XVIII domenica TO A - Casa Santa Maria Pagliare Spinetoli AP

XVIII domenica TO A
Is 55,1-3; Sal 144; Rom 8,35.37-39; Mt 14,13-21
Prima Lettura Is 55, 1-3
Venite e mangiate.
Dal libro del profeta Isaia
Così dice il Signore:
«O voi tutti assetati, venite all’acqua,
voi che non avete denaro, venite;
comprate e mangiate; venite, comprate
senza denaro, senza pagare, vino e latte.
Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia?
Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti.
Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete.
Io stabilirò per voi un’alleanza eterna, i favori assicurati a Davide».
Seconda Lettura Rm 8, 35. 37-39
Nessuna creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la
nudità, il pericolo, la spada?
Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati.
Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze,
né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo
Gesù, nostro Signore.
Vangelo Mt 14, 13-21
Tutti mangiarono e furono saziati.
Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, avendo udito [della morte di Giovanni Battista], Gesù partì di là su una barca e si ritirò in
un luogo deserto, in disparte.
Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla,
sentì compassione per loro e guarì i loro malati.
Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda
la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano;
voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed
egli disse: «Portatemeli qui».
E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo,
recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano
mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.
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La prima lettura (Is 55,1-3) ci propone una profezia del Secondo Isaia (Yeshayà, «Dio è la mia
salvezza», fine VI sec. a.C. cc. 40-55), che tramite l'immagine del banchetto fa conoscere il desiderio di Dio di
offrire la pienezza della vita, simboleggiata da acqua pura, vino, latte e pane.
Is 55,1: O voi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite, comprate e
mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte (hôy Kol-cämë´ lükû
lammaºyim wa´ášer ´ê|n-lô Käºsep lükû šibrû we|´éköºlû ûlükû šibrû Bülô´-keºsep ûbülô´ müHîr yaºyin
wüHäläb, lett. «Guai, ogni assetato, andate alle acque e colui che non c'è a lui denaro andate, comprate e mangiate e venite.
Comprate senza denaro e senza spesa vino e latte»).
- venite all’acqua (lükû lammaºyim). In Oriente, ancora oggi, si può sentire per le strade il grido del venditore
d'acqua. Ma qui venire all'acqua è l'equivalente di salire a Gerusalemme. L'invito è esteso a tutti: kol-tzame'
«ogni assetato» (v. 1). È esteso a tutti perché gratuito: comprare senza denaro vuol dire ricevere gratis. Si
ricorda Is 52,3: «Siete stati venduti gratuitamente, così senza denaro sarete redenti». Quindi, la conclusione del
discorso è che tutto è grazia. La pace come la sventura, la consolazione come le sofferenze. L'araldo adotta
lo stile di un banditore ambulante (come la chockmà «sapienza» in Pr 1,20 e 8,1). Offre una mercanzia
abbondante ed eccellente: i beni fondamentali della vita e la vita stessa. La mercanzia è il suo stesso
messaggio, poiché «l'uomo non vive di solo pane, ma di tutto ciò che esce dalla bocca di Dio» (Dt 8,3). Acqua e
pane del primo esodo, latte della terra promessa, vino del banchetto: Hai messo più gioia nel mio cuore di
quanta ne diano a loro grano e vino in abbondanza (Sal 4,8); e anche il succo e le delizie con cui si disseta il
Signore (Sal 36,9; 63,6; 65,12).
- comprate e mangiate (šibrû we|´éköºlû). Nel Testo Masoretico si susseguono cinque imperativi, due dei quali
ripetuti: «venite, comprate, mangiate, comprate, venite». Questa moltiplicazione di imperativi si può
addebitare alla particolare insistenza dell'invito, e l'assenza degli ultimi due verbi nella Settanta e nella
Siriaca potrebbe considerarsi una omissione. Ma la mancanza di addirittura tre verbi nel testo riportato da
1QIsaiaa (1QIsa) e in altri manoscritti ebraici induce a pensare a una espansione del Testo Masoretico
piuttosto che a una condensazione delle versioni.
55,2: Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non
sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti (läºmmâ tišqülûkeºsep Bü|lô´-leºHem wîgî`ákem Bülô´ lüSob`â šim`û šämôª` ´ëlay wü´iklû-†ôb wütit`annag BaDDeºšen
napšükem, lett. «Perché pesate argento per non pane e fatica vostra non per sazietà? Ascoltate ascoltare me e mangiate
buono e si delizierà col grasso anima vostra»)
55,3: Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete. Io stabilirò per voi un’alleanza
eterna, i favori assicurati a Davide (ha††û ´oznükem ûlükû ´ëlay šim`û ûtüHî napšükem wü´ekrütâ
läkem Bürît `ôläm Ha|sdê däwìd hanne´émänîm, lett. «Tendete orecchio vostro e andate verso me, ascoltate e vivrà
anima vostra. E stipulerò per voi alleanza sempre, lealtà di Davide stabilite»).
- i favori assicurati a Davide (Ha|sdê däwìd hanne´émänîm). Il tema nuovo, finora mai formulato dal Secondo
Isaia, è il patto davidico. La nuova alleanza era già stata preannunciata nel capitolo precedente, ma allora il
paragone che si faceva era con quella noachica, in quanto «patto di pace» (54,10), promessa di non
distruggere più il mondo. Adesso invece si passa alla promessa messianica. Anche il patto con David è una
«grazia», come ogni libera iniziativa divina. Ma è una grazia «fedele», che permane incancellabile. Nella
promessa fatta a David dal profeta Natan (cf 2Sam 7) si contempla espressamente che neppure il peccato dei
suoi discendenti può invalidarla. «Se i suoi figli abbandoneranno la mia legge... io punirò con la verga il loro
peccato... Ma non ritrarrò mai da lui la mia grazia e non verrò mai meno alla mia fedeltà» (Sal 89,31-34). Sennonché,
sul finire dell'esilio, al tempo in cui scrive il Secondo Isaia, dov'è finita la discendenza davidica, destinataria
di questa promessa? L'ultimo re di Giuda, Yehoyakin, muore in esilio, benché sia stato riabilitato e ammesso
alla tavola del re come un vassallo, non più come un prigioniero. Comunque è difficile vedere in questo
piccolo segno, come fa il libro dei Re, la conferma della promessa davidica, una «lampada» ancora accesa per
il messia. Il Secondo Isaia, come ogni buon ebreo, si deve essere posto il problema: che cosa rimane della
«grazia fedele» concessa da Dio a David? Realisticamente, non vede nessuna soluzione. Anzi, egli arriva a
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trasferire il titolo di «messia» a Ciro, il re persiano! Non c'è altra via d'uscita se non quella che si legge qui:
una soluzione molto semplice ma molto coraggiosa. Le grazie fedeli di David non valgono solo per David,
ma per tutto il popolo d'Israele. Sono state fatte a lui, ma in quanto capo d'Israele. Tutto Israele è un
popolo messianico: e questo ci dice qualcosa anche a proposito della controversa figura del servo, che si può
identificare con il messia, ma può ricevere anche un'interpretazione collettiva. Questo trasferimento di
prerogative a noi può sembrare forzato, ma gli antichi non ragionavano in termini individualistici. Il re
rappresenta nella sua persona tutto un popolo: è come il vertice di una piramide, di cui il popolo è la base.
Adesso il profeta non fa altro che capovolgere la piramide. Quindi, è vero, il profeta fa un gesto molto
coraggioso: rinuncia definitivamente alla restaurazione di una monarchia, di un messianismo politico, in
Israele. Ma non rinuncia affatto alla promessa messianica fatta a David, di cui tutti i figli d'Israele sono
portatori. E così egli trasferisce a tutto Israele la vocazione davidica, la sua testimonianza in mezzo alle
nazioni, il suo essere «luce delle genti», ma non più in una prospettiva politica, bensì profetica.
L'alleanza eterna (berit olam) annunciata sta per cominciare e non avrà più termine. Sarà
come quella di Davide e abbraccerà tutto il popolo. È probabile che la sorte della dinastia abbia costituito un
problema alla vigilia del ritorno da Babilonia: Iekonia era stato liberato da Evil-Merodach (2Re 25,27-30) e la
sua linea continuava con un discendente che tornò a Gerusalemme (Esd 2,2). Il salmo 89 ci offre temi e parole
che per somiglianza possono portar luce alla presente profezia. Il salmo dice: Dio ha fatto una promessa
eterna alla dinastia davidica, ma tale dinastia è stata detronizzata, perciò Dio ora rivolge la sua promessa
a tutto il popolo.
L’invito del profeta pone l’accento sulla gratuità del cibo e della bevanda offerti. Le acque
diventano, così, l’emblema della vita, dello Spirito e della libertà donati dal Signore agli esuli che stanno
per ritrovare nel tempio ricostruito di Gerusalemme la sorgente d’acqua viva. Il vino e il latte sono due segni
della fertilità della terra promessa e quindi della benedizione e della gioia del Signore. Il pane è il sostegno
primario mentre i cibi succulenti evocano il banchetto messianico cantato dal profeta in Is 25. Tutte le attese
dell’uomo sono saziate dall’amore di Dio nei confronti del suo popolo. L’appello profetico trova la sua
piena realizzazione nella Gerusalemme celeste dove l’alleanza tra Dio e l’uomo avrà raggiunto il suo vertice
di intimità: «Chi ha sete venga; chi vuole attinga gratuitamente l’acqua della vita» (Ap 22,17).
Il tema del cibo prosegue nel Salmo 145. Tutte le creature aprono i loro occhi verso Dio, pieni di
attesa, di fame, di sete, di desiderio. «E tu dai loro il cibo a tempo opportuno. Tu apri la tua mano e sazi il desiderio
di ogni vivente» (vv. 15b-16). Questo è l’ultimo salmo alfabetico del Salterio, esalta la tenerezza del cuore di
Dio, madre che genera incessantemente. Si ha un’eco di un’altra bellissima lirica dei Salmi: «Tutti da te
aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno. Tu lo provvedi, essi lo raccolgono, tu apri la mano, si saziano di
beni» (Sal 104,27-28). Una provvidenza amorosa regge i rapporti tra creature e Creatore.
La seconda lettura (Rom 8,35.37-39), tratta dalla lettera ai Romani, ben si adatta al tema della
comunione. Paolo proclama l’assoluta totalità dell’unione tra il fedele e l’amore di Cristo. Anche le energie
demoniache ostili all’uomo si devono arrestare di fronte a questa intimità d’amore tra l’uomo redento e il
suo Dio. Solo l’uomo può spezzare con la sua libertà questo legame, ma Dio lo attenderà sempre perché
ritorni a rifiorire l’amore, come aveva già cantato Osea: «La attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo
cuore... Ti farò mia sposa per sempre nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore» (Os 2,16.21).
Rom 8,35: Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la
persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? (τίς ἡμᾶς χωρίσει ἀπὸ τῆς ἀγάπης τοῦ
Χριστοῦ; θλῖψις ἢ στενοχωρία ἢ διωγμὸς ἢ λιμὸς ἢ γυμνότης ἢ κίνδυνος ἢ μάχαιρα; lett. «Chi noi separerà
da l'amore di Cristo? Tribolazione o ristrettezza o persecuzione o fame o nudità o pericolo o spada?»).
- Chi ci separerà dall’amore di Cristo? (τίς ἡμᾶς χωρίσει ἀπὸ τῆς ἀγάπης τοῦ Χριστοῦ;). Il verbo χωρίσει, ind.
fut. di χωρίζω «divido, metto da parte, separo» introduce la tematica dell'amore appassionato di Cristo per
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noi e Paolo lo utilizza soprattutto in 1Cor 7,10-15, per la relazione sponsale tra marito e moglie: la nostra
relazione con Cristo è così profonda da essere paragonata a quella tra uno sposo e la sua sposa, immagine
già utilizzata in Rm 7,1-5.
- Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? (θλῖψις ἢ στενοχωρία ἢ
διωγμὸς ἢ λιμὸς ἢ γυμνότης ἢ κίνδυνος ἢ μάχαιρα;). Qui Paolo ricorre a un elenco peristatico (da
περιστατικός «in circostanze critiche») o delle difficoltà, per esemplificare gli avversari che potrebbero
determinare una separazione dall'amore di Cristo. Cataloghi simili si trovano in 1Cor 4,10-13; 2Cor 4,8-12;
6,3-10; 11,23-27; Fil 4,11-14. Senza un ordine particolare, in questa lista sono descritti sette nemici che
potrebbero mettere in crisi la relazione con Cristo; forse è motivata soltanto la collocazione della θλῖψις
«tribolazione», all'inizio, e della μάχαιρα «spada», alla fine dell'elenco, come termine concreto per indicare il
massimo dei pericoli: la morte. La θλῖψις «tribolazione» si trova anche all'inizio della gradazione di Rm 5,3-4
(cf il catalogo di 2Cor 6,4). La prima coppia di termini, θλῖψις e στενοχωρία «tribolazione e angoscia», si
riscontra anche in Rm 2,9, mentre per l'angoscia in contesti analoghi di difficoltà cf 2Cor 6,4; 12,10. Paolo ha
parlato di queste difficoltà già nelle liste di 2Cor 11,26-27 e di 2Cor 12,10. Circa l'origine di queste liste,
presenti soprattutto nella corrispondenza paolina con la comunità di Corinto, esse sono attestate anche nella
filosofia cinico-stoica (Epitteto, 50-125 d.C., Dissertationes 3,22,50-61). Tuttavia, rispetto a tali paralleli, è bene
precisare che Paolo non elenca le difficoltà per dimostrare di aver raggiunto l'ideale dell'indifferenza
(ἀταραξία «atarassia, assenza di agitazione, tranquillità») bensì per esprimere la partecipazione alla morte
e alla risurrezione di Cristo: in questione si trova ancora il «con-soffrire» con Cristo (cf Rm 8,17).
8,37-39: Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati.
38Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né
avvenire, né potenze, 39né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai
separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore (ἀλλ’ ἐν τούτοις πᾶσιν
ὑπερνικῶμεν διὰ τοῦ ἀγαπήσαντος ἡμᾶς. 38πέπεισμαι γὰρ ὅτι οὔτε θάνατος οὔτε ζωὴ οὔτε ἄγγελοι οὔτε
ἀρχαὶ οὔτε ἐνεστῶτα οὔτε μέλλοντα οὔτε δυνάμεις 39οὔτε ὕψωμα οὔτε βάθος οὔτε τις κτίσις ἑτέρα
δυνήσεται ἡμᾶς χωρίσαι ἀπὸ τῆς ἀγάπης τοῦ θεοῦ τῆς ἐν Χριστῷ Ἰησοῦ τῷ κυρίῳ ἡμῶν, lett. «Ma in queste
cose tutte stravinciamo a causa dell'avente amato noi. Sono convinto infatti che né morte, né vita, né angeli, né principati, né
cose presenti, né cose future, né potenze, né altezze, né profondità, né qualunque creatura altra potrà noi separare dall'amore di
Dio che in Cristo Gesù, il Signore nostro»).
- noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati (ὑπερνικῶμεν διὰ τοῦ ἀγαπήσαντος ἡμᾶς). Se a causa
di Cristo i credenti subiscono persecuzioni e sofferenze, tuttavia risultano «supervincitori» di fronte a tutte le
situazioni di pericolo o di giudizio nelle quali possono trovarsi. Il verbo ind. pres. di ὑπερνικάω «stravinco,
sono più che vincitore», è hapax nel NT. Colui che ci ha amati è Gesù Cristo stesso, giacché Paolo ancora
non parla in questo paragrafo esplicitamente dell'amore di Dio per noi.
- 38Io sono infatti persuaso (38πέπεισμαι γὰρ ὅτι οὔτε θάνατος οὔτε ζωὴ). Il verbo πέπεισμαι, ind. perf. pass.
di πείθω «sono convinto, persuaso, induco», si ritrova in Rm 14,14; 15,14; 2Tm 1,5.12. L'inno si conclude con
particolare enfasi attraverso l'estensione massima degli orizzonti dell'amore di Cristo e di Dio. Per
esprimere la portata incommensurabile di questo amore, Paolo fa appello a tutta la propria convinzione,
fondata sulla certezza dell'amore di Cristo e di Dio.
- né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, … né altezza né profondità (οὔτε θάνατος οὔτε
ζωὴ οὔτε ἄγγελοι οὔτε ἀρχαὶ οὔτε ἐνεστῶτα οὔτε μέλλοντα … 39οὔτε ὕψωμα οὔτε βάθος). Seguono
quattro coppie polari che delineano alcune coordinate spazio-temporali: soltanto il termine «potenze»
(δυνάμεις) non ha corrispondente e interrompe la sequenza che si chiude con il riferimento a qualsiasi «altra
creatura». Alla coordinata temporale appartengono le coppie «morte-vita», «presente-futuro», mentre le
coordinate spaziali sono espresse con le coppie «angeli-principati» e «altezze-profondità» (cf 1Cor 3,22; Ef 3,18;
angeli: 1Cor 15,24; Col 1,16; 2,10.15; Ef 1,21; 3,10). Forse è bene precisare che queste coppie non rappresentano un nuovo catalogo delle difficoltà, così da essere interpretate negativamente, ma sono
semplicemente alcune coppie polari che indicano le estremità del tempo e dello spazio, per dimostrare che
l'amore di Dio e di Cristo resiste a qualsiasi distanza ed è più forte persino della morte.
- né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù (οὔτε τις κτίσις ἑτέρα
δυνήσεται ἡμᾶς χωρίσαι ἀπὸ τῆς ἀγάπης τοῦ θεοῦ τῆς ἐν Χριστῷ Ἰησοῦ). L'elenco delle coppie polari si
conclude con la definitiva impossibilità della separazione dall'amore di Dio e di Cristo. Circa l'identità di
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κτίσις, ktísis in questo verso, si potrebbe pensare alla creazione subumana; il riferimento precedente agli
angeli, ai principati e alle potenze, insieme all'aggiunta ἑτέρα «altra», dimostra che qui Paolo ha presente
tutto il creato, compresa l'umanità (cf Rm 8,22). L'amore di Cristo incarna e rende visibile anche l'amore di
Dio per noi; per questo la dossologia finale del v. 39 stabilisce una continuità tra Dio e Cristo, riferendosi a
un solo amore, quello di Dio, che si realizza in Cristo Gesù il Signore nostro. Riconducendo tutto, anche
l'amore di Cristo, a Dio, Paolo si rivela, ancora una volta, profondamente legato al giudaismo del suo tempo
che vede nell'unicità di Dio l'origine di tutto.
Il vangelo (Mt 14,13-21) riprende la simbologia del cibo che trova il suo apice nella narrazione della
prima moltiplicazione dei pani; un episodio che è riprodotto nei vangeli in ben sei edizioni (due in Mt e Mc
e una rispettivamente in Lc e Gv). La ricchezza teologica di questo evento, coi suoi riferimenti alla manna,
ai pani di Eliseo, alla tipologia messianica giudaica e con le sue allusioni eucaristiche (Mt), di teologia della
storia (Lc) e di cristologia (Gv), è stata messa in luce dagli studiosi. Preparato da un dialogo coi discepoli,
dialogo destinato a mettere in luce la gratuità del dono che Gesù farà e la poca fede dei suoi, il gesto dei
pani è descritto tenendo presente la sequenza degli atti della cena pasquale (seder Pesach): «alzare gli occhi al
cielo, pronunziare la benedizione, spezzare e dare i pani». Agli occhi di Matteo quella mensa del deserto
diventa l’anticipazione della cena eucaristica.
Mt 14,13: Avendo udito questo, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo
deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città (ἀκούσας
δὲ ὁ Ἰησοῦς ἀνεχώρησεν ἐκεῖθεν ἐν πλοίῳ εἰς ἔρημον τόπον κατ' ἰδίαν• καὶ ἀκούσαντες οἱ ὄχλοι
ἠκολούθησαν αὐτῷ πεζῇ ἀπὸ τῶν πόλεων).
- in un luogo deserto (εἰς ἔρημον τόπον). Dopo aver udito che il Battista è stato arrestato e ucciso, Gesù
ἀνεχώρησεν «si ritirò», ind. aor. di ἀναχωρέω «mi ritiro, parto, mi allontano», per cercare un luogo
solitario. Matteo non precisa se Gesù voglia isolarsi per pregare (solo al v. 23 manifesta questa sua
intenzione), ma è probabile che si sia reso conto che la sua vita è a rischio: la fine del Battista diventa
annuncio e presagio della sua stessa prossima morte, e infatti alcune parole o elementi della passione di
Giovanni saranno ripresi per narrare quella di Gesù. La folla però segue Gesù, lo trova, ed egli prova
«compassione». L'aggettivo ἔρημος, ον, érēmos «deserto, vuoto, desolato, sterile», è affine al sostantivo ἡ
ἔρημος «il deserto». Il lettore però non deve immaginarsi un vero deserto, poiché il luogo si trova in riva al
Mare di Galilea e sul posto c'è dell'erba (v. 19). Tuttavia, la presenza di érēmos implica l'allusione alle
peregrinazioni dell'antico Israele nel deserto e al cibo procuratogli da Dio con la manna.
14,14: Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i
loro malati (καὶ ἐξελθὼν εἶδεν πολὺν ὄχλον καὶ ἐσπλαγχνίσθη ἐπ' αὐτοῖς καὶ ἐθεράπευσεν τοὺς
ἀρρώστους αὐτῶν).
- sentì compassione per loro (ἐσπλαγχνίσθη ἐπ' αὐτοῖς). Il verbo ebr. racham «provare misericordia, sentire
pietà, provare tenerezza, commuoversi, amare (teneramente)» è reso in greco con σπλαγχνίζομαι «sono
mosso a pietà, mi commuovo, provo compassione» (cf Mt 20,34; Mc 1,41; 8,2, Lc 1,78; 7,13; 10,33; 15,20).
Matteo non riporta il motivo della compassione di Gesù, che secondo Mc 6,34 è «perché erano come pecore che
non hanno pastore» (cf Nm 27,17; 1 Re 22,17; Ez 34,5-6).
- guarì i loro malati (ἐθεράπευσεν τοὺς ἀρρώστους αὐτῶν). Nonostante il dispiacere per la morte del Battista
e la paura che Gesù può aver sperimentato, pur essendosi ritirato in una solitudine, non si occupa di sé ma
di chi ha bisogno: i malati. Il verbo, ind. aor. di θεραπεύω «servo, accudisco, curo, guarisco» è associato al
termine ἄρρωστος, árrōstos, «debole, infermo, malato», derivato da α- privativa e ῤώννυμι «rendo forte». La
dichiarazione circa l'attività guaritrice di Gesù prende il posto dell'espressione di Mc 6,34: «e si mise a
insegnare loro molte cose». Questo significa che, per Matteo, la folla segue Gesù più per la sua attività di
guaritore che per ascoltare il suo insegnamento.
14,15: Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è
ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare» (ὀψίας δὲ
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γενομένης προσῆλθον αὐτῷ οἱ μαθηταὶ λέγοντες• ἔρημός ἐστιν ὁ τόπος καὶ ἡ ὥρα ἤδη παρῆλθεν•
ἀπόλυσον τοὺς ὄχλους, ἵνα ἀπελθόντες εἰς τὰς κώμας ἀγοράσωσιν ἑαυτοῖς βρώματα).
- Sul far della sera (ὀψίας δὲ γενομένης, lett. «sera poi essendo giunta»). L'«ora» tarda è l'ora del pasto principale.
I discepoli chiedono a Gesù di congedare la folla. L'obiezione dei discepoli sembra quasi voler limitare
l'intervento di Gesù: non sanno cosa fare e non hanno risorse a disposizione. Ma il limite che per loro è
invalicabile, da Gesù è affidato al Padre.
- congeda la folla (ἀπόλυσον τοὺς ὄχλους). Il verbo ἀπόλυσον, impt. aor. di ἀπολύω «sciolgo, libero, slego,
esonero, licenzio, congedo» (66x nel NT, 19x in Mt, 6x nella sezione dei pani), è usato dai discepoli per
chiedere a Gesù il congedo delle folle, allo scopo di procurarsi da mangiare nei villaggi circostanti. Ma, in
genere, ci si congeda alla fine di un banchetto e non all'inizio; perciò Gesù, pur non essendo andato lui in
cerca delle folle, non vuole mandarle via a mani vuote. Lo stesso verbo ἀπολύω, apolúō è usato per sciogliere
il matrimonio in caso di divorzio (1,19; 5,31s.; 19,3-9). Da questo accostamento possiamo anche dedurre che il
banchetto messianico è anche nuziale, ove il Figlio di David è lo sposo (cf 9,15).
14,16: Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare» (δὲ
Ἰησοῦς εἶπεν αὐτοῖς• οὐ χρείαν ἔχουσιν ἀπελθεῖν, δότε αὐτοῖς ὑμεῖς φαγεῖν).
- Non occorre che vadano (οὐ χρείαν ἔχουσιν ἀπελθεῖν, lett. «non bisogno hanno di andare»). Gesù fa capire ai
discepoli fin dall'inizio che non intende mandare la folla a cercarsi il cibo nei villaggi vicini. Sono i discepoli
che devono dare loro da mangiare.
14,17-18: Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». 18Ed egli
disse: «Portatemeli qui» (οἱ δὲ λέγουσιν αὐτῷ• οὐκ ἔχομεν ὧδε εἰ μὴ πέντε ἄρτους καὶ δύο ἰχθύας. 18ὁ
δὲ εἶπεν• φέρετέ μοι ὧδε αὐτούς).
- cinque pani e due pesci (πέντε ἄρτους καὶ δύο ἰχθύας). Nonostante la difficoltà a individuare il significato
simbolico da attribuire ai numeri cinque e due, possiamo riconoscere nel numero 5 i libri della Torà, che è
pane per il popolo credente, e nel numero 2 le tavole della Torà e le due alleanze che Gesù porta a
compimento. La presenza dei due pesci è stata interpretata in vari modi: come prova che i pesci facevano
parte delle prime celebrazioni eucaristiche cristiane, come un sostituto delle quaglie con le quali Israele è
stato nutrito nel deserto (Nm 11,31; Sap 19,12), o come parte del banchetto messianico (4 Esdra 6,52; 2 Baruc
29,4).
- portatemeli qui (φέρετέ μοι ὧδε αὐτούς). Cinque pani e due pesci per cinquemila uomini sono certo
un'inezia. Ma è sufficiente portarli a Gesù: φέρετέ μοι ὧδε αὐτούς «portatemeli qui» è un ordine di Gesù,
che mette in risalto la sua signoria: i discepoli non devono far altro che obbedirgli. È vero che è chiesto ai
discepoli di sfamare la folla (14,16), ma essi possono farlo solamente passando attraverso Gesù, portando a
lui quel poco che hanno, per ottenerlo moltiplicato, potremmo anche dire trasfigurato.
14,19: E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due
pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i
discepoli alla folla (καὶ κελεύσας τοὺς ὄχλους ἀνακλιθῆναι ἐπὶ τοῦ χόρτου, λαβὼν τοὺς πέντε ἄρτους
καὶ τοὺς δύο ἰχθύας, ἀναβλέψας εἰς τὸν οὐρανὸν εὐλόγησεν καὶ κλάσας ἔδωκεν τοῖς μαθηταῖς τοὺς
ἄρτους, οἱ δὲ μαθηταὶ τοῖς ὄχλοις, lett. «E avendo ordinato alle folle di accomodarsi sull'erba, avendo preso i cinque
pani e i due pesci, avendo guardato verso il cielo, benedisse e avendo spezzati diede ai discepoli i pani, i discepoli poi alle
folle»).
Il racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci è considerato un «miracolo sulla natura» o meglio un
«miracolo di donazione».
- dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba (καὶ κελεύσας τοὺς ὄχλους ἀνακλιθῆναι ἐπὶ τοῦ χόρτου).
Il verbo ἀνακλιθῆναι, inf. aor. pass. di ἀνακλίνω «adagio, siedo, sto a mensa, reclino», indica la posizione
usata per mangiare; perciò Gesù ordina alla folla di prepararsi a consumare un pasto.
- alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione (ἀναβλέψας εἰς τὸν οὐρανὸν εὐλόγησεν, lett. «avendo guardato verso il
cielo, benedisse»). Il verbo ἀναβλέψας è part. aor. di ἀναβλέπω «guardo in alto, alzo gli occhi, sollevo lo
sguardo» e il verbo εὐλόγησεν è ind. aor. di εὐλογέω «benedico, lodo, celebro, ringrazio». Gesù, rivestendo
il ruolo di capofamiglia, pronuncia la berakà, la preghiera di benedizione prima del pasto, che il lettore
ritroverà in occasione dell'ultima cena (26,26). La formula tradizionale di benedizione ebraica prima dei pasti è:
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«Benedetto sei tu, o Signore nostro Dio, re dell'universo, che fai scaturire il pane dalla terra». Non si
benedice il pane, ma Dio che lo fa «uscire» dalla terra, con l'uso di un verbo che ricorda l'esodo: jatzà'.
'Anoki hashem 'eloheýka 'asher hotze'tíka me'éretz mitzráyim mibbet 'avadim: Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho
fatto uscire dalla terra d'Egitto, dalla condizione servile (Dt 5,6; Es 20,2). Ma sottolinea anche la sovrana
libertà del «Signore, re dell'universo».
- spezzò i pani (κλάσας, lett. «avendo(li) spezzati»). A differenza di Mc 6,41, qui non si fa nessun accenno alla
distribuzione dei pesci, che pure sono stati appena nominati. Matteo rende esplicita la partecipazione dei
discepoli nella distribuzione dei pani.
- li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla (οἱ δὲ μαθηταὶ τοῖς ὄχλοις). È bene notare la mediazione dei
discepoli nel distribuire il cibo alle folle. Gesù, colui che sazia la fame di ogni vivente, ha bisogno
comunque dei discepoli per servire il popolo affamato.
14,20-21: Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene.
21Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i
bambini (καὶ ἔφαγον πάντες καὶ ἐχορτάσθησαν καὶ ἦραν τὸ περισσεῦον τῶν κλασμάτων δώδεκα
κοφίνους πλήρεις. 21οἱ δὲ ἐσθίοντες ἦσαν ἄνδρες ὡσεὶ πεντακισχίλιοι χωρὶς γυναικῶν καὶ παιδίων, lett.
«E mangiarono tutti e si saziarono, e presero l'avanzante dei pezzi dodici ceste piene. Gli aventi mangiato erano uomini circa
cinquemila senza donne e bambini»).
- Tutti mangiarono a sazietà (καὶ ἔφαγον πάντες καὶ ἐχορτάσθησαν). Il mangiare a sazietà potrebbe alludere
a Dt 8,10: Mangerai, sarai sazio e benedirai il Signore, tuo Dio, a causa della buona terra che ti avrà dato.
- dodici ceste piene (δώδεκα κοφίνους πλήρεις): Il termine greco κόφινος, kóphinos «cesto, canestro» indica un
grosso cesto fatto di vimini. Giovenale (Satire 3.14; 6.542) usa il termine in latino canistrum per indicare i
cesti usati dai Giudei per trasportare il cibo. Le ceste piene di κλάσματα «pezzi avanzati» è segno che Dio
non misura mai i suoi doni con il bilancino, ma agisce sempre con magnanima sovrabbondanza. Al numero
«dodici» viene generalmente riconosciuta una valenza simbolica associata alle dodici tribù d'Israele.
- senza contare le donne e i bambini (χωρὶς γυναικῶν καὶ παιδίων). Matteo moltiplica il numero delle persone
interessate dalla moltiplicazione dei pani, rispetto a Marco, rendendola in tal modo più spettacolare.
Il racconto della moltiplicazione dei pani è una profezia del banchetto messianico.
David ben Yeshay (Betlemme, 1040 a.C. ca – Gerusalemme, 970 a.C. ca) figlio di Iesse, secondo re d'Israele
durante la prima metà del X secolo a.C., «Quando ebbe finito di offrire gli olocausti e i sacrifici di comunione,
Davide benedisse il popolo nel nome del Signore degli eserciti 19e distribuì a tutto il popolo, a tutta la moltitudine
d’Israele, uomini e donne, una focaccia di pane per ognuno, una porzione di carne arrostita e una schiacciata di uva
passa» (2Sam 6,18-19).
Eliseo (Elishà «Dio è salvezza», profeta del regno del nord di Israele, IX sec. a.C.) riesce a sfamare
molta gente nonostante l'obiezione dei servi: 42Da Baal-Salisà venne un uomo, che portò pane di primizie all’uomo
di Dio: venti pani d’orzo e grano novello che aveva nella bisaccia. Eliseo disse: «Dallo da mangiare alla gente». 43Ma il
suo servitore disse: «Come posso mettere questo davanti a cento persone?». Egli replicò: «Dallo da mangiare alla gente.
Poiché così dice il Signore: “Ne mangeranno e ne faranno avanzare”». 44Lo pose davanti a quelli, che mangiarono e ne
fecero avanzare, secondo la parola del Signore (2Re 4,42-44).
Gesù si mostra più grande di Eliseo. Compito del re, del Messia, è assicurare il pane al suo
popolo: è quello che Gesù fa adesso, dopo la morte di Giovanni, rivelando non a parole, ma con un gesto
messianico, la propria identità. Gesù anzitutto si ritira (ἀναχωρέω, «mi ritiro, parto, mi allontano, ritorno»
14x nel NT, 10x in Mt) in un luogo solitario. Questo movimento di «anacoresi», di ritiro è un tratto
caratteristico del Gesù matteano; esso fa parte della sua strategia di autorivelazione, del suo «segreto
messianico». Gesù si ritira in disparte, non vorrebbe rivelarsi alle folle: sono queste che lo costringono a
«uscire» dal suo nascondiglio, muovendolo a compassione (cf 9,36). Egli guarisce i loro infermi, ma da qui
in poi non parlerà più alle folle se non nel discorso contro gli scribi del cap. 23.
Sopraggiunta la sera, i discepoli osservano che il luogo è deserto (evocazione dell'esodo e della
manna), cioè distante dai villaggi abitati che vi erano sulla riva del lago di Galilea. La localizzazione
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tradizionale in Terra Santa è Tabga, deformazione del greco Heptàpegon «sette sorgenti». «Non lontano (da
Cafarnao) si vedono i gradini di pietra, sui quali stette il Signore. Là, presso il mare, c’è una campagna
erbosa con fieno abbondante e molte palme e, lì vicino, sette sorgenti ognuna delle quali emette infinita acqua;
in questa campagna il Signore saziò una moltitudine con cinque pani e due pesci. La pietra su cui il
Signore depose il pane è divenuta un altare … Presso le pareti di quella chiesa passa la via pubblica, dove
Matteo ebbe il suo telonio. Sul monte vicino c’è un luogo dove il Signore salì per dire le Beatitudini».
Questo testo, conservato in un opuscolo medievale sui luoghi santi e attribuito alla pellegrina Egeria
(381-384 d. C.), costituisce la migliore attestazione dei ricordi cristiani di Tabga. Nella pianura, tra le
sorgenti, è situata la chiesa della moltiplicazione dei pani (rimessa in luce nel 1932 dal benedettino E.
Mader), coi suoi antichi mosaici di genere nilotico e la celebre roccia sotto l’altare davanti alla quale sono
rappresentati il pane e i pesci che servirono a Gesù per sfamare la moltitudine. Sul monte vicino sorge il
santuario delle Beatitudini: quello antico, più in basso, presso la strada (scavato nel 1936 da padre B. Bagatti)
e quello nuovo (arch. A. Barluzzi, 1938) sopra un poggio più elevato.
La preoccupazione dei discepoli per le folle è comprensibile, ma Gesù ha un'attenzione straordinaria
per i poveri; perciò pone i discepoli di fronte a una loro responsabilità: voi stessi date loro da mangiare (v. 16). I
discepoli non sanno come potrebbero fare questo: hanno soltanto «cinque pani e due pesci». Nella seconda
moltiplicazione, i pani saranno sette (15,34): forse si può, sommando i pani ai pesci (5 + 2), ottenere lo stesso
risultato. Del resto, il pesce diventerà presto un simbolo eucaristico non meno del pane, come si vede
proprio nel bellissimo mosaico bizantino conservato presso l'altare della chiesa di Tabga. Inoltre, nel deserto,
i figli di Israele erano stati miracolosamente sfamati non solo dalla manna ma anche dalle quaglie, e molti
dettagli di questo racconto ricordano il banchetto pasquale: l'erba («verde» secondo Mc 6,39) segnala la
stagione primaverile; e l'aggiunta finale di Matteo: cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini è una
voluta reminiscenza di Es 12,37: Gli Israeliti partirono da Ramses alla volta di Succot, in numero di seicentomila
uomini adulti, senza contare i bambini.
Alcuni studiosi attribuiscono un significato eucaristico al miracolo: sul lago si compirebbe
l'anticipazione del banchetto dell'ultima cena, perché anche lì Gesù avrà davanti a sé i poveri d'Israele, che
saranno liberati per sempre non dalle malattie o dalla fame, ma dai loro peccati (cf 26,28); anche lì Gesù avrà
un po' di pane che spezzerà per i «molti» di Israele. Qualunque sia l'interpretazione più adatta, Matteo
rispetto alle versioni degli altri vangeli accentua l'aspetto del limite, dal quale nasce il miracolo. Gesù
parte da un limite, il suo e quello delle folle, con le loro malattie e la loro fame, ma proprio su questo limite
Gesù fa leva, e quello che per gli uomini è impossibile diventa il possibile di Dio. La presenza di Gesù, che in
Matteo è Ἐμμανουήλ, Emmanouél, «Dio-con-noi» (cf 1,23; 28,20), può così superare un altro limite, quello
dello spazio e del tempo, e rendersi possibile ogni volta che i cristiani spezzano ancora quel pane e vengono
sanati dai loro mali. Il Risorto, come racconta il brano seguente (Gesù cammina sulle acque), si manifesterà
ancora e non abbandonerà il suo popolo, anche nei momenti della fame e della prova, e anche se non lo si
potrà più incontrare fisicamente.
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