La tartaruga marina Caretta

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La tartaruga caretta
E' uno tra i pochi Rettili viventi nei mari attuali e la sola tartaruga a nidificare ancora sulle
spiagge italiane. E' una delle creature più antiche del Pianeta, sopravvissuta perfino a dinosauri
e glaciazioni. Eppure è bastato poco più di un secolo per portarla a un passo dall'estinzione.
Ha inizio in tempi antichissimi, nel Giurassico (circa 170 milioni di anni fa), l'avventura marina di un gruppo di Rettili che, in un
periodo che segnò il culmine del loro successo evolutivo (erano i tempi in cui sulla terra dominavano i dinosauri e in aria si libravano
i loro parenti alati) giunsero a conquistare gli oceani. Questo gruppo fa parte dell'ordine Cheloni (comprendente anche le
testuggini terrestri e d'acqua dolce) e ancora oggi vive negli oceani di tutto il mondo, rappresentato dalla famiglia Dermochelidi
(con la sola specie Dermochelis coriacea, la tartaruga liuto) e quella più ampia dei
Chelonidi (5 generi e 7 specie). La tartaruga caretta (Caretta caretta), presente
anche in Mar Nero e negli oceani Atlantico, Pacifico e Indiano, è la specie che più di
frequente è possibile incontrare nel Mediterraneo. L'altro nome con cui è nota tartaruga comune - è tuttavia un triste retaggio di tempi passati, quando questo
mare offriva condizioni adeguate alla sua vita e alle sue esigenze riproduttive e la
specie era più abbondante: attualmente, infatti, la sua consistenza numerica in
questo bacino ha subìto pesanti contrazioni e di fatto la caretta è una specie al limite
dell'estinzione. Lunga alla nascita circa 5 cm, da adulta la caretta può raggiungere
140 cm di lunghezza (carapace) e pesare tra 100 e 150 kg. L'affrancamento dai
progenitori terrestri, come nei Cetacei (balene e delfini), non è stato totale, come
testimonia la presenza di polmoni e di conseguenza la necessità di una respirazione
aerea e non acquatica (come avviene in pesci e Invertebrati acquatici). Da qui la
necessità di risalire periodicamente in superficie per respirare, pur essendo in grado di compiere apnee, molto lunghe negli adulti.
Per questo, le due tartarughe Ottone e De Andrè sono state trasportate dal Centro Recupero Tartarughe Marine della Stazione
Zoologica di Napoli in vasche con pochi cm d'acqua, sufficiente a idratarne le mucose e la pelle: coperte d'acqua, avrebbero avuto
difficoltà a far emergere il capo dalla vasca per respirare. Per la stessa ragione, le tartarughe impigliate in reti possono presentare
sintomi di annegamento, proprio come noi "umani", arrivando perfino, per istinto di sopravvivenza, a "mangiarsi" l'arto
intrappolato per non morire annegate, come è successo alla piccola Irene Camomilla, rilasciata insieme ad altre 7 tartarughe
nell’Area Marina Protetta “Secche di Tor Paterno nel 2013. Questo retaggio terrestre è stato tuttavia compensato da eccezionali e
specifici adattamenti per la vita in ambiente marino.
Il guscio, di colore rosso-marrone è, come in tutti i Cheloni, composto da un carapace (dorsale e convesso) e da un
piastrone (ventrale e più piatto, che nella caretta è a forma di cuore) ma ha acquisito una forma ovale, perfettamente
idrodinamica. Le zampe del progenitore terrestre, delle cui "dita" rimane un ricordo nelle due unghie presenti sulle pinne
anteriori, si sono trasformate in potenti pinne a forma di remo, più funzionali nel nuoto. A quelle anteriori, che l'animale muove
come le ali di un uccello, è affidata la propulsione, mentre quelle posteriori controllano la direzione, agendo come un timone. Così
ben equipaggiata, la tartaruga caretta è in grado di muoversi su lunghe distanze, spostandosi in grandi viaggi nelle acque del
Mediterraneo.
Nomi & Nomi
Tartarughe e Testuggini . Come indicato nei Dizionari e nella Enciclopedia Treccani, autorevoli
custodi della lingua italiana, il termine più appropriato, anche nel linguaggio scientifico, per
denominare i Cheloni (o Testudinati) marini è quello di "tartaruga", per il quale è quindi superfluo
specificare il termine "marina". Il termine esatto per designare i Cheloni terrestri e d'acqua dolce
(generi tipici della fauna italiana: Testudo e Emys) è invece "testuggine" .
Cheloni e Chelonidi. Il nome dato all'ordine e alla famiglia di tartarughe e testuggini trae origine
da un antico mito greco: la ninfa Chelone, unica tra i mortali che si rifiutò di partecipare alle nozze
di Zeus ed Era, fu gettata da Hermes (il dio latino Mercurio) nell'acqua con tutta la sua casa.
Chelone allora si trasformò in una tartaruga, inseparabile dal suo guscio-dimora.
Caretta .Sembra
derivare
dal termine
latino "caretta"
Secondo altre versioni,
dal
in ppt(= tartaruga)
se ok .salvataggio
imm
Caretta
e le
altre
: metti
malese "kahret" (= guscio di tartaruga)
Nel Mediterraneo vivono altre due specie di tartarughe, anche se più rare della tartaruga comune. Ecco come
identificare le tre specie.
Tartaruga caretta o T. comune (Caretta caretta)
Carapace lungo tra 70 e 140 cm , con 5 placche (lamine) dorsali
centrali e 5 placche costali per ogni lato; colore rosso-marrone.
Testa grande (da cui il nome inglese loggerheadturtle, con rostro
("becco") molto pronunciato). Nei piccoli il carapace ha una serie di
"creste" centrali. La dieta, onnivora, cambia con l'età: plancton, poi
meduse e prede del fondo (pesci,molluschi, crostacei, ricci di mare).
E' l'unica specie a nidificare sulle coste italiane.
Tartaruga verde o franca (Chelonia mydas)
Carapace lungo fino a 140 cm, con 5 placche dorsali centrali e 4
placche costali per ogni lato.
E’ di colore marrone- verde oliva, spesso con chiazze e strie più
scure. Rostro poco pronunciato. Dieta in genere erbivora in acque
basse e calde. Comune lungo le coste nord-africane, dove nidifica.
Tartaruga liuto (Dermochelys coriacea)
Con il carapace lungo oltre 190 cm e il peso di 500-800 kg, è
l'indiscusso gigante tra i Cheloni. Inconfondibile è anche la
struttura del carapace, in cui le piccole placche ossee sono
impiantate nella pelle durissima, simile al cuoio, ornata da carene
longitudinali che lo rendono simile a un liuto. Si ciba, spesso in
acque profonde, di pesci e meduse, tra cui la velenosa caravella
portoghese e nidifica sulle coste nord-africane.
Un esemplare di tartaruga liuto spiaggiato, ormai privo di vita, sulle coste laziali circa 25 anni fa, è conservato presso il Museo Civico
di Zoologia di Roma. Nelle acque mediterranee sono state avvistate anche la tartaruga embricata (Eretmochelys imbricata) e la
tartaruga di Kemp (Lepidochelys kempii) , ma si tratta di presenze del tutto occasionali e come tali non possono essere annoverate
tra la fauna marina di questo mare
I nomadi del mare
Chi ha visto almeno una volta lo straordinario film animato "Alla ricerca di Nemo" non può non ricordare l'episodio che ha come
protagonisti la vecchia e saggia tartaruga Scorza e il figlio Schizzo che, con altre tartarughe, "cavalcano" con maestria la Corrente
Orientale Australiana, sempre in movimento da un'acqua all'altra dell'oceano...In effetti le tartarughe sono tra i più infaticabili
viaggiatori del mare e la caretta non fa eccezione, a parte il fatto che, rispetto al film, viaggiano "in solitaria". Tranne che nel
periodo della riproduzione, quando si avvicinano alle coste, le caretta trascorrono gran parte del tempo in mare aperto e
profondo, tornando di tanto in tanto in superficie per respirare o per riscaldarsi al sole. Essendo Rettili, infatti, sono animali a
sangue freddo, incapaci di regolare dall'interno la temperatura corporea, e questa è anche la ragione di una parte dei loro
spostamenti, quelli stagionali diretti alle zone di svernamento, più calde, del Mediterraneo orientale. A queste rotte si aggiungono
quelle verso le aree di alimentazione - dove gli adulti e i giovani più "grandicelli" si nutrono soprattutto sul fondo.
Cacciando pesci, molluschi, crostacei, ricci di mare e altri Echinodermi - e tra queste e le aree di nidificazione. Si tratta, dunque, di
vere e proprie migrazioni, vitali per la sopravvivenza della specie, ma purtroppo sempre più ostacolate se non interrotte da
attrezzi da pesca come le reti da posta: sbarramenti lunghi km nelle invisibili autostrade liquide del mare, che soprattutto le
tartarughe giovani e ancora inesperte (come Ottone e De Andrè) non hanno ancora imparato ad evitare per tempo. Negli
spostamenti da un'area all'altra, spesso distanti centinaia di km, le caretta possono raggiungere velocità superiori a 35km/h , grazie
alla propulsione fluida e sincrona delle pinne anteriori. Dagli innovativi studi tramite il tracking satellitare è emerso che le
tartarughe caretta possono percorrere nel solo Mediterraneo distanze tra 2500 e 7000 chilometri l'anno, a una "velocità di
crociera" media (considerate le soste e i rallentamenti alimentari) di 1,2 km/h. Durante gli spostamenti non disdegnano quando
capita a tiro qualche gelatinoso "spuntino da viaggio" come meduse, perfino quelle più urticanti, e altro macroplancton come cinti
di Venere e beroe. Spuntini che, però, possono risultare indigesti o, peggio, portare alla morte: l'ingestione di buste di plastica, che
in acqua somigliano molto alle meduse, è una delle maggiori cause di soffocamento e occlusioni intestinali, cui contribuiscono
anche cotton-fioc, mozziconi di sigarette e altri prodotti di rifiuto umani, facilmente scaricabili in sedi più appropriate che non il
mare. E anche in questo caso a farne le spese sono i giovani come Giannina, che si è salvata, e la sua più sfortunata compagna di
viaggio, soccorse dalla Capitaneria di Porto presso lo stabilimento balneare “La Spiaggia” di Ostia il 16 gennaio 2013 e liberate
alle Secche di Tor Paterno nel giugno 2013.
VIAGGI DA RECORD, ISTINTO INFALLIBILE
Anche i viaggi della tartaruga liuto si snodano su distanze notevoli. Durante la sua migrazione
transatlantica tra Africa e Sud America percorre infatti fino a 5900 chilometri. Ma ci sono altri
record, come quello delle tartarughe verdi che vivono nelle acque del Brasile, che riescono a trovare
la piccolissima isola di Ascension, nelle cui acque si accoppiano e sulle cui spiagge depongono le
uova. Dal Brasile l'isola dista 2200 km: per loro è un minuscolo "bersaglio" nell'Atlantico centrale.
Un errore di rotta porterebbe le tartarughe fino in Africa, dove, però, non sono mai state osservate.
Prive di una vista sufficientemente acuta per orientarsi con le stelle, le tartarughe potrebbero
orientarsi con il sole e, soprattutto, con "l'odore" dell'isola, sospinto dalle correnti da oriente a
occidente. Queste stesse correnti porteranno poi, in poche settimane, i piccoli nati sull'isola di
Ascension, nelle acque brasiliane. Ciò nonostante, nessuna tartaruga di meno di un anno è mai stata
trovata né in Brasile né altrove. Dove vadano queste piccole tartarughe resta un mistero, come
quello che avvolge i primissimi anni di vita delle caretta mediterranee.
Un mistero in parte svelato
Poco più di vent'anni fa, le abitudini migratorie della tartaruga caretta nel Mediterraneo erano ancora avvolte nel mistero. Un vero
rebus per i ricercatori che iniziarono a raccogliere e "mettere insieme" i dati dagli spiaggiamenti e dalle ricatture di animali
precedentemente marcati con apposite targhette, come quelle applicate a Ottone e De Andrè. Un grande impulso agli studi è stato
tuttavia offerto dall'applicazione sugli animali di trasmettitori satellitari che hanno consentito, grazie al successivo sviluppo
tecnologico dei dispositivi di tracking, di raccogliere anche una grande mole di dati sulla biologia, la fisiologia e l'ecologia delle
tartarughe. Il primo centro di ricerca nel Mediterraneo a condurre il traking satellitare è stata la Stazione Zoologica Anton Dohrn di
Napoli e il suo Centro di Recupero. La prima tartaruga collegata a un satellite, nel 1995, è stata Cajeta, una femmina rinvenuta
allargo di Gaeta, cosi battezzata in onore della nutrice di Enea e dell'antico nome di questa città. Ad oggi sono decine gli esemplari
seguiti e grazie alle mappe tracciate dal satellite, molti segreti delle migrazioni della caretta sono stati svelati, portando infatti a
delineare quegli spostamenti tra aree di alimentazione, riproduzione e svernamento in precedenza descritti. Dai dati finora rilevati,
ad esempio, è emerso che le caretta percorrono in media 200 km al mese (circa 100 miglia). Tanto altro resta da scoprire, come i
cosidetti Lost Years, quella fase in cui le tartarughine, dalla spiaggia dove sono nate raggiungono le acque della piattaforma
continentale dove trascorreranno i primi anni di vita, relativamente al sicuro dai predatori: cosa facciano e dove vadano è ancora
un mistero.
Il ruolo delle Secche per le tartarughe
Se Ottone e De Andrè sono ormai lontane dalle Secche di Tor Paterno, non è detto che quest’area Marina Protetta non possa in
futuro essere frequentata , magari come area di alimentazione, dalle tartarughe caretta. L’Area Marina è stata scelta come zona di
rilascio degli esemplari soccorsi in vari punti del litorale laziale per la sua localizzazione in mare aperto, lontana circa 7 miglia dalla
costa dove più concentrate sono le trappole delle reti, facilitando così alle tartarughe la ripresa di contatto con il loro mondo. Ma
molti altri sono gli aspetti
ambientali che potrebbero
rendere “appetibili” le Secche
alle tartarughe caretta. Il
banco roccioso situato nel
cuore dell’Area Protetta, che si
innalza da una profondità di
circa – 60 metri fino a -19
metri, è infatti ricco, come i
fondali di sabbia e detrito circostanti , proprio delle prede preferite dalle tartarughe, dai pesci ai crostacei di ogni taglia e
soprattutto dai molluschi, che solo nella prateria di Posidonia oceanica annoverano ben 52 specie. Si tratta per ora di un'ipotesi
remota, ma un positivo e inaspettato segnale in questo senso è offerto dal giovane esemplare (60 cm circa di lunghezza) che il 23
giugno 2012 ha colto di sorpresa un gruppo di subacquei accompagnati dal Blu Marlin Diving Center mentre “curiosava” tra i fondali
a -24 m di profondità. La tartaruga si è mostrata tranquilla e confidente tanto che, risalendo in superficie, si è esibita anche
un’elegante “danza” intorno alle bolle prodotte dagli erogatori, lasciandosi riprendere per pochi attimi dalla telecamera di Mauro
Carboni prima di scomparire veloce nel blu. Come testimoniato da quei Diving Center che fin dall’istituzione, nel 2000, dell’Area
Marina Protetta, frequentano costantemente i fondali delle Secche, questo è stato il primo incontro tra subacquei e una tartaruga.
RITORNO AI LUOGHI NATII
I viaggi solitari delle caretta su e giù per il Mediterraneo si interrompono tra giugno e luglio, quando ha inizio il periodo riproduttivo.
Maschi e femmine, allora, si radunano nelle zone costiere in prossimità delle spiagge dove con molta probabilità sono nati e che
riescono a ritrovare dopo migrazioni anche di migliaia di km. Questo eccezionale “fiuto” per i luoghi natii deriva dalla capacità,
che le tartarughe hanno da quando sono appena nate, di immagazzinare prima gli odori del nido e poi particolari tracce olfattive
captate nelle correnti marine. Come dimostrato da recenti studi genetici, la popolazione mediterranea di Caretta caretta è
geneticamente separata da quella atlantica, nonostante questa si introduca nel Mediterraneo (dati Ispra, 2012). L’accoppiamento
avviene in acqua, con il maschio che si aggrappa saldamente alla corazza della femmina con le unghie a uncino delle pinne anteriori.
Ogni femmina viene fecondata da diversi maschi, conservandone il seme per le successive nidiate della stagione (a intervalli di 1020 giorni) e attende qualche giorno nelle acque calde e poco profonde il momento più adatto per recarsi sulla spiaggia a deporre
le uova: unico caso nella sua vita in cui abbandona il mare. Da diversi anni è sempre più difficile per mamma tartaruga indovinare
quale sia il momento giusto: persone, luci, rumori invadono ormai quasi 24 ore al giorno le spiagge, affollate proprio in questi mesi,
e disturbano il suo faticoso e lungo lavoro. Deporre le uova, infatti, non è cosa da poco: occorre scegliere il punto adatto sulla
spiaggia e scavare alla giusta profondità, se si vuole garantire la schiusa, che dipende da fattori quali temperatura, umidità e
granulometria della sabbia: questa è una questione che le femmine “sanno” per istinto da centinaia di milioni di anni, ma non
possono aver ancora acquisito la capacità di far fronte all'invadenza umana. Giunta, con una certa fatica, sul punto prescelto, la
femmina scava con le pinne posteriori una buca profonda circa 50 cm e depone le uova, ricoprendola con cura e spianandola,
per garantire una temperatura d’incubazione costante e per nascondere ogni traccia ai predatori naturali; spesso per depistarli la
femmina scava un finto nido accanto a quello reale. Le uova, da 80 a 100, sono simili a palline da ping-pong e dal guscio morbido.
E’ infatti il calore del sole, penetrando nella sabbia, a “covarle” e la loro distanza dalla superficie determinerà il sesso dei nascituri:
le uova più in superficie, sottoposte a maggior calore, daranno femmine; quelle più in profondità, produrranno maschi.
I siti di nidificazione
Le spiagge frequentate dalle tartaruga caretta per la nidificazione si concentrano attualmente nel Mediterraneo centroorientale(Grecia, Turchia, Cipro) dove meno intensa è la cementificazione delle coste. Un ulteriore sito sembra essere
presente in Libia, ma il suo effettivo potenziale riproduttivo dev'essere ancora accertato. Un minor numero di nidi sono stati
individuati lungo le coste della Tunisia, Egitto, Israele, Siria e Libano. In Italia i siti di riproduzione sono ormai molto pochi,
circoscritti principalmente alla Calabria ionica e, in misura minore, alle Isole Pelagie (spiaggia dell'Isola dei Conigli a Lampedusa
e spiaggia di Pozzolana di Ponente a Linosa). Altri eventi di nidificazione, di cui deve essere tuttavia valutata l'effettiva entità,
sono documentati in Sicilia meridionale, Campania, Sardegna meridionale e sudoccidentale,Puglia orientale (Ispra, 2012). La
stima attuale della popolazione riproduttiva italiana, considerando una media di 30-40 nidi l'anno e di 1,9 nidi per femmina a
stagione, è di solo 42-71 femmine mature e di una media di 55-131 adulti.(P. Casale in IUCN Red List, 2013) .Un singolo
esemplare si riproduce in media ogni 2-3 anni, raggiunge la maturità sessuale a 25-30 anni d'età, mentre il tasso di mortalità
è elevatissimo. Questo ciclo riproduttivo lento, proprio della specie, non riesce più a bilanciare gli accelerati stravolgimenti
degli habitat provocati dall'uomo. Le caretta italiane sono infatti a rischio d'estinzione e nei siti di nidificazione diversi enti e
associazioni ambientaliste sorvegliano sia i nidi sia i neonati, per assicurare protezione almeno dall'incuria dell'uomo e dai
predatori terrestri durante la deposizione, la cova e la loro corsa verso il mare.
Un’infanzia difficile
Come avviene in tutti i Rettili, le tartarughine dovranno imparare subito a cavarsela da sole e le difficoltà iniziano quando ancora
sono nell’uovo. I nidi sono spesso depredati da gabbiani, cornacchie, volpi, cani : gli stessi predatori che li attendono al varco una
chiarito, escono quasi tutti simultaneamente dal nido e, in genere sul calar della sera, corrono verso il mare attratti dai suoi
bagliori. Tuttavia le luci artificiali che ormai costellano le spiagge spesso disorientano i neonati: per questo gli operatori che
sorvegliano i nidi li accompagnano nel loro giusto cammino illuminandolo con fioche luci bianche simili a quelle naturali. A mare,
nuoteranno ininterrottamente per oltre 24 ore per allontanarsi il più possibile dalla costa, ricavando le energie necessarie dalle
sostanze nutrienti del sacco vitellino (residuo dell'uovo), che li alimenterà nei primi giorni di vita finchè non raggiungono le zone di
mare aperto ricche del plancton di cui si nutrono. Qui inizia il misterioso periodo dei Lost Years, da cui faranno ritorno alle zone
costiere non prima che il carapace abbia raggiunto le dimensioni adeguate (in genere 35-40 cm) per metterle al riparo dai
predatori naturali ma non purtroppo dalle insidie dell'uomo. Solo una piccolissima parte dei neonati (la stima è di 1 su 1000)
riuscirà a raggiungere la maturità sessuale, a 25-30 anni d'età : gli altri sono vittime dei predatori marini cui si aggiunge
l'aggravante sempre più forte delle attività umane.
L'apparenza inganna...
Nonostante i loro nomi, non è detto che Ottone e De Andrè siano maschi.
In realtà sono ancora "adolescenti" (in termini tecnici: subadulti) o e
quindi di sesso ancora non riconoscibile. La distinzione tra maschio e
femmina è possibile al raggiungimento della maturità sessuale, non
prima dei 25 anni d'età e con una lunghezza del carapace di 80-85 cm: il
maschio si distingue dalla femmina per avere la coda e le unghie degli arti
anteriori più lunghe.
Estinzione è per sempre
Almeno da adulta, quando può pesare 100-150 kg e può contare su una corazza inespugnabile, la tartaruga caretta non ha
praticamente predatori naturali, eccetto forse lo squalo bianco (Carcharodon carcharias). In realtà il vero nemico della specie è
l'uomo con le sue molteplici attività ad eccessivo impatto sul mare, come l'intensa cementificazione delle coste, quelle italiane in
particolare, che grava sulla delicata fase della riproduzione : sempre più spesso una femmina, che torna per deporre nella spiaggia
natia dopo 25 anni, non trova più le condizioni ecologiche adatte e talvolta nemmeno l'arenile! Nel Mediterraneo le minacce più
frequenti sono principalmente costituite da catture accidentali in attrezzi da pesca, come le strascicanti, le reti da posta, i
palangari (coffe) sia di fondo sia derivanti (lunghi anche diversi chilometri). È nelle lenze di quest’ultimi che sono rimasti
intrappolati Ottone e De Andrè, procurandosi ferite talmente profonde che l’arto era quasi amputato. A questi pericoli si
aggiungono le collisioni con imbarcazioni, che provocano traumi spesso non curabili, e l' ingestione di ami, lenze e rifiuti
abbandonati tra cui le buste di plastica: quest'ultima minaccia, facilmente superabile grazie a un più che nomale senso civico da
parte di tutti, è la causa di problemi di salute o di morte di ben il 70% degli esemplari salvati presso la Stazione Zoologica di Napoli .
Nel recente aggiornamento (maggio 2013) della Lista Rossa IUCN (International Union for Conservation of Nature), che da 60 anni
rappresenta il più completo inventario, stilato da un'equipe di esperti, del rischio d'estinzione delle specie a livello globale, la
caretta in Italia è ancora, come nel 2000, nell'elenco Endangered (in pericolo): corre cioè il rischio d'estinzione nel breve o medio
termine, valutato in base alla stima della popolazione riproduttiva dei mari italiani (vedi Siti di Nidificazione).E come è noto,
estinzione è per sempre: una perdita che non potrà mai più essere colmata, dal prezzo incalcolabile non solo per la scomparsa
della specie in sè, capolavoro irripetibile dell'evoluzione biologica, ma perchè con essa scompare un altro tassello del complesso
mosaico ecologico, motore dell' equilibrio dell'ambiente marino, che solo se in salute potrà continuare a fornire risorse all'uomo.
Un impegno per tutti
Specie protetta da diverse Convenzioni, Direttive e Regolamenti della Comunità Europea, la tartaruga caretta è da diversi anni al
centro di programmi di monitoraggio, recupero e salvaguardia da parte di Enti Istituzionali e Associazioni Ambientaliste, che
operano anche con il prezioso supporto del volontariato: tante persone che a vari livelli cercano di "salvare il salvabile".
In quest'ambito, da circa quattro anni, è operativa anche TartaLazio, la rete di coordinamento laziale per il recupero e il primo
soccorso alle tartarughe in difficoltà. Istituita dalla Regione Lazio (Determinazione N. A0923 del 17/09/2012) la rete vede impegnati
in modo coordinato la Capitaneria di Porto, il personale delle Aree Protette costiere e marine del Lazio e i centri di primo
soccorso, che operano in sinergia per assicurare l'affidamento il più rapido possibile degli animali alle strutture di cura e
riabilitazione della Stazione Zoologica Anton Dorhn.
Nella individuazione di animali in difficoltà, un ruolo fondamentale può e deve essere svolto da chi, per diletto o per lavoro
frequenta ed opera sulle coste e nel mare laziale. Una semplice telefonata può salvare la vita a una tartaruga e non è cosa da poco:
anche un solo esemplare reintrodotto in natura può essere determinante, data la situazione critica della specie, per allontanare lo
spettro dell'estinzione. Restituire al loro mondo Ottone e De Andrè nell'Area Marina Protetta Secche di Tor Paterno è stata dunque
una piccola grande vittoria, che si aggiunge a quella del migliaio di esemplari restituiti al mare dal Centro Recupero della Stazione
Zoologica di Napoli dal 1986 e a tutti quelli salvati in altri centri di recupero del Mediterraneo. Le tartarughe sono uno degli
emblemi più fragili di un ecosistema anch'esso a rischio, e ancora tanto resta da scoprire su questi Rettili che dalla notte dei tempi
viaggiano nelle acque marine del mondo. E' compito di ciascuno di noi non girarsi dall'altra parte, ma aiutarle a sopravvivere e
con questo, aiutare anche i nostri mari. In fin dei conti, conoscete forse un altro Pianeta su cui l'uomo possa vivere ?
Il Centro Recupero Tartarughe Marine della Stazione Zoologica
“Anton Dohrn” di Napoli
Il Centro Recupero Tartarughe è una sezione distaccata dell’Area Acquario della Stazione Zoologica Anton Dohrn (Ente autonomo di
ricerca finanziato dal Ministero della Ricerca Scientifica) che fin dal 1983 è impegnato nello studio e nella protezione delle
tartarughe marine del Mediterraneo.
Il CRTM – SZN non è solo un Acquario Pubblico o uno Zoo ma da 30 anni il primo centro specializzato nella cura e riabilitazione
delle tartarughe marine, animali a rischio d’estinzione. Per far fronte al numero sempre crescente di animali ammalati o feriti, il
gruppo dell’Acquario della Stazione Zoologica si è specializzato negli ultimi 20 anni per rendere più funzionale il lavoro di
riabilitazione delle tartarughe.
Gli animali trovati in difficoltà a causa delle attività umane (catture accidentali in reti da pesca, impatto con imbarcazioni o fattori
ambientali sfavorevoli) sono recuperati per essere curati, riabilitati e reinseriti nel loro ambiente naturale. Il centro di Cura e
Riabilitazione delle tartarughe della Stazione Zoologica è considerato una struttura di eccellenza, tra le più specializzate al mondo in
questo settore. Ed è proprio per tale motivo che nel 2002, nell’ambito del Piano d’Azione per la protezione delle tartarughe marine
del Mediterraneo, il Centro è stato chiamato dall’UNEP RAC-SPA a formulare criteri e linee guida comuni per il funzionamento di
tutti gli analoghi Centri che operano nell’area mediterranea.
Ogni anno il Centro accoglie circa 60 tartarughe provenienti dalle acque campane, laziali e del Sud d’Italia. Dal 1983 sono stati curati
e restituiti al mare più di un migliaio di animali. A questa importante attività si affianca la ricerca scientifica, con numerosi studi
incentrati sulla biologia ed ecologia delle tartarughe. Di particolare rilievo sono le ricerche che, grazie all’utilizzo di nuove
tecnologie, quali trasmittenti satellitari o microcomputer, stanno mettendo in luce aspetti della vita di questi animali finora
sconosciuti. Negli ultimi 10 anni inoltre si è aperta una nuova frontiera nel monitoraggio delle nidificazioni in Campania sempre più
frequenti. Fondamentale è anche l'attività didattica, rivolta a scolari di ogni ordine e grado (dalle materne all’Università) incentrata
su visite al centro, con lezioni interattive sulle tartarughe e visite alle vasche di riabilitazione.
Partendo dalla illustrazione della storia naturale delle tartarughe marine e dai motivi che ne stanno compromettendo l’esistenza, si
coglie anche l’opportunità di parlare delle specie marine protette, degli ambienti marini e degli equilibri che ne sostengono la vita.
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