L'evoluzionismo: inquadramento storico Alcuni storici della biologia hanno sostenuto che, prima di Lamarck, vi sono stati dei precursori delle teorie evolutive moderne (tra questi Leibnitz). Certi si sono spinti ben oltre, riuscendo a rintracciare elementi di pensiero evoluzionistico perfino nei pensatori della Grecia antica. Sta di fatto che, ad essere un minimo obiettivi, non è possibile, alla luce delle attuali conoscenze in fatto di storia delle idee biologiche, mettere sullo stesso piano i concetti elaborati da Lamarck e più ancora da Darwin e quelli, alquanto vaghi e fumosi, di ipotetici anticipatori, per quanto illustri. Il perché è piuttosto evidente: prima del 1800, nessun pensatore, per quanto "materialistica" fosse la sua impostazione filosofica, aveva mai messo in dubbio il credo creazionista. In altri termini, nessun filosofo o scienziato aveva mai osato contrapporre il "pregiudizio" della creazione deliberata degli organismi da parte di un'entità soprannaturale ad un meccanismo di generazione organica basato esclusivamente su processi naturali (fisici, chimici, ecc.). Sarebbe lungo e forse improduttivo dilungarsi nella ricerca delle ragioni che hanno determinato il ritardo, da parte della scienza, nell'elaborare e nell'accettare senza riserve una spiegazione non metafisica riguardo le origini della vita sul nostro pianeta - e, di riflesso, le origini dell'uomo. Questa breve nota si propone quindi di esaminare, seppur in modo sintetico e certamente incompleto, lo sviluppo del pensiero evoluzionistico moderno a partire dal suo primo esponente riconosciuto, vale a dire Lamarck. J. B. Monet de Lamarck (1744 - 1829), di formazione botanico, ebbe uno strano destino. Fu un convinto creazionista per gran parte della sua vita, poi, a seguito probabilmente di certi studi da lui condotti su varie serie di molluschi fossili, cambiò idea convincendosi che le specie - fino ad allora considerate sostanzialmente immutabili nel tempo - dovevano aver avuto una storia naturale caratterizzata da cambiamenti più o meno rilevanti. Come si possa spiegare questa "conversione" in un uomo già maturo (Lamarck divenne evoluzionista a 55 anni!) e culturalmente formato secondo i canoni concettuali tradizionali dell'epoca resta tutt'oggi argomento di discussione. Gli scienziati del tempo erano ben consapevoli che gli organismi potevano essere idealmente ordinati in una scala di complessità crescente - la scala naturae, come veniva definita nel '700 -, scala che andava dai livelli più bassi degli esseri più semplici (microrganismi, ma non solo) a quelli più elevati sui quali venivano posti i Vertebrati e, 1 al culmine, ben più in alto di tutti gli altri, l'uomo. La constatazione che esisteva una complessità crescente nei vari esseri viventi veniva spiegata dai naturalisti del tempo con l'ipotesi di atti creativi separati, nel caso delle specie "superiori", o con l'ipotesi della generazione spontanea, nel caso delle specie "inferiori", ma senza ricorrere ad alcuna spiegazione di tipo trasformistico. Le nuove idee di Lamarck, esplicitate nella sua opera più celebre, intitolata Philosophie zoologique (del 1809), risultarono essere una proposta di diversa spiegazione dei tre fatti a quel tempo generalmente noti, ovvero: 1 - negli organismi si riscontra, secondo una serie graduata, una "perfezione" crescente; 2 - gli organismi appaiono caratterizzati da un'enorme diversificazione nei vari ambienti (principio di "pienezza"); 3 - gli organismi fossili mostrano di essere spesso assai diversi da quelli attuali. Lamarck pose l'accento in particolare sul grado di adattamento all'ambiente dei vari esseri viventi. Gli organismi sembravano essere stati quasi plasmati per vivere in presenza di determinate condizioni ambientali. Come poteva essere spiegato ciò, senza chiamare in causa costantemente la provvidenza divina? Lamarck suggerì che gli organismi potessero modificarsi in risposta ai cambiamenti dell'ambiente, la qual cosa scuoteva le basi, fino ad allora solidissime, dell'immutabilità delle specie (qualunque fosse il significato attribuito a quest'ultimo termine). Egli insistette molto sull'importanza della lentezza e della gradualità di tale processo di modificazione ("Questi cambiamenti avvengono con estrema lentezza, che li rende sempre impercettibili"). L'evoluzione spiegherebbe pertanto i tre fatti suddetti nel modo seguente: 1 - la serie graduata di "perfezione" che si riscontra negli organismi si deve al fatto che esistono linee evolutive risultanti dai processi di modificazione, in atto da moltissimo tempo, che dagli esseri più semplici - presumibilmente originatisi per generazione spontanea - conducono a quelli più complessi ed evoluti; 2 - la diversificazione ambientale degli organismi è spiegabile con la necessità, da parte di questi ultimi, di adattarsi a condizioni ambientali che, mutando nel corso del tempo, costringono gli esseri viventi al cambiamento; 3 - la constatazione che le specie fossili sono spesso del tutto diverse da quelle attuali rappresenta la più convincente testimonianza del fatto che le prime si sono trasformate nelle seconde mediante un lento processo di evoluzione naturale. Quali possono essere le cause del cambiamento evolutivo? Lamarck ne propose 2 fondamentalmente due: a - la "perfettibilità" intrinseca degli organismi (la natura "conferisce alla vita animale la facoltà di rendere sempre più complessa l'organizzazione stessa"); b - la necessità e la capacità di rispondere alle condizioni ambientali mutevoli (adattamento). Le conseguenze dirette di tali cause saranno: 1 - il cambiamento dei bisogni (besoins) degli organismi; 2 - l'adattamento tramite il comportamento; 3 - l'uso più frequente di certe parti del corpo (che, quindi, tendono a svilupparsi). L'identificazione delle cause dell'evoluzione, condusse Lamarck a formulare, quasi inevitabilmente, due "leggi": Prima legge: negli organismi, l'uso, ovvero il disuso, di certe parti del corpo conduce ad un aumento, ovvero ad una diminuzione, delle capacità funzionali delle stesse (purché il processo avvenga in animali che non abbiano ancora raggiunto il termine del proprio sviluppo). Seconda legge: i cambiamenti verificatisi negli organismi nel corso della loro vita, che hanno permesso agli stessi di sopravvivere nell'ambiente, saranno trasmessi alla discendenza (ereditarietà dei caratteri acquisiti), a patto che tali cambiamenti si siano attuati in entrambi i genitori, o almeno in coloro che hanno generato i nuovi individui. E' bene chiarire subito due aspetti, relativi a queste "leggi", spesso fraintesi da non pochi interpreti del pensiero lamarckiano. Innanzitutto, per Lamarck, l'ambiente non può indurre direttamente modificazioni rilevanti nella struttura degli organismi. L'ambiente svolge la funzione di stimolare, e al limite di migliorare, le caratteristiche adattative di certe strutture corporee, che comunque devono già essere presenti nella specie. In secondo luogo, la credenza nell'ereditarietà dei caratteri acquisiti non fu un'invenzione di Lamarck. Sebbene egli rimanga ancora oggi celebre per questo aspetto della teoria, praticamente tutti gli scienziati del suo tempo - e molti altri che vennero dopo di lui, Darwin compreso - accettavano come un dato di fatto che i caratteri acquisiti fossero ereditabili esattamente come tutti gli altri. Lamarck, sebbene combattuto aspramente da illustri colleghi "fissisti" e infine dimenticato, rimane, alla luce di una lettura più attenta e obiettiva della sua opera, il primo evoluzionista coerente che la biologia moderna abbia espresso. Malgrado le spiegazioni da lui proposte in merito ai meccanismi evolutivi si siano rivelate errate, resta l'ammirazione per la novità del suo pensiero e per il coraggio intellettuale dimostrato nel contrastare le vecchie e non più sostenibili idee riguardanti la storia 3 degli organismi viventi. Charles Darwin (1809 - 1882) fu uno dei critici più impietosi di Lamarck. Benché entrambi i naturalisti fossero interessati al problema della supposta immodificabilità delle specie ed alla loro origine, Darwin impostò la sua ricerca su basi totalmente differenti da quelle dello scienziato francese. Come noto, Darwin venne profondamente colpito dalle osservazioni eseguite nel corso del suo lungo viaggio sul Beagle (1831 - 1836), viaggio che gli permise di raccogliere un'enorme quantità di informazioni - di carattere geologico, paleontologico e biologico - praticamente in tutti i continenti. Egli si rese conto della grande variabilità esistente nel mondo degli organismi, delle somiglianze e delle differenze tra le faune continentali e insulari, ed iniziò a chiedersi le ragioni vere di tutto ciò. E' altrettanto noto che Darwin lesse con estremo interesse due opere che certamente lo influenzarono e gli permisero di costruire la sua grande teoria su basi solide. Le due opere in questione sono il Saggio sulla popolazione di R. Malthus e i Principles of Geology di C. Lyell. Nella prima venivano chiaramente espressi i concetti di crescita esponenziale delle popolazioni animali e di limitazione delle risorse ambientali; nella seconda, scritta da uno dei più celebri geologi dell'epoca, si dimostrava che i fattori che determinano le modificazioni sulla superficie terrestre agiscono in modo continuativo, perlopiù impercettibile ai nostri sensi, e non esclusivamente episodico e "catastrofico", come molti scienziati del tempo credevano. L'ipotesi "attualistica" di Lyell permetteva, tra l'altro, di retrodatare di parecchio l'età della Terra e di concedere più tempo ai meccanismi dell'evoluzione biologica concepiti successivamente da Darwin. Il lungo periodo intercorso tra la fine del viaggio sul Beagle e la pubblicazione dell'Origine delle specie (1859) servì indubbiamente a Darwin per raccogliere ulteriori prove e per consolidare le sue idee intorno al nucleo centrale della nascente teoria dell'evoluzione. Le prove fondamentali che Darwin porta a sostegno della sua teoria possono essere sintetizzate come segue: 1 - la testimonianza dei fossili (le forme fossili ci dicono che gli organismi sono cambiati nel corso del tempo, malgrado lo stesso Darwin riconosca che uno dei limiti più seri posti alla ricerca sia rappresentato dall'incompletezza delle testimonianze fossili); 2 - la distribuzione geografica delle specie, la morfologia comparata, le omologie e le caratteristiche embriologiche inducono a ritenere che gli organismi viventi, attuali e 4 estinti, hanno una storia comune iniziata milioni di anni or sono, a partire da poche o, al limite, da una sola forma ancestrale (ipotesi del progenitore comune unico); 3 - la selezione artificiale (l'uomo è capace di modificare certi caratteri degli organismi a proprio beneficio, tramite incroci tra riproduttori accuratamente scelti). Il meccanismo che, secondo Darwin, è responsabile del cambiamento delle specie è la selezione naturale, mediante la quale i fattori ambientali - comunque variabili nel tempo - premiano gli individui più prolifici perché in possesso delle combinazioni di caratteri più vantaggiose in quel dato contesto ambientale. Ernst Mayr, biologo e storico della biologia, ha scritto che la logica della teoria della selezione naturale darwiniana si basa su cinque fatti (osservazioni comuni) e tre inferenze: Fatto n° 1 : gli organismi tendono a crescere in modo esponenziale (le varie popolazioni tendono cioè a generare un numero di discendenti di gran lunga superiore a quanti sopravvivano effettivamente); Fatto n° 2 : le popolazioni naturali dei vari organismi tendono ad essere numericamente stabili (esistono, in sostanza, dei "freni" alla crescita teorica esponenziale); Fatto n° 3 : le risorse naturali sono limitate (affermazione già contenuta nel saggio di Malthus); Inferenza n° 1 : deve verificarsi una qualche forma di competizione fra gli individui delle singole popolazioni. Fatto n° 4 : esiste una grande variabilità fra gli individui; Fatto n° 5 : gran parte della suddetta variabilità è di origine genetica; Inferenza n° 2 : la sopravvivenza individuale non è un fatto casuale (vi è selezione naturale). Inferenza n° 3 : a lungo andare, la selezione naturale porta al cambiamento delle specie e, quindi, all'evoluzione. Non può essere passato sotto silenzio il fatto che la teoria della selezione naturale e dell'evoluzione biologica ebbe un altro padre. Alfred Russel Wallace scrisse, prima della pubblicazione dell'Origine delle specie, un articolo nel quale, in modo del tutto indipendente da Darwin, giungeva alle stesse sostanziali conclusioni. Per tale motivo, molti ritengono che la teoria della selezione naturale debba essere più correttamente definita teoria di Darwin - Wallace. 5 A questo punto, si impone come necessario un confronto fra la teoria evolutiva di Lamarck e quella di Darwin. Tenuto conto che una teoria deve avere comunque i suoi "capisaldi", vediamo cosa accomuna e cosa divide i due grandi naturalisti su quattro punti caratterizzanti il pensiero evoluzionistico. 1) EVOLUZIONE contro FISSISMO: Lamarck e Darwin la pensano allo stesso modo, rifiutando l'ipotesi dell'immutabilità delle specie. 2) IL MECCANISMO DELL'EVOLUZIONE: su questo punto, Lamarck e Darwin condividono solo, ed in parte, la credenza in una forma di eredità "debole" (ereditarietà dei caratteri acquisiti). 3) DIVERSITA' E ADATTAMENTO: Lamarck ipotizza una evoluzione adattativa basata su processi fisiologici imposti dal bisogno degli organismi di far fronte ai cambiamenti ambientali; Darwin chiama in causa la variabilità individuale e la selezione naturale. 4) L'ORIGINE DI NUOVE SPECIE: Lamarck era convinto che le specie subissero lente trasformazioni nel corso del tempo, ma senza estinzioni; Darwin ipotizza cambiamenti graduali con episodi di estinzione. A proposito del concetto di specie, così dibattuto anche oggi, lo stesso Darwin, che pure intitolò la sua opera fondamentale L'Origine delle specie, ebbe a scrivere (2° capitolo, intitolato "La variazione allo stato di natura"): "…E non discuterò nemmeno, in questa sede, delle varie definizioni del termine specie. Nessuna di esse ha mai soddisfatto tutti i naturalisti, anche se ogni naturalista sa, più o meno, che cosa intende quando parla di specie. Generalmente il termine implica l'elemento sconosciuto di un particolare atto di creazione". Johann G. Mendel (1822 - 1884) è unanimemente considerato il padre della genetica, ovvero della scienza che si preoccupa di spiegare i meccanismi attraverso i quali i caratteri ereditari vengono trasmessi da una generazione all'altra. I suoi classici esperimenti sui piselli furono condotti, come si evince dalle sue note, dal 1856 al 1871, e la sua memoria più famosa è datata 1866. Come si vede, Mendel fu attivo proprio negli anni delle grandi discussioni intorno alla teoria dell'evoluzione darwiniana, ma il destino volle che le sue fondamentali scoperte non ricevessero allora l'attenzione che meritavano. Eppure i meccanismi ipotizzati da Mendel, in gran parte giusti, avrebbero potuto rafforzare la teoria di Darwin e rendere assai più verosimili le spiegazioni 6 sull'origine della variabilità genetica e sulle modalità di trasmissione dei caratteri sui quali agisce la selezione naturale. Mendel propose, per la prima volta, un modello di ereditarietà particellare (forte), basata su elementi fisici discreti ("Elemente"), i quali si separano, nei genitori, al momento della formazione dei gameti per riunirsi, nel corso della fecondazione, nei figli. Si può ben dire che Mendel fu il primo scienziato a spiegare l'ereditarietà impostando le sue ricerche su basi quantitative. Benché egli avesse erroneamente ipotizzato che gli elementi genetici potessero fondersi negli individui omozigoti, ebbe il merito di riuscire a spiegare in che modo tali elementi passassero, senza "diluizioni", da una generazione all'altra. I motivi della scarsa considerazione concessa al lavoro di Mendel possono essere ricercati, in parte, nel fatto che egli pubblicò poco e i suoi scritti (che probabilmente Darwin lesse, ma con distrazione) pure circolarono poco. Ma soprattutto incisero le indecisioni di Mendel riguardo ai risultati - non chiari - ottenuti a seguito degli incroci da lui effettuati tra specie diverse (ibridazione interspecifica). Mendel fu riscoperto solo nel 1900, quando alcuni botanici ripeterono in vari modi i suoi esperimenti confermandone la validità dei risultati. Furono L'olandese H. De Vries, il tedesco C. Correns e l'austriaco E. von Tschermak - quest'ultimo più in veste di ibridatore che di genetista formale - a formulare le leggi che ancora oggi gli studenti sono abituati a definire "di Mendel". Da allora, la genetica conobbe uno sviluppo rigoglioso, con la scuola di T. H. Morgan e le sue drosofile in primo piano. Vennero chiariti i concetti di mutazione, di eredità cromosomica, di linkage, di eredità legata al sesso, di codominanza, di eredità poligenica, ecc.. La genetica moderna, dalla riscoperta di Mendel in avanti, costituì un formidabile strumento per chiarire quegli aspetti della teoria darwiniana che ancora non erano convincenti. Negli anni '20 e '30 del secolo scorso, inoltre, vari ricercatori tentarono di riconsiderare su basi matematiche i processi evolutivi (Hardy-Weinberg, Sewall Wright, Fisher e altri), con risultati tuttavia non sempre felici. Intorno agli anni '40 e '50, un gruppo di biologi, paleontologi e genetisti - tra questi Mayr, Simpson, Dobzhansky, Huxley - propose la sintesi neodarwiniana, consistente nella riformulazione della teoria dell'evoluzione alla luce delle più recenti scoperte nei vari campi delle discipline biologiche. Tale sintesi, malgrado numerose e a volte 7 consistenti critiche, rimane un punto di riferimento imprescindibile per chiunque voglia confrontarsi con i problemi dell'evoluzione biologica. Nuovi contributi alla teoria evolutiva darwiniana sono venuti dai paleontologi americani Niles Eldredge e Stephen J. Gould, particolarmente critici nei confronti del "gradualismo", che elaborarono, all'inizio degli anni '70, una personale interpretazione dei meccanismi macroevolutivi formalizzata nella celebre teoria degli equilibri punteggiati (o intermittenti) ed aprendo così la strada ad una sintesi estesa del darwinismo. Più di recente, biologi evoluzionisti e naturalisti hanno riconsiderato ulteriori aspetti del darwinismo, giungendo alla formulazione di nuove ipotesi riguardanti i meccanismi di speciazione e i "bersagli" della selezione naturale. Dal gene "egoista" di Dawkins alla teoria "biosferocentrica" - chiaramente mutuata dall'ipotesi di Gaia di Lovelock -, il dibattito scientifico sull'evoluzione non ha mai cessato di stimolare i ricercatori e gli storici della scienza. 8