Imparare guardando - Digilander

annuncio pubblicitario
IMPARARE GUARDANDO
(Il ruolo dei “neuroni specchio” nell’apprendimento e nell’insegnamento)
Gli istruttori esperti sanno bene che una buona dimostrazione è il mezzo più efficace per favorire
l’apprendimento. La naturalezza dell’apprendimento per imitazione non ha riscontro in nessun altra
forma di apprendimento: tutto avviene apparentemente con la massima facilità; in genere
l’insegnante si limita a dimostrare l’azione motoria e l’allievo la riproduce (anche se in forma
grossolana). L’abitudine, abbastanza diffusa, di proporre un nuovo gesto partendo da descrizioni
verbali approfondite spesso confonde gli allievi, incapaci di trasformare le informazioni verbali in
rappresentazioni mentali e quindi nelle corrispondenti azioni motorie.
La facilità con cui può essere realizzato l’apprendimento motorio sfruttando il meccanismo
dell’imitazione trova una giustificazione biologica nell’esistenza di una particolare struttura della
corteccia cerebrale: i neuroni specchio ("mirror neurons").
L’abilità nell’imitare i gesti altrui dipende infatti in gran parte da questo speciale gruppo di cellule
nervose scoperte da un gruppo di ricercatori italiani dell’Università di Parma (Rizzolatti e Gallese)
alla fine del secolo scorso: prima nella scimmia e poi nell’uomo. Si trovano nell’area premotoria
ed hanno la proprietà di attivarsi in varie circostanze: un attimo prima che un soggetto esegua
un’azione finalizzata, ma anche quando “si concentra intensamente” sull’esecuzione di un’azione
ben conosciuta senza poi effettuarla, ed infine quando osserva un'altra persona compiere quella
stessa azione.
Per la loro attivazione, addirittura, può essere sufficiente l’ascolto di un suono associabile
direttamente ad essa (ad esempio, il racconto dettagliato di un particolare gesto sportivo).
Durante l’osservazione di un gesto, grazie all’attività dei neuroni specchio, all’interno della nostra
mente viene reso operante un processo di simulazione che ci proietta nella mente delle altre persone
e ce ne rivela i contenuti motori; in pratica, mentre li osserviamo, riusciamo a comprendere i gesti
degli altri replicandoli nella nostra mente; essi costituiscono la base genetica dei movimenti
imitativi.
Per comprendere e ripetere le azioni compiute dagli altri, dunque, non occorrono strumenti
cognitivi complessi: è sufficiente confrontare l’atto osservato con quelli già codificati nella nostra
corteccia motoria. La visione di un nuovo gesto “accende” ed attiva nella nostra mente un
programma motorio simile a quello analizzato; un programma che, con la visione, viene
selezionato, modificato e fatto “girare” nella nostra corteccia motoria nella sua nuova forma (quella
che stiamo osservando): si ha in pratica una vera e propria coesecuzione.
Questa connessione tra i due cervelli può avvenire, però, solamente se il gesto osservato ha un
omologo nella nostra mente: cioè se, nel patrimonio di azioni motorie che fin dalla nascita abbiamo
accumulato, è presente un atto abbastanza simile a quello considerato. Non possono essere imitati
movimenti sconosciuti, o dei quali non si comprenda il significato, oppure così complessi, o
difficili, da non poter essere “connessi” alle attuali competenze di chi apprende.
Ogni nuovo gesto proposto dall’insegnante/istruttore/allenatore deve fare riferimento a schemi di
movimento già detenuti dall’allievo: “conoscere significa riconoscere”; egli non può imparare
niente che, almeno in parte, non sia già nella sua disponibilità. I neuroni specchio, infatti, ci offrono
una rappresentazione interna di ciò che andiamo osservando solamente se possono collegarla con
un’azione simile che si trova già nella nostra memoria.
Essi, come uno specchio, replicano nella mente le azioni osservate negli altri; rappresentano quindi
un sistema che rende possibile la riproduzione e l’analisi interna di ciò che viene esaminato
attentamente. Si attivano con l’osservazione evocando “l’immagine del movimento”, una
rappresentazione mentale dell’azione che può trasformarsi in azione, ma anche prescindere da una
successiva esecuzione.
A riprova di quanto affermato, studi sofisticati hanno evidenziato che l’attenta osservazione di un
gesto (del quale si comprenda il significato) non si limita a richiamare l’immagine visiva di un
movimento; essa produce anche un’intensificazione dei potenziali evocati motori (PEM) registrati
in quei muscoli che vengono coinvolti nell’esecuzione reale. Questo aumento di potenziale nelle
strutture muscolari indica l’attivazione delle aree corticali responsabili della trasmissione
dell’impulso nervoso. In pratica i muscoli vengono a trovarsi in una condizione di eccitazione
simile a quella generata dal movimento reale: qualitativamente identica, ma di intensità molto
minore, quindi insufficiente a produrre il movimento.
L’allenamento “ideomotorio”
Quando un atleta prima di una gara si concentra sul gesto tecnico (prediamo l’esempio di un
saltatore in alto, o di un ginnasta), si prepara all’atto ripercorrendo mentalmente l’intera azione
motoria, attivando cioè le aree cerebrali sede del programma del movimento (quelle che
normalmente entrano in funzione durante l’esecuzione) ed inviando degli impulsi ai muscoli che
generano microcontrazioni. Egli “sente” l’atto motorio dentro di sé, se lo rappresenta come un vero
processo che si svolge nello spazio e nel tempo.
Il “fare” è dunque preceduto dall’immaginare; la rappresentazione mentale del risultato dell’azione
(inteso come intero svolgimento) è il prodotto di questo processo psichico, prima emotivo, poi
immaginativo, reso possibile dalla nostra struttura cerebrale. Un processo che può essere messo in
azione anche prescindendo da una reale esecuzione e su cui si basa l’allenamento ideomotorio.
Viene così definito l’allenamento mentale utilizzato dagli atleti per preparare un gesto, per
ripassarlo, per prenderne sempre maggiore coscienza, per ripercorrere mentalmente i passaggi più
difficili in occasione della gara: oppure per non perdere dimestichezza con il movimento in caso di
un infortunio che ne impedisca la reale esecuzione.
Quale imitazione
Quando un allievo osserva un movimento viene evocata la stessa attività neuronale di quando
l’azione viene effettuata o pensata: in pratica osservare attentamente il gesto significa riprodurlo
attivamente nella nostra mente, simulandone l’esecuzione.
I neuroni specchio, però, non codificano semplici movimenti, ma azioni finalizzate ad uno scopo.
Questo ci fa capire, allora, quanto sia sbagliato impostare un processo di insegnamento imitativo
basato sull’esecuzione di “movimenti”: ovvero di gesti (interi o parziali) svincolati dalla
comprensione e dalla presa di coscienza del loro effetto. L’allievo imitando il movimento
dell’insegnante si impegna in un processo complesso, finalizzato al raggiungimento dello scopo
dell’azione, che può essere favorito da suggerimenti, dimostrazioni, correzioni, ma che non può
ridursi alla replicazione di un “movimento”. In pratica chi apprende deve continuamente riferire e
correlare il modello (la dimostrazione) all’obiettivo (l’azione completa), privilegiando la
“funzione” alla “forma”. L'apprendimento per imitazione dunque, pur nella sua grande naturalezza
ed apparente semplicità, è un processo complesso, ben lontano dalla pura riproduzione meccanica
del movimento osservato. L’allievo, ricevuto il modello, si impegna attivamente per costruire,
regolare e perfezionare un'azione motoria che assomigli il più possibile a quella mostrata,
trasformando, con le ripetizioni, un programma motorio schematico e grossolano in un gesto fine
ed efficace. Naturalmente l'esecuzione è tanto più precisa ed efficace quanto più adeguata è la
competenza nell'analizzare e valutare il gesto e nel ricostruire il movimento: essa dipende dal
livello delle capacità motorie, percettive e cognitive ed è questa diversa competenza a spiegare le
differenti capacità di apprendimento degli allievi.
L'esperienza ha un ruolo fondamentale nelle capacità imitative e nella successiva formazione delle
abilità tecniche, che non vengono mai create "ex novo", bensì utilizzando gli schemi di
movimento, generali e specifici già disponibili. L'allievo "spezza" i movimenti precedentemente
appresi, ricavando una serie di frammenti: dei veri e propri "mattoni prefabbricati", con i quali
costruisce i nuovi gesti che gli vengono presentati.
Il “sistema specchio” evoca dunque una rappresentazione interna dell’azione osservata selezionando
ed attivando nell’individuo quei programmi (o sottoprogrammi) motori già disponibili adatti a
riprodurre, con i necessari cambiamenti, ciò che egli sta analizzando.
Questo gruppo di neuroni si eccita quando osserviamo attentamente le azioni compiute da altri delle
quali comprendiamo pienamente il significato e possediamo una certa competenza.
Analizzare con attenzione un nuovo gesto significa dunque “accendere” un nuovo programma e
riprodurlo mentalmente. Dopo l’esecuzione, così, resta nel cervello una “traccia debole” del gesto
analizzato che rappresenta un primo abbozzo di un nuovo programma di movimento. Le ripetizioni
porteranno poi ad un consolidamento di questo programma ed al successivo perfezionamento.
Dall’imitazione alla correzione
Il sistema basato sui neuroni specchio serve dunque all’individuo per costruire, attraverso
l’imitazione, una rappresentazione interna delle azioni osservate negli altri, che gli permette di
replicarle, o semplicemente di riconoscerle. Questa rappresentazione che costituisce un vero e
proprio “modello dell'azione”, può essere usata anche per prevedere il risultato e percepire le
conseguenze delle nostre azioni e di quelle eseguite da altri. Ambedue le previsioni (delle azioni
nostre ed altrui) sono “simulazioni incorporate”, vale a dire processi di modellamento
(pianificazione dell’azione e previsione del risultato) che avvengono all’interno della mente e che
assumono un’importanza essenziale nei processi di apprendimento e di insegnamento.
L’esistenza del sistema dei neuroni specchio fornisce una spiegazione plausibile a fenomeni come
l’intensa “partecipazione fisica” (così ben conosciuta dagli allenatori) che caratterizza chi assiste
con coinvolgimento emotivo ad un evento sportivo; una partecipazione che porta l’osservatore a
riprodurre all’interno del proprio corpo - anche se in maniera più “sfumata” - i gesti dell’atleta
preferito.
L’efficienza del sistema specchio viene influenzata dal livello di coinvolgimento emozionale
(l’attivazione), dalla capacità di prevedere l’andamento dell’azione e dall’abilità nell’eseguirla.
Questi meccanismi spiegano molte cose: ad esempio l’importanza per un allenatore di avere
praticato la disciplina (meglio se ad un buon livello), dispone infatti di una ricca base di modelli di
movimento da utilizzare come termine di paragone per la valutazione dei gesti dei propri atleti.
L’analisi tecnica viene effettuata osservando l’allievo, trasferendo il programma di movimento del
gesto analizzato nelle proprie strutture motorie e valutandolo alla luce delle proprie competenze. Si
tratta in pratica di un processo simile alla diagnosi elettronica effettuata per verificare il
funzionamento di un motore di un auto. Con le macchine della nuova generazione, una volta arrivati
in officina, il meccanico inserisce nel computer dell’auto gli spinotti del suo sistema di diagnosi; il
computer analizza i vari processi, li confronta con i suoi modelli e, laddove registra delle
discrepanze, le segnala al tecnico che interviene.
L’analisi del gesto dell’atleta avviene con un processo molto simile: infatti il sistema motorio
dell’allenatore, attraverso la simulazione interna, vede molto più dei suoi occhi e soprattutto, grazie
alla sua esperienza, analizza e valuta il gesto molto meglio dell’allievo e può ricavarne indicazioni
preziose da fornire poi allo stesso.
Insegnare ad imparare
Naturalmente le potenzialità del “sistema specchio” vengono sfruttate a pieno solamente se vengono
seguite le regole e rispettate correttamente le procedure per un buon apprendimento. La capacità
dell’insegnante di offrire adeguati modelli visivi, ad esempio, rappresenta spesso la chiave del
successo. La dimostrazione, per essere efficace, dovrà
Rivolgersi a soggetti “competenti” nell’osservare (biologicamente e motoriamente)
Rappresentare un’azione completa (non “un movimento”) evidenziando sempre chiaramente
l’obiettivo da raggiungere
Essere effettuata a velocità normale (non rallentata), poiché il ritmo esecutivo costituisce un
elemento fondante della “struttura” del movimento, rappresenta, quindi uno dei primi
elementi da introiettare. Una dimostrazione rallentata, invece, offre un modello iniziale
errato che porta l’allievo a concentrarsi sui dettagli, aspetto questo che deve intervenire solo
in un secondo tempo.
Essere sfrondata da dettagli che potrebbero distrarre o confondere l’osservatore
L’insegnante, inoltre, non dovrà chiedere l’esecuzione di semplici “movimenti” poiché il
“movimento” è solamente l’aspetto ultimo e visibile di quel processo complesso emotivocognitivo-motorio rappresentato dall’azione motoria.
Nell’esecuzione del nuovo gesto inviterà dunque gli allievi a concentrarsi sul raggiungimento
dell’obiettivo e non sulla riproduzione speculare del movimento osservato. Più che ai dettagli del
movimento dovranno prestare attenzione all’“effetto dell’azione” e verificare che sia raggiunto lo
scopo. E’ fondamentale che nella fase iniziale dell’apprendimento l’allievo si sforzi di percepire
l’adeguatezza del gesto in termini di efficacia e non di “forma”. Solo successivamente potrà mettere
a punto i dettagli ed affinare il movimento. Il principiante mentre è in grado sin dall’inizio di
valutare gli effetti prodotti dal proprio gesto (se raggiunge o meno l’obiettivo), raramente riesce a
rappresentarsi in maniera precisa il movimento con cui questo “effetto” viene ottenuto. La presa di
coscienza del movimento, infatti, è frutto dell’elaborazione delle sensazioni cinestesiche, un
processo che diventa efficace solamente dopo numerose ripetizioni.
Prima la “funzione” e poi la “forma”
Questo significa che nelle prime esecuzioni è sufficiente raggiungere, anche in maniera grossolana,
lo scopo dell’azione: successivamente potrà essere controllato e perfezionato “il come”, verrà cioè
messo a punto, più o meno finemente, il movimento che ha permesso di raggiungere l’obiettivo. La
percezione del gesto ed il suo affinamento sono successivi all’esecuzione dell’azione completa:
l’azione precede la percezione.
Il raggiungimento dello scopo dell’azione motoria è il punto di partenza ed il primo obiettivo; ogni
altra operazione è successiva e subordinata a questo; l’apprendimento iniziale consiste infatti
principalmente nell’appropriarsi della funzione del movimento e non della sua forma.
La qualità del gesto migliora rapidamente con le ripetizioni, soprattutto se l'esecuzione avviene in
forma cosciente e ragionata e se l'allievo si sforza di perfezionarla. Le ripetizioni effettuate
meccanicamente, in genere, non portano a grossi miglioramenti tecnici, non accrescono la
competenza motoria dell'allievo, e, quasi sempre, stereotipizzano i movimenti e li rendono poco
modificabili.
Considerazioni pratiche conclusive
In definitiva l’insegnamento va indirizzato: inizialmente all’acquisizione di un gesto semplice ed
abbastanza schematico, ma tale da consentire il raggiungimento dell’obiettivo per cui viene
progettato, poi all’affinamento dello stesso attraverso le ripetizioni, che dovrebbero essere per gran
parte coscienti e controllate ed impegnare l’allievo in un continuo sforzo per migliorare il
movimento sino nei dettagli.
L’insegnante in questo processo ha un ruolo insostituibile, che consiste: in una prima fase
nell’individuare con precisione il livello motorio dell’allievo
nel proporre l’apprendimento di abilità motorie adeguate a tale livello
nel semplificare la dimostrazione schematizzando il gesto e mettendo in evidenza solamente
gli elementi strutturali (la globalità del movimento ed il ritmo)
nell’accompagnare la dimostrazione con pochi suggerimenti basilari che guidino l’allievo
alla comprensione di ciò che è stato presentato
nel fornire, dopo l’esecuzione, un feedback sintetico ed essenziale, ponendo l’accento, nelle
indispensabili correzioni, solamente sugli aspetti strutturali del movimento evitando di
evidenziare i dettagli
Con l’evolvere della coordinazione (fase della coordinazione fine di Meinel) potranno essere
evidenziati i particolari (dettagli) ritenuti più importanti in quel determinato stadio
dell’apprendimento. L’allievo, infatti, dopo un certo numero di ripetizioni, grazie al miglioramento
dell’analizzatore cinestesico, prende maggiore coscienza della propria esecuzione e la qualità del
movimento può essere ottimizzata anche negli aspetti fini.
Anche in questa fase i suggerimenti dell’insegnante sono molto importanti, poiché, durante
l’osservazione dei movimenti dell’allievo, riesce a cogliere (grazie ai processi attivati con il
concorso dei neuroni specchio) aspetti e dettagli che il sistema motorio del suo atleta, ancora
acerbo, non può percepire. E’ così in grado di comprendere le cause profonde degli errori e
comunicarle all’allievo insieme ai suggerimenti necessari per eliminarli.
A questo punto la dimostrazione può essere di nuovo effettuata in forma più raffinata, rallentata,
parziale o modificata per consentire all’allievo di percepire determinati aspetti del movimento che,
in una prima fase, erano stati volutamente occultati per non confonderlo. La struttura specchio
infatti, grazie al miglioramento, con l’esercizio, delle capacità percettive e della capacità di
differenziazione cinestesica, è in grado di cogliere ed imitare anche gli aspetti più fini e complessi
del movimento ed elaborare programmi adeguati per la loro esecuzione.
Bibliografia
1. Hotz A. - L’apprendimento qualitativo dei movimenti (SSS Roma)
2. Rizzolatti G, Sinigaglia C. - So quel che fai (Raffaello Cortina editore – 2006)
3. Visintin G. - Imparare ad insegnare (Edizioni FIN)
4. Visintin G - I fondamenti dell’apprendimento e dell’allenamento tecnico (Edizioni FIN)
5. Visintin G. - “Il Nuoto Semplice” (Libreria dello Sport – Milano 2006)
6. Visintin G, Monaco D. (La Formazione – Collana di studi e cultura – Edizioni Libertas
2007)
Scarica