COMMENTO A “LA GINESTRA” DEL LEOPARDI di Davide Grassi

COMMENTO A “LA GINESTRA” DEL LEOPARDI
di Davide Grassi
La ginestra fu composta da Leopardi nel 1836, in una villetta sul Vesuvio. Essa è formata
da sette strofe di versi endecasillabi e settenari con rime sparse. La struttura del
componimento è per molti aspetti di tipo argomentativo, poiché il poeta imposta una dura
polemica contro il pensiero del suo tempo.
• Nella prima strofa viene introdotto il fiore della ginestra, che rappresenta l’unico segno
di vita nel paesaggio desolato del Vesuvio e ciò offre al Leopardi lo spunto per
polemizzare contro coloro che hanno in uso di lodare le capacità umane e le sorti del
mondo (come il cugino Terenzio Mamiani che nei suoi Inni sacri aveva lodato Le
magnifiche sorti e progressive).
• Nella seconda strofa il poeta inizia una dura polemica contro il secolo dell’Ottocento,
da lui definito superbo e sciocco, poiché ha abbandonato il pensiero del Rinascimento
e poi quello illuministico, per sostituirli con lo spiritualismo religioso, il che ha significato
per l’umanità un regresso culturale.
• Nella terza strofa viene proposta una soluzione, che alcuni critici (Binni, Luporini,
Timpanaro6) hanno definito eroica. Secondo Leopardi, in pratica, gli uomini
dovrebbero unirsi in una confederazione per fronteggiare la comune nemica, che è la
Natura, impostando una sorta di solidarietà eminentemente laica e non cristiana, in
quanto essa non è basata su nessun presupposto di fede.
• Nella quarta strofa vi è una descrizione dell’infinità dell’universo, rispetto alla quale
l’uomo non è altro che una nullità, come lo sono la terra e i pianeti. Questa descrizione
è funzionale alla dimostrazione che l’ipotesi dell’uomo, secondo il quale gli autori
dell’Universo (Dio) sarebbero scesi sulla terra per redimere l’umanità, è una pura follia.
• La quinta strofa mette in evidenza la forza distruttrice della Natura, capace con un
lieve movimento di annullare intere città. Il poeta sottolinea come per la Natura non vi
sia sostanziale distinzione tra l’uomo e la formica, se non che quest’ultima ha la sua
prole più numerosa e perciò muore in maggior quantità.
• La sesta strofa rievoca l’eruzione del Vesuvio, che nel 70 d.C. distrusse le città di
Ercolano e di Pompei. Anche questa descrizione serve a dimostrare che tutto si
annulla e l’uomo si arroga, invece, stupidamente il vanto di essere eterno.
• La settima ed ultima strofa ripropone l’immagine della ginestra, che acquista un chiaro
significato simbolico. Essa rappresenta, infatti, il pensiero del poeta, che si erge con
tutta la sua dignità verso il mondo crudele e verso la Natura matrigna, rivendicando il
suo legittimo diritto alla felicità negata. E’ importante notare come l’atteggiamento del
poeta sia esente da due opposti comportamenti, comuni agli uomini, e cioè l’orgoglio
sfrenato e l’illusione di poter dominare il mondo, ovvero la codarda sottomissione di
fronte ad una inesistente Potenza Superiore.
La ginestra ha dato luogo ad un vivace dibattito circa i suoi risvolti ideologici e le sue
possibili implicanze politiche. La famosa interpretazione del Binni parla di un Leopardi
progressivo, duramente polemico verso la Natura e la società e proteso ad affermare una
sua soluzione eroica (cfr.Binni, La nuova poetica leopardiana, 1947 e La protesta di
Leopardi, 1982). Di un Leopardi sostanzialmente eroico hanno parlato anche i critici di
orientamento marxista, che interpretano in chiave progressista il pensiero del poeta (cfr.
Luporini, Leopardi progressivo, 1947; Timpanaro, Classicismo e illuminismo nell’Ottocento
italiano, 1965). Il Salvatorelli vede Leopardi inclinare verso il socialismo (cfr. Salvatorelli, Il
pensiero politico italiano dal 1700 al 1870, 1935), mentre il Carpi addirittura lo considera
un precursore del comunismo (cfr. U. Carpi, Il poeta e la politica, 1978). Non mancano poi
altre interpretazioni altrettanto ardite, che vedono in Leopardi un reazionario, un
democratico, un anarchico o un nichilista.
A mio giudizio la ginestra rappresenta un chiaro e concreto manifesto del pensiero laico –
illuminista, una forte difesa del Settecento contro l’Ottocento. Sul carattere settecentesco –
illuminista del testo leopardiano non si possono a mio avviso nutrire dubbi
• Innanzitutto il componimento è preceduto da un versetto del Vangelo di S. Giovanni: E
gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce (Giovanni, III,19). Secondo la
concezione leopardiana, opposta a quella cristiana, le tenebre rappresentano l’oscurità
del pensiero medioevale, mentre la luce rappresenta la filosofia razionalista dei lumi,
abbandonata nell’Ottocento.
• Nella seconda strofa, ai versi 52 – 58 il poeta rimprovera all’uomo dell’Ottocento la
colpa di avere abbandonato il pensiero del Rinascimento, risorto dopo la barbarie
medioevale: <<Qui mira e qui ti specchia / secol superbo e sciocco / che il calle insino
allora / dal risorto pensier segnato innanti / abbandonasti, e volti addietro i passi / del
ritornar ti vanti / e procedere il chiami.>> Sappiamo bene che la critica al Medioevo è
una delle costanti del pensiero illuminista.
• D’altra parte sempre nella seconda strofa ai versi 80 – 86 Leopardi accusa gli uomini
dell’Ottocento di avere volto le spalle al secolo dei lumi, ritornando indietro: <<6 per
questo il tergo / vigliaccamente rivolgesti al lume / che il fe’ palese: e, fuggitivo, appelli /
vil chi lui segue, e solo / magnanimo colui / che sé schernendo o gli altri, astuto o folle /
fin sopra gli astri il mortal grado estolle>>. E’ interessante, a questo proposito, notare
l’interpretazione storica leopardiana, di chiara matrice illuministica, secondo la quale il
periodo medioevale sarebbe negativo, come pure l’Ottocento, mentre sarebbero
positivi il Rinascimento e l’Illuminismo e cioè le due epoche laiche per eccellenza.
• Nella terza strofa la soluzione così detta eroica è chiaramente una soluzione che
affonda i suoi presupposti ideologici nel Cosmopolitismo illuminista. Nei versi 130 –
135 infatti si dice: <<tutti fra sé confederati estima / gli uomini, e tutti abbraccia / con
vero amor, porgendo / valida e pronta ed aspettando aita / negli alterni perigli e nelle
angosce / della guerra comune>> Abbiamo di fronte un chiaro esempio di solidarietà
sociale laica, di matrice cosmopolita secondo i canoni della filosofia dei lumi.
• Il carattere laico del pensiero leopardiano e del suo progetto solidaristico é poi
oltremodo evidente nei versi 151 – 157 della stessa terza strofa: <<1 l’onesto e il retto
/ conversar cittadino / e giustizia e pietade, altra radice / avranno allor che non superbe
fole / ove fondata probità del volgo / così star suole in piede / qual star può quel ch’ha
in error la sede>> Quello che sembra maggiormente preoccupare il poeta è che valori
come la giustizia, la rettidudine, la pietà, l’onestà siano considerati patrimonio esclusivo
del Cristianesimo, e non possano invece costituire i fondamenti comuni di una morale
laica, capace di prescindere anche dal messaggio cristiano.
• Da molte parti si è fatto presente che la polemica del Leopardi investe, oltre che lo
spiritualismo cristiano, anche ogni altra forma di ottimismo, e quindi anche, in ultima
analisi, il pensiero laico illuministico ottimistico, fiducioso nello sviluppo delle scienze e
della tecnica. Sicuramente le strofe 4-5-6 sembrerebbero suffragare questa ipotesi,
essendo esse di marca nettamente pessimistica e quindi polemiche contro qualsiasi
umanesimo, religioso o laico che sia. In realtà ciò non dimostra in sé nulla, dato che lo
stesso Cristianesimo – se preso alla lettera- è alle sue radici pessimista, parlando di
peccato originale, di valle di lacrime, di prevalenza del male. In sostanza il fondamento
pessimista non preclude per nulla alla adesione ad una ideologia razionalista –
illuminista. L’obbiettivo polemico del poeta non è a mio avviso ogni umanesimo, laico o
religioso, bensì ogni forma di pensiero che esalti l’onnipotenza e la superiorità sulla
Ragione, vuoi da parte della Religione, vuoi da parte dell’uomo stesso, che non accetta
più di essere ricondotto entro schemi razionalistici. A questo proposito sono eloquenti
proprio gli ultimi versi della poesia (v. 315 – 317): <<meno inferma dell’uom, quanto le
frali / tue stirpi non credesti / o dal fato o da te fatte immortali>>. E’ questa fede
nell’immortalità e nella superiorità dell’uomo che non trova d’accordo il poeta.
Immortalità che può derivare dalla fede in una religione (o dal fato) oppure anche
dall’autoattribuzione che l’uomo compie da se stesso (o da te).
Più che a un Leopardi nichilista o anticristiano ci troviamo di fronte, (nonostante gli accenni
e le affermazioni violentemente polemiche nei confronti della fede cattolica in talune parti
rasentanti anche il blasfemo) ad una appassionata rivendicazione della possibilità di
costruire una morale schiettamente laica e slegata da ogni aggancio confessionale e
religioso. Progetto, quello leopardiano, che sembra rifiutare categoricamente ogni forma di
dogma ed ogni tentativo di imporre (o anche di proporre) una Verità precostituita,
facendoci entrare nella cultura relativistica nella quale unico strumento di indagine e di
conoscenza per l’uomo resta la sua capacità razionale. In questo senso abbiamo una
autentica riproposizione del pensiero dell’Illuminismo in pieno Ottocento. Ma il messaggio
che emerge da questo testo è anche -se lo vogliamo- più estensivo: è nei fatti
un’autentica condanna ed un forte atto d’accusa contro ogni ideologia che pretenda di
ergersi a sistema di vita e di fondare, in nome di principii astratti, un credo cui si sia
obbligati ad obbedire anche se non si è (a torto o a ragione) legittimamente d’accordo!
Avenza, 5 apr. 99