Belsito Mod 03 -Effetti biologici del danno da

Master FERDOS
Dipartimento di Fisica - UNICAL
Effetti biologici
delle radiazioni ionizzanti
Indice argomenti
Distribuzione della dose nelle sostanze biologiche
Pag
.
1
Fattori che influenzano l’effetto di radiazioni
4
Modificazioni chimiche indotte da radiazioni
5
Formazione di radicali liberi
6
Danno biologico nei diversi stadi di organizzazione della materia vivente
7
Effetti delle radiazioni sulle proteine
7
Danni a livello di componenti cellulari
7
Danno al DNA e meccanismi di riparazione
8
Effetti stocastici e deterministici
11
Effetti deterministici sulla cellula
11
Recupero del danno dopo esposizione a radiazioni
13
Effetti deterministici sull'uomo
15
Danni per irradiazione della cute
15
Sindromi da radiazioni
16
Danni all’occhio
19
Danni al polmone
19
Danni alle gonadi
19
Effetti stocastici
20
Danno genetico
22
Malattie ed anomalie cromosomiche
24
Relazione tra entità della dose e numero di aberrazioni
24
Effetti sull’embrione e sul feto
25
Accorciamento della durata della vita
26
Appendice 1: Grandezze fisiche ed unità di misura in radioprotezione
27
Appendice 2: I tumori
29
Distribuzione della dose nelle sostanze biologiche
La grandezza fondamentale, nel settore della radiazioni ionizzanti, è la dose assorbita, definita come
l'energia assorbita per unità di massa e misurata in Gray.
La suddivisione (frazionamento) di una dose in due o più frazioni separate da un intervallo di tempo, spesso
provoca un danno biologico minore di quello prodotto da una irradiazione in una unica dose elevata.
La probabilità di danno non dipende soltanto dalla dose assorbita ma anche dalla qualità della radiazione,
pertanto, si fa riferimento ad una particolare grandezza fisica:
 dE 
L  

 dl  
il Linear Energy Transfer (LET),
indicato con L e definito come il rapporto tra dE e dl, dove dl è un elemento infinitesimo della traiettoria e dE
è l’ energia media persa nel tratto dl per collisioni con trasferimenti di energia minori di un valore fissato .
Si misura in: keV m-1, dove 1 keV m-1 = 1 MeV cm-1
Il motivo per cui radiazioni ad alto LET producono maggiori
danni è che una maggior densità di ionizzazione può provocare
più rotture contemporanee sulla molecola del DNA.
Il LET dipende dalla velocità e dalla carica delle particelle
ionizzanti.
Radiazioni ad alto LET:
Radiazioni a basso LET:
Particelle , neutroni, protoni
Raggi X,  ed elettroni veloci.
Quindi un diverso LET conduce, a parità di dose, ad effetti
biologici diversi e, per tener conto di questo fatto sono stati
introdotti l’efficacia biologica relativa (RBE), negli studi di
radiobiologia,
ed
il
fattore
di
qualità
(QF)
in
radioprotezionistica.
L’RBE di una radiazione rispetto ad un’altra è il rapporto inverso
tra la dose di una radiazione di riferimento necessaria per
produrre un certo effetto biologico e la dose della radiazione in
esame che produce lo stesso effetto biologico.
L’RBE di una particella dipende dal numero di ionizzazioni e dalla loro distribuzione lungo il percorso.
Particelle ad alto LET sono più dannose per unità di dose che le radiazioni a basso LET.
Con basso LET si ha recupero, mentre non lo si osserva per alto LET.
L’RBE di una radiazione aumenta con il LET. L’andamento ERB/LET è riportato nella figura seguente.
Relazione fra RBE di una radiazione e il suo LET. L’RBE aumenta quando il LET passa da 10 a 100 keV m-1.
2
Per esprimere l’efficacia biologica dei diversi tipi di radiazioni si è introdotto l’equivalente di dose (H) dato
da:
H=DxQ
D-dose assorbita in Gy, Q-fattore di qualità, che è collegato al LET. Oggi Q è sostituito da opportuni fattori di
peso per la radiazione, W R, e la dose in Gy moltiplicata per W R dà luogo alla dose equivalente (HT) mediata
sul tessuto od organo T dovuto alla radiazione R.
L’equivalente di dose si riferisce alla dose in un punto, mentre la dose equivalente si riferisce alla dose
media assorbita da un tessuto od organo e quindi pesata per W R. In comune hanno l’unità di misura il sievert
(Sv), 1 Sv = 1 J kg-1.
I fattori W R hanno importanza in radioprotezione per gli effetti stocastici.
Fattori di peso per la radiazione
Per approfondimenti vedere appendice finale
3
Fattori che influenzano l’effetto di radiazioni
Fattori fisici, biologici e chimici possono modificare l’entità del danno indotto dalle radiazioni.
Fattori fisici
 La dose può essere somministrata come singola dose o dose frazionata.
 Alto LET o basso LET.
 Alta o bassa intensità.
Fattori biologici
 Importanza delle fasi del ciclo cellulare in rapporto all’efficacia delle radiazioni nel provocare la morte
delle cellule.
 Radiosensibilità e Radioresistenza dei tessuti (fattori genetici e l’equilibrio ormonale possono
svolgere un ruolo importante nel modificare la radiosensibilità.
Fattori chimici
Gli agenti chimici che influenzano l’effetto delle radiazioni possono essere:
 Sensibilizzanti. Agenti che aumentano l’effetto di una determinata dose di radiazioni, l’ossigeno
(O2) è il più importante.
 Protettori. Fattori che riducono l’effetto di una determinata dose di radiazioni (sostanze contenenti
zolfo).
Effetto ossigeno: in presenza di O2 tutti i
sistemi biologici sono più sensibili a raggi X e
, fenomeno noto come effetto ossigeno.
 L’ossigeno
modifica
l’entità
quantitativa del danno da radiazioni
ma non l’altera qualitativamente.
 La presenza di O2 riduce la dose di
radiazioni richiesta per produrre un
determinato effetto radiobiologico.
In presenza dell’ossigeno i sistemi biologici
subiscono un aumento della radiosensibilità di
un fattore 2 – 3. La sensibilizzazione da O2
potrebbe avvenire attraverso un processo di
“Fissazione”: Combinazione dell’ossigeno con
radicali liberi formati nella molecola bersaglio
in modo da formare radicali perossido.
La fissazione del danno avviene in 10-2 – 10-3
s dall’irradiazione. L’aumento dell’effetto
sensibilizzante è bifasico:
1. Componente rapida. Danno dell’O2 alle
membrane cellulari esterne.
2. Componente
più
lenta.
Danno
in
corrispondenza di sedi intramolecolari
(DNA).
Curve di sopravvivenza (dose unica) ottenute in presenza
e in assenza di O2 a basso LET e a LET elevato.
Radioprotettori chimici:
Riducono di 1,5 – 2 volte l’efficacia della successiva irradiazione. Per essere efficaci devono essere:
 presenti al momento dell’irradiazione,
 molto vicini alla sede critica del danno da radiazioni,
 contenere atomi di zolfo.
Sono agenti protettori: aminotioli e loro disulfidi, e comprendono cisteina, cistamina, mercaptometilguanidina,
glutatione (GSH).
Meccanismo d’azione: Gli atomi di H si trasferiscono dal composto sulfidrilico al radicale libero biologico (R °):
M-SH + R°  RH + MS°
4
Modificazioni chimiche
Per studiare il meccanismo di danno sugli esseri viventi è necessario partire dalle modificazioni chimiche
indotte dalle radiazioni, risalendo poi ai danni sulle macromolecole cellulari e quindi, attraverso la morte o la
mutazione delle cellule interessate, arrivare agli effetti sull’uomo.
Studi effettuati hanno dimostrato che, anche se tutte le strutture cellulari, citoplasma, membrana, etc., sono
sensibili alle radiazioni ionizzanti, il bersaglio d’elezione ossia quello responsabile dei principali danni, è la
catena del DNA.
I processi fisici dell’interazione delle particelle ionizzanti e dei fotoni con la materia si verificano nella materia
vivente come in quella non vivente e in tempi che variano da 10-24 s a 10-14 s come riportato:
1)
2)
3)
4)
5)
Evento
Limiti temporali
Interazioni iniziali
Radiazioni indirettamente ionizzanti
Radiazioni direttamente ionizzanti
10-24 - 10-14 s
10-16 a 10-14 s
Stadio fisico-chimico
Deposito di energia (ionizzazione strutture)
10-12 a 10-8 s
Danno chimico
Radicali liberi, molecole eccitate e reazioni
intermolecolari
10-7 s - ore
Danno biomolecolare
Proteine, acidi nucleici, membrane
ms – ore
Effetti biologici precoci
Morte cellulare, morte animale
ore – settimane
6)
Effetti biologici tardivi
Induzione di neoplasie, effeti genetici
anni - secoli
________________________________________________________________________
In questo contesto, la materia con la quale interagisce la radiazione è quella dei sistemi biologici costituita da
molecole complesse formate da un elevato numero di etero atomi. L’interazione è considerata analoga a
quella che si verifica con i singoli atomi. La catena degli eventi è quella riportata in precedenza unitamente
alla loro scala temporale. Abbastanza è noto sull’assorbimento fisico dell’energia e sugli effetti biologici di
tale assorbimento. Poco noti sono gli eventi chimici e biomolecolari e le relazioni fra gli stadi dal 2 al 6.
Di seguito si riportano alcuni processi che avvengono nello stadio 3
5
Formazione di radicali liberi (RL)
I radicali liberi sono atomi o molecole elettricamente neutri aventi un elettrone spaiato nell’orbita esterna.
Si forma un radicale libero per effetto delle radiazioni quando un atomo rimane con uno dei suoi elettroni
orbitali esterni spaiato rispetto allo spin. Gli RL sono molto reattivi in quanto hanno una elevata tendenza ad
accoppiare l’elettrone con uno simile presente in un altro radicale, oppure ad eliminare l’elettrone spaiato
attraverso una reazione di trasferimento di elettroni. Essi possono essere sia accettori di elettroni (ossia
ossidanti) che donatori di elettroni (ossia riducenti).
La radiazione produce eccitazioni e ionizzazioni a caso, per cui nel sistema biologico complesso è più
probabile che siano ionizzate di più le molecole presenti in maggior quantità. Poichè il 70-90 % di una cellula
è costituito da acqua, la maggior parte dell’energia sarà assorbita dall’acqua.
Una molecola d’acqua ionizzata dà luogo ad un elettrone libero e ad una
molecola d’acqua con carica positiva:
H2O  H2O+ + e-
Successivamente l’elettrone si unisce ad una molecola d’acqua
trasformandola in una molecola negativa:
H2O + e- H2O-
Sia la molecola H2O- che la molecola H2O+ non sono stabili e si dissociano
dando luogo ad uno ione e ad un radicale libero:
H2O+  H+ + OH°
H2O-  H° + OH-
I radicali liberi possono reagire tra loro nei seguenti tre modi:
H° + H° 
2
OH° + OH°  2O2
(perossido d'idrogeno)
H° + OH° 
H2O + H° 
Oppure reagire con altre molecole d'acqua:
2O
2
+ OH°
H2O2 + OH°  2O + HO°2
(radicale idroperossido)
O con prodotti della stessa reazione:
Una molecola organica (RH) può essere trasformata in radicale:
RH + OH° 
RH + H° 
2O
2
I radicali liberi possono interagire, a loro volta, con la molecola del DNA provocando importanti danni; questo
tipo di azione prende il nome di azione indiretta in quanto la radiazione ionizzante non agisce direttamente
ma provoca danni attraverso la mediazione dei radicali liberi.
E’ anche possibile che la ionizzazione avvenga direttamente sul DNA ed in questo caso si parla di azione
diretta.
6
Danno biologico nei diversi stadi di organizzazione della materia vivente
Nessun danno si osserva se la radiazione attraversa la materia vivente senza perdere l’energia. Le particelle
corpuscolari cariche (elettroni, protoni, particelle alfa, ioni leggeri) dissipano energia per produzione diretta di
coppie di ioni. Le ionizzazioni prodotte da raggi X, fotoni gamma e neutroni sono indirette in quanto
coinvolgono elettroni secondari o protoni di rimbalzo che a loro volta ionizzano la materia man mano che
cedono energia.
L’azione diretta o indiretta delle radiazioni sulle biomolecole dà luogo alla ampia gamma di effetti biologici
osservati negli organismi viventi irradiati riportata in tabella:
Livello d'organizzazione
Molecolare
Subcellulare
Cellulare
Tessuto, organo
Animale intero
Popolazione di animali
Principali effetti delle radiazioni
Danno a macromolecole: enzimi RNA, DNA, interferenza con i
processi metabolici.
Danni alle membrane cellulari, ai nuclei, ai cromosomi, ai
mitocondri, ai lisosomi.
Inibizione della divisione cellulare, morte della cellula,
degenerazione maligna.
Compromissione di alcuni sistemi: sistema nervoso centrale
(S.N.C.), midollo osseo, intestino, che può condurre a morte;
induzione di neoplasia.
Morte, accorciamento della durata della vita.
Cambiamenti delle caratteristiche genetiche dovuti a mutazioni
geniche e cromosomiche in individui singoli della specie.
L’entità e il tipo di danno biologico dipendono dalla dose di radiazioni e dal frazionamento e distribuzione
della dose nei tessuti.
Effetti delle radiazioni sulle proteine
L'interazione radiazione-proteine, può causare, danni a livello fisico-chimico: riduzione del peso
molecolare, a causa di rotture nella catena polipeptidica, variazioni di solubilità, scompaginamento delle
strutture secondarie e terziarie, formazione di ponti ed aggregati tra diverse molecole, distruzione di
aminoacidi della catena.
Danno a livello biochimico è la perdita della capacità dell'enzima di compiere la sua reazione
(inattivazione).
L'inattivazione di enzimi può avvenire sia per interazione diretta con la radiazione (>10 Gy), che per
interazione indiretta dovuta a radicali liberi che diffondono nell'acqua.
Danni a livello di componenti cellulari
Le radiazioni possono causare alterazioni delle funzioni della membrana cellulare, ad es. aumenti di
permeabilità ionica, perdita della capacità di regolare gli scambi elettrolitici.
Si pensa che i lisosomi, a causa dell'interazione con la radiazione possano rilasciare i propri enzimi
all'interno della cellula causandone la morte.
Le radiazioni probabilmente producono interazioni nelle membrane mitocondriali alterandone i processi
ossidativi.
Danno al DNA e meccanismi di riparazione
7
Le radiazioni colpiscono il DNA a tre livelli:

Nella cellula già differenziata di tipo somatico: quando una cellula sana si trasforma in una di tipo
canceroso provocando l’effetto oncogenico oppure l’alterazione interessa le generazioni cellulari
successive, determinando il cosiddetto effetto mutagenico.

Nella cellula embrionale: quando le alterazioni genetiche delle cellule embrionali, possono
provocare malformazioni, aborti, neonati con gravi deformazioni, si manifesta il cosiddetto effetto
teratogenico.

Nella cellula germinale sessuale: in questo caso i danni possono provocare sterilità sessuale,
malattie ereditarie più o meno gravi, morte del feto nei primissimi stadi di vita.
Le cellule, fortunatamente, possiedono particolari enzimi che svolgono la funzione di autoriparazione per
limitare gli eventuali danni che si possono verificare durante i processi di duplicazione del DNA. Il possibile
errore viene scoperto dall’enzima DNA-polimerasi in una delle fasi della duplicazione del materiale genetico,
che svolge una funzione di correttore: l’enzima confronta la sequenza del nuovo filamento con quella del
vecchio, controllando le riparazioni di tipo biochimico.
Queste sono in grado di ripristinare quasi sempre la sequenza originaria dei nucleotidi tranne quando gli
errori causati dalle radiazioni sono stati troppo elevati; in questo caso, si verifica la morte della cellula oppure
alterazioni di tipo mutagenico od oncogenico.
L’effetto sinergico delle radiazioni con alcuni agenti chimici eleva in maniera esponenziale i danni alle cellule
somatiche e sessuali.
La mitosi e la divisione cellulare sono tra i processi più radiosensibili della vita cellulare.
L’effetto letale delle radiazioni può essere legato al fatto che le radiazioni inibiscono la divisione cellulare.
La replicazione del DNA avviene
in un ben definito momento o fase
del ciclo di divisione cellulare
(fase S)
Durante la replicazione (copia) le
due catene di DNA si separano e
si formano due nuove catene che
sono complementari alle due
catene originali, a formare due
nuove molecole di DNA. Le due
molecole si dividono poi nella
mitosi (fase M) consentendo così
la trasmissione dell’ identica
informazione genetica alle due
cellule figlie.
La fase che precede la fase S si
chiama G1 e quella che la segue
G2. Nella fase G1 la cellula
predispone l’apparato biochimico
al fine di formare una copia del
DNA.
Nella fase G2 il DNA è sottoposto
a un raggomitolamento che dà
luogo
alla
formazione
dei
cromosomi.
Ciclo di divisione cellulare
I principali tipi di danno al DNA sono:
8

rottura di una singola catena,

rottura di una doppia catena,

distruzione di basi,

creazione di ponti di collegamento spuri.
Danni al DNA non sono certamente imputabili alle sole radiazioni ionizzanti ma anzi molti agenti fisici o
chimici li possono produrre.
Tale evenienza è quindi piuttosto frequente e quindi le cellule hanno sviluppato un efficiente meccanismo di
riparazione di natura enzimatica.
In linea di principio esistono 3 tipi di riparazione:

riparazione senza errori (asportazione), che si ha con la sostituzione del DNA alterato con DNA
equivalente, non causa letalità e mutazioni;

riparazione con possibilità di errore, che si ha con sostituzione del DNA alterato con altro non
equivalente, mantenendo intatta l’integrità strutturale ma non il contenuto informativo, può essere
letale;

riparazione incompleta che si ha quando non viene ripristinata la continuità della catena del DNA,
letale.
Rottura di una singola catena
Si ha una rottura di una singola catena quando ad un danno in una delle due catene corrisponde la catena
complementare intatta nella parte opposta.
E’ stata dimostrata la correlazione lineare tra le rotture di una singola catena e la dose di radiazioni
nell’intervallo 0.2 - 60000 Gy; questo significa che non esiste una dose soglia all’effetto delle radiazioni
ionizzanti ma, per quanto piccola, qualsiasi dose può dare un danno.
Per la proprietà di complementarietà questo tipo di danno può esser riparato senza ulteriori
conseguenze.
Il meccanismo di riparazione è piuttosto semplice: viene asportato il tratto di catena contenente la rottura e
viene ricostruito impiegando la catena integra come riferimento ed infine ricollegato con un enzima
denominato ligasi.
9
Sinistra) Meccanismo di riparazione mediante asportazione di lesioni radioindotte (rotture di singola catena, distruzioni di basi);
Destra) Riparazione post-replicazione di un danno al DNA indotto da radiazione UV (la freccia indica il sito di azione della
endonucleasi).
Rotture di doppia catena
Si ha rottura di doppia catena quando 2 rotture su singole catene adiacenti provocano il distacco di una
parte del DNA.
Una doppia rottura si può avere per un singolo evento ionizzante, che interessa 2 catene
contemporaneamente o per la concomitanza di 2 diversi eventi che, casualmente, interessano due punti
prossimi di due catene della stessa macromolecola.
Il primo caso si ha soprattutto con radiazioni ad alto LET; infatti l’elevata densità di rilascio della dose rende
estremamente probabile un evento a doppia rottura
Il secondo caso si ha quando una radiazione produce la seconda rottura prima che la prima sia stata
riparata.
Questo avviene con maggior probabilità in presenza di alte dosi ad alta intensità.
Si è cercato di individuare sperimentalmente la relazione fra dose e numero di rotture doppie; la relazione
più accettata è quella lineare quadratica.
Una rottura a doppia catena sembra che non possa essere riparata, esistono però dei meccanismi che
permettono di mantenere la stessa lunghezza della catena, ma non il codice genetico originario eccetto che
il frammento distaccato si ricombini spontaneamente.
10
Effetti stocastici e deterministici
Il processo di induzione di danno biologico delle radiazioni ionizzanti è intrinsecamente casuale. Infatti, un
singolo evento ionizzante può interagire in modi diversi ed il tipo d’interazione non è prevedibile. Anche il
meccanismo di riparazione può essere più o meno efficace in funzione di vari parametri, tutti indeterminabili.
In generale, quindi, si dovrà associare ad ogni dose di radiazioni non un danno ma una probabilità di
danno e quindi si tratterà di effetti di tipo stocastico (casuale).
Se però la dose ricevuta da un organismo vivente è molto elevata allora è possibile individuare una
correlazione deterministica tra dose somministrata e danno atteso.
Di seguito saranno trattati gli effetti deterministici, dovuti ad alte dosi di radiazioni e quelli stocastici, che si
possono manifestare anche con dosi molto piccole.
Effetti deterministici
Per danni deterministici s'intendono quelli in cui la frequenza e la gravità variano con la dose e per i quali è
individuabile una dose-soglia. In particolare, i danni deterministici hanno in comune le seguenti
caratteristiche:

compaiono soltanto al superamento
di una dose-soglia caratteristica di
ogni effetto;

il superamento della dose-soglia
comporta l'insorgenza dell'effetto in
tutti gli irradiati, sia pure nell'ambito
della variabilità individuale; il valore
della dose-soglia è anche in funzione
della distribuzione temporale della
dose (in caso di esposizioni protratte
la soglia si eleva secondo un "fattore
di protrazione");

il periodo di latenza è solitamente breve (qualche giorno o qualche settimana); in alcuni casi l'insorgenza
è tardiva (qualche mese, alcuni anni);
 la gravità delle manifestazioni cliniche aumenta con l'aumentare della dose.
Effetti deterministici sulla cellula
Nel caso di dosi elevate il principale danno cellulare è la morte della cellula.
Per morte cellulare si possono intendere due distinte cose: la morte vera e propria, che avviene per dosi
elevatissime di radiazioni (decine di Gy) e che deriva dalla distruzione delle sue strutture, oppure l’inibizione
della sua capacità riproduttiva.
In questo secondo caso, quindi, viene considerata morta anche una cellula che non riesce a dividersi un
numero sufficiente di volte, dando luogo ad una progenie sterile.
Il concetto di morte riproduttiva non può essere quindi applicato a cellule perenni o che si riproducono
raramente.
11
Nonostante le limitazioni di questo approccio al problema, la definizione di morte proliferativa è stata
mantenuta anche per la sua applicabilità ai trattamenti radioterapici. In questa particolare applicazione delle
radiazioni ionizzanti l’inibizione proliferativa di un tumore equivale alla guarigione.
Il metodo di studio degli effetti deterministici sulle cellule è fornito dall’analisi delle curve di sopravvivenza,
curve che mettono in relazione la dose somministrata ad una popolazione cellulare in vitro al numero di
cellule sopravvissute.
A causa delle incertezze statistiche nella sperimentazione, non è ancora stata stabilita in modo univoco la
dipendenza della mortalità delle cellule di mammifero dalle dosi ricevute.
Per quanto visto, oltre che dal tipo di cellula le curve di sopravvivenza dipendono dal tipo di radiazioni, a
basso od alto LET, e dall’intensità di dose; esistono vari modelli applicabili ai punti sperimentali nelle varie
modalità di irradiazione.
Per radiazioni ad alto LET la curva di sopravvivenza può essere descritta con una esponenziale:
S e
D
D0
Dove S è la frazione di cellule sopravvissute alla dose D e D 0 è la dose corrispondente al 37% di
sopravvivenza o reciproco della pendenza; infatti se D=D0 allora S=1/e.
Le radiazioni ad alto LET provocano, per ogni evento ionizzante a bersaglio, un danno non riparabile (doppia
rottura del DNA) e quindi il rapporto fra la dose e la percentuale di danno è costante.
Nel caso invece di radiazioni a basso LET è possibile che il danno singolo sia riparato e quindi, per basse
dosi, si avranno soprattutto danni riparabili equidistribuiti sulla popolazione cellulare con una parte quasi
piatta nella curva di sopravvivenza corrispondente ad un’alta percentuale di cellule sopravvissute.
Aumentando la dose quasi tutte le cellule avranno subito un evento ionizzante e quindi le ionizzazioni
successive provocheranno danni non riparabili e quindi la curva di sopravvivenza riprenderà un andamento
esponenziale inverso.
Matematicamente il modello si può così descrivere:
 D 
S  1   e D0 


N
Dove N è il numero di estrapolazione a dose zero e D 0 è il reciproco della pendenza della porzione
esponenziale della curva.
La regione iniziale tra 0 e 5 Gy può essere descritta con l’equazione:
S(D)=D+D2
nota come relazione lineare-quadratica.
Curve di sopravvivenza per cellule di mammifero esposte a radiazioni a basso ed alto LET
12
Recupero del danno dopo esposizione a radiazioni
Tre tipi di recupero del danno aumentano la sopravvivenza post-irradiazione delle cellule:
 Recupero del danno Subletale.
 Recupero del danno potenzialmente letale.
 Recupero lento.
Recupero danno Subletale:
Ricordiamo che le curve di sopravvivenza di cellule di
mammiferi mostrano una spalla a basse dosi seguita
da un tratto esponenziale ad alte dosi. La curva fa
pensare che l’uccisione delle cellule richiede uno o
più colpi per bersagli fondamentali.
Alle basse dosi il danno viene indicato come
Subletale (le cellule non hanno ricevuto colpi
sufficienti ad ucciderle).
Un modo per recuperare il danno è quello di
frazionare la dose.
Dose singola di 10 Gy  Sopravvivenza S, se si
somministra una dose da 5 Gy  la sopravvivenza è
S1, Se dopo intervallo temporale si somministra la
seconda dose da 5 Gy la sopravvivenza è S2 > S.
Effetto sulla sopravvivenza del frazionamento della dose. Una
dose singola da 10 Gy o due dosi intervallate da 5 Gy.
Risultato:
 Il livello di sopravvivenza è più elevato dopo le dosi frazionate confrontato con la dose singola.
 Le cellule recuperano una frazione del danno provocato dalla prima dose di radiazioni.
 Il recupero è evidente dalla spalla all’inizio della 2a somministrazione.
A basso LET, è importante ai fini del recupero l’intervallo fra la prima e la seconda dose.
Il recupero dipende dal tempo, il max recupero si ha dopo 2 h.
La riparazione del danno subletale è rapida e potrebbe non dipendere dal ciclo cellulare.
Esperimenti in funzione della temperatura indicano che nel processo di recupero del danno subletale
possono essere implicati processi metabolici.
Il recupero è ridotto a temperature inferiori a 37 °C.
Il recupero dipende dalla presenza di ossigeno nella coltura cellulare nell’intervallo fra le frazioni di dose:
aumenta in presenza di O2.
Recupero danno potenzialmente letale
Si verifica sia in vivo che in vitro impiegando singole dosi di radiazioni e poi modificando le condizioni postirradiazione.
Le condizioni sono quelle “sub-ottimali” (Condizioni che permettono alle cellule di funzionare al minimo ma
favoriscono lo sviluppo della divisione cellulare, si ottengono abbassando la temperatura e usando farmaci
inibitori del metabolismo).
Si utilizzano cellule nello “stato stazionario” (Le cellule si arrestano nella fase G 1 oppure progrediscono
lentamente).
Risultato: L’alterazione delle condizioni di crescita post-irradiazione riducono l’entità delle morti cellulari
radioindotte.
13
Recupero lento
Osservazione: Si provoca minor danno nei tessuti normali o tumorali estendendo il tempo di trattamento in
un periodo di varie settimane.
Si ha “recupero lento” simile, ma circa 100 volte più lento, al recupero rapido del danno subletale. In vivo si
verifica in polmoni e reni ma probabilmente non avviene nel midollo spinale.
Il meccanismo di recupero è ignoto.
14
Effetti deterministici sull'uomo
I tessuti e gli organi sottoposti ad elevate dosi di radiazioni, possono essere danneggiati sia per
l’inattivazione di un gran numero di cellule componenti che per l’alterazione dell’equilibrio strutturale del
tessuto.
Sono radiosensibili le cellule ad elevato ritmo mitotico, morfologicamente e funzionalmente indifferenziate,
presenti ad esempio nel:
 midollo osseo;
 linee germinali delle ovaie e dei testicoli;
 epitelio intestinale;
 cute.
Questi tessuti riportano il maggior danno dopo panirradiazione dell’intero corpo.
Sono radioresistenti le cellule differenziate, mature, specializzate e con scarsa probabilità di divisione
cellulare:
 fegato;
 reni;
 cervello;
 muscolo;
 cartilagini;
 tessuti connettivi.
La radiosensibilità di un tessuto è direttamente proporzionale all’attività mitotica e inversamente
proporzionale al grado di differenziazione delle sue cellule (Berginiè & Tribondeau)
Dosi soglia per effetti deterministici in vari tessuti
Tessuto
Dose (Sv)
Frazionamento
Effetto
Testicoli
0.15
singola dose
sterilità temporanea
Testicoli
3.5 - 6.0
singola dose
sterilità permanente
Ovaio
2.5 - 6.0
singola dose
sterilità
Ovaio
6.0
multifrazionate
sterilità
Cristallino
0.5 - 2.0
singola dose
opacità visibili
Cristallino
5
singola dose
cataratta
Cristallino
5
multifrazionate
opacità visibili
Cristallino
>8
multifrazionate
cataratta
Midollo
osseo
0.5
singola dose
ridotta ematopoiesi
Danni per irradiazione della cute
L'irradiazione acuta della cute causa, a seconda della gravità dell'evento: caduta di peli e capelli (4 Gy),
eritema semplice (48 Gy), eritema bolloso (1620 Gy), eritema ulceroso e necrosi dei tessuti (> 25 Gy).
Per quanto riguarda l'irradiazione frazionata della cute, merita precisare in via indicativa che le dosi-soglia
per ulcerazioni e fibrosi cutanee a 5 anni dal trattamento radioterapico con raggi X o radiazioni  sono state
stimate come segue:

dose che causa l'effetto in 1-5% dei pazienti: 55 Gy;

dose che causa l'effetto in 25-50% dei pazienti: 70 Gy.
15
Nell'irradiazione cronica della pelle (soprattutto in corrispondenza delle mani) l'esperienza clinica,
acquisita soprattutto nella "fase eroica" della radiologia, ha dimostrato che sono necessarie dosi di qualche
decimo di Gy alla settimana e per lunghi periodi (molti mesi, anni) per causare una radiodermite cronica
("cute del radiologo").
Questa radiolesione cutanea è caratterizzata da cute secca e sottile, con verruche, ispessimenti irregolari
dello strato corneo (ipercheratosi), dilatazione dei capillari venosi (telangiectasie), alterazioni delle unghie
(onicopatia), stentata riparazione delle piccole ferite cutanee.
In una frazione dei casi dopo molti anni può comparire un tumore (epitelioma) nell'ambito delle suddette
alterazioni cutanee.
Sindromi da radiazioni
Qualora l'irradiazione acuta avvenga al corpo intero o a larga parte di esso (irradiazione acuta globale o
panirradiazione), viene a determinarsi, per dosi sufficientemente elevate, la cosiddetta sindrome acuta da
irradiazione che può portare a morte a causa di perdita cellulare in uno o più organi vitali del corpo.
Questa sindrome è caratterizzata da tre forme cliniche:
 ematologica (Sindrome del midollo osseo),
 gastro-intestinale (Sindrome gastrointestinale),
 neurologica (Sindrome del sistema nervoso centrale),
progressivamente ingravescenti che sopravvengono in funzione delle rispettive dosi-soglia.
Le tre sindromi si differenziano non solo per gli organi e i tessuti danneggiati e per le dosi richieste, ma
anche per l’intervallo di tempo che intercorre prima che la morte sopravvenga.
Sindrome acuta da irradiazione: forme cliniche ai vari livelli di dose assorbita (in Gy)
0.25 Sopravvivenza virtualmente certa
Forma ematologica
1
soglia della sindrome ematologica (ospedalizzazione)
1÷2
sopravvivenza probabile
2÷5
sopravvivenza possibile
5÷6
sopravvivenza virtualmente impossibile
Forma gastrointestinale 6÷7
soglia della sindrome gastrointestinale
Forma neurologica
soglia della sindrome neurologica
10
Nella prima fase della sindrome acuta da irradiazione, particolare attenzione va rivolta all'insorgenza di
sintomi, quali nausea e vomito: la brevità della latenza, l'intensità e la persistenza dei sintomi sono indicative
della gravità della prognosi. Il vomito dovuto ad irradiazione compare in genere tra i 20 minuti e le 3 ore dopo
l'esposizione. Qualora i sintomi dovessero insorgere oltre le prime 5-6 ore dall'esposizione è poco probabile
che siano di natura radiopatologica.
In fase precoce possono comparire anche arrossamento degli occhi (iperemia congiuntivale) per dosi di 1,5
Gy ed oltre, e arrossamento cutaneo (eritema cutaneo), spesso fugace, per dosi di 5 Gy ed oltre.
La diminuzione delle cellule linfocitarie nel sangue circolante (linfopenia) rappresenta un indicatore
particolarmente significativo della gravità dell'irradiazione.
16
Le sindromi sopradescritte conseguenti a panirradiazione in dose unica sono state studiate nei seguenti
gruppi di persone:




Vittime accidentali delle bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki (raggi  e pochi
neutroni; diversa distanza e diverse dosi).
Abitanti isole Marshall, 1954; fall-out da esplosione termonucleare.
incidenti in laboratori, ospedali, industrie.
Pazienti sottoposti a panirradiazione ( 10 Gy) per leucemie ed altre neoplsie (per sopprimere la
risposta immunitaria prima di trapianto renale).
Sindromi acute da radiazioni nell’uomo
Principali forme di sindrome acuta da radiazioni nell’uomo
Equivalente
di dose (rem)
100-200
200-1000
1000-5000
>5000
tessuto
ematopoietico
tessuto
ematopoietico
tratto
gastrointestinale
S.N.C.
leucopenia
moderata
leucopenia
grave
emorragia
infezione
diarrea, febbre
disturbi equil.
elettrol.
atassia,
sonnolenza,
convulsioni,
tremito
tempo di
manifestaz.
dei sintomi
3h
1-2h
30 minuti
30 minuti
incidenza di
morte
nessuna salvo
danni stocastici
< 80%
> 90%
> 90%
2 mesi
2 settimane
2 giorni
emorragia,
infezione
collasso
circolatorio
difficoltà
respiratoria,
edema
cerebrale
organo
interessato
sintomi
periodo entro
cui avviene la
morte
causa di
morte
17
Sindrome del midollo osseo
Poche ore dopo panirradiazione alla dose di 2-10 Gy si ha:
 alterazione architettura e struttura vascolare del midollo osseo;
 riduzione numero cellule nucleate (inibite nel loro processo di divisione o uccise alla mitosi);
 nelle cellule nucleate si osserva frammentazione del nucleo e picnosi (morte in interfase).
L’uccisione delle cellule staminali del midollo osseo del midollo osseo (che successivamente si differenziano
in granulociti, eritrociti e piastrine) si manifesta con una riduzione numerica dei differenti tipi cellulari
circolanti nel sangue.
Sintomi che precedono la morte:
 Anemia (assenza di globuli rossi per fuoriuscita dalle pareti dei capillari danneggiati).
 Emorragie (per riduzione nel sangue delle piastrine o piastrinopenia).
 Stato febbrile, infezione batterica (per riduzione nel sangue dei globuli bianchi neutrofili o
neutropenia).
Morte emopoietica in meno di 25 gg dalla panirradiazione.
Sindrome gastrointestinale
Con dose 10 – 100 Gy, si ha morte per lesioni a carico del sistema di cellule a rapido rinnovamento della
mucosa intestinale entro 3 – 5 gg
Danno all’epitelio dell’intestino tenue  infezioni.
Dall’irradiazione dell’intestino isolato si evince:
 danno provocato alla popolazione cellulare epiteliare delle cripte (cellule indifferenziate con
elevata attività mitotica),
 rigonfiamento, vacuolizzazione e picnosi (addensamento della cromatina) delle cellule epiteliali,
 necrosi cellulari,
 disepitelizzazione dei villi.
Dopo l’inibizione si ha un aumento delle mitosi dovuta a cellule non uccise dalle radiazioni.
La sindrome gastrointestinale è accompagnata dal danno alle cellule del midollo osseo.
Sintomi della sindrome G-I: dolore gastrointestinale, nausea, vomito, atonia ed inerzia, diarrea,
disidratazione, squilibrio elettrolitico, stato di astenia e prostrazione, febbre ed emorragie digestive.
Il danno a carico dell’epitelio intestinale e al sistema di rinnovamento del midollo osseo provoca:
 alterazione nell’assorbimento degli alimenti,
 perdita di liquidi ed elettroliti,
 infezioni.
Sindrome del sistema nervoso centrale
Il tempo medio di sopravvivenza varia con la dose, ma a 100 Gy e oltre la morte avviene entro pochi minuti.
Sintomi: irritabilità, iperattività, accessi di tipo epilettico, offuscamento della coscienza (obnubilamento del
sensorio), disorientamento, convulsioni, coma.
I sintomi sono legati a:
 Lesioni patologiche delle cellule nervose del cervello.
 Lesioni dei vasi sanguigni cerebrali.
Dovute a:



Variazione nell’equilibrio dei liquidi e degli elettroliti nel cervello (variazione permeabilità
radioindotte dei vasi sanguigni).
Modificazioni dei neuroni.
Danno al centro respiratorio cerebrale.
Lo stato iniziale di irrequietezza e irritabilità è seguito da: apatia, vomito, disorientamento, convulsioni, coma,
deficit respiratorio e morte.
18
Danni all’occhio
L’occhio è una struttura complessa formata da tessuti radiosensibili, come il cristallino, e radioresistenti
come il nervo ottico e la retina.
Le radiazioni posso indurre un’atrofia dell’apparato lacrimale: xeroftalmia grave, per 55-75 Gy in regime
frazionato, o xeroftalmia lieve per 35-45 Gy in regime frazionato.
I nervi ottici e la retina sono, inoltre, soggetti a neuropatia ottica e retinopatia grave per dosi 50-70 Gy in
regime frazionato.
Le opacità del cristallino dell'occhio indotte dalle radiazioni ionizzanti (6-7 Gy) rappresentano un tipico effetto
deterministico tardivo (la latenza è in genere di alcuni anni per dosi non elevate). L’intervallo di tempo tra
irradiazione e comparsa delle opacità varia da 6 mesi a 30 anni.
Merita precisare al riguardo che viene chiamata cataratta una qualsiasi opacità del cristallino sufficiente a
provocare una diminuzione della vista.
Danni al polmone
Il polmone è un organo radiosensibile e può essere irradiato mediante raggi X o  o internamente con
l’inalazione di particelle radioattive.
La panirradiazione può originare una radiopolmonite acuta che è seguita da morte entro pochi mesi per una
dose di 25 Gy.
Il danno è alle cellule epiteliali che rivestono le vie respiratorie e gli alveoli; infiammazione ed occlusione
delle vie respiratorie, dei vasi sanguigni, e infine fibrosi.
Danni alle gonadi
Ovaie
Dosi uniche di 1-2 Gy su entrambe le ovaie determinano sterilità temporanea e assenza di mestruazioni per
1-3 anni.
Dosi uniche di 4 Gy  sterilità permanente (uccisione oociti).
Cellule germinali del testicolo umano
Queste cellule si trovano in diversi stadi di evoluzione:
Spermatogoni A  Spermatogoni B  Spermatociti primari  Spermatidi  Spermatozoi
Gli spermatogoni sono le cellule più radiosensibili. Le cellule più mature sono più radioresistenti.
Irradiazione moderata  fertilità non immediatamente ridotta,
Distruzione spermatogoni A  sterilità definitiva.
Dose 0,1 Gy  anomala riduzione spermatozoi fino a 12 mesi.
Dose 2,5 Gy  sterilità per 2-3 anni.
Dose 4-6 Gy  sterilità definitiva.
Relazione dose-sopravvivenza
La relazione dose-sopravvivenza è spesso
descritta utilizzando come riferimento il valore
di dose che provoca il 50% di morti nella
popolazione irradiata entro 60 giorni, indicato
come LD50/60.
Nella figura a lato è riportata la LD50/60 per vari
frazionamenti.
La LD50/60 per adulti sani è compresa tra 3 e 5
Gy; secondo il modello LASL è pari a 3.45 Gy
per singolo frazionamento e 9 Gy per dosi
somministrate nell’arco di un anno.
Mortalità (LD50/60) per irradiazione totale
in relazione alla durata dell'esposizione
19
Effetti stocastici
I danni somatici stocastici comprendono le leucemie e i tumori solidi. In questa patologia soltanto la
probabilità d'accadimento, e non la gravità, è in funzione della dose ed è cautelativamente esclusa
l'esistenza di una dose-soglia. Danni di questo tipo hanno in particolare le seguenti caratteristiche:

non richiedono il superamento di un valore-soglia di dose per la loro comparsa (ipotesi cautelativa
ammessa per gli scopi preventivi della radioprotezione);

sono a carattere probabilistico;

sono distribuiti casualmente nella popolazione esposta;

sono dimostrati dalla sperimentazione radiobiologica e dall'evidenza epidemiologica (associazione
causale statistica);

la frequenza di comparsa è maggiore se le dosi sono elevate;

si manifestano dopo anni, talora decenni, dall'irradiazione;

non mostrano gradualità di manifestazione con la dose ricevuta, quale che sia la dose;

sono indistinguibili dai tumori indotti da altri cancerogeni.
Effetti stocastici: carcinogenesi
In caso di basse dosi il meccanismo della morte cellulare non riveste importanza in quanto le cellule distrutte
possono facilmente essere rimpiazzate senza che questo comporti alcun danno evidente sull’uomo.
Il meccanismo che può provocare seri problemi di carattere sanitario è la mutazione cellulare ossia la
carcinogenesi che deriva dalla modificazione molecolare di determinati siti del DNA.
Il meccanismo di induzione di tumori è un meccanismo del tutto casuale.
E’, infatti, necessario che una radiazione, attraversando un tessuto interagisca con esso, che l’interazione
provochi un danno sul DNA, che tale danno non sia riparato, che la conseguenza del danno non sia la morte
cellulare ma bensì la mutazione neoplastica, che la cellula mutata non sia distrutta dai meccanismi di
difesa del corpo umano ed infine che la cellula si sviluppi in un tumore clinicamente evidente.
Considerando che ogni passaggio ha una sua piccola probabilità d'avvenire, è possibile evidenziare che
l’induzione di un tumore da radiazioni è un fenomeno del tutto casuale e quindi, per basse dosi non si potrà
parlare di danno ma di probabilità di danno.
Un tumore radioindotto generalmente si manifesta dopo molti anni dall’esposizione alle radiazioni; questo
fatto e la piccola probabilità della carcinogenesi, a basse dosi, fanno si che non sia possibile correlare
direttamente l’insorgenza di un tumore all’esposizione alle radiazioni ionizzanti. Correlazioni sicure possono
essere eseguite solo su base statistica in caso di un elevato numero di persone irradiate.
Per la natura probabilistica del fenomeno non esiste soglia all'induzione di tumori ossia una dose di
radiazioni, per quanto piccola, ha una probabilità, di produrre un evento di carcinogenesi.
Relazioni dose-risposta, nel senso di trasformazione di cellule di mammifero in cellule neoplastiche, sono
state trovate in vitro per vari tipi di cellule ed in diverse modalità di esposizione: radiazioni a basso od alto
LET, dosi singole o frazionate, basse od alte intensità di dose (vedi figura seguente).
20
Esempi di relazioni dose-risposta, nel senso di trasformazione, di cellule di mammifero in cellule neoplastiche.
Gli studi sull’uomo scaturiscono dall’osservazione di particolari gruppi esposti alle radiazioni quali i
sopravvissuti ai bombardamenti atomici in giappone, minatori di miniere di uranio, verniciatori di quadranti
luminosi per orologi, pazienti trattati con radioterapia. Attualmente è in corso uno studio relativo alle persone
irradiate dopo l’incidente della centrale nucleare di Chernobyl.
In questi studi spesso è molto difficile calcolare la dose assorbita dalle varie persone, oppure il contributo
delle diverse radiazioni, ad alto e basso LET, infine in molti casi l'irradiazione riguarda soltanto particolari
organi o tessuti e quindi si possono ricavare soltanto stime parziali.
Tutti i dati raccolti vengono comunque rivalutati in continuazione, alla luce delle nuove conoscenze, e questo
porta all'aggiornamento continuo dei fattori di rischio. Questo tipo di rivalutazione ha portato alla diminuizione
dei limiti di dose della nuova normativa (DL 230/95) rispetto alla vecchia (DPR 185/64).
21
Effetti stocastici: danno genetico
Vi sono due tipi di danno genetico da radiazioni: le mutazioni geniche (o puntiformi) e le mutazioni (o
aberrazioni) cromosomiche.
Le mutazioni geniche sono variazioni delle unità elementari dell’ereditarietà mentre le aberrazioni
cromosomiche sono variazioni nella struttura o nel numero di cromosomi.
Il codice genetico è memorizzato nel DNA sotto forma di sequenze specifiche dei quattro nucleotidi che
compongono la molecola. Ogni gene codifica una determinata proteina.
Al momento della divisione cellulare i cromosomi si separano in modo che ogni cellula figlia riceve la
medesima informazione genetica presente nella cellula madre.
Le mutazioni geniche possono aumentare, ridurre od alterare la manifestazione di un gene; risultano
invisibili all’analisi, la maggior parte sono dannose; solo un'esigua percentuale di tutte le mutazioni risulta
essere positiva per la popolazione.
L’organismo portatore di un gene sfavorevole può morire prima di arrivare a riprodursi; in questo caso, il
gene mutato sarà immediatamente eliminato. La selezione naturale tende definitivamente a sottrarre
all'ambiente i geni mutati.
Le mutazioni che avvengono spontaneamente o naturalmente sono il primo passo dei processi evolutivi.
Le cause possibili non sono conosciute, però è noto che agenti chimici, raggi UV, radiazioni ionizzanti,
aumento della temperatura, possono aumentare il tasso di mutazioni in piante ed animali.
Durante i milioni di anni dell’evoluzione i meccanismi biologici degli organismi sono diventati talmente
complessi e adattati alle loro funzioni che in genere le mutazioni sono dannose.
La maggior parte delle mutazioni vantaggiose ha già subito l’effetto della selezione.
E’ molto più facile danneggiare un sistema complesso che aumentarne l’efficienza!
La tabella seguente fornisce un’idea dell’incidenza spontanea delle malattie genetiche nell’uomo, è stata
formulata nel 1977 dal Comitato Scientifico delle Nazioni Unite sugli effetti delle Radiazioni Atomiche
(UNSCEAR).
Incidenza naturale delle malattie genetiche nell’uomo per 106 nati vivi
Le mutazioni geniche possono essere dominanti o recessive; le mutazioni dominanti si manifestano nella
generazione immediatamente successiva mentre una mutazione recessiva si manifesta soltanto nella prole
che ha avuto la medesima mutazione da entrambi i genitori e quindi può evidenziarsi anche dopo alcune
generazioni successive.
Le mutazioni cromosomiche sono visibili con tecniche citogenetiche; questo tipo di modificazioni sono
importanti non tanto nelle cellule somatiche del corpo quanto in quelle germinali.
22
Una mutazione di una cella somatica può provocare la morte di quella cellula ma poiché vi sono milioni di
cellule in un organo, la compromissione di un piccolo numero di esse non provoca alcun danno effettivo.
Naturalmente una mutazione somatica può trasformare una cellula in cellula neoplastica.
Invece, nel caso in cui le mutazioni avvengano nelle cellule germinali o negli zigoti, esiste un’altissima
probabilità di provocare la morte della prole o comunque gravi difetti su di essa.
Aberrazioni cromosomiche sono provocate da interscambi nello stesso cromosoma o fra cromosomi diversi,
o rotture (delezioni).
Interi pezzi di cromosomi vengono casualmente eliminati o si fondono con altri già presenti. I geni si vengono
così a trovare in una posizione diversa da quella originale. Dato che la regolazione dell’attività di un gene
dipende, in parte, dalla sua localizzazione nel genoma, le mutazioni cromosomiche hanno, generalmente,
effetti estremamente drammatici; fortunatamente sono piuttosto rare.
Le mutazioni cromosomiche si possono suddividere in:

Delezioni e duplicazioni: portano alla perdita durante la meiosi di piccoli segmenti. Questi però si
inseriscono nel cromosoma omologo che viene quindi a possedere un tratto del DNA duplicato. Dei
due cromosomi omologhi, uno perde geni, mentre l’altro ne acquista una quantità maggiore.

Inversioni: sono dovute a pezzi di cromosoma che si staccano e si inseriscono però in posizione
capovolta.

Traslocazioni: scambio di materiale cromosomico tra due cromosomi non omologhi.

Euploidie: sono piuttosto dannose e si verificano quando ad un organismo diploide (2n) viene a
mancare, oppure viene aggiunto, un particolare cromosoma (es. Trisomia 21 o sindrome di Down).

Poliploidie: compaiono quando si aggiungono uno o più corredi interi di cromosomi. In questo modo
un individuo si trova a possedere, all'interno dei nuclei delle sue cellule un corredo cromosomico
triplo (3n) o quadruplo (4n).
23
Mutazioni nei cromosomi del sesso (terzo tipo)
Il sesso è determinato da un singolo paio di cromosomi.
Nei mammiferi la femmina ha due cromosomi uguali (XX), il maschio disuguali (XY).
Nelle cellule germinali gli ovociti possiedono un cromosoma X, gli spermatozoi al 50% il cromosoma X e
quello Y.
In seguito alla fertilizzazione se lo zigote è XY, si svilupperà un maschio, se è XX una femmina.
Il cromosoma Y trasporta scarse informazioni genetiche, ma quasi tutti i suoi geni si comportano in modo
dominante.
Le mutazioni che avvengono nel cromosoma X finiscono per ave un effetto dominante nel maschio XY.
Una mutazione recessiva che avvenga nel cromosoma X deve essere presente in entrambi i cromosomi del
sesso per palesare i suoi effetti nella femmina XY.
Come le mutazioni dominanti e recessive, anche le mutazioni legate al cromosoma del sesso possono
essere letali o provocare un gran numero di modificazioni nella struttura e nelle funzioni di tessuti ed organi.
Malattie ed anomalie cromosomiche
Malattie legate al cromosoma Y:
emofilia, distrofia muscolare, ipogammaglobulinemia, daltonismo.
Malattie a carattere recessivo:
fibrosi cistica, albinismo, sordità, malattie metaboliche in genere.
Malattie legate ad alterazioni cromosomiche:
sindrome di Down (mongolismo, trisomia per il cromosoma 21, meno frequenti sindromi di Klinefelter (XXY)
e di Turner (XO).
Difetti (malformazioni congenite):
spina bifida, idrocefalia, cataratta, strabismo, difetti cardiaci, lussazione congenita dell’anca.
Malattie multifattoriali:
diabete, ritardo mentale, epilessia, schizofrenia, miopia.
Nota: il 66% di embrioni, abortiti spontaneamente con arresto dello sviluppo dopo l’ottava settimana,
presenta anomalie cromosomiche.
Relazione tra entità della dose e numero di aberrazioni
Esperimenti su animali e dati su pazienti hanno dimostrato che il numero di aberrazioni prodotte da
radiazioni a basso LET si adattano alla funzione matematica Y = D + D2, in cui D è la dose somministrata
e  e  sono costanti.
Alla base c’è l’ipotesi che alcune
aberrazioni siano il risultato del passaggio
di un singolo evento ionizzante, per cui il
risultato è proporzionale alla dose (D),
mentre altre aberrazioni si producono per
due eventi separati, quando il risultato è
proporzionale al quadrato della dose (D2).
Le due lesioni richieste per formare le
aberrazioni
più
complesse
possono
originare da uno o due eventi ionizzanti e la
forma della curva dose/risposta dipende
dall’intensità della dose e dal LET.
Questo tipo di andamento sembra
convalidare la supposizione che le principali
cause di danno siano le doppie rotture,
infatti ad alto LET ogni evento provoca un
danno importante mentre i danni provocati
dalle radiazioni a basso LET hanno bisogno
di alte dosi (maggior probabilità di doppia
rottura) per essere efficaci.
A) Aberrazioni da rottura unica; B) Aberrazioni a due rotture
24
Effetti stocastici: effetti sull'embrione e sul feto
Schematicamente è possibile dividere il periodo del concepimento in 3 parti: preimpianto, organogenesi e
sviluppo fetale.
La fase di preimpianto è il periodo tra il concepimento ed il momento in cui l’embrione si impianta nella
parete dell’utero. Nell’uomo è di circa 6 giorni.
Nella fase di preimpianto il principale rischio è quello della morte prima della nascita, se l’embrione non
muore probabilmente si svilupperà normalmente.
L’organogenesi è il periodo della differenziazione degli organi e dei tessuti e va dal 9° al 60° giorno dopo in
concepimento.
Nell’organogenesi l’embrione può morire od andare incontro a malformazioni pre e post-natali, le più
frequenti sono: il blocco della crescita, la microcefalia ed il ritardo mentale.
E’ questa la fase di maggior sensibilità.
Lo sviluppo fetale è il periodo in cui si accrescono gli organi ed i tessuti e va dal 60° giorno sino al
concepimento.
Nello sviluppo fetale la sensibilità all’irradiazione diminuisce per tutti gli effetti.
In sintesi non esiste uno stadio della gravidanza dove una dose di 0.5 Gy non sia accompagnata ad una
sensibile probabilità di provocare la morte dell’ embrione od indurre alterazioni.
In generale si può affermare che la fase di preimpianto è quella che dà meno luogo a danni conclamati in
quanto, oltre ad essere meno sensibile della fase di organogenesi, l’eventuale danno si manifesta quasi
esclusivamente con la morte dell’ embrione.
Oltre ai danni immediati, sul bambino irradiato nella fase prenatale, si possono manifestare danni tardivi
come leucemie o tumori.
Studi effettuati in Inghilterra e negli Stati Uniti hanno dimostrato il rischio di induzione di tali malattie,
prevalentemente entro i primi dieci anni di vita, anche per basse dosi, dell’ ordine dei 10 mGy od anche
minori.
Il DL n. 230/95 non consente impiego diagnostico delle radiazioni con esposizione dell’embrione o del feto,
salvo situazioni d’urgenza, nelle donne in stato di gravidanza, ed in tal caso deve essere fatta una
valutazione dosimetrica preventiva da parte del fisico specialista.
In generale è opportuno che esami all’addome in donne in età fertile, non in gravidanza accertata, siano
effettuati entro la prima settimana dall’ultima mestruazione.
Infatti, se la donna è in gravidanza senza ancora saperlo, l’irradiazione dell’embrione avverrebbe comunque
nella fase di pre-impianto e non in quella di organogenesi.
25
Accorciamento della durata della vita
È dimostrato da esperimenti su animali che le radiazioni possono determinare una riduzione della durata
della vita.
Le radiazioni provocano una più precoce comparsa di tutte le cause di morte che si ritrovano in una
popolazione di animali normalmente invecchiati.
Curva di sopravvivenza di popolazioni di topi di 4 settimane non sottoposti ad irradiazione (A), irradiati con 0,47 Gy (B), 1,98 Gy (C)
Osservazioni su radiologi statunitensi e sulle vittime giapponesi delle bombe atomiche (aumento del 15%),
provano che l'accorciamento radioindotto della durata della vita si verifica anche per l'uomo.
Non esiste una dose soglia per l'effetto d'accorciamento della vita, quindi anche piccole dosi di radiazioni
possono causare un accorciamento della vita.
Basse intensità di radiazioni e dosi frazionate sono, generalmente, meno efficaci nel provocare
invecchiamento, rispetto ad alte intensità ed in somministrazione unica.
Radiazioni ad elevato LET, come i neutroni, sono circa 2,5 volte più efficaci delle radiazioni X e  di basso
LET.
Non essendo chiaro ancora il meccanismo dell'invecchiamento naturale, pertanto, risulta difficile spiegare
l'accorciamento radioindotto della durata della vita.
L'invecchiamento presuppone un accumulo di lesioni biochimiche, fisiologiche, anatomiche nel corso
dell'esistenza; esistono tre ipotesi:



a livello biochimico, si pensa che i radicali liberi danneggino altre molecole biologiche provocando
invecchiamento;
a livello fisiologico, si suppone che l'invecchiamento sia dovuto a creazione di ponti chimici tra
molecole;
a livello anatomico, si pensa che meccanismi di duplicazione difettosa del DNA producano un sempre
minore esattezza della sintesi proteica, tale da alterare la funzionalità delle cellule componenti con il
risultato finale di deteriorare organi e tessuti.
Le radiazioni creano radicali liberi, possono indurre formazione di legami chimici, causano mutazioni nel
DNA, pertanto possono amplificare i tre effetti postulati.
Invecchiamento:
graduale perdita della capacità funzionale implicante un'aumentata suscettibilità per le malattie.
26
APPENDICE 1:
Grandezze fisiche ed unità di misura in radioprotezione
Grandezze radiometriche
Sorgenti radioattive
Generatori di raggi X
ATTIVITÀ’: numero di trasformazioni nucleari spontanee nell'unità di
tempo
A
dN
dt

Differenza di potenziale
applicata al tubo (kV)

Intensità di corrente
passante nel tubo (A)
Unità di misura attuale: Becquerel 1Bq = 1 s-1
Unità di misura precedente: Curie
(1 Ci = 3,7·10-10 Bq)
Grandezze di campo
FLUENZA: numero di particelle per unità di superficie

dN
si misura in m-2
dS
I
d
si misura in m-2 s-1
dt
INTENSITA' o RATEO di FLUENZA
(densità di flusso di particelle)
Grandezze caratteristiche dell'interazione radiazione materia
Particelle indirettamente ionizzanti
Particelle direttamente ionizzanti
COEFFICIENTE DI ATTENUAZIONE MASSICO
POTERE FRENANTE MASSICO

1 dN

 N dl
si misura in m2/kg
S


1 dE
si misura in MeV / cm2 g-1
 dl
COEFFICIENTE DI ATTENUAZIONE LINEARE
POTERE FRENANTE LINEARE
1 dN

si misura in m-1
N dl
S
I due coefficienti sono dati dalla somma dei
coefficienti di attenuazione per effetto Fotoelettrico,
Compton, per creazione di coppie.
Legge di attenuazione:
dE
si misura in MeV / cm
dl
TRASFERIMENTO LINEARE DI ENERGIA (potere
frenante per collisione ristretto) LET
N  N 0 e  l
 dE 
LET    si misura in MeV / cm
 dl  
27
Grandezze dosimetriche
Denominazione
ESPOSIZIONE (X)
Definizione
Unità di misura
attuale
Unità di misura
precedente
C/kg
Roentgen (R)
gray (Gy)
rad
sievert (Sv)
rem
sievert (Sv)
rem
Carica elettrica di un solo segno
degli ioni prodotti in 1 kg di aria
da un fascio di fotoni
dQ
x
dm
DOSE ASSORBITA (D)
Energia ceduta dalla radiazione
ad 1 kg di materia
D
DOSE EQUIVALENTE (H)
dE
dm
Prodotto fra dose assorbita e
fattore qualità Q (o fattore di
ponderazione
w R)
della
radiazione sommato su tutti i tipi
di radiazioni presenti nel fascio
incidente
H = D x Q (H =  DR x wR)
DOSE EFFICACE (E)
Prodotto fra dose equivalente e
fattore di ponderazione del
tessuto wT sommato su tutti i tipi
di tessuti irradiati
E =  HT x wT
Formule di conversione
1 R = 2.58·10-4 C/kg
1 Gy = 100 rad
1 Sv = 100 rem
Fattore di qualità (Q)
Fattori di peso per tessuti (w T)
28
Gonadi
0,25
Midollo osseo
0,12
Polmone
0,12
Mammella
0,15
Tiroide
0,03
Ossa
0,03
Rimanenti organi e tessuti
0,30
APPENDICE 2:
I Tumori
Per tumore, s’intende uno sviluppo anomalo delle cellule che, nell’andamento maligno, tendono a
moltiplicarsi in modo incontrollato ed a diffondersi per tutto l’organismo, andando così ad interferire con le
sue normali funzioni. Queste cellule non obbediscono più agli stimoli della crescita, fino a causare il decesso
dell'organismo che le ha generate.
Il tumore o neoplasia, che significa appunto formazione di un nuovo tessuto, è dovuto ad una cellula
somatica che non è più in grado di riprodursi correttamente. Una caratteristica delle neoplasie è proprio la
loro crescita progressiva illimitata, senza un apparente piano morfologico.
Le conseguenze di questo comportamento sono la distruzione dei tessuti circostanti la neoplasia e la
tendenza delle cellule neoplastiche ad invadere il circolo sanguigno e linfatico, attraverso i quali le stesse
vengono trasportate in tessuti lontani da quello d’origine.
Si formano, allora, delle colonizzazioni estranee ai tessuti invasi, che prendono il nome di metastasi, in
grado di originare, nella nuova sede, un’altra neoformazione, generalmente simile per struttura alla
neoplasia d’origine.
Nella sua espansione, la massa tumorale non si limita
a comprimere i tessuti circostanti, ma li distrugge
sostituendosi ad essi.
Il nucleo delle cellule cancerose appare ingrossato e i
processi di divisione cellulare appaiono, spesso,
abbondanti per il forte accrescimento. La cellula
neoplastica può perdere le caratteristiche originarie,
oppure mantenerle in modo imperfetto e incompleto, o
ancora, acquisire attività del tutto anomale.
Il tumore, se individuato precocemente, può essere
curato con la chemioterapia, rimosso chirurgicamente
o distrutto attraverso la radioterapia; se, al contrario ha
già iniziato a diffondersi attraverso il sistema linfatico o
attraverso la circolazione sanguigna, il decorso è
spesso negativo.
Sono stati identificati parecchi geni, che attraverso un
processo di mutazione, possono causare il cancro.
Questi sono stati denominati oncogeni. Essi non
hanno la funzione di causare tumori ma, al contrario,
riescono a controllare la divisione cellulare e la
proliferazione delle cellule stesse. Quest'ultima è
regolata in ogni tipo di cellula da ormoni specifici,
chiamati fattori di crescita. Gli oncogeni sono geni che
servono per costruire questi ormoni o i recettori di
questi. Tali recettori sono situati sulla superficie della
cellula e mettono in grado le cellule di percepire
correttamente lo stimolo.
La mutazione degli oncogeni può far sviluppare un eccesso di fattore di crescita e quindi, scatenare una
crescita incontrollata. Le mutazioni dei recettori, invece, possono causare errori nella ricezione dello stimolo
provocato dal fattore di crescita.
In molti casi, la ricerca non e’ ancora riuscita a individuare le cause che spingono improvvisamente le cellule
ad iniziare a riprodursi in modo incontrollato dando origine al tumore.
Le cellule tumorali sono geneticamente instabili e quindi molto plastiche al punto che piccole mutazioni nel
Dna portano alla comparsa e alla proliferazione di sempre nuove varianti cellulari. Ma i tumori hanno anche
un'altra caratteristica che permette loro di proliferare così velocemente: dipendono strettamente dalla
formazione di nuovi vasi sanguigni e nuovi capillari costruiti ex -novo utilizzando le riserve del malato.
29
Attraverso la rete di capillari, i tumori si riforniscono dei nutrienti e dei fattori necessari alla loro crescita
dirompente.
30