ASPETTI DIAGNOSTICI E TERAPEUTICI DELL`ASCESSO

Aspetti diagnostici e terapeutici
dell’ascesso cerebrale
Pietro Serra
(Ann Ital Med Int 2003; 18: 123-125)
L’ascesso cerebrale è un’infezione focale, intracerebrale, che inizia in un’area localizzata di cerebrite e si sviluppa nella formazione di pus circondato da una capsula
ben vascolarizzata1.
La presentazione clinica di un ascesso cerebrale dipende da una serie di fattori, quali il focolaio di origine
dell’infezione e la via seguita dal microrganismo causale (elementi importanti anche per ipotizzare i più comuni agenti causali coinvolti e per impostare la terapia empirica), la grandezza e la localizzazione dell’ascesso, la virulenza dell’agente causale e la situazione clinica di base.
La sorgente più comune è un’infezione che ha origine
nel cranio, dai seni paranasali, dall’orecchio medio e dai
denti attraverso la via venosa o attraverso batteriemie
transitorie. Ci possono essere poi i traumi penetranti, o gli
interventi neurochirurgici che determinano l’infezione
per contiguità, così come la diffusione metastatica per
via ematica, da focolai di origine lontani, quali endocardite, polmonite, infezione delle vie urinarie, ecc.
Se un soggetto in seguito ad un’otite, o ad una sinusite, sviluppa febbre, cefalea profonda, gravativa, lentamente ingravescente, accompagnata da disturbi del sensorio, senza rigidità nucale – il che farebbe pensare a una
meningite – può essere facile sospettare la diagnosi di
ascesso cerebrale. In genere, però la presentazione clinica di un ascesso cerebrale è molto più subdola. Nel 20-30%
dei casi non si riesce a trovare una sorgente di infezione;
in un terzo dei casi mancano le manifestazioni focali; né
la cefalea, per quanto mal definita, ingravescente ed opprimente, né la febbre, presente solo nel 50% dei casi, né
gli esami di laboratorio – che nel 40% dei casi non mostrano neanche una leucocitosi neutrofila – sono specifici di tale condizione2. Anche se l’insieme dei sintomi, per
quanto subdoli, ne suggerisce il sospetto, la diagnosi è resa possibile dai progressi compiuti in questi ultimi 20 an-
ni con le tecniche di neuroimaging, quali la tomografia
computerizzata e la risonanza magnetica. All’efficacia di
queste tecniche si deve una diagnosi, oggi, non solo più
precisa, ma anche più precoce, e a questa tempestività diagnostica, insieme alla maggiore disponibilità di antibiotici e a più efficaci tecniche neurochirurgiche, si deve il
sostanziale miglioramento nella prognosi di questa condizione, gravata nei decenni passati da un’alta mortalità.
Grazie all’uso di queste tecniche nel caso descritto da
Poggesi et al.3 in questo numero degli Annali, fu fatta la
diagnosi di “ascesso cerebrale”. Il paziente descritto aveva un’infezione da HIV, e ciò porta a considerare il ruolo che questa particolare situazione di base aveva nella presentazione clinica, e nella diagnosi etiologica e, quindi, nel
trattamento da intraprendere.
I modelli sperimentali sull’ascesso cerebrale hanno dimostrato come il tessuto cerebrale sia particolarmente resistente alla disseminazione per via ematica. Diventa più
suscettibile se vi è una sofferenza locale e ciò è testimoniato dall’occorrenza di ascessi in tessuto precedentemente sede di ictus, di ematomi cerebrali e di neoplasie
sottostanti. I dati epidemiologici hanno poi mostrato come in alcune condizioni di immunodepressione, quali
quelle che si osservano nei pazienti diabetici, ma ancora
di più nei pazienti oncologici o sottoposti a trapianto
d’organo, sia divenuta più frequente l’occorrenza di ascessi cerebrali da batteri (Staphylococcus, Pseudomonas,
Actynomyces, Nocardia, e Mycobacterium tuberculosis),
e funghi (Aspergillus, Mucor, Rhizopus, Pseudallescheria
boydii). In questi casi la condizione di immunodepressione
si realizza per una profonda alterazione nei meccanismi
della fagocitosi, per una ridotta funzionalità dei neutrofili, o per un’intensa neutropenia e/o per una riduzione significativa dell’immunità cellulare.
L’infezione da HIV, soprattutto negli stadi iniziali della malattia, non sembra essere una condizione direttamente favorente l’induzione di un ascesso cerebrale, anche se ascessi cerebrali sono stati descritti in pazienti con
HIV. Il fatto che il paziente fosse HIV-positivo, però, ha
lasciato immaginare che il paziente, più che un ascesso piogenico, avesse una toxoplasmosi cerebrale. L’encefalite
Cattedra di Medicina Interna III (Titolare: Prof. Pietro Serra),
Dipartimento di Medicina Clinica, Università degli Studi “La
Sapienza”, Azienda Policlinico Umberto I di Roma
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ficace, tanto che, anche in coincidenza dei progressi raggiunti della neurochirurgia, si ritiene che in molte occasioni, oggi, la terapia dell’ascesso cerebrale debba consistere soltanto nell’impiego di antibiotici, senza alcun trattamento chirurgico. Quando è noto il focolaio di origine
dell’infezione può essere tentato un trattamento empirico.
Negli ascessi ad origine dai seni paranasali i microrganismi più probabili sono soprattutto aerobi e anaerobi, cioè
Haemophilus e Bacteroides (non fragilis) e Fusobacterium
spp. per cui gli antibiotici di prima scelta sono penicillina o cefotaxime + metronidazolo.
Quando l’origine dell’infezione è da malattie dell’orecchio, gli agenti etiologici possono essere Streptococcus,
Bacteroides (anche fragilis) ed Enterobacteriaceae, per cui
gli antibiotici di scelta sono penicillina, metronidazolo e
ceftazidime. Piperacillina-tazobactam, meropenem e meticillina + cefotaxime possono essere considerati quando
si tratti di una ferita penetrante, essendo Staphylococcus
ed Enterobacteriaceae i microrganismi più frequentemente coinvolti. Nei casi, invece, che si sviluppano in seguito ad intervento neurochirurgico la terapia empirica deve considerare i bacilli gram-negativi, S. aureus e S. epidermidis meticillina-resistente; pertanto la combinazione
di scelta deve prevedere oltre al ceftazidime anche il linezolid che ha oggi soppiantato i glicopeptidi, vancomicina e teicoplanina, per la sua alta diffusibilità cerebrale7.
Più problematico è ipotizzare l’etiologia quando il focolaio di origine è sconosciuto, o ha origine attraverso la
via ematica da un’endocardite, da una polmonite o da
un’infezione urinaria. Essendo così vasto lo spettro dei possibili agenti causali è bene identificare l’agente causale mediante prelievo del materiale ed esame colturale.
Se il paziente è neurologicamente stabile e se la tomografia computerizzata mostra ascessi piccoli (< 2 cm), il
trattamento empirico, iniziato sulla base dei criteri suddetti,
può essere monitorato nel corso di 4-6 settimane. Si può
assistere ad un graduale miglioramento fino alla guarigione.
Invece, il deterioramento delle condizioni neurologiche,
così come altri esami tomografici, che mostrino una stabilità o addirittura un peggioramento dell’ascesso, rendono
obbligatorio e urgente un intervento chirurgico sia per un
prelievo del materiale da esaminare microbiologicamente e sia per il trattamento dell’ascesso stesso.
Si ricorre anche al trattamento chirurgico quando si
tratti di un ascesso > 2 cm, oppure quando sia impossibile ipotizzarne l’etiologia, perché il focolaio di origine è sconosciuto.
L’intervento chirurgico può consistere soltanto in un drenaggio dell’ascesso sotto guida tomografica, con o senza
procedura stereotattica, in rapporto alla profondità dell’ascesso. L’intervento chirurgico classico con cranioto-
da Toxoplasma, la più comune causa di lesioni-massa intracraniche nei pazienti con AIDS, si vide con elevata frequenza, specie in Europa, nei primi anni ’80, tanto che si
decise di istituire una profilassi primaria della toxoplasmosi
e ciò coincise con un rapido declino della toxoplasmosi4.
In seguito all’introduzione della terapia con farmaci antiretrovirali particolarmente attivi si è assistito ad un ulteriore declino delle infezioni opportunistiche, così come
dei linfomi primitivi del sistema nervoso centrale, ma
ancora dubbi esistono sulla definitiva efficacia di questi
ultimi trattamenti sulla toxoplasmosi cerebrale.
Le immagini radiologiche della toxoplasmosi cerebrale mostrano un effetto massa e un edema circostante, che
sono espressione di una cerebrite, ma vi può essere anche
un rinforzo contrastografico ad anello, un ring enhancement, segno di formazione di una capsula. Alla risonanza magnetica la lesione presenta un’attenuazione alle immagini T1-pesate e, invece, un’accentuazione alle immagini T2-pesate. Le immagini multiloculate depongono
per Toxoplasma (nei pazienti con AIDS) o per Nocardia
(specie nei pazienti con linfomi o trapiantati di midollo),
ma in presenza di un ascesso unico la diagnosi differenziale è più difficile5.
Ciò che finisce con il rendere poco probabile la toxoplasmosi, nel caso descritto, è il numero dei CD4, che mostrano valori scarsamente indicativi di una profonda compromissione delle difese, la condizione necessaria per il
verificarsi della toxoplasmosi cerebrale.
Per le stesse considerazioni sono da escludere altre
etiologie, quali possono anche trovarsi in diversi casi di
pazienti con AIDS con ascessi cerebrali da M. tuberculosis,
da Lysteria, da Nocardia, così come da particolari protozoi, quali Blastomyces, ecc.6.
Il trattamento dell’ascesso cerebrale consiste in un adeguato uso degli antibiotici e in diverse opzioni neurochirurgiche.
Vi sono stati notevoli progressi nell’uso degli antibiotici. Il successo del trattamento antibiotico di un ascesso
cerebrale è legato al raggiungimento di una buona concentrazione tissutale di antibiotico efficace, per cui la capacità che hanno alcuni antibiotici di superare la barriera emato-encefalica è più importante della capacità di superare la barriera emato-liquorale. Questa è la ragione
per cui le penicilline, così come le cefalosporine di prima
generazione e la vancomicina, poco indicate nel trattamento
delle infezioni meningee perché incapaci per lo più di superare la barriera emato-liquorale, sono poi efficaci nel trattamento dell’ascesso cerebrale. Con l’uso di antibiotici,
quali le cefalosporine di terza generazione, il meropenem ed i fluorochinolonici, e il linezolid, l’armamentario
terapeutico si è notevolmente allargato ed è risultato ef-
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mia e con escissione completa dell’ascesso, è particolarmente indicato negli ascessi multiloculati, nelle forme
sostenute da microrganismi resistenti e quando vi siano rischi di erniazione del tronco cerebrale, in seguito alla decompressione così come si può verificare negli ascessi della fossa cranica posteriore.
Nel caso descritto la coltura mostrò un insolito microrganismo, Eikenella corrodens. Un microrganismo che
appartiene alla normale flora orale e che è frequentemente coinvolto nella formazione della placca batterica e
nelle forme di periodontite. Fa parte di un gruppo di bacilli gram-negativi, denominati HACEK, assai sensibili agli
antibiotici, e in particolare all’ampicillina, con spiccato tropismo per l’endocardio, specie se sede di valvola protesica, e che crescono con difficoltà in aria ambiente.
Fra le altre patologie occasionalmente causate da questo microrganismo esistono in letteratura casi di ascessi cerebrali in pazienti sieronegativi per infezione da HIV e senza una riconoscibile sede di origine dell’infezione. È assai probabile che in questi casi un’infezione subdola come quella gengivale ne sia stata la sede primitiva. Le lesioni del paradenzio sono particolarmente frequenti nelle prime fasi dell’infezione da HIV. Quindi, come gli autori suggeriscono, l’infezione da HIV ha agito non in ma-
niera diretta, favorendo la formazione dell’ascesso, ma in
maniera indiretta, favorendo le infezioni gengivali da cui
poi è partita la disseminazione del microrganismo che ha
causato l’ascesso cerebrale.
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