LETTERA DI GIACOMO

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LETTERA
DI GIACOMO
Diocesi di Verona
Commento: prof. d. Gianattilio Bonifacio
In copertina: SS. Filippo e Giacomo. Dai corali del Turone - sec. XIV
Biblioteca Capitolare - Verona
Diocesi di Verona
LETTERA
DI GIACOMO
UN NUOVO REGALO
I
l momento celebrativo del IV Convegno Ecclesiale Nazionale
ci ha portato nel cuore e nella riflessione pastorale la lettera di
Pietro; ne abbiamo gustato la bellezza e la ricchezza, cosparse
da un vivo senso di paternità, nutrimento piacevole assunto con
fiducia, imparando a non scoraggiarci per la nostra fragilità. Accanto a questo dono ora ci viene presentata un’altra lettera di un
altro Apostolo: Giacomo.
Non si tratta del vivace figlio del tuono fratello di Giovanni,
ma il Giacomo detto il minore e qualificato come parente di Gesù
da collocare nel parentato di Nazareth.
Questo Apostolo ha grinta rude e parola forte, franca. Scende
nel concerto e ti scuote, ti interpella. Ha portato con sé l’abitudine
all’osservanza convinta e puntuale della sua fede ebraica, travasata
nella pratica della vita, un travaso che esprime convincimento e
coerenza. Dice “alle dodici tribù che si trovano nella dispersione”
– i destinatari del suo scritto – che bisogna essere esecutori della
Parola non solo ascoltatori. Dichiara che se uno non frena la lingua, inganna il suo cuore e la sua religione è vana e afferma altresì
senza mezzi termini che una fede che non si manifesta nelle opere
è semplicemente morta.
3
Giacomo ha pure un’attenzione speciale alla carità fraterna e
alla situazione sociale; si indigna contro i privilegi specialmente
se concessi dal clero a chi fa grosse offerte ma trascura il povero e
lo deruba. E si commuove di fronte agli ammalati.
Leggendo questa Parola avremo modo anche noi di arrossire,
saremo spinti alla sincerità; poco a poco saremo portati ad organizzare la nostra vita guidati da quella Sapienza che viene dall’Alto (cf. 3,1-12): è il punto qualificante di questo libro sacro.
Credo che tutti, leggendo questa lettera, sentiremo d’impulso
la voglia di dire a questo apostolo il più esplosivo Grazie! perché
ci accorgeremo di esser paurosi, rinunciatari, con una identità
culturale e religiosa spenta, non amata, né vissuta. E gli chiederemo di procurarci una trasfusione di quel suo forte amore a Gesù
Cristo, ai poveri, ai malati. Seguendolo daremo sapore alla nostra
vita, coraggio alla nostra gente e sorprenderemo chi cerca ogni
occasione per aggredirci e contraddirci.
Cari amici fedeli alla Parola che viene dall’Alto chiediamo il
dono dello Spirito per ottenere la forza di attuare in noi, nel cosmo e nell’umanità, l’amoroso progetto scaturito dal cuore del
Padre.
+ Padre Flavio Roberto Carraro
Vescovo di Verona
Verona, 24 gennaio 2007
4
Introduzione
L
o scritto che stiamo per leggere fonda la sua autorevolezza
per la vita della comunità cristiana sulla figura dell’apostolo Giacomo, che nella tradizione ecclesiastica occidentale viene identificato con il “fratello del Signore”1.
Chi però ha effettivamente scritto la lettera, pur rifacendosi ad una figura così autorevole, mostra un’ottima conoscenza
della lingua greca e – nonostante i frequenti riferimenti biblici –
sembra rivolgersi ad una comunità che vive in un contesto culturale fortemente marcato dalla mentalità ellenistica. In ogni
caso si tratta di un responsabile di comunità (si definisce “maestro”: 3,1-2) di seconda o terza generazione che scrive dopo gli
anni 80, quando ormai i gruppi cristiani si erano separati dal
giudaismo.
Il luogo dove fu scritta non è facilmente riconoscibile e potrebbe andare dall’area siropalestinese all’ambiente cosmopolita
dell’Egitto settentrionale.
Ad un primo sguardo, la lettera lascia perplessi perché non si
riesce a trovare un filo letterario che leghi lo sviluppo dei diversi temi che vengono trattati. Si ha nettamente l’impressione di
essere davanti ad una serie di raccomandazioni, detti e proverbi
1 In realtà sono due i “Giacomo” presenti nel NT: l’apostolo (cf Mt 10,3) e il
“fratello del Signore” (Mt 13,55 e paralleli; At 12,17; 1Cor 15,7; Gal 1,19).
Introduzione
5
collegati tra loro solo per l’affinità di qualche parola o per l’omogeneità di alcuni temi. Ma poco o nulla lascia intravedere un disegno coerente e ben sviluppato.
Questo profilo letterario però non compromette il valore di
quanto la lettera affida all’ascolto e alla riflessione. Non siamo
davanti ad un trattato teologico coerente e serrato, ma ad una
presentazione della vita cristiana in una concretezza pratico-morale che si rifà in pieno all’insegnamento catechetico ed esortativo del Nuovo Testamento e in particolare del Vangelo.
Si tratta di uno scritto decisamente orientato alla prassi. Ma
ciò che anima l’agire riposa sul dato imprescindibile della fede
battesimale che, dopo aver accolto la Parola di Dio e la sua azione salvifica e rigenerante, sa assumere atteggiamenti concreti che
incarnano effettivamente nella vita i valori del Vangelo.
Lo schema che segue ricalca la suddivisione presente poi nel
testo e permette di farsi un’idea dei temi e degli insegnamenti
che vengono trattati da Giacomo.
• U
na prima serie di argomentazioni pone al centro l’accoglienza
e la pratica della Parola di Dio che mette al riparo dagli eventuali fallimenti cui le prove quotidiane espongono l’esistenza:
1 e 2: La vita cristiana tra prove e sapienza (1,1.2-18)
3: L’accoglienza della Parola di Dio (1,16-27)
• S egue quindi il corpo della lettera in cui Giacomo presenta la
fede attiva e la vera sapienza come guide per una vita lontano
dal male:
6
Introduzione
4. Esigenza della fede è un amore che non discrimina i poveri
(2,1-13)
5. La fede operosa apre alla salvezza (2,14-26)
6. L’ambiguo potere della parola umana (3,1-11)
7. L a vera sapienza: antidoto al comportamento malvagio
(3,13-18)
8. O amici del mondo o amici di Dio (4,1-12)
• L
’ultimo passaggio si concentra sulle giuste relazioni interpersonali (ricchi e poveri) e sulle regole che devono governare la
vita comunitaria:
19. La falsa e violenta sicurezza dei ricchi (4,13-5,6)
10. La chiesa che vive nell’attesa del Signore (5,7-20)
Il testo della lettera di Giacomo qui presentato è – tranne pochissime correzioni – quello che si usa nella Liturgia, approvato
dalla CEI.
Le brevi note introduttive alle singole sezioni, come anche le
note a margine del testo non pretendono di essere un commento esegetico, ma vogliono semplicemente offrire un primo approccio che possa facilitare la lettura personale e comunitaria
sciogliendo alcune difficoltà stilistiche e sintattiche; forniscono – in buona sostanza – una parafrasi un po’ ragionata dello
scritto. Vanno prese per quello che servono, senza affidarvisi
troppo.
Introduzione
7
Chi invece volesse approfondire lo studio e la comprensione
della lettera ha a disposizione ben altri e più fruttuosi strumenti:
Fabris R., Lettera di Giacomo e Prima lettera di Pietro. Commento pastorale e attualizzazione (Lettura Pastorale della Bibbia;
Bologna: Dehoniane 1980).
Fabris R., Lettera di Giacomo. Introduzione, versione e commento (Scritti delle origini cristiane 17; Bologna: Dehoniane
2004).
Vanni U., Lettere di Pietro, Giacomo e Giuda.(Leggere oggi la
Bibbia 2.13; Brescia: Queriniana 1995).
Attinger D., La lettera di Giacomo. Commento esegeticospirituale (Magnano (BI): Qiqajon 1985).
8
Introduzione
1. L’indirizzo (1,1)
Giacomo, servo di Dio e del Signore
Gesù Cristo, alle dodici tribù che sono
nella diaspora, salute.
1
Le “dodici tribù” fanno riferimento alla genericità dei cristiani (sia giudei che ellenisti)
che continuano la storia della
salvezza che Dio ha inaugurato
per Israele.
2. La vita cristiana tra prove e sapienza (1,2-18)
In questo quadro introduttivo, Giacomo dà mostra di grande concretezza. La vita
cristiana deve fare i conti con le prove e le tentazioni che si oppongono al Vangelo
(vv. 2-4). Ma il credente non è senza risorse: ha da un lato la forza interiore della
fede e dall’altro la Sapienza stessa di Dio (vv. 5-8) che gli permettono di rivoluzionare i criteri di giudizio (vv. 9-11) e di far fronte alle tentazioni con la perseveranza
che viene dalla fede (vv. 12-15) e che si fonda sull’ascolto della Parola (vv. 16-18).
Considerate gioia piena, fratelli miei,
quando v’imbattete in varie prove,
3
consapevoli che la prova della vostra
fede produce perseveranza; 4e la perseveranza possa ottenere un’opera completa perché siate perfetti, completi, in
nulla mancanti.
La vita è segnata da prove, ma
esse, pur faticose, hanno un
risvolto positivo: producono
la capacità di rimanere saldi e
perseveranti, premesse essenziali per la riuscita personale.
Se poi qualcuno di voi manca di sapienza, domandi a Dio, che dà a tutti
semplicemente, senza rin­facciare, e gli
sarà data.
6
Chieda però con fede, senza esi­tare
in nulla: chi esita somiglia all’onda del
mare mossa dal vento e agitata. 7 Una
persona del genere non s’illuda di ricevere qualcosa dal Signore: 8è uomo
Discernere il senso delle prove
non è facile: occorre la Sapienza che solo Dio può donare.
2
5
Lettera di Giacomo
La fede è la condizione che permette di ottenere la Sapienza
che rende capaci di superare
l’indecisione per affidarsi a Dio
evitando tentennamenti ed ambiguità che producono instabili-
9
d’animo doppio ed instabile in tutte le
sue vie.
tà, confusione, senza condurre
da nessuna parte.
Si vanti il fratello povero della
sua elevazione, 10 e il ricco del suo ri­
dimensionamento perché passerà come
il fiore d’erba. 11Si levò infatti il sole con
il calore e seccò l’erba e il suo fiore cadde
e lo splendore della sua immagine svanì; così anche il ricco appassirà nelle sue
imprese.
La rivalutazione di cose e persone è il primo risultato della
Sapienza accolta. In particolare
il ricco impara a ridimensionare
la sua situazione, ottenendo
una rinnovata gamma di valori,
che lo custodisce dall’illusione
di salvarsi da solo.
9
Beato l’uomo che persevera nel­l a
prova, perché una volta approva­to, riceverà la corona della vita, promessa a
quelli che lo amano.
13
Nessuno quando è tentato dica:
«Sono tentato da Dio», perché Dio non
è tentato dal male e non tenta nessuno.
14
Ciascuno invece è tentato dalla propria bramosia, at­t irato e sedotto; 15poi
la bramosia, concepito il peccato, lo dà
alla luce, ma il peccato, una volta portato a termine, genera la morte.
16
Non lasciatevi ingannare, fratelli
miei carissimi: ogni dono buono e ogni
dono perfetto viene dall’alto, 17discendendo dal Padre delle luci, presso il
quale non esiste mu­tazione né ombra di
rivolgimento.
18
Per un atto della sua volontà ci generò mediante la parola della verità, perché fossimo come una pri­m izia delle
sue opere.
12
10
E il povero a sua volta si convince che la felicità non coincide
con il solo possesso delle cose.
La prova spesso diventa una
vera minaccia alla fedeltà al
Vangelo, proponendo strade
alternative: è la tentazione.
Essa non dipende da Dio, né
dai casi della vita. La sua origine è nel cuore stesso dell’uomo
– la sua smania di avere – che
resta attiva anche nel credente.
La capacità di resistervi viene
ricompensata ampiamente da
Dio; ma il cedere nei confronti
del Vangelo ha un esito distruttivo, innescando un meccanismo che porta alla morte.
Per evitare il rischio d’essere ingannati rispetto ai beni occorre
riconoscere che la loro origine
è Dio: per questo sono “doni”.
Egli illumina con la sua Parola
e garantisce l’autentica intimità
con Lui (figli e primizie).
Lettera di Giacomo
3. L’accoglienza della Parola di Dio (1,16-27)
Se la Sapienza divina, unita alla fede permette al credente di superare con successo la prova, è l’attuazione della Parola che ottiene la beatitudine del Signore facendosi carico di chi è nel bisogno. Per accogliere la Parola occorre evitare ciò che
impedisce l’ascolto (vv. 19-21) per attivare un’accoglienza fattiva (vv. 22-24) che
nasce dall’interiorità (legge perfetta e libera perché interiorizzata: v. 25). La Parola
così accolta si traduce in concreti atteggiamenti che coinvolgono essenzialmente
le relazioni interpersonali (vv. 26-27).
Sappiate, fratelli miei amati: ciascuno sia pronto all’ascolto, lento a parlare, lento all’ira; 20l’ira dell’uomo infatti
non produce la giustificazione di Dio.
21
Perciò deponendo ogni sporcizia
ed eccesso di cattiveria, accogliete con
mansuetudine la parola seminata in
voi, che ha la forza di salvare le anime
vostre.
22
Siate però esecutori della parola e
non ascoltatori soltanto, ingan­nando
così voi stessi. 23Poiché chi è ascoltatore
della parola e non esecu­tore, assomiglia
a un uomo che con­sidera le fattezze del
suo volto in uno specchio. 24Considera
se stesso e se ne va via, dimenticando
subito com’era.
25
Colui invece che considera at­
tentamente la legge perfetta della libertà e vi persevera, divenendo così non un
ascoltatore distratto, ma un esecutore
concreto, costui sarà beato per il suo
agire.
19
Lettera di Giacomo
La Parola di verità viene ora
ripresa dal versante dell’atteggiamento da assumere da parte
del credente: l’ascolto.
L’ascolto va custodito da ogni
elemento che lo ostacola e lo
rende faticoso per poter accogliere la vitalità che viene dalla
Parola.
Non basta ascoltare la Parola,
ma occorre fargli posto concretamente, perché possa trasformare la vita.
L’ascolto falso e superficiale invece non permette alla Parola
di attuare la sua efficacia.
La Parola spinge verso la “legge perfetta” che è tale perché
parte dall’intimo di chi ha fatto
sua la logica del Vangelo. Solo
così si supera il volontarismo e
si arriva alla “libertà” di plasmare la vita secondo lo stile delle
Beatitudini.
11
Se qualcuno pensa di essere reli­
gioso, ma non tiene a freno la sua lingua
ingannando il suo cuore, la re­l igiosità
di costui è vuota. 27Questa è la religiosità pura e senza macchia davanti a Dio
Padre: visitare gli or­f ani e le vedove
nella loro afflizione, custodire se stesso
immune dal con­tagio del mondo.
26
Le azioni che la forza della Parola “seminata in noi” promuove
sono molteplici e riguardano
essenzialmente le relazioni fraterne: la prudenza nel giudizio
e il farsi carico delle fatiche dei
più esposti, mantenere un sano
distacco dalla logica mondana.
Solo così il rapporto religioso
con Dio è messo al riparo dalla
mera formalità.
4. Esigenza della fede è un amore
che non discrimina i poveri (2,1-13)
La Parola seminata nel cuore e accolta nella fede domanda al cristiano una precisa scelta di campo e una radicalità di atteggiamenti che determinano lo stile di
vita e la qualità delle relazioni interpersonali. Qui, in particolare, Giacomo mette in
guardia da favoritismi e discriminazioni basate sui soldi e sul prestigio sociale. La
sua argomentazione parte da un esempio concreto di discriminazione (vv. 1-4) che
è indice di una distorsione della logica evangelica espressa dalla “regola regale”,
cioè l’amore per il prossimo, (vv. 5-11) che per il cristiano – mosso interiormente
dallo Spirito – è legge di libertà (vv. 12-13).
Fratelli miei, non mescolate a fa­
voritismi personali la vostra fede nel
Signore nostro Gesù Cristo, Signore
della gloria. 2Supponiamo che entri in
una vostra assemblea qual­c uno con
un anello d’oro al dito, ve­s tito splendidamente, ed entri anche un povero
con un vestito logoro. 3Se voi guardate
a colui che è vestito splendidamente e
gli dite: «Tu siediti qui comodamente»,
e al povero dite: «Tu mettiti in piedi lì»,
1
12
Giacomo prende le mosse da
un esempio incisivo: l’opposto
trattamento tra il ricco e il povero.
L’unico che merita “gloria” è il
Signore Gesù (v. 1), e proprio a
motivo delle scelte che Egli ha
fatto nella sua vita terrena, l’attenzione e la promozione evangelica va riservata anzitutto ai
poveri e agli esclusi.
Lettera di Giacomo
oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sga­
bello», 4non fate in voi stessi prefe­renze
e non siete giudici dai giudizi perversi?
5
Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio
non ha forse scelto i poveri nel mondo
per farli ricchi con la fede ed eredi del
Regno che ha promesso a quelli che lo
amano?
Voi invece avete disprezzato il povero! Non sono forse i ricchi che vi tiranneggiano e vi trascinano davanti ai
tribunali? 7 Non sono essi che bestemmiano il bel nome che è stato invocato
sopra di voi?
Giacomo è caustico: si fa molta
attenzione ai ricchi, ma non la
meriterebbero certo, visto il loro
comportamento ostile e blasfemo. Eppure la logica mondana...
Certo, se adempite la legge re­gale secondo la Scrittura: amerai il prossimo
tuo come te stesso, fate bene; 9ma se fate
distinzione di per­sone, commettete un
peccato e si­ete accusati dalla legge come
trasgressori. 10Poiché chiunque os­servi
tutta la legge, ma la trasgre­disca anche
in un punto solo, di­venta colpevole di
tutto; 11infatti colui che ha detto: Non
commettere adulterio, ha detto anche:
Non uc­cidere. Ora se tu non commetti
adulterio, ma uccidi, ti rendi trasgressore della legge.
La “regalità” della legge dell’amore (cf. Lev 19,18) è tale
perché essa è il criterio di accesso al Regno (v. 5).
L’esecuzione della Legge non
sopporta selezioni o scorciatoie: è tutta vincolante perché
tutta viene da Dio. Però, all’interno di questo principio di totalità, Giacomo ha ben precisato
il criterio di fondo: l’amore per
il prossimo (cf. Mc 12,28-34: i
due comandamenti).
Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secon­do una legge
di libertà, perché 13il giudizio sarà senza
La misericordia è l’attuazione
pratica della “legge regale” che
è una “legge di libertà” perché
6
8
12
Lettera di Giacomo
13
misericordia contro chi non avrà usato
misericordia; la misericordia invece ha
sempre la meglio nel giudizio.
nasce dall’interiorità e non dalla
pressione esterna. Essa dischiude e prepara benevolmente il giudizio definitivo di Dio.
5. La fede operosa apre alla salvezza (2,14-26)
Giacomo ha mostrato come la fede domanda di abbandonare le discriminazioni per
abbracciare con totale dedizione la legge regale/di libertà che consiste nell’amore
verso il prossimo. Ora esplicita in modo ancor più netto lo stretto legame tra la fede
e le sue implicazioni pratiche. Lo fa con una serie di passaggi. Anzitutto presenta la
tesi: la fede senza le opere è morta ed inutile alla salvezza (vv. 14-17). Poi, grazie
ad un dialogo con un ipotetico avversario, ribadisce l’indivisibilità tra fede e opere
(vv. 18-19). Infine ricorre a due esempi (Abramo e Raab) per fugare ogni eventuale
dubbio rimasto (vv. 20-26).
Che giova, fratelli miei, se uno dice
di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo?
14
Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano 16e uno di voi dice loro: «Andatevene
in pace, riscal­d atevi e saziatevi», ma
non date loro il necessario per il corpo,
che giova? 17Così anche la fede: se non
ha le opere, è morta in se stessa.
15
Al contrario uno potrebbe dire: Tu
hai la fede ed io ho le opere; mostrami
la tua fede senza le ope­re, ed io con le
mie opere ti mostre­rò la mia fede. 19Tu
credi che c’è un Dio solo? Fai bene; anche i demòni lo credono e tremano!
18
14
La fede domanda l’implicazione
della vita e non può fermarsi ad
una proclamazione verbale.
L’esempio è molto chiaro nel
contrapporre al bisogno concreto del fratello o della sorella,
l’inutile quanto irritante augurio,
che di fatto è un elegante invito
ad arrangiarsi. Una fede così
non pratica certo la volontà di
Dio (2,5) espressa nella legge
regale (2,8): per questo è morta!
Chi pretende che esista una
fede che non coinvolga la vita
pratica, cade nell’assurdo di
una fede dissociata come quella dei demoni. Costoro sanno
bene chi è l’unico Dio e conoscono le sue esigenze, ma il
loro comportamento non è certo in linea con il Vangelo!
Lettera di Giacomo
Ma vuoi sapere, o insensato, come la
fede senza le opere è inuti­le?
20
Abramo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere, quando offrì Isacco, suo figlio, sull’altare? 22Vedi
che la fede coopera­v a con le opere di
lui, e che per le opere quella fede divenne perfetta 23e si compì la Scrittura che
dice: E Abramo ebbe fede in Dio e gli fu
ac­c reditato a giustizia, e fu chiamato
amico di Dio. 24Vedete che l’uomo viene
giustificato in base alle opere e non soltanto in base alla fede.
21
Così anche Raab, la prostituta, non
venne forse giustificata in base alle opere per aver dato ospitalità agli esploratori e averli rimandati per altra via?
25
Infatti come il corpo senza lo spirito
è morto, così anche la fede senza le opere è morta.
26
Lettera di Giacomo
Ad ulteriore conferma della sua
tesi, Giacomo rampogna chi
ancora la rifiuta con l’epiteto di
insensato (“vuoto”, alla lettera).
E lo incalza con due esempi biblici.
Anzitutto mostra la fede attiva di
Abramo che non oppone riserve al sacrificio del figlio, dando
prova di massima disponibilità
(cf Gen 22).. Probabilmente
l’esempio è un correttivo alla
lettura troppo unilaterale della
fede di Abramo presente in Rm
4, così come potrebbe apparire ad un occhio malevolo che
riduce la fede a puro esercizio
teorico.
Raab riporta al libro di Giosuè
(cap. 2) dove si narra dell’aiuto
dato dalla prostituta agli esploratori di Israele per la conquista
di Gerico. L’ospitalità che lei
ha dimostrato le ha permesso
di sfuggire al disastro dei suoi
concittadini.
L’ultima sentenza precisa che le
opere sono, rispetto alla fede,
come lo spirito rispetto al corpo: la vita è possibile solo nella
compresenza e nella convergenza delle due componenti.
15
6. L’ambiguo potere della parola umana (3,1-11)
Giacomo prosegue nella sua esortazione ad una fede pratica e sottolinea ancora,
come campo decisivo, le relazioni con gli altri che si attuano qui nell’uso della parola (vv.1-2). Anzitutto presenta l’atteggiamento che va evitato: una parola pettegola
ed aggressiva che devasta lo stare insieme (vv. 3-12). La lingua è qui intesa come
il veicolo dell’agire umano, ne rappresenta l’esito operativo (cf. i frutti e l’acqua dei
vv. 9-12); attesta ciò che esce dal cuore dell’uomo e ne dimostra il rischio della dissociazione e della ribellione da Dio (v. 6). Il faticoso compito di controllarla (vv. 3-5
e 7-8) diventa così un impegno di primaria importanza.
Fratelli miei, non vi fate maestri in
molti, sapendo che noi ricevere­mo un
giudizio più severo, 2poiché tutti quanti
manchiamo in molte cose. Se uno non
manca nel parlare, è un uomo perfetto,
capace di tenere a freno anche tutto il
corpo.
Il richiamo alla prudenza nel
parlare ha precisi richiami biblici (cf. Pr 10,19 e Sir 25,8), ma
qui Giacomo si rivolge in particolare a chi ha la responsabilità
di guida (maestri) nella comunità: sia prudente nell’intervenire.
Non si tratta di cosa da poco
visto che determina o un “più
severo giudizio” o il pieno autocontrollo e la perfezione!
Quando mettiamo il morso in bocca
ai cavalli perché ci obbedis­c ano, possiamo dirigere anche tut­to il loro corpo. 4 Ecco, anche le navi, benché siano
così grandi e vengano spinte da venti
gagliardi, sono guidate da un piccolissimo ti­mone dovunque vuole chi le
manovra. 5Così anche la lingua: è un
piccolo membro e può vantarsi di grandi cose. Vedete un piccolo fuoco quale
grande foresta può in­cendiare!
I due esempi – il morso e il timone – evidenziano la grande forza che ha la parola: essa non va
minimizzata perché è in grado
di produrre disastri difficilmente
controllabili e riparabili in seno
alla comunità. È un pressante
invito a valutare bene il tenore
delle parole usate nei confronti
degli altri.
1
3
16
Lettera di Giacomo
Anche la lingua è un fuoco, il mondo d’iniquità; è inserita nelle nostre
membra e contamina tutto il corpo e
incendia il corso della vita, traendo la
sua fiamma dalla geenna. 7Infatti ogni
sorta di bestie e di uccelli, di rettili e di
esseri marini sono domati e sono stati
do­mati dalla razza umana, 8ma la lin­
gua nessun uomo la può domare: è un
male ribelle, è piena di veleno mortale.
La lingua è “il mondo d’iniquità” perché ciò che contamina
l’uomo è ciò che esce dal suo
cuore che è sempre esposto al
rischio di ribellione da Dio. Se
la lingua – cioè quel che viene
dal cuore – è guidata dal nostro
io e non dal Vangelo ne risulta
un’esistenza infernale. Quindi il dominio della lingua – io
egoista, è impegno di primaria
importanza.
Con essa benediciamo il Signore e
Padre e con essa malediciamo gli uomini fatti a somiglianza di Dio.
10
È dalla stessa bocca che esce benedizione e maledizione. Non dev’essere
così, fratelli miei! 11Forse la sorgente
può far sgorgare dallo stesso getto acqua dolce e amara? 12Può forse, miei
fratelli, un fico produrre olive o una vite
produrre fichi? Neppure una sorgente
salata può produrre acqua dolce.
La lingua mostra in tutta verità
la dissociazione cui è esposto
chi non segue il vangelo. Tale
dissociazione è ribadita dalla
sequela di immagini: la sorgente dolce e amara, i frutti e gli alberi, l’acqua dolce e salata.
6
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Lettera di Giacomo
17
7. La vera sapienza: antidoto al comportamento
malvagio (3,13-18)
A fronte del gravissimo rischio cui la lingua / io egoistico espone l’uomo, la ricerca
della vera sapienza si presenta come l’unico efficace antidoto. Con ogni probabilità
la chiesa di Giacomo era minacciata da una mentalità ellenizzante, cioè legata alla
filosofia greca, che tendeva a dividere la teoria dalla pratica. Cercavano una sapienza (sofia) solo teorica, connessa ai bei discorsi, senza tener conto delle implicazioni pratiche ed esistenziali che invece si trovano nelle Beatitudini evangeliche
che vengono alluse nell’elenco del v. 17.
Chi è saggio e accorto tra voi? Mostri con la buona condotta le sue opere
nella mitezza della sapienza.
13
Ma se avete nel vostro cuore gelosia
amara e spirito di contesa, non vantatevi e non mentite contro la verità. 15Non
è questa la sapienza che viene dall’alto:
è terrena, carnale, diabolica; 16poiché
dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è
disordine e ogni sorta di cattive azioni.
14
La sapienza che viene dall’alto invece è anzitutto pura; poi pacifica, mite,
arrendevole, piena di misericordia e
di buoni frutti, senza parzialità, senza
ipocrisia.
17
Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera
di pace.
Maestro saggio è chi nelle sue
opere mostra il vero frutto della
sapienza: la mitezza.
La mitezza è in netto contrasto
con ciò che Giacomo vede all’opera nella sua chiesa: gelosie, contese, vanterie e falsità.
Qui è all’opera una logica diabolica che produce frutti conseguenti: disordine e malvagità
d’ogni genere. È una sorta di
paganesimo di ritorno in cui i
cristiani non si distinguono più
dai pagani.
La sapienza divina non è vuota
retorica, ma è ben riconoscibile
nei frutti che genera, primo tra
tutti una pace che difende e
promuove concretamente (cf. il
participio “coloro che fanno”) la
giustizia.
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Lettera di Giacomo
8. O amici del mondo o amici di Dio (4,1-12)
Mettere da parte la sapienza del Vangelo e le sue esigenze comporta la distorsione
dei desideri: si cerca solo ciò che serve e che va bene al singolo, dando così campo
libero all’egoismo in tutte le sue forme (vv. 2-3). L’esito di tale atteggiamento è la
divisione e il conflitto (v. 1) e il porsi contro Dio (v. 4). L’atteggiamento corretto è
invece quello di riconoscersi bisogni della misericordia divina (vv. 5-10) che permette di usare mitezza e comprensione verso gli altri, compiendo così in pienezza
la Legge di Dio (vv. 11-12).
Da che cosa derivano le guerre e le liti
che sono in mezzo a voi? Non vengono
forse dalle vostre cu­pidigie che combattono nelle vostre membra? 2Bramate e
non riuscite a possedere, uccidete; invidiate e non riuscite ad ottenere, combattete e fate guerra! Non avete perché
non chiedete; 3chiedete e non ottenete
perché chiedete male, per spendere per
i vostri piaceri. 4 Gente infedele! Non
sapete che amare il mondo è odiare
Dio? Chi dunque vuole es­s ere amico
del mondo si rende ne­m ico di Dio. 5O
forse pensate che la Scrittura dichiari
invano: fino alla gelosia ci ama lo Spirito che egli ha fatto abitare in noi? 6Ci
dà anzi una grazia più grande; per questo dice: Dio resiste ai superbi; agli umili
invece dà la sua grazia. 7Sot­tomettetevi
dunque a Dio; resistete al diavolo, ed
egli fuggirà da voi.
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Avvicinatevi a Dio ed egli si avvicinerà a voi. Purificate le vostre mani, o
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Lettera di Giacomo
Giac omo descrive con un
grandioso crescendo l’azione
dell’egoismo e della mentalità
mondana sui suoi interlocutori. Parte dal desiderio, volontà
di possesso (il cuore); per poi
passare alle parole mortificanti
ed aggressive (lingua) per finire
con lotte e guerre (azioni).
La frustrazione è motivata dall’origine distorta del desiderio
(piaceri) che compromette tutta
l’esistenza.
Non si può cedere al compromesso: tra la logica mondana e
quella evangelica non c’è reale
possibilità di accordo.
Dio da parte sua non si tira
indietro: è sempre disposto
a dare il meglio ed è geloso di
ogni surrogato che intenda nasconderne la misericordia.
La sottomissione a Dio è la
condizione che permette di
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peccatori, e santifi­cate i vostri cuori, o
irresoluti. 9Gemete sulla vostra miseria, fate lutto e piangete; il vostro riso
si muti in lutto e la vostra allegria in tristezza.
accedere alla grazia. La serie
di imperativi mostra un duplice
movimento: l’apertura incondizionata a Dio e la resistenza a
quanto vi si oppone (il diavolo).
Umiliatevi davanti al Signore ed
egli vi esalterà.
L’umiliazione è la presa di coscienza di essere peccatori,
di aver bisogno di Dio e quindi
di renderci disponibili alla sua
misericordia: il limite che si fa
invocazione.
Non sparlate gli uni degli altri, fratelli. Chi sparla del fratello o giudica il
fratello, parla contro la legge e giudica
la legge. E se tu giu­dichi la legge non sei
più uno che osserva la legge, ma uno
che la giu­dica. 12Ora, uno solo è legislatore e giudice, Colui che può salvare e
rovinare; ma chi sei tu che ti fai giudice
del tuo prossimo?
La “colpa” non ce l’hanno gli altri: il malessere viene dal nostro
peccato. La legge di Dio ha lo
scopo di mettere in evidenza il
limite proprio dell’uomo per aiutare a riconoscere la necessità
del perdono divino. Giudicare
gli altri significa non capire che
non c’è nessuno che possa accampare diritti davanti a Dio:
unica speranza è la sua misericordia.
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Lettera di Giacomo
9. La falsa e violenta sicurezza dei ricchi (4,13-5,6)
Giacomo, con grande realismo, denuncia le forti disuguaglianze sociali: lo sfruttamento dei braccianti agricoli e degli indifesi in genere (5,4-6). Questi fatti se non
sono concepibili per la società in genere, diventano del tutto colpevoli quanto si
tratta di credenti. Ed è proprio ad essi che l’apostolo si rivolge: i cristiani ricchi.
Egli ha a cuore la loro sorte e quindi li richiama a conversione con un durissimo
rimprovero che si articola in due richiami (3,13-16 e 5,1-6) con al centro il richiamo
alla responsabilità di non separare – come detto più volte – ciò che si conosce da
ciò che si pratica (4,17).
E ora a voi, che dite: «Oggi o domani andremo nella tal città e vi passeremo un anno e faremo affari e guadagni», 14 mentre non sapete cosa sarà
domani! Ma che è mai la vostra vita?
Siete come vapore che appare per un
istante e poi scom­pare. 15Dovreste dire
invece: Se il Signore vorrà, vivremo e
faremo questo o quello. 16 Ora invece
vi vantate nella vostra arroganza; ogni
vanto di questo genere è in­iquo. 17Chi
dunque sa fare il bene e non lo compie,
commette peccato.
5 1E ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano! 2Le
vostre ricchezze sono imputridite, 3le
vostre vesti sono state divorate dalle
tarme; il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la
loro ruggine si leverà a testimonianza
contro di voi e divorerà le vostre carni
come un fuoco. Avete accu­mulato tesori per gli ultimi giorni!
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Lettera di Giacomo
Giacomo descrive l’illusione cui
sono vittima i ricchi: sono convinti che tutto dipenda dalla loro
forza e dalla loro capacità di far
soldi...ma si sa bene quanto
“vaporoso” è il benessere.
Invece l’assoluto che non scompare è Dio...
Il v. 17 espone la regola di fondo: non si può separare la teoria dalla pratica.
La posta in gioco è di vitale
importanza e ciò richiede una
seria disponibilità alla conversione.
Ribadisce la precarietà delle
ricchezze: tarme e ruggine non
si possono eliminare e il fallimento condurrà la vita stessa
alla distruzione.
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Ecco, il salario da voi defraudato ai
lavoratori che hanno mietuto le vostre
terre grida; e le proteste dei mietitori
sono giunte alle orecchie del Signore
degli eserciti. 5Avete gozzovigliato
sulla terra e vi siete saziati di piaceri,
vi siete ingrassati per il giorno della
strage. 6Avete condannato e ucciso il
giusto ed egli non può opporre resistenza.
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Il rimprovero si fa concreto nell’evidenziare lo sfruttamento
dei braccianti e delle persone
socialmente indifese, che invece stanno a cuore a Dio che li
ascolta e si farà sentire in tutta
la severità del suo giudizio.
10. La chiesa che vive nell’attesa del Signore (5,7-20)
L’apostolo apre lo sguardo all’intera comunità con una serie di premurosi richiami per
vivere in pienezza la fede cristiana. Il passo si articola in quattro interventi. Primo: la
paziente attesa del Signore (vv. 7-11). Secondo: la franchezza nel parlare (v.12). Terzo: la preghiera efficace per chi è malato e la corresponsabilità ecclesiale (vv. 13-18).
Quarto: la misericordia criterio ultimo della prassi della Chiesa (vv.19-20).
Siate dunque pazienti, fratelli, fino
alla venuta del Signore. Guardate
l’agricoltore: egli aspetta pazientemente il prezioso frutto della terra finché
abbia ricevuto le piogge d’ autunno e
le piogge di primavera. 8Siate pazienti
anche voi, rinfrancate i vostri cuori,
perché la venuta del Signore è vicina.
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Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco,
il giudice è alle porte. 10 Prendete, o
fratelli, a modello di sopportazione e
di pazienza i profeti che parlano nel
nome del Signore.
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Ecco, noi chiamiamo beati quelli
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L’immagine dell’agricoltore sottolinea la capacità di attendere
i ritmi della storia, sapendo che
essi – pur non dipendendo da
noi – sono comunque assicurati.
L’attesa cristiana non impone
a Dio i propri tempi, ma d’altra
parte non cede allo scoraggiamento perché sa che Egli è vicino, alle porte.
Il modello dei profeti e di Giobbe mostra come la fiducia in Dio
e la coscienza della sua misericordia sono gli atteggiamenti
essenziali per vivere nel tempo
dell’attesa.
Lettera di Giacomo
che hanno sopportato con pazienza.
Avete udito parlare della pazienza di
Giobbe e conoscete la sorte finale che
gli riserbò il Signore, perché il Signore è
ricco di misericordia e compassione.
Soprattutto, fratelli miei, non giurate, né per il cielo, né per la terra, né per
qualsiasi altra cosa; ma il vostro «sì» sia
sì, e il vostro «no» no, per non incorrere
nella condanna.
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Chi tra voi è nel dolore, preghi; chi
è nella gioia salmeggi. 14Chi è malato,
chiami a sé i presbiteri della Chiesa e
preghino su di lui, dopo averlo unto con
olio, nel nome del Signore. 15E la preghiera fatta con fede salverà il malato:
il Signore lo rialzerà e se ha commesso
peccati, gli saranno perdonati.
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Confessate perciò i vostri peccati gli
uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti. Molto vale la preghiera del giusto fatta con insistenza.
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Elia era un uomo della nostra stessa natura: pregò intensamente che non
piovesse e non piovve sulla terra per tre
anni e sei mesi. 18Poi pregò di nuovo e il
cielo diede la pi­oggia e la terra produsse
il suo frut­to.
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Lettera di Giacomo
Non si deve far leva sulla trascendenza di Dio per piegarlo
alle esigenze mondane ed
“eleggerlo” a difensore delle
proprie pretese (cf. Mt 5,3437). L’altro va ascoltato e preso
sul serio per quello che dice
senza preconcetti o false attribuzioni di autorità. La verità si
fa strada da sola!
Il credente sa valutare con sapienza la sua situazione (gioia
e dolore) e la sa affidare a Dio.
Il malato gode della solidarietà
della comunità orante il cui frutto non è solo la guarigione, ma il
perdono dei peccati di cui la rinnovata comunione con i fratelli
è segno concreto.
C’è qui un preciso richiamo alla
corresponsabilità ecclesiale.
La confessione reciproca dei
peccati (con la conseguente
disponibilità e delicatezza),
unita alla preghiera è la regola
generale di una comunità che
cerca attivamente di crescere
nel bene e di superare il male e
gli ostacoli che impone.
Ancora un esempio biblico dell’efficacia della preghiera: Elia il
profeta per eccellenza.
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Fratelli miei, se uno di voi si al­
lontana dalla verità e un altro ve lo riconduce, 20costui sappia che chi riconduce un peccatore dalla sua via di errore, salverà la sua anima dalla morte e
coprirà una moltitu­dine di peccati.
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L’ultimo richiamo sottolinea la
responsabilità di ciascuno ad
aiutare chi erra. Occorre evitare il disinteresse e la facile
condanna.
Agire così significa far posto
alla misericordia di Dio per goderne il frutto più grande: la comunione con Lui che cancella
ogni peccato.
Lettera di Giacomo
E QUELLO CHE GESÙ VI DIRÀ
FAT
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