Materiale 7

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I MOLTEPLICI VOLTI DELLA LIBERTÀ:
Le direttive anticipate di trattamento.
!Dott.ssa Vera Gerardi
Corsi di Bioetica e di Etica della Medicina e della Biologia - a.a. 2014/2015
!!
Il Testamento Biologico, detto anche Dichiarazioni Anticipate o Direttive Anticipate di
trattamento, rappresenta un importante strumento individuale di consenso o di rifiuto a specifici
interventi terapeutici, in previsione della perdita parziale o totale delle capacità soggettive
nell’esprimere le proprie volontà, in merito al sottoporsi ad un eventuale trattamento.
La dicitura “testamento biologico” e quella di “dichiarazioni anticipate”, quest’ultima usata nella
proposta al Parlamento, non sono propriamente corrette. Bisognerebbe, infatti, parlare di
“direttive”, in quanto tale termine meglio definisce la dimensione delle volontà espresse
dall’individuo in campo di autodeterminazione terapeutica. Tale principio non dovrebbe, infatti,
solamente indicare agli operatori sanitari i desideri del soggetto, bensì dovrebbe fornire delle
disposizioni vincolanti riguardo i trattamenti a cui si è espresso il consenso.
Attraverso la redazione delle direttive anticipate, il soggetto può espletare il suo diritto di
autonomia indicando quali trattamenti rifiuterebbe o meno in casi estremi di perdita di capacità ed
indicando il nome di un fiduciario, persona altra che si impegnerebbe, in veste di garante, a far
rispettare le volontà espresse dal soggetto non più in grado di decidere per sé. Nonostante tali
dichiarazioni siano un inequivocabile ed irrinunciabile strumento di autodeterminazione, non
risultano essere vincolanti per il medico, che comunque s’impegna a rispettarle, ma senza
prescindere dai suoi doveri terapeutici e dal suo operato “in scienza e coscienza”. Qualora tali
direttive dovessero però essere disattese, il sanitario dovrà renderne conto al fiduciario, indicato
dal soggetto nel corpo delle volontà espresse nel cosiddetto testamento.
Le principali problematiche etiche legate a questa tematica derivano, molto spesso, da
fraintendimenti riguardo un’ipotetica ammissione dell’eutanasia, illegale in Italia, e particolari
pregiudiziali morali di matrice cristiano-cattolica. Con questa relazione non si intende
contravvenire a tali opinioni e criteri di giudizio, che rimangono preziosissimi riferimenti
personali, ma ci si propone d’affrontare l’argomento in maniera chiara, ponendo l’accento sulla
definizione precisa dei termini utilizzati e affrontando la questione etica che ne deriva secondo i
principi di una morale laica e quanto più condivisibile possibile.
L’autodeterminazione dell’individuo rappresenta, quindi, il punto nodale delle dimensioni
medica ed etica in cui dovrebbe rientrare il discorso delle direttive anticipate di trattamento. Se si
considera inviolabile l’autonomia della persona nel momento presente in cui stabilisce il proprio
consenso libero ed informato ad una determinata proposta terapeutica, dovrebbe essere altrettanto
fermo il suo diritto di esprimere volontà ed indicare disposizioni, in merito ad un futuro possibile o
probabile in cui la persona si prevede privata della capacità di intendere e di volere. Al centro di tali
decisioni, infatti, c’è il bene salute che, oltre ad essere oggetto delle applicazioni medico-sanitarie e
terapeutiche, costituisce un vero e proprio valore ed è dunque oggetto di esamina etica. Chi decide
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cos’è bene per chi? Cadere in pericolose ed arbitrarie interpretazioni è un rischio che spesso si
corre.
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› le direttive anticipate di trattamento: COSA SONO
I grandi successi della scienza medica in campo rianimativo hanno condotto ad un necessario
ripensamento della morte, della malattia e della qualità della vita. Tutto questo comporta delle
scelte. Nella nostra società, infatti, questi concetti hanno subìto una tale modificazione che non è
più possibile da tempo ignorarne le conseguenze in campo medico-scientifico ed in campo eticoesistenziale. Ritardare la morte ed intervenire artificialmente sul mantenimento in vita di soggetti
in stati limite producono effetti devastanti nell’antica ineluttabilità del trapasso. Oggi viene data la
possibilità di decidere, partecipando attivamente ad ogni fase della propria esistenza, riguardo i
trattamenti cui si desidera accedere o meno.
Alla base della formulazione di queste scelte, d’altronde, non v’è più una visione morale unitaria,
un’unica concezione definitiva ed un solo punto di riferimento per districarsi in situazioni che
richiedono al soggetto una presa di posizione e l’assunzione valoriale di principi già dati. Si tratta di
fare i conti con una realtà morale composita e in continua evoluzione che, se pur teoricamente
“corretta” nella sua ammissione di laicità, in vista di una fisiologica organizzazione sociale, si vede
cedere a rapporti di forza che determinano l’orientamento di una specifica comunità di
appartenenza. Ciò che è accettato e convalidato dal consenso della comunità morale è definibile
giusto.
Tale premessa è fondamentale per comprendere il dibattito in merito alle direttive anticipate di
trattamento. È necessario far chiarezza sulle definizioni e sui diversi argomenti tirati in ballo,
questi ultimi non sempre affrontati in maniera conforme ai principi di laicità nel rispetto di visioni
morali differenti, che vanno in ogni caso rispettate nei limiti della convivenza civile.
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Le direttive anticipate di trattamento sono un importantissimo strumento di
autodeterminazione terapeutica, attraverso cui il soggetto partecipa attivamente alle decisioni
che riguardano la sua vita e gli interventi che su di essa andranno effettuati, qualora egli dovesse
perdere per un periodo di tempo o in maniera permanente la capacità di intendere e di volere, e
cioè ciò che lo rende persona giuridicamente rilevante.
Nonostante tali dichiarazioni, come già s’è detto, non siano vincolanti dal punto di vista
giuridico e quindi al medico sia sempre riconosciuto l’agire terapeutico “in scienza e coscienza”,
sussiste l’obbligo dell’operatore sanitario di rispondere delle proprie azioni al fiduciario, il garante
designato nelle volontà del paziente incosciente, qualora queste venissero disattese. Si tratta di un
punto particolarmente controverso, proprio a causa del carattere puramente orientativo del
documento, benché dovrebbe essere inteso come l’espressione anticipata, non solo delle
aspettative, ma anche delle decisioni di un soggetto, libero nella formulazione di scelte personali al
momento della eventuale compilazione.
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Il conflitto etico che si consuma riguarda da un lato il riconoscimento dell’autonomia del
paziente, che attualmente esprime la propria scelta in merito al consenso/dissenso di trattamenti
futuri previsti o prevedibili, dall’altro l’agire morale del medico, che è chiamato a prendere delle
decisioni secondo scienza e coscienza, quindi agendo nel e per il bene del paziente.
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Su tale questione il Comitato Nazionale di Bioetica si espresse già nel 2003, producendo
un documento dal titolo Dichiarazioni anticipate di trattamento, in cui si recepisce l’orientamento
della precedente Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina, tenutati ad Oviedo
nel 1997. Nel documento del CNB sopracitato, si fa particolare menzione all’art.9 della
Convenzione di Oviedo, che recita:
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Art. 9 ~ Desideri precedentemente espressi.
I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente
che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in
considerazione.
Questo riferimento fa da punto d’ancoraggio all’intera trattazione del documento. L’obiettivo
fondamentale del Comitato, più volte esplicitato, è quello di ispirare una normativa che sia ben
fondata e che faccia propri i precetti bioetici espressi dalla Convenzione internazionale del 1997. Da
tener sempre presente, è proprio il riconoscimento della libertà individuale di un soggetto, paziente
nella relazione terapeutica con un operatore sanitario, il quale è tenuto a rispettarne i desideri
(souhaits, nel testo originale redatto in francese) espressi dal primo, qualora dovesse trovarsi in
condizione di non poterli più esprimere.
Il CNB mette in chiaro la necessità di rifarsi alle Dichiarazioni in maniera libera e consapevole.
Si pone l’accento sulla forma corretta da utilizzare nella redazione da parte del paziente, che è
bene s’impegni a mettere le sue volontà per iscritto, avvalendosi, lì dove possibile, di un medico o di
un altra figura competente, al fine di fugare ogni pericolo di ambiguità terminologiche e
pratiche. Si tiene da conto il rischio di astrattezza delle disposizioni del soggetto, a causa dello
sfasamento temporale in cui queste si consumano. La mancata attualità, però, non impedirebbe
al soggetto di rivedere e riscrivere tali dichiarazioni, qualora nel corso del tempo dovesse cambiar
idea in merito ad uno, o a tutti i punti su cui ha espresso consenso/rifiuto.
Il rischio che il CNB vuole evitare di correre è legato al vincolo giuridico che tali dichiarazioni
non dovrebbero veicolare. Secondo quanto sottolineato dal Comitato, infatti:
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Altro grave problema (…) è quello della concreta configurazione che a seguito dell’osservanza
delle dichiarazioni acquisterebbe la decisione terapeutica del medico. Se tale decisione dovesse
consistere in una fredda e formale adesione integrale alla lettera di quanto espresso nelle
dichiarazioni, si verrebbe a determinare un automatismo che, anche in quanto non dialogico,
finirebbe per indebolire, se non vanificare, il valore non solo etico, ma anche medicoterapeutico, della prassi medica e per potenziarne il carattere burocratico.
In questo contesto si inserisce la figura del fiduciario. Il soggetto del diritto che redige le
disposizioni anticipate ha la possibilità, si è detto, di nominare un garante che si impegni, qualora
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dovessero presentarsi le specifiche circostanze, ad interfacciarsi con il medico al fine ultimo di far
rispettare le volontà ed i desideri del paziente incosciente. Se il medico è tenuto a rispettare le
disposizioni del garante, è pur vero che queste non possono né entrare in contrasto con la morale
professionale dell’operatore sanitario né avere vincolo giuridico, bensì solo etico. Il compito del
fiduciario, d’altronde, non può essere paragonato a quello di un curatore patrimoniale di minori o
incapaci, proprio perché si occuperebbe esclusivamente di prender decisioni riguardo le
disposizioni terapeutiche indicate dal soggetto, comunicando col medico e concordando con lui la
via da seguire.
All’interno del documento, inoltre, si fuga ogni dubbio riguardo il pericolo dell’ammissione
dell’eutanasia. Con le dichiarazioni anticipate, afferma il CNB, non si ammette alcun tipo di
forma eutanasica, piuttosto esse rappresenterebbero un fondamentale strumento dato all’individuo
perché non vengano messi in atto trattamenti, configurabili come accanimento terapeutico. Di
seguito si riportano alcuni punti presentati nelle Dichiarazioni, che indicano il possibile contenuto
delle disposizioni:
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1.
Indicazioni sull’assistenza religiosa, sull’intenzione di donare o no gli organi per trapianti,
sull’utilizzo del cadavere o parti di esso per scopi di ricerca e/o didattica;
2. Indicazioni circa le modalità di umanizzazione della morte (cure palliative, richiesta di
essere curato in casa o in ospedale ecc.);
3. Indicazioni che riflettono le preferenze del soggetto in relazione al ventaglio delle possibilità
diagnostico-terapeutiche che si possono prospettare lungo il decorso della malattia;
4. Indicazioni finalizzate ad implementare le cure palliative, secondo quanto già indicato dal
CNB nel già citato documento Questioni bioetiche sulla fine della vita umana, del 14 luglio
1995;
5.
Indicazioni finalizzate a richiedere formalmente la non attivazione di qualsiasi forma di
accanimento terapeutico, cioè di trattamenti di sostegno vitale che appaiano sproporzionati
o ingiustificati;
6. Indicazioni finalizzate a richiedere il non inizio o la sospensione di trattamenti terapeutici di
sostegno vitale, che però non realizzino nella fattispecie indiscutibili ipotesi di accanimento;
7.
Indicazioni finalizzate a richiedere la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione
artificiale.
Pur essendo cosa diversa rispetto al consenso informato all’interno di una relazione medico/
paziente attiva ed attuale, il documento del Comitato afferma che le dichiarazioni anticipate di
trattamento si fondano sul principio di autonomia e che, proprio per questo, consentono di
contrastare le tendenze paternalistiche residue della medicina, ponendo le basi per un
confronto più ampio e consapevole tra i due soggetti in rapporto nell’atto medico. Ciò avviene,
secondo il CNB, proprio in quanto le dichiarazioni anticipate mantengono un carattere
giuridicamente non vincolante e non meramente orientativo, conservando intatte le due
dimensioni morali del medico e del paziente, cioè di chi deve prendere una decisione tenendo conto
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delle disposizioni di chi, invece, non ha o non ha più possibilità di esprimere la propria volontà in
merito a sé e al proprio corpo.
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› le direttive anticipate di trattamento: COSA NON SONO (deontologia medica e
ipotetiche derive)
Si è detto che le direttive anticipate hanno sollevato spinose questioni etiche, derivanti
specialmente dal fraintendimento e dalla confusione creati riguardo l’eutanasia, come se
promuovere una norma sul cosiddetto testamento biologico provocasse un effetto slippery slope in
grado di trascinare con sé effetti e che la comunità morale non fosse in grado di accettare.
Le direttive anticipate e l’eutanasia rappresentano due questioni differenti e come tali vanno
affrontate e trattate.
Per mettere chiarezza sul punto, occorrerebbe sottolineare cosa si intende per eutanasia (illegale
in Italia, stando agli artt. 575, 579, 580 del Codice Penale), distinta in attiva e passiva, che è cosa
ben diversa rispetto all’espressione della volontà di un soggetto di non essere sottoposto a
trattamenti ritenuti eccessivi e spropositati. Nel primo caso, l’eutanasia attiva, il medico
somministra al paziente richiedente capace di intendere e di volere un farmaco letale; nel secondo
caso, il medico sospende i trattamenti che mantengono in vita il paziente, come idratazione e
nutrizione artificiali, provocandone il decesso. Da distinguere, ancora, v’è il suicidio assistito.
Pratica legale in Svizzera (dove invece è vietata l’eutanasia), per la quale il medico consegna al
paziente il farmaco, ma non lo somministra direttamente, il che comporta una differente visione
dell’atto, penalmente parlando.
Le direttive anticipate, che non ammettano l’eutanasia, ma dichiarano le volontà del soggetto in
merito al bene terapeutico che l’individuo richiede per sé, dovrebbero diventare serio oggetto di
studio legislativo, in quanto non si sollevano questioni direttamente legate alla responsabilità del
medico, che è tenuto ad agire sempre con ragionevolezza rispettando le disposizioni del paziente.
Utile, a questo punto, è il riferimento al Codice di Deontologia Medica, riportandone gli articoli
che si esprimono sull’accanimento terapeutico, sui trattamenti eutanasici e sulle cure palliative.
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Arti. 16 ~ Procedure diagnostiche e interventi terapeutici non proporzionati.
Il medico, tenendo conto delle volontà espresse dal paziente o dal suo rappresentate legale e dei
principi di efficacia e di appropriatezza delle cure, non intraprende né insiste in procedure
diagnostiche e interventi terapeutici clinicamente inappropriati ed eticamente non
proporzionati, dai quali non ci si possa fondatamente attendere un effettivo beneficio per la
salute e/o un miglioramento della qualità della vita.
Il controllo efficace del dolore si configura, in ogni condizione clinica, come trattamento
appropriato e proporzionato.
Il medico che si astiene da trattamenti non proporzionati non pone in essere in alcun caso un
comportamento finalizzato a provocare la morte.
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Art. 17 ~ Atti finalizzati a provocare la morte.
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Il medico, anche su richiesta del paziente, non deve effettuare né favorire atti finalizzati a
provocarne la morte.
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Art. 18 ~ Trattamenti che incidono sull’integrità psico-fisica.
I trattamenti che incidono sull’integrità psico-fisica sono attuati al fine esclusivo di procurare un
concreto beneficio clinico alla persona.
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Art. 38 ~ Dichiarazioni anticipate di trattamento.
Il medico tiene conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento espresse in forma scritta,
sottoscritta e datata da parte di persona capace e successive a un’informazione medica di cui
resta traccia documentale.
La dichiarazione anticipata di trattamento comprova la libertà e la consapevolezza della scelta
sulle procedure diagnostiche e/o sugli interventi terapeutici che si desidera o non si desidera
vengano attuati in condizioni di totale o grave compromissione delle facoltà cognitive o
valutative che impediscono l’espressione di volontà attuali.
Il medico, nel tenere conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento, verifica la loro
congruenza logica e clinica con la condizione in atto e ispira la propria condotta al rispetto della
dignità e della qualità di vita del paziente, dandone chiara espressione nella documentazione
sanitaria.
Il medico coopera con il rappresentante legale perseguendo il migliore interesse del paziente e
in caso di contrasto si avvale del dirimente giudizio previsto dall’ordinamento e, in relazione alle
condizioni cliniche, procede comunque tempestivamente alle cure ritenute indispensabili e
indifferibili.
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Art. 39 ~ Assistenza al paziente con prognosi infausta o con definitiva
compromissione dello stato di coscienza.
Il medico non abbandona il paziente con prognosi infausta o con definitiva compromissione
dello stato di coscienza, ma continua ad assisterlo e se in condizioni terminali impronta la
propria opera alla sedazione del dolore e al sollievo dalle sofferenze tutelando la volontà, la
dignità e la qualità della vita.
Il medico, in caso di definitiva compromissione dello stato di coscienza del paziente, prosegue
nella terapia del dolore e nelle cure palliative, attuando trattamenti di sostegno delle funzioni
vitali finché ritenuti proporzionati, tenendo conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento.
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Rispetto al Codice del 2006, l’art. 38 sulle direttive anticipate è stato ampliato ed integrato, il
che si ritiene un importante passo avanti nella lotta contro il paternalismo medico e l’accanimento
terapeutico, di fronte ai concetti di “valore” e “dignità” della vita umana, che ognuno ha il diritto di
riempire di contenuti soggettivi, riconosciuti o riconoscibili (se non condivisi!) dalla comunità
morale di appartenenza, secondo il principio del permesso strettamente connesso con l’autonomia
decisionale di un individuo.
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I timori e le derive scaturiscono da una prospettiva errata che, così come s’è visto, collega
impropriamente la questione delle direttive anticipate all’ammissione dell’eutanasia. La
vulnerabilità di soggetti influenzabili ma non interdetti, inoltre, è un altro punto che spesso viene
ribadito. Si tratterebbe, però, di un’argomentazione molto debole, che si preoccupa del pericolo di
una strumentalizzazione delle volontà espresse, ad esempio, da persone molto anziane non ancora
malate, che potrebbero essere circuite al fine di ottimizzare i costi sanitari, evitando che queste
vengano sottoposte a trattamenti dispendiosi in termini di risorse economiche. Ciò non
rappresenta un valido contraddittorio proprio perché non funziona con una corretta e puntuale
distinzione delle problematiche bioetiche. Direttive anticipate di trattamento e politiche sanitarie
costituiscono due questioni diverse, e come tali andrebbero affrontate.
Dopo aver tracciato un quadro abbastanza conciso riguardo la definizione di “direttive
anticipate”, dunque, è possibile ripercorrere i tratti specifici del “caso Italia”, che merita un
discorso a parte, considerando tutte le spinte di potere che coinvolgono il costituirsi della comunità
morale e di tutto ciò che questa è disposta o meno ad accettare.
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› il caso italiano: la Chiesa.
Grande risalto in Italia ebbe il discorso di Pio XII negli anni ’50, quando per la prima volta
anche la Chiesa si espresse riguardo argomenti così difficili come quello dell’accanimento
terapeutico e delle terapie del dolore, poiché ormai si percepiva come urgente la risoluzione del
dilemma cattolico di fronte all’avanzamento tecnologico della medicina rianimativa.
La sofferenza è sempre stata considerata, dalla cultura cristiana, come un passaggio necessario
nella vita del fedele penitente, ed il dolore fisico, sotto forma di malattia o grave lesione, un segno
da accogliere come inevitabile nell’imperscrutabile disegno di Dio. Una visione del genere, però,
non poteva continuare ad essere condivisa in maniera univoca, la società stava storicamente
cambiando e s’affacciava la laicità come principio ispiratore di molte scelte morali, individuali e
collettive. Quest’ultima considerazione non vuol dare per concluso un processo di secolarizzazione
morale della comunità, che porterebbe ad un più condiviso sentimento di riconoscimento nei
confronti delle minoranze non religiose. Si ritiene, infatti, che l’elemento cristiano-cattolico nella
cultura e nella morale italiane ricopra un ruolo fondamentale, da tenere sempre in considerazione
nell’analisi socio-politica dello Stato, soprattutto in materia medico-scientifica.
Il 24 febbraio 1957, Pio XII intervenne con un discorso che ha fatto storia, al IX Congresso
nazionale della Società Italiana di Anestesiologia. Si espresse in merito a tali
problematiche, chiarendo il punto di vista cattolico ufficiale e rivolgendosi a chirurghi ed
anestesisti che, forse più di qualsiasi altro medico oggi così come nel passato, soffrono delle
difficoltà tecniche nell’instaurare un rapporto d’alleanza terapeutica (così come molti definiscono
la relazione medico/paziente) con il malato. La posizione del papa privilegia il bene del paziente,
che dovrebbe diventare il criterio per decidere se sospendere o meno un trattamento. Si tratta di
una raccomandazione di grande rilievo da parte della Chiesa, utile a far chiarezza in situazioni
limite sia per il paziente che per il medico, entrambi chiamati a prendere in solitudine delle
decisioni molto difficili. La pregiudiziale sulla sacralità della vita, tipica dell’etica cristiana, non
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rappresenterebbe un limite, in questo caso. Tutt’altro, essa verrebbe ben distinta dal concetto di
dignità della vita e di sproporzionalità terapeutica. Si sostengono, quindi, le cure palliative e si nega
qualsiasi genere di eutanasia.
Al discorso di Pio XII seguiranno, negli decenni successivi, altri importanti documenti ed
interventi, primi fra tutti l’Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II e molti confronti teologici aperti
da Ratzinger. La loro influenza è stata decisiva per la formazione, informata o meno, dell’opinione
pubblica maggiormente diffusa in Italia. Proprio per questo motivo, si è voluto dare spazio al
riferimento religioso in materia, definendo, in linea generale, quali sono le prospettive teologiche
ufficiali promosse dalla Chiesta cattolica. Tutto ciò può fare da premessa, in quanto sostrato
socialmente condiviso, ad altri approcci: in primo luogo quello medico-deontologico (di cui s’è già
detto) e quello giuridico, nel tentativo ultimo di promuovere una normativa definitiva che
concretizzi l’utilizzo del testamento biologico.
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› il caso italiano: la norma.
… Che non c’è.
Il lavoro legislativo e l’iter di proposta della norma sono cominciati nel 2008. Il 26 marzo 2009,
dunque, il Senato della Repubblica ha approvato la proposta di legge n. 2350 Disposizioni in
materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di
trattamento, che è poi passata dalla Commissione Affari Sociali della Camera, nel dicembre dello
stesso anno. Dopo varie approvazioni e modificazioni parziali del corpo del testo, ad oggi figura
ancora in corso d’esamina.
Tale disegno di legge dà risalto al principio d’autonomia del paziente, che va a configurarsi
all’interno dell’alleanza terapeutica con l’operatore sanitario, in linea con quanto affermato
dall’orientamento del CNB e dalle normative internazionali, tra cui la precedentemente citata
Dichiarazione dei diritti dell’uomo e la biomedicina. Si esclude qualsiasi forma di eutanasia e di
accanimento terapeutico. Si incoraggia, inoltre, un’informazione completa ed adeguata del malato,
affinché possa elaborare una scelta libera e consapevole, senza svuotare i doveri morali e
professionali del medico nel suo agire in vista del bene del paziente stesso. Il diritto alla vita viene
definito come inviolabile ed indisponibile. Se ne ribadisce il carattere giuridicamente non
vincolante e si stabilisce che queste disposizioni vengano redatte da un medico abilitato, conservate
da un notaio a titolo gratuito e possibili di modifiche da parte del paziente. Devono, però, essere
rinnovate periodicamente, in quanto hanno validità di cinque anni, e vanno inserite nella cartella
clinica del paziente. La posizione di “garanzia” del medico - che agisce secondo i principi di
precauzione, di proporzionalità e di prudenza - non deve, quindi, entrare in contrasto con le
volontà espresse dal paziente. Questo disegno di legge, da premessa, tiene conto degli artt. 2, 3, 13 e
32 della Costituzione italiana, definendo il concetto di “diritto alla salute”, sia in senso positivo che
in senso negativo. Un soggetto giuridicamente capace, quindi, può esprimere la volontà di essere
curato così come quella di non esser sottoposto ad alcun tipo di trattamento.
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Premettendo infine che, sulla base di quanto detto, non può esistere una differenza sostanziale
tra il decidere per se stessi se intraprendere trattamenti o se sospenderli, in caso fossero inutili o
sproporzionati, e neppure tra il decidere per sé attualmente o il farlo ora per un futuro, se non
possibile quanto meno prevedibile - le direttive anticipate di trattamento dovrebbero avere una
norma e dovrebbero essere da tutti utilizzate, al fine di rendere la vita un percorso
significativamente più consapevole in ogni sua fase. Al soggetto giuridicamente capace,
giuridicamente persona, dovrebbe essere consentito disporre della sua esistenza in tutti i suoi
passaggi, soprattutto in quelli più drammatici.
Attorno alle direttive anticipate di trattamento, in Italia non è raro che maturino dibattiti legati
al problema dell’eutanasia, ma in realtà queste non sono altro che un consenso informato più a
largo raggio. I principi su cui si fondano, infatti, sono gli stessi e, così come un individuo (lo si
ribadisce: non si tratta di casi d’emergenza, in cui il medico è tenuto ad agire comunque sul
paziente) può esprimere il suo consenso/dissenso ad un trattamento imminente, potrebbe farlo in
vista di un futuro di cui egli dovrebbe essere unico artefice.
Al di là delle formule medico-etiche che hanno trovato molto successo, prima fra tutte quella di
“accanimento terapeutico”, pericolosissime dal punto di vista interpretativo a causa dei labili
confini terminologici, bisogna che si sensibilizzi l’approccio alla problemica, così importante per
l’autonomia della persona le cui volontà, in ultima istanza, dovrebbero comunque essere vincolanti.
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Documenti consultati
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! Dichiarazioni anticipate di trattamento, Comitato Nazionale di Bioetica, 2003.
•
• Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina, Oviedo 1997.
• Codice di deontologia medica, 2014.
• Discorso di Pio XII ai partecipanti del IX Congresso della Società Italiana di Anestesiologia
intorno a tre quesiti religiosi e morali concernenti l’anelgesia, 1957.
• Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni
anticipate di trattamento, disegno di legge n. 2350 del 2009, detta anche “Decreto Calabrò”.
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