L’Economia Sociale/Civile – Come sta gradualmente trasformando il contesto economico Leonardo Becchetti, Università di Roma Tor Vergata [Background paper – Bozza preliminare] Sintesi La crisi che stiamo vivendo è multidimensionale poiché colpisce almeno cinque dimensioni (economica, finanziaria, ambientale, monetaria e quella del benessere sociale) e richiede soluzioni in grado di affrontare contemporaneamente i molteplici aspetti del problema. Il sistema economico, così come è stato concepito finora (una somma di pure azioni auto-interessate da parte di individui e imprese, che dovrebbero essere trasformate in un ottimo sociale dalla mano invisibile del mercato e dalla “mano visibile” di istituzioni benevolenti, perfettamente informate e indipendenti), sembra incapace di risolvere il problema in questione a causa di tre riduzionismi (antropologico, d'impresa e di definizione del valore) che sono alla radice della crisi finanziaria globale e consumano capitale sociale, risorsa fondamentale per la sua soluzione. In questo saggio viene spiegato come l’emergere dell’economia sociale/civile all’interno di un sistema di imprese, in cui è presente la “biodiversità”, può fornire una soluzione strutturale, dando un contributo fondamentale per la ricerca di uno sviluppo sostenibile con alti tassi occupazionali e di coesione sociale. La caratteristica specifica di questo nuovo paradigma emergente è l’ibridazione dei comportamenti aziendali e individuali (consumatori/investitori). Nel presente lavoro è illustrato come il passaggio verso questo nuovo paradigma è già iniziato dal momento che un gruppo minoritario di imprese e cittadini sta progressivamente internalizzando le esternalità sociali e ambientali nelle loro scelte, coerentemente con un mix di comportamento auto-interessato standard e lungimirante e preferenze pro-sociali. Sono inoltre descritte alcune caratteristiche dei nuovi attori dell’economia sociale e civile (forme vecchie e nuove di cooperative, impact investors, società for profit con vari portatori di interessi, fondi di investimento e banche socialmente responsabili, ecc.) e delineate alcune questioni politiche chiave (fisco, norme sugli appalti, sviluppo degli intermediari dell’informazione) che saranno fondamentali per il pieno sfruttamento del potenziale del nuovo paradigma. 1. L’IDEA (E IN COSA DIFFERISCE DAL VECCHIO SISTEMA) Una caratteristica dell’attuale scenario socioeconomico è l’interconnessione delle molteplici dimensioni della crisi (economica, finanziaria, ambientale, monetaria e quella del benessere sociale). Con il rischio che una soluzione, valida per una specifica dimensione, possa produrre esternalità negative sulle altre. La visione tradizionale su come il sistema economico affronta il problema è basata sui seguenti tre elementi: i) una molteplicità di individui caratterizzati da autointeresse miope che massimizzano il proprio ritorno economico; ii) una molteplicità di imprese dedite alla massimizzazione del profitto che danno priorità agli azionisti rispetto a tutti gli altri portatori di interessi (consumatori, lavoratori, comunità locali, fornitori, ecc.); iii) istituzioni benevolenti e perfettamente informate, sufficientemente indipendenti da non essere soggette all’influenza del legislatore. Si suppone che il sistema funzioni sulla base delle seguenti fondamentali premesse: individui e imprese non devono essere responsabili poiché è presente la mano invisibile del mercato, ci sono dei meccanismi per cui le risorse dai ricchi arrivano ai poveri (i cosiddetti meccanismi dello sgocciolamento o trickle down) e la “mano visibile” delle istituzioni contrasta le esternalità negative sociali e ambientali, fornendo beni pubblici e riconciliando i molteplici interessi privati con l’ottimo sociale. In sostanza, la mano invisibile del mercato e la mano visibile di istituzioni benevolenti e perfettamente informate, sufficientemente forti da non essere influenzate dal legislatore, trasformano la somma delle miopi azioni egoiste delle imprese e degli individui nel benessere sociale. Il sistema socioeconomico così concepito ha recentemente dimostrato in molti modi di essere estremamente fragile per molteplici ragioni: i) la globalizzazione indebolisce il potere delle istituzioni che hanno un ambito d’azione domestico anche se si sforzano di diventare globali per fronteggiare multinazionali che hanno già una dimensione globale. Questo riduce il potere contrattuale delle prime nei confronti delle seconde, creando così le condizioni per il paradosso della “ricchezza senza nazioni e nazioni senza ricchezza”; ii) i meccanismi di trasferimento delle risorse sono indeboliti dalla competizione globale sulla tassazione, creando una sempre maggiore disuguaglianza, con i redditi del primo percentile della popolazione che crescono a fronte di una stagnazione di quelli del resto della popolazione 1 ; iii) la crisi finanziaria ha dimostrato che le imprese orientate al profitto assumo eccessivi rischi a causa delle distorsioni nei sistemi di incentivo dei manager e degli operatori di mercato e ha indebolito il potere del legislatore. Uno dei principali fattori della fragilità, sotto questo aspetto, risiede nell’asimmetria dei meccanismi di incentivo (bonus e stock option che rendono i manager e gli operatori di mercato come degli azionisti (ovvero dei residual claimants) negli stati favorevoli della natura e paracaduti d’oro che li isolano dalle perdite che si hanno negli stati sfavorevoli della natura), per cui manager e operatori di mercato si appropriano dei ritorni economici quando i mercati finanziari sono in espansione mentre condividono le perdite con tutti quando i mercati finanziari si contraggono2. In sostanza, la mani visibili e invisibili non possono impedire la crisi finanziaria globale. L’applicazione del principio del liberismo (laissez-faire) al più importante settore dell’economia globalizzata, il settore finanziario, ha dimostrato come il mercato lasciato a se stesso non necessariamente porta naturalmente alla competizione, ma, al contrario, ha contribuito allo sviluppo di quelle organizzazioni troppo grandi per essere lasciate fallire, organizzazioni che hanno esercitato una certa pressione per cambiare le leggi in loro favore e per massimizzare il loro profitto di breve termine (non rettificato per il rischio), portando l’intero sistema economico globale sull’orlo della bancarotta. 1 “Il denaro che doveva ripianare le disuguaglianze è invece evaporato al mite clima delle isole Cayman” – Joseph Stiglitz. Un recente articolo del Fondo Monetario Internazionale (Laeven e Valencia, 2011) stima che la crisi finanziaria globale ha prodotto in Europa, in media, una crescita nel rapporto debito/PIL più alta del 30% , con picchi del 70% in Islanda e Irlanda e con più del 20% in Grecia, Germania, Regno Unito, Belgio e Paesi Bassi. 2 Un ulteriore fragilità intrinseca del sistema socio-economico così concepito è il suo squilibrio etico: il sistema richiede troppe virtù civiche dalle istituzioni e troppe poche da aziende e privati. Il suo funzionamento non stimola nei singoli individui quelle virtù e quelle componenti del capitale sociale (quali la fiducia, l'affidabilità, l'integrità, la reciprocità, il rispetto dei patti, ecc.) che sono essenziali per il funzionamento delle stesse regole del mercato in un contesto di informazione asimmetrica e contratti incompleti (quando, come è normale che sia, non è possibile avere la tutela giuridica per tutte le azioni e le circostanze nelle relazioni sociali ed economiche). Senza il capitale sociale gli individui non corrono il "rischio sociale" e non producono quei guadagni super-additivi e quelle economie di scala che di solito sono generati dalla cooperazione. È difficile valutare quanto queste caratteristiche hanno contribuito in termini positivi e negativi ai più recenti fatti stilizzati della globalizzazione, che presenta luci e ombre. Anche se negli ultimi dieci anni un elemento favorevole è stata la crescita del reddito nelle economie emergenti (una crescita di circa il 70% per chi stava nel parte centrale della distribuzione mondiale del reddito), i più poveri sono rimasti fuori da questa crescita e la loro distanza dall’elite globale in forte sviluppo (una crescita del reddito del 60% nell'ultimo decennio) si è allargata. Mentre questo stava accadendo, abbiamo assistito al declino della classe media nei paesi sviluppati (la maggior parte della quale si trova in Europa), che è in competizione con i lavoratori a basso salario dei paesi emergenti. Tutti questi cambiamenti implicano che ci stiamo allontanando dalla distribuzione bimodale del reddito globale (ricchi e poveri) per muovere verso una distribuzione unimodale, con una classe media in espansione (che è ancora abbastanza povera, con un reddito giornaliero da 3 a 16 Dollari) e una crescente disuguaglianza tra i più ricchi e i più poveri. Questo fenomeno è ben documentato dal fatto scioccante che gli 85 individui più ricchi hanno un reddito pari a quello dei 3,5 miliardi di individui più poveri; l’1% della popolazione più ricca possiede 81.000 miliardi di Euro, che è 65 volte la ricchezza della metà più povera del pianeta. La convergenza condizionata (ovvero tassi di crescita economica più alti per i paesi meno sviluppati) ha ridotto , in media, la distanza tra i paesi ricchi e quelli poveri in termini di PIL pro capite, al tempo stesso si è tuttavia assistito ad un aumento della disuguaglianza dei redditi all'interno dei paesi (a causa dell’aumento del divario salariale tra persone qualificate e non). In ogni caso, i processi automatici di aggiustamento/(forse sarebbe meglio dire di convergenza) sono troppo lenti. Se provassimo a proiettare nel futuro gli attuali tassi di crescita, ci accorgeremmo che, nel caso restassero gli attuali trend, la Cina e i paesi africani terminerebbero, in media, il processo di convergenza tra 60-100 anni. Eppure, ci sono oggi 2,7 miliardi di persone che vivono con meno di due dollari al giorno e molti di loro non vivrebbero così a lungo per vedere completato questo processo. La disuguaglianza crescente e, più in particolare, le difficoltà del "bottom million" ci dicono che ci sono gruppi di "persone emarginate" non in grado di sfruttare i vantaggi del mercato (Milanovic, 2014). L’onda crescente solleva tutte le barche ad eccezione di quelle con un’ancora troppo corta, che, al contrario, saranno colpite e affondate. Nonostante la maggior parte della popolazione più povera non vive nei paesi della UE, la concorrenza con le persone con salari bassi presenti nei mercati globali del lavoro agirà come una legge di gravità, determinando una spinta verso il basso delle condizioni del mercato del lavoro nei nostri paesi. La mancanza di armonizzazione della normativa fiscale a livello mondiale genera una "corsa al ribasso" nei sistemi di tassazione, rendendo difficile generare risorse pubbliche necessarie per finanziare beni e servizi pubblici. La "crescita-non-importa-come", ancora più tale con espedienti come quelli di gonfiare le cifre del PIL con le attività illegali, non produce vero benessere e rafforza il paradosso di Easterlin (il divario tra il PIL e le misure di benessere) e mette in discussione il consenso sociale e politico per governare. Il corretto funzionamento della mano visibile delle istituzioni dipende strettamente dal capitale sociale complessivo (fiducia, affidabilità, senso civico, sistemi fiscali) sia dei consumatori sia del sistema produttivo, senza il quale il sistema consuma e distrugge tutte le buone politiche. La massimizzazione del profitto combinata con la concorrenza globale dei lavoratori e più deboli regole istituzionali per l’occupazione tendono a produrre una corsa al ribasso delle condizioni di lavoro e ambientali con un calo del rapporto salario/PIL, condizioni di alta disoccupazione e peggiori condizioni per i lavoratori più poveri (working poor). 1.2 Le tre cause dei limiti del paradigma tradizionale Sono identificate tre principali cause dei problemi multidimensionali sopra descritti (tre forme di riduzionismo): i) il riduzionismo relativo alla definizione del valore con cui il benessere è destinato a coincidere con il PIL "non-importa-come" (e non con altre misure di benessere più complete); ii) il riduzionismo d’impresa secondo il quale le aziende sono concepite solo come imprese dedite alla massimizzazione del profitto (e non come società multistakeholder, social business o impact investor). Il riduzionismo d’impresa confonde la "torta" (creazione di valore aggiunto, che è il contributo dell’azienda al benessere economico) con una delle fette che va a una specifica categoria di stakeholders (gli azionisti - sotto forma di utili); iii) il riduzionismo antropologico per cui gli individui sono concepiti come homines economici che massimizzano i propri profitti monetari (e non come esseri umani più complessi e orientati alle relazioni, con un insieme più articolato di preferenze, che includono l’avversione alla disuguaglianza, la reciprocità, l'altruismo puro e strategico, la fiducia e l’affidabilità, come ampiamente dimostrato dall’economia sperimentale). Al contrario, oggi è provato dagli esperimenti condotti nell’ambito economia comportamentale che gli individui hanno preferenze pro-sociali che rientrano in due grandi classi di modelli: quelli impostati sugli aspetti distributivi e quelli legati agli aspetti basati sulle intenzioni. Più specificatamente, la letteratura dimostra che la cooperazione può verificarsi principalmente per l’altruismo puro o impuro (Andreoni, 1989 e 1990), per l’avversione alla disuguaglianza (Fehr e Schmidt, 1999), per l'avversione al tradimento (Bohnet e Zeckhauser 2004, Bohnet et al., 2008 ), per senso di colpa (per i risultati empirici si veda Charness e Dufwenberg, 2006) e per la reciprocità (Fehr e Gächter, 1998). Engel (2012) conclude il suo meta-esperimento, condotto mettendo insieme i risultati di 328 diversi esperimenti e 20.813 osservazioni da tutto il mondo, affermando che meno di un terzo degli individui osservati si comporta come un homo economicus e che "Mentre di norma una frazione considerevole di partecipanti effettivamente non intende dare nulla, come postulato dalla teoria della massimizzazione del profitto, solo raramente questa è stata la scelta maggioritaria. È ormai pacifico che le popolazioni umane sono sistematicamente più benevole dell’homo oeconomicus.”3 Gli esperimenti tipici utilizzati per verificare l'esistenza di altre tipologie di preferenze sono condotti all’interno della teoria dei giochi: Dictator Games (Andreoni e Miller, 2002), Ultimatum Games (Güth, Schmittberger e Schwarze, 1982, Camerer e Thaler 1995), Gift and Exchange Games (Fehr, Kirchsteiger e Reidl, 1993 Fehr, Kirchler, Weichbold e Gächter 1998), Trust Games (Berg, Dickhaut e McCabe 1995, Ben-Ner e Putterman 2006) e Public Good Games (Fischbacher, Gächter e Fehr 2001 Sonnemans, Schram e Offerman 1999, Fehr e Gächter 2000). 3 Questi tre visioni riduzioniste limitano il potenziale contributo degli esseri umani e delle imprese alla propria vita fiorente e al benessere sociale. Questo perché la maggior parte dei rapporti sociali ed economici si configura come dei tipici "dilemmi sociali" (come il dilemma del prigioniero, i giochi di fiducia, i giochi di collegamento, la caccia al cervo, ecc.), dove le strategie miopi ed egoiste dell’homo economicus producono risultati economici subottimali rispetto al comportamento cooperativo. In questo senso si può dire che la miope razionalità egoista è una forma inferiore di razionalità. Una delle migliori descrizioni dell’inferiorità della razionalità del riduzionismo antropologico è contenuta in un noto passo di Hume « Il tuo grano è maturo, oggi, il mio lo sarà domani. Sarebbe utile per entrambi se oggi io... lavorassi per te e tu domani dessi una mano a me. Ma io non provo nessun particolare sentimento di benevolenza nei tuoi confronti e so che neppure tu lo provi per me. Perciò io oggi non lavorerò per te perché non ho alcuna garanzia che domani tu mostrerai gratitudine nei miei confronti. Così ti lascio lavorare da solo oggi e tu ti comporterai allo stesso modo domani. Ma il maltempo sopravviene e così entrambi finiamo per perdere i nostri raccolti per mancanza di fiducia reciproca e di una garanzia.» (Hume, Trattato sulla Natura Umana, 1740, libro III). 2. IL NUOVO PARADIGMA EMERGENTE CHE INCLUDE L’ECONOMIA SOCIALE In sostanza, il tratto distintivo del nuovo paradigma emergente è la presenza di due mani aggiuntive provenienti da società multistakeholder "che offrono beni pubblici" (Besley e Ghatak, 2001) e cittadini responsabili "che votano con il loro portafoglio", che riescono a superare i tre citati riduzionismi e completano e rinforzano l'azione delle istituzioni. Nel nuovo sistema una minoranza di cittadini responsabili hanno imparato a "votare con il portafoglio", consapevoli che il loro autointeresse lungimirante serve a premiare le aziende che sono all'avanguardia nell’"efficienza a tre dimensioni" (creazione di valore economico in modo socialmente e ecologicamente responsabile e non solo per la massimizzazione del profitto) 4. La caratteristica interessante del nuovo sistema è che non richiede livelli irrealistici di preferenze prosociali. I consumatori e gli investitori votano con il portafoglio, perché sempre di più capiscono che l’acquisto di prodotti provenienti da catene di valore rispettose dell'ambiente è un bene per la loro salute. La scelta di prodotti provenienti da catene di valore socialmente responsabili aiuta le aziende che sono più brave nel conciliare la creazione di valore con la soddisfazione dei lavoratori a vincere la sfida del mercato (a vantaggio del proprio futuro come lavoratori). Per società multistakeholder (la seconda mano addizionale) ci si riferisce, tra l'altro, a cooperative (di lavoratori, di banche, di consumatori, sociali e agricole), imprese mutualistiche, fondi di investimento etici, aziende for profit che adottano standard di responsabilità sociale di impresa, impact investors, fondazioni, istituzioni no profit di microfinanza, cooperative sociali, ONG, ecc. (vedi punto 2). Questo complesso e poliedrico gruppo di società può essere classificato in termini generali come social business. Secondo i dati relativi all’iniziativa dell'UE in ambito di social business, in Europa, tra le nuove imprese, una su quattro (una su tre in Finlandia, Francia e Belgio) appartiene al social business5. 4 Hiscox e Smyth (2010) hanno informato i clienti di un negozio di candele, ABC Carpet and Home a New York, un negozio visitato da più di 22.000 consumatori ogni settimana, che il proprietario aveva aderito ai principi della RSI. Un altro venditore di candele, con la vetrina sul lato opposto della strada, ha adottato le stesse norme sociali, ma non le ha pubblicizzate durante lo svolgimento dell’esperimento. L'esperimento ha dimostrato che la quota di mercato del venditore di candele che ha pubblicizzato la sua adesione al RSI è aumentata dal 20 al 40 per cento durante il periodo di osservazione. Il risultato non è cambiato anche quando il venditore ha aumentato il costo delle candele del 15%. In un contesto diverso, le aste internet di eBay, Hiscox, Broukhim, Litwin e Volosky (2011) hanno valutato gli effetti sulla disponibilità a pagare e sui prezzi di riserva relativamente ad un prodotto con caratteristiche RSI. Essi hanno riscontrato per le magliette a polo una disponibilità a pagare un prezzo fino al 45% più alto. Ciò implica che la pubblicizzazione ha aumentato significativamente la disponibilità a pagare dei partecipanti determinando un più alto prezzo di riserva. 5 http://ec.europa.eu/internal_market/social_business/index_en.htm. Perché il nuovo paradigma funziona meglio Il vantaggio del nuovo paradigma è che produce il capitale sociale (indispensabile per la soluzione dei dilemmi/problemi sociali sopra indicati) e sfrutta per intero il potenziale sociale ed economico delle persone e delle aziende, rendendo così più facile il compito delle istituzioni. Questo perché il social business, il consumo e il risparmio responsabile rafforzano i valori civili e stimolano il volontariato e le motivazioni intrinseche dei lavoratori. Il capitale sociale comprende la fiducia, l’affidabilità, il senso civico, i comportamenti reciproci, che generano la cooperazione e superadditività nel produzione economica.6 L’economia sociale/civile crea valore economico in modo socialmente e ambientalmente responsabile, utilizzando un approccio più efficiente rispetto ad una procedura standard a due stadi, per cui l'impresa massimizza il profitto, "non importa come", producendo esternalità sociali e ambientali negative che devono essere risolte dalle istituzioni a livelli molto elevati di costi sociali e pubblici. Questo approccio è più efficiente di quello basato sulle due fasi per cui le aziende profit oriented creano valore economico e generano esternalità sociali e ambientali negative che vengono poi affrontate, in una seconda fase, da istituzioni benevolenti o da organizzazioni di beneficenza no profit - della società civile. Il voto con il portafoglio dei consumatori impegnati produce un effetto contagio poiché la reazione ottimale delle aziende orientate al profitto è quella dell’imitazione parziale (Becchetti 2012). Esempi significativi sono i casi di imitazione e parziale adozione delle pratiche di commercio equo e solidale da parte di molte multinazionali (ad esempio Ciquita Rainforest Alliance, Tesco e Sainsbury, Ferrero, ecc.) e scelte di finanza etica da parte di molti intermediari finanziari e fondi di investimento. Perché il nuovo sistema può essere conveniente per le organizzazioni produttive? La soddisfazione di una più ampia gamma di portatori di interesse con la RSI comporta alcuni costi che possono però essere compensati da potenziali vantaggi. Tra questi ultimi, citiamo la minimizzazione dei conflitti con i portatori di interesse (Minor, 2009), una maggiore produttività da parte dei lavoratori a causa dei salari di efficienza (Shapiro e Stiglitz, 1984), i meccanismi di motivazione intrinseca e ??? (Deci, 1975), l'innovazione nella gestione/emissione dei rifiuti che anticipa una regolamentazione più restrittiva e crea leadership tecnologica, l'appropriazione del surplus dei consumatori interessati che hanno una maggiore disponibilità a pagare quando si tratta di acquistare prodotti socialmente e ambientalmente responsabili. Da un punto di vista istituzionale la crescita del social business è un miglioramento del benessere perché: i) i bilanci dei governi per la spesa sociale sono sempre più stringenti e ci sono meno risorse pubbliche per fornire beni e servizi pubblici; ii) il principio di sussidiarietà ci dice che le organizzazioni locali no profit possono fare meglio il lavoro, sfruttando le motivazioni intrinseche dei propri dipendenti, per fornire servizi a prezzi più bassi o con qualità più elevata; iii) gran parte della vita viene spesa nelle organizzazioni produttive e, anche se le regole di governance e dei mercati fossero perfette, la persone desidererebbero aspirare ad una vita migliore in cui le proprie motivazioni ideali sono più allineate con quelle delle aziende in cui lavorano. Il nuovo sistema di social business ci può far progredire molto nella massimizzazione della felicità e della soddisfazione nel lavoro (ad esempio la quota di persone che trovano significativi la loro vita e il loro lavoro); iv) noi dobbiamo contrastare la tendenza inevitabile verso un aumento della 6 Questo perché l'evidenza empirica ampiamente documenta che le preferenze non sono invarianti e sono influenzate dalle azioni giornaliere. Più specificamente, molti lavori empirici evidenziano che le persone che fanno giochi o lavori di squadra, sviluppano atteggiamenti più cooperativi (Heinrich et al. 2011, Becchetti et al. 2013) disoccupazione o, nella migliore delle ipotesi, verso una crescita senza lavoro, quando la massimizzazione del profitto si combina con la competizione globale tra lavoratori e con le regole del mercato del lavoro che, per favorire l’occupazione, riducono i diritti dei lavoratori e tendono a produrre una corsa al ribasso sulle condizioni di lavoro e ambientali con una caduta nel rapporto salario/PIL. 2. L’ECONOMIA CIVILE È GIÀ MA NON ANCORA: DATI E RISULTATI Esempi di violazioni dei riduzionismi d’impresa e antropologici sono molteplici e dimostrano che l'economia sociale è già al lavoro (violazioni del riduzionismo d’impresa) ed ha potenzialmente un terreno fertile per un suo ulteriore sviluppo (violazioni del riduzionismo antropologico). Citiamo alcuni di essi: 2.1 La disponibilità a pagare dei consumatori L’indagine su scala internazionale condotta da Nielsen, la “Consumer Globally Conscious” (2010) (28.000 interviste in 56 paesi), evidenzia una media del 46% di intervistati disposti a pagare di più per i prodotti con caratteristiche sociali ed ambientali. Anche se la letteratura relativa alla “contingent evaluation” ci dice che la disponibilità virtuale a pagare presenta sempre valori superiori a quelli reali (Carson et al., 2001), dai dati riscontrati sul campo, relativi alle quote di mercato dei prodotti etici (commercio equo e solidale o fondi di investimento etici), si evince che la quota effettiva (circa un terzo) è comunque rilevante. 2.2 Responsabilità sociale di impresa delle aziende for profit La società KPMG ha condotto un’indagine statistica in diversi paesi, il “Corporate Responsibility Report”, da cui emerge che nel 2005 il bilancio sociale è stato redatto dal 90% delle aziende giapponesi, dal 71% delle aziende del Regno Unito e dal 32% delle aziende statunitensi, nel 2011 si riscontra che il 95% delle 250 aziende più grandi del mondo ha stilato tale documento (KPMG Global Sustainability Services, 2005 e 2011, entrambi disponibili sul sito web di KPMG http://www.kpmg.com). Il “Corporate Social Responsibility Report” (ICCA 2010) mostra che il 31% delle top 500 di Fortune ha un dipartimento dedicato alla RSI. 2.3 L’investimento socialmente responsabile Il rapporto “Socially Responsible Investing Trends” evidenzia che negli Stati Uniti nel 2010 sono stati investiti 2,71 miliardi di dollari in fondi socialmente responsabili (FSR), corrispondenti ad una quota pari a circa l'11% del patrimonio complessivamente gestito in questo paese. Nel 2011 l'importo è salito a 3,74 miliardi di dollari (la somma del PIL del Brasile e Canada). Becchetti et al., (2014) hanno calcolato la performance dei fondi socialmente responsabili (FSR) e dei fondi convenzionali (FC) in diversi segmenti di mercato durante il periodo 1992-2012. Usando un campione unbalanced composto da più di 22.000 fondi, dimostrano che i FSR hanno giocato un ruolo di garanzia/immunizzazione sovra-performando i fondi convenzionali durante la crisi finanziaria del 2007. Altri lavori empirici hanno confermato pienamente questi risultati (Varma e Nofsinger, 2013). 2.4 Obbligazioni social impact Una delle principali banche internazionali, JP Morgan, stima che oltre 8 miliardi dollari sono già stati investiti per il positive impact, mentre nel prossimo decennio il mercato potenziale potrà variare da 400 miliardi a 1.000 di dollari, destinabili a più di 4 miliardi di persone che vivono meno di 8 dollari al giorno. 2.5 Le banche etiche I dati forniti dalla Global Alliance for Banking on Values (GABV) mostrano che le banche etiche o alternative negli ultimi dieci anni sono state maggiormente impegnate nei prestiti tradizionali rispetto alle banche tradizionali. In media hanno avuto dei coefficienti depositi/attività e prestiti/attività pari al 70% contro il 40% delle banche tradizionali. Questa è la logica conseguenza dell'approccio basato sulla massimizzazione del profitto delle banche tradizionali di sistema: le banche tradizionali hanno spesso preferito nel passato gli alti rendimenti provenienti da attività di trading rispetto ai minori rendimenti dei prestiti, considerati una "merce/commodity" in un mercato altamente competitivo. Un apparente paradosso è che le banche etiche sono risultate essere anche più capitalizzate rispetto alle banche tradizionali. Anche se queste non danno priorità agli interessi degli azionisti rispetto a quelli degli altri portatori di interesse, hanno avuto alla fine un valore superiore del coefficiente patrimoniale (specificatamente quello del Tier 1) perché hanno perso poco capitale con la crisi finanziaria e perché tradizionalmente reinvestono gli utili nel capitale della banca. Un altro punto interessante è che le banche etiche, che tradizionalmente prestano alle imprese sociali, nell’attività di credito commettono meno errori di tipo I e II (hanno una quota inferiore di crediti non performing/deteriorati e prestano a molti soggetti che sono razionati dalle banche tradizionali). 2.6 La microfinanza La “Microcredit Summit Campaign” a fine 2007 ha messo in evidenza che circa 3.552 organizzazioni di microfinanza (MFI) in tutto il mondo hanno raggiunto circa 155 milioni di debitori, di cui 107 milioni tra i più poveri. Ipotizzando una dimensione media delle famiglie di 5 membri, la microfinanza ha raggiunto circa 535,6 milioni di poveri. Circa la metà delle organizzazioni di microfinanza sono senza scopo di lucro. 2.7 Le società multistakeholer in Italia Il censimento ISTAT del 2012 evidenzia che ci sono 301.191 organizzazioni non profit in Italia, con una crescita del 28% rispetto al 2001 e con 681.000 dipendenti e 4,7 milioni di volontari (il 6,4% delle unità produttive e il 3,4% dei lavoratori dipendenti). Le cooperative sociali sono circa 11.000 (nel 2005 erano 7.363). Nel 2011 il rapporto CENSIS ha esaminato 79.949 cooperative con più di 1,3 milioni di lavoratori, vale a dire il 7,4% del forza lavoro totale (la quota sale al 23,7% nei servizi sociali, al 49,7% nel settore della sanità e assistenza sociale e al 24% nei trasporti). I due censimenti hanno della sovrapposizioni (ci sono in entrambi le cooperative sociali). Nel complesso si stima che il 10% della forza lavoro è impiegato nel settore del no profit, rappresentato dalle organizzazioni sopra richiamate. 2.8 Le cooperative In tutto il mondo ci sono più di 1 miliardo di persone che sono socie di cooperative.7 Le cooperative forniscono 100 milioni di posti di lavoro in tutto il mondo, il 20% in più rispetto alle imprese 7 La prima organizzazione cooperativa (una cooperativa di consumo di lavoratori tessili) è stata fondata nel 1843 a Rochdale, Regno Unito. Le origini delle cooperative di lavoro risalgono al 1831, quando la prima organizzazione fu fondata a Parigi da un'associazione di falegnami. I crediti cooperativi sono stati avviati dal lavoro pionieristico di multinazionali. L'attività economica delle maggiori 300 cooperative nel mondo è pari alla decima economia nazionale. In India e Cina ci sono più di 400 milioni di persone che fanno parte di cooperative. In Germania e negli Stati Uniti una persona su quattro è socia di una cooperativa, mentre in Canada ci sono quattro persone tesserate ogni dieci. In Giappone una ogni tre famiglie è membro di una cooperativa. Le cooperative di zucchero d'acero del Canada producono il 35% della produzione mondiale di zucchero d'acero. In Polonia le cooperative lattiero-caseari sono responsabili del 75% della produzione lattiero-casearia. In Germania 20 milioni di persone sono membri di cooperative, una persona su quattro. A Singapore il 50% della popolazione (1,6 milioni di persone) è membro di una cooperativa. 2.9 Le banche cooperative A livello mondiale le cooperative finanziarie raggiungono oltre 621 milioni di persone nei paesi del G-20 ed erogano prestiti per 3,6 miliardi di dollari, hanno depositi di risparmio per 4,4 miliardi di dollari e hanno asset totali per 7,6 miliardi di dollari. All'interno della famiglia cooperativa, l’International Cooperative Bank Association (ICBA) include tutte le banche che nei vari paesi assumono questa forma e, tra queste, ci sono le Banche cooperative e le Banche popolari in Italia, le Building societies e le Credit unions nel Regno Unito, le Mutual savings and loans e le Credit unions negli Stati Uniti. Queste non sono solo banche piccole; il Crédit Agricole, per esempio, figurava nel 2008 al nono posto tra le prime 50 banche in termini di patrimonio netto, mentre altri istituti, come Rabobank, Caisse d'Epargne, Banque Populaire, Crédit Mutuel, occupano un posto tra la ventesima e la quarantesima posizione. Il ruolo delle banche cooperative non è trascurabile neanche in termini di quote di mercato. Bongini e Ferri (2007) mostrano che le banche cooperative, rispetto all’intero settore bancario italiano, rappresentano circa un terzo dei depositi (33,7%) e poco meno in termini di impieghi (29,5%). Le quote degli sportelli delle cooperative in alcuni paesi dell'UE sono ancora più alte (il 60% del totale in Francia, il 50% in Austria e circa il 40% in Germania e Paesi Bassi), con la loro quota di mercato nell'UE, in termini di totale attivo, che è aumentata dal 9 al 15 per cento a partire dalla metà degli anni 1990 fino al 2004 (Hesse e Cihak, 2007). 2.10 Le cooperative sociali Di norma le cooperative rientrano nel tradizionale principio della mutualità circolare (un gruppo crea una organizzazione i cui benefici sono destinati a tornare a chi l’ha creata), mentre le cooperative sociali estendono il principio di mutualità al di là della forma diretta8, anche a forme indirette di reciprocità, (un gruppo di cittadini crea un organizzazione con l'obiettivo di erogare servizi a terzi). Più specificatamente, secondo la legge italiana n. 381/1991, che ha definito giuridicamente le cooperative sociali, gli obiettivi delle cooperative sono i) l'inserimento lavorativo delle persone svantaggiate, ii) il benessere della comunità e iii) la promozione del benessere delle persone. Le cooperative sociali sono di due tipi. Le cooperative di tipo A operano nella sanità e nell'istruzione, mentre le cooperative di tipo B hanno come obiettivo specifico l’inserimento nel lavoro di persone appartenenti a categorie svantaggiate (disabili, ex detenuti, ex tossicodipendenti), che devono rappresentare non meno del 30% della forza lavoro totale. Friedrich Willhelm Raiffeisen che ha fondato nel 1849 la prima banca rurale. Le cooperative agricole hanno origine in Danimarca a fine '800, mentre l'origine delle cooperative sociali, che sono oggetto del nostro lavoro (siamo sicuri che solo le cooperative sociali sono oggetto di questo lavoro?), è molto più recente (1963 a Brescia). 8 Per la letteratura sulla reciprocità indiretta si veda, tra gli altri, (Stanca, 2010, Nowak e Sigmund, 2005). 3. POLITICHE PER UN ULTERIORE SVILUPPO DELL’ECONOMIA CIVILE Ciò che oggi appare essenziale è la necessità di dare un valore al costo delle esternalità negative ambientali e sociali per evitare che la minore tutela del lavoro e l’arbitraggio fiscale trasformino la globalizzazione in una corsa al ribasso in tema di sostenibilità sociale e ambientale. Considerando questo obiettivo più generale, le istituzioni nazionali e internazionali potranno proteggere anche la “biodiversità”. Da questo punto di vista, le regole del gioco sono essenziali. Non c'è niente come la neutralità delle istituzioni. Stabilire le regole del gioco è una scelta politica che influenza la forza di una categoria di aziende rispetto alle altre. Di seguito sono elencate le dimensioni fondamentali su cui si potrebbe strutturare l'intervento della politica. 3.1 Gli stessi governi possono “votare con il portafoglio”, mettendo da parte, negli appalti pubblici, l’“approccio mono-dimensionale basato sul prezzo” (che spesso si rivela essere non solo socialmente e ambientalmente ma anche economicamente insostenibile, soprattutto quando le offerte di prezzo più basse non sono correlate con la reputazione e portano a rivedere i termini degli appalti). Ciò implica: i) stabilire, per gli appalti, degli standard minimi in tema di responsabilità ambientale, sociale e fiscale al di sotto dei quali la partecipazione delle imprese non è consentita; ii) dare dei punti premio in caso di adesione ai principi della RSI; iii) decidere ex ante con le aziende interessate i criteri di RSI da inserire negli appalti per rendere le regole compatibili con i principi della responsabilità sociale e ambientale. Ovviamente il trade-off tra la promozione della sostenibilità e il principio della libera concorrenza è un tema cruciale da affrontare. 3.2 I governi possono adottare l’approccio di Oxfam “behind the brand - dietro il marchio” per stimolare la responsabilità fiscale contro l'evasione delle tasse che costa/vale nell'UE circa 1.000 miliardi di Euro e rende sleale la concorrenza tra grandi e piccole imprese (come recentemente riconosciuto dall'OCSE). Una corretta informazione su questo aspetto può essere fatta con l'adozione di norme di beneficial ownership a livello di UE e per singolo paese dichiarante, come attualmente avviene nel settore minerario statunitense. Questi due importanti cambiamenti possono produrre un'ampia base informativa per la classificazione delle aziende in termini di responsabilità fiscale. Premi o sanzioni possono essere costruiti intorno a questa informazione. 3.3 L’informazione sulla responsabilità sociale e ambientale non è una "buona esperienza", ovvero una caratteristica per la quale l’abitudine ripetuta nel consumo può colmare il gap informativo. I governi possono favorire e stimolare la crescita del mercato del rating degli intermediari e il monitoraggio informativo sulla responsabilità delle imprese (agenzie di rating quali KLD, Vigeo, Ethibel, società di labeling, ecc.) e i progressi tecnologici (come buycotts Apps) per colmare le asimmetrie informative tra i consumatori e venditori in materia di responsabilità sociale, ambientale e fiscale. Dal momento che questo mercato è in parte già maturo, il ruolo del settore pubblico potrebbe essere quello di monitorare la qualità, la reputazione e le performance degli intermediari dell'informazione sostenibile, direttamente o indirettamente, attraverso la creazione di un'autorità multistakeholder. 3.4 Esiste un notevole divario tra l'importanza emergente dell'economia sociale, il suo peso culturale e la conoscenza e la consapevolezza della sua esistenza nel pubblico in generale. Per fare solo un esempio, anche se le banche cooperative rappresentano una quota rilevante del totale delle attività bancarie a livello mondiale (il 14%) e una quota maggiore in termini di sportelli bancari, sono di gran lunga sotto rappresentate in termini di ricerca, come evidenziato dalla quota pari allo 0,1% dei termini di EconLit. Il governo potrebbe fornire a costo zero (cioè sui canali pubblici) adeguati spazi di comunicazione e informazione per rendere le persone consapevoli del potenziale del social business (stimolando così il voto con il portafoglio). Si dovrebbe stimolare il dibattito pubblico sul ruolo sociale e ambientale delle imprese per rendere i cittadini consapevoli del loro ruolo politico e, in termini positivi, per dare maggiore riconoscimento alle loro scelte in materia di RSI e produrre effetti economici ancora più forti. 3.5 I governi dovrebbero strutturare un sistema di sgravi fiscali in grado di premiare la creazione di valore in modo socialmente e ambientalmente responsabile. La logica è che le esternalità negative devono essere tassate mentre le esternalità positive devono essere sussidiate. Il sistema tasse/sussidi è più efficace sul consumo che sul lato della produzione in quanto in quest'ultimo caso può indebolire la competitività paese (ad esempio, per le imprese nazionali è meglio una tassa green consumption che una tassa sulla produzione di carbone dal momento che non si rischia l’arbitraggio sulla tassa ambientale e la corsa al ribasso). 3.6 È essenziale promuovere e stimolare una cultura di analisi di impatto delle misure politiche non solo sul PIL ma anche su una gamma più ampia di indicatori del benessere. Seguendo in questo la guida del social business privato e, più specificatamente, dell’investimento di impatto dove l'impatto sociale e ambientale è fondamentale per definire il rendimento degli investitori 3.7 L’economia sociale/civile può rappresentare una terza rilevante alternativa nella gestione dei beni comuni, oltre l'approccio basato sulla massimizzazione del profitto, che rischia di trascurare gli interessi degli stakeholder strategici, e la gestione diretta del governo. L'approccio normativo, in cui la riconciliazione tra l’orientamento al profitto e l'interesse pubblico è garantita dalle autorità di regolamentazione, ha dei limiti a causa dei rischi di “cattura” del regolatore. La creazione di organizzazioni multistakeholder not for profit può aiutare con il monitoraggio dal basso e la soddisfazione delle parti coinvolte. 3.8 Il governo e le istituzioni internazionali hanno bisogno di valutare il potenziale delle obbligazioni social impact come strumenti utili per creare partenariati trilaterali tra i governi, i mercati finanziari e le ONG per fornire beni e servizi pubblici. Trovare i modi per ridurre i costi di transazione attuali ed estendere tali strumenti a nuove tipologie di beni e servizi pubblici (oltre al tasso di rientro in carcere/tasso di recidiva). Tra le questioni importanti da affrontare qui, ci sono la riduzione dei correnti costi di transazione di queste operazioni, migliorare la capacità di misurare l’impatto e migliorare le metodologie per una definizione più ampia dei benefici monetari del governo che derivano dalla fornitura di un determinato bene/servizio pubblico. 3.9 Il governo e le istituzioni internazionali possono introdurre sgravi fiscali per il capitale netto e di prestito (come nel programma Jeremy) per l'innovazione sociale nel delicato passaggio tra la nascita e la fase di start-up, anche stimolando la crescita del patrimonio attraverso il crowdfunding. Da non dimenticare l'obiettivo previsto dal Social Business Initiative (35 Oct 2011) di “Creare uno strumento finanziario europeo da 90 milioni di Euro per migliorare l'accesso delle imprese sociali ai finanziamenti (operativo dal 2014).” 3.10 Il governo e le istituzioni internazionali dovrebbero creare il giusto sistema fiscale e normativo per l’impact investing. Una nuova generazione di imprenditori e investitori (di impatto) scopre che le loro ambizione massima non è solo massimizzazione dei propri profitti ma l'impatto positivo che hanno sulla società (ad esempio la storia di Pierre Amudjar (il fondatore di E-Bay) è una delle più interessanti in questo senso, così come quelle similari di Paul Polak, della fondazione Gates e quelle che hanno portato alla nascita della joint venture Grameen-Danone). La tassazione e la regolamentazione devono andare oltre la dicotomia tra la massimizzazione del profitto e la filantropia, non penalizzando le attività auto-sostenibili a basso profitto e ad alto impatto sociale rispetto alle attività no profit insostenibili, al fine di evitare il paradosso che il passaggio da una attività sociale no profit insostenibile ad un’attività sociale a profitto basso e pienamente sostenibile, in grado di conciliare la creazione di valore economico e la sostenibilità, sia impedito da una tassazione di gran lunga più pesante. 3.11 La recente riflessione empirica e teorica sull'economia sociale, al di là dei tre riduzionismi (antropologico, di impresa e di valore), fornisce interessanti suggerimenti di politica per le più tradizionali politiche del welfare. L'evidenza empirica in medicina e biologia mostra in molti modi che il volontariato produce un effetto migliore sulla salute e sul benessere soggettivo rispetto ad una prescrizione (per una rassegna dei numerosi studi empirici su questo tema si veda Post, 2005). I sussidi alla disoccupazione e i redditi minimi vitali, nel caso, devono essere correlati alla produzione di un bene o servizio pubblico da parte del beneficiario. Ciò produrrebbe almeno quattro effetti positivi: i) un impatto positivo sulla fornitura di beni e servizi pubblici; ii) un impatto positivo sulle condizioni di salute e sul benessere personale dei destinatari (con una riduzione della spesa sanitaria pubblica); iii) la riduzione di comportamenti opportunistici volti a sfruttare i benefici pubblici, in quanto l'attività richiesta sarebbe auto selezionata dai veri beneficiari ed escluderebbe coloro che hanno un'attività in nero nel mercato del lavoro informale. A causa delle imperfezioni nelle procedure di valutazione, questo effetto collaterale è molto rilevante. 4. QUESTIONI APERTE L'efficacia del voto con il portafoglio ha tre limiti: price premium (anche se non nella finanza, come dimostrato, tra gli altri, da Becchetti et al., 2014), l’informazione imperfetta e il coordinamento dei consumatori. Come accennato in precedenza, i prodotti SR possono costare di più e il SR non è una buona esperienza per cui le abitudini di consumo possono colmare il gap informativo sulla vera posizione SR della società. Come affrontare questi problemi? La best practice è la campagna Oxfam "dietro il marchio" che sta sulla frontiera: 18 mesi per classificare le 10 più grandi aziende alimentari in termini di responsabilità ambientale e sociale. Più di 400.000 azioni a costo zero dei consumatori (inviando twit), 9 aziende su 10 hanno cambiato le regole. 9 Come stimolare l'innovazione tecnologica in questo campo? Come valutare le performance degli intermediari di informazione per ridurre al minimo il social and green washing? La conservazione della biodiversità rispetto al problema di equilibrio generale. Qual è la quota ottimale di economia civile rispetto a quella delle imprese che massimizzano il profitto? Noi non lo sappiamo, ma al momento la quota di economia civile è ancora insufficiente da un punto di vista del benessere sociale. Le dinamiche sui pionieri/imitatori. Alcuni imitatori che massimizzano il profitto stanno passando al social business dopo aver verificato il successo dei pionieri not for profit (es. Ciquita, Tesco, Sainsbury, Ferrero nel commercio equo e solidale). Tuttavia la motivazione dei primi è strategica, quella dei secondi è genuina. Se da una parte una parziale imitazione da parte degli attori orientati alla massimizzazione del profitto è importante e produce effetti molto rilevanti a causa della loro dimensione, dall’altra parte c'è il rischio che il loro dumping sociale sia in grado di eliminare i pionieri dal mercato, con la conseguenza di indebolire negli stessi imitatori (profit maximizer) la motivazione strategica per il business sociale. 5. CONCLUSIONI Alla radice della crisi multidimensionale della transizione del sistema socio-economico nell'era della globalizzazione, troviamo tre riduzionismi (antropologico, d'impresa e di definizione del 9 http://www.oxfam.org/en/grow/campaigns/behind-brands. valore) che impediscono il pieno sfruttamento delle energie che possono riconciliare la creazione di valore economico con la sostenibilità sociale e ambientale, portandoci più vicini all'obiettivo di creare le migliori condizioni per una vita fiorente. Al di là del valore riduzionismo, un ambizioso e originale obiettivo del nuovo paradigma può essere quello di massimizzare la soddisfazione del lavoro e della vita (cioè la quota di persone che trovano la loro vita e il loro lavoro significativi). Dare posti di lavoro non è sufficiente: se i tassi di occupazione migliorano a costo di un lavoro meno soddisfacente e una vita meno felice, il rischio dei governi in carica è quello di perdere il consenso alle prossime elezioni. Nella parte precedente sono state evidenziate le fragilità intrinseche e la debolezza del vecchio sistema e le caratteristiche innovative del nuovo sistema che sta crescendo dietro di esso. L'essenza del social business è la sua capacità di superare i tre riduzionismi, offrendo modi per sfruttare il potenziale che gli esseri umani e le aziende hanno per internalizzare le esternalità sociali e ambientali negative. Nella sezione politica sono state delineate alcune fondamentali misure di politica, grazie alle quali le istituzioni possono attivare queste energie. L’economia sociale ha anche a che fare con la scoperta dell'immensa energia di una terza dimensione (ovvero innesca le motivazioni intrinseche degli stakeholder socialmente motivati che contribuiscono positivamente alla produttività aziendale). Pensando alle tre parole famose della rivoluzione francese, la storia delle idee politiche ed economiche ha in gran parte esplorato il ruolo e le caratteristiche della libertà (liberalismo) e dell’uguaglianza (socialismo), ma il potenziale della fraternità è quasi inesplorato. Anche se i recenti contributi teorici ed empirici hanno studiato il ruolo degli exchange gift, della reciprocità, della fiducia e affidabilità, uno lavoro sistematico per analizzare l'impatto di questo fattore sull'ambiente socioeconomico è ancora mancante. Una intuizione sul potenziale della fertilità può essere fornita dalla seguente nota storia Un cammelliere lasciò alla sua morte un testamento per spartire i suoi beni tra i suoi tre figli. Il cammelliere aveva undici cammelli e nel suo testamento aveva dato indicazione di destinare la metà dei suoi beni al primo figlio, un quarto al secondo figlio e un sesto al terzo. Quando arrivò il momento della divisione, iniziarono i problemi di spartizione. La metà di undici cammelli è cinque cammelli e mezzo, così il figlio maggiore disse che bisognava “arrotondare in eccesso” la cifra e quindi chiese sei cammelli. Gli altri fratelli si opposero sostenendo che egli era già stato troppo privilegiato dalla volontà del padre. Così iniziò un aspro conflitto tra i fratelli, quando sopraggiunse un cammelliere di gran lunga meno ricco. Questi vide litigare i tre fratelli e decise di donare il suo unico cammello per completare il lascito del ricco padre. Grazie a questo aiuto è stato possibile soddisfare le esigenze dei tre eredi. Sei cammelli (la metà di dodici cammelli) andarono al primo, tre cammelli (un quarto di dodici) al secondo figlio e il terzo ottenne due cammelli (un sesto di dodici). Nessuno dei fratelli contestò la divisione perché nessuno di loro avrebbe ottenuto più di quello che aveva preso con la nuova soluzione. Ora il totale dei cammelli è precisamente undici e il cammelliere povero potrebbe avere indietro il dodicesimo cammello. Questa storia è molto ricca e si presta a diverse interpretazioni. Una di queste evidenzia la ricchezza del dono, senza lasciare chi dona con meno di quello che si cede. L'economia comportamentale e gli studi sulle determinanti della soddisfazione della vita ci dicono che la gratuità ha "dividendi" molto alti, più alti e più duraturi rispetto a quelli di molti investimenti economici tradizionali. Il punto qui è che un dono ha molte potenzialità forti: è in grado di produrre buona volontà e di costruire relazioni più ricche, ma ha anche una propria fertilità promuovendo la cooperazione economica e sociale e risolvendo le controversie in un mondo in cui, senza la cooperazione e la fiducia reciproca, è impossibile risolvere i dilemmi sociali che viviamo ogni giorno. Uno dei segreti del social business è che è molto più in grado di lavorare secondo logica della fraternità (insieme a quello di libertà e giustizia) rispetto al tradizionale paradigma economico. Qual è il potenziale di questa terza dimensione che non ha nulla a che fare con l'essere buono, ma è di per sé una forma di razionalità? Possiamo applicare questo ai rapporti tra gli Stati e tra gli individui? Riferimenti bibliografici Andreoni, James. 1989. “Giving with Impure Altruism: Applications to Charity and Ricardian Equivalence,” Journal of Political Economy 97 (6): 1447–1458. 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