Alessandro Iannace La scoperta del tempo nei fenomeni naturali I bambini degli anni novanta che in questi giorni si riversano nelle sale cinematografiche per decretare il successo dell'ennesimo show-business di Hollywood, "The Flintstone's", non si meraviglieranno più di tanto all'idea di un passato remoto popolato di dinosauri e uomini armati di clava. La nozione di un passato che ci ha preceduto sulla Terra, ben più lungo di quello che a scuola avevamo chiamato Storia o finanche Preistoria, é presente nel senso comune dell'Uomo del XX secolo molto più di quanto non lo fosse, nell´Uomo del XVII, la concezione eliocentrica di Copernico e Galileo. Una verità che oggi può apparire ovvia ad un adolescente cresciuto tra giochi elettronici, documentari scientifici e gadgets con dinosauri e mammouth, ha richiesto invece un dibattito scientifico ed un lungo processo di maturazione durati quasi due secoli, prima di potersi definitivamente affermare nella metà di questo secolo. Eppure, così come ancora oggi, nella moderna civiltá tecnologica, dominata da elettronica ed informatica, molte nostre idee sul mondo fisico restano aristoteliche, come se non avessimo del tutto assimilato la lezione di Galileo, cosí la coscienza della vastitá del tempo passato é ancora piuttosto approssimativa. Per fare un esempio, la confusione tra il tempo dei dinosauri e quello, molto piú recente, degli uomini della pietra, confusione sulla quale si basa la fortuna della saga cartoon dei Flintstone's, interessa gran parte delle persone, anche quelle culturalmente piú elevate. Ho verificato spesso la difficoltá di molti nel distinguere il geologo dall'archeologo, figure in realtá molto diverse per formazione culturale, temi e metodologie di indagine, ma che vengono assimilate solo perché entrambe quotidianamente in relazione con un passato piú o meno profondo. La confusione tra geologia ed archeologia coglie peró in realtá l'elemento di profonda analogia esistente tra queste due discipline, e cioé il fatto che entrambe sono discipline storiche, nelle quali dunque la dimensione tempo é fondamentale, addirittura essenziale per la loro stessa definizione come discipline scientifiche. Quest'affermazione apparirá senz'altro banale per le discipline archeologiche. E' difficile immaginare, infatti, uno studio di reperti archeologici senza un ordinamento cronologico degli stessi. Questo accade perché i segni lasciati dall'Uomo e dalla sua cultura nei reperti archeologici sono troppo esplicitamente leggibili come tracce di un passato che é possibile ordinare cronologicamente. Non a 1 caso la cronologia dell'archeologia é basata sul susseguirsi di culture, ciascuna corrispondente a precisi materiali e stili. Solo un rozzo collezionista potrebbe accumulare terrecotte o pietre scheggiate senza scorgere in essi i segni della Storia, del Tempo. L'infanzia della Geologia ha invece conosciuto lunghi periodi in cui esistevano solo "rozzi collezionisti" di pietre le quali venivano raccolte e classificavate in base alle proprietá piú diverse, ora puramente morfologiche, piú spesso sulla base della loro utilitá. Per lungo tempo anche i fossili, cioé i resti pietrificati di antichi organismi, sono stati classificati insieme a minerali e rocce, che al contrario hanno in genere un'origine puramente inorganica. Del resto, lo stesso termine di fossile indica, nell'accezione originale, piú vicina all'etimo latino (da fossus, participio di fodere = scavare), semplicemente un oggetto che é stato recuperato scavando nella terra. Era questa un'epoca nella quale esisteva solo la Mineralogia, non la Geologia o, come si dice oggi in senso molto piú ampio, le Scienze della Terra. Minerali e rocce venivano collezionati per le loro forme insolite, intravedendo in queste ora l'espressione di un'aristotelica vis plastica, ora un disegno piú o meno divino, senza assolutamente pensare di poter leggere in essi una storia passata. Eppure la vera natura dei fossili, quali reperti di animali e piante di un lontano passato, durante il quale alcune regioni della Terra erano ricoperte dal mare, era stata intuita in maniera piú o meno compiuta da numerosi pensatori, da Senofone, ad Empedocle, fino a Leonardo da Vinci. Ma se ció era stato sufficiente a sconfiggere idee mitiche o superstiziose sulla origine di questi oggetti naturali apparentemente cosí strani, non era bastato per introdurre la nozione di tempo, di cronologia nello studio della Natura. Le Teorie della Terra dominanti nel XVI e XVII secolo erano saldamente vincolate al racconto biblico e all'idea della creazione come atto iniziale della vita della Terra e dell'Uomo. La faccia della Terra era ritenuta sostanzialmente immutata a partire da quell'atto iniziale relativamente recente ed i fossili erano interpretati come la testimonianza del diluvio universale. La possibilitá di una cronologia, di una storia della Terra che precede l'uomo, era quindi negata dall'accettazione della Bibbia. Il Tempo poteva avere senso solo per la civiltá umana, nei limiti della cronologia biblica (che fissava, secondo il calcolo dell'arcivescovo Ussher alle 9 del 26 ottobre 4004 B.C. la data della Creazione), non poteva averne per la Terra. L'atto di nascita della Geologia come scienza sperimentale, il suo superamento della Minaralogia, scienza allora puramente classificativa, coincide proprio col riconoscimento della posssibilitá di stabilire una Storia della Terra a partire dai segni lasciati da questa, siano essi fossili, minerali ma anche vallate e montagne. Solo quando si afferma l'idea che l'attuale faccia della Terra rappresenta un momento dinamico, il risultato di una serie di processi ancora in atto, di una Storia che é possibile ricostruire mediante l'osservazione delle rocce, del "meraviglioso libro della Natura", la Geologia nasce come scienza. La scoperta del tempo é dunque centrale per la sua stessa definizione. Forse non é esagerato dire che questa scoperta é il risultato di un processo tipicamente empirico, induttivo. L'accumularsi, nel corso dei secoli, di osservazioni di terreno in diverse regioni dell'Europa fece scoprire ai primi geologi (in realtá all'epoca non si qualificavano come tali ma erano piuttosto abati, ingegneri minerari, medici ecc.) l'esistenza di alcune regolaritá nella disposizione spaziale delle masse rocciose. Queste infatti sono spesso stratificate e vedono un succedersi di litologie, e forme fossili associate, non casuale ma sistematico, tanto da poter essere prevedibile o riproducibile in regioni anche molto distanti tra di loro come, per esempio, tra le due sponde del canale della Manica. All'inizio questa regolaritá era stata sfruttata per scopi eminentemente utilitaristici, per esempio nella coltivazione delle miniere, utilizzando un tipo di inferenza empirica molto semplice: se un certo strato roccioso si ritrova sempre al di sotto di un altro, ogni qualvolta in superficie viene trovato il secondo si puó ipotizzare la localizzazione del primo in profonditá. Il passo decisivo peró verso una interpretazione storica della disposizione delle rocce, fu fatto solo quando si affermó l'idea che queste sono il prodotto di ripetuti processi di erosione e sedimentazione o di eruzioni vulcaniche analoghi a quelli osservabili attualmente. Questa acquisizione, che oggi appare quasi banale, determinó una totale rivoluzione nella maniera di osservare il paesaggio che aprí la strada ad un impressionante mole di nuove conoscenze Una volta infatti interpretate le rocce ed i fossili in esse contenuti come tracce di epoche passate, il succedersi ordinato, o meglio ordinabile, in diverse regioni d'Europa di particolari litologie e dei fossili associati condusse naturalmente alla compilazione di una tabella cronostratigrafica: ad ogni livello roccioso particolare, ed ai fossili in esso contenuti, venne associato un nome carateristico. Da quel momento, tutte le rocce contenenti gli stessi fossili verranno attribuite allo stesso intervallo cronostratigrafico, cioé ritenute coeve. I vari nomi delle suddivisioni della tabella cronostratigrafica generalmente sono ispirati alla localitá nella quale é stata stata studiata per la prima volta la massa rocciosa in questione ma, forse proprio per evocare il senso del passato, alcuni sono stati ispirati ai nomi di antiche popolazioni vissute nelle aree dove le rocce erano state studiate. E cosí, accanto a Giurassico (dal Giura francosvizzero), Devoniano (dal Devon, Inghilterra) o Siciliano (da Sicilia, in Italia), abbiamo Siluriano (Da Siluri, antica 2 popolazione del Galles), Cambriano (da Cumbria, antico regno britannico). In queste definizioni é fondamentale indicare le rocce ed i fossili sottostanti e quelli sovrastanti che saranno considerate d'ora in avanti rispettivamente piú antichi e piú giovani della massa rocciosa in questione, anche quando trovate in altre regioni. Come si vede si tratta di un criterio di ordinamento spaziale relativo di masse rocciose, basato cioé sulle relazioni geometriche tra strati, che puó essere modificato continuamente da nuovi ritrovamenti. Infatti, viste in retrospettiva, le prime suddivisioni appaiono piuttosto grossolane. All'inizio le rocce venivano classificate semplicemente in Primarie, Secondarie, Terziarie e Quaternarie. Col tempo, questa prima suddivisione, ancora oggi utilizata, e che si deve algli italiani Antonio Lazzaro Moro (1687-1764) e Giovanni Arduino (1713-1795), si arricchí e si affinó, via via che che ci si andava accorgendo che era possibile ulteriormente suddividere ed ordinare la panoplia disordinata di rocce disponibili all'analisi stratigrafica e paleontologica. E' un pó quello che accadrebbe se dovessimo mettere ordine in un vecchio cassettone di foto di famiglia. Inizieremmo col distinguere prima quelle dove compare ancora il nonno da quelle dove é assente, da quelle dove é presente nostro figlio. In seguito, all'interno di gruppi cosí costituiti, potremmo fare ulteriori suddivisioni fino ad ordinare tutte le foto in una cronologia piú dettagliata. Da questo punto di vista, la creazione della tabella cronostratigrafica é dunque un processo sempre aperto ai perfezionamenti. Giorno per giorno, geologi e paleontologi che fanno ricerca in tutte le parti del mondo, compresi oggi i fondali oceanici, propongono delle leggere modifiche alle suddivisioni presenti nella tavola cronostratigrafica, riconoscendo nuove associazioni di fossili alle quali attribuire un significato cronologico relativo tra due suddivisioni precedentemente accettate. Non esiste a priori un limite a tale processo in quanto non sappiamo a priori qual'é la successione ideale e completa delle rocce e dei fossili della Terra. Abbiamo solo la possibilitá di raccogliere le tantissime tessere che compongono un mosaico infinito senza avere a disposizione il disegno da ricostruire. In questo senso la Stratigrafia, la disciplina delle Scienze della Terra che si occupa della ricostruzione delle sequenze di rocce e fossili in termini cronologici, é una scienza puramente empirica. In effetti, si potrebbe obiettare che il mosaico da ricostruire non é infinito in quanto la storia da ricostruire si puó ridurre a quella della Terra e questa deve pur avere un'origine definita nel tempo. Questa considerazione ci conduce ad un'importante aspetto che é quello dell'esistenza di un secondo modo di concepire il tempo nelle Scienze della Terra. In effetti finora ho parlato solo di rocce e mai di tempo espresso in secondi o anni. In particolare, ho sottolineato che la sovrapposizione regolare degli strati di roccia é stata interpretata, a partire da un certo momento storico, come rappresentativa dello scorrere del tempo. Bisogna tuttavia realizzare che il semplice criterio stratigrafico non ci consente di dire quanto antica, in termini di anni, sia una roccia ma solo se essa sia piú o meno antica di un'altra sulla base delle posizioni geometriche relative e del contenuto in fossili. Con la Stratigrafia abbiamo dunque capito che le rocce rappresentano il nastro magnetico sul quale é registrata la storia della Terra senza tuttavia essere in grado di sapere a quale velocitá scorra questo nastro. Questo punto rappresenta un nodo epistemologico essenziale che spesso non viene considerato nella sua profonditá anche da molti specialisti. In effetti, é diventata pratica comune associare, per esempio, al Cretaceo l'intervallo di tempo 130-65 milioni di anni o al Cambriano l'intervallo 590-500. Queste valutazioni sulla durata assoluta sono in effetti oggi verificate con un buon grado di precisione ed in futuro c'é da attendersi solo leggere modifiche su simili stime. Tuttavia, nel passare dal concetto "Cretaceo" a quello "130-65 milioni di anni" si compie un grosso salto concettuale. In effetti, la denominazione Cretaceo indica solo e soltanto "rocce caratterizzate da un certo contenuto fossile e che, come la Craie (in latino creta, roccia tipica del bacino di Parigi sulla quale é stato definito originariamente), sono sovrapposte al Giurassico e sottoposte al Paleogene". Null'altro. Per quanto questo concetto possa evocare un lontano passato popolato dai soliti dinosauri o da meno hollywoodiane (ma piú utili per lo stratigrafo) ammoniti, esso non implica l'intervallo assoluto di tempo nel quale queste rocce andavano formandosi. Il Creataceo, per lo stratigrafo, indica solo delle rocce particolari e precisamente quelle sovrapposte al Giurassico e sottoposte al Paleogene. Esso puó avere uno spessore, ma non necessariamente una durata particolare. Del resto, per apprezzare questo punto basterebbe pensare che le denominazioni fondamentali della tavola cronostratigrafica sono abbondantemente precedenti alla definizione di una cronologia assoluta, quella, per intenderci, che ci dice quanto, in termini di anni, sia antica una certa roccia. La datazione assoluta é sicuramente piú suggestiva, per il profano, rispetto alla determinazione dell'etá stratigrafica di una roccia, che appare densa di significato solo allo specialista. Con questo tipo di approccio si é per esempio riusciti a datare a 4.5 miliardi di anni l'origine della Terra, obiettivo sicuramente impossibile metodologicamente per la Stratigrafia in quanto le rocce formatesi in quella fase primordiale sono state senz'altro spazzate via dall'erosione e sarebbero state comunque prive di fossili. Il metodo attraverso il quale si puó giungere ad un risultato apparentemente cosí sorprendente come quello di dire quanti anni fa si é formata una roccia, é basato sullo studio di fenomeni e processi totalmente differenti rispetto ai processi di sedimentazione e di evoluzione delle forme viventi che, dando luogo alle successioni ordinate di rocce e fossili, costituiscono l'oggetto di indagine dello stratigrafo. Il cronometro della cronologia assoluta é basato infatti sul decadimento radioattivo di alcuni particolari elementi, e cioé sulla trasformazione di alcuni isotopi in quelli di un altro elemento ad un ritmo costante nel tempo. Cosí, se per lo stratigrafo tempo significa pile ordinate di strati di roccia, nella cronologia assoluta il tempo é rappresentato da accumuli di microscopici isotopi di particolari elementi in particolari minerali. I fondamenti teorici e le complesse tecniche analitiche di questo metodo sono stati sviluppati solo nella 3 prima metá di questo secolo e sono oggi di routine in molti laboratori di tutto il mondo. Esistono diversi metodi di cronologia assoluta basati sul decadimento di diversi elementi radioattivi ma l'approccio utilizzato in tutti questi metodi é sempre lo stesso. Se l'elemento A contenuto in un particolare minerale costitutivo di una roccia si trasforma in un elemento B ad una velocitá conosciuta, la concentrazine di B nella roccia, misurata oggi, dipenderá da tre fattori: la concentrazione di B nella roccia all'epoca della sua formazione, la concentrazione di A nella roccia che controlla il tasso di formazione di atomi dell'elemento B ed, infine, il tempo intercorso dall'epoca della sua formazione. Disponendo di almeno due rocce cogenetiche (formatesi insieme e aventi perció la stessa etá) ma caratterizzate da diversi valori di concentrazione di A e di B, entrambe quantitá misurabili, potremo calcolare le altre due incognite e cioé la concentrazione iniziale di B ma soprattutto l'etá, coincidente, delle due rocce esaminate. Non tutte le rocce, tuttavia, sono databili in questo modo. In veritá piuttosto poche ed in genere solo se di origine vulcanica o magmatica. Ne sono escluse proprio le rocce sedimentarie, cioé le rocce stratificate sulle quali, come si é visto, é fondata la cronostratigrafia. Per giungere quindi a dare un valore assoluto a tutte le suddivisioni della tavola cronostratigrafica, é stato necessario datare rocce di tipo vulcanico interstratificate con roccce sedimentarie ben caratterizzate paleontologicamente e statigraficamente. Con l'accumulasi di molte misurazioni é stato possibile, a partire dagli anni '20, dare un'etá assoluta alla durata di tutte gli intervalli cronostratigrafici. Per questo oggi qualsiasi geologo in grado di dire "questa roccia é del Trias superiore" potrá quasi automaticamente aggiungere "questa roccia si é formata tra 230 e 210 milioni di anni". Per il meno esperto quest'ultimo tipo di dato sará senz'altro piú significativo e suggestivo e considererá il primo, che deriva dal semplice riconoscimento di uno o piú specifici fossili e non da una complessa e costosa analisi di laboratorio, un residuo di tempi e metodi ormai obsoleti. Tuttavia, come abbiamo visto, i due metodi di datazione sono assolutamente indipendenti l'uno dall'altro e vengono fuori da approcci totalmente differenti basati su rocce differenti. Al limite, si puó senz'altro affermare che se rocce vulcaniche non fossero mai state trovate interstratificate con rocce sedimentarie, potremmo aver avuto la coesistenza e la non interferenza dei due metodi di datazione, quello realtivo per le rocce stratificate e quello assoluto per le rocce magmatiche. Non solo, bisogna precisare che il metodo della cronostratigrafia relativa ha un valore euristico maggiore rispetto all'altro e questo non per semplici motivi di precedenza storica. I criteri della stratigrafia relativa rappresentano infatti gli assiomi fondamentali sui quali é fondato il protocollo di ricerca delle Scienze della Terra. Tutte le ricostruzioni effettuate dal geologo sono infatti delle ricostruzioni storiche nelle quali l'inquadramento cronologico é fatto prima di tutto con i classici metodi della stratigrafia, basati sulle relazioni geometriche tra masse rocciose osservabili in campagna. Gli altri dati, compresi quelli radiometrici, hanno un significato solo se inseriti in questo canovaccio cronologico relativo. In questo senso i criteri di sovrapposizione stratigrafica e altri principi della stratigrafia relativa hanno un valore gerarchico maggiore durante l'analisi di un fenomeno rispetto a dati di tipo radiometrico. I primi possono smentire i secondi, mai il contrario. Se, per esempio, una roccia vulcanica interstratificata con rocce e fossili tipici del Giurassico fornisce un'etá radiometrica di 30 milioni di anni, difficilmente si sosterrá che queste rocce non sono Giurassiche ma Oligoceniche. Piuttosto, si cercherá di capire se esistono processi che possono avere interessato questa roccia impartendole un segnale radiometrico corrispondente a 30 piuttosto che a 130-210 milioni di anni. Esistono in effetti molti processi che avvengono nella crosta terrestre che, comportando innalzamenti di temperatura, possono "azzerare" l'orologio isotopico. La roccia che abbia subito tali processi avrá dunque un'etá minore di quella "anagrafica" (cronostratigrafica) fornita dai fossili e corrispondente invece all'etá di questi processi termici successivi alla sua prima formazione. Dunque, per quanto le datazioni assolute radiometriche abbiano avuto una grande contenuto conoscitivo per tutte le Scienze, aprendo la strada a nuove importanti acquisizioni sia di ricerca pura che applicata, la vera rivoluzione copernicana nel nostro modo di concepire il tempo dei fenomeni naturali terrestri é rappresentato dall'avvento della Stratigrafia, intesa come disciplina costitutiva essenziale della Geologia, tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo. La nozione che il tempo dell'uomo non esaurisce il tempo della Terra ma, al contrario, é solo una minuscola parte di esso, é il frutto di meticolose osservazioni sulle regolaritá presenti nelle rocce e nella distribuzione in esse dei fossili. Le datazioni assolute sono venute solo a confermare e soprattutto a quantizzare delle valutazioni che erano diventate patrimonio scientifico accettatto. Esse sono venute solo a perfezionare uno schema concettuale che aveva giá rivoluzionato secoli di credenze mitologiche o religiose precedenti La querelle nata alla fine dello scorso secolo intorno alla determinazione dell'etá della Terra é una chiara dimostrazione di quest'ultima affermazione. In effetti, nel corso del secolo scorso la gran parte dei geologi o naturalisti si andava convincendo della necessitá della vastitá del Tempo della Terra. E' vero che molti cercavano di conciliare i dati derivanti dall'osservazione delle rocce col racconto biblico e con l'idea di Creazione divina (e tra questi bisogna annoverare il grande Georges Cuvier (1769-1832), uno dei padri della moderna paleontologia) ma i fondatori della geologia moderna erano convinti che questi implicassero tempi molto lunghi per la loro realizzazione. Addirittura, uno di essi, lo scozzese James Hutton, il primo ad avere coerentemente descritto la Terra come un sistema dinamico dominato dal ciclo di erosione, sedimentazione, formazione di nuove rocce e di nuove montagne, era giunto a negare la possibilitá di stabilire un momento iniziale nella storia ciclica della terra. Un grande sostenitore di simili idee era Charles Darwin (1809-1882) il quale riteneva che l'evoluzione delle forme viventi come da lui concepita implicasse dei tempi immensamente lunghi tra l'origine della vita e l'evoluzione dell'uomo. Egli, che era un acuto osservatore dei fenomeni 4 geologici, riconosceva un'assoluta identitá di vedute con Charles Lyell (1797-1875), che pochi decenni prima aveva pubblicato i "Principles of Geology", considerati l'atto di nascita della Geologia moderna. Queste idee furono veementemente contrastate da William Thompson (1824-1907), meglio conosciuto come Lord Kelvin, uno dei padri della Termodinamica e scienziato di grande autoritá nell'Europa del tempo. La critica di Lord Kelvin era prima di tutto metodologica. Fisico termodinamico, intriso di positivismo meccanicista, era abituato a considerare i geologi alla stregua di raccoglitori di francobolli e non riconosceva dignitá scientifica alle discipline naturalistiche. Dignitá scientifica che naturalmente coincideva con capacitá di matematizzazione, di quantizzazione. Tra l'altro, Lord Kelvin era ideologicamente convinto della inammissibilitá di principio di un'evoluzione guidata dal caso, come invocato dalla teoria di Darwin Di conseguenza, partendo dalla giusta impostazione di una storia non ciclica ma unidirezionale, irreversibile della Terra a partire da uno stato primigenio di sfera fusa, calcoló con la teoria della trasmissione del calore il tempo necessario per portare la superficie della Terra alle sue condizioni attuali. Il valore di circa duecento milioni di anni cosí ottenuto era di gran lunga inferiore a quello che Darwin, Lyell e molti geologi ritenevano "necessario" per spiegare i loro dati di osservazione geologica e paleontologica. Inutile dire che il prestigio di Kelvin e la fede nella giovane e trionfante termodinamica del XIX secolo fecero sí che la sua valutazione diventasse la piú accettata, anche tra molti geologi. Tuttavia, come aveva previsto Thomas Huxley (1825-1895), un agguerrito sostenitore dell'evoluzionismo, il risultato di un calcolo matematico dipende dai dati che si utilizzano (oggi si direbbe dall'input). In effetti, questa stima si dimostró poi errata in quanto era stato omesso dal calcolo un fenomeno allora sconosciuto, e cioé il calore prodotto nella crosta terrestre dal decadimento radioattivo di molti elementi. Questo calore, rallentando il raffreddamento della Terra, avrebbe condotto, se preso in considerazione nel calcolo, ad un notevole allungamento dell'etá stimata. La scoperta della radioattivitá fu dunque importante per sconfiggere questa errata impostazione del problema e, successivamente, con lo sviluppo dei metodi radiometrici ai quali si é accennato prima, per giungere alla valutazione oggi accettata di un'etá della Terra di circa 4.5 miliardi di anni, un valore che forse va molto al di la di quanto Lyell e Darwin avrebbero mai osato ipotizzare. Quello che emerge da questa vicenda é l'enorme potenziale di conoscenze deducibili, pur non quantitativamente, dalle ipotesi di Lyell e di Darwin e di quei pionieri che avevano avuto il coraggio intellettuale di abbandonare la tradizione ed effettuare libere e semplici riflessioni sul significato della stratificazine delle rocce e dei fossili in esse contenuti. La smisurata bellezza del Grand Canyon del Colorado, un taglio perfetto negli archivi stratificati della Terra, dovrebbe sempre suggerire una meditazione su questa grande avventura della storia del pensiero. Testo italiano dell'articolo: A descuberta do tempo nos fenómenos naturais, Vértice, 66, maggio-giugno: 18-66; 1995, Lisboa. Bibliografia suggerita S. J. Gould, Time's arrow, time's cycle. Harward Univ. Press, 1987 (Ed. Ital La frecia del tewmpo, il ciclo del tempo, Feltrinelli, 1989). A. Hallam, Great Geological Controversies. Oxford Univ. Press. 1989, 2th edit. (Ed. ital. Le grandi controversie della Geologia, Zanichelli). J. D. Burchfield, Lord Kelvin and the age of the Earth. London Macmillan, 1975. G. Gohau. Une histoire de la Géologie, Editions La Découverte, 1987. 5