damnatio memoriae – oblio culturale: concetti e teorie del non ricordo
Gerald Schwedler Università di Zurigo
Giovedì Santo dell'anno 1346 Papa Clemente VI annunciò la scomunica dell'imperatore Ludovico IV,
detto il Bavaro, che fu anatemizzato a causa del suo comportamento eretico: "L'ira di Dio Onnipotente
e dei Santi Pietro e Paolo, cui chiesa lui ha voluto e vuole rendere viziato s’infiammi contro di lui – in
questa e la prossima vita; che il globo lotti contro di lui – in questa e la prossima vita! (...) In una
generazione sia cancellato il suo nome e la sua memoria sparisca dalla terra! (...) Che i meriti di tutti i
santi lo annichilino e gli mostrino già in questa vita la vendetta, che dovrà aprirsi su di lui nella vita
prossima! I suoi figli siano rimossi dalle loro case e cadino nelle mani dei loro nemici di fronte ai suoi
occhi.” Inoltre in una lettera del 7 dicembre 1347 a Karlo IV. di Lussemburgo, Clemente condanna
l’imperatore “ipse damnate memorie Ludovici de Bavaria”. Con queste parole, l’imperatore viene
condannato con raro vigore. Con la sua dichiarazione a sopprimere la memoria di Ludovico Clemente
VI si riferiva ad una pratica antica, che intendeva non solo la distruzione fisica dell’avversario ma
anche la cancellazione del suo ricordo. Non intendeva soltanto distruggere l’avversario, ma anche di
cancellare per sempre il suo ricordo, come se lui non fosse mai esistito.
Questi concetti di annichilare la memoria si trovano in antichità più sviluppate. Si applicavano a
persone che a causa di alto tradimento (perduellio) venivano condannati a morte, alla confisca dei loro
beni e all’espunzione della memoria di essi. Abbiamo precisa conoscenza dell’esercizio dell’antica
damnatio memoria tramite il senatus consultum, cioè la decisione del Senato sul destino di Cnaeus
Calpurnio Piso dell‘anno 20 dC. Gli fu revocato il diritto alla tomba, ai suoi parenti fu vietato di
piangerlo e le statue che lo raffiguravano in pubblico furono capovolte. Inoltre non fu permesso ai suoi
parenti di tenere in casa la sua immagine. In altri casi è noto che fu vietato di “battezzare” membri della
sua famiglia con il suo nome. Questa condanna fu eseguita, tra l'altro, anche nei confronti di Nero (68),
di Julian (193), e addirittura di Maximin (238). Questi imperatori furono dichiarati nemici dello stato
dopo morti tramite decisione del Senato. In seguito a questa decisione (decreto) – il senatus consultum
– le loro statue furono rimosse, fu eseguita l'eradicazione del loro nome da iscrizioni e monete e furono
rescissi i loro atti personali di governo – il recissio actorum. In questo senso la damnatio memoriae è
stabilita parte del pensiero giuridico romano nelle leggi e nelle prassi amministrative. La formula
“damnatio memoriae” invece è un termine tecnico dell’età moderna, usato nella storiografia come
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metafora e non si trova nelle fonti del mondo antico. Solo dal Seicento appare la costruzione nominale
“Damnatio Memoriae”.
Già da molto tempo la damnatio memoriae viene esaminata in dettaglio come un fenomeno
giuridico di ricerca nella Storia antica. La prima tesi con il titolo "De Damnatione Memoriae" è stata
scritta a Lipsia da Christoph Schreiter nel 1689. Certo, dato il volume di 40 pagine nella tesi, non c’è
posto per una riflessione metodologica. Però tuttavia questo lavoro e una compilazione delle tutte le
fonti storiografie e giuridiche importanti dell’epoca del Principato e documenta già le specifiche
implicazioni giuridiche nel diritto romano. Sempre a Lipsia, duecento anni dopo viene pubblicata da
Gottfried Zedler una tesi metodicamente già più corretta, basando i suoi ragionamenti sulla damnatio
memoriae nell’ambito della storia giuridica. Lo Standardwerk sulla damnatio memoria nell’ambito
antico-romana è stato redatto da Friedrich Vittinghoff nel 1936. Recentemente, nel 2004 e nel 2006,
due storici americani, Eric Varner e Harriet Flower, hanno pubblicato due monografie sul tema. Con
queste due pubblicazioni hanno verificato il valore del paradigma di ricerca sull’intenzionale
eliminazione dalla memoria. Essi descrivono la damnatio memoriae oltre il contesto giuridico e
istituzionale, spiegandone le implicazioni culturali.
Tuttavia questo fenomeno della distruzione e annullamento dalla memoria storica esisteva già nel
medioevo cristiano, anche se non si chiamava è stato titolato “damnatio memoriae” e non era coerente
alle misure legali che sono riportate per l’uso della damnatio memoriae nell’ antichità. Alcuni
medievalisti qualificano singole condanne o misure tra il quinto e quindicesimo secolo come damnatio
memoriae. In genere queste esprimono non solo l’intenzione un processo di oblio accelerato, ma
soprattutto la distruzione deliberata di tutte le tracce ed implicazioni storiche. Nell’intervento seguente
ritengo che sarà necessario prendere in considerazione anche un'altra implicazione della damnatio
memoriae: la deformazione delle tradizione storiche. Per questo qui sembra utile presentare un altro
esempio. Nella cronaca di Thomas Ebendorfer (scritto sin 1463) si legge su Ludovico:
“L'imperatore, ignorando la sua scomunica del1328 e essendo consigliato dai Romani ed altri
principi secolari e ecclesiastici, andò a Roma per ricevere la consacrazione e la corona imperiale. Ma il
Papa Giovanni XXII rifiutò, per questo l’imperatore nominò in accordo con il consiglio dei Romani e
di alcuni vescovi, un certo Pietro di Corbara chiamato Nicola V., venuto originario dalla Spagna e che
era fratre minore. Dopo aver destituito Papa Giovanni e aver nominato alcuni cardinali, questi Nicola
ha compiuto l’incoronamento imperiale di Ludovico.” Il racconto scavalca aspetti essenziali: Non viene
menzionato Sciarra Colonna, personaggio importante del il viaggio a Roma. Invece l’autore della
cronaca descrive la seconda incoronazione di Ludovico, molto meno significativa, benché eseguita
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dall’ultimo antipapa imperiale. L'autore non solo avvolge Sciarra Colonna nel manto del silenzio,
occulta così uno dei più controversi, ma anche più creativi personaggi della storia romana sotto il
termine “Romani”. Ebendorfer, come cronista imperiale della corte degli Habsburg a Vienna, pone
l’accento unicamente su Niccolo V. la creatura di Ludovico. Nella storiografia risulta che la
deformazione storiografica e il silenzio sul tribuno di Roma fanno parte del fenomeno della damnatio
memoriae.
L'obiettivo di questa relazione è l’illustrazione delle due manifestazioni del fenomeno della
damnatio memoriae. E di descrivere la tecnica culturale del "fare oblio" negli attuali concetti teoretici
sul ricordare e classificarla nell’ambito della memoria, presentando in questo modo un quadro
d’interpretazione per i seguenti studi. In partenza andrebbe citato Ludovico IV il Bavaro.
Al primo livello si parla della tecnica è la cancellazione di materiale, cioè la distruzione fisica
delle tracce. Perchè la scoperta o il rintracciamento della distruzione di statue, monumenti, chiese, ecc.
richiede specialisti, gli storici dipendono dai risultati di altre discipline come l’archeologia e la storia
dell’arte. Nel caso di Ludovico il Bavaro ci si riferisce agli studi sulla sua damnatio nelle cattedrali e le
chiese di Augsburgo, Monaco di Baviera, Indersbach etc. Per esempio il Papa Clemente VI ordinò in
una delle sue lettere che tutti i documenti e privilegi di Ludovico sarebbero dovuti essere distrutti, in
particolare quelli in cui il volto di Ludovico (imago eius) è visualizzato sulla lettera iniziale –
un’invenzione della cancelleria di Wittelsbach a Monaco di Baviera. Troviamo una sua profanazione in
un manoscritto di Monaco di Baviera, una copia del diritto di Alta-Baviera, dove si può notare lo
sfiguramento intenzionale del volto di Ludwig. Abrasioni del viso e atti simili, e inoltre anche del nome
"LU (DOVICUS) IMP (ERATOR)" sono evidenti nel antiphonario dell’Imperatrice Margarethe di
Olanda.
Queste rasure riguardano al secondo livello della damnatio memoriae, ossia la deformazione di
fonti scritte o la censura di testi e passaggi così come li ho esposti all’inizio. Questo "fare oblio"
metodico è da confrontare con gli attuali concetti teoretici sul ricordare.
Per mettere in ordine la diversità delle condanne dal ricordo sociale devono essere esaminate le
diverse teorie sulla questione della memoria e dell’oblio. La posizione più chiara è stata formulata da
Umberto Eco nel 1988. Lui mette fondamentalmente in dubbio la possibilità dell’oblio artificiale. Nel
suo saggio, intitolato "An, ars oblibivionalis' – Forget it!" egli sostiene che l’eliminazione della
memoria è contraria a tutti i trattati medievali e moderni sulla memoria. Essi consigliano metodi per
ricordare cose o persone attraverso analogie, sillogismi, concatenamenti mentali, ecc. La capacità
mnemonica aumenta in relazione alla capacità di associare cose sconosciute a cose conosciute. Secondo
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Eco questo processo non è reversibile. I trattati antico-medievali ammettono che i luoghi (loci) sono
collegati mentalmente alla memoria delle cose da ricordare. Una volta poste nella memoria, non
possono essere rimosse artificialmente, soppresso o sciolte. È stato mostrato da Paolo Rossi nel 1966
con la pubblicazione della sua Clavis Universalis, che gli autori medievali erano consapevoli, che
processi smemorativi non erano controllabili. Solo l’invecchiamento naturale, demenza, debolezza
mentale e degenerazione può accelerare il dimenticare. Questa interpretazione riguarda solo il livello
semiotico del ricordare e il rapporto tra significante e significato. Relativamente al livello dell’esistenza
dei “segni del ricordo” la damnatio memoriae consiste nell’antica forma della distruzione in pubblico.
Questi “segni del ricordo” erano il vero luogo della memoria, fornendo la capacità di ricordare. Con la
loro distruzione sparisce lo stimolo per ricordare. La memoria non è stata recuperata, quindi è stata
cancellata.
Il problema dei segni che non possono simboleggiare la loro non-esistenza, si applica anche alla
letteratura. Il linguaggio non può accennare al silenzio ossia alla non-esistenza. Per quanto riguarda la
damnatio memoriae ciò significa che il non detto, si perde nella dimenticanza. Harald Weinrich scrive
nel saggio “Lete: arte e critica dell'oblio" su questo paradosso. Assume che il dimenticare
artificialmente è possibile senza la distruzione dei segni promemoria. Incontra Si riferisce a questo
tema, quando parla dell’ambito delle forme speciali di mnemotecnica del medioevo. Riporta le indagini
svolte da Lina Bolzoni, "Le stanze della memoria" (1995) ai teorici della memoria del Quattrocento.
Questi studiosi, alla soglia dei tempi moderni, svilupparono nei loro trattati un metodo per cancellare i
ricordi. La procedura era un approccio intellettuale e trovava la sua base in Cicerone e nella Rhetorica
ad Herennium. La memoria, secondo loro, è la concatenazione di cose da ricordare con immagini e
luoghi virtuali. Più vivide e impressionanti queste immagini sono, più profondamente si radicano nella
memoria come imagines agentes. Rimanendo a questo livello si usa la stessa capacità mentale per
distruggere quelle immagini, che sono state usate per creare le concatenazioni. Si usano le tecniche per
nascondere, oscurare o confondere queste immagini mentali con altre immagini. Cosi diviene ovvio,
che già nel Medioevo esistevano ragionamenti teorici sulla sovrapposizione delle immagini, ossia sulla
manipolazione della memoria. Su questa prospettiva possiamo quindi ritenere che la distruzione della
memoria può essere eseguita tramite la distruzione delle "immagini stimolanti", avendo la memoria
bisogno della ripetizione e della stimolazione. Il secondo passo della damnatio memoriae, la
deformazione e la reinterpretazione di un racconto storico, può causare l’oblio in modo diverso.
Questa domanda dei mezzi dell’oblio è tema centrale nella monografia di Kai Behrens sulla
“Obliviologia Estetica” pubblicata nel 2005. Il termine obliviologia è un neologismo per descrivere la
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scienza del dimenticare. L’interesse di Behrens è l’analisi del fatto come la conoscenza diventa nonconoscenza. Per noi, che ci interessiamo per la damnatio memoriae, è importante l’elaborazione sul
modello medio-trasmettitore-ricevitore. Nella letteratura l’oblio può essere interpretato come un’attività
creata da un autore o poeta originario, che intende “fare dimenticare”. Dall’altra parte è situato il
ricevente, o piuttosto la vittima dell’oblio. Il “medio” (nel modello medio-trasmettitore-ricevitore)
consiste nel difficile processo del dimenticare. Questo processo ha due aspetti, l'abilità di dimenticare e
la voglia di fare-dimenticare. Come conseguenza della comunicazione, l’oblio dalla parte del ricevitore
segue quindi dalla deformazione di un messaggio precedente. Per quanto riguarda la damnatio
memoria, significa che il dimenticare non si trova su entrambi i lati. Come si vede nel caso di Ludovico
di Baviera, nel quale il papa intende non dimenticare l’ereticità dell’imperatore, ma vuole che il
pubblico, fidelibus, dimentichi il regno del Bavaro.
Questo ci conduce al concetto di memoria culturale. E' stato presentato da Jan Assmann nel 1992
e pubblicato in italiano nel 1997. Il suo libro “La memoria culturale” si basa su esempi delle civiltà
antiche avanzate. Questo concetto è stato sviluppato anche dal ricordo sociale da Aleida Assmann. Lei
introduce la distinzione nella memoria culturale e nella memoria funzionale. Questo è importante in
quanto la memoria funzionale possiede carattere ufficiale ed è importante particolarmente per il potere
dello Stato. La memoria ufficiale può essere usata da parte dello stato per la sua legittimazione. Il
potere ha bisogno di provenienze originali e per questo ha sempre una memoria propria. La distruzione
di una tradizione culturale del funzionamento della memoria crea secondo Assmann lo spazio per una
chiara auto-legittimazione. In questo modo si può cancellare qualsiasi posizione critica dalla memoria
come delegittimazione. Inoltre, il concetto di memoria culturale di Assmann, che collega la dimensione
retrospettiva con le prospettive della memoria, è anche utile come prova per la distruzione della
memoria che avviene in vista del presente e del futuro.
L'idea della memoria culturale e della memoria comunicativa è basata sul background teorico
della memoria collettiva. Maurice Halbwachs ha analizzato le condizioni di memoria sociali e il suo
impatto sul gruppo. Si basa sull'intensa attività di ricerca di Sigmund Freud, ma non include le due
questioni fondamentali per la damnatio memoriae: la dimenticanza collettiva e in particolare la
dimenticanza coatta.
Anche se questa relazione non descrive esplicitamente l’approccio psicologico e medico, il
concetto freudiano di rimozione rimane centrale. L’interpretazione psicoanalitica mostra come la
dimenticanza è intenzionata come rimozione degli istinti. Così va perso quella che possiamo chiamare
“l’innocenza del dimenticare”. Possiamo però vedere un’analogia con la damnatio memoriae: a livello
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psicoanalitico, la dimenticanza del singolo ha sempre una causa. La dimenticanza sociale funziona
come pratica intenzionale che caratterizza la storia. Inoltre la storiografia deve a Freud numerosi
concetti, come la rimozione dei ricordi o degli istinti) e l’analogia della memoria come lavoro.
Anche Michel Foucault interpreta l’oblio in relazione ai gruppi sociali. Nel suo scritto sulla
memoria (1971/1987) usa esplicitamente il concetto di memoria di Nietzsche. Foucault conclude che la
memoria deve avere un ruolo attivo per mobilitare altri percorsi storici ed esperienze diverse per avere
la capacità di dubitare dell’unico racconto che legittima il potere. L'opposto del racconto legittimo e il
contre-memoire dovrebbe essere la voce della minoranza trascurata per ottenere ascolto. Foucault
riconosce quindi la discussione delle diverse esigenze di memoria come la controversia stessa sulla
validità e la sostenibilità di formazioni sociali. Tale controversia si manifesta nel campo della memoria
tra amnesia e catarsi e dimostra di essere efficace quando la parte soccombente non ha la capacità di
costruire una memoria alternativa.
In questa dimensione morale del ricordare e dimenticare si domiciliano le riflessioni di Paul
Ricoeur. Nel suo libro "La Mémoire, l` histoire, l'oublié " del 2000, si riferisce all’identità come la più
importante qualità del ricordo, come è noto già dai testi di John Locke. Ricoeur non parla solamente
dell’identità individuale, ma sottolinea l'importanza dell’identità sociale. La domanda "Chi sono io?" è
elemento centrale dell’identità. La risposta a questa domanda contiene sempre la memoria, ma anche le
esperienze nel presente e nel futuro. Questo significa che gli storici si dovrebbero concentrare
principalmente sia sulle memorie e sull’abuso della memoria per trovare accesso ad un’identità sociale.
Secondo Ricoeur l’abuso della memoria si può presentare in tre modi diversi: la memoria manipolata,
la memoria coatta e la memoria impedita. Per lui la manipolazione della memoria è inizialmente il
sequestro di commemorazione nelle sue varie forme, sia essa la ritualizzazione o la vita comunitaria.
Una manipolazione completa significherebbe certamente il controllo di luoghi, organizzazioni e
simboli. Conforme alla seconda categoria di Ricoeur, la memoria può essere manipolata tramite una
commemorazione commandata. Anche se il comportamento e il modo della memoria è opportuno, il
ricordo ordinato può rimanere danneggiato perché è eccessivo o troppo limitato. La terza forma di
abuso, la memoria impedita, non corrisponde al fenomeno della damnatio memoriae stessa. Per Ricoeur
è più importante dello stimolo di ricordo è la capacità o la predisposizione dell’oblio. Qui non subentra
la distruzione degli stimoli della memoria. Allora Ricoeur attribuisce un'idea immateriale alla damnatio
memoriae, che si può realizzare anche senza la distruzione fisica. Per lui l’oblio è in primo luogo il
sottrarre agli attori sociali il loro la loro capacità di raccontare di se stessi di autodefinirsi. Questa
espropriazione della memoria si trova già a livello del “non-voler-sapere”. La questione solleva
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l'ulteriore controversia della memoria collettiva. Chi è, che si ricorda? Qual’è l'obiettivo della nonmemoria? Che cosa si può dire sull’oblio in una epoca specifica?
Inoltre, Ricoeur punta ad una particolare dimensione temporale dell’oblio e lo giustifica tramite
il concetto di “Essere e tempo” di Martin Heidegger. L’aspettativa verso il futuro dipende dalle
condizioni presenti, così come la memoria discende dalla dimenticanza. Infatti, nel modo di
dimenticare si mostra l'orizzonte, nel quale l’individuo si può ricordare. Ne consegue l'affermazione
centrale: nessuno può fare in modo che ciò che non è più – ma che è stato – non sia mai stato. Il campo
interessante per gli storici è lo spazio che si apre tra il “ciò-che-non-è-più” e il “ciò-che-è-passato”. Il
reperto storico dimostra che nel caso di Ludovico di Baviera i “damnatori” della memoria cercavano di
distruggere tutte le tracce, quelli attuali e quelle future, sapendo che non è possibile invalidare il
passato. Per questo si distruggevano immagini, documenti, chiese ecc. Risulta la questione: come
accedere ai ricordi di una società passata, non raggiungibili con il metodo storico-critico? E come
classificare queste tracce che non si manifestano, ma che rimangono grani di polvere senza struttura?
Sono queste le memorie non estinte, ma ugualmente non giunte a consapevolezza.
Tali riflessioni filosofiche, sociologiche, antropologiche e culturali ci portano ai metodi storici e i
vari approcci nella storiografia. Una distinzione pratica tra memoria e storia è difficile, fu ampiamente
analizzata nel 1977 da Jacques LeGoff nel suo “Storia e Memoria”. In uno scritto sulla memoria
dall'antichità ad oggi mostra che la storia e la memoria sono due processi di organizzazione della
conoscenza distinti anche se interagiscono reciprocamente. Dedica alla damnatio memoriae una prima
riflessione nella storiografia medievale. Riconosce che la damnatio memoriae stipulata dal senato
romano è un'arma contro la tirannia imperiale. La distruzione della memoria, che è stata esercitata sulla
figura dell’imperatore e dei suoi successori da parte dei senatori perchè sapevano che la memoria
possiede un grande potere. LeGoff riconosce la “damnatio memoria cristiana” come fenomeno
specifico, diverso da quello dell’antichità. Per esempio spiega, che nel sinodo di Reichenbach nell'anno
798 e nel secondo sinodo di Elne dell'anno 1027, è stata vietata la memoria di uno scomunicato. Altri
storici del medioevo che si sono interessati alla memoria come fenomeno sociale e agli impulsi per tutti
gli ambienti culturali (e.g. architettura, liturgia, le fondazioni etc.) come Joachim Wollasch, Karl
Schmid o Otto Gerhard Oexle hanno analizzato questi problemi metodici. Michael Borgolte insieme a
Cosimo Damiano Fonseca e Hubert Houben hanno mostrato nuovi aspetti del tema della memoria
allargandolo con la prospettiva dell’oblio culturale. Comunque non consideravano la dimensione della
damnatio memoriae come concetto dallo stesso livello della ricerca sulla memoria. Anche Johannes
Fried, Frances Yates, Mary Carruthers o Patrick Geary – autori classici per lo studio della memoria nel
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medioevo – sferrandono il tema della distruzione del passato come tecnica culturale. Pierre Nora,
lavorando in base di una topografia memoriale, tocca nel suo “Lieux de memoire” la distruzione dei
luoghi di memoria. Tuttavia o niente le numerose scoperte isolate della damnatio memoriae, richiedono
un telaio metodico per la loro interpretazione.
I concetti e le teorie del non ricordo menzionate non rappresentano soltanto una frazione delle ricerche
nell’ambito degli “cultural studies”, bensì offrono una possibilità di classificazione, rispetto al contesto
delle scienze umanistiche e scienze sociali. Necessariamente saranno aggiunte le ricerche degli
ambienti per esempio della teologia o della giurisprudenza. Concludendo vorrei mostrare come questi
strumenti concettuali possano essere utilizzati per una nuova comprensione della damnatio memoria nel
medioevo. Il concetto di damnatio memoriae sembra ragionevole per spiegare una particolare forma di
dimostrazione di potere politico all'interno di una controversia, in cui si vuole attuare non solo un
danno fisico, ma di più un’annichilazione post-mortem del nemico. Questo è valido per tutti i casi di
violenza fisica contro beni reali e simbolici dell’avversario. Sembra inoltre ragionevole applicare il
termine damnatio memoriae non solo a personaggi di imperatori, papi, e altri dignitari, ma anche agli
usurpatori, alle dinastie ed anche alle istituzioni come i monasteri, le corporazioni ed anzi tutte alle
città. Indispensabile per una condanna di memoria è, tuttavia, che gli avversari possano essere accusati
di eresia o di una colpa tale che senza precedenti. Comuni assassini venivano puniti con una condanna
comune. Inoltre senza l'esistenza di un certo grado di istituzionalizzazione non si può parlare di
damnatio memoriae. Seppure i casi medievali non sono paragonabili al fenomeno di alto tradimento
dell'antichità, entrambi richiedono un livello minimo di organizzazione.
L’impiego della damnatio memoriae incide sui problemi fondamentali della storiografia. Esempi
per la distruzione della memoria sono gli incidenti, in cui pretese e diritti, vengono estinti per formare
una base legittima e senza ambiguità, dato che la parte svantaggiato trova il punto di partenza in un
argomento di opposizione sorpassato. Così si spiega il senso dell’espurgazione della storia. In più la
damnatio memoriae costituisce parte significativa della legittimazione del potere. Il furto delle
memorie alternative toglie stimoli e punti di riferimento della storia e del sistema alternativo. La
dannazione della memoria impedisce una "contro"-storia.
Inoltre è importante che la storiografia cerchi di identificare i rapporti di una società con il
proprio ricordo. Così la questione centrale, “Perché ricordarsi?” può dare un importante impulso alle
ricerche in una zona in cui poche fonti sono chiare.
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Spero che grazie a questo incontro qui ad Ascoli-Piceno lo sguardo/ il punto di vista/la
panoramica sulla storia sarà diverso e che l’attenzione per il vuoto che risulta dalla deliberata
distruzione delle fonti sarà aumentata un po’. Inoltre spero che attraverso le mie riflessioni si sia
dimostrata l’importanza della considerazione dovuta non solo al ruolo dei reperti trovati, ma soprattutto
al ruolo di quelli che si sarebbero dovuti trovare, di quelli che sono stati deliberatamente cancellati. Per
concludere ci resta il dictum filosofico di Paul Ricoer riferito a Martin Heidegger e che noi, come
storici, dovremmo prendere in grande considerazione: Nessuno può fare in modo, che ciò che non è
più, non sia mai stato. Spetta a noi, vigili storici, riconfigurare l'immagine distorta dalla damnatio
memoriae.
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