La scoperta del tempo nei fenomeni naturali

Alessandro Iannace
La scoperta del tempo nei fenomeni
naturali
I bambini degli anni novanta che in questi giorni si
riversano nelle sale cinematografiche per decretare il
successo dell'ennesimo show-business di Hollywood, "The
Flintstone's", non si meraviglieranno più di tanto all'idea di
un passato remoto popolato di dinosauri e uomini armati di
clava. La nozione di un passato che ci ha preceduto sulla
Terra, ben più lungo di quello che a scuola avevamo
chiamato Storia o finanche Preistoria, é presente nel senso
comune dell'Uomo del XX secolo molto più di quanto non
lo fosse, nell´Uomo del XVII, la concezione eliocentrica di
Copernico e Galileo. Una verità che oggi può apparire ovvia
ad un adolescente cresciuto tra giochi elettronici,
documentari scientifici e gadgets con dinosauri e
mammouth, ha richiesto invece un dibattito scientifico ed un
lungo processo di maturazione durati quasi due secoli, prima
di potersi definitivamente affermare nella metà di questo
secolo.
Eppure, così come ancora oggi, nella moderna civiltá
tecnologica, dominata da elettronica ed informatica, molte
nostre idee sul mondo fisico restano aristoteliche, come se
non avessimo del tutto assimilato la lezione di Galileo, cosí
la coscienza della vastitá del tempo passato é ancora
piuttosto approssimativa. Per fare un esempio, la confusione
tra il tempo dei dinosauri e quello, molto piú recente, degli
uomini della pietra, confusione sulla quale si basa la fortuna
della saga cartoon dei Flintstone's, interessa gran parte delle
persone, anche quelle culturalmente piú elevate.
Ho verificato spesso la difficoltá di molti nel
distinguere il geologo dall'archeologo, figure in realtá molto
diverse per formazione culturale, temi e metodologie di
indagine, ma che vengono assimilate solo perché entrambe
quotidianamente in relazione con un passato piú o meno
profondo. La confusione tra geologia ed archeologia coglie
peró in realtá l'elemento di profonda analogia esistente tra
queste due discipline, e cioé il fatto che entrambe sono
discipline storiche, nelle quali dunque la dimensione tempo
é fondamentale, addirittura essenziale per la loro stessa
definizione come discipline scientifiche.
Quest'affermazione apparirá senz'altro banale per le
discipline archeologiche. E' difficile immaginare, infatti,
uno studio di reperti archeologici senza un ordinamento
cronologico degli stessi. Questo accade perché i segni
lasciati dall'Uomo e dalla sua cultura nei reperti archeologici
sono troppo esplicitamente leggibili come tracce di un
passato che é possibile ordinare cronologicamente. Non a
1
caso la cronologia dell'archeologia é basata sul susseguirsi di
culture, ciascuna corrispondente a precisi materiali e stili.
Solo un rozzo collezionista potrebbe accumulare terrecotte o
pietre scheggiate senza scorgere in essi i segni della Storia,
del Tempo.
L'infanzia della Geologia ha invece conosciuto lunghi
periodi in cui esistevano solo "rozzi collezionisti" di pietre le
quali venivano raccolte e classificavate in base alle proprietá
piú diverse, ora puramente morfologiche, piú spesso sulla
base della loro utilitá. Per lungo tempo anche i fossili, cioé i
resti pietrificati di antichi organismi, sono stati classificati
insieme a minerali e rocce, che al contrario hanno in genere
un'origine puramente inorganica. Del resto, lo stesso termine
di fossile indica, nell'accezione originale, piú vicina all'etimo
latino (da fossus, participio di fodere = scavare),
semplicemente un oggetto che é stato recuperato scavando
nella terra. Era questa un'epoca nella quale esisteva solo la
Mineralogia, non la Geologia o, come si dice oggi in senso
molto piú ampio, le Scienze della Terra. Minerali e rocce
venivano collezionati per le loro forme insolite,
intravedendo in queste ora l'espressione di un'aristotelica vis
plastica, ora un disegno piú o meno divino, senza
assolutamente pensare di poter leggere in essi una storia
passata.
Eppure la vera natura dei fossili, quali reperti di
animali e piante di un lontano passato, durante il quale
alcune regioni della Terra erano ricoperte dal mare, era stata
intuita in maniera piú o meno compiuta da numerosi
pensatori, da Senofone, ad Empedocle, fino a Leonardo da
Vinci. Ma se ció era stato sufficiente a sconfiggere idee
mitiche o superstiziose sulla origine di questi oggetti naturali
apparentemente cosí strani, non era bastato per introdurre la
nozione di tempo, di cronologia nello studio della Natura. Le
Teorie della Terra dominanti nel XVI e XVII secolo erano
saldamente vincolate al racconto biblico e all'idea della
creazione come atto iniziale della vita della Terra e
dell'Uomo. La faccia della Terra era ritenuta sostanzialmente
immutata a partire da quell'atto iniziale relativamente recente
ed i fossili erano interpretati come la testimonianza del
diluvio universale. La possibilitá di una cronologia, di una
storia della Terra che precede l'uomo, era quindi negata
dall'accettazione della Bibbia. Il Tempo poteva avere senso
solo per la civiltá umana, nei limiti della cronologia biblica
(che fissava, secondo il calcolo dell'arcivescovo Ussher alle
9 del 26 ottobre 4004 B.C. la data della Creazione), non
poteva averne per la Terra.
L'atto di nascita della Geologia come scienza
sperimentale, il suo superamento della Minaralogia, scienza
allora puramente classificativa, coincide proprio col
riconoscimento della posssibilitá di stabilire una Storia della
Terra a partire dai segni lasciati da questa, siano essi fossili,
minerali ma anche vallate e montagne. Solo quando si
afferma l'idea che l'attuale faccia della Terra rappresenta un
momento dinamico, il risultato di una serie di processi
ancora in atto, di una Storia che é possibile ricostruire
mediante l'osservazione delle rocce, del "meraviglioso libro
della Natura", la Geologia nasce come scienza. La scoperta
del tempo é dunque centrale per la sua stessa definizione.
Forse non é esagerato dire che questa scoperta é il
risultato di un processo tipicamente empirico, induttivo.
L'accumularsi, nel corso dei secoli, di osservazioni di terreno
in diverse regioni dell'Europa fece scoprire ai primi geologi
(in realtá all'epoca non si qualificavano come tali ma erano
piuttosto abati, ingegneri minerari, medici ecc.) l'esistenza di
alcune regolaritá nella disposizione spaziale delle masse
rocciose. Queste infatti sono spesso stratificate e vedono un
succedersi di litologie, e forme fossili associate, non casuale
ma sistematico, tanto da poter essere prevedibile o
riproducibile in regioni anche molto distanti tra di loro
come, per esempio, tra le due sponde del canale della
Manica. All'inizio questa regolaritá era stata sfruttata per
scopi eminentemente utilitaristici, per esempio nella
coltivazione delle miniere, utilizzando un tipo di inferenza
empirica molto semplice: se un certo strato roccioso si
ritrova sempre al di sotto di un altro, ogni qualvolta in
superficie viene trovato il secondo si puó ipotizzare la
localizzazione del primo in profonditá.
Il passo decisivo peró verso una interpretazione
storica della disposizione delle rocce, fu fatto solo quando si
affermó l'idea che queste sono il prodotto di ripetuti processi
di erosione e sedimentazione o di eruzioni vulcaniche
analoghi a quelli osservabili attualmente. Questa
acquisizione, che oggi appare quasi banale, determinó una
totale rivoluzione nella maniera di osservare il paesaggio che
aprí la strada ad un impressionante mole di nuove
conoscenze Una volta infatti interpretate le rocce ed i fossili
in esse contenuti come tracce di epoche passate, il succedersi
ordinato, o meglio ordinabile, in diverse regioni d'Europa di
particolari litologie e dei fossili associati condusse
naturalmente alla compilazione di una tabella
cronostratigrafica: ad ogni livello roccioso particolare, ed ai
fossili in esso contenuti, venne associato un nome
carateristico. Da quel momento, tutte le rocce contenenti gli
stessi fossili verranno attribuite allo stesso intervallo
cronostratigrafico, cioé ritenute coeve.
I vari nomi delle suddivisioni della tabella
cronostratigrafica generalmente sono ispirati alla localitá
nella quale é stata stata studiata per la prima volta la massa
rocciosa in questione ma, forse proprio per evocare il senso
del passato, alcuni sono stati ispirati ai nomi di antiche
popolazioni vissute nelle aree dove le rocce erano state
studiate. E cosí, accanto a Giurassico (dal Giura francosvizzero), Devoniano (dal Devon, Inghilterra) o Siciliano (da
Sicilia, in Italia), abbiamo Siluriano (Da Siluri, antica
2
popolazione del Galles), Cambriano (da Cumbria, antico
regno britannico).
In queste definizioni é fondamentale indicare le rocce
ed i fossili sottostanti e quelli sovrastanti che saranno
considerate d'ora in avanti rispettivamente piú antichi e piú
giovani della massa rocciosa in questione, anche quando
trovate in altre regioni. Come si vede si tratta di un criterio
di ordinamento spaziale relativo di masse rocciose, basato
cioé sulle relazioni geometriche tra strati, che puó essere
modificato continuamente da nuovi ritrovamenti.
Infatti, viste in retrospettiva, le prime suddivisioni
appaiono piuttosto grossolane. All'inizio le rocce venivano
classificate semplicemente in Primarie, Secondarie,
Terziarie e Quaternarie. Col tempo, questa prima
suddivisione, ancora oggi utilizata, e che si deve algli italiani
Antonio Lazzaro Moro (1687-1764) e Giovanni Arduino
(1713-1795), si arricchí e si affinó, via via che che ci si
andava accorgendo che era possibile ulteriormente
suddividere ed ordinare la panoplia disordinata di rocce
disponibili all'analisi stratigrafica e paleontologica. E' un pó
quello che accadrebbe se dovessimo mettere ordine in un
vecchio cassettone di foto di famiglia. Inizieremmo col
distinguere prima quelle dove compare ancora il nonno da
quelle dove é assente, da quelle dove é presente nostro
figlio. In seguito, all'interno di gruppi cosí costituiti,
potremmo fare ulteriori suddivisioni fino ad ordinare tutte le
foto in una cronologia piú dettagliata.
Da questo punto di vista, la creazione della tabella
cronostratigrafica é dunque un processo sempre aperto ai
perfezionamenti. Giorno per giorno, geologi e paleontologi
che fanno ricerca in tutte le parti del mondo, compresi oggi i
fondali oceanici, propongono delle leggere modifiche alle
suddivisioni presenti nella tavola cronostratigrafica,
riconoscendo nuove associazioni di fossili alle quali
attribuire un significato cronologico relativo tra due
suddivisioni precedentemente accettate. Non esiste a priori
un limite a tale processo in quanto non sappiamo a priori
qual'é la successione ideale e completa delle rocce e dei
fossili della Terra. Abbiamo solo la possibilitá di raccogliere
le tantissime tessere che compongono un mosaico infinito
senza avere a disposizione il disegno da ricostruire. In
questo senso la Stratigrafia, la disciplina delle Scienze della
Terra che si occupa della ricostruzione delle sequenze di
rocce e fossili in termini cronologici, é una scienza
puramente empirica.
In effetti, si potrebbe obiettare che il mosaico da
ricostruire non é infinito in quanto la storia da ricostruire si
puó ridurre a quella della Terra e questa deve pur avere
un'origine definita nel tempo. Questa considerazione ci
conduce ad un'importante aspetto che é quello dell'esistenza
di un secondo modo di concepire il tempo nelle Scienze
della Terra.
In effetti finora ho parlato solo di rocce e mai di
tempo espresso in secondi o anni. In particolare, ho
sottolineato che la sovrapposizione regolare degli strati di
roccia é stata interpretata, a partire da un certo momento
storico, come rappresentativa dello scorrere del tempo.
Bisogna tuttavia realizzare che il semplice criterio
stratigrafico non ci consente di dire quanto antica, in termini
di anni, sia una roccia ma solo se essa sia piú o meno antica
di un'altra sulla base delle posizioni geometriche relative e
del contenuto in fossili. Con la Stratigrafia abbiamo dunque
capito che le rocce rappresentano il nastro magnetico sul
quale é registrata la storia della Terra senza tuttavia essere in
grado di sapere a quale velocitá scorra questo nastro.
Questo punto rappresenta un nodo epistemologico
essenziale che spesso non viene considerato nella sua
profonditá anche da molti specialisti. In effetti, é diventata
pratica comune associare, per esempio, al Cretaceo
l'intervallo di tempo 130-65 milioni di anni o al Cambriano
l'intervallo 590-500. Queste valutazioni sulla durata assoluta
sono in effetti oggi verificate con un buon grado di
precisione ed in futuro c'é da attendersi solo leggere
modifiche su simili stime. Tuttavia, nel passare dal concetto
"Cretaceo" a quello "130-65 milioni di anni" si compie un
grosso salto concettuale.
In effetti, la denominazione Cretaceo indica solo e
soltanto "rocce caratterizzate da un certo contenuto fossile e
che, come la Craie (in latino creta, roccia tipica del bacino di
Parigi sulla quale é stato definito originariamente), sono
sovrapposte al Giurassico e sottoposte al Paleogene".
Null'altro. Per quanto questo concetto possa evocare un
lontano passato popolato dai soliti dinosauri o da meno
hollywoodiane (ma piú utili per lo stratigrafo) ammoniti,
esso non implica l'intervallo assoluto di tempo nel quale
queste rocce andavano formandosi. Il Creataceo, per lo
stratigrafo, indica solo delle rocce particolari e precisamente
quelle sovrapposte al Giurassico e sottoposte al Paleogene.
Esso puó avere uno spessore, ma non necessariamente una
durata particolare.
Del resto, per apprezzare questo punto basterebbe
pensare che le denominazioni fondamentali della tavola
cronostratigrafica sono abbondantemente precedenti alla
definizione di una cronologia assoluta, quella, per
intenderci, che ci dice quanto, in termini di anni, sia antica
una certa roccia.
La datazione assoluta é sicuramente piú suggestiva,
per il profano, rispetto alla determinazione dell'etá
stratigrafica di una roccia, che appare densa di significato
solo allo specialista. Con questo tipo di approccio si é per
esempio riusciti a datare a 4.5 miliardi di anni l'origine della
Terra, obiettivo sicuramente impossibile metodologicamente
per la Stratigrafia in quanto le rocce formatesi in quella fase
primordiale sono state senz'altro spazzate via dall'erosione e
sarebbero state comunque prive di fossili.
Il metodo attraverso il quale si puó giungere ad un
risultato apparentemente cosí sorprendente come quello di
dire quanti anni fa si é formata una roccia, é basato sullo
studio di fenomeni e processi totalmente differenti rispetto ai
processi di sedimentazione e di evoluzione delle forme
viventi che, dando luogo alle successioni ordinate di rocce e
fossili, costituiscono l'oggetto di indagine dello stratigrafo. Il
cronometro della cronologia assoluta é basato infatti sul
decadimento radioattivo di alcuni particolari elementi, e cioé
sulla trasformazione di alcuni isotopi in quelli di un altro
elemento ad un ritmo costante nel tempo. Cosí, se per lo
stratigrafo tempo significa pile ordinate di strati di roccia,
nella cronologia assoluta il tempo é rappresentato da
accumuli di microscopici isotopi di particolari elementi in
particolari minerali.
I fondamenti teorici e le complesse tecniche
analitiche di questo metodo sono stati sviluppati solo nella
3
prima metá di questo secolo e sono oggi di routine in molti
laboratori di tutto il mondo. Esistono diversi metodi di
cronologia assoluta basati sul decadimento di diversi
elementi radioattivi ma l'approccio utilizzato in tutti questi
metodi é sempre lo stesso. Se l'elemento A contenuto in un
particolare minerale costitutivo di una roccia si trasforma in
un elemento B ad una velocitá conosciuta, la concentrazine
di B nella roccia, misurata oggi, dipenderá da tre fattori: la
concentrazione di B nella roccia all'epoca della sua
formazione, la concentrazione di A nella roccia che controlla
il tasso di formazione di atomi dell'elemento B ed, infine, il
tempo intercorso dall'epoca della sua formazione.
Disponendo di almeno due rocce cogenetiche (formatesi
insieme e aventi perció la stessa etá) ma caratterizzate da
diversi valori di concentrazione di A e di B, entrambe
quantitá misurabili, potremo calcolare le altre due incognite
e cioé la concentrazione iniziale di B ma soprattutto l'etá,
coincidente, delle due rocce esaminate.
Non tutte le rocce, tuttavia, sono databili in questo
modo. In veritá piuttosto poche ed in genere solo se di
origine vulcanica o magmatica. Ne sono escluse proprio le
rocce sedimentarie, cioé le rocce stratificate sulle quali,
come si é visto, é fondata la cronostratigrafia. Per giungere
quindi a dare un valore assoluto a tutte le suddivisioni della
tavola cronostratigrafica, é stato necessario datare rocce di
tipo vulcanico interstratificate con roccce sedimentarie ben
caratterizzate paleontologicamente e statigraficamente.
Con l'accumulasi di molte misurazioni é stato
possibile, a partire dagli anni '20, dare un'etá assoluta alla
durata di tutte gli intervalli cronostratigrafici. Per questo
oggi qualsiasi geologo in grado di dire "questa roccia é del
Trias superiore" potrá quasi automaticamente aggiungere
"questa roccia si é formata tra 230 e 210 milioni di anni".
Per il meno esperto quest'ultimo tipo di dato sará senz'altro
piú significativo e suggestivo e considererá il primo, che
deriva dal semplice riconoscimento di uno o piú specifici
fossili e non da una complessa e costosa analisi di
laboratorio, un residuo di tempi e metodi ormai obsoleti.
Tuttavia, come abbiamo visto, i due metodi di datazione
sono assolutamente indipendenti l'uno dall'altro e vengono
fuori da approcci totalmente differenti basati su rocce
differenti. Al limite, si puó senz'altro affermare che se rocce
vulcaniche non fossero mai state trovate interstratificate con
rocce sedimentarie, potremmo aver avuto la coesistenza e la
non interferenza dei due metodi di datazione, quello realtivo
per le rocce stratificate e quello assoluto per le rocce
magmatiche.
Non solo, bisogna precisare che il metodo della
cronostratigrafia relativa ha un valore euristico maggiore
rispetto all'altro e questo non per semplici motivi di
precedenza storica. I criteri della stratigrafia relativa
rappresentano infatti gli assiomi fondamentali sui quali é
fondato il protocollo di ricerca delle Scienze della Terra.
Tutte le ricostruzioni effettuate dal geologo sono infatti delle
ricostruzioni storiche nelle quali l'inquadramento
cronologico é fatto prima di tutto con i classici metodi della
stratigrafia, basati sulle relazioni geometriche tra masse
rocciose osservabili in campagna. Gli altri dati, compresi
quelli radiometrici, hanno un significato solo se inseriti in
questo canovaccio cronologico relativo. In questo senso i
criteri di sovrapposizione stratigrafica e altri principi della
stratigrafia relativa hanno un valore gerarchico maggiore
durante l'analisi di un fenomeno rispetto a dati di tipo
radiometrico. I primi possono smentire i secondi, mai il
contrario.
Se, per esempio, una roccia vulcanica interstratificata
con rocce e fossili tipici del Giurassico fornisce un'etá
radiometrica di 30 milioni di anni, difficilmente si sosterrá
che queste rocce non sono Giurassiche ma Oligoceniche.
Piuttosto, si cercherá di capire se esistono processi che
possono avere interessato questa roccia impartendole un
segnale radiometrico corrispondente a 30 piuttosto che a
130-210 milioni di anni. Esistono in effetti molti processi
che avvengono nella crosta terrestre che, comportando
innalzamenti di temperatura, possono "azzerare" l'orologio
isotopico. La roccia che abbia subito tali processi avrá
dunque
un'etá
minore
di
quella
"anagrafica"
(cronostratigrafica) fornita dai fossili e corrispondente
invece all'etá di questi processi termici successivi alla sua
prima formazione.
Dunque, per quanto le datazioni assolute
radiometriche abbiano avuto una grande contenuto
conoscitivo per tutte le Scienze, aprendo la strada a nuove
importanti acquisizioni sia di ricerca pura che applicata, la
vera rivoluzione copernicana nel nostro modo di concepire il
tempo dei fenomeni naturali terrestri é rappresentato
dall'avvento della Stratigrafia, intesa come disciplina
costitutiva essenziale della Geologia, tra la fine del XVIII e
l'inizio del XIX secolo. La nozione che il tempo dell'uomo
non esaurisce il tempo della Terra ma, al contrario, é solo
una minuscola parte di esso, é il frutto di meticolose
osservazioni sulle regolaritá presenti nelle rocce e nella
distribuzione in esse dei fossili. Le datazioni assolute sono
venute solo a confermare e soprattutto a quantizzare delle
valutazioni che erano diventate patrimonio scientifico
accettatto. Esse sono venute solo a perfezionare uno schema
concettuale che aveva giá rivoluzionato secoli di credenze
mitologiche o religiose precedenti
La querelle nata alla fine dello scorso secolo intorno
alla determinazione dell'etá della Terra é una chiara
dimostrazione di quest'ultima affermazione.
In effetti, nel corso del secolo scorso la gran parte dei
geologi o naturalisti si andava convincendo della necessitá
della vastitá del Tempo della Terra. E' vero che molti
cercavano di conciliare i dati derivanti dall'osservazione
delle rocce col racconto biblico e con l'idea di Creazione
divina (e tra questi bisogna annoverare il grande Georges
Cuvier (1769-1832), uno dei padri della moderna
paleontologia) ma i fondatori della geologia moderna erano
convinti che questi implicassero tempi molto lunghi per la
loro realizzazione. Addirittura, uno di essi, lo scozzese
James Hutton, il primo ad avere coerentemente descritto la
Terra come un sistema dinamico dominato dal ciclo di
erosione, sedimentazione, formazione di nuove rocce e di
nuove montagne, era giunto a negare la possibilitá di
stabilire un momento iniziale nella storia ciclica della terra.
Un grande sostenitore di simili idee era Charles
Darwin (1809-1882) il quale riteneva che l'evoluzione delle
forme viventi come da lui concepita implicasse dei tempi
immensamente lunghi tra l'origine della vita e l'evoluzione
dell'uomo. Egli, che era un acuto osservatore dei fenomeni
4
geologici, riconosceva un'assoluta identitá di vedute con
Charles Lyell (1797-1875), che pochi decenni prima aveva
pubblicato i "Principles of Geology", considerati l'atto di
nascita della Geologia moderna.
Queste idee furono veementemente contrastate da
William Thompson (1824-1907), meglio conosciuto come
Lord Kelvin, uno dei padri della Termodinamica e scienziato
di grande autoritá nell'Europa del tempo.
La critica di Lord Kelvin era prima di tutto
metodologica. Fisico termodinamico, intriso di positivismo
meccanicista, era abituato a considerare i geologi alla
stregua di raccoglitori di francobolli e non riconosceva
dignitá scientifica alle discipline naturalistiche. Dignitá
scientifica che naturalmente coincideva con capacitá di
matematizzazione, di quantizzazione. Tra l'altro, Lord
Kelvin era ideologicamente convinto della inammissibilitá di
principio di un'evoluzione guidata dal caso, come invocato
dalla teoria di Darwin
Di conseguenza, partendo dalla giusta impostazione
di una storia non ciclica ma unidirezionale, irreversibile
della Terra a partire da uno stato primigenio di sfera fusa,
calcoló con la teoria della trasmissione del calore il tempo
necessario per portare la superficie della Terra alle sue
condizioni attuali. Il valore di circa duecento milioni di anni
cosí ottenuto era di gran lunga inferiore a quello che Darwin,
Lyell e molti geologi ritenevano "necessario" per spiegare i
loro dati di osservazione geologica e paleontologica.
Inutile dire che il prestigio di Kelvin e la fede nella
giovane e trionfante termodinamica del XIX secolo fecero sí
che la sua valutazione diventasse la piú accettata, anche tra
molti geologi. Tuttavia, come aveva previsto Thomas
Huxley
(1825-1895),
un
agguerrito
sostenitore
dell'evoluzionismo, il risultato di un calcolo matematico
dipende dai dati che si utilizzano (oggi si direbbe dall'input).
In effetti, questa stima si dimostró poi errata in quanto era
stato omesso dal calcolo un fenomeno allora sconosciuto, e
cioé il calore prodotto nella crosta terrestre dal decadimento
radioattivo di molti elementi. Questo calore, rallentando il
raffreddamento della Terra, avrebbe condotto, se preso in
considerazione nel calcolo, ad un notevole allungamento
dell'etá stimata.
La scoperta della radioattivitá fu dunque importante
per sconfiggere questa errata impostazione del problema e,
successivamente, con lo sviluppo dei metodi radiometrici ai
quali si é accennato prima, per giungere alla valutazione oggi
accettata di un'etá della Terra di circa 4.5 miliardi di anni, un
valore che forse va molto al di la di quanto Lyell e Darwin
avrebbero mai osato ipotizzare.
Quello che emerge da questa vicenda é l'enorme
potenziale
di
conoscenze
deducibili,
pur
non
quantitativamente, dalle ipotesi di Lyell e di Darwin e di quei
pionieri che avevano avuto il coraggio intellettuale di
abbandonare la tradizione ed effettuare libere e semplici
riflessioni sul significato della stratificazine delle rocce e dei
fossili in esse contenuti. La smisurata bellezza del Grand
Canyon del Colorado, un taglio perfetto negli archivi
stratificati della Terra, dovrebbe sempre suggerire una
meditazione su questa grande avventura della storia del
pensiero.
Testo italiano dell'articolo:
A descuberta do tempo nos fenómenos naturais, Vértice, 66, maggio-giugno: 18-66; 1995, Lisboa.
Bibliografia suggerita
S. J. Gould, Time's arrow, time's cycle. Harward Univ. Press, 1987 (Ed. Ital La frecia del tewmpo, il ciclo del tempo,
Feltrinelli, 1989).
A. Hallam, Great Geological Controversies. Oxford Univ. Press. 1989, 2th edit. (Ed. ital. Le grandi controversie della
Geologia, Zanichelli).
J. D. Burchfield, Lord Kelvin and the age of the Earth. London Macmillan, 1975.
G. Gohau. Une histoire de la Géologie, Editions La Découverte, 1987.
5