MUSICA E LINGUAGGIO, UNA RELAZIONE PROFONDA Saper suonare uno strumento musicale, possibilmente avendo iniziato a studiarlo in tenera età, migliorerebbe significativamente la sensibilità cerebrale nei confronti non soltanto dei suoni ma anche del linguaggio. L’attività musicale, per questo, sarebbe in grado di apportare benefici a tutti i bambini - indipendentemente dal loro “virtuosismo” - in vari ambiti dell’apprendimento. La scoperta arriva dai ricercatori della Northwestern University di Chicago, e tra breve comparirà sulle pagine della rivista Nature Neuroscience. I ricercatori hanno proposto a 20 persone adulte, la metà delle quali con almeno sei anni di studio di uno strumento musicale iniziato prima dei dodici anni, di scegliere tra alcuni film da guardare. Mentre i partecipanti erano presi dalla visione del film è stata fatta loro ascoltare la parola mandarina “mi” in diverse tonalità; il mandarino è una lingua in cui il significato di una parola può cambiare a seconda della tonalità in cui viene pronunciata. Monitorando l’attività cerebrale dei partecipanti, i ricercatori hanno potuto notare che il tronco cerebrale dei “musicisti” rispondeva in maniera più sensibile al suono e alle sue variazioni nella tonalità, nonostante la loro concentrazione fosse rivolta al film. “Il nostro studio è il primo che analizza se l’esercizio musicale influenza positivamente il modo in cui un individuo decodifica i suoni, anche ad un livello di base come quello del tronco cerebrale”, spiega Nina Kraus, direttrice del Northwestern’s Auditory Neuroscience Laboratory e autrice dello studio. Il tronco cerebrale è la zona inferiore del cervello, una delle più antiche, responsabile del controllo automatico di alcune funzioni critiche del corpo come la respirazione e il battito cardiaco. Fino ad ora si credeva che la musica coinvolgesse solo la corteccia cerebrale, dove risiedono funzioni come il linguaggio e il pensiero razionale. “Abbiamo scoperto che per suonare uno strumento, un’azione pensata in funzione della corteccia cerebrale, una persona può in realtà sintonizzare anche il tronco cerebrale. Questo suggerisce che la relazione tra il tronco e la corteccia è dinamica e reciproca e che il nostro circuito sensorio di base è più malleabile di quanto pensassimo”, conclude Kraus. Fonte: Northwestern University News Center