in dieci curie, “riunioni di uomini nobili”, ognuna costituita da
dieci gentes (v. sotto), e costituivano la base politica e militare dello stato romano. Infatti, riunite
nei comizi curiati, le trenta curie si occupavano di diritto familiare (ad esempio, sancivano la
validità di adozioni e testamenti), conferivano al re il suo potere in una cerimonia solenne che si
chiamava inaugurazione, perché si prendevano gli auspici per verificare l’approvazione degli dei,
approvavano le sue decisioni e quelle del senato, avevano funzioni religiose e fornivano
all’esercito 10 cavalieri, cioè una decuria, e 100 fanti, cioè una centuria, ciascuna. L’esercito
arcaico era formato quindi da 300 cavalieri e 3000 fanti. Ai comizi spettava la dichiarazione di
guerra. Inoltre ogni curia eleggeva un senatore per ognuna delle dieci gentes che la costituivano, per
un totale di 300 senatori.
Box lessicale
Comizi curiati
Il termine comitium, che indica un’adunanza, deriva dal verbo cum-eo o coëo, un composto del
verbo eo, “andare”, che significa “andare insieme”. Curia invece deriva da cum e vir (“uomo”),
indica un “insieme di uomini (maschi)”, rappresentanti delle famiglie nobili.
1.3 La differenziazione della società sotto i re etruschi
Con l’avvento dei re etruschi, si affermò anche a Roma un modello di società simile a quella
etrusca, dominata da un numero ristretto di grandi famiglie aristocratiche. Si creò allora una
distinzione tra patrizi (nobili) e plebei, i due ordini (come i latini chiamavano le classi sociali),
sulla cui origine si è molto discusso: i patrizi pretendevano di essere i discendenti dei mitici
fondatori di Roma, consideravano i plebei i popoli indigeni sottomessi e li trattavano come stranieri,
con cui era vietato contrarre matrimonio. Sicuramente in epoca storica la divisione è di carattere
economico: i patrizi erano i grandi proprietari terrieri, i plebei possedevano piccoli campi o
vivevano del proprio lavoro di artigiani e commercianti.
Accanto a patrizi e plebei, oltre agli schiavi, categoria comune a tutte le società antiche, esistevano
due categorie sociali tipiche di Roma: quella dei clienti e quella dei liberti.
 I patrizi
I patrizi, che corrispondevano agli eupatridi ateniesi, i “figli di padri nobili”, costituivano
l’aristocrazia e mantenevano il potere sulla base di due privilegi che si erano arrogati.
- Innanzitutto ogni patrizio apparteneva ad una gens, “gente, stirpe”, cioè un gruppo di
persone legate da rapporti familiari, che sostenevano di discendere da un antenato
comune, di cui portavano il nomen, il “nome” gentilizio. L’antenato era spesso
mitico, come Iulo, figlio di Enea, che avrebbe dato vita alla gens Iulia. La gens era
costituita da un insieme di familiae, “famiglie”, contraddistinte da un cognomen, un
soprannome, a volte desunto da particolari fisici di un antenato: Nasica dal grande
naso, Barbata dalla lunga barba, e così via.
Box
Sul biglietto da visita
Il nome di un romano costituiva un completo biglietto da visita con tutte le informazioni sulla sua
identità. Ogni individuo maschio, oltre al nomen gentilizio e al cognomen familiare aveva il suo
prenomen, il nome personale, come Publius, Caius o Gneus, che non spettava invece alle donne,
indicate solo con il nome della gens. Spesso, per riconoscerle nell’ambito della famiglia, si
aggiungeva al nomen un attributo come Maior, “maggiore”, o Minor, “minore” oppure Prima,
Seconda, Terza, ma Marco Tullio Cicerone chiamava sua figlia Tullia (nome gentilizio) col
vezzeggiativo Tulliola. La gloria maggiore per una donna era tuttavia che il suo nome non venisse
neppure pronunciato. Solo le donne di facili costumi venivano chiamate con il loro nome personale.
Il cognomen poteva essere seguito da un soprannome desunto da un particolare relativo al
personaggio.
Vediamo un esempio completo: il vincitore della seconda guerra punica, che sconfisse Cartagine in
Africa si chiamava:
Publio
Prenomen personale
-
Cornelio
Nomen gentilizio
Scipione
Cognomen familiare
l’Africano
secondo cognome,
soprannome
In secondo luogo, solo ai patrizi spettava il diritto agli auspici, cioè la possibilità di
consultare gli dei e di interpretare la loro volontà. E siccome nessuna azione militare
o decisione in ambito civile poteva essere intrapresa senza conoscere la volontà
divina, pena la rottura del patto fra cittadini e dei, con conseguenti sconfitte,
pestilenze e carestie, solo i patrizi potevano convocare un’assemblea, costruire un
tempio o dichiarare guerra. Quindi erano i soli che potevano diventare magistrati,
senatori e sacerdoti e si tramandavano oralmente le conoscenze magico-religiose, le
tecniche di guerra, le norme della giustizia, tenendone all’oscuro chi non fosse
patrizio, le donne e ovviamente gli schiavi.
I patrizi, che rimasero per secoli un ordine chiuso (erano vietati i matrimoni con i plebei) portavano
come segni di appartenenza alla loro casta un anello d’oro, una striscia di porpora sulla tunica, un
mantello corto e calzari di cuoio.
 I plebei
Il termine plebs, che deriva dal verbo latino pleo, “riempio”, e dal sostantivo greco plethos,
“moltitudine”, indicava la massa del popolo esclusa dal potere perché non aveva diritti politici. Era
costituita originariamente da contadini liberi, che possedevano pochi iugeri di terra e vivevano di
agricoltura di sussistenza, allevamento e pastorizia, praticate su terre comuni. Erano spesso costretti
a chiedere prestiti ai patrizi e, quando non potevano restituire quanto dovuto, erano costretti a
fornire lavoro gratuito al creditore o a cedergli la terra o a diventare suoi schiavi, proprio come
accadeva ad Atene prima della riforma di Solone.
Con l’affermazione della vita urbana e con il proliferare di nuovi mestieri, alcuni plebei divennero
artigiani e mercanti e aumentarono il proprio benessere, soprattutto durante la monarchia etrusca.
 I clienti
Tra i patrizi e i plebei si instauravano spesso rapporti di clientela: un patrizio accoglieva sotto la sua
protezione un individuo, che poteva essere un plebeo o anche uno straniero, il quale, per non restare
del tutto indifeso di fronte allo stato e alle sue leggi (di cui non veniva messo a conoscenza),
diventava cliente del suo “protettore”, il patrono. Il loro rapporto era basato su un principio morale
e sociale insieme, la buona fede, la fides, un vincolo sacro, la cui trasgressione comportava delle
sanzioni. Il rapporto patrono-cliente offriva reciproci vantaggi:
- il patrono offriva al cliente aiuti economici, a volte un appezzamento di terreno, il proprio
appoggio nelle cause giudiziarie, la spartizione del bottino;
- il cliente lo appoggiava nella lotta politica e gli assicurava il proprio voto, combatteva per lui, gli
forniva lavoro gratuito nelle sue terre, pagava il suo riscatto qualora fosse stato fatto prigioniero,
contribuiva alla dote delle figlie.
Ogni gens aveva a disposizione intere schiere di clienti che col tempo raggiunsero proporzioni
enormi e costituirono una specie di esercito privato, oltre che un elettorato fidato e sempre più
potente.
box
L’asylum
Era un’istituzione tipicamente romana che nasceva dalla necessità di Roma di popolare la nuova
città che all’origine contava su un numero ridotto di abitanti. Erano pertanto accolti stranieri anche
delinquenti, che però dovevano ottenere la protezione di un patrono per risiedere a Roma.
 Gli schiavi
Come nelle altre civiltà antiche, anche a Roma esistevano gli schiavi, ma essi non ebbero un ruolo
fondamentale nella società romana fino al III secolo a.C. Erano prigionieri di guerra o poveri che
non erano riusciti a pagare i loro debiti. Facevano parte della famiglia e, nella fase arcaica, erano
pochi e trattati con una certa umanità, anche se erano giuridicamente semplici oggetti di proprietà
del padrone, il quale poteva ucciderli, venderli o, al contrario affrancarli, concedere loro la libertà, a
volte dietro pagamento di un riscatto.
Box lessicale
L’emancipazione
Lo schiavo veniva definito anche mancipium, che significa “proprietà”, ed “emancipare” , che i
romani usavano per indicare l’atto con cui un figlio veniva sciolto dalla patria potestà, significa
ancora oggi “sottrarsi ad una schiavitù, al potere di un altro”.
 I liberti
Il procedimento dell’affrancatura dello schiavo era detto manumissio, un termine composto da
manus, che, oltre a “mano”, significa anche “proprietà” ed è sinonimo di mancipium, e il verbo
mitto, “mandare”. E-manu-mittere significa “mandar fuori da una proprietà”. Uno schiavo liberato
veniva definito liberto, restava in eterno legato al padrone da un rapporto di gratitudine, anch’esso
basato sulla fides, e continuava a far parte della famiglia, ma poteva lavorare e commerciare per
proprio conto. I liberti, uomini liberi col diritto di cittadinanza, ma privi dei diritti politici di cui
avrebbero goduto i suoi discendenti dopo tre generazioni, furono una categoria esclusiva della
società romana che divenne col tempo particolarmente influente. La prospettiva di ottenere la libertà
tratteneva gli schiavi dalle ribellioni e li induceva a lavorare con maggior impegno.
1.3 In nome del padre
Alla base della società romana era la famiglia. Il concetto di familia, molto diverso dal nostro, non
si esauriva nei comuni legami di sangue, ma indicava un’organizzazione religiosa e politica unita
nel culto degli antenati. Comprendeva, oltre ai genitori e ai figli, le famiglie dei figli sposati, quindi
anche le loro mogli, i nipoti e i pronipoti; i clienti; gli schiavi, i beni immobili, il bestiame e tutto
ciò che costituiva il patrimonio familiare.
A capo della famiglia era il pater familias, il “padre di famiglia”, l’uomo più anziano della
famiglia, che potrebbe corrispondere al nostro “capofamiglia”, se non fosse che il suo potere
nell’ambito familiare era illimitato:
- era il sacerdote del culto domestico degli antenati, i penati;
- era il padrone assoluto del patrimonio familiare e il solo che avesse diritto di
vendere o comprare: finché era in vita i figli erano considerati come minorenni;
- riconosceva come legittimo un figlio, sollevandolo tra le braccia quando alla nascita
glielo ponevano ai piedi: se non lo faceva, lo condannava ad essere esposto o
venduto come schiavo;
- aveva potere di vita e di morte su tutti i componenti della famiglia, legati a lui da
vincoli di sangue – figli, nipoti, pronipoti – oppure acquisiti per legge: moglie, figli
adottivi, schiavi;
-
esercitava il potere sui figli, naturali o addottati, definito patria potestas, anche
qualora essi fossero adulti, sposati e ricoprissero incarichi politici di rilievo. Un
figlio si emancipava (v. box) dalla patria potestas solo alla morte del padre;
- era oggetto della pietas dei figli, cioè di un sentimento, intraducibile in italiano,
misto di senso del dovere, rispetto e venerazione, lo stesso sentimento riservato agli
dei.
La società romana era, quindi, una società decisamente patriarcale, in cui il potere spettava agli
uomini sia nell’ambito privato che in quello pubblico. Non è un caso che dalla parola pater derivino
i principali termini della società romana: patrizi, patrimonio, patrono e patres, con cui si indicavano
i senatori (v. istituzioni).
Categorie sociali
Ordine dei patrizi
Definizione
Costituita da
Ramni: indigeni del
Palatino (latini di
Romolo), Tities:
sabini di Tito Tazio
sul Quirinale, Luceres:
etruschi immigrati a
Roma (ma, secondo
altri, gli abitanti della
selva, lucus).
gentes gruppi di più cittadini liberi patrizi
(di
familiae con
discendenti da unico
patrizi) nome comune antenato discendente
dai mitici fondatori di
Roma
patrizi liberi e schiavi
familiae gruppi
gentiles familiari
sottomessi a unico
(di
minori
pater familias
patrizi)
Pater
Il capo
L’uomo più anziano
familias famiglia
della famiglia
3 tribù
Ramni,
Tities,
Luceres
Con a
capo
gruppi di
gentes
aristocratiche
suddivise su
base etnica
Ordine dei plebei
familiae gruppi
plebeiae familiari di
plebei
clientes clienti
Partecipano al senato e ai comizi curiati
per fornire truppe all’esercito
patres
gentis
Garantivano ordine interno e difesa esterna
Privilegi: cittadinanza, accesso a:
magistrature, senato, comizi, sacerdozi,
culti, giustizia
pater
Garantivano ordine interno e difesa esterna
familias Sottomessi al paterfamilias per natura
(figli, nipoti), per diritto (mogli anche dei
discendenti, figli adottivi, schiavi).:
potestas sulla familia, sacerdote delle
immagini degli antenati (maiores)
1- indigeni sottomessi pater
dai latini trattati perciò familias
come stranieri;
2- piccoli proprietari
terrieri
plebei e stranieri
accolti con l’asylum
(“ospizio”) e protetti
da un patrizio sulla
base della fides
Funzioni
patrono
Contadini liberi, che possedevano pochi
iugeri di terra e vivevano di agricoltura di
sussistenza, allevamento e pastorizia,
praticate su terre comuni.
Subalterni, lavorano le terre dei patrizi,
sono esclusi dalla vita pubblica.
Poi anche artigiani e commercianti.
Diritti: ricevere dal patrono: aiuti
economici, appezzamento di terreno,
appoggio nelle cause giudiziarie, parte del
bottino;
Doveri: garantire al patrono: aiuto nella
lotta politica e voto, servizio militare,
lavoro gratuito, pagamento del riscatto e
delle condanne pecuniarie, dote per le
figlie. Se manca alla fides condannato alla
sacertà (espulsione, perdite beni)
liberti
schiavi
affrancati
legati al padrone dalla pater
Parte della famiglia, uomini liberi col
fides
familias diritto di cittadinanza, ma privi dei diritti
politici che però garantivano ai discendenti
dopo tre generazioni.
La categoria dei non liberi
schiavi
prigionieri di guerra o
debitori insolventi
pater
Parte della famiglia, privi dei diritti,
familias oggetti di proprietà del padrone.
2. LE ISTITUZIONI NELL’ETÀ MONARCHICA
2.1 Il re
Il rex era inizialmente solo una specie di capo tribù, poi divenne un magistrato, come il basileus
greco, eletto a vita, quale esecutore della volontà popolare, dai patres gentium, i capi delle gentes
più importanti, riuniti nel senato. Una volta eletto, il re non doveva render conto del suo operato al
popolo.
Quando la monarchia passò nelle mani di sovrani di origine etrusca divenne ereditaria, sul modello
di quella etrusca, e i re si appoggiarono alle classi emergenti di artigiani e mercanti sempre più
ricchi, e in generale sulla plebe, di cui migliorarono le condizioni fornendo lavoro per realizzare
imponenti opere pubbliche.
Il re aveva due poteri fondamentali: l’imperium e il ruolo di rappresentante della città di fronte
agli dei.
 L’imperium consentiva al re di guidare le truppe in guerra, di avere il potere esecutivo e il
potere di vita e di morte sui cittadini.
 Come rappresentante della città, doveva mantenere la pax deorum, la “pace degli dei”, cioè
il patto che la città stipulava con gli dei e che prevedeva regole precise. Perciò il re doveva
sorvegliare che i riti e i sacrifici agli dei venissero regolarmente compiuti, perché la
prosperità della città e le sue vittorie in guerra dipendevano dalla solidarietà tra dei della
città e cittadini. In caso contrario gli dei non avrebbero rispettato i patti e per Roma sarebbe
stata la fine.
Il re inoltre amministrava il patrimonio della comunità e alcuni aspetti della giustizia, emanava
anche alcune ordinanze con valore di leggi.
Quando Servio Tullio adottò la falange oplitica, formata da cittadini soldati, il legame tra il re e la
comunità si rafforzò ulteriormente e la monarchia adottò i simboli regali, come lo scettro
sormontato dall’aquila, la corona d’oro, il mantello di porpora, il trono, che era la famosa sella
curule di derivazione etrusca, e il fascio littorio, cioè un fascio di verghe che poteva racchiudere al
suo interno una scure, per rappresentare il potere del re di mettere a morte. Il fascio littorio in età
repubblicana passò ai consoli.
2.2 Il senato
Secondo la tradizione il primo senato era composto dai 100 maggiori esponenti delle gentes, i
patres gentium o semplicemente patres, usato come sinonimo di senatori, termine che deriva
invece da senex, “vecchio”, perché ovviamente i patres più influenti erano anziani. Le gentes
originariamente erano le diverse popolazioni che si aggregarono per fondare la città e quindi il
senato, eletto dai comizi curiati, le rappresentava. In seguito il numero dei senatori passò a 200 e
successivamente, dopo la riforma di Servio Tullio (v sotto), a 300, eletti a vita dai comizi curiati,10
per ogni curia, uno per ognuna delle dieci gentes che facevano parte di ogni curia.
I senatori erano eletti dal re e dalle curie. Il senato veniva convocato nella curia, la sua sede (vbox), dal re ed era presieduto dal princeps senatus, il “primo del senato”. Le sedute erano aperte al
pubblico e i senatori portavano ad assistervi i propri figli che avessero compiuto i dodici anni.
Il senato aveva in età regia diverse prerogative:
- la funzione consultiva: forniva al re il proprio parere su questioni di politica interna ed estera;
- l’interregnum: alla morte del re, nel periodo definito interregnum, i senatori “primi” di ogni
decuria governavano per cinque giorni ciascuno come interreges, finché il senato eleggeva un
nuovo re, che riceveva poi il potere dai comizi curiati durante la cerimonia solenne
dell’inaugurazione (v. sopra);
- l’auctoritas, l’“autorità”, una forma particolare di potere che veniva riconosciuto al senato non da
una legge ma dalla tradizione: il senato era infatti costituito dai patres delle gentes più influenti, che
ricoprivano incarichi pubblici da sempre e avevano quindi esperienza e autorevolezza, erano
depositari della memoria storica, delle norme giuridiche e religiose, della cultura politica. Pertanto
non si presentavano mai proposte di legge ai comizi e nessuna decisione dei comizi diventava legge
senza l’approvazione preventiva del senato. Era il senato a decidere sull’amministrazione dello
stato, a sorvegliare l’operato dei magistrati, a dirigere gli affari esteri: nominare i generali, inviare e
ricevere ambascerie, intervenire sulla dichiarazione di guerra e stipulare la pace.
Box lessicale e dida?
Curia
Il termine curia in latino assume svariati significati:
 indica, come abbiamo visto, la ripartizione delle tribù, con valore sia etnico (le tre
popolazioni che convivevano a Roma), sia territoriale (il luogo di stanziamento dei tre
popoli), sia sociale (riunivano solo i patrizi);
 siccome dalle curie si sceglievano i senatori, col termine si indicò sia il senato sia il luogo
in cui si riuniva, come la curia Hostilia (che prende il nome da Tullio Ostilio) o la curia
Julia completata da Augusto.
2.3 L’esercito
L’esercito arcaico era formato da una legione di 300 cavalieri e 3000 fanti, cittadini aristocratici
scelti, in caso di guerra, dalle trenta curie. Si trattava quindi non di professionisti, ma dei cittadini
che potevano permettersi un’armatura – una corta spada (gladius), una lancia (hasta), uno scudo
rotondo, clipeus, – e l’esercizio militare necessario. I guerrieri erano quindi esclusivamente nobili.
A comandare l’esercito era il re. La legione era divisa in falangi, sei linee di 500 fanti ciascuna, che
si schieravano su un fronte compatto, mentre la cavalleria aveva un ruolo secondario.
2.4 La riforma di Servio Tullio
Al penultimo re etrusco, Servio Tullio (VI secolo a.C.), venne attribuita una riforma che in realtà
sarebbe stata realizzata solo nel V secolo a.C. È probabile invece che il re etrusco, basandosi sulla
superiore esperienza del suo popolo, si fosse limitato a riforme parziali, ispirate forse alla quasi
contemporanea riforma di Solone ad Atene (594-3 a.C.).
- Ampliò il corpo civico, concedendo la cittadinanza ai recenti immigrati, soprattutto
mercanti e artigiani etruschi.
- Riorganizzò la struttura amministrativa della città: sostituì alle tre tribù su base
gentilizia delle tribù territoriali, con funzioni amministrative: 4 tribù urbane e
alcune tribù rustiche (che diventeranno in seguito 17), in cui suddivise la
popolazione delle campagne. Le assemblee della popolazione divisa in tribù si
chiamarono comizi tributi (v. par. 2.5).
- Adottò la falange oplitica, che dalle poleis greche si era diffusa alla Magna Grecia e
da lì in Etruria. Un numero crescente di cittadini poteva permettersi ormai di
acquistare l’equipaggiamento militare e chiedeva di trarre vantaggio dalla
partecipazione all’esercito. La falange oplitica, in cui tutti combattevano fianco a
fianco, rispondeva alle nuove esigenze e aboliva i privilegi del guerriero aristocratico
che combatteva in duello.
-
Per distribuire a un numero più ampio di cittadini i vantaggi offerti dalla guerra,
ampliò l’esercito a 6000 fanti e 600 cavalieri, che costituivano una legione
(letteralmente significa “scelta”), comandata da un pretore e suddivisa in centurie
che si esercitavano nel Campo Marzio (dedicato al dio della guerra Marte);
- Stabilì il reclutamento dell’esercito su base censitaria, dividendo la popolazione
sulla base della ricchezza in tre gruppi:
1. gli equites, i cavalieri, che potevano permettersi di mantenere un cavallo, oltre
all’armatura e alle armi;
2. i pedites, i fanti, che potevano acquistare un’armatura, una lancia e una spada;
3. i proletarii, coloro che possedevano come unico bene la prole, quindi i nullatenenti,
che partecipavano alla guerra come fabbri, carpentieri ecc.
2.5 I comizi tributi
I comizi tributi sono l’assemblea del popolo romano suddiviso per tribù territoriali. Siccome le
tribù si fondavano sul domicilio dei cittadini (come le tribù di Clistene ad Atene), comprendevano
patrizi e plebei, ricchi e poveri senza distinzione e, siccome ogni tribù aveva diritto ad un voto, i
comizi tributi erano l’assemblea più democratica di Roma. L’iscrizione ad una tribù conferiva la
cittadinanza romana di pieno diritto. In età repubblicana i comizi tributi eleggeranno i magistrati
minori.
Istituzioni e assemblee di età monarchica
Istituzione Definizione Costituito da Con a
capo
magistrato
1
solo
nobile
rex
unico
romano,
sabino o
etrusco
curie
comizi
curiati
senatus
30 “riunioni
di uomini”
nobili
assemblea
delle 30
curiae:10
per tribù
10 gruppi di
10 gentes per
ogni tribù
membri
maschi di 10
gentes per
curia
assemblea
ristretta di
patres
conscripti
100/200/300
patres
gentium e poi
patres
Scelta
Funzioni
delegato
dai patres
gentium a
vita, sotto
i re
etruschi
ereditaria
Potere sovrano, non risponde al
popolo.
Imperium: comando militare, potere
esecutivo, potere di vita e di morte sui
cittadini.
Funzioni religiose: rappresenta la città
di fronte agli dei, mantiene la pax
deorum, sorveglia i riti
Funzioni amministrative: amministra il
patrimonio della comunità e alcuni
aspetti della giustizia
Funzione legislativa: emana ordinanze
con valore di leggi.
Base politica e militare dello stato.
princeps Eletto dal
senatus e dai
comizi
curiati,
Sanciscono l’autorità del re (che deve
obbedire per lex curiata de imperio),
approvano le sue decisioni e quelle del
senato.
Funzioni militari: ogni curia fornisce
10 cavalieri, 100 fanti (centuria);
dichiarano guerra
Funzioni elettive: eleggono 10 senatori
per curia (1 per gens)
funzioni giudiziarie: diritto familiare
funzioni religiose
Funzione consultiva in politica interna
ed estera,
interregnum (5 gg. ciascuno)
auctoritas: come depositario della
familias
Istituzioni aggiunte con la riforma di Servio Tullio
4 tribù
popolazione
tribù
delle
territoria urbane e
alcune tribù campagne
li
rustiche
(che
diventerann
o in seguito
17)
assemblea
patrizi e
comizi
della
plebei
tributi
popolazione
divisa in
tribù
territoriali
poi dai
censori
memoria storica approva leggi
proposte dal re e decisioni dei comizi,
amministra lo stato, controlla l’operato
dei magistrati, dirige gli affari esteri:
nomina i generali, invia e riceve
ambascerie, interviene sulla
dichiarazione di guerra e stipula la
pace.
Funzioni amministrative: iscrizione
ad una tribù necessaria per avere la
cittadinanza romana di pieno diritto.
Ogni tribù aveva diritto ad un voto.
In età repubblicana i comizi tributi
eleggeranno i magistrati minori.
3. LE ISTITUZIONI RELIGIOSE NELL’ETÀ MONARCHICA
Durante l’età monarchica, per influsso delle città laziali sottomesse e poi degli etruschi, anche la
religione andò modificandosi, dopo le primitive forme animistiche legate al mondo naturale.
Si delinearono le prime divinità antropomorfiche, tra cui Iuppiter (Giove), Marte, originariamente
divinità agricola e poi della guerra, Giunone, Nettuno, Minerva, Giano.
La religione romana aveva un ruolo essenzialmente politico, tanto che fu attribuita a un re, Numa
Pompilio, il secondo re della tradizione, la creazione della maggior parte delle istituzioni religiose,
che non erano separate da quelle politiche. Per tutta l’età regia infatti il sovrano fu anche il sommo
sacerdote, il solo che avesse il diritto di regolare i rapporti tra gli uomini non sulla base di una legge
scritta, ma secondo la volontà degli dei, i quali a lui solo la comunicavano durante le cerimonie
religiose. Col tempo il re fu affiancato da sacerdoti, che erano semplici magistrati ed erano
raggruppati in collegi. I più importanti dell’età monarchica furono:
 il collegio dei pontefici, che soli detenevano le conoscenze tecniche, custodivano le
consuetudini religiose e le norme tramandate oralmente o in libri segretissimi (i libri
sibillini) cui solo essi potevano accedere. Erano loro a stabilire i giorni fasti e i giorni
nefasti, in cui non si poteva svolgere l’attività politica ed esercitare la giustizia, e, siccome i
pontefici erano esclusivamente patrizi, di fatto la giustizia era in mano ai nobili. A capo del
collegio era il pontifex maximus, che in età regia era lo stesso re.
 Il collegio degli àuguri era costituito da nove sacerdoti incaricati di consultare gli dei prima
di importanti decisioni del governo. Il pontefice massimo che lo guidava, vestito dei sacri
paramenti e preceduto dai quindici flamines, prendeva gli auspici osservando il volo degli
uccelli (come aveva fatto, secondo la leggenda, Romolo prima di fondare Roma). Gli
aruspici studiavano invece le viscere degli animali offerti in sacrificio agli dei e
interpretavano i prodigi (ad esempio le eclissi) che consideravano segni della mancanza del
favore divino. Erano tutti riti tramandati dagli etruschi. Nelle crisi più gravi si inviava una
delegazione a Cuma a interrogare la Sibilla, sacerdotessa di Apollo, che aveva le stesse
funzioni della Pizia di Delfi e come lei rispondeva in modo enigmatico e allusivo (da cui il
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
termine italiano sibillino che indica qualcosa di difficile interpretazione). Gli oracoli della
Sibilla erano raccolti nei libri sibillini custoditi da una commissione di quindecemviri (15
sacerdoti) che li consultavano per delibera del senato in occasione di emergenze. Nelle
situazioni disperate si inviava una delegazione addirittura a Delfi.
I feziali conoscevano le formule per dichiarare l’inizio e la fine di una guerra e per
sottoscrivere trattati internazionali.
Il collegio dei salii (dal verbo salio, “salto, danzo”), i sacerdoti del dio della guerra Marte,
aveva il compito di celebrare l’inizio delle attività guerresche, all’arrivo della primavera,
con danze sacre, in cui si agitavano la lancia e lo scudo di bronzo.
La parola religione deriva dal verbo religare, “legare, impedire”, e indica il fatto che tendesse,
attraverso riti eseguiti con una procedura molto meticolosa, a legare gli dei ad un patto e a eluderne,
impedirne l’ira. Bastava un piccolo errore perché la procedura dovesse essere rifatta anche trenta
volte.
Sacrificare significava render sacro quello che si offriva alla divinità. Si offrivano sacrifici in base
alle proprie disponibilità economiche: il pater familias che svolgeva le funzioni di sacerdote della
casa offriva un pane e del formaggio, ma di fronte a una carestia o ad un’alluvione per ottenere il
favore degli dei poteva anche sacrificare un maiale o una pecora. La città in occasione di una guerra
sacrificava greggi intere di cui si riservavano agli dei le interiora e soprattutto il fegato, il resto lo
mangiava la popolazione raccolta in cerchio nel Foro. In origine, e in casi eccezionali, si
sacrificavano esseri umani, in genere schiavi o prigionieri di guerra.
Il pantheon degli dei venerati dai romani era enorme e sempre in espansione. Qualunque stato o
città conquistassero, i soldati romani saccheggiavano gli dei locali e li portavano a Roma, convinti
che, rimasti senza dei, gli sconfitti non potessero tentare una rivincita. Ma i romani accoglievano
anche gli dei che gli stranieri immigrati portavano con sé per sentirsi meno lontani dalla propria
terra. I sacerdoti li accoglievano volentieri perché avrebbero collaborato a tenere sotto controllo i
loro fedeli e a volte li includevano ufficialmente nel pantheon dei loro dei: nel 496 a.C. furono
accolti Demetra e Dioniso, come collaboratori di Cerere e Libero (con cui finirono con
l’identificarsi). Una gerarchia tra gli dei sarebbe stata stabilita solo dopo la conquista della Magna
Grecia, prima i romani convissero con una moltitudine di dei che secondo Varrone ammontavano a
trentamila e che non erano relegati nel cielo ma si pensava fossero dovunque, col rischio che li si
potesse offendere ogni momento.
box
Il primo calendario
Il calendario nacque dall’esigenza di stendere una lista delle feste religiose che erano un centinaio
e originariamente erano i sacerdoti che mese per mese comunicavano quando si dovevano celebrare
e come. Numa Pompilio mise ordine nella confusione che questo criterio aveva provocato, stilando
un calendario fisso delle festività che rimase in vigore fino al I secolo a.C.
Il calendario di Numa divideva l’anno in dodici mesi lunari (di 29 giorni) e lasciava liberi i
sacerdoti di allungare il mese che preferissero, in modo che alla fine dell’anno si arrivasse a 365
giorni. Ma i sacerdoti abusarono della loro prerogativa per favorire o danneggiare questo o quel
magistrato e alla fine il calendario divenne fonte di controversie e fu aggiornato da Cesare.
Le ore si calcolavano in base alla posizione del sole in modo approssimativo, perché il primo
orologio solare di manifattura greca fu importato da Catania solo nel 263 d.C., ma siccome la città
si trova a 3 gradi a est di Roma, nell’Urbe l’ora non corrispondeva e per un secolo ci fu una gran
confusione sull’orario.
I giorni del mese venivano calcolati in rapporto alle kalende, il primo del mese, le none il cinque o
il sette dei mesi di marzo, maggio, luglio e ottobre, che nell’uso scolastico si memorizzano con
l’acronimo marmaluot, e le idi il 13 o il 15 dei mesi “marmaluot”. L’annus, che vuol dire “anello”,
cominciava a marzo.
Per quanto riguarda l’indicazione dell’anno, i metodi più usati erano due: si indicava il nome dei
due consoli in carica per quell’anno (come accadeva ad Atene con il nome dell’arconte eponimo)
oppure si indicava l’anno con un numero ordinale (primo, secondo,… sessantesimo…) dalla
fondazione di Roma (ab Urbe condita).
Istituzioni religiose
Istituzione Definizione Costituito
da
collegio
“costruttori sacerdoti
dei
di ponti”
patrizi
pontefici
pontefice
massimo
capo del
In età regia
collegio dei il re
pontefici e
degli auguri
salii
“saltanti”
auguri
flamines
Scelta da
Funzioni
comizi
tributi:
Conoscenze tecniche, custodisce le
consuetudini religiose e le norme orali.
Stabilisce giorni fasti e nefasti. Custodisce
regole religiose, civili, militari, esercita la
giustizia.
età
repubblic.
eletto dal
collegio, poi
dall’
imperatore.
sacerdoti
del dio
Marte
chi accresce 9 sacerdoti
con presagi con a capo il
favorevoli
pontefice
massimo
15 sacerdoti
arupsici
osserva
interiora
indovini di
origine
etrusca
sacerdoti
feziali
(etimo
incerto)
vestali
sacerdotesse 10 vergini
Cattura con
di Vesta
patrizie tra i formula
6 e i 10 anni
quindece
mviri
15 custodi
sacerdoti
Danza di guerra con parole ritmate
magiche per celebrare l’inizio delle attività
guerresche
Interpretano volontà divina con auspici
(osservazione del volo di uccelli, poi anche
fulmini, ecc.) prima di una guerra o comizi
Prendono gli auspici osservando il volo
degli uccelli
Esaminano viscere degli animali (fegato),
prodigi e interpretano i prodigi
Diritto internazionale: conoscono le
formule per dichiarare l’inizio e la fine di
una guerra e per sottoscrivere trattati
internazionali, dichiarano guerra e pace.
Custodiscono il fuoco di Vesta, focolare
della città, stercorario il 15 giugno, mola
salsa. Verginità per 30 anni, se il fuoco si
spegne è segno di incesto (atti impuri) e la
vestale viene condannata a morte (murata
viva)
Custodiscono i libri sibillini=oracoli della
Sibilla cumana (di Apollo), comprati da
Tarquinio Prisco, consultati per delibera
del senato
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