Tratto: 25 dalla foce del torrente Tesino al porto di San Benedetto del Tronto Vista del litorale a Sud della foce del torrente Tesino Vista dalla foce del torrente Tesino del litorale a Nord del porto di San Benedetto del Tronto D.91 Tratto: 26 porto di San Benedetto del Tronto D.92 SCHEDA n.26 – porto di San Benedetto del Tronto Tratto: Comuni interessati: San Benedetto del Tronto (1,00 km) Lunghezza del tratto di costa: 26 1,00 km Bacini principali di apporto solido alla spiaggia: in questo tratto non si considera l’apporto solido Caratteristiche sedimentologiche spiaggia emersa: non campionato: 100 % Principali opere esistenti: • opere portuali: 1,00 km Litorale interessato da opere costiere: stato attuale: 1,00 km (100%) (100%) Sintesi storica: La necessità di fornire un rifugio artificiale all’originario approdo sulla spiaggia della numerosa flotta peschereccia sambenedettese nasce nel 1907 con la realizzazione del primo tratto di 200m dell’attuale molo Nord ortogonale alla riva. Il suo prolungamento di 90m nel 1913-17 fu curvato verso SudEst nel tentativo di migliorare la protezione ai mari settentrionali. Intorno al 1920, per contrastare l’intenso insabbiamento che il molo aggettante determinava nel lato meridionale, venne realizzato un piccolo pennello sulla sponda sinistra del torrente Ambula, circa 1000m più a Sud. Esso costituisce la radice dell’attuale molo Sud. L’inefficacia del provvedimento fece cambiare il progetto iniziale del porto invertendo la funzione sopraflutto-sottoflutto dei due moli previsti. Essi furono allora prolungati in diverse riprese: il molo Nord nel 1926, nel 1928, nel 1931 e nel 1932 (l’ampliamento del banchinamento interno fu completato negli anni ’80), il molo Sud nel 1926-27, nel 1935-36, nel 1950-53, nel 1956-57 e nel 1989-90 (il molo a martello fu realizzato nel 1992). La riva rimase a lungo una spiaggia. Il tratto più settentrionale di 150m fu banchinato nel 1938, nel 196264 si realizzò lo scalo d’alaggio, negli anni ’70 e ’80 si costruì la banchina nella parte centrale ed il molo per il diporto, negli anni ’90 fu banchinata la parte meridionale del bacino e del molo Sud. Pendenza del fondale fino alla profondità di 3m: Presenza di barre: Ampiezza zona dei frangenti: Le percentuali sono riferite alla lunghezza del tratto di costa. D.93 Tratto: 26 porto di San Benedetto del Tronto Il porto di San Benedetto del Tronto Vista del porto di San Benedetto del Tronto da Sud D.94 Tratto: 27 dal porto di San Benedetto del Tronto alla foce del fiume Tronto D.95 SCHEDA n.27 – dal porto di San Benedetto del Tronto alla foce del fiume Tronto Tratto: Comuni interessati: San Benedetto del Tronto (6,75 km) Lunghezza del tratto di costa: 27 6,75 km Bacini principali di apporto solido alla spiaggia: fiume Tronto Caratteristiche sedimentologiche spiaggia emersa: 33 % sabbia: 23 % sabbia ghiaiosa: 33 % ghiaia sabbiosa: 11 % ghiaia: Principali opere esistenti: • scogliere emerse: • scogliere sommerse: • pennelli: 3,63 km 1,00 km n° 2 Litorale interessato da opere costiere: stato attuale: 4,63 km (69%) (54%) (15%) Sintesi storica: Il tratto in questione ha potuto beneficiare della presenza sopraflutto della foce del fiume Tronto e dall’ultimo secolo, relativamente alla sola parte settentrionale, dell’aggetto sottoflutto delle strutture del porto sanbenedettese. Arretramenti si riscontrarono a partire dall’inizio del ‘900, per il vistoso smantellamento del delta di foce del fiume. Essi si acuirono particolarmente dopo la realizzazione nel 1933, sulla sponda destra alla foce del Tronto, del pennello fortemente aggettante prolungato nel 1965. Le prime opere difensive furono scogliere foranee emerse posate nel 1962-63 di fronte all’abitato di Porto d’Ascoli. Ciò determinò progressivamente lo spostamento dell’erosione sottoflutto con la realizzazione di ulteriori scogliere sempre più a Nord, assieme a sporadici tratti di difese radenti. Con la batteria di scogliere emerse si arrivò fino ad un chilometro dal porto nel 1979-80. Nel 1982 il tratto rimasto fino alla foce del torrente Albula fu difeso da una lunga batteria di barriere foranee sommerse. Le prime due scogliere di Porto d’Ascoli, più vecchie e ravvicinate alla riva, sono state sostituite da altri due setti più lunghi verso Sud, posti più al largo ed in miglior allineamento con la restante batteria. A Sud di Porto d’Ascoli si trovano anche un tratto di scogliera radente del 1995, i resti di un piccolo canale di bonifica degli anni ’50-’60 ed un pennello del 1979-81 vicino alla foce del Tronto. Pendenza del fondale fino alla profondità di 3m: Presenza di barre: Ampiezza zona dei frangenti: Le percentuali sono riferite alla lunghezza del tratto di costa. D.96 Tratto: 27 dal porto di San Benedetto del Tronto alla foce del fiume Tronto Vista della spiaggia di San Benedetto del Tronto a Sud del porto Vista del litorale di Porto d’Ascoli da Nord D.97 3) CARATTERISTICHE GENERALI DEL LITORALE MARCHIGIANO Il litorale marchigiano si sviluppa, fra le foci dei fiumi Tavollo a Nord e Tronto a Sud, per circa 172 km ed è diviso circa a metà dal promontorio del monte Conero. Escludendo i tratti di costa alta e rocciosa (della lunghezza complessiva di circa 33 km) e quelli occupati dalle infrastrutture fisse portuali (quasi 9 km, di cui quasi 3 km su costa alta), rimangono circa 133 km, pari ad oltre il 77% del totale, di spiaggia o costa bassa (vedi la Figura 1). Figura 1 – Corografia del territorio marchigiano, porti esterni e principali tratti di costa alta D.98 La parte settentrionale, da Gabicce ad Ancona (considerata fino alla punta di San Clemente che rappresenta il limite delle propaggini estreme settentrionali del promontorio del monte Conero), è orientata lungo la direzione NordOvest-SudEst (esposta ai 40°N) ed è lunga circa 78 km (45% del totale), di cui 65 km sono a costa bassa e 61 km sono quelli relativi a spiagge basse libere da porti. Il tratto di costa meridionale, da Ancona a San Benedetto del Tronto, è orientato secondo la direzione NordNordOvest-SudSudEst (esposta ai 70°N) ed è lungo quasi 94 km, di cui 74 km sono a costa bassa e 72 km sono quelli relativi a spiagge libere da porti. Nelle indagini effettuate da Dal Cin e Simeoni nel 1987 e 1993 sui 133 km di costa bassa (libera da porti) della regione le spiagge erano per il 30% sabbiose, per il 53% ghiaiose e per il 17% miste. L’indagine sedimentologica, effettuata con il presente studio, su campioni prelevati nell’estate 1999 sulla spiaggia emersa alla quota +1m sul l.m.m. ha fornito i seguenti risultati: le spiagge di sabbia sono risultate il 44% di quelle campionate, quelle di ghiaia il 43% e le spiagge miste (e/o con sedimenti fini) il 13%. Il confronto dimostra l’aumento delle spiagge sabbiose e la diminuzione di quelle ghiaiose, specie nella parte meridionale, che può essere legato, oltre che a diversi riferimenti nei rilievi e nell’analisi dei campioni, al progressivo aumento della presenza delle opere costiere di difesa foranee che hanno agevolato il deposito dei sedimenti più fini sulla spiaggia a tergo ed anche al progressivo impoverimento generale di dimensione granulometrica del sedimento presente sui litorali. Le infrastrutture portuali presenti lungo l’intero litorale regionale sono da Nord a Sud: il porto canale di Cattolica-Gabicce al confine settentrionale, il piccolo rifugio di Vallugola, i porti canale di Pesaro, Fano e Senigallia, il porto storico di Ancona, fiancheggiato dalle darsene turistiche e dal bacino dei cantieri navali, il bacino esterno di Numana, il piccolo bacino interno “5 vele” tra Porto Recanati e Porto Potenza Picena, ed infine i bacini esterni di Civitanova Marche, Porto San Giorgio e San Benedetto del Tronto. Il tratto costiero della regione interessato dalla presenza delle strutture portuali (quasi 9 km) è oltre il 5% dello sviluppo totale. In generale le coste alte, poco più del 19% del totale, vengono considerate quelle che si trovano tra Gabicce e Pesaro (il promontorio del colle San Bartolo, dalla punta Gabicce all’estremità Nord della baia Flaminia, lungo circa 11 km) e tra Ancona e Numana (il promontorio del monte Conero, dalla sporgenza della punta di Santa Lucia nel porto di Ancona al vecchio molo del porto di Numana, lungo circa 22 km). La costa potrebbe essere considerata alta anche tra Pesaro e Fano (in corrispondenza delle alture del colle Ardizio, per circa 5,5 km) ed in diversi brevi tratti compresi tra Altidona e Grottammare (per complessivi 5,8 km dovuti ad una sequenza di colline litoranee). Questi ultimi tratti di costa pesaro- D.99 fanese e picena, mentre originariamente potevano trovarsi nelle condizioni naturali di falesie collinari a strapiombo sul mare, attualmente si presentano nella condizione di “falesie morte”: i franamenti successivi avvenuti dalle pareti frontali hanno allontanato il piede dall’azione del mare. Tra l’altro la piattaforma al piede è stata opportunamente adeguata anche con opere di protezione per essere utilizzata quale imbasamento di infrastrutture civili e/o viarie litoranee (sia stradali che ferroviarie). I tratti pesaro-fanesi e piceni di costa, originariamente alta ma ormai consolidati artificialmente nella condizione rigida e stabile di falesie morte, ai fini del presente studio vengono considerati quindi fra le coste basse. Le coste considerate alte, rocciose o dirupate sul mare, sono caratterizzate di regola dalla mancanza quasi completa di una spiaggia che si estenda con continuità lungo il suo margine marino. Tuttavia ai piedi delle falesie, in piccole insenature o baie, esistono numerose cimose ghiaiose e ciottolose, con sporadici massi di considerevoli dimensioni, che danno luogo a piccole spiagge confinate dette pocket beaches (letteralmente “a tasca”). Frane e sgretolamenti delle pareti rocciose delle rupi costituiscono la fonte di apporto di tali piccole spiagge ghiaiose. Talune di esse sono attualmente protette con opere di difesa dall’azione del moto ondoso. Talvolta strutture protettive sono poste anche al piede delle falesie per difenderle dall’azione del moto ondoso che incidendo vi produce agevolmente un solco d’erosione. Tra le opere costiere sono state considerate anche quelle costruzioni di diversa natura (gettate di cemento o strutture murate) presenti sulle parti emerse specialmente dei tratti di costa alta anconetana, organizzate nelle numerose serie di grotte artificiali a mare. Si tratta dunque complessivamente di quasi 10 km di opere litoranee presenti (sui 33 km considerati di costa alta) oltre ai già citati 3 km occupati dalle strutture portuali ivi esistenti. La costa marchigiana è, come detto, costituita prevalentemente (per l’81%, 139 km) da spiagge basse sabbiose e/o ghiaiose, la maggior parte delle quali ha subito arretramenti ed è attualmente occupata da opere costiere (vi risultano presenti circa 6 km di strutture portuali e circa 90 km di difese litoranee). Buona parte delle spiagge basse ancora non protette è comunque soggetta ad arretramento. Le poche parti senza problemi riguardano tratti posti generalmente a Sud di porti o barriere litoranee, oppure a Nord di foci fluviali con trasporto solido al mare ancora rilevante. La costa bassa marchigiana è infatti costituita da lunghe distese litoranee di spiaggia, con un andamento pressoché rettilineo o a leggera falcatura, intervallate dalle foci di numerosi corsi d’acqua, che scorrono, a partire dagli Appennini, in vallate disposte a pettine pressoché perpendicoli ad essa. Sono fiumi a carattere torrentizio, con portate quasi nulle nel periodo estivo e portate di piena improvvise e di breve durata. Tutto attorno alle foci fluviali si sono sviluppate naturalmente le spiagge, che sono più o meno D.100 ampie ed estese in relazione agli apporti solidi al mare dei corsi d’acqua limitrofi. Ugualmente in stretta relazione con le quantità solide trasportate al mare anche gli stessi delta di foce fluviali si presentano più o meno aggettanti e pronunciati rispetto all’andamento pressoché rettiforme della linea di costa. Per il loro carattere torrentizio ed il breve percorso fino al mare (il più lungo è il Tronto, 115 km), i principali fiumi marchigiani trasportano notevoli quantità di materiale grossolano, con alte percentuali di ghiaie. Nel corso dell’ultimo secolo le opere artificiali realizzate nei bacini fluviali hanno alterato anche fortemente questo regime di trasporto. La distribuzione granulometrica dei sedimenti superficiali della spiaggia emersa e sommersa avviene in modo pressoché uniforme per fasce parallele alla linea di riva soprattutto lungo le coste basse. Le sabbie sono presenti lungo il litorale (sabbie attuali), ma affiorano occasionalmente anche al largo, sulla piattaforma continentale fino al ciglio della Depressione Mesoadriatica (sabbie relitte). I profili trasversali delle spiagge sabbiose presentano una pendenza molto debole e generalmente le barre sommerse emergenti dal fondale. Queste sono parallele alla linea di riva, anche per lunghezze notevoli e sono organizzate in uno, due o tre ordini, il cui numero può ritenersi proporzionale al grado di stabilità della spiaggia stessa. Le ghiaie si ritrovano soprattutto in prossimità delle foci fluviali dei corsi d’acqua principali, mentre sui tratti intermedi interfociali prevalgono le sabbie. Il diametro medio delle ghiaie di spiaggia è molto variabile e diminuisce a partire dalle foci. Come si evince dall’analisi dei campioni prelevati alla +1m durante la campagna sedimentologica del 1999, il diametro medio delle ghiaie di spiaggia supera raramente i 30mm. Le ghiaie, dove esistono, sono limitate alla parte emersa delle spiagge ed alla battigia. Attorno ai 2m di profondità le ghiaie scompaiono dalla superficie del fondale per lasciar posto a sabbie fini o al massimo medie, su cui appunto si poggia lo strato ghiaioso. Anche di fronte alle foci ed alle coste alte ghiaie e ciottoli rocciosi poggiano sullo strato base di sabbia dei fondali; in tal caso il limite fra ghiaie e sabbie si può trovare a maggiore profondità (anche oltre i 3m). La pendenza trasversale del fronte della spiaggia ghiaiosa è ben maggiore rispetto a quella sabbiosa e cresce con la dimensione granulometrica della ghiaia presente. La parte sommersa del profilo, terminato lo strato ghiaioso, prosegue verso il largo con pendenza più debole (con la sabbia, sedimento più sottile, in superficie) ma in genere senza più barre. La distribuzione naturale di ghiaie e sabbie sulla spiaggia emersa e sulla battigia è suscettibile di qualche variazione in relazione con lo stato del mare nelle diverse stagioni o in occasione degli eventi ondosi più intensi. D.101 Il materiale di spiaggia maggiormente mobilizzato dalle onde è quello della fascia, larga mediamente 200m, che comprende la battigia ed i fondali fino a 3-4m di profondità, che costituisce la zona dei frangenti durante le principali mareggiate. Questi sedimenti relativamente recenti dovrebbero conservare qualche residuo delle loro caratteristiche fluviali e quindi dovrebbero presentare più elevata deviazione standard e dovrebbero essere stati privati quasi completamente delle frazioni fangose ad opera delle onde. In realtà tali caratteristiche generali non risultano sempre chiaramente confermate dall’analisi dei campioni sedimentologici del 1999. I materiali sottili, trasportati in sospensione dai corsi d'acqua prima e dalle correnti del mare poi, tendono naturalmente a depositarsi quasi esclusivamente al largo, su fondali oltre gli 8-10m di profondità. Infatti oltre tali profondità le sabbie costiere scompaiono dal fondo e lasciano spazio alle particelle più fini. Le indagini sedimentologiche su tale fascia dei sedimenti fini (limi e argille) mettono in evidenza una zona a più alta percentuale di limo situata più sottocosta, cui fa seguito verso il largo una zona a più elevata percentuale di argilla. Un caso a parte costituiscono i fondali del golfo di Ancona dove la presenza di sedimenti sottili anche a piccole profondità, indica una particolare disposizione delle correnti litoranee, che evidentemente, in seguito alla conformazione della costa, intrappolano le frazioni torbide in sospensione all’interno del golfo stesso. Nel corso soprattutto dell’ultimo secolo la distribuzione dei sedimenti sulla spiaggia emersa e sommersa sottocosta è variata anche grandemente rispetto a quella naturale originaria sopra descritta. Infatti la distribuzione di sabbie e ghiaie sulla spiaggia è per esempio fortemente condizionata dalla presenza delle opere artificiali di difesa costiera, che agiscono a tal riguardo a seconda della propria tipologia. Quelle in forte aggetto interrompono quasi completamente il trasporto solido lungo la riva, mentre le scogliere foranee modificano notevolmente la granulometria dei tratti di spiaggia da esse protetti, facendo aumentare la percentuale delle sabbie più fini, o in certi casi degli stessi limi, che vi si depositano. Anche i lavori di ripascimento artificiale e gli interventi di manutenzione effettuati dai gestori degli stabilimenti contribuiscono a qualche variazione nella distribuzione dei sedimenti della spiaggia emersa. Per lo stesso motivo i sedimenti fini tendono a depositarsi anche all’interno dei maggiori bacini portuali costieri. 4) CARATTERISTICHE METEOMARINE L'Adriatico è un mare chiuso, il canale di Otranto (largo 40 miglia marine) costituisce l'unico D.102 collegamento, leggermente strozzato, con il mar Ionio ed il Mediterraneo. E’ abbastanza stretto (la distanza frontale fra la costa italiana e l’arcipelago dalmata è dell'ordine di 70 miglia marine) soprattutto se raffrontato alla lunghezza (circa 350 miglia marine) ed è orientato secondo la direzione NordNordOvest-SudSudEst. L'Adriatico è il bacino più continentale del mare Mediterraneo. Il suo volume acqueo è pari ad 1/125 del volume del Mediterraneo, l’area della sua superficie liquida è la ventesima parte di quella dello stesso Mediterraneo, mentre riceve, mediante il Po e gli altri fiumi minori, che sfociano in massima parte nel bacino settentrionale, circa 1/3 di tutte le acque dolci continentali del Mediterraneo. In caso di piene eccezionali del Po l'influenza di una tale massa d'acqua dolce si risente sino alle latitudini marchigiane ed oltre. I fondali adriatici hanno profondità relativamente basse che aumentano procedendo dall’alto verso il basso bacino, con le massime profondità spostate verso il lato orientale. Alla trasversale fra Ancona e l’isola di Premuda la profondità raggiunge appena i 75m. Al traverso della foce del fiume Tronto è situato il ciglio della piattaforma continentale a circa 140m di profondità. Oltre questo giace, nel basso Adriatico, la Depressione Mesoadriatica con profondità massime fino a 1200m. Nel tratto marchigiano l'isobata -20m rappresenta il limite che separa fondali pressoché pianeggianti sottocosta, da fondali a maggior pendenza verso il largo. Essa dista da costa circa 7 miglia marine a Nord del Conero e si avvicina progressivamente verso Sud fino a 5 miglia marine al limite meridionale. L'Adriatico va soggetto alle più forti escursioni termiche, fra inverno ed estate, del Mediterraneo. Il forte gradiente di densità che si viene a formare fra le coste italiane e slave nell'alto Adriatico costituisce il motore delle correnti superficiali di gradiente, ascendenti lungo la costa dalmata e discendenti lungo quella italiana, che sono il motivo dominante della circolazione adriatica. Lungo la costa marchigiana tale corrente litoranea di circolazione si risente generalmente fino a 5-6 miglia marine dalla costa ed oltre. In mancanza di relative misurazioni, estese nel tempo e nello spazio, si stima che essa raggiunga la massima intensità a circa 2 miglia marine dalla riva. A 5-10 miglia marine di distanza l’intensità media della corrente raggiunge il valore di mezzo nodo (dalle indicazioni dell’Istituto Idrografico della Marina). Un tale schema generale di circolazione è però modulato, nella sua intensità, dalla periodicità delle stagioni, dalla ingressione nell’Adriatico di acqua proveniente dal mar Ionio, dalla portata del fiume Po, oltre che soprattutto dalle condizioni meteorologiche: si intensifica considerevolmente con venti settentrionali, specie in inverno quando tali condizioni possono persistere anche a lungo. Il Portolano dell’I.I.M. indica che con tempo buono la velocità della corrente sottocosta è D.103 generalmente di circa un nodo d’estate e 2-3 nodi d’inverno, ma con Tramontana e Ponente-Maestro intensifica fino a raggiungere anche i 5-6 nodi all’estremità settentrionale della costa marchigiana. La corrente litoranea mantiene la sua direzione normale (verso SudEst) fino al golfo di Ancona che provoca qualche modificazione dello schema normale. Si inflette nell’insenatura a gomito, costeggia le strutture portuali meridionali intensificandosi fino a raggiungere e superare la velocità di 3 nodi. Quindi essa attraversa l’imboccatura da Sud verso Nord e, una volta oltrepassate anche le strutture del bacino dei cantieri navali, ripiega di nuovo per riprendere la primitiva direzione e lambire così il promontorio del Conero ed il litorale marchigiano meridionale (dalle indicazioni del Portolano). Per quanto riguarda i moti di marea si può dire anzitutto che le oscillazioni della componente astronomica nel mare Adriatico non sono autonome, ma risultano indotte dalle oscillazioni di marea ioniche. Le componenti semidiurne presentano un nodo anfidromico (punto in cui l’escursione di marea è nulla) a circa 20 miglia marine a NordEst di Ancona (vedi figura 2.2.1, pag. A.7) con linee cotidali che ruotano intorno ad esso in senso antiorario. Lungo la costa marchigiana, per la vicinanza al suddetto punto, le componenti principali della marea sono quelle diurne come si evince dai valori delle costanti armoniche della marea valide per il porto di Ancona (vedi tabella 2.2.1, pag. A.5). Dal punto di vista mareometrico il porto di Ancona risulta essere il più monitorato essendo sede da più decenni di un mareografo registratore gestito dal Servizio Idrografico e Mareografico Nazionale del Dipartimento dei Servizi Tecnici Nazionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Le informazioni raccolte non sono però disponibili al pubblico in forma ordinata, ma solo in forma parziale. Solo con la recente istituzione della Rete Mareografica Nazionale da parte dello stesso S.I.M.N. i dati aggiornati potranno, nel prossimo futuro, essere disponibili in quanto è stata istituita ufficialmente anche nel porto di Ancona una stazione mareografica fissa di rilevamento. Per le informazioni già note dal passato si può far riferimento ancora alle indicazioni del Portolano. Nel porto di San Benedetto del Tronto le maree astronomiche sono le meno notevoli della costa occidentale adriatica: ampiezza media alle sizigie 19 cm, pressoché nulla alle quadrature. Nel porto di Ancona, le ampiezze massime delle maree astronomiche oscillano intorno ai 58 cm. L’ampiezza media alle sizigie è di 47 cm mentre alle quadrature è di 14 cm. Nel porto di Pesaro l’ampiezza media della marea si aggira sui 50 cm, con qualche variazione in dipendenza delle condizioni meteomarine. Nel porto canale di Cattolica-Gabicce l’escursione di marea raggiunge giornalmente un dislivello massimo di un metro. L’oscillazione del livello della superficie del mare è molto influenzato, oltre che dai fattori astronomici, anche da quelli meteorologici: con forte bora si sono talvolta verificate escursioni di D.104 marea superiori al metro, come indicato sul Portolano. Le massime alte maree si verificano in autunno, in condizioni di bassa pressione. Con tempo cattivo e con burrasche provenienti da scirocco-levante si verificano sopraelevazioni del livello del mare anche oltre il metro di altezza, con valori crescenti risalendo la costa verso la parte settentrionale (queste condizioni provocano anche le cosiddette "acque alte" nell’alto Adriatico e nelle lagune venete). Le minime basse maree (abbassamenti anche oltre il mezzo metro e più nel tratto settentrionale della regione) si hanno in inverno, con tempo buono, alta pressione e venti settentrionali. In generale dal punto di vista climatologico l’Adriatico risulta essere un mare caratterizzato da un clima alquanto mutevole, specie in inverno, soprattutto a causa della presenza di un attivo processo di ciclogenesi e del frequente transito delle depressioni di origine atlantica. Le condizioni del tempo sono principalmente influenzate dalla presenza sul Mediterraneo dell’anticiclone delle Azzorre. D’inverno questo scende generalmente alle basse latitudini richiamando le perturbazioni oceaniche che caratterizzano il tempo di tipo occidentale, ventoso e piovoso. D’estate l’anticiclone si sposta generalmente a latitudini più elevate e si protende sul Mediterraneo, sul quale il tempo quindi resta bello. Nell’Adriatico sono comunque frequenti i temporali estivi, dovuti a condizioni di contrasto termico. In autunno spesso l’aria fredda dall’Europa invade il Mediterraneo ancora caldo, ciò determina fenomeni di instabilità ed associati temporali. La circolazione ventosa sull’Adriatico è fortemente influenzata dalle caratteristiche orografiche della costa e del suolo. In particolare la geografia piuttosto regolare dell’Adriatico, di forma pressoché rettangolare, lunga e stretta, con la presenza delle dorsali montuose che si stendono parallele, per tutta la sua lunghezza, in direzione NordOvest-SudEst, in prossimità dei due margini costieri laterali del mare (cioè le catene dei Velebiti e delle Alpi Dinariche sul lato orientale e quella degli Appennini sul lato occidentale), l’arco delle Alpi a chiusura del margine settentrionale del bacino, nonché la presenza delle “porte” naturali di Trieste a NordEst e della pianura Padana a NordOvest e l’apertura del canale di Otranto a SudSudEst determinano modifiche sostanziali della circolazione nel bacino stesso rispetto alle aree contigue nel Mediterraneo, rendendo a volte difficile l’interpretazione dei venti sulla sola base della configurazione del campo barico. In Adriatico il regime dei venti, come quello dei mari, è legato ai cicli stagionali. I venti regnanti sono a prevalente regime di brezza, specialmente in estate. Tuttavia assumono notevole importanza, per intensità o per i fenomeni burrascosi associati, alcuni venti caratteristici locali. Infatti è noto che il mare Adriatico è una fra le aree mediterranee con maggior frequenza di burrasche (il 10% di tutte quelle mediterranee). I venti di traversia dominanti, cioè i più intensi, che per i loro effetti sul mare D.105 interessano maggiormente le coste marchigiane, sono quelli caratteristici adriatici: i principali sono la bora e lo scirocco. Gli altri venti provocano mareggiate importanti solo raramente. La bora è un vento settentrionale, freddo e secco. Generalmente spira da NordNordEst o NordEst sull’alto Adriatico. E’ dovuto all’afflusso di aria continentale, polare o artica, attraverso la “porta” naturale di Trieste o, a volte, attraverso le catene montuose della costa orientale adriatica. In quest’ultimo caso la bora ha direzione da EstNordEst o occasionalmente addirittura da Est. La bora spira violenta soprattutto d’inverno e raggiunge spesso intensità di burrasca. E’ particolarmente intensa a Trieste ove i venti raggiungono i 70 nodi con raffiche superiori anche ai 100. La frequenza e l’intensità della bora diminuisce avvicinandosi alle coste occidentali del bacino e procedendo da Nord verso Sud. Tuttavia lungo le coste italiane, da Venezia ad Ancona, la bora è ancora abbastanza forte e frequente. A Sud di Ancona la direzione del vento di bora subisce una graduale rotazione disponendosi da NordNordEst al largo e da Nord o NordNordOvest in prossimità della costa. Il mare associato alle burrasche da bora è caratterizzato da onde alte, corte e ripide: è il classico “mare vivo” con creste spumeggianti e frangimenti diffusi dal largo fino alla riva. Lo scirocco è un vento meridionale che spira sul Mediterraneo. E’ dovuto all’afflusso di aria continentale tropicale proveniente dalle regioni dell’Africa settentrionale. Si presenta ancora caldo e secco sulle coste africane, diventa umido al passaggio sul mare Mediterraneo e quando raggiunge le coste europee, in particolare quelle italiane, risulta sgradevole agli abitanti, produce forti mareggiate e spesso è accompagnato da scarsa visibilità. In Adriatico, per un effetto di canalizzazione il vento, che al suo ingresso nel bacino proviene da SudSudEst, tende a ruotare disponendosi da SudEst, con una intensificazione lungo le coste slave. In prossimità delle coste marchigiane e romagnole esso tende a ruotare ancora fino a disporsi attorno ad Est. Le intensità massime sono inferiori a quelle della bora, anche se, in inverno ed in primavera, si possono raggiungere valori superiori ai 40 nodi. A differenza della bora, lo scirocco cresce abbastanza gradualmente. Fenomeni associati allo scirocco lungo le coste occidentali centrosettentrionali sono: una forte sopraelevazione del livello medio del mare, un’onda da Est raramente molto alta ma particolarmente lunga ed una intensificazione delle correnti marine costiere con conseguente forte trasporto solido lungocosta, una forte risalita del moto ondoso montante lungo la spiaggia (fenomeno inversamente proporzionale alla ripidità ondosa) e quindi un più facile potere aggressivo ondoso sul litorale esposto. D.106 5) DINAMICA COSTIERA La dinamica costiera è principalmente regolata dall’azione del moto ondoso da vento sul litorale. Esso produce una ridistribuzione lungo la costa degli apporti solidi fluviali depositati sulle foci e la conseguente rimodellazione delle spiagge in continuo adattamento all’azione ondosa incidente. Le condizioni marine che interessano i processi costieri sono sia quelle del regime medio annuo, che quelle degli eventi più intensi, che producono invece le variazioni di spiaggia nel breve periodo, spesso particolarmente incisive. In genere queste ultime sono recuperate nel lungo periodo, anche se talvolta lentamente e solo parzialmente. Lo studio della dinamica costiera è di solito confinato all’interno dell’unità fisiografica. In particolare riguardo a quelle a grande scala riconoscibili nel litorale marchigiano si può dire che il tratto più settentrionale della costa, cioè la spiaggia bassa di Gabicce Mare, appartiene alla lunga unità fisiografica che comprende l’intera riviera del litorale romagnolo dalla punta Gabicce del promontorio del colle San Bartolo (a Sud) alla foce del fiume Reno (a Nord) o, addirittura estesa anche al tratto emiliano-ferrarese, fino al delta del fiume Po. La parte del litorale compresa fra il promontorio del colle San Bartolo e quello del monte Conero costituisce un’altra unità fisiografica a grande scala. Il tratto meridionale della costa marchigiana, a Sud del promontorio del monte Conero, può considerarsi appartenente ad un’ulteriore lunga unità fisiografica a grande scala che va dall’estremità meridionale del promontorio del monte Conero (a Nord) alla sporgenza di punta Penna sul litorale abruzzese (a Sud) o al limite estesa fino al promontorio del Gargano. Osservando però più in dettaglio questi interi tratti delle unità fisiografiche a grande scala, al loro interno si possono riconoscere tante unità fisiografiche contigue a scala più piccola delimitate, a seconda dei casi, dalla presenza di foci fluviali, promontori a coste alte, opere aggettanti portuali, tratti con difese costiere, ecc.. Gli scambi sedimentari fra le unità fisiografiche vicine sono assai esigui e limitati quasi esclusivamente alle frazioni trasportate in sospensione. Ovviamente, riferendosi strettamente ai promontori del colle San Bartolo e del monte Conero, essi costituiscono delle unità fisiografiche a grande scala a se stanti, che ugualmente possono essere meglio suddivise nelle più numerose unità fisiografiche a piccola scala costituite dalle tante piccole baie ed insenature successive interne ad essi. L’azione del moto ondoso dei mari di traversia nella zona dei frangenti produce una corrente normale alla costa (undertow, ecc.), che governa l’evoluzione del profilo trasversale delle spiagge nel breve periodo, ed una longitudinale, la cosiddetta corrente lungocosta, che trasporta i sedimenti litoranei parallelamente alla linea di riva. Eventi di direzione, frequenza e caratteristiche ondose diverse sviluppano correnti lungocosta di D.107 differenti verso, frequenza ed intensità. Il susseguirsi di questi flussi nel lungo periodo produce il trasporto solido netto (o prevalente) lungocosta, che nell’Adriatico è influenzata dalla variabilità annuale del clima ondoso. Nella costa marchigiana il verso della corrente lungocosta prevalente deriva ovviamente dal bilancio soprattutto tra le ondazioni principali: quelle di bora e quelle di scirocco-levante. In genere è evidente l’azione prevalente dello scirocco-levante, quindi il trasporto solido netto risulta diretto da SudEst verso NordOvest, ma in taluni casi particolari esso può anche invertirsi. Al contrario la corrente litoranea di circolazione, come detto diretta verso SudEst, è invece legata essenzialmente al solo trasporto in sospensione della frazione torbida e fine dei sedimenti, senza relazione quindi con gli equilibri di spiaggia, sulla quale appunto questi materiali non si depositano. Il verso prevalente del trasporto dei sedimenti può essere dedotto, oltre che dai dati meteomarini, dall'osservazione di depositi ed erosioni ai lati delle opere in aggetto ed anche dalla disposizione prevalente delle barre naturali di foce presenti. Si può notare che a Nord delle foci marchigiane le ghiaie si estendono generalmente su tratti più lunghi e sono più grossolane rispetto a quelle poste a Sud, a conferma che il trasporto netto è normalmente diretto verso NordOvest. La variabilità annuale del clima ondoso dell’Adriatico influisce sulla dinamica costiera e sulla evoluzione delle spiagge. Le condizioni meteomarine invernali delle ultime annate mostrano una notevole crescita della frequenza di eventi ondosi intensi in generale (vedi per esempio l’analisi degli estremi e della persistenza media delle mareggiate nei confronti fra le due serie di registrazioni ondametriche al largo di Ancona) ed in particolare di quelli provenienti dai settori settentrionali, mentre risultano diminuiti quelli di provenienza meridionale. I frequenti eventi da bora delle ultime stagioni sono stati in grado di incidere molto fortemente su talune spiagge del litorale meridionale marchigiano (per esempio Numana bassa) che, per orientazione ed esposizione, risultano più facilmente vulnerabili alle mareggiate di provenienza settentrionale. A riprova proprio della succitata mutevolezza del regime climatico ondoso, nell’autunno dell’anno 2000 si sono osservate, contrariamente all’andamento dell’ultimo lustro, eventi ondosi importanti provenienti con una netta prevalenza dal secondo quadrante direzionale, cioè sequenze ripetute di mareggiate quasi esclusivamente da scirocco-levante. Esse stanno arrecando nuovi problemi di arretramento ed erosione ai siti costieri vulnerabili a tale particolare regime dinamico (per esempio Marina di Montemarciano), che erano stati risparmiati invece dall’aggressione ondosa degli ultimi anni, rivelatisi quindi come una sorta di tregua per essi. Viceversa i siti impegnati dai problemi erosivi nelle stagioni delle ultime 3-4 annate, per eventi di provenienza settentrionale, hanno beneficiato nell’attuale autunno di ampi avanzamenti della linea di riva. D.108 Non sempre gli operatori economici hanno la possibilità di attendere il riequilibrio naturale che può anche protrarsi per anni e chiedono quindi alle amministrazioni pubbliche interventi di protezione immediati che innescano fenomeni evolutivi a più ampia scala. 6) EVOLUZIONE STORICA DELLA COSTA MARCHIGIANA Come risultato dall’analisi effettuata per le suddette schede sulle opere costiere si deduce che la costa marchigiana è attualmente interessata per oltre il 63% (circa 109 km) del suo intero sviluppo dalla presenza di strutture artificiali. Queste comprendono sia le opere portuali (che interessano circa 9 km di costa, il 5% dello sviluppo complessivo), sia le opere costiere di diversa natura e soprattutto di protezione dei litorali, cioè poste a contrastare il processo erosivo subito dalla costa, le quali complessivamente riguardano attualmente uno sviluppo di circa 100 km di costa (il 58% del totale). Con l’aggiunta di ulteriori 7 km di opere, tuttora in fase di progetto o in corso di realizzazione, su coste attualmente libere da opere, quest’ultima quantità salirà a 107 km (pari ad oltre il 62% della costa totale). Le cause dell’erosione sono principalmente dovute agli interventi antropici effettuati lungo la costa e lungo le aste fluviali. Le condizioni naturali (fisiche e sedimentologiche) originarie del litorale e dei bacini idrografici, sommariamente descritte nel paragrafo precedente, sono venute progressivamente ad essere modificate, soprattutto per il continuo progredire degli interventi antropici sulla costa e sui fiumi. Di seguito si inquadrano brevemente l’evoluzione storica generale del litorale marchigiano ed i principali fattori, naturali ed antropici, che l’hanno influenzata. L’Adriatico è fin dall’antichità la sede dello sviluppo di civiltà molto diverse, che lo hanno ampiamente utilizzato quale via preferenziale di comunicazione fra i siti costieri vicini, fra le diverse sponde e fra l’Oriente e l’Occidente. Dai tempi della pentapoli marittima dell’esarcato ravennate i collegamenti via mare, sia interni che con le altre terre dell’impero bizantino, erano importanti e frequenti. Nel corso del medioevo si sono ulteriormente intensificati. Fin dal XIII° secolo, si hanno notizie di una densa rete di traffici che copre l’Adriatico in tutta la sua estensione. I collegamenti marittimi sono rimasti a lungo la via principale di scambio e comunicazione ed erano preferibili, perché allora risultavano più agevoli, rispetto a quelli terrestri. Anche nell’epoca delle conquiste oceaniche, quando i grandi traffici commerciali adriatici hanno risentito della crisi dovuta al dirottamento delle principali vie di navigazione fuori dal bacino mediterraneo, l’Adriatico ha mantenuto attiva la circolazione di merci, D.109 uomini, idee, culture e conoscenze. Solo a partire dal XIX° secolo le divisioni fra le grandi potenze europee prima, e fra i blocchi internazionali poi, hanno frenato un poco le intense comunicazioni attraverso il nostro mare. Fra il XIV° ed il XVIII° secolo la repubblica di Venezia, all’apice del suo sviluppo, considera l’Adriatico un proprio golfo. Con la sua notevole potenza militare marittima, essa esercita il controllo, attraverso il presidio del suo ingresso, l’isola di Corfù, dei commerci che in esso avvengono, senza peraltro impedire lo sviluppo di città portuali come Ancona e Ragusa che riescono a ritagliarsi uno spazio, pur secondario rispetto ad essa, nei traffici tra l’Oriente e l’Occidente. Ancona è nelle Marche l’unico porto naturale, che ha potuto sfruttare sin dall’antichità gli alti fondali ed il buon ridosso offerto al suo bacino dalle propaggini estreme settentrionali del promontorio del monte Conero. Le strutture aggettanti del porto si protendono dal promontorio stesso. Quindi possono aver provocato solo un aggravamento parziale dello squilibrio costiero del tratto di litorale delle località di Palombella, ex-Borghetto, Torrette, Palombina e Falconara, già penalizzato per la sua esposizione naturale e per la sua posizione originaria rispetto appunto al promontorio stesso. Nel corso dei secoli, insieme ad Ancona, si sviluppano nelle Marche pure una serie di centri costieri minori che sfruttano le possibilità offerte dal litorale di ricavare facili approdi, porti, vie d’acqua utili sia per esercitare più adeguatamente i commerci derivanti dal cabotaggio, che come ausilio all’attività della pesca. Si tratta di un’economia marittima che integra il reddito prodotto dall’agricoltura fondata principalmente sulle colture del grano, della vite e dell’ulivo. Pesaro, Fano e Senigallia, a Nord di Ancona, si sono insediati su foci fluviali e, pur tra molte difficoltà, diventano porti canale sin dal XV° secolo, con opere in aggetto almeno dall’inizio del XVII° secolo. Invece a Sud di Ancona solo molto in seguito, nel ‘900, nasceranno i porti esterni di Numana, Civitanova, Porto San Giorgio e San Benedetto del Tronto, con tipologie prevalentemente a bacino. L’insabbiamento e l’inghiaiamento, dal mare o anche dai fiumi per i porti canale, hanno rappresentato da sempre il problema principale dei porti storici minori marchigiani. La soluzione normalmente utilizzata per evitarlo o contenerlo, è stata quella di prolungare i moli guardiani verso il largo, sia per impedire l’ingresso dei materiali che per raggiungere fondali sempre più profondi, meno pericolosi e più adatti alle imbarcazioni di dimensioni sempre maggiori. Le strutture dei porti canale storici, aggettanti dal litorale sottile marchigiano, costituiscono delle evidenti discontinuità sulla spiaggia altrimenti allora libera da opere costiere artificiali. Il progressivo prolungamento dei moli, bloccando il trasporto solido costiero longitudinale, ha prodotto avanzamenti sopraflutto ed D.110 erosioni sottoflutto. Perciò in definitiva la costruzione dei primi bacini portuali ed il progressivo sviluppo in aggetto dei moli hanno rappresentato le cause originarie, di carattere antropico, che hanno innescato storicamente la modifica dell’evoluzione naturale della linea di riva e della spiaggia marchigiana con la successiva conseguente nascita del fenomeno dell’erosione costiera. La linea di riva è stata comunque in costante avanzamento sull’intero litorale sottile fino al XIX° secolo. A riprova di ciò sta il fatto che le fortificazioni medievali-rinascimentali delle città costiere, costruite in prossimità del mare, alla fine dell’’800 si trovano a 200-300 metri dalla linea di costa. Tale avanzamento storico del litorale marchigiano è legato, oltre che a fattori climatici, ai massicci interventi di disboscamento, su tutti i bacini del territorio marchigiano, iniziati dai romani e proseguiti intensamente nel ‘600 per lasciare spazio alle colture agricole. Il disboscamento nei territori marchigiani venne interrotto solo nel 1876 con una legge del nuovo stato unitario. Fino alla prima metà del ‘900 l’erosione marina, apparsa nell’’800, rimase molto contenuta e localizzata, anche perché veniva ancora ampiamente compensata dagli apporti solidi fluviali al mare, che probabilmente presentavano una diminuzione rispetto al secolo precedente. L’arretramento dell’arenile non costituiva peraltro un grave problema, in quanto allora sulla spiaggia gravitava pressoché l’unico interesse dei pescatori locali per tirare in secco le proprie imbarcazioni. Il fenomeno erosivo diviene per la prima volta importante quando comincia ad interessare i tratti costieri della linea ferroviaria adriatica, realizzata a partire dal 1856 (tratto settentrionale) e dal 1861 (tratto meridionale). Essa era stata collocata, per parecchi tratti, sulla parte alta della spiaggia emersa o al posto delle preesistenti dune litoranee (vedi Figura 2). Per la costruzione dei suoi rilevati, sono stati probabilmente utilizzati per la gran parte anche gli inerti disponibili nelle foci fluviali e soprattutto nelle spiagge. Una volta innescato il processo erosivo il rilevato ferroviario si trova proprio ad impedire la naturale espansione delle onde di tempesta sulla spiaggia. L’arretramento della linea di riva mette in pericolo le strutture ferroviarie e costringe l’Ente gestore ad intervenire continuamente con massicce opere di contenimento. Gli interventi di protezione sono consistiti, almeno per tutta la prima metà del ‘900, quasi esclusivamente in scogliere radenti, per la facilità e rapidità della posa in opera dei massi, scaricati direttamente dai vagoni. Ma le difese di questo tipo, impedendo la formazione di un nuovo arenile, provocando riflessioni, scalzamenti ed erosione della spiaggia, hanno portato il fenomeno erosivo ad interessare progressivamente anche i tratti di litorale sottoflutto. D.111 Figura 2 – Corografia del territorio marchigiano e tracciato della linea ferroviaria Adriatica Nel primo ‘900 inizia inoltre la costruzione dei porti di S.Benedetto del Tronto (1907) e Civitanova Marche (1919), che verranno completati, nelle parti fondamentali, rispettivamente intorno al ‘35 ed al ‘58. La realizzazione delle nuove strutture portuali in aggetto, come pure i prolungamenti dei moli esterni dei bacini preesistenti, provocano o aggravano l’erosione delle spiagge limitrofe sottoflutto. Per questi motivi nella prima metà del ‘900 compaiono anche le prime sporadiche opere di difesa del litorale (non più solo delle infrastrutture viarie o portuali). Si tratta soprattutto di pennelli D.112