Rizzo_imp:ok 20-06-2016 11:19 Pagina 193 A. Rizzo et al. Large Animal Review 2015; 21: 193-199 Nuovi approcci terapeutici e chirurgici per la risoluzione delle lacerazioni del capezzolo, nella bovina da latte 193 N A. RIZZO1, M. RONCETTI1, M. PICCINNO1, G. D’ONGHIA2, M. PANTALEO1, M. MUTINATI1, M.R. TERLIZZI2, G. D’ONGHIA2, T. RIPA2, R.L. SCIORSCI1 1 Department of Emergency and Organ Transplantation, University of Bari “Aldo Moro”, Strada p.le per Casamassima, km 3, 70010 Valenzano (Bari), Italy 2 Free lance Veterinary Doctor RIASSUNTO Le alterazioni del capezzolo possono essere distinte in anomalie congenite (politelia, atresia congenita del/i capezzolo/i, ghiandola/e soprannumerarie) e in lesioni traumatiche (interne, esterne). Esse costituiscono un’importante problematica, negli allevamenti di bovine da latte e possono determinare la perdita dei quarti mammari coinvolti dalla lesione, destinando le bovine interessate alla macellazione. L’esperienza condotta fino ad oggi ci spinge a ritenere che queste perdite potrebbero essere ampiamente ridotte, intervenendo con tecniche chirurgiche e con metodiche post-operatorie appropriate. Il lavoro descrive un nuovo approccio anestesiologico, terapeutico e chirurgico, per la risoluzione delle lacerazioni capezzolari, in 37 bovine da latte. Le bovine interessate dalla lesione sono state sedate e sottoposte ad anestesia loco-regionale (blocco epidurale lombare, ring block dell’area del capezzolo e infusione della cisterna capezzolare), introducendo delle modifiche alle procedure anestesiologiche classiche. Si è proceduto, successivamente, alla revisione chirurgica della ferita, ricruentando e regolarizzando i margini, al fine di renderli perfettamente raffrontabili, e, nei casi di lesione a livello di ostio papillare, utilizzando una tecnica di Overlapping “modificata”. Al termine di ciascun intervento di ricostruzione del capezzolo, è stata eseguita l’autoemoterapia rigenerativa staminale, inoculando una miscela di sangue venoso omologo e Arnica compositum, attorno alla ferita chirurgica. Il recupero funzionale di quasi tutti i capezzoli trattati chirurgicamente, ci induce a ritenere che la tecnica operatoria decritta e il protocollo terapeutico utilizzato siano dei validi metodi per migliorare la risoluzione chirurgica delle lacerazioni del capezzolo. PAROLE CHIAVE Capezzolo, lacerazioni, Overlapping “modificata”, autoemoterapia. INTRODUZIONE 1. Richiami di anatomia del capezzolo Il capezzolo della bovina è una struttura conico-cilindrica, rivestita da cute piuttosto rugosa, che può raggiungere la lunghezza di 9 cm. I capezzoli si aprono all’esterno attraverso l’ostio papillare, struttura circondata da anelli muscolari, che impediscono la fuoriuscita del latte e fungono da barriera alla penetrazione batterica1,2,3. Lo stretto canale situato all’estremità del capezzolo è denominato dotto papillare (8-10 mm). Il rivestimento interno di questo dotto è costituito da epitelio pavimentoso stratificato. La specifica disposizione di questo epitelio stratificato dà luogo alla formazione di pliche che possono collabire fra loro per contrazione del muscolo sfintere. Gli strati più superficiali dell’epitelio subiscono un continuo processo di cheratinizzazione, dal quale deriva del materiale di tipo sebaceo, che si distacca e riempie il lume del canale. Il dotto papillare, infine, termina dorsalmente in una serie di pliche, dette “rosette di Fürstenberg”, la cui funzione potrebbe essere quella di trattenere il latte, connettendosi fra di loro, nell’intervallo fra due mungiture. Il dotto papillare è circondato da un vero Autore per la corrispondenza: Raffaele Luigi Sciorsci ([email protected]). sfintere, costituito da un muscolo liscio, deposto in senso longitudinale e aderente al rivestimento epiteliale, avvolto da uno strato più profondo, costituito da fibre circolari1,2,4. Percorrendo il capezzolo verso la mammella, il dotto papillare si continua con la cisterna del capezzolo o seno lattifero. Tale struttura è rivestita da un epitelio cuboide, a cui fa seguito un sottilissimo strato sottomucoso e un ampio strato intermedio, costituito principalmente da tessuto connettivo e muscolatura liscia1,2,4. La vascolarizzazione dei capezzoli dipende dall’arteria pudenda esterna che, in prossimità della base della mammella, lascia le arterie mammarie craniale e caudale, che irrorano i capezzoli della mammella craniale e caudale, rispettivamente. Il capezzolo, inoltre, è raggiunto da radici venose e vasi linfatici (tributari dei linfonodi mammari o inguinali superficiali), organizzati in reti3. In merito all’irrorazione venosa, il seno lattifero è demarcato dall’anello venoso di Fürstenberg che lo separa dal seno della ghiandola3,4. Per quanto riguarda l’innervazione, la mammella è raggiunta dalle fibre del nervo genito-femorale, che origina dal terzo e quarto segmento lombare del midollo spinale. Cranialmente, la cute e il tessuto ghiandolare sono innervati dei nervi ileo-inguinale (L2) e ileo-ipogastrico (L1). Caudalmente, la mammella è innervata dalla branca mammaria del nervo pudendo e dalla branca distale del nervo perineale, che origina dal secondo, terzo e quarto segmento del midollo sacrale5. Rizzo_imp:ok 194 20-06-2016 11:19 Pagina 194 Nuovi approcci terapeutici e chirurgici per la risoluzione delle lacerazioni del capezzolo, nella bovina da latte 2. Alterazioni e interventi chirurgici nell’area del capezzolo Le principali alterazioni del capezzolo, di interesse chirurgico, possono essere suddivise in congenite (politelia, fistola lattea), traumatiche (contusioni, occlusioni parziali o totali, ferite, fistola lattea) o infettive (papillomi virali)2,4,6. La politelia è un’anomalia congenita caratterizzata dalla presenza di uno o più capezzoli soprannumerari, che possono essere, o meno, in comunicazione con la ghiandola mammaria, oppure presentarsi come capezzoli indipendenti con struttura ghiandolare propria. La rimozione chirurgica può essere agevolmente praticata nei primi giorni di vita e, in genere, è un intervento non richiesto quando i capezzoli soprannumerari sono di tipo cutaneo2, se non nei casi in cui crea problemi durante la mungitura o per motivi estetici. Le contusioni di grave entità, ovvero di terzo e quarto grado, accompagnate da spandimento latteo ed ematico, richiedono l’intervento chirurgico che, nei casi estremamente gravi, consiste nell’amputazione del capezzolo2. Le stenosi e le lesioni ostruttive del dotto papillare e del seno lattifero (teliti ostruttive) possono dipendere da cause traumatiche o congenite, e determinano una riduzione del flusso di latte7,8; si risolvono con telotomia2. Le ferite o lacerazioni del capezzolo sono soluzioni di continuo, su base traumatica, che possono essere semplici, superficiali, profonde, penetranti o non penetranti, lineari, oblique o trasversali2. Le lacerazioni aperte sono distinte in parziali e a tutto spessore. Queste ultime hanno aspetto penetrante, potendo interessare il dotto papillare, il seno lattifero o quello ghiandolare4. Una ferita penetrante, che coinvolge anche la mucosa, porta alla formazione di una fistola lattea, ovvero di uno sbocco accessorio del capezzolo, in comunicazione sia con il seno del capezzolo che con il relativo canale7,8. Un’alterazione del capezzolo, infine, può riguardare la comparsa di papillomi di origine virale (papilloma virus bovino, BPV), il cui intervento consiste nell’asportazione delle neoformazioni e cauterizzazione della parte residua2. CASE REPORTS L’Unità di Clinica Mobile Veterinaria dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, coordinata e diretta dal Prof. Raffaele Luigi Sciorsci e con la collaborazione di buiatri operanti nel territorio delle provincie di Bari, Taranto e Foggia, è intervenuta nella risoluzione di diversi casi di alterazioni del capezzolo, nella bovina da latte, da ottobre 2013, ad oggi. Le bovine (n = 37, di cui 7 con lesioni riguardanti anche l’ostio papillare), previo digiuno di 24 ore, sono state sottoposte ad intervento chirurgico, che è stato effettuato dal docente con l’ausilio dei collaboratori dell’Unità anzidetta. Tutti i dati anamnestici (presenti e remoti) e l’esame obiettivo generale e particolare delle bovine sono stati registrati su apposite schede cliniche. Al momento dell’intervento chirurgico, 21 bovine si trovavano in fase di asciutta e 16 erano in lattazione. Per quel che riguarda le bovine operate in fase di asciutta, la diagnosi della lesione del capezzolo era stata eseguita dal veterinario aziendale in tarda lattazione. Ove possibile e/o qualora richiesto dall’allevatore, si è deciso di posticipare di qualche giorno l’intervento e rimandarlo al momento della messa in asciutta dell’animale. È stata fatta questa scelta al fine di evitare di stressare il capezzolo operato durante le manovre di mungitura, nonché ovviare ai problemi inerenti i tempi di sospensione dei farmaci, nel latte. DIAGNOSI DI ANOMALIE A CARICO DEL CAPEZZOLO La diagnosi di alterazioni a carico del capezzolo è stata eseguita dopo accurato esame clinico, che ha incluso: – disinfezione del capezzolo e del quarto interessato dalla lesione; – l’ispezione visiva della mammella e dei capezzoli, volta a valutare il tipo e l’entità della lesione; – l’accurata palpazione digito-digitale (dolorabilità, presenza di infiammazione, edema, etc.); – il sondaggio del canale e della cisterna del capezzolo, mediante introduzione di una sonda per capezzolo o un catetere metallico sterile (taglia nervetti o bisturi per mammella), con funzione di guida; – la mungitura manuale per la valutazione del deflusso del latte; – l’esame ecografico della mammella e del capezzolo. Riguardo all’esame ecografico, questa tecnica rappresenta un valido sussidio per la diagnosi di patologie cliniche e/o subcliniche della mammella e del capezzolo4,9. Nei ruminanti, l’esame ecografico del capezzolo può essere eseguito principalmente attraverso due tecniche: l’immersione dello stesso all’interno di un contenitore di plastica contenente acqua sterile tiepida, con il trasduttore (5 MHz), in posizione orizzontale o verticale, a diretto contatto con il contenitore; contatto diretto della sonda (7,5 mHz) con il capezzolo, previa pulizia dello stesso con alcool e apposizione del gel ecografico10,11. All’esame ecografico, il dotto papillare è visualizzato come una piccola formazione iperecogena, situata alla punta del capezzolo. Il canale capezzolare appare come una linea iperecogena centrale, delimitata da due zone ipoecogene parallele. La transizione tra il canale del capezzolo e la cisterna del capezzolo (rosetta di Fürstenberg) si presenta ecograficamente come una struttura iperecogena omogenea, situata direttamente sopra il canale del capezzolo. La parete del capezzolo è differenziata in tre distinti strati: lo strato esterno (pelle) appare come una lucente linea iperecogena; lo strato intermedio (muscolatura e tessuto connettivo) si presenta di spessore omogeneo e di moderata ecogenicità (strato ipoecogeno); infine, lo strato più interno (mucosa) è iperecogeno. La cisterna del capezzolo è anecogena, circondata da una linea iperecogena (mucosa); tuttavia, tale struttura, se non contiene latte al suo interno, potrebbe non essere visualizzata. Il confine tra la ghiandola e la cisterna del capezzolo è caratterizzato ecograficamente da strutture anecogene rotonde, che corrispondono alle vene del plesso venoso del Fürstenberg10,11. CONTENIMENTO, ANESTESIA E PREPARAZIONE PRE-OPERATORIA Prima di procedere alla chirurgia e, precisamente, due ore prima dell’inizio dell’intervento, le bovine sono state trattate con una soluzione di benzilpenicillina e diidrostreptomicina, Rizzo_imp:ok 20-06-2016 11:19 Pagina 195 A. Rizzo et al. Large Animal Review 2015; 21: 193-199 per via intramuscolare, al fine di garantire un’adeguata copertura antibiotica sistemica al momento della chirurgia12. Le bovine interessate dalle alterazioni sono state sedate con xilazina (0,02-0,03 mg/kg, endovena) e, in genere, contenute alla posta in sala mungitura, impastoiando e bloccando, per mezzo di corde, l’arto posteriore (destro o sinistro), in modo da garantire la sicurezza del chirurgo ed evitare eventuali traumi all’animale. Tutte le procedure sono state eseguite nel pieno rispetto del benessere animale. In assenza di sala di mungitura, quindici minuti dopo la sedazione, è stata eseguita un’anestesia epidurale caudale alta, a livello sacro-coccigeo, inoculando anestetico locale (15-20 mL di procaina 5%, in base alla mole dell’animale)5,13,14. Successivamente, è stato effettuato l’abbattimento della bovina con tecnica di Rueff15 e l’immobilizzazione degli arti posteriori, mediante una corda. Le operazioni chirurgiche sui capezzoli sono state eseguite previo blocco paravertebrale del primo, secondo e terzo nervo spinale lombare, noto come blocco epidurale del segmento lombare5. Tale blocco è stato eseguito a livello dello spazio intervertebrale, tra la prima e la seconda vertebra lombare (L1-L2), inoculando 0,025 mg/kg di xilazina + procaina al 5%, fino al completamento del volume di 7 mL (Figura 1). L’area del capezzolo è stata anestetizzata mediante ring block, che consiste nell’inoculazione di anestetico locale attraverso la cute e lo strato muscolare, in più punti, alla base del capezzolo11,14,16. In questo caso, l’infiltrazione è stata eseguita 195 con 20 mL di procaina al 5% (5 mL per ogni punto di inoculo). Le pareti della siringa utilizzata per prelevare la procaina sono state precedentemente “lavate” con una piccola quantità di xilazina. In altre parole, è stato eseguito un flushing con xilazina della siringa. Gli interventi che hanno riguardato il meato o il canale capezzolare sono stati eseguiti previo svuotamento della cisterna del capezzolo e introduzione di anestetico locale (mediante catetere in plastica monouso), al fine di desensibilizzare la mucosa per contatto13,14,16. L’infusione della cisterna del capezzolo è stata eseguita mediante inoculazione di 20 mL di procaina al 5%, nel dotto papillare. Il blocco nocicettivo e il grado di anestesia locale sono stati valutati andando a stimolare le zone interessate, utilizzando un ago da 18-Gauge x 3,8 cm. Le regioni prese in considerazione sono la base, la parte intermedia e l’apice del capezzolo e il quarto della mammella interessato dalla lesione. La stimolazione è stata eseguita bilateralmente nelle zone prescelte e valutata attraverso un sistema di punteggio da 0 a 3 (Tabella 1). Al fine di quantificare l’effetto analgesico, l’ago è stato inserito prima nella cute, poi nello strato sottocutaneo ed, infine, nello strato muscolare. Sono state considerate risposte positive alla stimolazione algica i movimenti della testa, del collo, del tronco o degli arti. La chirurgia è iniziata nel momento in cui si è verificato il massimo effetto analgesico (punteggio 3), a livello della zona considerata. Figura 1 Rappresentazione grafica dei principali nervi che raggiungono la mammella e i capezzoli. Tabella 1 - Score di analgesia. Punteggio Descrizione 0 Assente Presenza di reazione algica alla stimolazione cutanea 1 Lieve Assenza di reazione algica alla stimolazione cutanea 2 Moderata Assenza di reazione algica alla stimolazione del sottocute 3 Completa Assenza di reazione algica alla stimolazione dello strato muscolare Rizzo_imp:ok 196 20-06-2016 11:19 Pagina 196 Nuovi approcci terapeutici e chirurgici per la risoluzione delle lacerazioni del capezzolo, nella bovina da latte A Figura 2 Rappresentazione grafica delle forze esercitate su un taglio chirurgico rettilineo (A) e di sbieco (B). A parità di forza esercitata sulla ferita, la superficie di scarico pressorio è maggiore nel taglio obliquo. B Il focolaio traumatico e le superfici adiacenti al capezzolo interessato dalle lesioni sono stati sottoposti ad un accurato lavaggio e alla disinfezione mediante tre passaggi alternati di alcol e soluzione di iodopovidone. A TECNICA CHIRURGICA La tecnica operatoria è stata eseguita attraverso i seguenti steps: 1. solo per le bovine in lattazione, dopo aver svuotato la mammella, alla base del capezzolo è stato posizionato un enterostato; 2. il capezzolo interessato dalla lesione è stato afferrato con guanti sterili, alla sua base, ed è stata accuratamente ispezionata la lesione per individuare gli strati e le strutture da suturare; 3. un taglia nervetti, o bisturi per mammella, è stato introdotto nel dotto papillare; 4. con l’ausilio di una pinza chirurgica, si è proceduto a realizzare un curettage chirurgico della ferita a mezzo di forbici rette a punte smusse e bisturi. Lo strumentario utilizzato ha consentito di asportare i tratti necrotici e il tessuto di granulazione, contaminato o infetto, al fine di ricruentare e regolarizzare i margini. Nei casi di lesioni a livello di ostio papillare, particolare attenzione è stata data nell’eseguire un taglio di sbieco dei margini della ferita, in maniera tale da renderli perfettamente raffrontabili, utilizzando una tecnica di Overlapping “modificata”, messa a punto dal Prof. R.L. Sciorsci, nel 2014 (Figura 2 e 3); 5. in presenza di fistola lattea e qualora la ferita fosse risultata contaminata da latte, è stata eseguita una più ampia asportazione del tessuto circostante il tragitto fistoloso. Successivamente, la ferita è stata accuratamente lavata con soluzione fisiologica sterile (a 35°C), caricata in siringhe e inoculata a pressione. Solo dopo tali operazioni, si è passati all’esecuzione della sutura; 6. per quel che riguarda la ricostruzione della lesione capezzolare, bisogna fare una distinzione tra ferite superficiali o profonde, penetranti e non, con interessamento o meno dell’ostio papillare. Nel primo caso, è stata eseguita una sutura della lesione, apponendo dei punti semplici nodosi staccati (distanti, tra loro, pochi millimetri), che hanno interessato la cute e lo strato sottocutaneo. In caso di ferite profonde penetranti, con presenza o meno di fistola lattea, è stata eseguita una doppia sutura. La prima, più profonda, è stata effettuata apponendo dei punti ad U orizzontali (distanti, tra loro, pochi millimetri), che hanno interessato lo strato intermedio del seno lattifero, costituito principalmente da tessuto connettivo e muscolare, o lo strato muscolare del dotto papillare, facendo estrema attenzione a non coinvolgere nella sutura lo strato mucoso. Il passaggio del filo è stato realizzato come decritto di seguito: l’a- B Figura 3 - Overlapping “modificata” per la risoluzione della lacerazione del capezzolo nella bovina da latte, messa a punto dal Prof. R.L. Sciorsci, nel 2014. Sezione longitudinale (A) e trasversale (B) del capezzolo. go è stato infisso a qualche millimetro di distanza dal margine della ferita e lo si è fatto passare nello spessore dello strato parietale muscolo-connettivale o muscolare, tangenzialmente alla mucosa; in seguito, si è infisso l’ago nella stesso strato del lembo opposto emergendo sempre a qualche millimetro di distanza dal margine della ferita. La seconda sutura è stata eseguita come decritto in caso di ferite superficiali. I punti di sutura sono stati apposti in direzione prossimodistale, impiegando filo assorbibile monofilamento di poli (glicole-co-e-caprolattone) USP 2.0, con ago 3/8 C. triangolare. Nelle bovine con lacerazioni riguardanti anche l’ostio papillare, il taglio di sbieco a livello dello sfintere è stato suturato con un punto semplice nodoso staccato, secondo la tecnica chirurgica di Overlapping “modificata”, utilizzando del filo assorbibile monofilamento di polidiossanone USP 3.0, con ago 1/2 C. cilindrico. I punti di sutura sono stati accuratamente chiusi, evitando di esercitare un’eccessiva trazione, in modo da ottenere un raffrontamento adeguato dei lembi. Nel caso di punti nodosi staccati, si è fatto attenzione a far cadere il nodo chirurgico lateralmente alla ferita; 7. dopo la rimozione del taglia nervetti, è stato introdotto nel canale del capezzolo un catetere endo-mammario (dilatatore per capezzolo, in plastica), che è rimasto in situ sino alla completa guarigione (Figura 4 e 5). Rizzo_imp:ok 20-06-2016 11:19 Pagina 197 A. Rizzo et al. Large Animal Review 2015; 21: 193-199 A B C D 197 E Figura 4 - Rappresentazione grafica della risoluzione chirurgica di una lacerazione profonda penetrante della cisterna del capezzolo, del dotto e dell’ostio papillare (A), attraverso l’apposizione di punti ad U orizzontali nello spessore dello strato muscolo-connettivale del seno lattifero o muscolare del dotto papillare (B) e di punti nodosi semplici su cute e sottocute (C) e a livello di ostio papillare (D, E). Figura 5 - Immagini fotografiche di due casi clinici particolarmente rappresentativi di chirurgia del capezzolo, eseguiti dall’Unità di Clinica Mobile Veterinaria di Bari. TERAPIA POST-OPERATORIA Al termine di ciascun intervento di ricostruzione del capezzolo è stata eseguita l’autoemoterapia rigenerativa staminale. In altre parole, si è proceduto all’inoculazione perifocale della breccia operatoria di una miscela costituita da sangue venoso omologo (1 mL), prelevato dalla giugulare, e da una fiala di Arnica compositum (2,2 mL), un composto ad azione antiedemigena, modulante l’infiammazione, antisuppurativa, antalgica e rigenerante, utile al trattamento di lesioni e ferite cutanee, in quanto dotato di una spiccata azione riparatrice. La miscela ottenuta è stata sottoposta a cinque succussioni violente, per favorire l’ossigenazione del composto. Dopo tale procedura, è stata eseguita la disinfezione della ferita chirurgica con soluzione di iodopovidone ed è stato applicato uno spray antibiotato (ossitetraciclina cloridrato). La terapia post-operatoria ha previsto delle applicazioni intra-canalicolari di cortisonchemicetina unguento, postmungitura, per 7 giorni, ed una terapia antibiotica ad ampio spettro (una soluzione di benzilpenicillina e diidrostreptomicina), per via sistemica, anch’essa per 7 giorni. Nei giorni successivi all’intervento, al proprietario è stato consigliato di mungere manualmente il quarto interessato dalla ferita chirurgica (Figura 5). DISCUSSIONE E CONCLUSIONI Le alterazioni del capezzolo costituiscono un serio problema negli allevamenti di bovine da latte. A causa di tali lesioni, infatti, molti quarti mammari sono perduti e molte bovine sono destinate alla macellazione2. D’altra parte, sussiste un certo scetticismo da parte degli allevatori nei confronti dell’approccio chirurgico, cosicché una buona parte dei casi trattabili non sono neppure riferiti al veterinario dell’azienda. L’esperienza condotta fino ad oggi, invece, ci spinge a ritenere che tali perdite potrebbero essere ampiamente ridotte, intervenendo chirurgicamente e con opportuni accorgimenti, per la risoluzione delle lesioni capezzolari. Il contenimento e l’anestesia della bovina sono fondamentali per operare correttamente sulla mammella, in quanto si tratta di un organo molto sensibile e le operazioni chirurgiche, a tale livello, possono risultare particolarmente dolorose. Rizzo_imp:ok 198 20-06-2016 11:19 Pagina 198 Nuovi approcci terapeutici e chirurgici per la risoluzione delle lacerazioni del capezzolo, nella bovina da latte Molto vantaggiosa si è dimostrata la scelta di contenere l’animale alla posta in sala mungitura, in quanto ha consentito al chirurgo di operare in assoluta sicurezza e comodità e ha permesso di evitare complicazioni del decubito laterale, quali il timpanismo ruminale. Inoltre, tutte le operazioni descritte sono state eseguite nel pieno rispetto del benessere animale. Altrettanto valido si è rivelato il protocollo anestesiologico impiegato. La somministrazione di xilazina per via endovenosa (0,02-0,03 mg/kg) ed epidurale (0,025 mg/kg) ha consentito di utilizzare un dosaggio più basso della molecola in entrambe le vie, rispetto a quello tradizionalmente impiegato nella specie bovina (0,04-0,05 mg/kg, endovena; 0,05 mg/kg in epidurale)13,17. Questo ha favorito la riduzione dei noti effetti collaterali di tale sedativo (scialorrea, barcollamento, perdita della stazione quadrupedale), garantendo comunque un ottimo grado di sedazione dell’animale, che ha permesso al chirurgo di operare con la bovina ferma e in stazione e di ridurre al minimo lo stress dell’animale. Particolarmente utile si è rivelato anche il mix di xilazina e procaina. Come riportato in bibliografia17,18, infatti, la somministrazione di un α2-agonista per via epidurale va a rafforzare l’effetto analgesico dell’anestetico locale. Inoltre, a nostro avviso, il flushing con xilazina della siringa utilizzata per l’esecuzione del ring block ha permesso di associare l’effetto anestetico della procaina16, all’azione miorilassante e analgesica dell’α2-agonista19. Come accennato in precedenza, la parte caudale della mammella è innervata dalla branca mammaria del nervo pudendo e dalla branca distale del nervo perineale. Riguardo agli interventi sui capezzoli dei quarti posteriori, pertanto, bisognerebbe operare il blocco del nervo perineale. Tale blocco, tuttavia, non è di facile esecuzione e, in bibliografia, per la maggior parte delle procedure chirurgiche che interessano i quarti posteriori viene, generalmente, praticata l’anestesia epidurale lombosacrale o l’epidurale caudale alta5. Per quella che è stata la nostra esperienza, il blocco epidurale lombare, associato all’anestesia locale, ha garantito un ottimo effetto nocicettivo e ha permesso di eseguire, in maniera tranquilla, la chirurgia, anche in caso di interventi sui capezzoli dei quarti posteriori. Per quanto riguarda la tecnica operatoria, è noto che la chirurgia con Overlapping, in umana, viene impiegata per la riparazione delle soluzioni di continuo delle componenti muscolari che possono interessare gli sfinteri e, in particolare, lo sfintere anale esterno, a seguito di lacerazioni da parto20. Questa tecnica prevede lo scollamento della componente muscolare dello sfintere anale esterno da entrambi i lati della lacerazione e l’apposizione di una sutura (punti staccati a U orizzontali), che porta alla sovrapposizione dei lembi. A partire da questo tipo di approccio chirurgico, è stata messa a punto dal Prof. R.L. Sciorsci, nel 2014, una tecnica di Overlapping “modificata”, per la riparazione di lacerazioni del capezzolo con interessamento dell’ostio papillare, nella bovina. Secondo tale tecnica, nella risoluzione di alterazioni a livello del capezzolo, è fondamentale la corretta ricruentazione dei margini della lesione, in maniera tale da renderli netti e riallineati tra loro, senza la presenza di frustoli, che altrimenti andrebbero a causare dei processi di cicatrizzazione anomala. Inoltre, si preferisce tagliare di sbieco i margini dell’ostio papillare, in quanto tale tecnica induce la cicatrizzazione e la formazione di tessuto connettivale che grava sulla sezione obliqua del taglio chirurgico, distribuendosi su una superficie maggiore, e tutto ciò a favore dell’elasticità tissutale. In altre parole, il taglio obliquo aumenta la superficie di contatto, riducendo la pressione esercitata su ogni punto, con conseguente minore produzione di tessuto connettivale. Nel caso in cui il taglio fosse eseguito in maniera rettilinea, invece, le forze di trazione interverrebbero tutte su un’unica sezione di superficie minima, generando una resistenza maggiore sulla ferita chirurgica e, quindi, una minore elasticità dell’ostio (Figura 2). Oltre a quanto detto, nell’Overlapping “modificata”, per la ricostruzione dello strato cutaneo e sottocutaneo e dell’ostio papillare, viene preferita l’apposizione di punti singoli, rispetto a quelli ad U orizzontali, decritti nella tecnica classica. Quest’ultimo tipo di sutura, infatti, imbriglia una maggiore quantità di tessuto e, pertanto, necessita di una maggiore forza di trazione nello stringere il nodo chirurgico, con conseguente possibilità di fenomeni ischemici. Inoltre, nella tecnica modificata, il nodo chirurgico è fatto cadere lateralmente alla ferita, in maniera tale da non interferire con i fisiologici processi di cicatrizzazione e/o non esserne imbrigliato all’interno. Per la sutura è stato scelto un monofilamento, in quanto la regolarità del calibro e la scorrevolezza sono massime in tale tipologia di filo. Inoltre, i monofilamenti mancano di capillarità che, viceversa, è alta nei polifilamenti non rivestiti da guaina. La revisione chirurgica della ferita, in maniera tale da garantire una totale giustapposizione dei margini, e l’applicazione della tecnica di Overlapping “modificata” hanno consentito di ottenere una perfetta ricostruzione plastica funzionale del capezzolo lesionato, anche nei casi in cui era stato interessato lo sfintere papillare. La valutazione, caso per caso, della trazione da applicare per l’apposizione dei punti di sutura, in modo da garantire l’avvicinamento dei margini della ferita, ma evitando i fenomeni ischemici, si è inoltre rivelata di fondamentale importanza. L’impiego dell’autoemoterapia, ovvero l’inoculazione di sangue venoso omologo e di Arnica compositum, grazie alla loro azione di modulatori dell’infiammazione e dei processi di rigenerazione tissutale ha, infine, assicurato un ottimale processo di cicatrizzazione della ferita chirurgica. Tale tecnica, secondo una definizione di Bianchi (2007)21, può essere considerata un “trapianto autologo di tessuto connettivo mesenchimale ad azione alcalinizzante, autoemuntoriale, riparatrice tissutale e immunostimolante”. Il sangue, dal punto di vista biofisico, è un liquido composto prevalentemente da H2O (87%) e da sostanze disciolte in concentrazione definita che comprendono sali semplici, proteine plasmatiche, enzimi, anticorpi ed elementi cellulari (eritrociti, leucociti e piastrine), e può risultare estremamente efficace nella cura autologa di numerosi stati patologici, sia acuti, che cronici. La procedura medica di autoemoterapia, o bio-terapia autologa, prevede l’utilizzo di sangue, ottenuto da un modesto prelievo dal paziente stesso, che viene miscelato con modiche quantità di ossigeno e composti naturali (omeopatici e/o omotossicologici), per essere reintrodotto nel paziente, previa immediata succussione, che consente di ossigenare ed attivare gli eritrociti. Rizzo_imp:ok 20-06-2016 11:19 Pagina 199 A. Rizzo et al. Large Animal Review 2015; 21: 193-199 Gli elementi endogeni di riparazione tissutale, presenti nel sangue, hanno, in particolare, effetti sulla produzione di collagene, sulla normalizzazione endoteliale e sulla rigenerazione cellulare di lunga durata. L’autoemoterapia, pur conservando la complessità dei meccanismi molecolari, sottesi ai processi omeostatici naturali (specificità ligando-recettore, vie trasduttive cellulari, regolazione dell’espressione genica, comunicazione intra- e inter-cellulare), rispetta la biocompatibilità individuale del paziente e non ha effetti collaterali indesiderati22. I vantaggi dell’autoemoterapia, quindi, possono essere così riassunti: 1. azione nutritiva prolungata a livello locale, mediata dal lento (7-10 giorni) riassorbimento del sangue; 2. azione di difesa immunitaria, antinfettiva e antitossica; 3. azione tampone e di modulazione metabolica (stabilizzazione del pH, azione alcalinizzante del sangue che contrasta l’acidosi dei tessuti); 4. potere ossigenante del sangue: in presenza di tessuto irrigidito, sclerotico, l’ossigenazione permette un’attivazione infiammatoria riparatrice; 5. ossigeno quale importante attivatore metabolico che, associato al sangue e ai composti omeopatici, è in grado di stimolare i processi di riparazione a livello locale21. In conclusione, il recupero funzionale dei capezzoli trattati chirurgicamente ci induce a ritenere che la tecnica operatoria decritta e il protocollo terapeutico utilizzato siano dei validi metodi per la risoluzione chirurgica di alterazioni a livello capezzolare. Tuttavia, non bisogna dimenticare che il buon esito dell’operazione chirurgica dipende anche dalla collaborazione da parte dell’allevatore, per garantire la messa in atto delle buone pratiche post-operatorie. Infatti, in 3 bovine trattate, la risoluzione chirurgica non è andata a buon fine, in quanto l’allevatore, di sua sponte, ha deciso di eseguire la terapia antibiotica post-operatoria solo per 3 giorni. ❚ New therapeutic and surgical approaches for the resolution of teat’s lacerations, in dairy cattle SUMMARY Introduction - Teat’s alterations can be divided into congenital anomalies (polythelia, teat’s congenital atresia, supernumerary gland) and traumatic injuries (internal or external). They are an important tissue, in the breeding of dairy cows. These lesions may determine the loss of mammary quarters affected by the injury, allocating the cows involved in the slaughter. The experience conducted to date encourages us to believe that these losses could be largely reduced by intervening with surgical technique and post-operative appropriate methods. Aim - The work describes the development of an innovative anesthetic, therapeutic and surgical protocol, for the resolution of teat’s lacerations, in 37 dairy cows. Materials and Methods - Cows affected by the injury were sedated and undergoing regional anesthesia (lumbar epidural block, ring block of the teat’s area and infusion in the teat cistern), introducing changes in classic anesthetic procedures. It was conducted a surgical revision of the wound, regularizing the margins in order to make them perfectly comparable and in the case of papillary ostium lesion, using a “mo- 199 dified” Overlapping technique. At the end of each intervention of teat reconstruction, it was performed staminal regenerative autohemotherapy, inoculating a mixture of homologue venous blood and Arnica compositum. Results - There was the functional recovery of almost all teats surgically treated. Discussion and conclusions - Surgical technique treatment described and therapeutic protocol used are valid methods to improve the surgical resolution of the teat alterations. KEY WORDS Teat, lacerations, “modified” Overlapping, autohemotherapy. Bibliografia 1. Schalm O.W., Carroll E.J., Jain N.C. (1975) Le Mastiti della Bovina; capitolo 2, 3. Edizione italiana a cura di Franco Scatozza. Edagricole. 2. Venturini A., Diquattro G. (1996) Lesioni chirurgiche del capezzolo della bovina. Atti Soc It Buiatria, Vol. XXVIII. 3. Pelagalli G.V., Botte V. (1999) Apparato tegumentario. In: Anatomia veterinaria sistematica e comparata. Terza edizione. Edi. Ermes. Milano, pp: 365-390. 4. Steiner A. (2008) La chirurgia del capezzolo nella vacca da latte. 1° Congresso Europeo Sivar 8-9 febbraio. Large Animal Review, 14: 27-29. 5. Tranquilli W.J., Thurmon J.C., Grimm K.A. 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