Gianfranco Dalmasso La generazione del significato. Note di metodo sulla Prefazione alla Fenomenologia dello spirito L’approccio al pensiero di Hegel è stato sempre irto e pieno di difficoltà. D’altra parte la genialità del filosofo ha dominato e domina tuttora il campo dell’impegno filosofico per la radicalità e la strategia con cui egli è riuscito ad interrogare e ricomprendere i concetti e i nodi cruciali dell’Occidente. L’interesse alla filosofia di Hegel è anche frammisto alla consapevolezza della impotenza e, in un certo senso scarsa utilizzabilità della sua filosofia per l’affronto e l’elaborazione dei problemi odierni, da quelli gnoseologici a quelli economico-politici. Tale sfiducia riguardo al pensiero di Hegel era già delineata a pochi anni dalla morte, al di là dei dibattiti nella Sinistra hegeliana, in relazione all’esplosione di forme inedite e clamorose dei conflitti economici e sociali, come la rivoluzione del Quarantotto e il Manifesto del Partito Comunista. L’ambivalenza e l’oscillazione di fronte a questo pensatore, per altro testimonianza essa stessa del suo perdurante influsso, è stata forse in qualche misura messa a tema ed elaborata dagli approcci, più frequenti negli ultimi anni, che, prendendo le mosse dal commento di Kojève1, hanno messo a fuoco la questione del linguaggio hegeliano. Questione che è solidale con la consapevolezza dell’inefficacia e della scorrettezza di una lettura del pensiero di Hegel che lo consideri come una metafisica o come una Weltanschuung. La questione è teorizzata dallo stesso Hegel nella Prefazione alla Fenomenologia dello spirito, laddove afferma che è impossibile abbracciare il suo pensiero a partire da un punto di vista. Letture siffatte si atteggiano, come forma e come metodo, più a misurare come Hegel lavora, piuttosto che a comprendere che cosa Hegel dice2. Lo stile di lavoro di Hegel coinvolge, oltre che l’autore stesso, anche il suo lettore, in un prodursi del significato del testo che è strutturalmente impadroneggiabile in una forma immediata e per così dire, “cosalistica” e non speculativa (la questione della Aufhebung è nodale). Come si esprime Jean-Luc Nancy3 l’opera di Hegel è un testo in cui il 1 Cfr. A. Kojève, Introduction à la lect1ure de Hegel, tr.it. di G.F. Frigo, Adelphi, Milano 1966. È esempio paradigmatico e particolarmente lucido di tale forma e metodologia di lettura il commento di Jacques Derrida. Cfr. soprattutto Le puids et le piramide, in L’ecriture et la differènce, Seuil, Paris, 1970 (tr. it. di Pozzo, Einaudi, Torino, 1972; L’age de Hegel, in A.A.V.V., Qui a peur della philosophie?, Flammarion, Paris 1971; Glas, Galilée, Paris 1974, tr.it. di S. Facioni, Bompiani, Milano 2006). Questo mio scritto é parte di una ricerca in progress. .Alcuni nodi problematici qui accennati avranno più adeguato sviluppo critico e bibliografico in ulteriori pubblicazioni. 3 J.-L. Nancy, La remarque spéculative (un bon mot de Hegel), Galilée, Paris 1973, pp. 24-31. 2 1 lettore interviene come redattore del testo stesso. Detto altrimenti, se il lettore non è partecipe metodologicamente del movimento di produzione del testo, ricade al di qua del testo e del suo significato. 1. Il senso del sistema. Aperture Hegel ha affermato che non c’è nessuna parola e tesi della filosofia occidentale che non sia ripresa nel suo sistema. Tale affermazione è stata, come è noto, spesso equivocata da numerosi interpreti che la hanno intesa come formulazione di un a più completa e dialettica Weltanschauung, piuttosto che elaborazione del metodo di produzione della teoria. Hegel è esplicito nell’affermare che non è possibile rappresentarsi il suo pensiero, cioè non è possibile rappresentarsi ciò che egli dice. Nonostante le tendenze spiccatamente filologiche degli studi hegeliani il filosofo è spesso considerato in modo astratto rispetto ai suoi contesti linguistici e storici. Si pensi in particolare ai problemi legati al linguaggio della tradizione filosofica a partire dall’Illuminismo, in rapporto al cambiamento dell’immagine del mondo dovuta all’affermazione del dominio delle nuove scienze della natura. Termini come Dio, panteismo, ragione, verità per Hegel devono essere ripensati all’interno di quel formidabile processo che è il costituirsi di una nozione moderna di coscienza, cioè di un nuovo soggetto del sapere. La scommessa di Hegel, esplicita nel suo obiettivo ed anche nel suo intento apologetico, sembra consistere nel rileggere e nello scoprire la tradizione classica, cioè greco-cristiana, all’interno di tale nozione di soggetto. La coscienza moderna come nuova concezione del soggetto del sapere, è quella teorizzata da Kant: si tratta di capire, delimitare, de-costruire la filosofia di Kant. La mossa di tale rilettura che la “fenomenologia” di Hegel inaugura si articola in un cambiamento di metodo radicale, tale da mettere in deriva il pensiero di Kant, come orizzonte del discorso. All’infuori di tale mossa hegeliana Kant rimane (la produzione filosofica degli ultimi anni è eloquente) lo spartiacque della filosofia contemporanea. Questa ripresa, questo cambiamento dell’orizzonte del discorso, Hegel lo compie, lo accennavo come mossa apologetica, nel senso di difesa e riscoperta della filosofia classica e cristiana. Ri-comprendere le linee del pensiero greco e della religiosità greca (da Platone ad Aristotele) permette di delimitare, di de-costruire il soggetto moderno ricucendo una unificazione sia spirituale sia cosmologica del sapere. Ma non nella forma di una visione del mondo. La questione si costruisce piuttosto come un interrogativo nel senso del porre una domanda sull’origine del proprio discorso. Si tratta per Hegel di ricomprendere il senso platonico del negativo, 2 che è plastico, costruttivo, nient’affatto nichilista, ma piuttosto inaugurante un senso attivo, generativo dell’alterità.4 Il rapporto fra il negativo e l’alterità in Platone è da Hegel spinto fino agli estremi limiti: non di una visione del mondo o di una concezione dell’ontologia, ma di una domanda sulle condizioni di possibilità del discorso. Tale domanda “fenomenologica” inaugurale di tale progetto hegeliano si interroga su come sia possibile porre un oggetto, per così dire, davanti agli occhi di un io cosciente e padrone di sé, senza investire il cambiamento delle strutture di tale io: impossibilità quindi di soggiornare in un punto di vista. Hegel si ricollega alla grande tradizione del Sofista platonico fino ai Soliloqui e al De Trinitate di Agostino. Parlo: a chi parlo? A partire da che cosa parlo? Di che cosa parlo? La figura dell’illusione5 sembra avvolgersi ed intrecciarsi originariamente alle origini della parola. Quale via d’uscita si potrebbe trovare? Come venirne fuori, alla lettera, accecati dalla luce abbagliante di una struttura del discorso che scatta ed è pensata come un fuori? Per cui il soggetto, nel suo dentro, avrebbe il problema di misurare la sua solipsistica solitudine e trovare ancoraggi e relazioni ad una realtà (?) che sarebbe fuori e prima (?) di lui. Il percorso di Hegel annuncia la solennità di un discorso filosofico spesso odiato, censurato, dimenticato. Spesso è stato censurato il significato della mossa della filosofia come volo della nottola, il cui ritardo consiste nello smarcarsi e nel rifiutare la forma di tale questione. La domanda sul come, per così dire, aggrapparsi ad un fondamento, è effetto di un punto cieco che è riempito da una volontà di sapere, che è pretesa di rappresentarsi, di riflettere e dominare il fondamento. A tale domanda del fondamento piuttosto sembra ci si debba arrendere, per cui la mossa vincente (!?) della filosofia è riconoscere che la domanda sull’origine è indisgiungibile dallo svolgersi, questo sì originario, del negativo che fa sorgere e che avvolge la domanda stessa. Ma il negativo non è distruttivo: esso è l’irrompere come avvenimento e non come riflessione della generazione stessa della coscienza.6 Il negativo, il cui farsi, svolgersi, manifestarsi, è il tempo, è per Hegel il luogo di tale “presa di coscienza”, la dinamica di tale lettura in cui il significato stesso, il ciò che, il ti esti prende corpo. L’interpretazione problematicistica di tale progetto è senz’altro lecita, ma non può essere maneggiata e interpellata, originariamente, come il supposto smascheramento di un imprendibile ed intrascendibile nichilismo che presiederebbe ogni domanda sull’origine. Questa interpretazione aggiunge, nella forma del dominio, un farsi, un generarsi come movimento dove non mi posso portare, salvo 4 Cfr. G. Dalmasso, Chi dice io. Razionalità e nichilismo. Jaca Book, Milano, 2006, pp.15-25. Sof., 239 b–d. 6 Cfr. G. Dalmasso, Chi dice io. Razionalità e nichilismo, parte terza, Note sulla Introduzione e sul primo capitolo delle Lezioni di Filosofia della religione di Hegel, Jaca Book, Milano 2005, pp.103122. 5 3 comportarmi come quel certo personaggio che voleva sollevarsi prendendosi per i capelli. Non ci si può prendere per i capelli e sollevarsi. Da questa argomentazione prende le mosse, io credo, tutto il pensiero di Hegel, che riscopre, classicamente, il percorso della filosofia greca ed anche della sua rilettura da parte dei pensatori ebraico-cristiani. Tale mossa di discorso hegeliana ri-interpreta la concezione creazionale dell’uomo e del mondo, non tanto nella forma della visione (Weltanschuug), ma nella presa di coscienza che tale concezione costituisce un atto. Si tratta di un accadere originario (divenire, storia, generarsi) del rapporto fra me e il mio pensiero, fra il mio pensiero ed il rapporto con altri. Di accadere (geschehen) certo si tratta poiché la dialettica per il filosofo non significa muovere le idee come dei birilli su di una superficie, per quanto elastica sia pensata tale superficie ed elastici siano pensati i birilli. Non posso sottrarmi a questo accadere e d’altra parte non posso soggiacere ad una presenza rassicurante, fosse anche l’orizzonte trascendentale della coscienza. Se vi è una risposta a tale questione, essa è nella direzione, per Hegel, e nella forma dell’Aufhebung,7 ad un accadere ad una coscienza che non può essere separata, ma che è suscitata, generata da un implicarsi, un intrico, esso sì intrascendibile, che è il generarsi dell’io insieme al suo atto.8 L’avvenimento di ciò è il costituirsi dello speculativo. Il concetto significa per Hegel il costituirsi di un io, di un soggetto di sapere non strappati dalla dinamica del divenire, dell’accadere e del suo generarsi. 2. La Fenomenologia dello spirito e la produzione del sapere Le questioni sopra solo accennate sono da Hegel già messe a fuoco nella Prefazione alla Fenomenologia dello spirito. In questo testo è messo a fuoco il legame tra l’obbiettivo ed il metodo del discorso. Questo legame è la verità. Oggi tale legame fra obbiettivo e metodo è piuttosto considerato come questione di successo, di efficienza, di controllo del linguaggio o come il problema politico della pace. Nella Prefazione Hegel parla non della verità del discorso e di quel discorso che è la filosofia, ma del metodo. Il metodo è per Hegel il movimento in cui la verità è prodotta, generata. Non si può dire se il metodo sia vero o falso. Il metodo è al di qua oppure al di là della verità: esiste solo come movimento della verità, come generazione della verità. Oggi ciò sembra comprensibile solo in una forma tecnicistica. 7 vedi J.-L. Nancy,op.cit,pp. 69-95. Cfr. G.Dalmasso, Hegel: generazione dell’io e generazione del pensiero, in Sul trascendentale moderno. Genesi, struttura, problemi, a cura di R. Perini, Edizioni Scientifiche Italiane, Roma 2004, pp. 173-181. 8 4 Secondo il mio punto di vista, che dovrà giustificarsi mediante l’esposizione del sistema stesso, tutto dipende dal concepire ed esprimere il vero non tanto come sostanza, bensì propriamente come soggetto. Al tempo stesso va notato che la sostanzialità include in sé tanto l’universale, cioè l’immediatezza del sapere stesso, quanto anche quell’immediatezza che è essere o immediatezza per il sapere.9 La verità cioè non è concepibile come immediatezza e non è sapere immediato. Tutto ciò è il dominio della sostanza. Ma Hegel considera il vero non come sostanza, ma come soggetto. Anche per il sapere attorno ai massimi problemi - si pensi al problema di un sapere attorno a Dio - non si tratta per Hegel di una questione di immediatezza, ma di una questione come domanda formulata da un soggetto. Detto altrimenti non c’è per Hegel una verginità puntuale e invulnerabile dell’origine. La sostanza è la negatività pura e semplice (reine einfache Negativität), e proprio per questo è lo sdoppiamento del semplice, è la duplicazione opponente che a sua volta costituisce la negazione di quella diversità indifferente e della sua opposizione: solo questa uguaglianza restaurantesi (wiederherstellende Gleichheit), solo questa riflessione entro se stesso nell’essere-altro, non una unità originaria in quanto tale, ne immediata in quanto tale, è il vero. Il vero è il divenire di se stesso, è il circolo che presuppone ed ha all’inizio la propria fine come proprio fine, e che è reale solo mediante l’attuazione e la propria fine(Ausführung und sein Ende).10 Questo modo di prospettare le cose vale per Hegel non solo per le scienze della natura, ma anche per un presunto discorso su Dio. Questa idea [di Dio] rischia però di degradare a mera edificazione e di divenire persino insulsa, se le mancano la serietà, il dolore, la pazienza e il travaglio del negativo. In sé, quella vita è certo l’imperturbata uguaglianza ed unità con se stesso, senza alcun impegno serio con l’esser altro e con l’estraniazione( dem Andersein und der Entfremdung), né con il superamento di questa estraniazione. Ma tale -in sé- è l’universalità astratta, è cioè l’unità in cui si fa astrazione della propria natura di essere per sé e perciò, in generale dell’automovimento della forma.11 Hegel è, d’altra parte contro l’ontologismo, cioè contro la tesi secondo cui è possibile intuire Dio e la realtà. Il vero è il Tutto. Il Tutto, perciò, è solo l’essenza che si compie mediante il proprio sviluppo (Entwiklung). Dell’Assoluto infatti bisogna dire che è essenzialmente un risultato, che solo alla fine è ciò che è in verità. E appunto in ciò consiste la sua 9 G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, a cura di V. Cicero, Rusconi Libri, Milano, 1995, p. 67. 10 Ibid. p. 69 11 Ibid. 5 natura: nell’essere realtà, soggetto, divenire- se- stesso. Per quanto possa sembrare contraddittorio il fatto che l’Assoluto deve essere concepito essenzialmente come risultato, basterà una breve riflessione a togliere questa parvenza di contraddizione. L’inizio, il principio, l’Assoluto, nella sua prima ed immediata enunciazione, è soltanto l’universale. E come non si espone una zoologia con il semplice dire: “tutti gli animali”, con altrettanta evidenza salta agli occhi che le parole “divino”, “assoluto”, “eterno”, etc., non esprimono affatto il contenuto determinato del Divino, dell’Assoluto, dell’Eterno, etc., ma solo l’intuizione immediata che li concerne. Ciò che vale più di tali parole, si tratti pure soltanto del passaggio ad una proposizione, contiene un divenire-altro che deve essere ripreso: è, cioè, una mediazione. Nei confronti di quest’ultima c’è però un specie di timor panico, come se accettare l’affermazione per cui la mediazione sarebbe qualcosa di assoluto e avrebbe luogo nell’Assoluto, significasse dover rinunciare alla conoscenza assoluta.12 Il divenire e la produzione delle forme non sono al di fuori del cerchio della verità: Quanto abbiamo detto può essere espresso anche così: la ragione è l’agire in conformità a un fine (das Vernuft das zuruckmäßige tun ist). L’elevazione della supposta natura al di sopra del pensiero misconosciuto (das misßkonnte Denken) e soprattutto la messa al bando della finalità esteriore hanno gettato discredito sulla forma del fine in generale.13 Dunque per Hegel affermare che Dio esiste costituisce solo un inizio. Tale affermazione in sé rimane astratta. L’attuazione autenticamente positiva dell’inizio ha verso quest’ultimo un rapporto in pari tempo anche negativo, e precisamente diretto contro l’unilateralità della sua forma (einseitige Form), sull’essere qualcosa di immediato, nell’essere il fine. L’attuazione può perciò essere intesa anche come confutazione del fondamento (Grund) del sistema; è più corretto perciò considerarla un indice del fatto che il fondamento, il principio del sistema, è in realtà solo l’inizio del sistema stesso. Il vero è reale solo come sistema, la sostanza è essenzialmente soggetto; tutto ciò è espresso nella rappresentazione che enuncia l’Assoluto come Spirito, concetto eminentissimo che appartiene all’epoca moderna e alla sua religione. Solo lo spirito è il reale: esso è l’essenza, cioè l’essente-in-sé, esso è ciò che si rapporta al condizionato14 , al determinato, è l’essere-altro e l’essere per sé, ed è il permanere entro sé in tale determinatezza, cioè nel suo essere fuori-di-sé: solo ciò che è spirituale è in sé e per sé.15 12 Ibid. p.71 Ibid. 14 Verhaltende, tr.mia. 15 Ibid. p.75 13 6 La verità è indisgiungibile dalla vita, cioé da un dislivello strutturale fra il soggetto e il suo sapere/sapersi. La Fenomenologia dello spirito stessa, come discorso, come disciplina, è presa nel gioco del suo essere prodotta. È in questo modo che il soggetto, il soggetto di questo stesso discorso, è introdotto alla conoscenza della verità. La verità implica non l’immediatezza della visione, ma lo spiazzamento del proprio discorso. Quando la conoscenza naturale si affida immediatamente alla scienza si tratta ancora di un tentativo, compiuto “senza sapere che cosa la spinge a farlo, di camminare a gambe all’aria”. L’obbligo di mettersi e di muoversi in questa insolita posizione è una violenza che appare tanto improvvida quanto inutile, ed a cui la coscienza per altro non è preparata16. La scienza, dal canto suo, non può essere un in sé, ma vive, come un prodotto, in relazione ad un soggetto e all’esser prodotto di tale soggetto. Quando alla scienza, qualunque cosa sia per se stessa, essa si pone rispetto all’autocoscienza immediata come il suo inverso, vale a dire: poiché l’autocoscienza immediata ha nell’autocertezza(Gewißheit) il principio della propria realtà e poiché si trova di per sé fuori dalla scienza, allora quest’ultima assume la forma dell’irrealtà. La scienza deve perciò unificare questo elemento con sé, o meglio deve mostrare che e in che modo esso le appartiene. Mancando di tale realtà, la scienza è solo il contenuto come in-sé, come il fine che è ancora soltanto un Interno, soltanto sostanza spirituale, non già Spirito. Questo in-sé deve estrinsecarsi e divenire per sé, e ciò significa che l’in-sé deve porre l’autocoscienza in unità con se stesso.17 La scienza stessa, così sostiene Hegel, è trasmissione del sapere, è cammino, percorso. Ciò vale anche per quella speciale scienza filosofica che è la Fenomenologia dello spirito. È una domanda scorretta chiedersi: “ciò che dice la Fenomenologia dello spirito è vero?”. Il suo discorso e la struttura di tale discorso non possono essere rinchiuse nella specularità di una rappresentazione, di un punto di vista che non si muova e non sia prodotto insieme al suo oggetto. La scienza [della Fenomenologia dello spirito] è l’espressione dello strutturarsi di questo movimento di autoformazione in tutta la sua ampiezza e necessità e, nello stesso tempo, essa presenta i tratti di ciò che di volta in volta viene abbassato a momento e proprietà dello spirito. L’impazienza pretende l’impossibile, cioè il raggiungimento della meta senza i mezzi. Da un lato invece poiché ogni momento è necessario, bisogna sopportare la lunghezza di questo cammino; dall’altro lato bisogna soffermarsi presso ogni momento, in quanto ciascuno è esso stesso una figura individuale totale, e va considerato in senso assoluto solo se la sua determinatezza viene intesa come totalità (Ganzes) o concretezza (Konkretes), come 16 17 cfr. ibid. p.79 Ibid. 7 il Tutto nella peculiarità ( das Ganze in der Eigentümlichkeit) di questa sua determinazione.18 Si tratta, anche nella scienza, della immane fatica della storia del mondo. Lo Spirito stesso se la è addossata19. Il discorso della scienza non sta nei suoi asserti e non sta nemmeno nelle sue rappresentazioni. Il modo più comune di ingannare sé e gli altri consiste nell’introdurre nella conoscenza qualcosa di noto e di accettarlo così come è, e, in tal caso, nella congerie dei suoi discorsi un tale sapere non fa un solo passo avanti né si rende conto di come ciò accade. Senza il minimo esame, il soggetto e l’oggetto: Dio, la natura, l’intelletto,la sensibilità, etc. vengono così posti a fondamento come noti e come qualcosa di valido, e costituiscono dei punti fermi per il transito di andata e ritorno.20 Se non si ha coscienza di tale funzionamento, si ripiomba - sostiene Hegel – in un metodo speculare ed astratto, che ricade al di qua della formazione del discorso scientifico. I concetti propri di tale discorso vengono così posti a fondamento come un che di noto e di valido. Il movimento si dispiega allora necessariamente tra questi punti che rimangono immobili, e con ciò si sfiora solo la superficie. Da questa angolazione, l’apprendimento e la verifica consistono nel vedere se ognuno trovi nella propria rappresentazione ciò che un tale sapere ha detto, se gli sembri che le cose stanno così e se gli siano note o no.21 Si ricade, in questo modo, nei termini del linguaggio teorico contemporaneo, in una sorta di ideologia della scienza22. La scienza per Hegel sembra così configurarsi come rapporto tra un non proprio del soggetto e un supposto sapere dell’oggetto. Aprire la strada ad una scienza autentica sembrerebbe affidato alla possibilità di aufheben, togliere conservando, la forma del suo essere nota. Ora l’analisi (analysiren) di una rappresentazione, così come è stata in genere condotta nel passato, non è consistita in altro che nello aufheben della forma del suo essere nota.23 18 Ibid. p.81-83 Cfr. ibid. p.83 20 Ibid. p.85 21 Ibid. 22 Cfr. G. Dalmasso, Di chi? Il proprio nelle scienze, in Scienze della persona: perché?, a cura di G. Bertagna, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006. 23 Fenomenologia dello spirito, cit., p.85 19 8 La validità e l’esito di una impresa scientifica è determinata da una risorsa e da un desiderio che ineriscono alla vita e alla struttura del soggetto. La “verità” del sapere sembra passare attraverso una scissione ed una morte accettate da tale soggetto. Scomporre una rappresentazione nei suoi elementi originari, infatti significa ridurla ai suoi momenti, i quali per lo meno non hanno più la forma della rappresentazione in questione, ma costituiscono l’immediata proprietà del Sé. Questo stesso elemento scisso (Geschiedne) e irreale, però, è un momento essenziale: il concreto, infatti, è automovimento solo perché si scinde e si fa irreale. L’attività dello scindere e del separare è la forza ed il lavoro dell’intelletto, della più straordinaria e grande potenza (…). Ma il fatto che l’accidentale in quanto tale, separato dalla propria sfera, il fatto che ciò che è legato ad altro ed è reale solo in connessione ad altro ottenga un’esistenza propria ed una libertà separata, tutto ciò costituisce l’immane potenza del negativo: tutto ciò è l’energia del pensiero dell’Io puro. La morte, se così vogliamo chiamare quella irrealtà, è la cosa più terribile, e per tenere fermo ciò che è morto è necessaria la massima forza. Se infatti la bellezza impotente odia l’intelletto, ciò avviene perché si vede richiamata da questo ad un compito che essa non è in grado di assolvere. La vita dello Spirito invece non è quella che si riempie d’orrore dinnanzi alla morte e si preserva integra dal disfacimento e dalla devastazione, ma è quella vita che sopporta la morte e si mantiene in essa.24 3. IL PRIMA E IL POI Questo spiazzamento di una identità che tenga in pugno il soggetto ha la forma del tempo. Cioè di un prima s(zuerst) e di un poi (denn) (il noch nicht martella implacabilmente le pagine maggiori di Hegel). Si tratta di cercare di pensare il senso di questa oscillazione, di questa opposizione fra prima e poi. Tutte le altre opposizioni nel testo di Hegel (positivo/negativo, razionale/irrazionale, buono/cattivo, interno/esterno, vero/falso) sembrano varianti di questa opposizione originaria fra il prima e il poi. L’opposizione è originaria perché delimita l’atto, il pensare stesso come atto, cioè l’accadere, il generarsi, il costituirsi, nel senso goethiano di “in principio era l’azione”25. Hegel non prende le mosse della sua filosofia, a differenza di come oggi si pensa facessero i greci, dalla evidenza e dallo splendore del mondo, ma piuttosto dalla contemplazione della storia. Storia significa concatenamento dei 24 Ibid. pp.85-87 Il termine generarsi, in questo scritto evocato in modo nodale, non è univoco nel linguaggio teorico di Hegel. Esso è espresso, a seconda dei contesti, da una batteria di termini come hervorzubringen (produrre), erzeugen (generare), entstehen (formarsi, Entstehung, genesi), schaffen (creare). 25 9 fatti, degli atti. Ci si può stupire non solo e non tanto per la bellezza e l’ordine del mondo, quanto per la bellezza e l’ordine della storia. Qui il discorso si fa duro. La storia, il legame temporale dei fatti (compresi quei fatti che sono le idee) è per Hegel amico. Hegel è in questo senso debitore consapevolmente ad un linguaggio e ad una concezione del tempo che va da Plotino a sant’Agostino. Nella storia l’uomo nasce, rischia, scommette, lotta spera, giudica. Si tratta piuttosto del fatto che la corrispondenza con gli altri e con le cose, il luogo dove l’io è come restituito a se stesso, è proprio la storia come intreccio, rincorrersi, ricominciare di avvenimenti. Come si possono fare queste affermazioni? Si tratta di imparare a leggere la strategia, vera o falsa o delirante, di tali strutture conoscitive del linguaggio hegeliano. I fatti, gli avvenimenti sono d’altra parte originariamente elaborati, pensati e quindi intrecciati alla storia del pensare, e dunque per Hegel alla storia della filosofia. La stessa storia della filosofia è amica nel senso accennato. Nel rincorrersi di queste due amicizie, della storia e del pensiero, si collocherebbe al verità. La questione del lessico hegeliano sembra aggravarsi ulteriormente. Stupisce non infrequentemente lo stile “leggero” e denegante, che spesso si presenta nella forma e nell’intento di fare chiarezza, di molti interpreti e di molti storici della filosofia. Penso ad esempi del tutto evidenti, perfino clamorosi, come le formule, “immane potenza del negativo”, “Calvario dello spirito assoluto”: si pone pressantemente la questione del senso metaforico di tali immagini.26 Il linguaggio metaforico in Hegel esprime un percorso certamente di natura non letteraria, e che inerisce alla struttura del segno, anche sensibile, della coscienza. Come una sorta di ferita nella carne. Non so se il linguaggio di Hegel non possa contenere- come ritiene Kierkegard- esperienze come la promessa, la preghiera, la speranza, la fede. Contiene però, io credo, la carne, la morte ed anche soprattutto il futuro. 4. IL FUTURO COME IL NASCOSTO Hegel non fa che parlare del futuro. Il suo pensiero è sospeso al senso del futuro. Prospettare il senso del futuro in termini propositivi, come conoscenza e come azione, implica oggi una buona dose di audacia. Anche in questo caso, come sempre in Hegel ci troviamo di fronte ad un discorso come di secondo grado. Anche qui si tratta di contemplare un uomo, un io, uno che in ogni caso pretende sapere, che in qualche modo riesce a pensare un futuro. Sul legame inscindibile fra l ‘uso metaforico del linguaggio e il problema della dicibilità e pensabilità di un significato in filosofia cfr. : Clementina Cantillo, Concetto e metafora. Saggio sulla storia della filosofia in Hegel, Loffredo Editore, Napoli 2007. 26 10 Si pone qui la questione del nascosto. Il futuro non consiste, per Hegel in ciò che sta, più o meno problematicamente, davanti a me, anche se Hegel continua ad incalzarci con il suo non ancora (noch nicht). Il non ancora significa che non c’è ancora lo spirito, che non siamo spirito, che non è avvenuto il concetto, che non siamo arrivati alla verità di questo concetto, di questo accadere. Il dopo oscilla con il prima. Tutto ciò introduce ad una sorta di contrizione, anche solo “laica”, atea, del pensiero. Il futuro era stato definito dal grande Vico come il “nascosto degli uomini”27. Non il nascosto agli uomini (che è il passato), ma il nascosto degli uomini. In questo del si gioca la ridefinizione radicale del senso delle opposizioni di cui è strutturato il pensiero: positivo/negativo, razionale/irrazionale, buono/cattivo, interno/esterno, etc… Si gioca l’appartenenza segreta al futuro che è la cerniera che agisce in queste opposizioni e le costituisce. Nell’Anmerkung al paragrafo 453 dell’Enciclopedia significato dell’ immagine. Hegel parla del L’intelligenza è dunque questo pozzo notturno in cui è conservato un mondo di immagini e rappresentazioni infinitamente molteplici, senza che esse siano nella coscienza. Cogliere l’intelligenza in questi termini è, da un lato, l’esigenza universale di cogliere il concetto come concreto, esigenza analoga, per esempio, a quella di cogliere il germoglio contenente affermativamente, in possibilità virtuale, tutte le determinatezze che vengono all’esistenza soltanto nello sviluppo dell’albero. L’incapacità di cogliere questo universale, il quale, essendo entro sé concreto, permane tuttavia semplice (Einfach), ha fatto credere che le rappresentazioni particolari siano conservate in fibre (Fibern) e sedi (Pläzen) particolari, e che ciò che è diverso debba anche avere, essenzialmente e soltanto, un’esistenza spaziale isolata. Ora il germoglio va dalle determinatezze esistenti soltanto in un altro, cioè nel germoglio del frutto, per poi ritornare nella sua semplicità, cioè nuovamente nell’esistenza dell’essere-in-sé. L’intelligenza, invece, in quanto tale, è l’esistenza libera dell’essere-in-sé che, nel suo sviluppo, si ricorda entro sé. Dall’altro lato, dunque, l’intelligenza va colta come questo pozzo inconscio (Bewußtlose), cioè come l’universale esistente in cui ciò che è diverso non è ancora posto come discreto. E, per la precisione, questo in-sé è la prima forma dell’universalità che si offre nella rappresentazione. (par. 453). Il possibile sembra così costituirsi nello spazio della memoria, sembra essere la modalità di rapporto in cui la realtà si origina e in cui il possibile è contenuto a ritardo. Il possibile per Hegel è relativo a un non essere della memoria. Il possibile e il tempo sono così la piega, conoscibile a ritardo, dell’essere generati. E’ quanto 27 Scienza nuova, par.342. 11 afferma Franco Chiereghin nella sua introduzione alla Fenomenologia dello spirito di Hegel.28 Soltanto nell’agire la coscienza in quanto “ragione” perviene alla certezza della propria realtà: qualunque cosa il singolo operi, purchè operi, <<è lui che l’ha fatta, ed essa è lui stesso; l’individuo può solo avere la coscienza del puro tradurre se stesso dalla notte della possibilità al giorno della presenzialità, dalla notte dell’astratto in-sé alla prestanza significativa dell’effettuale essere e può avere la certezza che quello che a lui sorge nella luce non è se non ciò che nella notte dormiva>>.29 Mentre per Aristotele il movimento è “il possibile in quanto possibile” in Hegel la possibilità è il movimento, il farsi dello spirito. La possibilità è cioè, per così dire, dalla parte della realtà: è la realtà considerata, sperimentata nel suo generarsi come esperienza e come storia. Si può dire che una realtà è possibile dopo, in una struttura di discorso che è il futuro anteriore. Il possibile è considerato cioè nella sua stessa genesi, è considerato come un farsi che investe la struttura del negativo come tale e del tempo come tale. Tale farsi non si riduce al negativo come immediato e al tempo come struttura di flusso, di svolgimento. Del possibile si parla invece, e se ne fa esperienza, platonicamente, a partire dalla memoria. C’è un farsi che è un prima, un futuro anteriore. Il futuro anteriore è la forma della verità non solo come impresa di conoscenza, ma come attività della memoria nella coscienza. 5. NOTA CONCLUSIVA Occuparsi di Hegel, commemorare (alla lettera) al di fuori dell’occasione ufficiale e di circostanza, la Fenomenologia dello spirito, significa, io credo, affrontare un modo di pensare e di far filosofia che è oggi, per esprimerci in termini minimalisti, notevolmente in contro-tendenza. È certo tuttora indubbia l’originalità, la genialità, anche la razionalistica compattezza del “sistema” hegeliano, ma è anche evidente la sua astrattezza di fronte ai problemi dell’oggi, problemi che per altro erano già quelli di fronte agli occhi di Feuerbach. Davanti ai tumulti del Quarantotto ed alla nascita di una rivoluzione operaia organizzata contro un sistema di produzione capitalista, il “sistema” di Hegel si trovò, storicamente, a mal partito (alla lettera), non tanto per l’incapacità dialettica di pensare questi eventi, quanto per il carattere F. Chiereghin, La “Fenomenologia dello spirito” di Hegel. Introduzione alla lettura, Roma, NIS, 1994. 29 Ib., pag. 113. La citazione dalla Fenomenologia è in G.V., Bd. 9, hrsg. von W. Bonsiepen, R. Heede, 1980, pag. 220. 28 12 spiazzante ed imprendibile, proprio dal punto di vista speculativo, teorizzato da Hegel, degli eventi stessi. Eventi che, se il grande filosofo non fosse stato stroncato dal colera, avrebbe potuto “pensare” ? Probabilmente no, se teniamo presente anche la precoce devastazione degli effetti del suo insegnamento: devastazione data proprio dallo snodarsi, storico e fattuale, di quell’intreccio fra teorie e prassi che pure il sistema “prevedeva”. C’è un altro aspetto, evidente quanto censurato, dello stile di pensare di Hegel. È un aspetto che in queste pagine, ho, parzialmente ed affrettatamente cercato di evocare, cioè un certo stile di pensiero per cui il mancante, il negativo, la storia come “farsi”, la morte, non sono, di per sé, iattura ed impedimento dell’umano, se l’umano è il luogo, secondo la tradizione greca e cristiana, dell’agire di un significato. La contro-tendenza di una filosofia come quella hegeliana, sembra consistere piuttosto nella sconfessione di una modalità, di un metodo, di avvistare e promuovere i significati. Il significato rilevante per l’uomo e il suo sapere è il significato discorsivo, cioè come effetto che presume attraversare e mettere in questione l’esperienza dell’umano e del mondo. Oggi la luce di un significato sembra gestibile e concepibile come l’atto del rassicurare ed eventualmente migliorare la natura dell’uomo. Ciò sembra avvenire fra cognitivismo e neuroscienze, fra certi usi della filosofia analitica e certi rilanci di progetti fenomenologici, Questi tentativi, se allarghiamo il discorso ad un quadro più ampiamente culturale e politico e non solo “tecnicamente” filosofico, si sviluppano scrupolosamente eliminando la forma temporale del significato. La temporalità è infatti per lo più vista come crepa inaccettabile di un progetto, come la debolezza nell’impresa di tamponare le falle per una gestione felice e pacifica dei legami. Il tempo infatti, nella sua struttura, porta il negativo e la fine (compresa la morte). Viviamo perciò in una società in cui l’immagine (a livello di discorso, retorica, segno, etc…) è in primo piano ed è curiosamente evacuata da un riferimento temporale nella sua struttura, direi quasi nella sua “ontologia” Il sistema di Hegel perciò sembra porsi in modo particolarmente ostico per l’uomo e per l’intellettuale di oggi, non tanto e non solo per la sua natura datata in termini storici, culturali, linguistici, ma invece proprio in quanto esso avversa una concezione dell’esperienza e del metodo che fa leva su un progetto di mera “rassicurazione” e di mero “miglioramento”. Il compimento, per il pensatore tedesco, è imparentato con una strategia ancora (?) aristotelica, cui Hegel ambisce, in cui il compimento è tutto spinto e prodotto dall’azione di un negativo, di una mancanza che non ha più la forma della dymamis ma che comporta un rischio essenziale per l’esperienza e per il pensiero. Lo spicco e l’interesse di tali questioni mi sembrano anche date dal fatto che l’io, modernamente inteso, è esso il luogo di tali ambivalenze e di tali decisioni. Piuttosto che attardarsi, secondo modalità sia cristiane sia “laiche”, ad analizzare inadempienze e contraddizioni (dal supposto panteismo al supposto finalismo meccanicistico e/o razionalista del sistema, etc…) mi 13 sembra più urgente ed utile affrontare la questione del metodo e della strategia del percorso di Hegel. Affrontare cioè, lo abbiamo già affermato, il modo con cui Hegel lavora, piuttosto che occuparsi meramente di ciò che Hegel dice. Qui forse si potrebbe riscoprire, fuori da ricorrenti censure e fraintendimenti, anche la portata del compito apologetico che Hegel ha assegnato al suo sistema (rispetto a cui lo schema della “laicizzazione del cristianesimo sembra ormai decisamente inadeguato). Che cosa può dare unità, identità, ad un uomo che ospita la mancanza, il negativo e la morte dentro la sua parola e dentro il suo progetto, e dentro il progetto stesso della filosofia? La risposta, che va al di là del limite di questo mio scritto, rimanda al senso della libertà, di quella libertà che Hegel ha, in senso sia cristiano sia romantico, rilanciato al compito di pensiero dell’Occidente. L’essere uomo, modernamente e post-modernamente per un io che non poggia su puntelli rassicuranti e dominabili, da che cosa può essere unificato se non da un sì, da un’adesione ad un movimento generativo impossibile quanto ospitale? 14