Il Ciclo Cellulare Nel corso della loro vita tutte le cellule subiscono una serie di cambiamenti molecolari e morfologici definiti complessivamente ciclo cellulare. Esso indica il periodo che intercorre tra l’origine di una cellula da una precedente divisione ed il momento in cui questa si divide nuovamente. Il ciclo cellulare comprende quattro fasi sequenziali denominate G1, S, G2 e M, oltre ad una fase G0. Nel loro insieme le fasi G1, S, G2 costituiscono l’interfase, mentre la fase M indica il processo di divisione cellulare per mitosi o per meiosi. Le fasi G1 e G2 (G=Gap=intervallo) sono considerate fasi di riposo in quanto in esse non c’è duplicazione del DNA. Tuttavia, durante queste fasi, la cellula è metabolicamente attiva e compie le sue funzioni specializzate preparatorie alle successive fasi del ciclo. Durante la fase S (S=sintesi) si attuano la duplicazione del DNA e la sintesi di istoni, che portano alla replicazione cromosomica. Le cellule che vanno incontro ad un profondo differenziamento o che non si dividono ulteriormente (es. neuroni e cellule muscolari cardiache) prolungano indefinitamente la fase G che pertanto viene detta G0. Altri tipi cellulari, come le cellule epiteliali e gli epatociti, possono rientrare nel ciclo cellulare dalla fase G0 e procedere con la divisione mitotica in seguito ad appropriati stimoli quali: fattori di crescita, sostanze mitogeniche, segnali da altre cellule e dalla matrice extracellulare. Il sistema di controllo del ciclo cellulare è basato sull’attività di due gruppi di proteine: le cicline e le chinasi ciclina-dipendenti (Cdk). Esse agiscono specialmente in due momenti critici del controllo del ciclo: il passaggio dalla fase G1 alla fase S ed il passaggio dalla fase G2 alla fase M. L’intero ciclo cellulare si svolge in un periodo compreso tra alcune ore e qualche giorno, in rapporto alla fase G1 la cui durata varia a seconda della linea cellulare considerata. Le prime fasi dello sviluppo embrionale sono caratterizzate da divisioni cellulari rapide, anche se con notevoli differenze tra le diverse specie, mentre con il differenziamento delle cellule, durante l’organogenesi, la velocità delle divisioni cellulari generalmente decresce. Le cellule della linea germinale (spermatogoni ed ovogoni) dopo una serie di cicli cellulari in cui si dividono per mitosi, vanno incontro ad un ciclo che termina con una divisione meiotica. Le cellule somatiche e le cellule germinali (spermatogoni ed ovogoni) di ogni specie hanno un corredo cromosomico completo per cui sono denominate diploidi ed indicate con 2n. Mitosi Il termine mitosi è usato per descrivere la divisione equazionale di una cellula con formazione di due nuove cellule con lo stesso corredo cromosomico della cellula progenitrice da cui sono derivate. La mitosi è essenziale per lo sviluppo embrionale e per riparare e rimpiazzare i tessuti durante la vita. La mitosi può essere divisa in quattro fasi: profase, metafase, anafase e telofase. Durante la profase (A, B), i cromosomi, formati dai cromatidi fratelli spiralizzano ed i nucleoli si disgregano. Nel citoplasma 2 coppie di centrioli duplicati durante l’interfase, cominciano a formare il fuso mitotico distinto in un fuso mantellare ed uno cromosomiale, responsabile del successivo movimento dei cromatidi verso i poli opposti della cellula in divisione. Segue una breve pro-metafase (C), caratterizzata dalla disgregazione dell’involucro nucleare, e quindi la metafase propriamente detta (D), caratterizzata dall’organizzazione dei cromosomi all’equatore della cellula. Il cinetocore, un complesso proteico che si forma sui centromeri alla fine della profase, agisce come una piattaforma di attacco per i microtubuli del fuso. Si forma quindi un complesso microtubulo-cinetocore che consente il movimento dei cromosomi che si posizionano a metà strada tra i due poli della cellula, in una regione denominata piastra metafasica o equatoriale. Ogni cromatide fratello è attaccato al centrosoma mediante il proprio complesso microtubulocinetocore. Nell’anafase (E) si distinguono due stadi: anafase A in cui le coppie di cromatidi fratelli si separano sincronicamente per la scissione dei centromeri e per l’accorciamento dei complessi microtubulocinetocore. I due set di cromatidi appena separati vengono trascinati verso i due poli opposti della cellula. Nell’anafase B lo spostamento dei due cromatidi verso i poli opposti è accompagnato dall’allontanamento dei poli. Nella telofase (F), i due gruppi di cromosomi identici, raggruppati ai rispettivi poli, decondensano; inoltre, quelli con costrizione secondaria ripristinano il nucleolo, attorno a ciascun set di cromosomi si ricostituisce un involucro nucleare e termina la cariocinesi. Dopo la formazione dei nuovi involucri nucleari, un anello contrattile di actina stringe la membrana cellulare e divide il citoplasma in modo da separare completamente le due cellule figlie. Quest’ultimo processo definito citocinesi o citodieresi, normalmente porta alla formazione di due cellule figlie di uguali dimensioni; occasionalmente differenti quantità di citoplasma ed organuli possono essere distribuiti tra le due cellule figlie. A C E B D F Meiosi E’ il processo di divisione riduzionale, esclusivo delle cellule della linea germinale e rappresenta l’ultimo evento di divisione della gametogenesi. La meiosi porta alla formazione di gameti aploidi a partire da cellule diploidi in quanto consiste di una sola fase S seguita da due divisioni consecutive. In conseguenza, dalla cellula di partenza diploide, si formano, in due tappe, quattro cellule aploidi. Le due divisioni, separate da una breve intercinesi, sono indicate come I e II divisione meiotica, ognuna delle quali si può suddividere in fasi corrispondenti a quelle della mitosi: profase, metafase, anafase e telofase. Tuttavia nella meiosi queste fasi presentano caratteristiche peculiari anche se la cellula, che entra in profase I, presenta la stessa quantità di DNA di una cellula che si avvia alla mitosi. La profase della I divisione meiotica (A-D), durante la quale avvengono molti eventi intracellulari cruciali, è molto lunga e può essere ulteriormente divisa in cinque sottostadi: leptotene, zigotene, pachitene, diplotene e diacinesi. Questi sottostadi prendono il nome dagli eventi salienti che si verificano nel corso della profase: • leptotene, inizio della condensazione della cromatina che continua per tutta la profase fino a formare cromosomi spessi e corti (A); • zigotene, appaiamento dei cromosomi omologhi duplicati per formare le tetradi, ad opera di un complesso di natura proteica detto complesso sinaptinemale che persiste fino allo stadio successivo (B); •pachitene, scambio di materiale genetico, per un processo di frattura e successiva saldatura tra i cromatidi non fratelli dei due cromosomi omologhi, definito crossing-over (C); • diplotene, separazione dei cromosomi omologhi che restano ancora in contatto nei punti in cui si è verificato il crossing-over (chiasmi) (D); • diacinesi, condensazione completa dei bivalenti con separazione degli stessi a livello dei chiasmi (terminalizzazione dei chiasmi). E’ da notare che solo nella spermatogenesi, il processo di citocinesi, successivo sia alla I che alla II telofase meiotica, divide equamente il citoplasma tra le cellule. Nell’ovogenesi, al contrario, dopo la I telofase una delle due cellule risultanti trattiene la maggior parte del citoplasma divenendo ovocita II, la più piccola delle due cellule è denominata I globulo polare. Una distribuzione ineguale di citoplasma viene mantenuta anche tra l’ovocita secondario ed il II globulo polare, mentre nel caso in cui anche il I globulo polare vada incontro alla seconda divisione meiotica, lo scarso citoplasma a disposizione viene equamente ripartito. In metafase I, le coppie di cromosomi omologhi si attaccano mediante i loro cinetocori ai microtubuli del fuso e si posizionano in piastra equatoriale. I centromeri dei due omologhi sono orientati verso i poli opposti del fuso, mentre i due cromatidi di ciascuno omologo sono ancora uniti a livello del centromero. Durante l’anafase I (E), le diadi, costituite ognuna dai due cromatidi di ognuno degli omologhi, si spostano ai poli opposti della cellula. A differenza di quanto avviene in anafase mitotica, ai poli opposti della cellula migrano singoli cromosomi della coppia di omologhi, ma ancora costituiti da due cromatidi che possono avere effettuato il crossing-over. A questo punto la distribuzione dei cromosomi omologhi di derivazione paterna e materna è casuale, ed è alla base del principio mendeliano dell’assortimento casuale. In telofase I, intorno a ciascun set di cromosomi separati si forma l’involucro nucleare, mentre ha luogo la citodieresi. Le due cellule figlie derivate dalla prima divisione meiotica contengono un numero aploide di cromosomi (un rappresentante di ogni coppia di omologhi) con una quantità 2c di DNA dal momento che ogni cromosoma è ancora costituito da due cromatidi. Dopo una breve fase di riposo, chiamata intercinesi o interfase (F), durante la quale si ha la formazione di un nuovo fuso, ciascuna cellula figlia inizia la seconda divisione meiotica. La profase II è più breve della profase I; il nucleo contiene un set di diadi non interamente despiralizzate, composte ognuna da una coppia di cromatidi fratelli connessi mediante un unico centromero. La metafase II è simile alla metafase I poiché i cromosomi sono posizionati in piastra equatoriale dal complesso microtubulo-cinetocore. In questo caso il centromero si è sdoppiato in due cinetocori ognuno su ciascuno dei singoli cromatidi. Questo consente ai microtubuli di attaccarsi a ciascun cromatide. Durante l’anafase II (G) i singoli cromatidi legati al complesso microtubulo-cinetocore migrano verso i poli opposti della cellula in divisione. Alla fine della telofase II si riformano gli involucri nucleari attorno a ciascun set di cromatidi ed il citoplasma si divide nuovamente. Pertanto alla fine della citodieresi le cellule terminali della meiosi posseggono n cromosomi ed una quantità c di DNA e sono quindi aploidi, ma il loro corredo genico è rinnovato dal crossing-over e dalla ripartizione casuale dei cromosomi (H). GAMETOGENESI I gameti sono cellule aploidi altamente differenziate derivanti, nel corso dello sviluppo embrionale, da cellule germinali primordiali. Esse sono caratterizzate da un costituente citoplasmatico, il plasma germinale, preesistente nell’uovo prima della fecondazione. Nel corso della segmentazione (della gastrulazione nei Mammiferi), dallo zigote si formano numerose cellule somatiche ed un limitato numero di cellule germinali primordiali in cui viene segregato il plasma germinale. In sede extraembrionale (nel topo si rendono visibili nell’endoderma del sacco vitellino ad una settimana dalla fecondazione, mentre nell’uomo alla terza settimana) si assiste alla proliferazione di tali cellule che attraverso il circolo sanguigno, migrano attraverso il mesentere dorsale nei territori gonadici in sviluppo. Le cellule germinali primordiali o protogoni sono mitoticamente attive fino alla nascita nella femmina e per tutta la vita nel maschio. Le cellule germinali, definite spermatogoni nelle gonadi maschili e ovogoni nelle gonadi femminili, vanno incontro ad una sequenza di sviluppo simile, che viene indicata come processo di gametogenesi. Durante la gametogenesi avvengono sostanzialmente 3 tipi di eventi anche se con alcune differenze quantitative, qualitative e cronologiche tra i due sessi: • proliferazione mitotica dei goni, (fino alla nascita nella femmina in cui tutti gli ovogoni entrano in profase I; per tutta la vita nel maschio in cui gli spermatogoni dalla maturità sessuale in poi, possono dividersi sia per mitosi che entrare in meiosi divenendo spermatociti primari); • divisione meiotica, (discontinua e completa solo in seguito a fecondazione nella femmina; continua e completa nel maschio); • trasformazioni morfo-fisiologiche dei futuri gameti, (auxocitosi nella femmina durante la profase I; spermiogenesi nel maschio dopo la meiosi). Ovogenesi Spermatogenesi Mitosi e Meiosi iniziano una volta per l’intera popolazione cellulare di ovogoni Mitosi e continuamente popolazione spermatogoni Meiosi iniziano per parte della cellulare di La meiosi si arresta e riprende in una popolazione cellulare più esigua La meiosi procede in modo continuo Ogni meiosi produce solo 1 gamete e solo in seguito a fecondazione, che può avvenire mesi o anni più tardi rispetto all’inizio della meiosi Ogni meiosi produce 4 gameti e la meiosi si completa in giorni o settimane Il differenziamento del futuro gamete avviene nella profase I, quando l’ovocita è diploide Il differenziamento del gamete avviene dopo la meiosi, a carico dello spermatidi aploide Tutti i cromosomi subiscono una ricombinazione durante la profase I I cromosomi sessuali sono esclusi dalla ricombinazione durante la profase I Nella I e nella II citocinesi una delle due cellule risultanti trattiene la maggior parte del citoplasma Nella I e nella II citocinesi il citoplasma è equamente diviso tra le cellule Tutti gli eventi legati alla gametogenesi sono finalizzati all’acquisizione da parte dei gameti di una struttura e una fisiologia in grado di conciliare tre funzioni: • sopravvivere in ambienti diversi da quello delle gonadi; • riconoscere cellule omologhe dell’altro sesso e cooperare in eventi legati alla fecondazione; • fornire adeguate quantità di materiale nucleare e citoplasmatico per lo sviluppo del nuovo organismo. SPERMATOGENESI Le cellule germinali primordiali che colonizzano le gonadi maschili si organizzano in strutture cave definite tubuli seminiferi, la cui parete è data da cellule somatiche chiamate cellule del Sertoli. Al di fuori del tubulo seminifero, nella compagine del connettivo che lo avvolge, si rinvengono le cellule del Leydig che producono testosterone. In questa situazione, le cellule germinali, rappresentate da spermatogoni di tipo A1, che hanno già subito una fase di moltiplicazione cellulare nel corso dell’organogenesi, restano quiescenti fino alla maturità sessuale. Le cellule del Sertoli sono in stretto contatto tra loro nella porzione basale attraverso giunzioni occludenti che nell’insieme formano la barriera emato-testicolare. La presenza di tale barriera fa sì che il tubulo seminifero sia organizzato in due compartimenti: -compartimento basale in cui sono ospitati gli spermatogoni e gli spermatociti leptotenici, -compartimento adluminale in cui sono ospitati gli spermatociti più maturi, gli spermatidi e gli spermatozoi. La barriera emato-testicolare ha diversi significati funzionali, la sua presenza infatti permette di mantenere microambienti diversi tra i due compartimenti in modo da favorire in quello adluminale la meiosi e la spermioistogenesi, oltrechè impedire possibili risposte immunologiche in seguito all’esposizione di antigeni germinali o il passaggio di macromolecole provenienti dal compartimento adluminale nella circolazione sanguigna dell’animale. Le cellule del Sertoli svolgono anche altre funzioni quali: -sostegno meccanico per le cellule germinali, le quali sono infatti impilate lungo la parete laterale delle cellule del Sertoli secondo il loro grado di maturazione, avvolte da un sistema di prolungamenti citoplasmatici delle cellule del Sertoli, -attività fagocitarla nei confronti di cellule germinali degenerate e di corpi residuali, -attività endocrina (ABP, inibina, fattore antimülleriano). Il fenomeno della spermatogenesi nei Mammiferi può essere suddiviso in tre fasi: fase mitotica di moltiplicazione e maturazione degli spermatogoni A e B, in cui le cellule germinali vengono attivate e attraverso una serie di divisioni mitotiche producono cloni di cellule denominate spermatogoni di tipo A1,A2,A3 ed A4. Gli spermatogoni intermedi, derivanti dagli spermatogoni A4, dividendosi formano spermatogoni di tipo B, che sono in grado di iniziare la meiosi evolvendo in spermatociti primari. meiosi in cui si assiste al passaggio da spermatociti primari a spermatidi. ogni spermatocita di primo ordine o primario duplica il proprio DNA e subito dopo inizia la divisione meiotica. Con la prima divisione meiotica da ogni spermatocita di primo ordine si formano due spermatociti di secondo ordine o secondari, cellule aploidi per numero di cromosomi, ma con quantità 2c di DNA in quanto ogni cromosoma è ancora costituito da due cromatidi. Con la seconda divisione meiotica ogni spermatocita di secondo ordine si divide in due spermatidi, cellule completamente aploidi (avendo ricevuto ognuna un cromatide di ogni cromosoma) ma ancora indifferenziate. spermioistogenesi in cui gli spermatidi si trasformano in spermatozoi. E’ distinta in 4 fasi: • fase del Golgi in cui dall’omonimo apparato si forma un granulo acrosomico avvolto da membrana; • fase del cappuccio in cui la vescicola acrosomica va a rivestire i 2/3 anteriori del nucleo mentre dal centriolo distale comincia a formarsi il flagello; • fase dell’acrosoma in cui il nucleo si sposta alla periferia della cellula, la cromatina si addensa, i mitocondri si organizzano intorno alla parte prossimale del flagello; • fase di maturazione in cui nucleo ed acrosoma assumono la forma tipica della specie per l’azione di una struttura microtubulare detta manchette, mentre la maggior parte del citoplasma (corpo residuale) è fagocitata dalle cellule del Sertoli. Nei Mammiferi la lunghezza degli spermatozoi varia da 40 a 250 m, considerando un nemaspermio di mammifero possiamo distinguere: -una testa che contiene nucleo ed acrosoma (contenente spermiolisine per la digestione della matrice della corona radiata e acrosina per la digestione della zona pellucida), -un collo dove si trovano i centrioli di cui il distale origina il flagello, -una coda divisibile nei tratti intermedio (assonema, guaina fibrosa, guaina mitocondriale), principale (assonema, guaina fibrosa) e terminale (assonema). Sotto lo stimolo dell’ormone ipotalamico FSH/LHRH, l’adenoipofisi rilascia FSH ed LH. L’FSH agisce sulle cellule del Sertoli stimolandole a produrre Androgen Binding Protein (ABP), una proteina che ha alta affinità per il testosterone e ne favorisce la concentrazione nel comparto adluminale del tubulo seminifero. L’LH agisce sulle cellule del Leydig stimolandole a produrre testosterone. Questo giunto alle cellule del Sertoli viene trasformato in deidrotestosterone. L’aumento della concentrazione del deidrotestosterone stimola le cellule del Sertoli a produrre inibina, un ormone che agisce a livello della adenoipofisi inibendo la produzione di FSH. Analogamente l’aumento della concentrazione ematica di testosterone agisce, con un meccanismo di feed-back negativo, sull’ipotalamo che diminuisce la produzione di FSH/LH-RH con un conseguente effetto negativo sulla produzione di testosterone ed ABP. Gli spermatozoi maturi si staccano dalle cellule del Sertoli e vengono immessi nel lume del tubulo seminifero, attraversano la rete testis del testicolo e raggiungono l’epididimo dove la loro motilità viene incrementata da un processo di maturazione mediante cambiamenti morfo-fisiologici quali la rimozione della goccia protoplasmatica e modificazioni nella composizione della membrana plasmatica , la loro capacità fecondante viene tuttavia resa latente dal fattore di decapacitazione secreto dalle cellule a pennacchio dell’epididimo stesso. Dopo il passaggio attraverso l’epididimo gli spermatozoi si arricchiscono del liquido secreto dalle ghiandole annesse alle vie genitali maschili. L’insieme degli spermatozoi e del liquido prodotto da tali ghiandole, costituisce il liquido seminale o sperma prodotto in quantità e consistenza diversa nelle differenti specie animali. Gli spermatozoi maturi vengono stoccati nella coda dell’epididimo prima di essere eiaculati. La maggior parte degli spermatozoi non eiaculati viene gradualmente eliminata attraverso il sistema urinario; la piccola percentuale che resta nell’epididimo va incontro a degenerazione e viene fagocitata. Gli spermatozoi dei Mammiferi acquistano la capacità di fecondare solo nel loro percorso lungo le vie genitali femminili, dove vanno incontro ad un processo di capacitazione attraverso una serie di modificazioni della membrana che facilita la reazione acrosomiale. Specie Volume in ml Toro 2-10 (4) Montone 0.7-2 (1) Caprone 0.4-2.8 (1) Verro 100-500 (250) Stallone 30-300 (70) Cane 2-15 (6) Numero di Spermatozoi in milioni/mm3 0.3-2 (1) 2-5 (3) 3-5 (2,5) 0.025-0.3 (0.1) 0.03- 0.08 (0.12) 1-9 (3) Consistenza Colore cremosa grigio chiaro-giallastro cremosa bianco-giallastro cremosa bianco-giallastro lattiginosa-flocculenta bianco latte gelatinosa-acquosa bianco-grigiastro acquosa bianco latte Dati comparativi relativi a volume, consistenza e colore dell’eiaculato in alcuni Mammiferi domestici. OVOGENESI Nei Vertebrati l’ovogenesi è di tipo follicolare in quanto, terminata la fase di moltiplicazione, ogni ovogonio si associa a cellule somatiche di forma appiattita per formare il follicolo ovarico primordiale. Poco prima della nascita tutti gli ovogoni si differenziano in ovociti primari: duplicano il DNA, iniziano la fase di accrescimento e entrano nella profase I della meiosi. Poco prima o subito dopo la nascita, a seconda della specie, ogni ovocita entra in una prolungata fase di riposo allo stadio di diplotene della profase I, detta dictiotene. Essa dura fino alla maturità sessuale dell’animale, quando lo sviluppo riprende per induzione da parte delle gonadotropine. Nei Mammiferi il processo di ovogenesi procede in parallelo col processo di follicologenesi, pertanto, durante l’attività sessuale delle diverse specie animali, a regolari intervalli di tempo, avviene la maturazione di uno o più follicoli e dei relativi ovociti. Inoltre, sia durante la fase proliferativa, che durante quella di riposo, una cospicua quota di follicoli primordiali va incontro ad atresia (nella specie umana da 2000 protogoni migranti dal sacco vitellino, si arriva a 6-7 milioni di ovogoni al 5° mese di vita intrauterina, mentre alla pubertà la donna ha da 200.000 a 400.000 ovociti; in una vitella di tre mesi sono presenti circa 75.000 follicoli, in una vacca di tre anni circa 20.000, in una di nove anni circa 2.500). follicolo atresico Follicolo di Graaf ovulazione corpo luteo follicolo secondario follicolo primario follicolo primordiale corpo luteo in regressione Nella follicologenesi riconoscono 3 fasi: si fase iniziale continua ed ormono-indipendente in cui l’ovocita secerne GPs e PGs che formano la zona pellucida, le cellule follicolari da piatte divengono cuboidi e proliferano fino a formare 3-4 strati noti come cellule della granulosa. Il follicolo contenente un ovocita di 20-25 µm di diametro viene ora definito primario, Gli ovociti nutriti attraverso le cellule follicolari aumentano di dimensione superando i 150 μm. seconda fase in cui fuori dal follicolo si organizza una struttura detta teca di natura fibro-connettivale che sarà importante nella formazione del corpo luteo e sotto la spinta dell’FSH e degli estrogeni prodotti dalle cellule della granulosa alcuni follicoli crescono ancora, aumenta il numero delle cellule follicolari e si forma l’antro (l’ovocita viene decentrato circondato da una parte della granulosa indicata come cumulo ooforo). Il follicolo così modificato prende il nome di follicolo secondario. Le cellule della granulosa sono così spinte alla periferia mentre un piccolo gruppo di esse, che circonda l’ovocita, protrude nella cavità follicolare costituendo il cumulo ooforo, mentre il follicolo prende il nome di follicolo terziario o follicolo di Graaf. fase finale durante la quale la periodica liberazione di FSH e soprattutto di LH provocano la completa maturazione del follicolo (espansione del cumulo, brusco aumento del liquido follicolare, maturazione nucleare dell’ovocita, ovulazione). Il grado di maturazione nucleare dell’ovocita varia tra le specie; nella maggior parte dei Mammiferi si arresta in metafase II, mentre cane, cavallo e volpe hanno il blocco meiotico in metafase I. L’ovulazione consiste nel rilascio dell’ovocita da parte del follicolo. Prima dell’ovulazione, l’ovocita e le cellule della corona radiata si staccano dal cumulo ooforo e fluttuano nel liquido follicolare. La rottura del follicolo avviene grazie alla formazione di un’area vescicolosa sulla superficie ovarica posta sopra al follicolo, detta stigma. Auxocitosi L’auxocitosi indica l’accrescimento dell’ovocita durante la profase ed avviene in tre fasi distinte: — auxocitosi I, che consiste nell’aumento del volume citoplasmatico, — auxocitosi II, in cui si ha un’intensa sintesi proteica ed un accumulo di RNA a lunga durata, — auxocitosi III (vitellogenesi o deutoplasmagenesi), in cui si ha un accumulo, all’interno dell’ovocita, di materiale plastico ed energetico (tuorlo) che dovrà garantire lo sviluppo dell’embrione in caso di fecondazione. Negli ovociti, alla fine della fase di accrescimento, subito sotto la membrana ooplasmatica si osservano dei granuli definiti granuli corticali. Essi vengono prodotti dall’azione combinata del reticolo endoplasmatico e dell’apparato di Golgi e contengono materiale mucopolisaccaridico ed enzimi proteolitici che entrano in funzione dopo la fecondazione come meccanismo di blocco della polispermia. In relazione alla quantità di vitello contenuto in esse, le uova possono essere classificate in: alecitiche, prive di tuorlo; oligolecitiche, con poco tuorlo, (secondo alcuni autori comprendenti anche le alecitiche); mesolecitiche, con una quantità discreta di tuorlo; macrolecitiche, con un’enorme quantità di tuorlo. Inoltre in funzione della distribuzione dello stesso vitello le uova possono essere classificate in: isolecitiche, quando presentano una distribuzione uniforme del tuorlo nel citoplasma attivo; telolecitiche, quando, aumentando la quantità di tuorlo, citoplasma e nucleo sono spostati verso uno dei poli della cellula (polo animale), mentre l’altro polo è occupato dal vitello (polo vitellino o vegetativo); centrolecitiche, quando hanno tutto il deutoplasma concentrato al centro intorno al nucleo, ed un sottile strato di ooplasma libero da deutoplasma in periferia. Oltre alla membrana plasmatica le uova possono presentare membrane accessorie che in base alla loro origine si dividono in: involucri primari, prodotti dall’ovocita e dalle cellule follicolari, rappresentati dal corion delle uova di Pesci, dalla membrana vitellina degli Anfibi e degli Uccelli e dalla zona pellucida dei Mammiferi; involucri secondari, secreti ed apposti durante la discesa lungo gli ovidutti, particolarmente sviluppati negli animali ovipari ed ovovivipari. Essi comprendono il rivestimento gelatinoso nelle uova di Anfibi e nelle uova di alcuni Mammiferi (cavallo, cane, coniglio), il rivestimento gelatinoso ed il guscio cheratinico prodotto dalla ghiandola nidamentale negli Elasmobranchi, ed inoltre l’albume, la membrana testacea ed il guscio calcareo nelle uova di Rettili e Uccelli. Anche i Mammiferi Monotremi presentano albume e guscio, coriaceo nell’echidna e calcificato nell’ornitorinco. Tali involucri hanno funzione di protezione e di nutrizione. CORPO LUTEO Una volta avvenuta l’ovulazione, il follicolo collassato, che resta nell’ovaio, viene invaso dalle cellule della teca ed insieme ad esse si trasforma in corpo luteo, organo secernente progesterone e 17β-estradiolo. Se l’ovocita non viene fecondato il corpo luteo produce ormoni solo per un breve periodo (corpo luteo ciclico o spurio) e poi degenera come corpus albicans. Se l’ovocita è fecondato si forma il corpo luteo gravidico che, sotto lo stimolo dell’LH o delle gonadotropine corioniche e, in alcune specie, della prolattina, permane per periodi più o meno lunghi della gravidanza (3 mesi nella donna, per tutta la gravidanza nella vacca). Dopo il parto, il corpo luteo si trasforma in corpus albicans e poi degenera. L’ovogenesi e la follicologenesi nei Mammiferi sono parte di un processo periodico a regolazione ormonale a cui si dà il nome di ciclo sessuale. Esso comporta trasformazioni a livello ovarico (ciclo ovarico) ed a livello della mucosa uterina (ciclo uterino). Il ciclo sessuale è suddiviso in 4 fasi che, a livello ovarico, sono caratterizzate da eventi peculiari: proestro, maturazione del follicolo ovarico, estro, ovulazione, metaestro, formazione e successiva regressione del corpo luteo, diestro, periodo di riposo. In caso di fecondazione il ciclo si interrompe nella fase di metaestro per tutta la durata della gravidanza. Il ciclo sessuale riprende dal proestro durante l’allattamento. Il ciclo sessuale è caratterizzato nei Mammiferi domestici da manifestazioni esterne e comportamentali durante la fase di estro (ciclo estrale), mentre nei Primati è caratterizzato dallo sfaldamento della mucosa uterina nella fase di metaestro (ciclo mestruale). Nelle specie domestiche i cicli si ripetono ogni 18-21 giorni per cui si parla di animali poliestrali. La vacca e la scrofa sono poliestrali per tutto l’anno. La cavalla, la pecora e la capra sono poliestrali stagionali (primavera ed autunno). Le specie selvatiche hanno sempre attività sessuale stagionale. Specie Durata del ciclo sessuale Durata dell’estro Vacca Pecora Capra Scrofa Giovenca Cagna Gatta Coniglia Cavia Donna 21 (16-30) 17 (14-20) 21 (15-24) 21 (18-24) 21 (16-30) 2-3 volte l’anno 3-4 volte l’anno 28 16 28 1-2 1-2 1-2 2 (1-3) 6 (2-13) 6-14 2-14 * 10 ore * Ovulazione Durata della gestazione 14 ore dopo l’estro 280 (270-295) verso la fine dell’estro 150 (144-156) verso la fine dell’estro 150 (144-156) 24-36 ore dall’estro 115 (110-118) 1-2 giorni dopo l’estro 336 (320-355) dal 3° al 21° giorno dall’estro 63 (60-66) 27 ore dopo il coito 58 (56-60) 10 ore dopo il coito 31 (30-33) 10 ore dall’estro 68 (62-72) 14±1 gg. dalla fase mestruale 266 (255-275) * la durata dell’estro non è quantificabile in quanto i sintomi esterni sono poco marcati. Parametri relativi al ciclo sessuale in alcuni Mammiferi (i dati sono espressi in giorni salvo diversa indicazione) FECONDAZIONE La fecondazione è il processo attraverso cui lo spermatozoo e l’ovocita si fondono per formare lo zigote, che rappresenta il nuovo individuo. La fecondazione consente il ripristino del numero diploide di cromosomi e la determinazione del sesso dell’individuo; inoltre è fondamentale per la variabilità biologica grazie all’integrazione delle caratteristiche ereditarie materne e paterne. L’integrazione del materiale genetico paterno e materno dei due pronuclei viene indicata come singamia. La fecondazione può essere esterna o interna. Nei Mammiferi è interna e nonostante durante il coito vengano deposti milioni di spermatozoi nelle vie genitali femminili, solo alcune centinaia raggiungono la sede della fecondazione ed uno solo partecipa alla singamia. Il coinvolgimento di più spermatozoi nella fecondazione, definito polispermia, è tollerato in Pesci, Anfibi e Uccelli, anche se gli spermatozoi in eccesso comunque degenerano. Invece nei Mammiferi, la presenza di spermatozoi soprannumerari è un evento anomalo che porta alla morte dell’embrione. Il trasporto degli spermatozoi lungo le vie genitali femminili avviene in due fasi: una fase rapida, associata alle contrazioni muscolari delle vie genitali dopo il coito, permette agli spermatozoi di arrivare nell’ampolla entro 15 minuti dall’accoppiamento, tali spermi sono però a bassa vitalità. una fase lenta gli spermatozoi si muovono dalla vagina o dall’utero verso l’istmo dove vengono stoccati fino al momento dell’ovulazione, quando vengono rilasciati dall’epitelio istmico da fattori specifici e riprendono un’intensa attività che contribuisce al loro trasferimento nell’ampolla e alla penetrazione degli strati che circondano l’ovocita. Nella vacca e nella pecora sono necessarie dalle 6 alle 12 ore perché un adeguato numero di spermatozoi raggiunga l’istmo. La vitalità degli spermatozoi nell’istmo è di circa 20 ore nella vacca e nella pecora, e fino a 36 ore nella scrofa. Anche nella donna gli spermatozooi rimangono vitali più giorni. Riconoscimento specie-specifico e Capacitazione Durante il loro soggiorno nelle vie genitali femminili gli spermatozoi subiscono modificazioni biochimiche e fisiologiche per cui acquisiscono la capacità di fecondare. Questo processo, definito capacitazione, comprende la rimozione di fattori inibitori derivati dal liquido seminale che rivestono gli spermatozoi nell’epididimo, oltre alla rimozione di colesterolo dalla membrana plasmatica in modo da renderla meno stabile e più idonea alla fusione con altre membrane. E’ stata osservata anche una perdita di glicoproteine di superficie che impediscono l’interazione tra lo spermatozoo e la zona pellucida dell’ovocita. La capacitazione, iniziata nell’utero e conclusa nell’istmo, permette la reazione acrosomiale che consiste nella liberazione degli enzimi litici presenti nell’acrosoma, attraverso la fusione in più punti tra la membrana plasmatica dello spermatozoo e la membrana acrosomiale esterna. Negli organismi a fecondazione esterna più semplici esiste una sorta di meccanismo a tempo per cui, subito dopo l’emissione, gli spermatozoi subiscono la reazione acrosomiale, indipendentemente dalla vicinanza agli ovociti, questo meccanismo è conservato anche nella cavia. In molti altri organismi gli spermatozoi sono attratti chemiotatticamente dall’emissione di sostanze da parte degli ovociti e subiscono la reazione acrosomiale una volta giunti a ridosso dell’ovocita, ma questo avviene anche nel coniglio. Negli organismi a fecondazione interna, in particolare nei Mammiferi, gli spermatozoi, grazie alla loro intensa motilità e all’espansione del cumulo ooforo che si è verificata poco prima dell’ovulazione, si infilano tra le maglie della matrice della corona radiata; in questi animali infatti, la reazione acrosomiale si verifica dopo il riconoscimento specie-specifico. Lo spermatozoo, raggiunta la zona pellucida si lega ad un recettore glicoproteico specifico presente nella zona pellucida, la molecola ZP3; tale legame innesca la reazione acrosomiale consentendo l’esposizione dell’acrosina per la digestione della zona pellucida. Fusione dei Gameti Avviene attraverso la fusione delle membrane plasmatiche di ovocita e spermatozoo. L’ingresso del pronucleo maschile provoca lo sblocco della meiosi dell’ovocita che emette i globuli polari (cane, cavallo e volpe hanno il blocco meiotico in metafase I, gli altri Mammiferi in metafase II). Lo spermatozoo porta all’interno dell’ooplasma mitocondri ed un centriolo; i primi degenerano mentre il secondo diventa il centro organizzatore dell’aster; nel citoplasma dello zigote saranno quindi presenti solo i mitocondri dell’ovocita. Una volta formato il pronucleo femminile il materiale genetico si porta in piastra equatoriale e si fonde. Si forma così lo zigote, il nuovo individuo. Globuli polari Pronucleo maschile Pronucleo femminile Coda in degenerazione Membrana di fecondazione Stadio dei Pronuclei Fusione dei Pronuclei Zigote Il blocco della polispermia si distingue in due fasi denominate blocco rapido e blocco lento. Blocco della Polispermia Il blocco rapido è determinato da un’onda di depolarizzazione della membrana dell’ovocita che, dal punto di ingresso del primo spermatozoo, si propaga su tutta la superficie. L’ingresso del primo spermatozoo favorisce l’ingresso di ioni, in particolare Na+. Questi innalzano il potenziale della membrana (intorno a -70mV in fase di riposo) fino a 20mV, determinando un blocco nell’ingresso degli spermatozoi che non possono fondersi con membrane che abbiano un potenziale superiore a 10mV. Questo blocco è istantaneo ma temporaneo poiché le pompe ioniche presenti sulla membrana in breve ripristinano il potenziale di riposo. Il blocco lento è legato all’ingresso di ioni Ca++, che induce il rilascio del contenuto dei granuli corticali. Questi granuli, derivati dall’apparato di Golgi, sono posti sotto la membrana dell’ovocita, contengono materiale mucopolisaccaridico ed enzimi proteolitici, e sono considerati omologhi dell’acrosoma. Il rilascio dei granuli corticali consiste nella fusione della loro membrana con la membrana plasmatica e nella conseguente esocitosi del loro contenuto. Gli enzimi dei granuli corticali distruggono i recettori di membrana specie-specifici per gli spermatozoi, mentre i mucopolisaccaridi, richiamando acqua, induriscono ed ispessiscono la zona pellucida che viene indicata come membrana di fecondazione. Questi cambiamenti costituiscono il blocco lento della polispermia, con carattere permanente. Esso inizia dopo 20 secondi e termina entro 1 minuto dall’ingresso del primo spermatozoo. Zona pellucida Scoppio dei granuli corticali Membrana di fecondazione Attivazione del metabolismo dell’uovo Si distinguono reazioni precoci (rappresentate dagli eventi che portano al blocco della polispermia e alla rimozione del blocco della meiosi) reazioni tardive (che comprendono l’attivazione della sintesi di DNA, la prima divisione mitotica, l’attivazione degli mRNA materni e la conseguente sintesi proteica) Ripresa della meiosi Corona radiata Zona pellucida Granuli corticali Reazione acrosomiale Membrana ooplasmatica Scoppio dei granuli corticali Ingresso dello spermatozoo SEGMENTAZIONE La segmentazione è l’evento che porta il nuovo individuo dalla condizione di unicellularità alla condizione di pluricellularità, attraverso una serie di divisioni mitotiche che si interrompono in genere quando viene ripristinato il rapporto nucleo/citoplasmatico tipico della specie. L’embrione entra in segmentazione allo stadio di zigote e al termine del processo è divenuto una blastula formata da cellule chiamate blastomeri, che nel caso dei Mammiferi sarà una blastocisti, mentre nel caso degli Uccelli sarà una discoblastula. La modalità attraverso cui avviene la segmentazione è legata alla quantità di vitello presente nell’uovo. Uova con scarsa o moderata quantità di vitello segmentano completamente (segmentazione oloblastica), mentre uova con grande quantità di vitello segmentano parzialmente (segmentazione meroblastica). Nei Vertebrati si descrive uno sviluppo di tipo regolativo: la perdita di alcuni blastomeri, durante la segmentazione, non altera lo sviluppo embrionale poiché le restanti cellule possono compensare tale perdita. Infatti, i primi blastomeri di un embrione hanno la capacità di formare una blastula completa se opportunamente separati. Questa capacità differenziativa, definita totipotenza, nei Mammiferi si estende allo stadio di due, quattro od otto blastomeri e successivamente viene persa. Tuttavia blastomeri isolati in una fase successiva e reintrodotti in blastocisti ospiti possono dare origine a tutti i tessuti embrionali, ma non a quelli extraembrionali, indicando una riduzione della capacità differenziativa che viene ora definita pluripotenza. Introduciamo a questo punto il concetto di “potenza” di una cellula per indicare l’intera gamma di strutture o tipi cellulari a cui essa può dare origine se esposta a differenti ambienti (in vivo o in vitro) ed il concetto di staminalità o di cellula staminale per indicare cellule che: si possono dividere illimitatamente, sono morfologicamente indifferenziate, la cui progenie comprende sia cellule identiche sia una discendenza cellulare destinata a differenziarsi. Naturalmente questa definizione di staminalità deve tener conto della potenzialità differenziativa di una cellula che è diversa tra una cellula staminale embrionale ed una cellula staminale adulta presente in un tessuto a rinnovamento continuo (es. epidermide). Secondo una recente classificazione possiamo definire almeno quattro classi di potenza in vivo: a) totipotenza: indica le cellule capaci di originare sia l’embrione sia l’extraembrione (nei Mammiferi i blastomeri sono totipotenti fino allo stadio di otto cellule); b) pluripotenza: indica le cellule capaci di originare tutti e tre i foglietti embrionali (es. le cellule della massa cellulare interna); c) multipotenza: indica le cellule che possono originare solo una certa classe o categoria di cellule correlate (es. cellule embrionali già determinate come appartenenti ad un foglietto che originano tutti i tipi derivati del foglietto stesso; o nell’adulto le cellule emopoietiche del midollo osseo, capaci di originare diversi tipi cellulari del sangue o le cellule adipose che originano fibro- e condro- blasti); d) unipotenza: indica le cellule già determinate in un’unica direzione cellulare (un esempio di questo tipo sono le cellule satelliti del muscolo striato che rimangono quiescenti per lungo tempo e sono riattivate, dopo un evento traumatico o degenerativo, per fornire unicamente nuovi mioblasti che si fonderanno per dare miotubi; la staminalità di queste cellule sta nel fatto che sono capaci di auto-rinnovarsi oltre che di fornire mioblasti). La segmentazione è quindi un processo che conduce alla formazione di cellule con un elevato grado di potenza (toti- e pluripotenti) che, se opportunamente separate, sono in grado di fornire cellule staminali embrionali (il loro utilizzo futuro, in campo umano come in campo veterinario, dipenderà dalle commissioni bioetiche di ogni nazione). Segmentazione TOTALE (uova oloblastiche) Simmetria della Segmentazione Quantità e posizione del tuorlo Animali Mammiferi Rotazionale Alecitiche Radiale Oligolecitiche, Isolecitiche Anfiosso Radiale Mesolecitiche, Telolecitiche Anfibi Discoidale Macrolecitiche, Telolecitiche Pesci, Rettili, Uccelli e Mammiferi Macrolecitiche, Centrolecitiche Insetti PARZIALE (Marsupiali e Placentati) (Monotremi) (uova meroblastiche) Superficiale Classificazione dei tipi di segmentazione in diverse specie animali Il tuorlo è un adattamento evolutivo dell’embrione che pertanto può svilupparsi senza assunzione esterna di cibo. Gli animali che hanno uova con poco tuorlo (oligolecitiche), come il riccio di mare (Echinoderma) o l’Anfiosso (Cordato), hanno uno sviluppo embrionale molto breve con la formazione di una larva in grado di muoversi e nutrirsi. Passando ai Vertebrati, dagli Anfibi ai Pesci e poi ai Rettili, si osserva un progressivo aumento di tuorlo che si accompagna alla riduzione e poi alla scomparsa dello stadio larvale. Infatti, alcuni Anfibi con uova contenenti una discreta quantità di tuorlo (mesolecitiche), presentano segmentazione totale e formano un girino come stadio larvale; altri Anfibi adattati alle zone desertiche, con uova contenenti granda quantità di tuorlo (macrolecitiche) come quelle dei Pesci e dei Sauropsidi, hanno segmentazione parziale e l’embrione si può sviluppare interamente a spese del tuorlo. Per contro i Mammiferi Placentati, con uova prive di tuorlo (alecitiche), hanno segmentazione totale ma sviluppano, accanto all’embrione, la placenta, un annesso che, attraverso scambi materno-fetali, provvede al nutrimento dello stesso. L’ornitorinco depone le uova (1-3) in una tana nella quale dopo la schiusa i piccoli permangono per circa due settimane allattati dalla madre L’echidna trattiene l’uovo nell’utero fino allo stadio di morula e successivamente viene deposto e sistemato in una tasca cutanea dove dopo la schiusa, il piccolo viene allattato I Mammiferi sono considerati filogeneticamente derivati da antenati correlati ai Rettili primitivi che avevano probabilmente uova macrolecitiche simili a quelle degli attuali Sauropsidi. Durante la filogenesi i Mammiferi sono diventati vivipari in quanto la madre forniva nutrimento all’embrione attraverso la placenta. Non essendoci necessità di tuorlo ai fini nutrizionali, questo è progressivamente scomparso e le uova sono divenute più piccole. Questo aspetto dello sviluppo evolutivo può facilmente essere evidenziato nelle tre sottoclassi dei Mammiferi: Prototeri o Monotremi Metateri o Marsupiali Euteri o Placentati Infatti i Prototeri depongono uova macrolecitiche ed il tuorlo costituisce il nutrimento dell’embrione. I Metateri sviluppano uova con moderato contenuto di tuorlo; quest’ultimo viene però espulso per cui il nutrimento dell’embrione è sostenuto, in utero, da una pseudo-placenta. Infine gli Euteri hanno uova prive di tuorlo ed il nutrimento dell’embrione in utero è sostenuto esclusivamente dalla placenta. In parallelo alla diminuzione del tuorlo, si assiste al passaggio da una segmentazione parziale ad una segmentazione totale. Segmentazione meroblastica discoidale blastoderma Cavità sottogerminale tuorlo La segmentazione parziale (meroblastica) discoidale è caratteristica della maggior parte dei Pesci, Rettili, Uccelli e Mammiferi Monotremi. Nelle uova di queste specie il citoplasma è limitato al disco germinativo, La segmentazione è definita parziale discoidale in quanto interessa solo il disco germinativo, una sottile area al polo animale, a forma di calotta sferica, in diretto contatto con la massa del tuorlo che occupa il resto della cellula (uova macrolecitiche, telolecitiche) e che nel pollo ha un diametro di circa 3mm. La prima divisione è appena una fessura perpendicolare al centro del disco germinativo; la seconda, perpendicolare alla prima, è ancora limitata al centro del disco e porta alla formazione di quattro cellule continue col tuorlo sia nella parte marginale che nella parte inferiore, dette merociti. Col progredire della segmentazione, sempre secondo piani meridiani, si formano cellule centrali separate lateralmente dalle cellule marginali ma tutte ancora in continuità col tuorlo sottostante. I primi veri blastomeri, completamente separati dal tuorlo, si formano o per convergenza e fusione dei solchi di segmentazione nella porzione citoplasmatica sottonucleare dei merociti o per divisione cellulare con solchi di segmentazione tangenziali. In tal caso le cellule più superficiali formano i veri blastomeri, mentre le cellule inferiori mantengono la continuità col tuorlo. Inoltre le cellule marginali, anch’esse in connessione col tuorlo, formano una struttura sinciziale detta periblasto che ha la funzione di demolire il tuorlo. Alla fine della segmentazione si ottiene pertanto una blastula discoidale detta discoblastula in cui il blastoderma superficiale è separato dal tuorlo da una cavità detta cavità sottogerminale. La presenza di tale cavità permette di identificare nel blastodisco un’area centrale più chiara detta area pellucida, composta da blastomeri ben definiti posti sulla cavità sottogerminale e un’area marginale più scura detta area opaca, composta da merociti in continuità col tuorlo. Al momento della deposizione gruppi di cellule del blastoderma possono diffondere nella cavità sottogerminale dove si riuniscono a formare un foglietto continuo detto ipoblasto, mentre le cellule rimaste in superficie formano l’epiblasto. Lo spazio delimitato da questi due foglietti corrisponde al blastocele. Segmentazione oloblastica rotazionale Nei Mammiferi (Placentati e Marsupiali) la segmentazione è oloblastica (totale) rotazionale in quanto i piani di segmentazione della seconda divisione sono ortogonali tra loro. A questa particolarità si unisce il fatto che le divisioni sono molto lente ed asincrone cosicché l’embrione può risultare formato da un numero dispari di blastomeri. Inoltre, si ha la formazione di uno stadio intermedio nella segmentazione dei Mammiferi, in cui l’embrione è chiamato morula, in quanto i suoi blastomeri si compattano grazie allo stabilirsi di contatti intercellulari mediati da una molecola di adesione calcio-dipendente chiamata E-caderina (detta anche ovomorulina), ciò conferisce all’embrione l’aspetto di una mora. I blastomeri secernono un liquido che si raccoglie in una cavità detta blastocele la cui formazione provoca lo spostamento di una parte delle cellule da un lato dell’embrione che è ora detto blastocisti. A questo stadio l’embrione perde la membrana di fecondazione (schiusa) e si assiste ad un notevole mutamento di forma e dimensioni della blastocisti. Nella blastocisti le cellule non sono tutte uguali, quelle spostate da un lato sono più grandi ed unite da giunzioni comunicanti, formano il disco embrionale (massa cellulare interna, nodo embrionale) dal quale deriverà l’embrione; quelle alla periferia sono più piccole, numerose e unite da giunzioni occludenti, formano il trofoblasto, mediano gli scambi trofici ed in seguito entreranno nella formazione della placenta. Annidamento della blastocisti Mentre subisce il processo di segmentazione, l’embrione viene trasportato lungo le tube uterine mediante il movimento delle ciglia dell’epitelio tubarico e la contrazione della componente muscolare della parete tubarica. In genere, esso impiega un tempo varabile nelle diverse specie per raggiungere l’utero. Durante il percorso tubarico la membrana di fecondazione derivata dalla zona pellucida, priva di cariche elettriche ed immunologicamente inerte, protegge l’embrione da un’eventuale risposta immunitaria materna. La membrana di fecondazione, inoltre, impedisce l’impianto della blastocisti nelle tube uterine. Una volta raggiunto l’utero, la blastocisti sguscia dalla membrana di fecondazione e resta libera per un breve periodo nel lume dell’utero. In questo periodo essa assorbe liquidi dalla cavità uterina ed aumenta di volume. Successivamente le cellule del trofoblasto, poste sul polo in cui ha sede l’embrioblasto, prendono rapporto con la mucosa uterina ed incomincia l’impianto o annidamento della blastocisti in utero. Uomo Cavallo Asino Tempo in g impiegato Bovino dall’embrione per giungere Bufalo in utero Ovino Caprino Suino Cane 3 8-10 8-10 3 3 3 3 3-4 8-10 L’impianto o annidamento può essere di vario tipo: -impianto centrale in cui la blastocisti rimane al centro della cavità uterina, -impianto eccentrico, in cui la blastocisti viene accolta in un diverticolo dell’endometrio ed è quasi totalmente avvolta dalla mucosa uterina, -impianto interstiziale in cui la blastocisti penetra nello spessore dell’endometrio che viene eroso dagli enzimi delle cellule trofoblastiche. GASTRULAZIONE In tutti i Vertebrati al termine della segmentazione si forma una blastula, più o meno cava e colma di liquido circondata da cellule organizzate in un foglietto detto blastoderma. Tali cellule vanno incontro ad una serie di spostamenti, correlati a modificazioni morfologiche, che comportano anche un profondo cambiamento della forma della blastula. La gastrulazione è il processo che porta al riordino delle cellule del disco embrionale prima in due (stadio didermico) e poi in tre (stadio tridermico) strati concentrici denominati foglietti germinativi che dall’esterno all’interno sono rappresentati da ectoderma, mesoderma ed endoderma, dai quali deriveranno tutti i tessuti e gli organi dell’individuo. Il riordino delle cellule avviene attraverso movimenti morfogenetici irreversibili ed il processo non comporta in genere aumento volumetrico dell’embrione, anche se l’attività mitotica è comunque intensa. Si assiste però a modificazioni metaboliche in relazione all’iniziale differenziamento. Sebbene i tipi di gastrulazione varino notevolmente nelle diverse specie animali, anche in relazione al tipo di blastula che si è formata alla fine del processo di segmentazione, i meccanismi primari di tale processo sono conservati filogeneticamente e sono ripetutamente utilizzati in varie tappe dello sviluppo. La gastrulazione è il risultato di una combinazione dei seguenti meccanismi di movimento: 1. espansione di cellule in superficie in modo da ricoprire e circondare quelle più interne o epibolia; 2. movimento di divisione di uno strato di cellule in due lamine parallele o delaminazione; 3. movimenti di aggregazione cellulare o di addensamento conseguenti ad aumento di adesione tra le cellule o ad aumento locale delle divisioni mitotiche. 4. spostamento di cellule dalla superficie verso l’interno. Questo spostamento di cellule verso l’interno può avvenire per: • invaginazione, ripiegamento di una porzione del blastoderma o di una lamina cellulare verso l’interno, simile all’infossamento di una palla di gomma quando viene schiacciata in un punto circoscritto o embolia; • involuzione, ripiegamento e scorrimento di cellule in modo da accollarsi alla superficie interna dello strato superficiale; • ingressione o immigrazione, migrazione di singole cellule del blastoderma all’interno dell’embrione. Anche se l’uovo degli Uccelli e quello dei Mammiferi sono molto diversi tra loro, di fatto le due blastule che derivano dalle rispettive segmentazioni si assomigliano abbastanza. Infatti in entrambi i casi abbiamo un embrione biconvesso che sovrasta una cavità, nel caso degli uccelli piena di tuorlo chiamata cavità vitellina, nel caso dei mammiferi piena di liquido chiamata blastocele o cavità della blastocisti. In realtà le due gastrulazioni sono quasi uguali per cui descriveremo solo quella dei Mammiferi. Il passaggio allo stadio didermico consiste in una delaminazione delle cellule del disco embrionale verso la cavità della blastocisti dove va a costituire il foglietto endodermico (endoblasto o ipoblasto). La massa cellulare compresa tra trofoblasto ed endoderma diviene l’ectoderma (ectoblasto o epiblasto). In seguito il foglietto endodermico si espande verso il trofoblasto rivestendone la superficie interna, in questo modo il blastocele diviene cavità vitellina. Prima della formazione del terzo foglietto si ha la formazione della cavità amniotica attraverso modalità diverse in relazione alla specie. La “ex-blastocisti” a questo stadio presenta un’area embrionale didermica interposta tra cavità amniotica e cavità vitellina; parliamo ora di gastrula iniziale. La gastrulazione continua con la comparsa di un ispessimento di cellule che in posizione dorso-caudale danno luogo ad una struttura chiamata linea primitiva, la quale termina con un infossamento arrotondato detto nodo di Hensen. Le cellule che si ammassano a livello della linea primitiva migrano attraverso il nodo di Hensen e si insinuano tra ectoderma ed endoderma andando a formare il mesoderma. Le future cellule mesodermiche migrano in direzione laterale, cranio-laterale, caudale e cefalica. La migrazione in direzione cefalica si evidenzia con la comparsa di un ispessimento, davanti al nodo di Hensen e sotto l’ectoderma, chiamato processo cefalico o notocordale. Il mesoderma non si frappone tra ectoderma ed endoderma a livello delle future membrane bucco-faringea e cloacale. Entro 2 settimane la migrazione mesodermica ha interessato tutta l’area embrionale e comincia ad invadere quella extraembrionale con le due lamine di mesoderma laterale. La linea primitiva ad un certo punto regredisce ed il processo cefalico viene esteso in direzione cefalo-caudale ed evolve in notocorda definitiva solida, posta dorso-medialmente tra ectoderma ed endoderma con a lato le due bande longitudinali di mesoderma. Il nodo di Hensen indietreggia e si localizza, nei deuterostomi, a livello della regione anale. Negli spazi tra i tre foglietti si insinua un tessuto interstiziale di origine mesodermica chiamato mesenchima, il quale rappresenta la matrice per tutti i tessuti connettivi. Prescindendo da situazioni particolari, nei Mammiferi Placentati si possono riconoscere diverse modalità di amniogenesi che sono da ricondurre al diverso rapporto tra trofoblasto e MCI: – nei Carnivori, nel maiale e nel coniglio il trofoblasto al di sopra della MCI si atrofizza, le cellule dell’epiblasto si appiattiscono al di sopra dell’ipoblasto allineandosi col trofoblasto marginale e quindi si sollevano le pieghe amniotiche (amniogenesi per pieghe). – nei Primati, nel riccio e nel pipistrello la MCI rimane circondata superiormente dal trofoblasto che continua a proliferare con un serie di divisioni nucleari non seguite da citodieresi. Questo processo comporta un ispessimento ed un differenziamento del trofoblasto in citotrofoblasto e sinciziotrofoblasto. Tale ispessimento impedisce l’apertura in superficie della cavità che si viene a costituire per deiscenza tra le cellule dell’epiblasto. Questa cavità diventa quindi cavità amniotica definitiva (amniogenesi per cavitazione o schizocelia). Le cellule che ne delimitano la parte profonda costituiscono l’epiblasto embrionale mentre quelle della porzione laterale e superficiale costituiscono il foglietto epiblastico dell’amnios. – negli Ungulati (cavallo, Ruminanti), tra le cellule dell’epiblasto sormontate dal trofoblasto, si formano delle piccole fessure che poi confluiscono in un’unica cavità. Questa è detta cavità amniotica primitiva in quanto è delimitata da cellule dell’epiblasto. Successivamente la parete superiore di questa cavità, insieme al trofoblasto, va in lisi ed i margini liberi della porzione rimasta si appiattiscono in modo da formare il disco epiblastico allineato col trofoblasto. A questo punto al limite tra trofoblasto ed epiblasto si sollevano le pieghe amniotiche (amniogenesi di transizione). MAPPE PROSPETTICHE O DEI TERRITORI PRESUNTIVI L’osservazione del succedersi degli eventi formativi negli embrioni ha permesso agli scienziati, che si occupavano di embriologia descrittiva, di tracciare il destino di linee cellulari a partire dalle prime fasi di segmentazione. Inoltre, l’embriologia sperimentale, mediante raffinate metodiche di marcatura cellulare, ha consentito di seguire il destino delle cellule a mano a mano che l’embrione si differenzia nei vari tessuti. Più recentemente, la biologia dello sviluppo ha studiato l’espressione di geni regolatori del differenziamento e caratterizzato cellule, ancora prima che il loro fenotipo potesse essere osservato al microscopio. Tutti questi studi hanno permesso di disegnare, per ogni specie studiata, delle vere e proprie mappe dei territori embrionali in via di sviluppo. Le rappresentazioni schematiche di territori embrionali precedenti la gastrulazione, che origineranno i tre foglietti primordiali con le strutture embrionali annesse vengono indicate, con il termine di mappe prospettiche o presuntive. Il confronto tra le mappe permette di evidenziare che, anche in animali profondamente diversi, nell’embrione il rapporto tra i territori che daranno origine ai tre foglietti è spesso molto simile. Per esempio, la notocorda occupa sempre una posizione medio-dorsale ed il territorio che originerà il sistema nervoso (neuroectoderma) è posto sempre anteriormente ad essa. Il territorio che originerà l’ectoderma di superficie (epidermide) circonda il neuroectoderma sempre nella stessa posizione. Ectoderma di superficie ANFIOSSO Neuroectoderma RANA Notocorda PESCE ZEBRA Endoderma Mesoderma POLLO Mesoderma extraembrionale TOPO Nello schema sono rappresentate le mappe presuntive di diversi Cordati, indicanti il destino delle diverse regioni dell’embrione all’inizio della gastrulazione. Differenziamento dei foglietti embrionali Ectoderma E’ il foglietto embrionale più esterno, ha la forma di un disco epiteliale in continuità con l’ectoderma amniotico e si divide in tre territori principali: l’ectoderma di rivestimento il tubo neurale la cresta neurale La notocorda induce l’ectoderma soprastante (neuroectoderma) ad ispessirsi per formare il disco neurale la cui evoluzione (neurulazione) porta alla formazione del sistema nervoso. Il disco neurale si in vagina formando la doccia neurale i cui cercini chiudendosi formano il tubo neurale definitivo che darà origine al sistema nervoso centrale (encefalo e midollo spinale). Inizialmente il tubo neurale è in rapporto col sacco amniotico attraverso i neuropori anteriore e posteriore, che si chiuderanno in seguito. Dal punto di saldatura dei cercini neurali si forma la cresta neurale, struttura transitoria da cui derivano il sistema nervoso periferico, la midollare del surrene, i melanociti, le componenti scheletricoconnettivali della testa. Dal restante ectoderma (di rivestimento), derivano l’epidermide e i derivati cutanei (peli, piume, unghie, artigli, ecc.), le creste dentarie, l’ipofisi anteriore, i placodi. Infatti alla chiusura completa del tubo neurale, da esso originano paia di vescicole (otiche, ottiche, olfattorie) che si portano verso l’ectoderma epidermico, inducendo la formazione dei: placodi otici, dai quali originano i labirinti membranosi dell’orecchio interno, placodi del cristallino, che daranno i cristallini degli occhi, placodi olfattori, che daranno le fosse nasali e la mucosa olfattoria, placodi epibranchiali, che daranno neuroni sensitivi. Con il termine di induzione si intende il fenomeno per cui un particolare agente (induttore) fa nascere in un altro corpo prossimo (indotto) delle proprietà che altrimenti non si realizzerebbero. Un induttore embrionale esiste in quanto esistono contemporaneamente uno o più sistemi reagenti o bersaglio suscettibili o competenti a reagire all’induttore stesso. La competenza al fattore induttore è in genere limitata ad uno stadio specifico dello sviluppo del sistema competente. Il cordomesoderma induce il neuroectoderma a formare il tubo neurale, questo una volta chiuso origina le vescicole ottiche che inducono la formazione dei placodi del cristallino. Una struttura indotta (disco neurale) diventa quindi in questo caso un induttore. Il cordomesoderma viene definito induttore primario. La vescicola ottica è un induttore secondario. Derivati dell’Ectoderma Mesoderma E’ il foglietto embrionale intermedio e si divide in cinque territori principali: Placca precordale Cordomesoderma Mesoderma parassiale Mesoderma intermedio Mesoderma laterale Cavità amniotica Ectoderma Mesoderma Endoderma Placca notocordale Ectoderma Placca notocordale Endoderma Mesoderma parassiale Mesoderma somatopleurico Mesoderma intermedio Mesoderma splancnopleurico Mesoderma laterale Processo notocordale Mesoderma parassiale Mesoderma intermedio Mesoderma laterale Immediatamente a lato della notocorda si formano, per proliferazione cellulare, 2 bande longitudinali di mesoderma parassiale in direzione cefalo-caudale. Lateralmente a questo il mesoderma rimane più sottile e viene diviso in intermedio e laterale. Con l’inizio della regressione della linea primitiva il mesoderma parassiale si metamerizza formando paia di somiti. Le cellule della parte ventro-mediale dei somiti, inizialmente epitelioidi, entrano in mitosi e diventano mesenchimatiche, migrano lateralmente alla notocorda a formare lo sclerotomo le cui cellule si differenzieranno in condroblasti ed osteoblasti. La parte dorso-laterale del somite si divide in: -miotomo dal quale originerà la muscolatura scheletrica, Il mesoderma intermedio è metamerico nelle parti cervicale e toracica (nefrotomi) mentre più caudalmente è compatto (blastema metanefrogeno). Dal mesoderma intermedio derivano pronefro, mesonefro e metanefro, dotti genitali, tessuto interstiziale delle gonadi (cellule della teca, cellule del Leydig), corticale del surrene. -dermatomo che formerà derma e tessuto sottocutaneo, -Sindetomo che darà tendini e legamenti. Il mesoderma laterale si delamina in due foglietti: -mesoderma viscerale o splancnopleura -mesoderma parietale o somatopleura. Nell’area extraembrionale questi due foglietti forniscono la componente mesodermica rispettivamente al sacco vitellino e all’allantoide e ad amnios e corion. Tra i due foglietti si trova invece delimitato il celoma; la parte intraembrionale di questo forma le cavità peritoneale, pleuriche e pericardica. Dal mesoderma laterale deriva anche il sistema cardio-circolatorio. Derivati del Mesoderma Endoderma L’endoderma comincia il suo differenziamento formando il tubo intestinale primitivo collegato nella sua parte media con il sacco vitellino attraverso il dotto onfalomesenterico. Anteriormente l’intestino è delimitato dalla membrana bucco-faringea e posteriormente da quella cloacale. La porzione posteriore dell’intestino è in comunicazione con l’ allantoide. Oltre al rivestimento epiteliale ed alle ghiandole del tubo intestinale, dal foglietto endotermico derivano anche l’epitelio e le ghiandole delle vie aeree inferiori e del polmone, il rivestimento epiteliale della vescica e dell’uretra, della cavità timpanica e della tromba di Eustachio. Di origine endotermica sono anche tonsille, tiroide, paratiroidi e timo. Endoderma L’endoderma comincia il suo differenziamento formando il tubo intestinale primitivo. (fegato, pancreas) Durante lo sviluppo dei Mammiferi si succedono due periodi indicati come periodo embrionale e periodo fetale. Il periodo embrionale va dalla fecondazione al momento in cui il nuovo organismo è nettamente definito nel suo aspetto esteriore e nelle sue parti costitutive. A questo segue il periodo fetale, che si estende fino al termine della gravidanza, nel quale si perfeziona e si completa l’organogenesi. ANNESSI EMBRIONALI: aspetti evolutivi Gli annessi embrionali sono strutture che si formano da estensioni dei foglietti embrionali nella cosiddetta area extraembrionale e permettono lo sviluppo dell’embrione e del feto. Nei Vertebrati acquatici a fecondazione esterna, come la maggior parte dei Pesci Teleostei e degli Anfibi, lo sviluppo embrionale avviene all’interno della membrana dell’uovo circondata da un esile strato gelatinoso, cosicchè gli scambi gassosi e l’allontanamento dei cataboliti avvengono facilmente tra l’embrione e l’acqua circostante. Il tuorlo, necessario alla nutrizione dell’embrione, viene inglobato nel citoplasma delle cellule dell’endoderma (Anfibi) o avvolto dai tre foglietti endoderma, mesoderma e ectoderma (Teleostei) che insieme formano la parete del cosiddetto sacco del tuorlo o vitellino. Questo costituisce l’unico annesso presente nei Pesci. L’espansione dei Vertebrati sulle terre emerse ha richiesto, tra i tanti adattamenti, che gli embrioni fossero particolarmente protetti dalla disidratazione e dalla forza di gravità. E’ stato quindi ricreato un ambiente acquatico dove gli embrioni potessero svilupparsi: l’amnios con il liquido amniotico in esso contenuto. Pertanto i Rettili, gli Uccelli e i Mammiferi possiedono questo nuovo annesso e sono definiti amnioti. Inoltre i Vertebrati terrestri ovipari (la maggior parte dei Sauropsidi e i Mammiferi Monotremi) hanno sviluppato degli involucri a funzione protettiva e nutritizia attorno alle uova, quali l’albume, la membrana testacea e il guscio calcareo. Tali involucri, rendendo difficoltosa l’eliminazione delle sostanze di scarto e la respirazione, hanno determinato la necessità della formazione di altri due annessi embrionali: il corion e l’allantoide. La viviparità, che comporta l’instaurarsi di un rapporto tra l’ovidutto o l’utero materno e l’embrione, è sporadica nei Vertebrati acquatici (alcuni squali) e nei Rettili (camaleonti), ma raggiunge il successo evolutivo nei Mammiferi Metateri e Euteri, con rapporti sempre più stretti tra madre ed embrione. Tali rapporti sono resi possibili da profonde modificazioni del corion e della mucosa uterina che insieme costituiscono la placenta, organo che attua i necessari scambi metabolici tra madre ed embrione rendendo pertanto inutile la presenza di tuorlo nelle uova di questi animali. Formazione degli annessi embrionali negli Uccelli I foglietti embrionali che si sono differenziati nell’embrioblasto si espandono a circondare il tuorlo, che però al polo distale rimane in contatto con l’albume. Il mesoderma laterale si delamina in -splancnopleura che aderisce all’endoderma -somatopleura che aderisce all’ectoderma. Il sacco vitellino è l’avvolgimento extraembrionale più interno, è a diretto contatto con il tuorlo ed è formato da endoderma e splancnopleura. La delimitazione del corpo dell’embrione porta alla separazione dell’intestino primitivo dal sacco vitellino che rimangono però in comunicazione attraverso il dotto onfalomesenterico o canale vitellino. L’endoderma del sacco vitellino si solleva in pieghe in modo da ampliare la superficie di contatto con il deutoplasma che viene digerito da enzimi secreti dalle cellule endodermiche, gli intermedi vengono riassorbiti e trasferiti all’embrione attraverso i vasi vitellini che passano nel dotto onfalomesenterico. Anche l’albume viene riassorbito in questo modo. A livello del sacco vitellino si hanno i primi fenomeni emopoietici. Man mano che il tuorlo viene utilizzato il sacco vitellino si riduce a nel pollo al 19° giorno di incubazione è completamente riassorbito. Con l’approfondarsi dell’embrione si sollevano, nell’area pellucida extraembrionale, 4 pieghe amniotiche (craniale, caudale e laterali) che si chiudono sopra l’embrione costituendogli attorno 2 involucri: corion più esterno ed amnios più interno. L’amnios racchiude la cavità amniotica ripiena di liquido amniotico prodotto in parte dalle cellule del sacco stesso ed in parte proveniente dall’albume. Il liquido amniotico viene utilizzato dall’embrione. Il corion o sierosa di Von Baer si estende distalmente verso il sacco vitellino, al polo acuto dell’uovo forma una espansione che circonda l’albume (sacco dell’albume). Tra il mesoderma che tappezza internamente il corion e quello che tappezza esternamente l’amnios e il sacco vitellino è compreso il celoma extraembrionale. L’allantoide è una estroflessione caudoventrale dell’intestino primitivo che nel pollo compare alla 60a ora di incubazione. Presenta la stessa costituzione del sacco vitellino. Espandendosi l’allantoide entra in contatto con il corion formando l’allanto-corion all’interno del quale si sviluppano i vasi allantoidei che entrano in comunicazione con i vasi intraembrionali. L’allantoide attraverso il corion è in contatto con il guscio calcareo dal quale preleva ioni Ca++ utili all’ossificazione dell’embrione, presiede gli scambi gassosi e raccoglie i cataboliti. Negli ultimi due giorni di incubazione regredisce e si essicca e alla schiusa rimane aderente al guscio. Formazione degli annessi embrionali nei Mammiferi Il sacco vitellino nei Mammiferi placentati va incontro a rapida involuzione a meno che non vada a formare l’onfalo-corion. Riveste comunque notevole importanza in quanto costituisce la sede iniziale dell’emopoiesi ed è a suo carico che si forma la linea germinale. A differenza degli Uccelli il sacco è completamente chiuso e deriva dalla cavità della blastocisti che rivestita da endoderma diviene la cavità vitellina. La parte distale della blastocisti non viene raggiunta dal mesoderma extraembrionale in tutte le specie per cui il sacco vitellino nella sua parte distale può o meno contrarre rapporti con il corion. Indipendentemente dalla modalità di formazione o dal grado di sviluppo o di involuzione, con il sollevamento dell’embrione, il sacco vitellino si delimita dall’intestino primitivo a cui resta legato tramite il peduncolo vitellino. Nei Primati il sacco vitellino è poco sviluppato ed occupa solo in parte la cavità della blastocisti che viene invasa da cellule mesenchimali. Il mesenchima si addensa poi contro la parete degli annessi (endoderma vitellino, ectoderma amniotico, citotrofoblasto) e si delimita così il celoma extraembrionale. L’amnios è un sacco completamente chiuso che circonda l’embrione. Contiene il liquido amniotico derivato da accumulo di urina fetale, da secrezioni ghiandolari, da interscambi tra circolazione materna e fetale. Il liquido amniotico è continuamente rinnovato e contiene -alti livelli di Na+, Cl-, fruttosio -bassi livelli di K+, Mg++, glucosio, creatinina, acido urico, urea -cellule desquamate, ferro, enzimi. Il liquido amniotico ha diverse funzioni -idrata, protegge e facilita i movimenti del feto -agevola la progressione del feto durante il parto -i suoi enzimi proteolitici e lipolitici digeriscono embrioni eventualmente morti nelle prime fasi della gravidanza. Nei Mammiferi l’allantoide compare più precocemente che negli Uccelli, in forma di estroflessione caudale del sacco vitellino. Il peduncolo allantoideo o uraco collega l’allantoide all’intestino posteriore. Questo annesso perde nei Mammiferi l’originaria funzione di raccolta dei cataboliti embrionali, ma assume importanza nelle specie in cui entra in contatto con il corion formando l’allanto-corion che partecipa alla formazione della placenta alla quale fornisce la vascolarizzazione tramite le arterie e le vene allantoidee o ombelicali. Negli Equidi si forma anche l’allanto-amnios. Il liquido allantoideo si forma per accumulo di urina fetale e per secrezione delle cellule allantoidee. E’ un ultrafiltrato contenente fruttosio, urea, acido urico, creatinina, ioni. L’allantoide stocca i cataboliti che non vengono immediatamente eliminati dalla placenta, il suo grado di sviluppo è in stretta relazione con il tipo di placenta proprio di una determinata specie. Il corion è l’annesso embrionale più esterno. La sua superficie sviluppa villosità che in alcune zone regrediscono (chorion laeve) mentre permangono (chorion frondosum) in altre destinate a contrarre rapporti con la mucosa uterina per la formazione della placenta. I villi possono essere digitiformi, semplici o ramificati, o avere struttura laminare come nel suino. Nelle placente per apposizione il villo è dato da epitelio cubico con asse mesenchimale vascolarizzato da vasi allantoidei. Nelle placente endotelio-coriali, le cellule del trofoblasto si organizzano a formare il sinciziotrofoblasto con asse mesenchimale, che forma lamelle anastomizzate. Nelle placente emo-coriali si ha la maggior complessità strutturale dei villi. Nell’uomo i villi primari sono costituiti inizialmente da travate sinciziotrofoblastiche con all’interno un asse citotrofoblastico. Questo villo diviene secondario quando (18° giorno) al suo interno compare un asse mesenchimale ed il villo si ramifica. Dalla 4a settimana nel mesenchima compaiono i capillari che entrano in rapporto con i vasi allantoidei ed i villi si dicono terziari. Placenta La placenta è una struttura complessa formata da una componente fetale (corion) ed una componente materna (mucosa uterina). Ha il compito di provvedere agli scambi materno-fetali per la nutrizione, la respirazione e l’escrezione dei cataboliti prima dell’embrione e poi del feto, oltre ad avere un’importante funzione endocrina ed immunologica. Nella più semplice delle placente il corion si presenta liscio ed è semplicemente poggiato sull’epitelio della mucosa uterina. Questa pseudo-placenta è propria dei Metateri che sono detti aplacentati. Nei Mammiferi Placentati le placente presentano notevoli differenze. Per una loro descrizione e classificazione si possono seguire differenti criteri che tengono conto: 1. dell’origine della vascolarizzazione del corion, 2. della distribuzione dei villi sul corion, 3. del rapporto tra corion e mucosa uterina, 4. del comportamento della mucosa uterina al momento del parto. Origine della vascolarizzazione del corion Prima della formazione della placenta l’embrione dei Mammiferi si nutre per istiotrofo o latte uterino, cioè utilizzando i metaboliti contenuti nel liquido prodotto dalle ghiandole uterine. Con la formazione della placenta si ha una nutrizione per emotrofo e l’assunzione dei metaboliti dalla madre attraverso la circolazione placentare. Quando, per l’assenza del celoma extraembrionale, la somatopleura del corion è fusa con la splancnopleura del sacco vitellino, il corion viene vascolarizzato dalla splancnopleura del sacco vitellino. In tal caso la placenta è definita vitellina o onfaloide. Questo tipo di placenta è presente oltre che nei Metateri, nei primi stadi della gravidanza degli Equidi e per tutta la gravidanza dei Carnivori, nei quali è coadiuvata da una placenta allantoidea. Nelle specie in cui l’allantoide si espande nel celoma extraembrionale e si pone in contatto con la somatopleura del corion, questo viene vascolarizzato dalla splancnopleura dell’allantoide per cui la placenta è definita allantoidea. Questo tipo di placenta è presente in alcune specie di Metateri e nella maggior parte degli Euteri. Infine, in alcune specie (Primati e Roditori) l’allantoide è una struttura poco sviluppata, anche se i vasi allantoidei continuano ad essere ben sviluppati ed a vascolarizzare il corion. In tal caso la placenta viene definita anallantoidea. Distribuzione dei villi sul corion Sulla base della distribuzione dei villi sulla superficie del corion la placenta può essere definita: diffusa, multipla o cotiledonare, zonata e discoidale. Nella placenta diffusa (A) (suino ed Equidi) i villi sono situati su tutta la superficie del corion e affondano in piccole nicchie della mucosa uterina. Nella placenta multipla o cotiledonare (B) (Ruminanti) i villi, raggruppati a ciuffi in piccole zone, costituiscono i cotiledoni. Questi entrano in rapporto con la mucosa uterina a livello di aree ben distinte che si chiamano caruncole. Ogni cotiledone con la rispettiva caruncola costituisce un placentoma. Il complesso dei cotiledoni costituisce il chorion frondosum mentre le aree intercotiledonari costituiscono il chorion laeve. Nella placenta zonata (C) (Carnivori)i villi del chorion frondosum sono disposti a formare un anello che avvolge la fascia equatoriale del corion mentre le estremità costituiscono il chorion laeve. In alcune specie tale anello può essere incompleto. Nella placenta discoidale o bidiscoidale (D) (Primati) il chorion frondosum costituisce una zona circolare o ovoidale che interessa un tratto relativamente ristretto del corion. A B A C D La barriera materno-fetale inizialmente è costituita da tre strati extraembrionali fetali (l’endotelio dei vasi, il connettivo mesodermico e l’epitelio del corion) e da tre strati della mucosa uterina (endotelio vasale, connettivo ed epitelio di rivestimento). Tale situazione si riscontra anche in stadi avanzati della gravidanza solo nel suino e negli equini. In queste specie la placenta viene definita epitelio-coriale (A) in quanto l’epitelio del corion è a contatto con l’epitelio della mucosa uterina per cui la barriera placentare è completa. In altre specie, con l’avanzamento della gravidanza ed il completamento dello sviluppo della placenta, si assiste ad una erosione della mucosa uterina da parte dell’epitelio dei villi, in modo da ridurre il numero degli strati della componente materna. Nella placenta dei Ruminanti i villi coriali erodono parzialmente l’epitelio della mucosa uterina per cui l’epitelio del corion in alcuni punti è in contatto col connettivo della mucosa uterina (sindesmo- coriale). In tal caso la barriera placentare si riduce dell’epitelio della componente materna. Secondo alcuni autori, in alcuni Ruminanti cellule binucleate dell’epitelio dei villi coriali si fondono con cellule dell’epitelio endometriale per cui definiscono tale tipo di placenta sinepitelio-coriale (B). Nei Carnivori i villi del corion erodono sia l’epitelio che il connettivo della mucosa uterina, prendendo rapporto con l’endotelio dei vasi materni. Tale tipo di placenta è definita endotelio-coriale (C). In Insettivori, Roditori, Lagomorfi e Primati i villi coriali hanno eroso completamente gli strati materni per cui pescano in lacune sanguigne localizzate nella mucosa uterina. Tale tipo di placenta è definito emo-coriale (D). Rapporto tra corion e mucosa uterina Comportamento della mucosa uterina al momento del parto Come è stato precedentemente descritto, la mucosa uterina (decidua) può subire delle modificazioni per consentire l’impianto della blastocisti. L’entità e l’ampiezza di tali modificazioni sono diverse nelle varie specie. La placenta degli Equidi (epitelio-coriale) e quella dei Ruminanti (sindesmocoriale o sinepitelio-coriale) sono dette adeciduate in quanto la mucosa uterina non ha subìto erosione da parte dei villi del corion per cui il distacco di questi con il secondamento avviene senza perdite di sangue. Nelle placente in cui è presente erosione (endotelio-coriale e emocoriale), il distacco del corion con il secondamento può determinare perdite ematiche più o meno imponenti seguite dall’espulsione della decidua. Tali placente in cui una parte dell’endometrio viene eliminata al momento del parto, vengono definite deciduate. Tra le placente deciduate, l’erosione è meno profonda ma più ampia nella placenta endotelio-coriale (Carnivori), mentre è più profonda e meno ampia nella placenta emo-coriale (Primati). Funzioni della Placenta La placenta assicura gli scambi respiratori e metabolici tra madre e feto; essa inoltre ha funzione di protezione impedendo, tramite la barriera placentare, il passaggio di sostanze o microrganismi nocivi nella circolazione fetale. Poiché in nessun caso il sangue fetale può mescolarsi al sangue materno, gli scambi sono resi possibili dalla permeabilità selettiva del filtro placentare. Tale permeabilità dipende, oltre che dalla barriera placentare dalla superficie totale di contatto tra le componenti materna e fetale e dalle caratteristiche della vascolarizzazione delle due componenti. In direzione materno-fetale attraversano la barriera placentare: ossigeno, acqua, elettroliti, sali minerali, protidi, glucidi, lipidi, vitamine, ormoni. Talora possono passare anticorpi, farmaci, virus, batteri, parassiti. In direzione fetale-materna attraversano la barriera placentare: anidride carbonica, acqua, cataboliti quali urea e acido urico, elettroliti ed ormoni. Mentre il passaggio di sostanze gassose e di sali minerali avviene per diffusione, il passaggio di macromolecole (proteine, lipidi, glucidi) richiede una scissione di queste ad opera dell’epitelio coriale ed un successivo passaggio degli elementi di base nel sangue fetale. Le placente deciduate (emo- ed endotelio-coriale) permettono inoltre il passaggio degli anticorpi in direzione materno-fetale contribuendo ad una certa immunità dei neonati. Nelle placente adeciduate (epitelio- e sinepiteliocoriale) gli anticorpi non superano la barriera placentare ed i neonati possono acquisire anticorpi con l’assunzione del colostro all’inizio dell’allattamento. La placenta svolge inoltre un’importante funzione endocrina in quanto produce diversi ormoni: -Gonadotropine corioniche, che stimolano la sintesi di progesterone da parte del corpo luteo, -Progesterone, -Estrogeni, -CGP o HPL (chorionic growth hormone-prolactin o human placental lactogen), che favorisce la secrezione lattea e stimola lo sviluppo dell’apparato scheletrico, -Relaxina, che in prossimità del parto determina un rilassamento della sinfisi pubica e dei legamenti del bacino, in modo tale da rendere più agevole il transito del feto lungo il canale genitale. Ricapitolando…. ….la placenta definitiva degli Equini è una placenta adeciduata, vascolarizzata dall’allantoide, con microcotiledoni distribuiti su tutta la superficie del corion (diffusa completa) e con un rapporto tra villi coriali e mucosa uterina del tipo epitelio-coriale ….la placenta dei Suini è una placenta adeciduata, vascolarizzata dall’allantoide, con villi distribuiti su tutta la superficie del corion ad eccezione delle estremità (placenta diffusa incompleta). Il rapporto tra villi coriali e mucosa uterina è di tipo epitelio- coriale …. la placenta dei Ruminanti è adeciduata, dall’allantoide, cotiledonare e sinepitelio-coriale vascolarizzata …. la placenta definitiva dei Carnivori è allantoidea, zonata, deciduata e endotelio-coriale,mentre la placenta vitellina è funzionante solo per breve tempo …. la placenta dei Primati è anallantoidea, discoidale nell’uomo (bidiscoidale nelle scimmie), deciduata e emo-coriale Malformazioni congenite Sono denominate malformazioni congenite tutte le anomalie morfologiche e funzionali presenti alla nascita e derivanti da errori insorti durante lo sviluppo. Le malformazioni congenite sono indotte da fattori teratogeni. Tali fattori possono essere distinti in fattori endogeni, correlati ad alterazioni geniche o cromosomiche, e fattori esogeni determinati dalle condizioni in cui viene a trovarsi l’embrione nel corso dello sviluppo. I fattori endogeni vanno distinti in cromosomici e genici. Le alterazioni cromosomiche comprendono la delezione, la duplicazione, la traslocazione e l’inversione di parti di cromosomi, ed inoltre la perdita (monosomia) o l’aggiunta (trisomia) di cromosomi rispetto al corredo tipico della specie. Le alterazioni geniche sono legate a cambiamenti della successione nucleotidica e spesso sono mutazioni puntiformi di singoli geni. I fattori esogeni possono essere classificati come naturali, o più precisamente casuali, quando dipendono dall’ambiente o dalle condizioni di vita della madre, terapeutici, se sono correlati all’introduzione di farmaci utilizzati a scopo terapeutico, e sperimentali quando sono impiegati per lo studio dell’azione teratogena. L’azione di un fattore esogeno viene definita diretta se agisce direttamente sul prodotto del concepimento (ad esempio inoculazione di una sostanza nell’embrione o intervento chirurgico su di un suo organo), o indiretta, quando agisce sulla madre o sulle strutture deputate agli scambi materno-fetali Le differenze tra specie, nella funzione di trasporto placentare, sono molto importanti e vanno tenute in forte considerazione soprattutto quando dati ottenuti su animali da laboratorio vengono estrapolati in riferimento all’uomo o ad animali domestici. Ad esempio il Talidomide che non è teratogeno nei Roditori, è teratogeno a dosi elevate nel coniglio e nella maggior parte dei Mammiferi, ed è altamente teratogeno anche a piccole dosi nei Primati. Al contrario l’Acido Acetilsalicilico che è un potente teratogeno nei Roditori, non è teratogeno nei Primati. L’effetto teratogeno può dipendere da vari fattori quali: • lo stadio del processo riproduttivo e la sensibilità dell’embrione; • la sensibilità della madre; • le caratteristiche del fattore esogeno. Lo stadio del processo riproduttivo è un elemento fondamentale nella determinazione delle malformazioni. Si definisce periodo critico per una struttura il momento in cui essa è in via di formazione. Agenti che alterano la blastula, la gastrula, o interferiscono con l’apposizione alla mucosa uterina, provocano in genere aborto precoce. Dallo stadio di neurula è più probabile che uno o pochi apparati siano interessati all’azione di un agente teratogeno, anche se spesso la lesione indotta in un sistema può provocare malformazioni secondarie in altre strutture. Infine alcuni agenti teratogeni possono interessare lo sviluppo del sistema nervoso centrale di molte specie anche nei primi stadi postnatali. E’ da rilevare, però, che esiste una differente sensibilità non solo tra le varie specie animali, ma anche tra le razze e tra i singoli individui nell’ambito della medesima specie e razza. La sensibilità della madre. La non idonea alimentazione materna, specialmente se carente di alcune vitamine, aminoacidi essenziali e sali minerali, nonchè l’anomalo equilibrio ormonale materno possono essere causa di malformazioni. Anche gli alcaloidi contenuti in alcuni vegetali consumati dagli erbivori possono essere teratogeni ed ancora, piante altamente tossiche per la madre risultano anche embriotossiche. Altro fattore importante è l’età della madre: è stato dimostrato che sono più facilmente riscontrabili malformazioni nei soggetti nati da madri molto giovani o relativamente vecchie. Le caratteristiche del fattore esogeno. L’attività teratogena può essere legata a vari fattori tra cui l’intensità e la durata dell’azione del fattore teratogeno sul prodotto del concepimento. Nel caso si tratti di un farmaco, al fine dell’azione teratogena, hanno influenza rilevante: la dose, la modalità, la durata ed il periodo di sviluppo durante il quale avviene la somministrazione del farmaco. Inoltre l’azione teratogena potrebbe non essere riferita direttamente alla molecola introdotta in quanto il farmaco può essere trasformato (metabolizzato) ed il metabolita potrebbe essere il vero responsabile dell’effetto teratogeno. Infine in alcuni casi l’azione teratogena può dipendere dal potenziamento dell’effetto di due farmaci, di per sé inattivi, che possono determinare malformazioni, se vengono usati contemporaneamente.