Le malattie genetiche
Anderlini Beatrice
Classe 3^ - Sez. C
Liceo Scientifico “R. Casimiri”
Introduzione alle malattie genetiche___________________________
Tutti gli esseri viventi sono formati da cellule……in ogni cellula è presente un
nucleo, all’interno del quale sono racchiusi i cromosomi……ogni cromosoma è
formato da un lungo filamento di DNA.
Il genoma è l’intero patrimonio genetico contenuto nel DNA. Ad eccezione dei
globuli rossi maturi (che non hanno nucleo), ciascuna cellula dell’organismo
contiene un’intera copia del genoma.
L’unità funzionale del genoma è il gene, ciascun gene ha il compito di
costruire una determinata proteina. Sono proprio le proteine, e non i geni, ad
effettuare la maggior parte delle funzioni dell’organismo e a costituirne la
struttura.
Il DNA invece, è la sostanza che costituisce il patrimonio genetico, com’ è noto
formato da due filamenti disposti a spirale a formare una doppia elica. Tutte le
cellule di uno stesso individuo contengono la stesso DNA.
Il DNA è avvolto a formare i cromosomi, che sono visibili al microscopio ed
appaiono come dei bastoncini. Normalmente ogni cellula umana ne contiene
46, di cui 23 sono ereditati dal padre e 23 dalla madre.
Ecco il nostro corredo cromosomico:
2 cromosomi sessuali: il cromosoma x e il cromosoma y. Le femmine
possiedono due copie dell’x (xx), i maschi possiedono un cromosoma x un
cromosoma y (xy), il cromosoma y quindi, per forza di cose è sempre di
origine paterna.
22 coppie di cromosomi non sessuali detti autosomi, uguali a due a due.
Questo fa si che ogni gene dell’organismo sia presente in due copie, una che
proviene dalla madre e l’altra dal padre. Ognuna delle 2 copie è detta allele.
Gli alleli non sempre uguali tra di loro, possono infatti presentare delle
differenze. Gli alleli sono quindi, versioni diverse dello stesso gene, fatta
eccezione per i cromosomi sessuali che sono presenti in una sola copia nel
maschio e in due copie nella femmina.
Il cariotipo è l’insieme del corredo cromosomico di ogni individuo.
Grazie alla recente esplosione di conoscenze nell'ambito della genetica,
dovute principalmente agli sviluppi della biologia molecolare e al
sequenziamento del genoma umano, la nostra consapevolezza del ruolo dei
fattori genetici come causa di malattie ereditarie è aumentata notevolmente.
Per numerose malattie ereditarie monogeniche (causate da alterazioni in un
singolo gene) sono stati identificati i corrispondenti "geni-malattia".
Inoltre, è stata identificato un coinvolgimento genetico nell'eziologia (branca
della medicina che studia le cause delle malattie) di numerose malattie
complesse, quali le coronaropatie, il diabete mellito, l'ipertensione e le
principali psicosi.
Il concetto stesso di malattia genetica è risultato molto più articolato a seguito
di questa rivoluzione. Infatti, probabilmente esclusi i traumi, è difficile
immaginare una malattia priva di una qualunque componente genetica. Dato
che ciascun essere vivente è il prodotto della complessa interazione dei suoi
geni con l'ambiente, lo stato di salute di ciascuno di noi può essere quindi
considerato come un indicatore del risultato di questa interazione.
Le malattie infettive erano un tempo considerate un classico esempio di
malattie non-genetiche, per l'evidente azione di un agente esterno. Tuttavia,
sono ora viste in modo più complesso, come il prodotto dell'interazione fra il
sistema di difesa dell'ospite, in larga parte geneticamente determinato, e
l'agente che provoca la malattia. Questi fattori determinano il grado di
suscettibilità di ciascun individuo alle infezioni e il tipo di risposta delle difese
immunitarie.
Allo stesso modo, anche se con le dovute cautele, possiamo considerare la
presenza di un contributo genetico anche nella predisposizione all'alcolismo o
ad altri comportamenti devianti.
Le malattie genetiche_______________________________________
Sono causate dall’alterazione del Dna di un individuo. Possono essere
acquisite, come avviene nella maggior parte dei tumori, o ereditarie se
l’alterazione del DNA viene trasmessa alle generazioni successive.
Il patrimonio genetico della specie umana va incontro a continue modificazioni;
questo salvaguarda la capacità di adattamento all’ambiente. Tuttavia alcune di
queste modificazioni o mutazioni, determinano la comparsa di malattie.
Nonostante molti difetti possano essere trasmessi ereditariamente e quindi di
generazione un generazione, il termine malattia genetica è decisamente più
ampio di quello di malattia ereditaria.
Il patrimonio genetico, può infatti subire delle modifiche a causa di fattori
esterni anche dopo la nascita, un esempio classico sono le mutazioni da
radiazioni ionizzanti.
La malattia può essere inoltre determinata dalla concorrenza di più fattori
siano essi genetici che ambientali, e in questo caso il soggetto eredita solo la
predisposizione ad ammalarsi, mentre lo sviluppo della malattia dipende dalla
presenza di altri fattori.
E’ stato stimato che le patologie genetiche costituiscano il 30/40% delle cause
di ricovero nelle divisioni pediatriche e siano una delle maggiori cause di
mortalità infantile nelle società industrializzate. La malattie ereditarie, sono
responsabili di un’alta percentuale di morbilità (intensità dell'impatto di una
malattia sulla popolazione. Si valuta come coefficiente di morbilità il rapporto tra il
numero delle giornate di malattia rilevate in un dato periodo e il numero dei soggetti
esposti al rischio di malattia ) nella popolazione adulta, che per un quinto è
colpita da malattie croniche su base genetica.
Le malattie geneticamente determinate sono di solito classificate in tre
categorie principali: cromosomiche, monofattoriali e multifattoriali.
Le malattie cromosomiche sono causate da anomalie dei cromosomi,
strutture filiformi contenute nel nucleo delle nostre cellule, che hanno il
compito di custodire e trasmettere l’informazione genetica. Vediamo quali sono
le più frequenti e come avviene la diagnosi.
I cromosomi contengono i geni e sono trasmessi dai genitori ai figli tramite i
gameti (gli spermatozoi nel maschio e le cellule uovo nella femmina).
Il genoma umano è costituito da 23 paia di cromosomi:
∙ 22 coppie formano i cosiddetti autosomi
∙ una coppia costituisce i cromosomi sessuali (un cromosoma denominato X
e un cromosoma denominato Y nel maschio e due cromosomi X nella
femmina)
Le anomalie cromosomiche sono modificazioni del numero o della struttura dei
cromosomi.
La maggior parte delle anomalie cromosomiche si verifica durante la
formazione dei gameti, che avviene attraverso un complesso meccanismo
chiamato “meiosi”.
Anomalie di numero - Le anomalie di numero dei cromosomi sono chiamate
“aneuploidie”. Esse originano da una alterata separazione dei cromosomi
durante la meiosi. A causa di questo errore, definito “non-disgiunzione”, si
formano gameti anomali: il prodotto del concepimento che proviene dalla
fusione di un gamete normale con uno anomalo avrà un numero
cromosomico alterato, cioè un cromosoma in più (47 cromosomi, trisomia)
oppure un cromosoma in meno (45 cromosomi, monosomia).
Anomalie di struttura - Le anomalie di struttura sono determinate da una
rottura dei cromosomi durante la divisione cellulare. Spesso queste
rotture vengono riparate, ma, se la riparazione non riesce, si viene a creare
una anomalia di struttura dei cromosomi. Tali anomalie possono essere:
∙ bilanciate (senza apparente perdita o acquisizione di materiale genetico)
∙ sbilanciate (con perdita o acquisizione di materiale genetico).
Nella figura a fianco si può vedere una tipica
traslocazione bilanciata: due cromosomi diversi (uno
raffigurato in verde e uno raffigurato in rosso) si sono
scambiati un frammento: non c’è stata perdita né
guadagno di materiale genetico e l’anomalia è quindi
bilanciata; infatti la persona portatrice di questa anomalia è
perfettamente sana.
È da considerare, però, che un’alta percentuale dei gameti prodotti dalle
persone con traslocazioni bilanciate può essere “sbilanciata”. Di conseguenza,
le persone che hanno una traslocazione bilanciata, nella loro vita riproduttiva,
hanno un rischio superiore, rispetto a quello di chi non è portatore di
traslocazioni, di avere figli con patologia malformativa o di avere gravidanze
interrotte da aborti spontanei. Le anomalie “sbilanciate” consistono nella
presenza di un pezzo in più (duplicazione) oppure in meno (delezione) di un
segmento di cromosoma.
Frequenza delle anomalie cromosomiche
Alla nascita, all’incirca un neonato su 180 è portatore di una anomalia
cromosomica. È da considerare, però, che il 95% delle anomalie
cromosomiche non riesce ad arrivare al termine della gravidanza perchè viene
eliminata con l’aborto spontaneo per un meccanismo di selezione naturale.
Cause delle anomalie cromosomiche
Le cause delle anomalie di numero dei cromosomi sono per lo più ignote. È
stato dimostrato, però, che le stesse sono tanto più frequenti quanto più
elevata è l’età della madre al momento del concepimento. Per esempio, le
madri con età superiore ai 35 anni hanno un rischio più elevato di concepire
bambini con sindrome di Down (trisomia del cromosoma 21). È inoltre noto
che vari agenti (radiazioni ionizzanti, sostanze chimiche, infezioni virali)
possono determinare “rotture” dei cromosomi, predisponendo quindi ad
anomalie di struttura. È stato anche osservato che alcune anomalie di struttura
sono più frequenti nei bambini di genitori attempati.
Conseguenze delle anomalie cromosomiche
Le anomalie cromosomiche di numero e le anomalie cromosomiche di
struttura (se sbilanciate) causano malattie diverse l’una dall’altra, accomunate
però dalla presenza di ritardo mentale, ritardo di accrescimento, malformazioni
congenite, anomalie delle caratteristiche del volto. Le anomalie cromosomiche
bilanciate non causano di solito conseguenze cliniche nel soggetto che ne è
portatore. È da considerare, però, che queste persone producono, nel
processo di formazione dei gameti, una elevata percentuale di spermatozoi o
di uova con un corredo cromosomico sbilanciato. Quindi, in queste famiglie si
osservano spesso aborti ripetuti, neonati deceduti subito dopo la nascita per
quadri malformativi complessi, bambini che sopravvivono ma soffrono di
ritardo mentale associato a malformazioni dalle più alle meno gravi.
Anomalie cromosomiche più frequenti
Le più frequenti condizioni legate ad anomalie degli autosomi:
∙ Trisomia 21 (o sindrome di Down)
∙ Trisomia 18 (o sindrome di Edwards)
∙ Trisomia 13 (o sindrome di Patau)
∙ Delezione del braccio corto del cromosoma 4 (o sindrome di Wolf)
∙ Delezione del braccio corto del cromosoma 5 (o sindrome cri-du-chat)
Le più frequenti anomalie dei cromosomi sessuali:
∙ Monosomia X (o sindrome di Turner)
∙ Sindrome di Klinefelter
Queste ultime non si associano a ritardo mentale.
Diagnosi delle anomalie cromosomiche
La diagnosi è possibile mediante prelievo di sangue per lo studio dei
cromosomi (il cosiddetto cariotipo). L’analisi cromosomica si esegue in genere
sui linfociti del sangue periferico. Attraverso trattamenti eseguiti in laboratorio
(denaturazione, digestione enzimatica, incorporazione di un colorante
specifico) i cromosomi presentano al microscopio una successione di bande
chiare e scure alternate in senso trasversale, che ci permettono di riconoscerli
l’uno dall’altro. L’esame cromosomico “standard” ci permette di identificare le
anomalie del numero dei cromosomi e le anomalie strutturali che coinvolgono
porzioni relativamente grandi del cromosoma. Per diagnosticare le cosiddette
microdelezioni o microduplicazioni si deve ricorrere ad un esame che
consente di vedere i cromosomi in maggiore dettaglio come l’ibridazione in situ
fluorescente (FISH).
Le malattie monofattoriali o monogeniche sono causate dalla trasmissione
di un singolo gene sottoposto a "mutazione", cioè a una modificazione della
sequenza del DNA. Tale trasmissione può avvenire per via autosomica
dominante o per via autosomica recessiva, oppure può essere legata al
sesso. Il termine "dominante" indica che l'avvenuta mutazione ha una tale
espressività da dare luogo a manifestazioni cliniche anche in soggetti che
presentano tale anomalia su un solo cromosoma, cioè anche in condizione di
eterozigosi (in altri termini che presentano un solo allele anomalo, mentre il
corrispondente è normale). Il termine "recessivo" indica che la condizione
diviene clinicamente manifesta solo quando l'anomalia è presente in ambedue
gli alleli (omozigosi). Si parla di "via autosomica" quando l'allele interessato è
situato su uno dei 44 cromosomi della serie autosomica, mentre la
trasmissione si dice "legata al sesso" quando il gene responsabile è situato sul
cromosoma sessuale X. Quest'ultima caratteristica fa sì che il rischio e la
gravità clinica delle affezioni trasmesse per questa via siano differenti nei due
sessi: in particolare le malattie ereditarie legate al sesso, di tipo recessivo
(nella madre), si presentano pressoché esclusivamente nei figli maschi (per
esempio, è questo il caso dell'emofilia A). Le caratteristiche generali delle
malattie trasmesse per via autosomica sono: ogni soggetto affetto ha un
genitore ugualmente colpito e può dare origine a figli sani o malati con eguali
probabilità; i figli sani di un genitore malato hanno solamente figli sani: i due
sessi sono colpiti nella stessa proporzione; la condizione patologica si
trasmette verticalmente di generazione in generazione. Le principali affezioni
di questo tipo sono: l'ipercolesterolemia familiare; la sindrome di Marfan; la
malattia di von Willebrand; la stenosi subaortica ipertrofica; la porfiria acuta; la
corea di Huntington. Le malattie autosomiche recessive si manifestano
clinicamente solo nello stato omozigote, quando entrambi gli alleli sono
interessati alla mutazione. Dal punto di vista genetico, la relativa rarità dei geni
recessivi nella popolazione e la necessaria presenza di due geni anomali per
dare luogo all'espressione clinica della malattia fanno sì che questa modalità
di trasmissione richieda particolari condizioni: se entrambi i genitori sono
portatori dello stesso gene recessivo i figli avranno il 25% delle probabilità di
essere normali, il 50% di essere portatori eterozigoti (avendo un solo allele
mutante), il 25% di essere omozigoti e quindi affetti dal disturbo; se due
soggetti con la stessa malattia recessiva si sposano tra loro, tutti i figli ne
saranno affetti; se un soggetto affetto sposa un soggetto eterozigote, i figli
avranno il 50% delle probabilità di esserne affetti. Il matrimonio tra
consanguinei accentua evidentemente il rischio, in quanto più facilmente si
possono incontrare soggetti portatori di geni mutanti recessivi. Le malattie
autosomiche recessive sono la fenilchetonuria (oggi più precisamente indicata
come iperfenilalaninemia di tipo I, dovuta all'eccessivo accumulo di
fenilalanina), la fibrosi cistica (o mucoviscidosi che colpisce diffusamente le
ghiandole esocrine, le quali secernono un muco eccessivamente denso e
viscoso, provocando con il tempo la distruzione fibrotica degli organi
interessati), l'anemia falciforme (o drepanocitosi), la talassemia
(probabilmente la malattia ereditaria più diffusa nel mondo; interessa in
particolare alcune aree: il bacino del Mediterraneo, il Sud-Est Asiatico, il Nord
Africa, il Nord America -in particolare la popolazione nera-. Si distinguono
principalmente due forme di talassemìa: alfa-talassemìa, più frequente nel
Sud-Est Asiatico; beta-talassemìa, forma tipica del bacino del Mediterraneo),
l'albinismo (anomalia congenita ed ereditaria caratterizzata da mancanza di
pigmento nella pelle, nei capelli, nei peli e negli occhi. Il soggetto albino
presenta cute sottile e rosata, capelli e peli finissimi di colore bianco o giallo
dorato. L'albinismo si accompagna in genere a deficit visivi: astigmatismo,
nistagmo, ipermetropia, miopia, daltonismo, malformazioni del cristallino;
notevole sensibilità alla luce solare e predisposizione a neoplasie della cute ),
la malattia di Wilson (malattia ereditaria del fegato più frequente nei bambini
nati da consanguinei, dovuta ad eccessivo accumulo di rame nel fegato, nel
sistema nervoso centrale e in altri organi), l'omocistinuria, l'enfisema
ereditario. Nelle malattie ereditarie legate al sesso i geni anomali sono
localizzati sul cromosoma sessuale X e di conseguenza il rischio clinico e la
gravità della malattia sono diversi nei due sessi. Dato che il maschio presenta
un solo cromosoma X, la presenza di un gene mutante dà luogo
inevitabilmente alla manifestazione clinica morbosa, indipendentemente
dall'espressività (recessiva o dominante) del carattere. Le malattie ereditarie
legate al sesso non possono essere trasmesse da maschio a maschio, cioè
dal padre al figlio, mentre il padre le trasmette a tutte le figlie. Nell'albero
genealogico della famiglia la distribuzione delle malattie legate al sesso è
diversa a seconda che si tratti di caratteri recessivi o dominanti (nella donna):
nel primo caso, la malattia colpisce solo i maschi nati da madri portatrici
(clinicamente sane), mentre nel secondo il disturbo è presente tanto nei
maschi quanto nelle femmine nati da madri affette, oltre che nelle femmine
nate da padri affetti. Le principali forme ereditarie legate al sesso di tipo
recessivo sono l'emofilia A, la distrofia muscolare tipo Duchenne, il deficit di
glucosio-6-fosfato-deidrogenasi, la cecità per i colori. Tra le forme morbose
legate al sesso dominanti hanno una certa importanza clinica lo
pseudoipoparatiroidismo e il rachitismo resistente alla vitamina D.
Le malattie multifattoriali In questo gruppo vengono compresi numerosi
quadri morbosi (solitamente di carattere cronico-degenerativo, a carico degli
adulti), quali l'ipertensione essenziale, le malattie coronariche, il diabete
mellito, l'ulcera peptica, alcuni disturbi mentali, che caratteristicamente
presentano un andamento familiare e i cui meccanismi patogenetici
comprendono una serie di geni (più o meno alterati) che interagiscono in
maniera cumulativa fino a dare luogo alla manifestazione clinica. In altri
termini, la componente ereditaria di queste affezioni si manifesta
nell'interazione di molteplici fattori "predisponenti" (su base genetica) con
fattori multipli ambientali. Dato che il numero esatto dei geni responsabili di
questi tratti poligenici non è noto, è assai difficile calcolare con precisione il
rischio che un soggetto corre di ereditare una certa condizione morbosa.
L'ipotesi della componente poligenica nell'ereditarietà delle malattie
multifattoriali ha ricevuto negli anni recenti un solido supporto dalla
dimostrazione che almeno un terzo di tutti i loci genici ospitano alleli polimorfi
che presentano un'ampia variabilità nei singoli individui. Questo fenomeno
giustifica la variabilità della risposta individuale nell'interazione con i fattori
ambientali. Attualmente sono ben note alcune associazioni tra la
predisposizione a sviluppare particolari malattie e specifici assetti genici
destinati al controllo del sistema dell'istocompatibilità (il cosiddetto sistema
HLA, Human Leucocyte Antigen, costituito dal corredo antigenico presente
sulla superficie dei leucociti e delle cellule corporee, e che consente al sistema
immunitario di ogni individuo di distinguere il proprio patrimonio somatico da
quello degli altri soggetti). È stato per esempio, dimostrato che la presenza di
determinati alleli nei loci HLA predispone il soggetto allo sviluppo di alcune
specifiche malattie, quali la spondilite anchilosante, la psoriasi, l'epatite cronica
attiva, la miastenia grave, il diabete mellito, l'ipertiroidismo, il morbo di Addison
ecc. In altri casi, l'assetto genico predispone all'insorgenza di quadri morbosi
come la palatoschisi, le cardiopatie congenite e coronariche, l'epilessia
(specialmente le forme idiopatiche dell'adolescenza), l'ipertensione, le affezioni
della tiroide, mentre in altre circostanze si possono osservare reazioni abnormi
in seguito all'esposizione a sostanze o farmaci (come nell'intolleranza
all'insoniazide o agli anticoagulanti orali o come nel caso dell'ipertermia
maligna e così via).
La consulenza genetica______________________________________
Molte delle alterazioni genetiche possono essere efficacemente evitate
attraverso la prevenzione. Elemento essenziale della prevenzione è
l'identificazione dei soggetti in grado di dare origine a genotipi anomali
(individui portatori di geni mutanti dominanti o legati al cromosoma X, o di
traslocazioni cromosomiche, o ancora partner entrambi portatori di geni
recessivi negativi). Nella gran parte dei casi il sospetto diviene evidente alla
nascita di un figlio (o di uno stretto parente) affetto da un particolare disturbo:
si tratta in questo caso di eseguire un'indagine genetica "retrospettiva", per
verificare la diagnosi e valutare il rischio relativo, cioè le probabilità esistenti
che un figlio successivo possa essere ugualmente affetto dall'anomalia in
questione. Questa stima appare relativamente semplice per le affezioni
trasmesse per via autosomica recessiva o legata al sesso, mentre risulta assai
più complessa per le forme trasmesse per via autosomica dominante o
secondo meccanismi multifattoriali. Un altro importante aspetto della
prevenzione eugenetica consiste nella consulenza "preventiva", che consente
di identificare i soggetti portatori di possibili difetti genetici prima che abbiano
dato alla luce un figlio affetto dal disturbo. Per ottenere questo obiettivo è
essenziale identificare i soggetti eterozigoti (per un determinato gene
anomalo) mediante procedure di screening di massa; i soggetti così identificati
devono essere opportunamente istruiti sul potenziale rischio cui vanno
incontro in caso di matrimonio con un soggetto portatore della stessa anomalia
genica. In questi casi appare assolutamente necessaria un'accurata indagine
prematrimoniale sui due soggetti, in vista di una futura procreazione.
Attualmente è possibile identificare mediante operazioni di screening sulla
popolazione numerose affezioni autosomiche recessive come la talassemia (o
anemia mediterranea), l'anemia falciforme, disturbi del metabolismo, che
compaiono con particolare frequenza all'interno di certi gruppi etnici. A queste
possibilità preventive si aggiunge quella della diagnosi fetale o prenatale, il
cui scopo principale è quello di offrire ai genitori e al medico tutte le migliori
informazioni possibili sui rischi di mettere alla luce, un bimbo affetto da una
malattia genetica o da una anomalia congenita. Viene effettuata attraverso
delle tecniche invasive e non.
Le tecniche non invasive sono:
∙ l’ecografia
∙ la traslucenza nucale: ecografia per valutare l’accumulo di liquido nella nuca
del feto, se positiva induce ad ulteriori indagini
∙ il tri-test: da effettuare tra la 15° e la 17° sett. di gravidanza ed è la
valutazione combinata di alcuni ormoni che sono prodotti dal feto e dalla
placenta, questo test stabilisce solo se c’è un rischio elevato che il feto sia
affetto dalla sindrome di Down o difetti del tubo neurale o da altre malattie
cromosomiche, ma non ne da la certezza, che può essere determinata
dall’indagine citogenetica.
∙ il bi-test: sostanzialmente sovrapponibile al tri-test, si differenzia solo perché
viene effettuato in un’epoca di gravidanza più precoce, in modo da avere più
tempo se si dovesse determinare l’aumentato rischio.
Le tecniche invasive sono:
l’amniocentesi: prelievo del liquido
amniotico mediante un ago sottile
introdotto
attraverso
l’addome,
operazione che viene guidata tramite
ecografia per evitare danni al feto o alla
madre. Si effettua tra la 15° e la 16°
settimana di gravidanza e può dare
molte indicazioni sulla presenza di
malattie genetiche.
Il prelievo dei villi coriali: è il prelievo di
tessuto coriale (del feto) che viene
effettuato o transaddominale o per via
transcervicale (attraverso la cervice
uterina).
Viene
effettuato
più
precocemente rispetto all’amniocentesi,
ma presenta un rischio più elevato di aborto ed inoltre siccome vengono solo
prelevati i villi coriali, non è possibile eseguire indagini sul liquido amniotico.
Questo tipo di indagine, anche per i rischi che comporta, viene effettuato
quando esiste un rischio molto elevato di malattia genetica perché consente
una diagnosi molto più precoce rispetto all’amniocentesi.
Funicolocentesi: è il prelievo di sangue effettuato dal cordone ombelicale, che
serve a stabilire la diagnosi di alcune malattie ereditarie del sangue, oppure a
verificare che lo stato di salute del feto non sia stato compromesso da una
malattia infettiva contratta dalla madre.
La diagnosi prenatale non fornisce informazioni di assoluta certezza sul fatto
che il nascituro sia sano, ma può in certi casi dire se sarà portatore di una
determinata patologia genetica. Questo, perché se in alcuni casi può dare un
responso certo, per altri dà solamente la probabilità espressa in percentuale.
Inoltre, la stessa anomalia può avere effetti differenti da un individuo ad un
altro ed è anche possibile che si manifesti in modo più o meno grave e con età
di esordio diversa. Anche quando si ha la certezza di un’anomalia genetica,
solo i genitori possono decidere se scegliere o meno di interrompere la
gravidanza, tuttavia il medico che segue la coppia ha il dovere di informarli di
tutte le opzioni possibili e fare in modo che la scelta risulti assolutamente
consapevole.
La Sindrome di Down
La sindrome di Down o trisomia 21, è la forma più importante di ritardo
mentale presente alla nascita, ed è caratterizzata dalla presenza di un
cromosoma 21 soprannumerario. La frequenza di questa sindrome, che è
presente in tutte le etnie è molto elevata, nonostante l’elevato numero di feti
che vengono abortiti spontaneamente (78%). Numerosi studi epidemiologici,
confermano che l’età materna è strettamente correlata all’insorgenza della
sindrome, essendo essa più frequente in donne con età superiore a 35 anni. Il
fenotipo (ossia quel complesso di caratteristiche visibili) è peculiare sin dalla
nascita, malformazioni minori o tratti dismorfici, si associano in maniera molto
variabile a malformazioni maggiori. Sono costanti il ritardo mentale, che può
essere di grado variabile e l’ipotonia. I soggetti affetti presentano un ritardo
nella crescita, un parziale deficit immunologico, e un rischio maggiore di
ammalarsi di leucemia. L’aspettativa di vita è minore rispetto a quella del resto
della popolazione anche se negli ultimi anni vi è stato un aumento dell’età
media.
L’indagine citogenetica eseguita è l’unico esame che permette la diagnosi, può
essere eseguita in epoca post natale che prenatale, in quest’ultimo caso con
l’esame del liquido amniotico o dei villi coriali
Non esiste alcun trattamento farmacologico. L’unica terapia, quella riabilitativa,
consente al soggetto di ottenere uno sviluppo armonico e un buon rendimento
scolastico, sociale e lavorativo. Il trattamento va iniziato molto precocemente,
visto che i primi tre anni di vita per le persone Down sono molto importanti per
quanto concerne lo sviluppo delle loro abilità cognitive.
La consulenza genetica si basa sulla valutazione del rischio procreativo della
coppia. Per questa sindrome non è possibile effettuare una prevenzione
primaria, ma attraverso la diagnosi prenatale, è possibile stabile precocemente
il cariotipo fetale, specie nelle gravidanze a rischio.
La fibrosi cistica
La fibrosi cistica (FC) è la malattia congenita, cronica, evolutiva, trasmessa
con meccanismo autosomico recessivo più frequente nella popolazione
caucasica: ne è affetto un neonato ogni 2500-2700 nati vivi.
La fibrosi cistica è secondaria ad un'anomalia della proteina chiamata CFTR
(Cystic Fibrosis Transmembrane Conductance Regulator) localizzata nella
membrana apicale delle cellule degli epiteli; la sua funzione è quella di
regolare gli scambi idroelettrolitici. Il gene che codifica questa proteina è stato
localizzato nel 1989 sul braccio lungo del cromosoma 7. Tale gene in
condizioni normali regola il passaggio di sali e di acqua tra l'interno e l'esterno
delle cellule di molte ghiandole dell'organismo. Chiunque possieda nel proprio
corredo genetico sia una copia mutata che una normalmente funzionante di
questo stesso gene è detto portatore. La copia funzionante del gene è
ampiamente sufficiente a compensare il mancato funzionamento del gene
mutato e pertanto chi è portatore non ha e non avrà mai nessun sintomo di
FC. Chi invece è malato ha nel proprio corredo genetico due geni mutati,
avendone ereditato uno dalla madre e uno dal padre. Ad ogni gravidanza, a
seconda della diversa combinazione dei geni che essi trasmettono, una coppia
di portatori ha 1 probabilità su 4 che il figlio sia malato, 1 probabilità su 4 che
non sia né malato né portatore, 2 probabilità su 4 che sia portatore. In Italia
manca una stima generale, ma i dati regionali a disposizione tendono a
suggerire un'incidenza di fibrosi cistica intorno ad un caso ogni 2.700 nati vivi,
e la presenza di un portatore ogni 26 individui. Ciò starebbe a significare 2
milioni di portatori del gene della malattia, con circa una coppia ogni 700 a
rischio del 25% ad ogni gravidanza di generare un figlio malato. La probabilità
di essere portatore aumenta però per chi appartiene ad una famiglia che
comprenda un parente diretto malato di fibrosi cistica o portatore, ed è tanto
più alta quanto più stretto è il grado di parentela.
La malattia coinvolge numerosi organi ed apparati: l'apparato respiratorio,
dalle prime vie aeree al tessuto polmonare, il pancreas nella produzione di
enzimi digestivi, il fegato, l'intestino e l'apparato riproduttivo, soprattutto nei
maschi.
La prognosi è decisamente migliorata negli ultimi 50 anni; se fino al 1963
l'aspettativa di vita era inferiore ad un anno per la maggior parte dei pazienti,
attualmente l'età media di sopravvivenza è intorno ai 50 anni anche se la
qualità di vita di questi soggetti è in genere modesta.
Il trattamento deve essere continuo per tutto l'arco della vita e si basa su sei
cardini fondamentali quali la dieta ed il trattamento digestivo-nutrizionale, la
fisioterapia respiratoria e rimozione delle secrezioni bronchiali, la terapia
antibiotica delle infezioni respiratorie, il trattamento delle patologie delle prime
vie aeree, la terapia medico-chirurgica delle complicanze con trapianto dei
polmoni.