Ciro
Maddaluno
Divisione Acqui:
Cronaca di una tragedia
Provincia di Latina
Medaglia d’Oro al Merito Civile
Cefalonia Settembre 1943
Ciro Maddaluno
Divisione Acqui:
Cronaca di una tragedia
Cefalonia, settembre 1943
Copyright © 2009: Provincia di Latina
Coordinamento editoriale:
Domenico Tibaldi e Ada Balestra;
Progetto editoriale e impaginazione
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Arti Grafiche Civerchia
Nota: il libro è tratto dalla tesi: «L’eccidio della Divisione “Acqui” a Cefalonia - Settembre 1943»
con la quale, nell’Anno Accademico 2003-2004, il Tenente Colonnello Ciro Maddaluno, ha
conseguito la Laurea in Scienze Politiche presso l’Università di Trieste.
Relatore: Prof. R.PUPO; Correlatore: Dott. Barbara STRASSOLDO.
Si ringraziano per la disponibilità e la collaborazione:
• Stato Maggiore Esercito – Reparto Affari Generali - Ufficio Storico, Roma;
­• 2° Comando Forze di Difesa, San Giorgio a Cremano (Napoli);
­• Comando Divisione “Acqui”, S.Giorgio a Cremano (Napoli);
­•17° Reggimento Addestramento Volontari “Acqui”, Capua (CE).
Finito di stampare il 30 settembre 2009
v
Il seme della democrazia
Colgo e faccio mio il messaggio dell’Autore quando, rivolgendosi ai più giovani ne
richiama alla riflessione le motivazioni delle Medaglie d’Oro al valor militare concesse alle Bandiere del 17° e del 317° Reggimento di Fanteria e allo Stendardo del
33° Reggimento d’Artiglieria della Divisione Acqui massacrata (secondo la storia)
o protagonista (secondo la controstoria) a Cefalonia dei sanguinosi fatti accaduti
dopo l’8 settembre 1943.
Quelle parole inducono rispetto e commozione verso quanti – ufficiali, soldati,
carabinieri,finanzieri e marinai - dinanzi alla prospettiva di una resa senza condizioni, scelsero di affrontare una battaglia contro i tedeschi che era impossibile
vincere perché dei moschetti ’91 nulla potevano contro la furia devastante dei
bombardieri Stukas.
Padroni del cielo, truppe da montagna addestrate ed agguerrite, i tedeschi della
Wermacht ebbero ragione della Acqui in circa 15 giorni di combattimenti in cui gli
italiani furono protagonisti, in uno, di ardimento e scoramento, fierezza e smarrimento nell’affrontare la morte, aspergendo sul suolo greco lo stesso sacro sangue
degli alpini sul Don, dei paracadutisti e dei bersaglieri ad El Alamain, dei granatieri
di Sardegna e dei lancieri di Montebello a Porta San Paolo, di arditi e fanti a Montelungo, dei nostri marinai nelle battaglie delle nostre navi nel Mediterraneo.
Sono consapevole della storia e della controstoria che accompagnano la vicenda
militare ed umana della Divisione Acqui a Cefalonia e della ricchezza di contributi
intervenuti sul fatto d’arme nel momento in cui esso è stato sottratto all’oblìo
delle coscienze e alle polveri degli armadi giudiziari. Ma, mi sottraggo alle tesi
della storia e della controstoria per condividere la dimensione (e l’approccio)
del Tenente Colonnello Ciro Maddaluno, ufficiale del 2° F.O.D. (Forze di Difesa)
quando dice di essere solo un “curioso della storia”. Le responsabilità ed il numero dei morti di Cefalonia costituiscono argomenti per gli studiosi di opposta
visione. Al pari di Maddaluno a me interessa – ed è questa la ragione per la quale
la Provincia di Latina ha deciso di pubblicarne la tesi ( Titolo originario: “L’eccidio
della Divisione “Acqui” a Cefalonia – Settembre 1943”) con la quale, nell’Anno
Accademico 2003-2004, l’Autore conseguì la laurea in Scienze Politiche presso
l’Università di Trieste – offrire ai giovani e ai lettori in generale un’esposizione
sufficientemente equidistante dei fatti di quei giorni quando, tra ordini e disposizioni di gerarchie in fuga, i nostri militari, gli italiani veri, vennero lasciati morire
vi
per difendere il proprio onore di uomini e di soldati e per quel tricolore che
accompagnò il Risorgimento e la rinascita nella Repubblica e nella Costituzione
dell’Italia in cui oggi viviamo in pace.
Quattordici Medaglie d’oro, ventinove d’argento e ventitré di bronzo al valor militare non rendono ragione del sangue versato a Kardakata, Capo Munta, Dilinata,
alla “Casetta Rossa” e nelle varie località di Cefalonia e spero in una rilettura
serena dei fatti che coincida con un sostanziale ampliamento delle onorificenze
individuali concesse a suo tempo.
Non posso tuttavia frenare il mio dissenso dinanzi alle scelte dei Ministri Martino e Taviani negli anni della “guerra fredda”, i quali dinanzi all’esigenza di salvaguardare l’onore del ricostituendo esercito tedesco, scelsero la strada di tacere
agli italiani la tragica fine della Divisione Acqui come di altri stragi. Se ne fossero
stati autrici le “SS” non ci sarebbero stati problemi; ma che tutto sia avvenuto ad
opera delle truppe alpine della Wermacht poteva risultare sconveniente per la
“realpolitik” dei nostri uomini di governo sul finire degli anni cinquanta.
Per me non c’è “realpolitik” che tenga dinanzi a fatti come questi perché voltare
pagina e dare vigore allo Stato che si desidera ricostruire dalle fondamenta significa fare i conti con il passato senza riguardi e ritegno. Per me quella decisione,
pur sforzandomi di comprendere la delicatezza del contesto storico e politico in
cui maturò, è come se sui soldati della Acqui si fosse sparato un’altra volta.
In quella lontana isola greca e negli scenari di guerra di quei giorni ad essa vicini,
risultano dispersi o caduti giovani della provincia di Latina, ieri Littoria:
17° REGGIMENTO FANTERIA ACQUI
- COCOMELLO ERASMANTONIO,
Caporale,nato a Spigno Saturnia il 01.06.1916, disperso;
- DE MEO GIACOMO,
Soldato, nato a Formia il 30.10.1916, disperso;
- CIANFONI GIOVANNI,
Soldato, nato a Roccamassima il 23.06.1916, disperso;
- MALLOZZI GIUSEPPE,
Caporal Maggiore, nato a Castelforte il 05.01.1923, disperso;
- MELONI ERCOLE,
Soldato, nato a Cisterna di Latina, il 15.09.1913 disperso;
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- PALLADINI ADELMO,
Soldato, nato a Prossedi il 20.02.1912, caduto;
- RAIMONDI GIUSEPPE,
Caporal Maggiore, nato a Sezze il 05.06.1915,
disperso in combattimento il 08.09.1943 a Cefalonia;
- TRANO SALVATORE,
Caporal Maggiore, nato a Formia il 01.01.1914, disperso.
18° REGGIMENTO FANTERIA ACQUI
- MANCINI GIUSEPPE,
Soldato, nato a Terracina il 27.08.1912, disperso in prigionia;
- MANCINI TOMMASO,
Soldato, nato a S. Felice Circeo il 04.08.1917, disperso;
- ROSETTA AMATO,
Sergente Maggiore, nato a Roccamassima il 15.07.1921, caduto;
- SINAPI RAFFALE,
Soldato, nato a Itri il 04.03.1913, caduto;
- VELLUCCI ANTONIO,
nato a Gaeta il 05.11.1913, caduto.
33° REGGIMENTO ARTIGLIERIA ACQUI
- PECORARO ALFIO,
Caporal Maggiore, nato a Cisterna di Latina il 12.01.1913, caduto;
- CIPOLLA GENESIO,
Artigliere, nato a Sonnino il 12.09.1923, disperso;
317° REGGIMENTO FANTERIA ACQUI
- ARZANO QUIRINO,
Soldato, nato a Itri il 07.08.1923, deceduto in prigionia;
MARINA MILITARE
- CAPOLINO SALVATORE,
2° Capo, nato a Formia il 22.08.1912, caduto;
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7° BATTAGLIONE CARABINIERI
- LA ROCCA MICHELE,
nato a Minturno il 14.04.1917, morto in prigionia.
REPARTI ED ENTI VARI
- CHIOMINTO UBALDO,
Soldato, nato a Cori il 21.05.1923, disperso.
Per la maggior parte dispersi, dunque. Persone e militari di cui non si è saputo più
nulla. Ma il loro sangue e quello dei commilitoni della Divisione Acqui, come di tutti
gli altri soldati italiani caduti sui fronti di guerra sono, per me, il seme fecondo di
quell’ Esercito altamente professionale, di grande prestigio internazionale ma anche
con un rilevante profilo umanitario impegnato nel mantenimento della pace su
delicati scenari dello scacchiere internazionale e di quella Democrazia della quale
sono espressione e che in quanto tale mi richiama al dovere del Ricordo e della
Testimonianza espressi con il “Percorso della Memoria” intrapreso all’indomani del
conferimento della Medaglia d’Oro al Merito Civile al Gonfalone della Provincia.
Ai militari che non sono più tornati, a quanti sono ora impegnati fuori area rendo
omaggio, fuor di retorica, con queste parole di George L. Skipech:
Io sono stato quello che gli altri non volevano essere.
Io sono andato dove altri temevano di andare.
Io ho portato a termine quello che altri non volevano fare.
Io non ho preteso niente da quelli che non danno mai nulla.
Con rabbia ho accettato di essere emarginato come se avessi commesso uno sbaglio.
Ho visto il volto del terrore, ho sentito il freddo morso della paura,
ho gioito per il dolce gusto di un momento d’amore.
Ho pianto, ho sofferto, ho sperato… Ma, più di tutto,
ho vissuto quei momenti che gli altri dicono sia meglio dimenticare.
Quando giungerà la mia ora agli altri potrò dire
che sono orgoglioso per tutto quello che sono stato:
Un Soldato!
Armando Cusani
Presidente della Provincia
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Prefazione
Nelson Mandela, quando prese nelle sue mani le sorti del Sudafrica, dopo decenni di apartheid, feroci discriminazioni e odi razziali, si pose per prima cosa il
problema della pacificazione e della riconciliazione del suo Paese. Un’impresa immensa, dal punto di vista culturale e umano, prima ancora che politico. Un’impresa sicuramente più ardua di quella di dar vita a una memoria finalmente condivisa
e perciò pacificata fra gli Italiani sui fatti successivi all’8 settembre 1943. Mandela
sapeva però che nessuna scorciatoia sarebbe stata possibile, che nessuna riconciliazione nazionale si sarebbe potuta realizzare al di sopra o contro la verità.
Quella verità storica che non è mai semplice e lineare, ma un frutto complesso,
fatto di contributi diversi, di contraddizioni ed eccezioni, ma in cui niente va nascosto, come niente va esaltato oltre misura.
In questo contesto si inquadra il lavoro del Ten. Col. Maddaluno che non vuole
assolutamente alimentare nuove contrapposizioni o essere d’ostacolo alla ricostruzione composta della memoria degli Italiani: è semplicemente un referente
omaggio agli “11.000 figli di mamma” - come li chiamava il loro Comandante, il
Generale di Divisione Antonio Gandin (M.O.V.M.) - che nel settembre del 1943
combatterono contro i tedeschi con i quali sino ad alcuni giorni prima erano alleati, affrontarono una dura battaglia, vennero sconfitti e subirono per ritorsione un
feroce massacro che solo parzialmente venne punito dal Tribunale di Norimberga.
Il lavoro è una semplice ricostruzione della storia della Divisione “Acqui”, dalle
sue origini fino alla tragedia del settembre 1943 nell’isola di Cefalonia, dal fronte
francese alla campagna greco – albanese fino al triennio di occupazione. Fino all’8
settembre del ‘43 la Divisione “Acqui” fu una divisione “qualsiasi”, una delle tante
dell’Esercito che avevano combattuto sulle Alpi e in Albania; non erano eroi o
soldati selezionatissimi, bensì soldati “qualsiasi”, non diversi dalla massa dei soldati italiani, i quali dopo l’8 settembre offrirono una straordinaria prova di dignità,
con la speranza di tornare a casa con onore, senza cedere le armi come chiedeva
il tedesco. Lo stesso senso di onore che spinse alcuni ufficiali ad una manifesta
insofferenza, ai limiti dell’insubordinazione, e a giudicare il proprio Comandante
un debole di fronte alle minacciose richieste tedesche. Ma è pur sempre l’onore, l’amor proprio, il senso di responsabilità verso i propri uomini che spinse il
Generale Gandin a negoziare, con la speranza, anche lui, di essere trattato con
lealtà e franchezza. La decisione di negoziare gli derivava dalla responsabilità che
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ogni Comandante ha nei confronti dei propri uomini, nei confronti della Bandiera
e della Patria, ma anche dalla profonda conoscenza del soldato tedesco (lavorò
per molto tempo negli Stati Maggiori tedeschi) e della situazione geostrategica
d’insieme. Il Generale Gandin sapeva che la situazione era disperata, in cuor suo
sapeva di non poter contare su nessun aiuto e conosceva perfettamente la situazione della Divisione in termini di armi e munizioni: decisamente insufficienti
per affrontare il piccolo presidio tedesco. Non possedeva la necessaria e decisiva
componente aerea, per cui i suoi uomini erano completamente allo sbaraglio in
un territorio che non permetteva alcun riparo. Sapeva che sul continente greco
c’erano migliaia di tedeschi con armi e mezzi pronti a intervenire in qualsiasi
momento e celermente.
Non fu codardia, non fu scarso senso dell’onore come qualcuno vuole far credere,
ma fu “Arte del Comando”, solo il Comandante può e deve avere questa prerogativa: la vita di migliaia di uomini è riposta nelle sue capacità e nelle sue conoscenze.
Si trattò di una trattativa tormentata, che si svolse tra la crescente impazienza
dei tedeschi, l’insofferenza di alcuni ufficiali e la turbolenza della truppa. Il Generale Gandin fu al centro di questo crocevia: decise, comunque, di negoziare fino
all’ultimo, e quando si rese conto che non vi era alcuna soluzione, che il tedesco
non gli garantiva il ritorno in Patria, in sicurezza, con le armi e con onore, e solo
dopo aver ricevuto finalmente ordini chiari dal Governo legittimo decise in piena
coscienza di lottare sfatando la leggenda che gli Italiani non si battono, malgrado
l’ordine di “cedere le armi ai Tedeschi” da parte del Cte dell’11^ Armata.
Lo stesso rientro in Patria, più volte promesso dai negoziatori tedeschi, non fu
mai predisposto in termini operativi, né fu mai elaborato un piano da parte degli
alleati sebbene il rientro in Italia delle truppe d’oltremare fosse previsto dagli
accordi armistiziali. I Comandi italiani nei Balcani e in Grecia non avevano mezzi
propri per il rientro e si resero subito conto che neppure il Comando Supremo
in Italia ne disponeva in misura sufficiente.
I tedeschi reagirono energicamente. La incontrastata supremazia aerea assicurò
loro la vittoria dopo sette giorni di combattimenti durissimi, dal 15 al 22 settembre. Ciò che avvenne dopo la resa degli Italiani, chiesta ed accettata nelle prime
ore del pomeriggio del 22 settembre, rimane come “una delle azioni più arbitrarie e disonorevoli nella lunga storia del combattimento armato”, che rende
ancora più sublime il sacrificio di quanti decisero consapevolmente di dimettersi
dalla vita per non dimettersi dalla dignità.
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Solo per iniziativa personale del Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, il ricordo di Cefalonia fa un salto di qualità nel 2001:
“Decideste consapevolmente il destino. Dimostraste che la Patria non era
morta. Anzi con la vostra decisione ne riaffermaste l’esistenza. Su queste fondamenta risorse l’Italia”.
Un’iniziativa ripresa dall’attuale Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano,
che nel 2005, celebrando il 25 aprile proprio a Cefalonia, con riferimento alle
molteplici componenti impegnate nella Guerra di Liberazione, afferma:
“Ma accanto al decisivo apporto delle formazioni partigiane, fu altamente significativo e obbiettivamente importante il contributo sia dei militari chiamati a
repentine, durissime prove all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943, sia
degli ufficiali e dei soldati che si unirono ai partigiani rafforzandone la capacità di
combattimento, sia delle nuove Forze Armate che si raccolsero nel Corpo Italiano di Liberazione. Questo multiforme contributo, a lungo sottovalutato, è ormai
iscritto a pieno titolo nella storia del nostro riscatto nazionale.
La resistenza della Divisione Acqui a Cefalonia si risolse in lunghi giorni di sanguinosi combattimenti e quindi in un orrendo massacro da parte delle forze tedesche, che erano riuscite a prevalere con il determinante concorso dell’aviazione
e ad imporre la resa alle truppe Italiane.
É su quella missione, è su quel ruolo che abbiamo voluto oggi porre l’accento
celebrando a Cefalonia il 25 aprile. Ma è combinando in una visione più ampia
tutti gli aspetti, civili e militari, della nostra presenza in difficili e impegnative aree
di crisi, ed è rinnovando una solidarietà profonda tra popolo, Forze Armate e istituzioni democratiche, che noi possiamo raccogliere nel modo più degno l’eredità
di dedizione e sacrificio degli uomini della “Acqui” e onorare la memoria dei tanti
di loro che caddero difendendo la dignità della Nazione Italiana”.
Le parole del Presidente Ciampi, prima, e del Presidente Napoletano, poi, trasmettono, in maniera inequivocabile, il senso della riscoperta di un concetto più
ampio: esso non considera solo ed esclusivamente il movimento partigiano, ma
anche e soprattutto quella parte delle Forze Armate, decisamente non trascurabile, che ha partecipato alla Liberazione. Questo collegamento pone la vicenda di
Cefalonia, finalmente, nella storia politica della nazione democratica, in cui tutti
gli Italiani possono riconoscersi.
Come scrive Giorgio Rochat nel suo saggio “Ancora su Cefalonia, settembre 1943”:
“Nel suo momento più nero, il disastro dell’8 settembre, l’Esercito Italiano trovò a
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Cefalonia una pagina di onore, che non possono intaccare le polemiche astiose o
farneticanti. Gandin non è un eroe senza difetti, è un Comandante che agisce secondo responsabilità e coscienza di una situazione eccezionale senza via di uscita; può
avere commesso errori minori (l’insufficienza delle fonti lascia un margine di dubbio
su tutti gli aspetti della vicenda), ma non sbagliò le scelte fondamentali del 9 e del 14
settembre. Gli uomini della Acqui non erano eroi, né martiri, soltanto soldati che,
per riprendere una frase tradizionale, fecero il loro dovere in parte con convinzione, tutti con obbedienza. La ferocia di una guerra senza quartiere, la volontà tedesca
di vendetta e gli ordini di Hitler portarono a un massacro terribile e ingiusto”.
E prima di concludere questa presentazione, mi piace riportare alcuni versi in
dialetto friulano del Fante Olinto G. Perosa che ben sintetizzano lo stato d’animo,
il profondo senso di smarrimento, la sfiducia del soldato italiano in quei giorni:
Il dì plui trist
Il giorno più triste
Nus puartin
Siamo partiti
vierz Argostoli
verso Argostoli
incolonazincolonnati
sole la curte cane
solamente con la canna corta
del “mascin”del moschetto
un puar drapel
un povero drappello
batutbattuto
e dezimat
e decimato.
Vin piardut
Abbiamo perso
Guere e speranze guerre e speranze
E i nestris muarz
e i nostri morti
Son lìsono li
par tiere
per terra
di cà e di làde’ strade
di qua e di là della strada
cui voi sbaraz
che sto percorrendo.
E il mar…lajù E il mare laggiù
Cui tant ò vin sperat
a cui tanto abbiamo sperato
Nus vuarde
ci guarda
Indiferentindifferente
e mut! e muto!
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Le vicende umane sono molteplici, infinite. Ma la storia, quella che dice del passato e insegna il futuro, è una sola e sempre più spesso ci dice che i morti sono
morti da una parte e dall’altra. E allora che la pace torni nei cuori di tutti gli Italiani, anche nel ricordo, e per rispetto, dei combattenti di allora che non esitarono
a sacrificare la loro vita per tener fede al Giuramento prestato e per difendere la
propria dignità di Uomini e di Soldati.
Gen. C.A.
Francesco Tarricone
Comandante 2° Comando Forze di Difesa
INDICE
Introduzione
Cap. I: LA DIVISIONE DI FANTERIA DA MONTAGNA “ACQUI”
1.1
Origini e vicende organiche.
1.2
Campagne di guerra e fatti d’arme.
1.3
Albo dei Comandanti e Sedi.
1.4
Le isole ioniche.
1.5
1941 – 43: il periodo di occupazione.
1.6
La ristrutturazione delle forze armate italiane e tedesche
nelle isole ioniche.
CAP. II: L’ 8 SETTEMBRE 1943: L’INIZIO DELLA TRAGEDIA
2.1
Dal 25 luglio all’8 settembre.
2.2
L’ 11^ Armata: l’annuncio dell’Armistizio.
2.3
Il quadro politico - militare alla vigilia dell’ 8 settembre presso
l’isola di Cefalonia.
2.4
La Divisione “Acqui”: l’annuncio dell’Armistizio.
CAP. III:I NEGOZIATI ITALO – TEDESCHI
3.1
L’inizio dei negoziati.
3.2
La richiesta della consegna delle armi.
3.3
L’ultimatum tedesco.
3.4
Il parere dei cappellani.
3.5
L’ inizio della rivolta.
CAP. IV:LE ULTIME BATTUTE PRIMA DELLO SCONTRO FINALE
4.1
La violazione dello “Status quo” e le successive trattative.
4.2
L’intervento del Generale Lanz .
4.3
Le diffidenze dei comandanti e gli ordini del Comando Supremo.
4.4
4.5
La risposta all’ultimatum.
La fine delle trattative e le ultime predisposizioni per la battaglia.
CAP.V: LE OPERAZIONI DI GUERRA
5.1
La battaglia di “Argostoli” o di “Monte Telegrafo”.
5.2
L’analisi della situazione e l’arrivo dei rinforzi tedeschi.
5.3
La battaglia di “Kardakata”.
5.4
La battaglia di “Capo Munta”.
5.5
La battaglia di “Dilinata”.
CAP.VI:IL SACRIFICIO DELLA DIVISIONE DI FANT. DA MONT. “ACQUI”
6.1
La resa incondizionata.
6.2
La rappresaglia tedesca.
6.3
Gli ultimi eccidi ed il tentativo di far scomparire le prove.
6.4
I superstiti.
6.5
La riconoscenza della Patria.
CAP.VII: LA QUESTIONE DELLA MEMORIA E LE VICENDE GIUDIZIARIE
RIGUARDANTI L’ECCIDIO
7.1
La stage dimenticata, la strage nascosta.
7.2
I fascicoli ritrovati.
7.3
Norimberga, 1948.
7.4
Roma, 1957.
7.5
Da Dortmund a Monaco e ritorno.
CONCLUSIONI
ALLEGATI
BIBLIOGRAFIA
Introduzione
La conclusione dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati segna un momento decisivo
di svolta sia per le vicende interne del paese, sia a livello internazionale per le sorti del
conflitto: essa rivela da un lato l’inettitudine e la pochezza morale della vecchia classe
dirigente e dall’altro il primo segnale dell’imminente crollo dell’Asse e della vittoria finale
degli Alleati. Contemporaneamente l’8 settembre diventa nella memoria collettiva uno dei
momenti più tragici della storia dell’Italia unita; l’annuncio dell’armistizio, seguito dalla
precipitosa fuga del Re, del Governo e del Comando Supremo, determina lo scompiglio generale lasciando le unità senza ordini chiari e precisi. Molti militari abbandonano le unità
spogliandosi della propria uniforme, molti escono da quel dramma con onore: la storia della
Divisione “Acqui” s’inserisce nel quadro più ampio del dramma che ha fatto seguito alla
resa italiana alle forze alleate, quando le nostre forze tenute allo scuro di quanto stava per
accadere e abbandonate senza direttive, furono travolte e disperse dalla decisa e programmata reazione tedesca. L’Esercito, senza ordini, non si sbanda neanche in Corsica, Jugoslavia,
Albania, nelle isole dell’Egeo; il famoso “tutti a casa” è un mito della storia che dopo circa
sessant’anni, pian piano, sta lentamente scomparendo.
Questo lavoro è un referente omaggio agli 11.000 “figli di mamma” come li chiama il loro
comandante, il Generale di Divisione Antonio Gandin, che nel settembre del 1943 decidono
di battersi contro i tedeschi con i quali sino ad alcuni giorni prima erano alleati, affrontano
una dura battaglia, sono sconfitti e subiscono per vendetta un feroce massacro che solo parzialmente viene punito dal tribunale di Norimberga nel 1948. C’è chi afferma che a Cefalonia
si lotta per la patria, nel nome della patria si combatte e si muore, e chi di contro afferma che
gli italiani a Cefalonia non volevano fare né gli eroi né i martiri. Di certo i valori della lealtà
istituzionale e della fedeltà al giuramento prestato al Re contano molto per gli ufficiali che
pure sono profondamente divisi al loro interno su come interpretarli nella situazione concreta
che si crea a Cefalonia dopo l’8 settembre; diverso è il discorso per i soldati, che si dichiarano
disposti a combattere, non già per amor di patria o per obbedienza agli ordini ma perché
vogliono tornare a casa. Vogliono tornare a casa con onore, senza cedere le armi come chiede
il tedesco, lo stesso senso di onore che spinge alcuni ufficiali di vari gradi a una manifesta
insofferenza, ai limiti dell’insubordinazione, e a giudicare il proprio comandante un debole
di fronte alle minacciose richieste tedesche. Ma è pur sempre l’onore, l’amor proprio, il senso
di responsabilità verso i propri uomini che spinge il Generale Gandin a negoziare con la
speranza di poter essere trattato con lealtà e franchezza. La decisione di negoziare gli deriva
dalla responsabilità che ogni Comandante ha nei confronti dei propri uomini, nei confronti
della bandiera e della Patria, ma anche dalla profonda conoscenza del soldato tedesco (ha
lavorato per molto tempo negli Stati Maggiori tedeschi) e della situazione geostrategica d’insieme. Il Generale Gandin sa che la situazione è disperata, in cuor suo sa di non poter contare
su nessun aiuto e conosce perfettamente la situazione della Divisione in termini di armi e
munizioni: decisamente insufficienti per affrontare il piccolo presidio tedesco. Non possiede la
necessaria e decisiva componente aerea per cui i suoi uomini sono completamente allo sbaraglio
in un territorio che non permette alcun riparo. Sa che sul continente greco ci sono migliaia di
tedeschi con armi e mezzi pronti a intervenire in qualsiasi momento e celermente.
Non è codardia, non è scarso senso dell’onore come qualcuno vuole far credere, ma è “arte
del comando”, solo il comandante può e deve avere questa prerogativa: la vita di migliaia
di uomini sono riposte nelle sue capacità e nelle sue conoscenze. Si tratta di una trattativa
tormentata, che si svolge tra la crescente impazienza (che diventa simulazione e inganno) dei
tedeschi, l’insofferenza di alcuni ufficiali e la turbolenza della truppa. Il Generale Gandin è
al centro di questo crocevia: decide, comunque, di negoziare fino all’ultimo, e quando si rende
conto che non c’è alcuna soluzione, che il tedesco non gli garantisce il ritorno in patria, in
sicurezza, con le armi e con onore, decide in piena coscienza di lottare sfatando la leggenda
che gli italiani non si battono.
Il lavoro è una semplice ricostruzione della gloriosa Divisione “Acqui”, dalle sue origini
fino alla catastrofica tragedia del settembre 1943 nell’isola di Cefalonia, dal fronte francese
alla campagna greco – albanese fino al triennio di occupazione. L’armistizio, le trattative, le
battaglie, la cattura, gli assassini di massa e l’eccidio degli ufficiali, i vari processi, le ragioni di
stato, gli armadi della vergogna, di resistenza a senso unico e di parte, sessant’anni di oblio.
Soltanto per iniziativa personale del Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, il
ricordo di Cefalonia, fa un salto di qualità nel 2001: “Decideste consapevolmente il destino.
Dimostraste che la Patria non era morta. Anzi con la vostra decisione ne riaffermaste l’esistenza. Su queste fondamenta risorse l’Italia. Quella scelta consapevole fu il primo atto della
Resistenza di un’Italia libera dal fascismo”.
Le parole del Presidente trasmettono, per la prima volta, il senso della riscoperta di un concetto più ampio della Resistenza: esso non considera solo ed esclusivamente il movimento
partigiano ma anche e soprattutto quella parte decisamente non trascurabile delle Forze
Armate, che hanno partecipato alla Liberazione. Questo collegamento pone la vicenda di
Cefalonia, finalmente, nella storia politica della nazione democratica, in cui tutti gli italiani possono riconoscersi.
Ciro Maddaluno
La divisione di fanteria da montagna “ACQUI” - Capitolo 1
21
Capitolo I
LA DIVISIONE DI FANTERIA
DA MONTAGNA “ACQUI”
1.1 Origini e vicende organiche.
La “Acqui” fu una tra le più gloriose “Brigate” dell’antico esercito piemontese, passerà alla
Storia come la “Divisione martire del secondo Risorgimento”1.
Nacque nel 1703 come “Reggimento Des Portes”, dal nome del Colonnello Giovanni
Ludovico Des Portes che lo fondò. Era un reparto di formazione (si trattò di un reggimento
di stranieri, entrarono a comporlo alemanni, svizzeri, francesi rifugiati, olandesi e inglesi) allestito celermente per tamponare l’emorragia dell’esercito piemontese preso tra due fuochi:
ispano-francese da una parte, inglese-prussiano-olandese dall’altra2.
Successivamente il Reggimento Des Portes - dopo il caotico periodo della prima affrettata
formazione - eliminò gli elementi stranieri e protestanti, e arruolò unicamente soldati
italiani e cattolici. Carlo Emanuele III gli dette un nuovo regolamento, lo inquadrò con
maggiore unità e compattezza, lo rifornì di nuove armi e lo proclamò solennemente “Reggimento piemontese cattolico”3.
Nel corso degli anni, il reggimento passa attraverso diverse denominazioni: “Audibert”,
“Monfort”, “De Sury”, dai nomi dei diversi comandanti. Nel 1774 assume il nome di
“Reggimento del Chiablese”, di possidenza del Duca di Chiablese, fratello di Re Vittorio
Amedeo III: è in questa circostanza che nella bandiera del reggimento viene introdotto lo
stemma del Chiablese, che diventerà poi quello della “Acqui”4.
Ma quando il Reggimento, per l’occupazione napoleonica del 1796, passò alla Francia, si
modificò ancora, accrebbe il numero dei suoi effettivi, estese il reclutamento anche alle
province di Alessandria, Acqui, Alba e Lomellina ed assunse nello stesso anno la denominazione di “Reggimento di Alessandria”5.
Esso - unitamente ai reggimenti di “Saluzzo” e di “Monferrato” - forma nel dicembre 1798 la
2^ Mezza Brigata di Linea che viene poi sciolta nell’aprile del 1799. L’“Alessandria” si ricostituisce nel luglio 1814 e l’1 novembre 1815, rimanendo sempre articolata su due battaglioni
22
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
in pace e quattro in guerra, prende il nome di “Brigata Alessandria”. Il 31 maggio 1821, in
seguito agli avvenimenti politici nei quali parte degli ufficiali della Brigata si erano trovati
implicati, viene sciolta ed il suo personale forma il III Battaglione Provvisorio di Linea6.
Carlo Felice, tuttavia, ordinò subito la formazione di nuove quattro brigate7. Fu allora che
con il personale della disciolta “Alessandria” – con decreto 13 novembre 1821 – viene
formata la Brigata “Acqui” (la quarta in ordine di precedenza dopo la “Casale”, la “Pinerolo” e la “Savona”) nella quale vengono inseriti il III Battaglione Provvisorio e il III
Battaglione della Legione Leggera8: nel 1832 essa ricevette la bandiera propria - croce
bianca su fondo rosso - e i reggimenti che la compongono presero la denominazione di
17° e 18° Reggimento fanteria9.
Sciolta nel 1871, unitamente alle altre brigate permanenti, è ricostituita il 2 gennaio 1881
con il vecchio nome e sempre con gli stessi reggimenti 17° e 18°. Successivamente, per la
legge del 1926 sull’ordinamento dell’Esercito, la Brigata “Acqui” viene nuovamente sciolta
il 15 ottobre dello stesso anno e i due reggimenti vengono assegnati, il 17° alla XIV Brigata
e il 18° alla XI Brigata10.
La Divisione di fanteria da montagna “Acqui” fu costituita nel dicembre 1938 in Merano a
seguito di una nuova ristrutturazione dell’Esercito (“Ordinamento Pariani”11), che riduceva
le divisioni da tre reggimenti di fanteria a due soltanto (“Divisione binaria”12), permettendo la creazione di nuove divisioni con i reggimenti resisi disponibili. La “Divisione Acqui”
risultava così costituita13:
- 17° Reggimento fanteria (per rinumerazione del 50° Reggimento di fanteria della
Brigata Parma);
- 18° Reggimento fanteria (per rinumerazione del 231° Reggimento della Brigata Avellino);
- 33° Reggimento Artiglieria14.
Nell’agosto del 1939 (circ. n. 803 G.M. del 24 agosto 193915) la divisione assume definitivamente la dicitura di 33^ Divisione “Acqui”16 risultando costituita, già nel giugno del 1940
e agli ordini del Gen. D. Francesco Sartoris, dai seguenti reparti che costituiranno l’ossatura
della Divisione “Acqui” fino al 194317 :
- Comando Divisione;
- 17° Reggimento fanteria, su tre battaglioni, una compagnia mortai da 81mm, una batteria
da accompagnamento da 65/17;
- 18° Reggimento fanteria, stessa composizione;
- 33° Reggimento artiglieria, con un gruppo da 100/17, due gruppi da 75/13 e una
batteria antiaerea da 20mm;
- 33° battaglione mortai da 81mm;
- 33^ compagnia anticarro da 47/32;
- due compagnie del genio (31° artieri e 33^ telefonisti e radiotelegrafisti) più la 33^
sezione fotoelettricicisti;
- servizi: sezione sanità, sezione sussistenza, reparto salmerie, autoreparto e due sezioni carabinieri;
- 18^ Legione CC.NN. (dal 1940)18;
- 317° Reggimento fanteria (dal 1941).
La divisione di fanteria da montagna “ACQUI” - Capitolo 1
23
Nell’ottobre del 1941 lo Stato Maggiore dell’Esercito aveva deciso di assegnare un terzo
reggimento di fanteria a otto divisioni, tra cui la “Acqui”, tutte impegnate nel presidio della
penisola balcanica. Il 1 novembre fu così costituito in Merano, presso il deposito del 18°
Reggimento fanteria, il 317° Reggimento fanteria19 le cui reclute ricevettero un semplice
ed insufficiente addestramento20.
La Grande Unità si scioglie definitivamente il 24 settembre 1943 per eventi bellici21.
1.2
Campagne e fatti d’arme.22
a. Prima Guerra d’Indipendenza (1848-1849).
- 1848: partecipa alla battaglia di Santa Lucia, ai combattimenti di Volta, Castellucchio,
Godesco e a quelli di Canale della Muzza;
- 1849: in marzo prende parte il 21 ai combattimenti alla Sforzesca
ed il 23 alla battaglia di Novara.
b. Seconda guerra d’Indipendenza (1859).
Prende parte alla battaglia di San Marino e all’investimento di Peschiera.
c. Brigantaggio (1860-1870).
Il Comando Brigata coordina l’azione contro i fuorilegge, costituendo colonne mobili
nel 1861-62 in Calabria e in seguito, fino al 1864, nel Salernitano.
d. Terza guerra d’Indipendenza (1866).
Alcuni reparti partecipano alle azioni di Montanara e contro la cintura fortificata
di Mantova, altri sono chiamati a presidiare località delle retrovie.
e. Prima Guerra mondiale (1915-1918).
- 1915: all’inizio delle operazioni la Brigata “Acqui”, schierata sul Carso, partecipa ai
combattimenti di S. Elia d’Isonzo, di Cave di Selz,Vermigliano e Monfalcone;
le sue unità si distinguono in modo particolare fra settembre e ottobre
nelle aspre lotte a M. Sei Busi;
- 1916: la Brigata “Acqui” sostiene violenti combattimenti, a fine marzo, nel Valloncello
di Selz e merita la citazione sul bollettino di guerra n. 310. Trasferita nel giugno
sull’Altopiano di Asiago all’inizio dell’offensiva nemica del Trentino,
viene impegnata su M. Catz e M.Rasta;
- 1917: in maggio è destinata quale unità di riserva nel settore di Castagnevizza;
prende parte poi alle ultime battaglie dell’Isonzo, impegnando il nemico a Hudi Log,
nel maggio, a Pod Koriti nell’agosto e a Livenza e Castagnevizza nell’ottobre;
- 1918: in febbraio opera in Val Posina e nel corso della battaglia di Vittorio Veneto
partecipa all’inseguimento dell’avversario raggiungendo il 1 novembre Ala,
il 3 Rovereto e infine Trento.
f. Seconda Guerra Mondiale (1940-1945).
- 1940-41: la Divisione “Acqui” è dislocata sul confine occidentale a difesa della valle
24
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
Stura. Subito dopo l’armistizio con la Francia si porta nel Veneto e il 6 dicembre inizia
il trasferimento in Albania.Terminate le operazioni di guerra le unità vengono dislocate
in territorio occupato per la difesa costiera delle isole greche del Mar Jonio: Corfù,
Cefalonia, Santa Maura e Zante.
- 1942: la divisione continua nell’attività di difesa delle isole Jonie; nell’estate il comando
della grande unità si trasferisce prima a Santa Maura e poi a Cefalonia23
(cartina dell’epoca in Allegato “A”).
- 1943: la “Acqui” è in difesa costiera fino all’ 8 settembre.
1.3
Albo dei Comandanti e Sedi24.
a. Comandanti:
(1) Brigata “Alessandria” (1815 – 21): Col. Paolo Ceca di Vaglierano;
(2) Brigata “Acqui” (1821 – 71):
- Col. Giuseppe Righini di S. Giorgio;
- Col. Giuseppe Pacchiarotti;
- Col. Ceva di Nucetto;
- Col. Antonio Destefanis Valfrè di Celle;
- Col. Carlo Fossati;
- Col. Giovanni Camosci;
- Magg. Gen. Maio Saluzzo della Manta;
- Magg. Gen. Carlo Giovanni Fossati;
- Magg. Gen. Pasquale Carta;
- Magg. Gen. Clemente De Nicod de Maugny;
- Magg. Gen. Pietro Falletti di Villafalletti;
- Magg. Gen.Vittorio Delfino;
- Magg. Gen. Angelo Dongiovanni di Castelborgo;
- Magg. Gen. Luigi Filippo Gozani di Treville;
- Magg. Gen. Alessandro Luigi de Saint Pierre;
- Magg. Gen. Alessandro Rocci;
- Col. Michele Scano (interinale);
- Magg. Gen. Mario Disma Schiaffino;
- Magg. Gen. Edoardo Langè;
- Magg. Gen. Edoardo Brianza.
(3) Brigata “Acqui” (1881 – 1926):
- Magg. Gen. Michele Massari ;
- Magg. Gen. Antonio Morici;
- Magg. Gen. Carlo Medici di Marignano;
- Magg. Gen. Giuseppe Mirri;
La divisione di fanteria da montagna “ACQUI” - Capitolo 1
- Magg. Gen. Eugenio Tommasi;
- Magg. Gen. Luigi Stevenson;
- Magg. Gen. Giovanni Goiran;
- Magg. Gen. Luigi Nava;
- Magg. Gen. Ernesto Chiarla;
- Magg. Gen. Massimo Tommasoni.
(4) Divisione di fanteria da montagna “Acqui” (1933 – 43):
- Gen. B. Renato Coturni (interinale);
- Gen. D. Francesco Sartoris;
- Col. Domenico Bonaccorsi (interinale);
- Gen. B. Luigi Mazzini;
- Gen. D. Ernesto Chiminello;
- Gen. D. Antonio Gandin25.
b. Sedi26:
- 1821 Chambery;
- 1821Acqui;
- 1822 Genova;
- 1823 Alessandria;
- 1824 - 26 Torino;
- 1826 - 28 Novara;
- 1828 - 30 Genova;
- 1830 - 31 Alessandria;
- 1831 - 33 Nizza;
- 1834 Alessandria;
- 1834 - 36 Nizza;
- 1836 - 38 Genova;
- 1838 - 39 Alessandria;
- 1839 - 40 Torino;
- 1840 - 42 Cuneo;
- 1842 - 43 Savoia;
- 1843 - 44 Alessandria;
- 1844 - 49 Genova;
- 1849 - 50 Nizza;
- 1850 - 51 Genova;
- 1851 - 55 Torino;
- 1855 - 57 Novara;
- 1857 - 60 Alessandria;
- 1860 Reggio Emilia;
- 1860 Bologna;
- 1861 Catanzaro;
25
26
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
- 1861- 64 Salerno;
- 1864 - 66 Torino;
- 1867 - 69 Palermo;
- 1869 - 71 Milano;
- 1881 - 84 Verona;
- 1884 - 86 Catania;
- 1886 - 89 Brescia;
- 1889 - 95 Bergamo;
- 1895 - 99 Salerno;
- 1899 - 1903 Udine;
- 1903 - 09 Pisa;
- 1909 - 10 Reggio Calabria;
- 1910 - 15 Chieti;
- 1918 - 26 Trento;
- 1939 - 40 Merano.
1.4 Le isole ioniche.
L’ aggressione alla Grecia (lanciata il 28 ottobre 1940) fu la più infelice delle imprese di
Mussolini, sul piano politico (non era dovuta a contrasti autentici, né a piani concreti di
espansione imperialista) e su quello militare27. Le unità ci arrivarono male, dopo un calvario
durato, per fortuna, solo pochi mesi, sufficienti, però, per capire con quanta leggerezza era
stata preparata la guerra, con quanta iattanza e miopia politico - militare era stata condotta
la campagna, fino a subire l’umiliazione di dover arretrare per oltre cinquanta chilometri in
territorio albanese e di dover accogliere come una liberazione l’intervento dei tedeschi, da
noi non desiderato, ma che, pur arrecando una bruciante ferita all’orgoglio del regime imperante all’epoca, toglieva dal fango dell’Albania i reparti impegnati limitandone i danni28.
Dopo un periodo di riorganizzazione in febbraio e marzo, la Divisione “Acqui” agli ordini
del Gen. B. Luigi Mazzini, il 14 aprile 1941 partecipava all’offensiva finale, coordinata con
l’attacco tedesco alla Grecia. Poi giungeva l’armistizio. La Grecia, dal canto suo, si avviava
verso un periodo assai difficile di miseria, fame, malattie, sospetti, lotte intestine, e violenze,
che finirono per coinvolgere anche gli italiani passati alla montagna dopo l’armistizio dell’8
settembre 194329. In quattro mesi di combattimenti, tra il 20 dicembre 1940 e il 23 aprile
1941, la Divisione “Acqui” aveva avuto 481 morti (di cui 35 Ufficiali), 1.163 dispersi (di
cui 31 Ufficiali), 1.361 feriti (60 Ufficiali) e 672 congelati per un totale di 3.677 perdite, a
cui si dovevano aggiungere 1.500 militari ammalati e ricoverati in ospedale. In particolare
le perdite riguardavano essenzialmente le unità di fanteria della divisione impiegati nelle
operazioni di guerra, il 17° Reggimento, che aveva avuto il cinquanta per cento di perdite,
e il 18° Reggimento, con perdite che riguardavano addirittura i due terzi degli effettivi; in
particolare si evidenziava un’elevata percentuale di perdite tra gli Ufficiali, sostituiti quasi
La divisione di fanteria da montagna “ACQUI” - Capitolo 1
27
tutti da Ufficiali di prima nomina e insufficientemente addestrati30. In totale l’infelice campagna era costata all’Italia 13.755 morti, 50.874 feriti, 25.067 dispersi, senza calcolare gli
invalidi31. Ultimate le operazioni militari, il territorio conquistato venne suddiviso e posto
sotto il controllo di tre distinte amministrazioni. Alla Bulgaria venne assegnata la Tracia; alla
Germania le più importanti posizioni strategiche, e cioè i territori di confine in Tracia e in
Macedonia, le città e le isole di maggiore importanza militare, come Lemno, Lesbo, Chio,
Creta, le Sporadi settentrionali; all’Italia venne lasciato il resto del paese, comprese le isole
dello Jonio32. Per le autorità italiane le isole ioniche avevano un importanza sia politica sia
militare. Erano il primo obiettivo dei progressi fascisti di dominio sulla Grecia per la loro
posizione geografica e per il loro passato veneziano. Da un punto di vista politico le isole
ioniche furono sottoposte a un governatorato civile con una moneta propria, la dracma
ionica33, separata dalla dracma greca, a premessa per una futura annessione all’Italia o altre
forme di dominio privilegiato, dopo la vittoria dell’Asse italo - tedesco34. Il Governatore
generale politico delle Isole ioniche dall’inizio dell’occupazione fascista e fino all’armistizio
tra Italia e Alleati fu il dirigente del partito fascista Pietro Parini35, che si insediò a Corfù.
Costui aveva alle sue immediate dipendenze gli Uffici degli Affari Politici e Civili36 che
erano stati creati separatamente in ciascun’isola dell’Eptaneso37.
Da un punto di vista militare, l’occupazione delle isole non ha inizialmente rilevanza strategica, a parte la maggiore sicurezza che avrebbero avuto i convogli italiani nel navigare lungo
le isole per evitare i sommergibili inglesi, per cui s’installano batterie costiere e presidi in
tutte le isole. La situazione cambia alla fine del 1942, quando il Mediterraneo diviene la
principale area dell’offensiva anglo-americana, e le isole ioniche vanno a costituire una barriera difensiva contro una possibile invasione della Grecia, in particolare attraverso il golfo
di Patrasso, il cui ingresso è protetto appunto da Cefalonia e Itaca. Questa nuova situazione
determina il nuovo interesse che gli italiani assegnano, in particolare, a Cefalonia38.
1.5
1941 – 43 : il periodo di occupazione.
Il 1941 fu un anno dei più duri per la Grecia. Dovunque fame feroce, estrema miseria, malattie (fra cui la tubercolosi), corruzione e prostituzione, diffuse a tutti i livelli. Nella stessa Atene i cadaveri giacevano sulle strade per giorni e nessuno se ne curava. Il numero dei morti in
quell’anno superò quello dei caduti durante la guerra contro l’Asse. Mancavano medicinali,
soprattutto il chinino, prezioso contro la malaria. Anche in campagna si soffriva, perché la
produzione era diminuita per la mancanza di fertilizzanti, non più importati, e di capitali per
rinnovare le strutture antiquate. Si diffuse pure il mercato nero, anche con la partecipazione
attiva di molti militari, che ne approfittavano, facendosi tra l’altro spedire da casa piccoli oggetti non reperibili sulla piazza e che in loco moltiplicavano enormemente il loro valore. La
gente si arrangiava per sopravvivere; molte donne dovettero tristemente adattarsi a esercitare
il più antico mestiere del mondo. Era la dolorosa conseguenza della guerra39.
In tale contesto, il 29 aprile 1941, la Divisione “Acqui” sbarca a Corfù, l’occupazione è
28
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
condotta alla buona, le isole non hanno aeroporti e neppure piste per atterraggi e decolli, gli
italiani non ne costruiscono preferendo affidarsi agli idrovolanti lungo la rotta CefaloniaCorfù-Brindisi. A Cefalonia e Corfù, i due capisaldi più importanti, non vengono edificati
bunker e ridotte sulla costa né migliorate le strade, sebbene siano poco più che mulattiere.
D’altronde la “Acqui” è fornita soprattutto di muli, di asini, di qualche cavallo e di pochissimi automezzi. Le uniche opere in muratura riguardano gli alloggi per le truppe40. In questa
prima fase, solo parte della Divisione “Acqui” occupa le isole e in particolare, a Corfù viene
collocato il Comando di Divisione e il 17° Reggimento fanteria mentre, un battaglione
del 18° Reggimento fanteria (ancora impegnato nell’occupazione della costa greca, dove
maggiori sono i problemi con la popolazione) fu inviato d’urgenza a Santa Maura41, di cui
prese il possesso il 1 maggio 1941: l’occupazione, comunque, avvenne senza provocare atti
di aperta ostilità42.
Successivamente il 5 maggio assunse la responsabilità di tutte le isole ioniche, e poiché il
18° Reggimento fanteria era ancora necessario per il presidio della costa greca, l’occupazione di Cefalonia, Itaca e Zante fu affidato ad un raggruppamento CC.NN. “da sbarco”43
su quattro battaglioni, posto alle dipendenze della “Acqui”, che rilevò il II battaglione
del 18° Reggimento fanteria a Santa Maura44. In agosto il raggruppamento CC.NN. da
sbarco rimpatriò. Il 17° Reggimento di fanteria lasciò quindi Corfù (dove fu sostituito da
un battaglione del 18° Reggimento fanteria, in attesa che fosse possibile spostarvi l’intero
reggimento) e posizionò il suo II battaglione a Santa Maura, il I battaglione a Zacinto, il III
con il comando di reggimento e reparti minori a Cefalonia45.
All’inizio del 1942 l’occupazione delle isole ioniche appariva consolidata, la Divisione
“Acqui” aveva recuperato tutti i suoi reparti e Cefalonia era stata rafforzata con artiglierie
di corpo d’armata46. Ecco come erano dislocate le truppe:
a. Corfù:
- Comando di divisione;
- 18° Reggimento (con un plotone a Phanos e uno a Paxos);
- 19° battaglione CC.NN. e 367° compagnia mitraglieri CC.NN.
(per contrazione della 18^ legione CC.NN.);
- 33° battaglione mortai;
- 33^ compagnia cannoni da 47/32;
- Comando, I gruppo e batteria da 20 mm del 33° reggimento artiglieria
(il III gruppo era ancora a Igoumenitsa, ma destinato alle isole);
- 31^ compagnia artieri;
- 33^ compagnia mista radiotelegrafisti;
- 33^ sezione fotoelettricisti;
- una compagnia del 4° battaglione mitragliatrici di Corpo d’Armata;
- due sezioni antiaeree da 20 mm di formazione.
b. Cefalonia:
- Comando, III battaglione, batteria da 65/17 e compagnia mortai del 17° Reggimento fanteria (più una compagnia del II battaglione);
La divisione di fanteria da montagna “ACQUI” - Capitolo 1
29
- II gruppo del 33° Reggimento artiglieria (meno una batteria);
- 4° battaglione mitragliatrici di Corpo d’Armata (due compagnie su quattro);
- 3° gruppo contraereo autocampale da 75/25 C.K.
(due batterie e una sezione da 20 mm);
- 7° gruppo da 105/28 di corpo d’armata
(due batterie e una sezione fotoelettrica da 120 cm);
- due sezioni antiaeree da 20 mm di formazione.
c. Santa Maura:
- II battaglione del 17° Reggimento fanteria (meno una compagnia).
d. Zacinto:
- I battaglione del 17° Reggimento fanteria (con due squadre alle Strofadi);
- una compagnia del 4° battaglione mitragliatrici di Corpo d’Armata;
- una batteria del II gruppo del 33° Reggimento artiglieria;
- una sezione antiaerea da 20 mm di formazione.
La forza della divisione, non essendo completi i dati, doveva aggirasi sui 13.000 uomini47.
Il morale si mantenne buono fino alla metà del 1942, poi le notizie provenienti dagli
altri fronti cancellarono sia il sogno di una pace imminente sia il sogno della vittoria.
La vita della guarnigione proseguiva stancamente. Le battute contro il fascismo diventavano un’abitudine, cresceva un sordo rancore nei confronti della guerra: i tedeschi,
benché sull’isola non ve ne fossero, venivano vissuti come insopportabili prepotenti. Si
marcava visita per la scabbia, per il tifo, la meningite, il carbonchio, per le irritazioni
cutanee prodotte dalla pomata usata contro la scabbia. I soldati combattevano pidocchi, cimici, facendosi spedire da casa le micidiali bustine di Mom, l’antiparassitario
più diffuso dell’epoca. Ma il vero spauracchio era la malaria, che i virtuosi affrontavano rinunziando alla Bambola, l’eccellente vino bianco e masticando in continuazione
cipolla così come facevano i locali48. Dopo un affrettato addestramento e un parziale
completamento, nel maggio del 1942, il 317° Reggimento fanteria giunse nelle isole
con 114 ufficiali, 31 sottufficiali, 1.881 uomini, 142 quadrupedi e 22 automezzi. Il suo
II battaglione fu destinato a Santa Maura, il grosso del reggimento a Zacinto. Furono
così resi disponibili i due battaglioni del 17° Reggimento fanteria che presidiavano
le due isole, i quali poterono raggiungere a Cefalonia il comando e gli altri reparti
del reggimento. Il 1 giugno fu poi costituito in Argostoli il comando della fanteria
divisionale, che assunse la responsabilità della difesa di Cefalonia, Itaca e Zacinto. Nel
settembre 1942 giungevano presso la Divisione “Acqui” circa 1.665 uomini della classe
1922 con lo scopo di portare la fanteria divisionale all’80% degli organici di guerra e
al cento per cento gli altri reparti; lo scopo non fu raggiunto tanto che le compagnie
fucilieri dovettero ridursi su due plotoni, con analoghe contrazioni di altri reparti.
L’ultimo quadro completo della forza della Divisione “Acqui” risale al 15 novembre
194249: 708 ufficiali, tra presenti e in licenza, 15.759 sottufficiali e truppa, tra presenti e
in licenza. Il grosso degli uomini presidiava ancora l’isola di Corfù, circa 6.080 ufficiali,
sottufficiali e truppa, 3.860 sono a Cefalonia, 3.300 a Zacinto, 680 a Santa Maura; non
30
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
si conoscono dati sulla distribuzione di circa 1.460 tra carabinieri reali e guardie di
finanza; vanno inoltre aggiunte le forze della Marina e dell’Aeronautica.
Nel novembre del 1942 l’aumentata pressione degli Alleati nel mediterraneo mutava radicalmente il valore strategico delle sei isole ioniche, Cefalonia ne diventava il fulcro strategico: da lì si controllavano il golfo di Patrasso e l’istmo di Corinto giudicati la porta della
Grecia50. Esse, fino all’autunno del 1942, erano state viste come un estensione del dominio
italiano sull’Albania, dal cui comando superiore dipendevano. A partire dal 1 dicembre
1942 le isole (e quindi la Divisione “Acqui”) passarono sotto la responsabilità del XXVI
Corpo d’Armata che occupava la Grecia Occidentale (Gen. Guido Della Bona, con sede a
Ianina) e del Comando Superiore di Grecia (Gen. Carlo Geloso). Contemporaneamente il
comando della “Acqui” venne trasferito da Corfù a Santa Maura e successivamente pochi
mesi dopo a Cefalonia51. Nel dicembre del 1942, per consentire una maggiore unità operativa, Hitler aveva concordato con il nostro Comando Supremo che tutte le truppe nei
Balcani passassero agli ordini dei tedeschi in quanto a impiego; messo in discussione dal
Generale Vittorio Ambrosio (Capo di Stato Maggiore Generale), l’ accordo venne poi limitato all’11^ Armata, dislocata in Grecia, che successivamente veniva trasformata in Armata
mista italo – tedesca subito dopo la caduta del fascismo52.
Il 20 giugno del 1943 il comando della Divisione “Acqui” venne conferito al Gen. D. Antonio Gandin (decorato della croce di ferro tedesca di prima classe) che dal dicembre 1940
aveva diretto l’Ufficio Operazioni congiunto del Comando Supremo53.
In questa veste il nuovo comandante della “Acqui” aveva conosciuto Hitler e i vertici della
Wehrmacht; per questo la sua nomina venne considerata come un allontanamento dall’Italia in vista di un probabile rovesciamento del regime: non si voleva a Roma un brillante
generale che aveva il filo diretto con Berlino54.
Fino al luglio del 1943 l’unica attività degna di rilievo delle unità di stanza a Cefalonia
riguardò il rafforzamento della difesa di Cefalonia: nessuna incursione da parte dei commandos inglesi o da parte dei partigiani greci, nessun bombardamento dal cielo o dal
mare; in trenta mesi di occupazione la contraerea di Argostoli aveva sparato solo tra l’11 e
il 16 dicembre 1941 per difendere il naviglio di un trasporto truppe verso l’Africa da una
manciata di aerosiluranti inglesi. I morti fino al settembre 1943 furono meno di venti: due
uccisi in un conflitto a fuoco con i contrabbandieri, quattro suicidi (un capitano medico,
un sottotenente medico, un caporalmaggiore, un artigliere), il resto in incidenti causati dalle
pessime condizioni delle strade55.
1.6 La ristrutturazione delle forze armate italiane e tedesche nelle isole ioniche.
A seguito degli avvenimenti in Italia del 25 luglio 1943, il Comando Supremo della
Wehrmacht (O.K.W.: Kriegstagebuch des Oberkommandos des Wehrmacht) disponeva,
nell’area greca e ionica, una ristrutturazione delle forze armate tedesche e italiane ivi dislocate. I tedeschi, inferiori di numero, ma meglio armati e organizzati, e soprattutto dotati di
La divisione di fanteria da montagna “ACQUI” - Capitolo 1
31
una consistente arma aerea (350 velivoli) proponevano e ottenevano tra il luglio e l’agosto
la trasformazione dell’11^ Armata italiana in una unità mista italo-tedesca. Questa rimaneva formalmente ancora sotto comando italiano ma era affiancata da uno Stato Maggiore
tedesco ed era operativa sotto la giurisdizione del Gruppo d’ Armate E56 del Generale
Alexander Lohr. La riorganizzazione, che aveva l’intenzione di assicurare una maggiore
efficienza operativa congiunta, metteva di fatto le truppe italiane sotto il pieno controllo
tedesco nei momenti di crisi57.
Inoltre con ordine del 18 agosto 1943 il Comando Supremo tedesco, per il timore di
uno sbarco anglo-americano con forze partenti dalla base di Brindisi, aveva disposto
che nei settori vitali della Balcania fossero presenti proprie unità o che vi potessero accorrere in brevissimo tempo. A tale scopo aveva costituito il XXII Corpo d’Armata da
Montagna58 (Gebirgsarmeekorps) sotto il comando del Generale Hubet Lanz con sede
a Ianina in Epiro e direttamente dipendente dal Gruppo di Armate E con alle dipendenze la 1^ Divisione da montagna (Gebirgsdivision) “Edelweiss” sotto il comando del
Generale Walter Stettner Ritter von Grabenhofen con sede del comando in Ianina, la
104^ Divisione cacciatori da montagna (Jagersdivision) sotto il comando del Generale
Hartwig von Ludwiger con sede di comando a Agrinion, il 966° Reggimento granatieri
di fortezza (Festungsgrenadierregiment) sotto il comando del Tenente Colonnello Barge
a Cefalonia59. Lo stesso Comando Supremo tedesco attribuiva, ovviamente, molta importanza al possesso dell’isola di Cefalonia data la sua posizione strategica. In conseguenza di
tale orientamento il presidio tedesco60 di Cefalonia (inviato fra il 5 e il 10 agosto 1943)
passava alle dipendenze del XXII Corpo d’Armata61.
Dopo la ristrutturazione e la trasformazione in Armata mista italo-tedesca, l’11^ Armata
comandata dal Gen. Carlo Vecchiarelli con sede del comando in Atene, era così costituita62:
a. XXVI Corpo d’Armata italiano (Gen. Guido della Bona), in Epiro, con la sede di comando: Ianina. Esso includeva :
- Divisione fanteria “Modena” (Gen. Alberto Papini), con sede del Comando: Arta;
il 18° Reggimento fanteria “Acqui”, il III gruppo e la 333^ batteria contraerea da
20mm (meno due sezioni) del 33° Reggimento artiglieria “Acqui”, dislocati nell’isola di Corfù;
- 1^ Divisione da montagna tedesca63;
- II gruppo alpini “Valle” ( Ten. Col. Umberto Manfredini) con sede di Comando: Ianina;
- Truppe e servizi di Corpo d’Armata.
b. L’VIII Corpo d’Armata italiano (Gen. Mario Marghinotti), nell’Acarnaia, Etolia e nelle
isole di S. Maura e Cefalonia; sede del Comando ad Agrinion. Esso comprendeva:
- Divisione di fanteria “Casale” (Gen. Mario Baggiani), con sede del Comando
ad Attlikon (Missolungi);
- Divisione di fanteria da montagna “Acqui” (Gen. Antonio Gandin) meno le forze
dislocate nell’isola di Corfù e due batteria del 33° Reggimento artiglieria nell’isola
di Santa Maura, con sede del comando in Argostoli (Cefalonia);
- 104^ Divisione cacciatori tedesca con sede di comando ad Agrinion64;
32
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
- Truppe e servizi di Corpo d’Armata.
c. Il LXVIII Corpo d’Armata tedesco (Gen. Helmuth Felmy) nel Peloponneso, con sede
del Comando in Vityna (nei pressi di Tripolis). Comprendeva:
- Divisione di fanteria “Piemonte” (Gen. Rodolfo Torresan). Sede di Comando in Patrasso;
- Divisione di fanteria “Cagliari” (Gen. Paolo Angioy). Sede del Comando a Tripolis;
- 117^ Divisione cacciatori tedesca (Gen. Karl von Le Suire). Sede del Comando a Tripolis;
- 1^ divisione corazzata tedesca (Gen. Walter Krueger). Sede del Comando ad Argos;
- Settore autonomo Corinto (Gen. Riccardo Mattioli);
- Settore autonomo Argolide (Gen. Italo Caracciolo);
- Truppe e servizi di Corpo d’Armata.
d. III Corpo d’Armata italiano (Gen. Luigi Manzi), in Tessaglia, Attica e nell’isola di Eubea.
Sede del Comando Tebe. Comprendeva:
- Divisione di fanteria “Forlì” (Gen. Francescantonio Arena) con sede del Comando in Atene;
- Divisione di fanteria “Pinerolo” (Gen. Adolfo Infante) con sede del Comando a Larissa;
- Truppe Eubea (Col. Renzo Reggianini) con sede del Comando in Kalkis;
- Truppe e servizi di Corpo d’Armata.
Nelle sedi di comando delle nostre Grandi Unità, o nelle immediate vicinanze, erano dislocati anche i comandi delle parallele unità tedesche, o di altre analoghe. In sostanza l’Armata
italiana, di fatto, era profondamente condizionata da una situazione che i tedeschi avevano
da tempo predisposta, spinti a ciò dalla sfiducia e dal timore di una sua insufficiente tenuta
di fronte al prolungarsi e all’acuirsi del conflitto65. Infatti agli occhi dello stesso Generale
Lanz i soldati italiani apparivano scarsamente equipaggiati e poco guidati, incapaci di attuare una difesa degna di questo nome anche solo nei confronti di una sparuta minoranza
angloamericana che avesse effettuato un tentativo di sbarco66.
La divisione di fanteria da montagna “ACQUI” - Capitolo 1
33
R. Formato, L’Eccidio di Cefalonia, Mursia, Milano, 2001, p. 243.
B. Moschetti, Il Massacro di Cefalonia era proprio inevitabile? Editions de Crémille, 1970, p. 158.
3
R. Formato, L’Eccidio di Cefalonia, op. cit., p. 245.
4
B. Moschetti, Il Massacro di Cefalonia era proprio inevitabile?, op. cit., p. 158.
5
R. Formato, L’Eccidio di Cefalonia, op. cit., p. 245.
6
Stato Maggiore dell’ Esercito – Ufficio Storico, L’ Esercito e i suoi Corpi,Tip. Reg., 1979, p. 238.
7
R. Formato, L’Eccidio di Cefalonia, op. cit., p. 246.
8
Stato Maggiore dell’ Esercito – Ufficio Storico, L’ Esercito e i suoi Corpi, op. cit., p. 238.
9
R. Formato, L’Eccidio di Cefalonia, op. cit., p. 246.
10
Stato Maggiore dell’ Esercito – Ufficio Storico, L’ Esercito e i suoi Corpi, op. cit., p. 95.
11
Il Gen. Alberto Pariani tenne la carica di Sottosegretario di Stato per la Guerra
di Capo di Stato Maggiore dell’Esercito dal 7 ottobre 1936 al 3 novembre 1939. Il Decreto n. 2095 del 22 dicembre 1938, inserito nella G.U. n. 26 del 1° febbraio 1939, determinò un accentuato snellimento nelle formazioni delle grandi unità con l’adozione della “divisione binaria” la quale, si riteneva, avrebbe consentito una maggiore mobilità e aderenza alle necessità più svariate di guerra e alla dottrina tattica orientata alle forme più dinamiche e alla concezione della guerra di rapida decisione (Stato Maggiore dell’ Esercito – Ufficio Storico, L’Esercito Italiano tra la 1^ e la 2^ Guerra Mondiale, Roma, 1954, p. 130-131).
12
La costituzione della “divisione binaria” fu così stabilita:
- Comando di Divisione;
- due reggimenti di fanteria, ciascuno su un comando, tre battaglioni, una compagnia mortai da 81mm e una compagnia pezzi da 47/32 mod. ’35 (d’accompagnamento);
- un battaglione mortai, su due compagnie da 81mm e una compagnia da 45mm;
- una compagnia pezzi da 47/32 anticarro;
- un reggimento di artiglieria, su un comando, due gruppi da 75/13 someggiati,
un gruppo da 100/17 motorizzato;
- un batteria da 20mm controaerei;
- una compagnia artieri;
- una compagnia mista telegrafisti e radiotelegrafisti;
- una sezione sanità;
- servizi di reparto e divisionali someggiati.
(Stato Maggiore dell’ Esercito – Ufficio Storico, L’Esercito Italiano tra la 1^ e la
2^ Guerra Mondiale, op. cit., p. 126-127).
13
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, Mursia, 1993, p. 22.
14
Le divisioni di fanteria normali avevano un gruppo di obici da 100/17 e uno di cannoni da
75/27 ippotrainati e un gruppo di obici da montagna da 75/13 someggiato. Le divisioni di
fanteria classificate da montagna, come la “Acqui”, avevano due gruppi da 75/13 e uno da
100/17 someggiati. Era questa l’unica variante di rilievo rispetto alle divisioni di fanteria normali.
I pezzi da 75/13 e da 100/17 erano stati in servizio nell’esercito austro-ungarico nella prima
guerra mondiale Gli artiglieri portavano il cappello alpino (G. Rochat, La Divisione Acqui a
Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 22).
1
2
34
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
La circolare assegnò a tutte le divisioni un numero ed un nominativo (Stato Maggiore dell’ Esercito - Ufficio Storico, L’Esercito Italiano tra la 1^ e la 2^ Guerra Mondiale, op. cit., p. 133).
16
Il nome della divisione non aveva nessun collegamento con il suo reclutamento. Il personale della “Acqui” proveniva, in un primo tempo soprattutto, dalla Lombardia e dal Veneto, ma i complementi
ricevuti nel 1941-1942 erano originari di tutte le regioni italiane. Nei documenti ufficiali la divisione è generalmente indicata come 33^ Divisione “Acqui” – ed alcuni suoi reparti avevano il numero 33 – ma nella prassi corrente le divisioni italiane della II^ guerra mondiale erano
identificate dal nome e non dal numero (G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia.
Settembre 1943,op. cit., p. 22).
17
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 22.
18
L’Ordinamento Pariani era basato sull’adozione della divisione binaria. Senonché, con tale
adozione, la partizione della fanteria, nell’ambito divisionale, era risultata scarsa. Per ovviare a questo inconveniente fu disposto, con la circ. n. 109230/18-1-72 del 18 marzo 1940 del
Ministero della Guerra ( Gabinetto ), che venisse assegnata ad ogni divisione di fanteria una legione della Milizia, formata da un comando, due battaglioni e reparti mitraglieri e di
complemento, della forza complessiva di circa milletrecento uomini.Tanto la legione che
i battaglioni della Milizia si differenziavano dalle corrispondenti unità dell’Esercito (reggimento e battaglioni di fanteria), oltre che per il diverso reclutamento (volontario nella Milizia, obbligatorio nell’Esercito), anche per il ridotto numero di uomini e per la minore potenza di fuoco che
caratterizzavano i reparti della milizia nei confronti di quelli dell’Esercito (Stato Maggiore dell’Esercito - Ufficio Storico, L’Esercito Italiano tra la 1^ e la 2^ Guerra Mondiale,
op. cit., p.143 – 144).
19
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 34.
20
“Siamo giovani soldati del 317° Reggimento fanteria da montagna della Divisione “Acqui”,
di recente formazione. Avevamo fatto un breve periodo di addestramento a Merano, nel piazzale della Caserma Cascino dai muri tappezzati dagli stupidi motti di allora, come: La fanteria non
ha mai chiamato il genio pontieri perché ha fatto i ponti con i propri morti, ed altre simili
incoraggianti asserzioni. La preparazione era consistita prevalentemente in alcune ore al giorno di ordine chiuso, agli ordini del piccolo ma tonante sergente abruzzese Del Beato ed in qualche
marcia in salita(…). La preparazione si concluse al poligono di Maia Alta dove sparammo un
caricatore a testa con il nuovo fucile mod.42 che di nuovo aveva solo la canna un poco più
corta(…). Dopo qualche giorno, con una sollecitudine tutt’altro che gradita, giunse l’ordine di partenza e per di più anche per l’oltremare(…). (O. G. Perosa, Divisione Acqui, figlia di
nessuno - Cefalonia e Corfù settembre 1943, Merano, 1993).
21
Stato Maggiore dell’ Esercito – Ufficio Storico, L’ Esercito e i suoi Corpi, op. cit., p. 95.
22
Stato Maggiore dell’ Esercito – Ufficio Storico, L’ Esercito e i suoi Corpi, op. cit., p. 95-96.
23
Cefalonia: è l’antica Kefallenica che significa appunto “isola elevata”. Cantata e maledetta, si erge
nel mezzo del mitico mare di Ulisse, circondata da isole cariche di leggenda e di storia. In quelle acque girovagò Telemaco in cerca del padre; vi sospirò Penelope, dall’alto del monte Ermeo che domina Itaca, in angosciosa attesa dello sposo; si diedero battaglia turchi e cristiani nella
memorabile battaglia di Lepanto. Cefalonia è la più grande delle isole Jonie e con queste essa fa da
15
La divisione di fanteria da montagna “ACQUI” - Capitolo 1
35
antemurale al continente greco, di cui comanda l’accesso, praticamente le chiavi della Grecia per l’ingresso da occidente. Per questo – per questa sua funzione di antemurale della Grecia - nel corso della storia Cefalonia non fu mai dimenticata. Non la dimenticarono gli Ateniesi. Non la dimenticarono i Romani. Il console Marco Fulvio vi arrivò verso il 180 a.C. e impose alle quattro città che allora vi fiorivano di arrendersi senza condizioni.Tutte capitolarono, meno una: Sami. Dopo un assedio di quattro mesi, Sami fu espugnata; la città rasa al suolo, i suoi abitanti portati a
Roma e venduti come schiavi. Non dimenticarono Cefalonia i Macedoni, i Bizantini,
i Normanni, i Veneziani, i Turchi. In tempi più recenti vi sarebbero stati anche Francesi e Inglesi. (B. Moschetti, Il Massacro di Cefalonia era proprio inevitabile?, op. cit., p.156-157).
Le isole greche si stendono lungo la costa occidentale della Grecia, dal confine albanese al
Peloponneso; la più settentrionale è Corfù (superficie 640 kmq, circa 60 km di lunghezza),
che a nord dista un paio di km dalla costa albanese, a sud una diecina da quella greca.Tra Corfù e la punta estrema della Puglia c’è un centinaio di km di mare più o meno quanti tra l’isola e Cefalonia. A sud di Corfù abbiamo Paxos, piccola e isolata, più a sud Santa Maura, che in realtà è una penisola (325 kmq), divisa dal continente da un canale scavato dagli antichi colonizzatori corinti. Quindi Cefalonia (quasi 800 kmq), che dista una diecina di km da Santa Maura e
circa quaranta dal continente, misura 50 km da nord a sud, 35 da est a ovest. Quasi attaccata alla sua costa orientale c’è la piccola Itaca.Venti km a sud di capo Munta, estremità meridionale
di Cefalonia , troviamo Zacinto (400 kmq), che dista a sua volta una ventina di km dal
Peloponneso. Inoltre una serie di isole minori e isolotti.. Il clima è mediterraneo, mite e ventilato, con piogge invernali. L’interno è montuoso: colline verdi a Corfù, salvo nella parte settentrionale, che sale ai 900 metri dell’aspro Pantokrar. Colline aride e sassose a Cefalonia, dove il rilievo sale
rapidamente fino a 1.130 metri a nord, a 1.600 metri a sud, alternando foreste di cipressi e poi
abeti a zone brulle e desolate. Un’economia povera, agricoltura di sussistenza e una forzata vocazione marinara. L’unica cittadina di qualche importanza era Corfù; Argostoli, capoluogo di Cefalonia, era poco più di un grosso paese. Il quadro è molto cambiato dagli anni della guerra
(G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 22).
24
Stato Maggiore dell’ Esercito – Ufficio Storico, L’ Esercito e i suoi Corpi, op. cit., p.96-97.
25
Laureato in lettere, fu Ufficiale di vasta dottrina, cultore di studi storici, di scienza e di arte. Uscito con il grado di Sottotenente dalla Scuola Militare di Modena nel 1919 e destinato all’82° Reggimento fanteria, partecipò nel 1911 e nel 1912 in Libia alla guerra italo – turca. Promosso Tenente nel 1913, due anni dopo, con il 136° Reggimento fanteria, partecipava alla guerra contro l’Impero austriaco. Promosso Capitano nel 1915 e Maggiore nel 1917, dopo essersi distinto sul Piave nel 1918 come Ufficiale in servizio di Stato Maggiore di una divisione, fu trasferito, a guerra
ultimata, nel Corpo di Stato Maggiore. Disimpegnò poi importanti incarichi presso il Ministero della Guerra finché, promosso Tenente Colonnello nel 1926, fu prima al Servizio Informazioni Militare (SIM) come capo sezione e dal 1932, insegnante alla Scuola di Guerra. Promosso
Colonnello nel 1935, tenne il comando del 40° reggimento fanteria per circa due anni per
ritornare poi nello Stato Maggiore. Dal 1° luglio 1940 fu promosso Generale di Brigata e durante la II Guerra Mondiale fu una delle personalità più spiccate del Comando Supremo. Promosso
Generale di Divisione nell’ottobre 1942, l’anno dopo, il 16 giugno 1943, fu nominato
36
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
comandante della Divisione “Acqui” (G. Carolei, Le Medaglie d’oro al Valor Militare,Tipografia Regionale, Roma, 1965, p. 327-328).
26
Stato Maggiore dell’ Esercito – Ufficio Storico, L’ Esercito e i suoi Corpi, op. cit., p. 97.
27
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 24.
28
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio, Roma, Commissione per lo studio della resistenza dei militari italiani all’estero. Rivista Militare. Ministero della Difesa, 1995, p. 5.
29
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p.17.
30
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 25-26.
31
Ma oltre a tali perdite, il conflitto aveva suscitato contro gli italiani sentimenti di disprezzo e di ostilità, che durarono a lungo; e solamente quando i Greci ebbero modo di conoscere meglio gli italiani, di constatarne, in confronto con i tedeschi, la profonda umanità e, infine di vederli
combattere sulle montagne a fianco dei partigiani greci, quei sentimenti si placarono e i due popoli ritornarono ad una reciproca stima ed amicizia.
32
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole
dello Jonio op. cit., p. 30.
33
La nuova moneta venne introdotta nel corso del 1942, con il cambio alla pari con la dracma greca effettuato sotto il controllo delle autorità italiane, che intendevano dare alla nuova moneta un valore proprio senza però poter impedire, nei fatti, che fosse coinvolta nella forte svalutazione
della dracma greca.
34
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 28.
35
A Cefalonia comandanti politici nel corso di tutto il periodo dell’occupazione fascista furono il:
- Colonnello Salvo dal 30 aprile al 10 ottobre 1941;
- Dottor Ferruccio De Lupis dal 10 ottobre 1941 al alla fine del 1942;
- Grand’Ufficiale Domenico Rastagno da metà aprile al 2 luglio 1943;
- Vittorio Seganti dei conti di Sarsina dal 2 luglio all’8 settembre 1943.
36
Uffici Affari Politici e Civili: assumerà in seguito il nominativo di Uffici Affari Civili.
37
S. Loukatos, Cefalonia, titolo originale dell’opera: Gli anni dell’occupazione italiana e tedesca e della Resistenza nazionale a Cefalonia e Itaca.Traduzione dal greco di I. Dalla Costa.Treviso, Istituto per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea della Marca Trevigiana, 1980.
38
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 28.
39
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 30-31.
40
A. Caruso, Italiani dovete morire, Milano, Longanesi & C., 2000, p. 20.
41
Santa Maura è il vecchio nome veneziano dell’isola di Lefkada, ripristinato dopo l’occupazione italiana.
42
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 26-27.
43
Non si conosce esattamente cosa fossero i battaglioni Camice nere da sbarco: probabilmente normali
battaglioni CC.NN. così ribattezzati dalla fantasia del regime. Se gli Ufficiali delle unità CC.NN.
possono essere qualificati come fascisti, dato che prestavano servizio volontariamente nella Milizia fascista (non senza vantaggi per nomine e promozioni), la truppa era costituita dai giovani di leva La divisione di fanteria da montagna “ACQUI” - Capitolo 1
37
destinati d’autorità. Più che una milizia armata per la difesa del regime, i reparti CC.NN. erano una versione più debole di quelli dell’Esercito, in quanto inferiori per armamento, addestramento e quadri e invece più propensi all’abuso di retorica e dotati di un piccolo soprassoldo che li rendeva invisi agli altri soldati. Il che non impediva che generalmente facessero la loro parte
(G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 27).
44
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 27.
45
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 31.
46
Negli ultimi tempi erano stati aggregati, come mezzi di rinforzo, due compagnie mitraglieri di
Corpo d’Armata, il CLXXXVIII gruppo da 155/14, il CXIV gruppo da 155/36, il VII gruppo da 105/28, il III gruppo da 155/36, il VII gruppo da 105 /28, III gruppo contraerei da 75/15 C.K., una sezione da 70/15, e due sezioni mitragliere da 20 mm. Oltre ai mezzi contemplati dagli organici, i reparti menzionati erano stati dotati di molte armi extra organico: 40 mitragliatrici pesanti, mortai da 81, mortai da 50, 4 cannoni da 47/32, 4 cannoni da 47/50 e 12 cannoni da 75/40 in distribuzione alla fanteria con compiti anticarro e antisbarco (L. Ghirlandini, Sull’arma si cade, ma non si cede,Tipografia Opera SS.Vergine di Pompei, 1965, p. 12-13).
47
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943,op. cit., p. 33-34.
48
A. Caruso, Italiani dovete morire, op. cit., p.13-14.
49
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 35-38.
50
A. Caruso, Italiani dovete morire,, op. cit., p.14-15.
51
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 39.
52
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 58.
53
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 43.
54
A. Caruso, Italiani dovete morire, op. cit., p. 17.
55
A. Caruso, Italiani dovete morire, op. cit., p. 16-17.
56
Il Gruppo d’Armate E era uno stranissimo gruppo d’armate: dipendeva dal Comando Gruppo d’Armate F, responsabile del settore Sud-Est dei Balcani, (feldmaresciallo von Weichs) ed era
costituito da due Corpi d’Armata (il LXII ed il XXII da montagna) e dal Comando Fortezza Creta (G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 43).
57
G. E. Rusconi, Cefalonia,Torino, Einaudi, 2004, p. 4.
58
La costituzione del XXII Corpo d’Armata tedesco aveva una sua ragione d’essere. Nell’ambito dei
provvedimenti intesi a far scattare l’Operazione Asse il Generale Lanz doveva prepararsi
occultamente ad assumere il controllo della costa occidentale ellenica ed a prendere subito in mano le
unità assegnategli. L’operazione Asse prevedeva la soluzione di forza della questione italiana, recuperando l’aliquota delle truppe italiane disposte a continuare la lotta contro gli Alleati e
disarmando e possibilmente inviando nei campi di concentramento la rimanente parte
(G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 43).
59
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 4-5.
60
Era dislocato nella penisola di Lixuri (zona di Angonas-Chavriata-Lixuri) e comprendeva il 966° Reggimento di fanteria con i battaglioni 909° e 910° e la 202^ Sturm-batterie semoventi,
composta da 9 pezzi (8 da 75 ed 1 da 105), il tutto agli ordini del tenente Colonnello Hans 38
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
Barge. In totale 25 ufficiali e oltre 1.800 uomini di truppa. La 202^ batteria semoventi e una compagnia del CMXI battaglione erano però distaccate nella zona di Argostoli: nell’abitato la
batteria e ad Argostoli di sopra la compagnia. Un modesto reparto (Ten. Rademaker)
presidiava capo Munta.
61
M.Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 1943, Roma,
Stato Maggiore dell’ Esercito - Ufficio Storico, 1975, p. 467.
62
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio, op. cit., p. 59-60.
63
Fino all’8 settembre dipende formalmente dal XXVI Corpo d’Armata (Ianina), dopo l’8 settembre
il Comando del XXII Corpo d’Armata tedesco acquista la totale competenza territoriale
(G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 14).
64
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 14.
65
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio, op. cit., p. 58-59.
66
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 5.
L’ 8 Settembre 1943: l’inizio della tragedia - Capitolo 2
39
Capitolo II
L’8 Settembre 1943:
l’inizio della tragedia
2.1 Dal 25 luglio all’ 8 settembre.
La caduta di Mussolini, il 25 luglio del 1943, fu il risultato di due successive iniziative, entrambe maturate all’interno del regime: il voto di sfiducia del Gran Consiglio, il massimo
organo del fascismo, e la decisione del Re Vittorio Emanuele III di chiedere le dimissioni
del Duce. Mussolini aveva accettato di convocare il Gran Consiglio del fascismo, che non
si riuniva dal 1939, probabilmente per affrontare gli oppositori interni e metterli in minoranza; invece dopo un accesa discussione che si prolungò per diverse ore, la mozione
presentata da Grandi - in cui si chiedeva al re di riassumere i poteri costituzionali - fu
messa ai voti e fu approvata con diciannove voti contro sette. Il giorno seguente il Re
deliberò non soltanto di sostituire Mussolini con il Generale Badoglio, ma anche di farlo
arrestare, cogliendo di sorpresa il Duce, convinto di poter contare sul suo appoggio. In
poche ore veniva posto fine in maniera indolore ad un regime durato venti anni1. Il 25
luglio era stato inteso quindi, dalla grandissima maggioranza dell’opinione pubblica italiana, come l’acquisizione della pregiudiziale ineludibile per porre fine all’alleanza con
la Germania e per far uscire l’Italia dalla guerra. Tali i fini ultimi della defenestrazione di
Mussolini e dell’inizio della defascistizzazione dello Stato e fu possibile in primo luogo
perché i suoi protagonisti poterono sentirsi sicuri e fiduciosi circa la tenuta e il sostegno
delle Forze Armate che, infatti, furono lo strumento-chiave della manovra politica, garantendo al Re ed al nuovo governo la sicurezza dell’ordine pubblico67 e un certo controllo
della situazione militare in generale68.
Appena insediato, Badoglio si affrettò ad annunciare in un proclama al paese la sua decisione di continuare la guerra a fianco della Germania. La frase “la guerra continua” sembrò un
espediente per prendere tempo e organizzare un armistizio con i governi angloamericani69.
Ma Hitler ed il III Reich facevano ancora più sul serio del Maresciallo Badoglio. Nella
riunione dell’Alto Comando Tedesco, a Rastenburg, del 26 luglio, si dava via all’ope-
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Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
razione “Alarich” che prevedeva: il controllo dei passi alpini per il libero transito con
la Germania attraverso il Brennero e con il dispositivo militare tedesco nella Francia
occupata attraverso i valichi delle Alpi Occidentali e la litoranea ligure, l’inserimento tra
le unità italiane nell’Italia settentrionale ed il raggruppamento di unità divisionali scelte
in direzione da Nord a Sud dalle immediate vicinanze di Roma sino al litorale campano
così da integrarsi con lo schieramento già in atto nel fronte Sud dalla Sicilia, non ancora
occupata, alla Calabria ed alle Puglie70. Alle prime notizie circa l’ammassamento di forze
tedesche alla frontiera ed il forzamento dei posti di confine in formazioni di combattimento, il Comando Supremo italiano reagì energicamente verso il Comando Supremo
germanico anche se fu costretto ad accettare il fatto compiuto perché, in sostanza, il
proclama di Badoglio vigeva in tutta la sua drammaticità con la nota affermazione: “la
guerra continua”. Lo Stato Maggiore dell’Esercito diramava subito, in data 30 luglio,
disposizioni verbali che non potevano prestarsi ad interpretazioni vaghe nella loro
precisione: reagire e opporsi con la forza ad ogni tentativo dei tedeschi di impossessarsi
dei punti vitali, garantire il totale controllo di essi con forze italiane, intensificare la
vigilanza degli obiettivi più importanti71.
Ogni iniziativa del governo fu totalmente condizionata dalla paura della reazione delle forze armate tedesche. Si creò una situazione paradossale: Badoglio tardò a prendere contatto
con i governi angloamericani per timore di insospettire i tedeschi, mentre i tedeschi erano
convinti che le trattative per un armistizio fossero già in corso, e cercavano di trovare le prove del tradimento italiano per avere il pretesto di uscire allo scoperto. Nonostante i pesanti
bombardamenti angloamericani sulle città italiane e la pressione dell’opinione pubblica
perché l’Italia uscisse dalla guerra, il governo Badoglio non seppe prendere una decisione.
Il Re e Badoglio si dimostrarono del tutto incapaci di affrontare la situazione, trascinando
l’Italia con la loro inazione nel più grave disastro militare della sua storia. Preoccupati soltanto di mantenere il segreto per non dare ai tedeschi l’occasione di un colpo di stato non
impartirono alcuna direttiva al Comando Supremo e allo Stato Maggiore dell’Esercito per
orientare i vari comandi sull’eventualità di un armistizio con gli angloamericani nel timore
che i tedeschi ne potessero venire a conoscenza. Per tutta la prima metà di agosto, del resto,
i comandi militari erano orientati, in attesa di un armistizio, a continuare la guerra a fianco
dei tedeschi. Nello stesso tempo il comando italiano prese una serie di misure per far fronte
e annullare la probabile aggressione tedesca72.
Infatti lo Stato Maggiore dell’Esercito, che seguiva accuratamente la situazione, riscontrando
nell’atteggiamento germanico una gravità sempre maggiore, diramò il 10 agosto 1943 l’ Ordine 111 C.T.73 confermando e ampliando nei riguardi dei comandi periferici le direttive verbali impartite il 30 luglio.Verso la fine di agosto, dietro richiesta del Capo di Stato Maggiore
Generale Ambrosio, lo Stato Maggiore dell’Esercito preparò la “ Memoria O.P. 44” che era un
ampliamento del foglio “111 C. T.”, e che fu recapitata tra il 2 e il 5 settembre soltanto ai comandi militari dipendenti dallo Stato Maggiore dell’Esercito, cioè alle forze stanziate in Italia.
Entrambi i documenti avevano carattere prettamente difensivo nei confronti di una possibile
aggressione tedesca e non facevano nessuna allusione alla possibile firma di un armistizio74.
L’ 8 Settembre 1943: l’inizio della tragedia - Capitolo 2
41
In relazione al contenuto della Memoria O.P. 44 e alla notizie derivanti dall’avvenuta firma
dell’armistizio (3 settembre) il 6 settembre il Comando Supremo emanò il “ Promemoria
n° 1” diretto ai Capi di S.M. delle tre Forze Armate riguardante le forze dislocate in Italia,
Francia e Croazia, vero e proprio complemento della Memoria O.P. 44 e il “ Promemoria
n° 2” contenenti ordini diretti ai Comandi Gruppo Armate Est (concentrare le forze e
garantirsi i porti di Cattaro e Durazzo), all’Egeo e al Comando Superiore Grecia (libertà
per i comandanti di assumere l’atteggiamento più conforme alla situazione, precisando di
dichiarare ai tedeschi che le truppe italiane non avrebbero preso le armi contro di loro né
avrebbero fatto causa comune con i ribelli se non fossero state soggette ad atti di violenza
armata)75. L’ armistizio venne annunciato per radio dal Generale Eisenhower verso le ore
18.00 dell’8 settembre. Seguì un Consiglio della Corona al Quirinale per decidere in merito all’accettazione o meno dell’armistizio e dopo varie discussioni fu decisa l’accettazione.
Alle ore 19.45 il Maresciallo Badoglio annunciò via radio all’Italia l’avvenuta conclusione.
Il radiomessaggio fu ripetuto più volte: non fu sentita la necessità in quel momento di
incitare il popolo italiano alla resistenza ai tedeschi, galvanizzando gli animi. L’ atteggiamento delle forze tedesche all’annuncio fu inizialmente guardingo e di attesa ma non subì
tentennamenti. Poco dopo il Comando Supremo germanico diramò la parola convenzionale “Achse” e da quel momento tutti i comandanti tedeschi iniziarono l’esecuzione delle
previste misure76. Alle ore 0.20 del 9 settembre il Comando Supremo, con il messaggio
n. 24202/O.P., confermava “che non deve però essere presa iniziativa di atti ostili contro
i germanici”. Memorie e promemoria rimasero di fatto, quasi per intero, lettera morta a
causa sia delle contraddizioni che taluno di essi presentava nei loro contenuti sia dei ritardi
con i quali giunsero - qualcuno non arrivò a destinazione - agli alti comandi periferici che
comunque non fecero in tempo a travasarli ai comandi delle grandi unità dipendenti (se
l’armistizio fosse stato promulgato il 12 settembre, l’esecuzione degli ordini avrebbe potuto
risultare favorevolmente diversa) e altresì della scarsissima possibilità di raccogliere le forze
molto frazionate in vaste aree e della impreparazione psicologica a cambiare d’improvviso
la direzione del fuoco77. Circa tre ore dopo l’annuncio dell’armistizio il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, i Sottocapi, il Capo Reparto Operazioni e i componenti della “Sezione
speciale”78 si trasferirono da Monterotondo a Roma, facendo ritenere che vi fosse, almeno
nelle intenzioni, la decisione di condurre la resistenza con una visione unitaria. Cominciarono a pervenire subito numerosissime richieste telefoniche da parte di molti comandi ed
enti periferici, taluni non direttamente dipendenti dallo Stato Maggiore ma dal Comando
Supremo, per ricevere ordini e precisazioni su incidenti in corso con i tedeschi: fu subito
evidente la conferma che non tutti i comandi avevano ricevuto notizia degli ordini e degli orientamenti diramati in precedenza. Alla 6.39 del 9 settembre il Comando Supremo
diramò ai tre Stati Maggiori il fonogramma n.16733 con il quale avvertì che il Governo e
il Comando Supremo avrebbero lasciato Roma dirigendosi a Pescara, aggiungendo che i
Capi di Stato Maggiori avrebbero dovuto seguire, lasciando sul posto loro rappresentanti79.
42
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
2.2 L’ 11^ Armata: l’ annuncio dell’Armistizio.
L’11^ Armata fu l’unica grande unità italiana nei Balcani che ricevette, sia pure con un solo
giorno di anticipo, la generica notizia sulla possibilità di un armistizio tra le forze armate
italiane e quelle angloamericane, anche se questo preavviso non servì a molto. Si tratta del
cosiddetto “Promemoria n. 2” che venne portato ad Atene dal Generale Cesare Gandini,
Capo di Stato Maggiore dell’11^ Armata, che si trovava casualmente a Roma. Questi, nella
notte sul 7 settembre si vide recapitare in albergo da un Ufficiale del Comando Supremo
l’importante documento. Egli fece appena in tempo a prendere l’ultimo aereo militare Roma-Atene ed a raggiungere in tarda serata il proprio comando80. Rientrato in sede riferiva
al comandante dell’Armata, consegnandogli il “Promemoria n.2”, che a Roma si considerava inevitabile il sacrificio dell’Armata e quindi si faceva affidamento sul suo prestigio e
sulla sua abilità per evitare lo sterminio delle truppe ed il loro internamento81. L’ esame del
documento indicava chiaramente di evitare lo scontro con i tedeschi, consentendo loro di
subentrare pacificamente nei dispositivi di difesa; inoltre raccomandava di non fare “causa
comune” non solo con i ribelli ma neppure con gli angloamericani “che eventualmente
sbarcassero” e di mantenere una rigorosa neutralità in attesa di poter rientrare in patria.
Infatti più avanti il Promemoria diceva: “riunire al più presto le forze, preferibilmente sulle
coste in prossimità dei porti” con il sottinteso (taciuto ma ovvio) che sarebbero arrivati
mezzi per il trasporto in Italia. Il testo non spiegava che, proclamato l’armistizio, sarebbe
risultato valido il “Memorandum di Quebec”82, che invitava il governo di Roma a “predisporre i piani, da attuarsi al momento opportuno, perché le unità italiane nei Balcani possano marciare verso la costa dove potranno essere trasportate in Italia dalle Nazioni Unite”
e “di non permettere ai tedeschi di prendere in mano le difese costiere italiane”. Perentoria
invece era l’affermazione descritta al punto IV83 del Promemoria84.
L’annuncio dell’armistizio85 avvenuto alle ore 19.45 dell’8 settembre 194386 per quanto
giunto in anticipo sui tempi ipotizzati, non dovette avere totalmente sorpreso il Generale
Vecchiarelli, uno dei pochi comandanti che la sera del giorno precedente aveva ricevuto il
“Promemoria n. 2”87 inviato alle grandi unità direttamente dipendenti dal Comando Supremo Italiano (Gruppo Armate Est, Egeo, Grecia e Creta)88.
Proprio sulla base di queste disposizioni (e forse sarebbe stato meglio non averle ricevute) il Generale Carlo Vecchiarelli , comandante dell’11^ Armata, impartì tassative
disposizioni per impedire che le forze italiane si opponessero a quelle tedesche e per
garantire a queste ultime la consegna delle artiglierie e delle difese costiere, in vista
di uno sperato, ma improbabile ritorno a casa. Infatti nella stessa sera dell’8 settembre
alle ore 20.00 diramò l’ordine n. 02/2500689: “Seguito conclusione armistizio truppe
italiane 11^ armata seguiranno questa linea di condotta. Se i tedeschi non faranno
atti di violenza, truppe italiane non rivolgeranno armi contro di loro. Truppe italiane
non faranno causa comune con ribelli né con truppe angloamericane che sbarcassero.
Reagiranno con la forza ad ogni violenza armata. Ognuno rimanga al suo posto con
compiti attuali. Sia mantenuta con ogni mezzo disciplina esemplare. Comando tedesco
L’ 8 Settembre 1943: l’inizio della tragedia - Capitolo 2
43
informato quanto precede. Siano immediatamente impartiti ordini di cui sopra a reparti dipendenti. Assicurare. Firmato Generale Vecchiarelli”90.
Il Generale von Gyldenfeld, Capo di Stato Maggiore operativo tedesco che era stato affiancato al Comando dell’11^ Armata a seguito della trasformazione dell’Armata italiana
in Armata mista italo-tedesca, nella stessa notte dell’8 settembre si presentò al Generale
Vecchiarelli proponendogli l’alternativa91: o continuare a combattere accanto ai tedeschi
– il che voleva dire non riconoscere l’armistizio e disobbedire al legittimo Governo – o
cedere le armi, disattendendo ugualmente l’ordine di armistizio che imponeva di reagire
“ad eventuali attacchi da qualsiasi provenienza”; avvertì inoltre che se gli italiani avessero
rifiutato la cessione delle armi, i tedeschi l’avrebbero ottenuta con la forza. Il Generale
Vecchiarelli rifiutò entrambe le proposte, non potendo accettare di continuare a combattere a fianco dei tedeschi né di cedere le armi, se non ponendosi contro gli ordini
del proprio Governo; illudendosi di poter giungere ad una onorevole soluzione della
nuova situazione, iniziò una trattativa con il Generale von Gyldenfeld, sostituito, poi, dal
Generale Lanz92, Comandante del XXII Corpo d’Armata tedesco. Nel mentre i tedeschi
davano pronta attuazione al piano offensivo elaborato da tempo e scattato dietro la parola d’ordine “Achse”; essi infatti interruppero i collegamenti telefonici isolando i nostri
comandi, occuparono uffici, magazzini, punti strategici, si impadronirono in Atene dei
due campi di aviazione (Kalamaki e Tatoi), degli stabilimenti dell’Intendenza di armata,
mettendovi propri uomini di guardia. Tutta la potente ed efficiente macchina da guerra
tedesca, favorita dalla propria posizione strategica che le aveva permesso di incapsulare le
unità italiane, approfittando della loro pressoché generale acquiescenza si mosse sollecitamente per stroncare subito ogni forma di resistenza93.
Ad Atene lo stesso Generale Lanz riteneva molto difficile il compito di imporre il disarmo
all’ 11^ Armata considerandola, per la sua inaffidabilità e la sua volontà di difendersi, un
pericolo serio. Nel corso di una riunione con i suoi colleghi annunciava che intendeva
trattare con gli italiani in modo amichevole, volendo evitare uno spargimento di sangue in
considerazione delle forze insufficienti. Nella sola Atene e dintorni, infatti, i tedeschi disponevano di due battaglioni contro due divisioni italiane. Lanz sapeva che la sua linea morbida
era in contrasto con le indicazioni dei comandi superiori. Alle ore 0.30 del 9 settembre
1943, mentre rifletteva ancora sulla migliore tattica da usare, il Generale Lanz riceveva una
telefonata dal suo diretto superiore, il Generale Lohr, che lo informava che in Italia l’operazione “Achse” stava funzionando in modo egregio. All’insistenza del Generale Lanz di
voler procedere con modi morbidi, il suo diretto superiore rispondeva di comportarsi come
meglio credeva purché l’armata disarmasse. Alle ore 0.45 il Generale Lanz si incontrava, al
quartier generale dell’Armata, con il Generale Vecchiarelli il quale gli intimava, secondo
gli ordini ricevuti, il completo disarmo delle truppe italiane94. Nel corso della discussione
venne redatta una bozza di accordo: le truppe italiane sarebbero rimaste in difesa costiera
per quattordici giorni, dopodiché sarebbero state rimpatriate con armamento da definirsi,
evitandosi così quel disarmo totale già richiesto dal Generale Gyldenfeldt. Il Generale Lanz
si riservò di riferire ai suoi superiori per poter dare una risposta e promise di far riallacciare
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Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
i collegamenti a filo che erano stati tagliati all’inizio dell’annuncio dell’armistizio.Verso le
ore 4.00 del 9 settembre fece ritorno e comunicò al Generale Vecchiarelli che il Generale
Lohr non aveva ratificato l’accordo; che restava fermo il rimpatrio dell’Armata, ma in condizioni di pieno disarmo (salvo la pistola per gli Ufficiali) e che egli era costretto, con suo
dolore, ad invitarlo a impartire gli ordini relativi. Le proteste e le tesi contrarie del Generale
Vecchiarelli, che considerava il disarmo in contrasto con l’onore militare, non valsero95.
Ancorché il comandante dell’11^ Armata non aveva più alcuna possibilità di autonome decisioni essendo già praticamente prigioniero dei tedeschi. Sconfessando le istruzioni avute
e le stesse sue disposizioni emanate la sera dell’8 settembre egli, allo scopo di evitare un
inutile spargimento di sangue, trasmise, alle ore 9.50 del 9 settembre, l’ordine di resa con
messaggio n. 02/2502696: “ A seguito mio ordine 02/25006 dell’8 corrente alt Presidi costieri dovranno rimanere in attuali posizioni sino at cambio con reparti tedeschi non, dico
non, oltre però le ore 10.00 del giorno 10 alt In aderenza clausole armistizio truppe italiane
non oppongano da detta ora resistenza alcuna ad eventuali azioni truppe angloamericane;
reagiscano invece ad eventuali azioni forze ribelli alt Truppe rientreranno al più presto
in Italia alt pertanto una volta sostituite Grandi Unità si concentreranno in zona che mi
riservo di fissare unitamente at modalità trasferimento alt Siano lasciate at reparti tedeschi
subentranti armi collettive et tutte artiglierie con relativo munizionamento; siano portate at
seguito armi individuali ufficiali et truppa con relativo munizionamento in misura adeguata
ad eventuali esigenze belliche contro ribelli alt Consegneranno parimenti armi collettive
tutti altri reparti delle Forze Armate italiane conservando solo armamento individuale alt
Consegna armi collettive per tutte le Forze Armate italiane in Grecia avrà inizio at richiesta
comandi tedeschi at partire ore 12.00 di oggi alt Firmato Generale Vecchiarelli”. In realtà
con il passare delle ore, lo stesso Vecchiarelli vedeva sfumare in termini pericolosamente
vaghi l’impegno tedesco del rimpatrio della truppa, che, tra l’altro, sarebbe potuto avvenire
soltanto attraverso un lungo itinerario ferroviario nelle retrovie dei Balcani97. La grande
maggioranza dei comandanti98 nel continente eseguì la direttiva Vecchiarelli, accettando
quindi di essere disarmati, a eccezione della Divisione “Pinerolo”, in Tessaglia.
I comandanti delle isole invece rifiutarono, per lo più, di obbedire all’ordine, considerandolo estorto con la forza. La possibilità di resistenza delle truppe italiane di fronte ai tedeschi
era di fatto diversa nella Grecia continentale e sulle isole. Sul continente l’azione dell’11^
Armata era limitata dal fatto che nel luglio essa era stata posta sotto il comando operativo
del Gruppo Armate Est del Generale Lohr, e il successo o insuccesso di qualunque azione
di resistenza dipendeva dal rapporto con i partigiani greci. Sulle isole le possibilità di azione
al momento dell’armistizio erano maggiori per due motivi: la superiorità numerica italiana
e l’importanza strategica delle isole, o almeno di molte di esse, per gli alleati, che rendeva
possibile un loro intervento99.
Non va dimenticata l’angoscia alla quale fu sottoposto lo stesso comandante dell’11^ Armata che vedeva crollare giorno per giorno tutte le illusioni che si era fatte sulla sincerità
dell’avversario: anche nei suoi confronti i tedeschi, man mano che progredivano le operazioni di disfacimento dell’Armata, si rivelavano fermi e decisi. Il 18 settembre, insieme al
L’ 8 Settembre 1943: l’inizio della tragedia - Capitolo 2
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suo Capo di Stato Maggiore, venne posto sotto sorveglianza (sotto la protezione delle forze
armate tedesche) e tenuto pronto a partire; l’indomani lasciò Atene in aereo per Belgrado e
fu poi fatto proseguire per il campo di internamento di Schokken, insieme con altri generali e colonnelli provenienti da varie località. Così il Comando d’ Armata cessò di fatto di
esistere, mentre centinaia di militari sfuggiti ai rastrellamenti riuscivano ad occultarsi con il
generoso aiuto della popolazione greca100.
2.3 Il quadro politico - militare alla vigilia dell’8 settembre presso l’isola di Cefalonia.
Presidiava l’isola di Cefalonia la Divisione di fanteria da montagna “Acqui”, eccettuati gli
elementi dipendenti dal Comando XXVI Corpo d’Armata, rinforzata da unità varie, agli
ordini del Generale di Divisione Antonio Gandin, Capo di Stato Maggiore il Tenente Colonnello di S.M. Giovanni Battista Fioretti. Sede del Comando: Argostoli, comprendeva101:
- Comando fanteria divisionale (Generale di Brigata Edoardo Luigi Gherzi);
- Comando artiglieria divisionale (Colonnello Mario Romagnoli);
- Comando genio divisionale;
- 17° Reggimento di fanteria nella sua integrità organica (Tenente Colonnello Ernesto Cessari);
- 317° Reggimento di fanteria nella sua integrità organica (Colonnello Ezio Ricci);
- 2^ e 4^ compagnia del CX battaglione mitraglieri di Corpo d’Armata;
- I Gruppo (100/17) del 33° Reggimento artiglieria102;
- 5^ batteria (75/13) del II Gruppo del 33° Reggimento artiglieria;
- VII Gruppo da 105/28, XCVI Gruppo da 155/36 e CLXXXVII Gruppo
da 155/14 dell’artiglieria di Corpo d’Armata;
- III Gruppo contraereo da 75/27 C.K.;
- 2 sezioni cannoni da 70/15;
- 2 sezioni mitragliere contraeree da 20 mm.;
- 215^ compagnia103 lavoratori del genio;
- 1 sezione fotoelettriche;
- Battaglione genio divisionale;
- 31^ compagnia genio artieri;
- 33^ compagnia mista genio trasmissioni radiotelegrafiche;
- 2^ compagnia carabinieri del VII battaglione;
- 44^ sezione di sanità con gli ospedali da campo 37°, 527°e 581°;
- 8° nucleo chirurgico;
- reparti della Marina (Capitano di Fregata Mario Mastrangelo) a presidio del porto di Argostoli e per il controllo del movimento marittimo, comprendenti:
- 208^ batteria, su tre pezzi da 152;
- una batteria su tre pezzi da 120;
- cinque pezzi da 76 c.a.;
- varie unità per i servizi della base;
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Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
- una flottiglia MAS;
- 2 cacciasommergibili;
- una flottiglia dragamine;
- 2^ compagnia della Guardia di Finanza.
Il contingente tedesco104, al comando del Tenente Colonnello Hans Barge, dislocato nella
zona di Lixuri, era costituito da105:
- 966° Reggimento di fanteria da fortezza su due battaglioni (909° e 910°);
- 202^ batteria semovente su nove pezzi (8 da 75 e 1 da 105);
- 1 plotone genio pontieri;
- due batterie antinave (in via di allestimento a Capo Munta a sud e a Capo Vlioti
a nord dell’isola);
- un gruppo pionieri fortezza.
Vi erano pochi elementi dell’Aeronautica, ma nessun reparto aereo; stazionavano nelle
acque della baia due idrovolanti da ricognizione, presso il lungo ponte di Argostoli, ma
partirono improvvisamente la sera dell’ 8 settembre106.
Complessivamente gli italiani ammontavano a circa 11.500 uomini di truppa e 525
Ufficiali; i tedeschi avevano circa 1.800 uomini di truppa e 25 Ufficiali, con un rapporto di forze di 6 a 1 107.
L’isola era collegata col continente greco mediante cavo telefonico sottomarino e due
stazioni radio, delle quali una della Marina. Le truppe disponevano di 10 unità di fuoco
(munizionamento per tre o quattro giorni) e 90 giorni di viveri108.
Le condizioni materiali del soldato a Cefalonia erano quelle comuni a tutte le truppe
italiane in patria e nei diversi teatri di operazioni, ossia, nella maggior parte dei casi,
al di sotto della mediocrità. Fra l’altro, per quanto riguarda Cefalonia il vestiario era
scarso in special modo le calzature; era ridotto al minimo indispensabile il vitto e tuttavia quasi sempre insufficiente alle condizioni di vita del soldato in guerra. Sicché, per
queste ed altre deficienze, il regime disciplinare, costretto a reggersi, pur nelle contingenze ordinarie, su uno sproporzionato spirito di sacrificio dei gregari, non presentava
sintomi rassicuranti di stabilità109.
Questo insieme di forze era schierato in distinti settori nei punti più idonei per la difesa
dell’isola, ma con inevitabili contatti e frammischiamenti favoriti dalle modeste dimensioni
dell’isola stessa (781 kmq). Le dislocazioni prevedevano110:
a. Settore nord - orientale: 317° Reggimento fanteria. Sede del Comando: Makrjotica:
- I Battaglione tra Sami, Antisami, e Sant’Eufemia;
- II Battaglione in riserva a Franata;
- III Battaglione sulle alture del Kardakata;
- 1^ batteria da 105/28 ( VII Gruppo) a Capo Vljoti;
- 410^ batteria da 155/36 (XVIV Gruppo) a Sami;
- sezione da 70/15 a Sant’Eufemia.
b. Settore sud – occidentale: 17° Reggimento fanteria. Sede del Comando: Keramies:
- I Battaglione da Scala alla baia di Katelios, con distaccamento a Lordata;
L’ 8 Settembre 1943: l’inizio della tragedia - Capitolo 2
47
- II Battaglione in riserva a Mazaracata;
- III Battaglione, rinforzato da due compagnie mitraglieri di corpo d’Armata, da capo San
Teodoro a Capo Liakas;
- 409^ batteria da 155/36 (XCIV Gruppo) a Capo Sostis;
- 411^ batteria da 155/36 (XCIV Gruppo) a Perorata;
- 5^ batterid75/13 del 33° Reggimento artiglieria a Mavrata;
- 1^ e 3^ batteria da 100/17 del 33° Reggimento artiglieria rispettivamente a Svoronata e Klismata;
- CLXXXVIII Gruppo d155/14, da Chelmata a Lardigò;
- 1^ e 2^ c.a. 75/CK, rispettivamente, ad Argostoli e a San Teodoro;
- batteria Marina da 152 e 76/40 c.a., rispettivamente, a Minies e Faraò;
- sezione fotoelettrica e sezione fonoascolto, sul costone di Spilla;
- 202^ batteria semoventi tedesca, zona di Argostoli;
- 1^ compagnia del CMIX Battaglione d’arresto tedesco, ad Argostoli di Sopra.
c. Settore nord – occidentale: forze italiane e tedesche. Sede del Comando: Liguri:
- 910° Battaglione d’arresto tedesco, meno una compagnia, lungo la baia di Kiriakì;
- 909° Battaglione d’arresto tedesco, lungo la fascia costiera della penisola di Paliki,
da Capo Gherogambo a San Giorgio;
- 2^ batteria italiana da 105/28 ( VII Gruppo), a capo San Giorgio;
- 2^ batteria da 100/17 a Chavriata;
- Batteria da 120 della Marina, in corso di allestimento ad Akrotiri.
Le forze militari e navali italiane, in apposite postazioni dell’isola erano rinforzate da importanti opere di difesa e da installazioni che erano state costruite fin dalla metà del 1942 con
l’obiettivo di contenere un probabile sbarco da parte degli Alleati. Esse erano costituite111:
- dall’interruzione della strada del porto dal vecchio mercato del pesce fino alla vecchia dogana di Lixuri;
- da posti di guardia militari all’inizio del ponte di Argostoli e nella Scuola Agraria della città;
- dalla fissazione in zona militare proibita del territorio Agh.- Teodoros-Faro e da posti di guardia nelle Vinarie e nella postazione Faraò;
- da postazioni di mitragliatrici e cannoni in località Molini di Argostoli;
- da fortificazioni nella catena delle colline Chelmata-Chiaravonta-Spilià;
- da importanti opere di difesa nella serie di colline Faraò-Aj Thanassi-Telegraphos.
Nell’isola stazionavano inoltre press’a poco un centinaio di funzionari civili impiegati presso il Consorzio agrario, la Banca del Lavoro, il Banco di Napoli sotto la direzione politica
del console Vittorio Seganti dei Conti di Sarsina.
Il movimento di liberazione ellenico era rappresentato a Cefalonia dalla K.O.K.I.112
(Kommunistikon Organon Kephallinia Itaki = Organizzazione comunista Cefalonia Itaca) che, al momento della occupazione italiana, era entrata in profonda crisi ma si era
ripresa alla notizia dell’armistizio113. Inoltre fin dall’agosto del 1943 c’era a Cefalonia
una missione alleata inviata dal Quartier Generale del Medio Oriente, che intravedendo
dopo lo sbarco angloamericano in Sicilia lo sviluppo delle operazioni nell’Eptaneso e lo
sfacelo del regime fascista italiano, ritenne indispensabile seguire da vicino la situazione
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Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
in movimento nelle zone della Grecia occupate dagli italiani inviando degli emissari
sul posto. La componevano il cefalleno luogotenente di cavalleria Andrea Galiatsatos da
Varì di Erisso, che era fuggito nel Medio Oriente, ed il diciannovenne radiotelegrafista
Frixos Sinopulos che subito dopo essere sbarcato nel nord dell’isola si trasferì e si installò
nel villaggio Varì paese di origine del luogotenente di cavalleria. Questi entrò subito in
contatto con gli abitanti dei villaggi della zona, molti dei quali facevano parte dell’EAM,
e costituì con loro una piccola squadra di informatori114.
2.4 La Divisione “Acqui”: l’annuncio dell’armistizio.
La sera dell’8 settembre 1943, mentre le prime ombre calavano dalla catena montagnosa dell’Enos infilandosi nelle viuzze della bella Argostoli e tra gli ulivi della pianura circostante, giungeva inattesa, come un fulmine a ciel sereno, la notizia dell’armistizio115. Il
Comando Marina di Argostoli, alle ore 19.00 captava da radio Londra la notizia che gli
angloamericani avevano accettato la domanda di armistizio avanzata dal Governo Italiano
e nonostante la ricerca di conferme e spiegazioni, solo alle 19.45 la radio italiana lo confermò con la comunicazione ufficiale del Maresciallo Badoglio116. Quella sera si trovava
ad Argostoli anche il Generale Marghinotti. Trasferitosi il 19 agosto con il suo Comando
dell’VIII Corpo d’Armata dal Peloponneso ad Agrinion, in Etolia, per ricostituirsi con le
Divisioni “Acqui”, “Casale” e la 107^ cacciatori tedesca in seguito al nuovo ordinamento
dell’Armata, stava appunto compiendo un giro d’ispezione alle nuove unità. Conosciuta la
notizia dell’armistizio, dopo alcune generiche istruzioni al Generale Gandin relative alla
sicurezza ed al controllo dei reparti, e con l’ovvia riserva di ulteriori ordini appena possibile,
si affrettò a tornare ad Agrinion117. Invano però si attesero, quella notte e poi, le ulteriori
notizie, gli ordini precisi, e gli immancabili chiarimenti che tutti ed in particolar modo il
Generale Gandin ardentemente bramavano118. Intanto la notizia dell’armistizio italiano si
diffuse come un lampo in tutta l’isola la sera tardi e provocò un incontentabile ed irrefrenabile entusiasmo119. Soldati italiani e marinai con il popolo delle città e delle campagne
ed anche soldati tedeschi si riversarono tutti insieme affratellati, nelle strade e nelle piazze
di Argostoli, di Lixuri e dei villaggi, inneggiando e sparando in aria e ballando, abbracciati
in un’ atmosfera di straordinaria gioia mentre le campane delle chiese suonavano incessantemente120. Il Generale Gandin ne informava ufficialmente tutti comandi dipendenti121 e
ordinava la consegna delle truppe122 negli alloggiamenti, la intensificazione della vigilanza,
il coprifuoco per la popolazione, la perlustrazione notturna delle vie di Argostoli123. Alle
ore 21.30 l’11^ Armata, che dalla fine di luglio era un’ armata mista italo-tedesca, inviava
alle unità dipendenti il seguente radiogramma n. 02/25006 che perveniva a Cefalonia
verso le ore 23.30: “Seguito conclusione armistizio truppe italiane 11^ Armata seguiranno
questa linea di condotta. Se i tedeschi non faranno atti di violenza, truppe italiane non
rivolgeranno armi contro di loro. Truppe italiane non faranno causa comune con ribelli
né con truppe angloamericane che sbarcassero. Reagiranno con la forza ad ogni violenza
L’ 8 Settembre 1943: l’inizio della tragedia - Capitolo 2
49
armata. Ognuno rimanga al suo posto con compiti attuali. Sia mantenuta con ogni mezzo
disciplina esemplare. Comando tedesco informato quanto precede. Siano immediatamente
impartiti ordini di cui sopra a reparti dipendenti. Assicurare. Firmato Generale Vecchiarelli”.
Un ordine che era chiaro solo su due punti, ma fondamentali: la Divisione “Acqui” doveva
restare a presidiare le isole di Cefalonia e Corfù e avrebbe reagito ad ogni azione di forza
da parte dei partigiani greci, di eventuali truppe alleate o da parte dei tedeschi124. Più tardi
ancora giungeva un ordine di immediato rientro per il naviglio presente sull’isola (due mas,
due motovelieri, due vedette della finanza, una nave da carico e due idrovolanti). Questa
misura, presa in ottemperanza ai comandi inglesi, lasciava la Divisione “Acqui” senza mezzi
di movimento via mare: rimanevano una tre alberi, un dragamine e un motoscafo della
Croce Rossa in riparazione125.
A seguito dell’ ordine del Generale Vecchiarelli, in linea con il dettato del proclama armistiziale, il Generale Gandin ordinava il trasferimento della riserva divisionale (II/17° fanteria
in riserva a Maracacata), e della 1^, 3^ e 5^ batteria del 33° artiglieria dalle posizioni di
difesa costiera rispettivamente a Svoronata, Klismata, Mavrata, assegnando alle suddette
batterie obiettivi in netta funzione antitedesca: controllo del parco semoventi tedeschi, del
deposito munizioni tedesco, della banchina porto di Argostoli, ponte di Argostoli, del km
3,5 dalla rotabile Kardakata-Argostoli al fine di interdire l’accesso in Argostoli, sede del
Comando Divisione, dove era già distaccato il gruppo tattico Fauth (circa 700 uomini) con
una batteria semoventi126. E che tali misure furono adeguate alla nuova situazione lo si avvertì subito quando all’alba, piccoli nuclei di tedeschi127 cercarono di penetrare nell’interno
dello schieramento italiano con il pretesto di effettuare spostamenti e trasporti abituali di
viveri. Questi movimenti furono interdetti o comunque attentamente controllati, in modo
da assicurare la tenuta delle linee difensive in due punti essenziali128. Si trattava di incidenti
apparentemente dovuti a disguidi e ad una certa prepotenza di tratto, spesso affiorata da
parte tedesca nell’esecuzione di ordini, ma in realtà erano significativi della tensione ed
insieme della cautela con cui si fronteggiavano gli ex-alleati129. Intanto, per tutta la notte,
le stazioni radio dell’isola invano cercarono di collegarsi con i Comandi italiani di Atene,
Agrinion, Corfù, Zante, Santa Maura. Impossibile comunicare con l’Italia. Era l’isolamento
più completo130. Nella tarda serata si tenne ad Argostoli una riunione straordinaria di dirigenti di tutte le organizzazioni dell’EAM del distretto per studiare la situazione.Vi presero
parte 25 dirigenti, tra i quali i membri dell’Ufficio provinciale dell’Organizzazione Comunista di Cefalonia-Itaka (KOKI), i principali esponenti dell’EAM del distretto, delle altre
organizzazioni del Fronte di Liberazione Nazionale131 e anche patrioti antifascisti. In quella
riunione si decise di aiutare con ogni mezzo gli antifascisti italiani, di sviluppare al massimo
e con qualsiasi mezzo un azione di propaganda tra le truppe italiane sul dovere basilare di
non consegnare le armi ai tedeschi e, con la costituzione di un Comitato Militare, di entrare
rapidamente in contatto con la missione alleata e tramite suo con il Quartier Generale del
Medio Oriente allo scopo di fissare i piani per fronteggiare le situazioni che si sarebbero
delineate132. Contemporaneamente, sino dall’alba del giorno 9 settembre si iniziava, da parte greca, un intensa propaganda tendente a spingere gli italiani contro i tedeschi.Venivano
50
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
diffusi migliaia di volantini133: “L’Italia e la Grecia, le due nazioni più civili al mondo, non
possono essere schiave della barbara Germania. I fratelli greci staranno accanto ai fratelli italiani nella loro sacra lotta per la libertà e la civiltà.Viva l’Italia una, libera e indipendente”134.
Il Generale Gandin ne ordinava la ricerca e distruzione ma l’operazione non si presentava
di facile soluzione; di fatto una tale propaganda attecchì fra i soldati molti dei quali non
rivedevano la famiglia da trenta mesi per l’irregolare turno di licenze e per la penuria di
mezzi navali di trasporto135. A siffatte argomentazioni generiche se ne aggiungevano altre,
tra le quali una assai più concreta e acuta: “bisogna cacciare i pochi tedeschi che sono
nell’isola; una volta cacciati i tedeschi, gli inglesi, che sono ormai padroni dell’Italia e del
Mediterraneo, verranno a liberare voi ed a riportare voi, con le loro navi, alle vostre case”;
indipendentemente dal fatto che tali argomentazioni fossero esclusivo frutto della propaganda greca o della valutazione affrettata dei soldati, o l’uno e l’altro, esse divennero in breve
comune convinzione136. La situazione era oltremodo confusa; correvano voci che i tedeschi
si fossero violentemente impadroniti del comando dell’11^ Armata con sede in Atene e
di quello dell’ VIII Corpo d’Armata (da cui dipendeva la Divisione “Acqui”) con sede ad
Agrinion; la truppa incominciava ad elettrizzarsi nell’apprendere altre notizie incontrollate,
secondo le quali conflitti armati erano in corso nel vicino continente greco da parte delle
unità italiane contro le truppe tedesche, resesi queste ultime colpevoli di violenze contro i
soldati italiani137.
L’ 8 Settembre 1943: l’inizio della tragedia - Capitolo 2
51
E. A. Rossi, Una Nazione allo Sbando – l’Armistizio italiano del settembre 1943 e le sue
conseguenze, Bologna, Il Mulino, 2003, p. 71.
67
Dal 26 luglio al 2 agosto vi furono 76 morti e 249 feriti in conflitti a fuoco tra l’Esercito in servizio d’ordine pubblico e folle di dimostranti contro la guerra ed operai in sciopero delle industrie belliche a Milano, Modena, Genova e Bari. Ogni tentativo di paralizzare le attività industriali, di ampliare le agitazioni di piazza, manovrate dai comunisti, venne represso con durezza dalle
autorità militari che avevano assunto anche i poteri civili in tutto il paese (AA.VV., 8 settembre 1943 – Pietà e Tragedia, Frosinone, Ciarrapico, 1995, p. 62).
68
Commissione Italiana di Storia Militare, L’Italia in guerra, il quarto anno - 1943.
Cinquant’anni dopo l’entrata dell’Italia nella 2^ Guerra Mondiale: aspetti e problemi, Roma, Stabilimento Grafico Militare, 1994, p. 138-139.
69
E. A. Rossi, Una Nazione allo Sbando – l’Armistizio italiano del settembre 1943 e le sue
conseguenze, op. cit., p. 72.
70
AA.VV., 8 settembre 1943 – Pietà e Tragedia, Frosinone, Ciarrapico, op. cit., p.62.
71
M.Torsiello, 8 settembre 1943, Istituto Editoriale Cisalpino, 1963, p.42-43.
72
E. A. Rossi, Una Nazione allo Sbando – l’Armistizio italiano del settembre 1943 e le sue
conseguenze, op. cit., p. 80-81.
73
Contenuto del documento 111 C.T.: “ salvaguardarsi dalle sorprese, provvedere e disporre l’eventuale spostamento dei comandi in località più idonee alla loro difesa; rinforzare la protezione degli impianti più importanti; controllare i movimenti delle truppe non nazionali e l’eventuale loro
fiancheggiamento ad opera di elementi o simpatizzanti del caduto regime; predisporre colpi
di mano, preparando poche imprese accurate e con reparti di forza adeguata; raccogliere le
truppe non aventi altro impiego per tenerle alla mano in località importanti; porre le artiglierie nelle
condizioni della massima mobilità” (Commissione Italiana di Storia Militare, L’Italia in guerra, il quarto anno - 1943. Cinquant’anni dopo l’entrata dell’Italia nella 2^ Guerra Mondiale: aspetti
e problemi, p. 144-145).
74
E. A. Rossi, Una Nazione allo Sbando – l’Armistizio italiano del settembre 1943 e le sue
conseguenze, op. cit., p. 83.
75
M.Torsiello, 8 settembre 1943, op. cit., p. 62-63.
76
M.Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 1943, op. cit., p. 48-49.
77
Commissione Italiana di Storia Militare, L’Italia in guerra, il quarto anno – 1943.
Cinquant’anni dopo l’entrata dell’Italia nella 2^ Guerra Mondiale : aspetti e problemi, op. cit., p.146.
78
Fu costituita il 17 agosto presso lo Stato Maggiore dell’Esercito, alle dirette dipendenze del Capo Reparto Operazioni, per seguire attentamente l’evolversi della situazione delle forze tedesche e
redigere gli ordini concernenti le reazioni da parte delle forze italiane e studiare, in parallelo,
eventuali operazioni offensive da svolgersi in un secondo tempo.
79
M.Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 1943, op. cit., p. 50-51.
80
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 239-240.
81
C.Vallauri, Soldati, Utet, 2003, p. 199.
82
Questo documento, il cui titolo ufficiale era “Aide Mémoire to Accompany Conditions
of Armistice, presented by General Eisenhower to Italian Commander in Chief”, è passato alla 1
52
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
storia come “Memorandum di Quebec” o “Documento di Quebec”, era praticamente il testo del
telegramma che Roosevelt e Churcill, riuniti a Quebec (Canada), inviarono al Generale
Eisenhower il 18 agosto, dopo essere stati informati dall’ambasciatore britannico a Madrid,
Sir Samuel Hoare, della missione a Lisbona del Generale Castellano. Il Memorandum fu
consegnato dal Generale Smith al Generale Castellano , durante il loro incontro della sera del 19 agosto 1943, unitamente allo “Short armistice”, come risulta anche dal suo titolo. Ciò nonostante esso non fu pubblicato né l’11 settembre 1943, quando detto armistizio fu reso di pubblica ragione a mezzo di comunicato “Reuter”, né il 6 novembre 1945, quando tutti i documenti armistiziali furono pubblicati ufficialmente da parte degli alleati (E. A. Rossi, Una Nazione allo Sbando - l’Armistizio italiano del settembre 1943 e le sue conseguenze, op. cit., p. 315).
83
“Indipendentemente da dichiarazioni di armistizio o meno, ed in qualsiasi momento, tutte le truppe di qualsiasi forza armata dovranno reagire immediatamente ed energicamente e senza
speciali ordini ad ogni violenza germanica o delle popolazioni, in modo da evitare di essere
disarmati o sopraffatti”.
84
G. E. Rusconi, Cefalonia,Torino, op. cit., p.8.
85
Da rilevare però che già alle ore 19.00 (ora locale) la notizia era stata propagandata da radio Londra in lingua italiana, ed era stata captata e diffusa dai nostri militari nonostante il severo divieto vigente (G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,, op. cit., p.63).
86
Alla sede dell’EIAR (la radio Italiana) collegata con tutte le stazioni italiane e sulle onde corte con le radio straniere il Maresciallo Badoglio legge il messaggio agli italiani:“ Il Governo Italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate angloamericane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze angloamericane deve cessare da parte delle forze italiane, in ogni luogo. Esse però reagiranno ad attacchi di qualsiasi altra provenienza” (AA.VV., 8 settembre 1943 – Pietà e Tragedia, Frosinone, Ciarrapico, op. cit., p.191).
87
Il documento quasi dovunque non arrivò ai destinatari nei Balcani, perché si era preferito
comunicare le direttive a voce, convocando a Roma i Capi di Stato Maggiore delle armate interessate,
che furono così sorprese nella capitale dall’annuncio dell’armistizio. Per questo nella notte dell’8
settembre il Comando Supremo italiano decise di inviare per radio l’ordine n. 24202/OP, che riassumeva in sei punti il “Promemoria n. 2”. Al primo punto si ribadiva l’ordine di concentrare
le forze “riducendo gradatamente l’occupazione come ritenuto possibile et conveniente, in modo da garantire comunque possesso porti principali et specialmente Cattaro e Durazzo”. Per chiarire il carattere soltanto difensivo che doveva continuare a contraddistinguere i rapporti con i tedeschi si aggiungeva la frase finale: “non deve però essere presa iniziativa di atti ostili contro germanici “che contribuì in modo determinante all’atteggiamento passivo assunto dalla maggioranza degli alti
comandi nei Balcani” (E. A. Rossi, Una Nazione allo Sbando - l’Armistizio italiano del
settembre 1943 e le sue conseguenze, op. cit., p. 151-152).
88
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 63-64.
L’ 8 Settembre 1943: l’inizio della tragedia - Capitolo 2
53
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 230.
Questa dichiarazione chiarisce molto bene quale fosse al momento dell’armistizio l’idea
dominante negli alti comandi italiani: essi si illudevano che l’Italia potesse rimanere neutrale e che potesse bastare l’impegno a non passare dalla parte degli angloamericani per evitare ritorsioni
tedesche. Fu questo approccio rivelatosi del tutto impraticabile, a condannare la maggior parte delle forze terrestri italiane anche nei Balcani: mentre i comandanti italiani eseguivano l’ordine di non prendere iniziative e di rimanere nelle condizioni esistenti, i tedeschi si mossero subito per
conquistare le posizioni più vantaggiose e poi imporre la resa (E. A. Rossi, Una Nazione allo Sbando - l’Armistizio italiano del settembre 1943 e le sue conseguenze, op. cit., p. 167).
91
Così il Generale Vecchiarelli viene subito posto di fronte all’alternativa: in un caso tanto disperato la sua esperienza non basta, per di più l’incertezza circa il sostegno o meno dei suoi dipendenti non gli offre prospettive sulle quali fondarsi. Accettare la richiesta di disarmo sarebbe un cedimento,
non giustificato né da rapporti di forza tra le due parti – in tutta l’area dei Balcani favorevole agli
italiani per numero di divisioni e di militari – né dai principi di onore militare sui quali si basa
ancora, in quel momento, un ufficialato di carriera e di complemento, composto da personale spesso
reduce da dure prove nelle quali sono emerse le loro intrinseche qualità. L’armata è ora imprigio
nata - a parte il disastroso stato psicologico – sul piano strategico e non ha possibilità concreta di
manovra sia in riferimento alla dotazione di materiale bellico – fattore fondamentale in circostanze
che richiedono il massimo di efficienza – sia a causa della dispersione, quanto mai caotica, delle
unità frazionate nelle località maggiori e minori da lunghi mesi al fine di tenere a bada la resistenza
locale. É evidente dunque, il grandissimo rischio al quale si esporrebbe l’armata con i suoi
componenti nell’eventualità di mettere in atto operazioni militari da intraprendere contro l’ex
alleato. Si spiega allora come il comandante della grande unità, composta nell’insieme da circa 60
mila uomini, dopo aver valutato negativamente la situazione dal punto di vista morale e materiale,
non si senta in grado di dare una risposta alla linea alternativa posta dal comando tedesco. Se alla
richiesta di proseguire la guerra al loro fianco non si può che rispondere negativamente – e infatti
saranno solo pochi reparti o singoli isolati a corrispondere alla proposta, contrastante con la scelta
compiuta dai lontani vertici dello Stato Italiano - , egli non ritiene esistano le condizioni per una
resistenza organizzata, e men che meno per disporre una rete di collegamento in grado di assicurare
un reciproco concorso e di contare su eventuali interventi dell’aviazione alleata e tanto meno
italiana.Vecchiarelli tenta di guadagnare tempo in attesa di qualche miracolo, sul quale egli però
sa bene di non poter confidare. I tedeschi, dal canto loro, non possono attendere. Il bubbone di quel
fronte mediterraneo va subito estirpato, con le buone o con la forza, mentre da Berlino giunge
l’ordine perentorio di imporre il disarmo a tutte le unità italiane
(C.Vallari, Soldati, op. cit., p. 199-200).
92
Inaspettatamente, la sera dell’8 settembre l’ufficiale tedesco più alto in grado ad Atene è il
Generale Lanz. In assenza dei più diretti responsabili in loco, è lui l’incaricato di aprire le
trattative con il Comando Italiano (G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 9).
93
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 66.
94
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 10.
89
90
54
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
M.Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 1943, op. cit., p. 445.
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,op.cit.,p.67.
97
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p.12.
98
All’ordine del Generale Vecchiarelli di cedere le artiglierie e le armi collettive, seguì nel breve
spazio di poche ore la capitolazione dei Comandi delle Grandi Unità dipendenti. Il Comando
dell’VIII Corpo d’Armata (Gen. Mario Marghinotti) capitolò la mattina del 9 settembre; nella
stessa mattinata cedette il XXVI Corpo d’Armata (Gen. Guido Della Bona), dopo brevi e vane
trattative dirette ad evitare la prigionia e a ottenere gli onori militari (G. Giraudi, La Resistenza
dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio, op. cit., p.78).
99
E. A. Rossi, Una Nazione allo Sbando - l’Armistizio italiano del settembre 1943 e le sue
conseguenze, op. cit., p. 168.
100
M.Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 1943, op. cit., p. 447.
101
M.Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 1943, op. cit., p. 465-466.
102
Il II Gruppo del 33° Reggimento artiglieria (meno una batteria) era dislocato nell’isola di
Santa Maura, il III Gruppo era a Corfù.
103
Questo reparto era costituito da jugoslavi, per l’esattezza da sloveni, che presi prigionieri nella
loro patria erano stati disarmati, inquadrati nella forza della Divisione “Acqui” ed avviati
nell’isola come lavoratori militarizzati. All’inizio dello scontro italo-tedesco, questa compagnia
si schierò con il fronte antifascista greco-italiano: operò continuamente ed in modo incisivo, soprat
tutto aiutando gli italiani nella conquista della Scuola commerciale di Argostoli, sede del comando
dell’esercito tedesco; più tardi svolse altri importanti servizi durante la lotta di liberazione
dell’isola (S. Loukatos, Cefalonia, titolo originale dell’opera: Gli anni dell’occupazione italiana
e tedesca e della Resistenza nazionale a Cefalonia e Itaca.Traduzione dal greco di I. Dalla
Costa.Treviso, Istituto per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea della Marca
Trevigiana, 1980, p. 18).
104
Dette truppe erano state trasferite a Cefalonia tra il 5 e il 10 agosto 1943, per ordine del
Comando Superiore tedesco, che, a seguito degli avvenimenti determinati dalla caduta del fascismo,
aveva disposto che in Balcania fossero presenti unità in grado di poter accorrere laddove l’alleato
avesse dimostrato segni di cedimento.
105
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 327-328.
106
R. Formato, L’eccidio di Cefalonia,op. cit., p. 36.
107
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 328.
108
M.Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 1943, op. cit., p. 466.
109
G. Moscardelli, Cefalonia, Roma,Tipografia Regionale, 1945, p. 11.
110
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 328-329.
111
S. Loukatos, Cefalonia, titolo originale dell’opera: Gli anni dell’occupazione italiana e tedesca e
della Resistenza nazionale a Cefalonia e Itaca, op. cit., p. 15.
95
96
L’ 8 Settembre 1943: l’inizio della tragedia - Capitolo 2
55
Così si denominò allora il Comitato di cinque membri che fu costituito nella riunione unitaria
delle organizzazioni comuniste il 15 agosto 1943 ad Argostoli e che, concordemente con la sua
decisione, sarebbe stato il più elevato organismo di guida delle organizzazioni comuniste di
Cefalonia, di Itaca, di Lefkada e di Zante. Il suo titolo completo era Ufficio provinciale delle isole
Jonie del sud e anche se non funzionò mai come tale nella pratica e la sua azione si limitò a
Cefalonia e Itaca, i suoi membri prestarono molti servizi sia alla articolazione organizzativa del
KOKI , che per fronteggiare, assieme con i dirigenti e i membri dell’EAM (fronte di liberazione
nazionale) e delle altre organizzazioni della resistenza nazionale, lo scontro italo-tedesco. Alla sua
testa e come primo segretario era il rappresentante dell’organizzazione della terraferma occidentale
Tommaso Papafotis (Apostolis) e i suoi membri il maestro Dimitri Pollatos Mikias, il calzolaio
Gheras Kasamatis e Dino Pagulatos di Argostoli (S. Loukatos, Cefalonia, titolo originale dell’opera:
Gli anni dell’occupazione italiana e tedesca e della Resistenza nazionale a Cefalonia e Itaca, op. cit., p. 24).
113
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 329.
114
S. Loukatos, Cefalonia, titolo originale dell’opera: Gli anni dell’occupazione italiana e tedesca e
della Resistenza nazionale a Cefalonia e Itaca, op. cit., p.19-20.
115
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,,
op. cit., p. 330-331.
116
G.E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 15.
117
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 97.
118
R. Formato, L’Eccidio di Cefalonia, op. cit., p. 29.
119
Il fante A. Scalvini del 317° Reggimento“… per la verità a me sembra non ci sia nulla da
festeggiare perché penso, e come me lo pensano in tanti altri miei compagni di sventura, che se già
dopo il 25 luglio e il successivo sbarco degli alleati in Sicilia la convivenza fra tedeschi e italiani
era poco piacevole, ora, con questo improvviso armistizio la situazione può diventare veramente
ancora più drammatica. Cerchiamo di tranquillizzarci l’un l’altro ma, purtroppo, i nostri timori di
semplici soldati avranno, in seguito, una drammatica conferma”
(A. Scalvini, Prigioniero a Cefalonia, Mursia, Milano, 2001, p. 41).
120
S. Loukatos, Cefalonia, titolo originale dell’opera: Gli anni dell’occupazione italiana e tedesca e
della Resistenza nazionale a Cefalonia e Itaca,op. cit., p.22.
121
Il fante O. G. Perosa del 317° Reggimento “….Ci sorprende non poco il suono dell’adunata.
Il sergente Marzinotto chiama i capi tenda a rapporto. Mi reco di malavoglia con gli altri fino
alla tenda comando. Il tenente Calabrese ci attende in piedi con un foglio di carta in mano, è
molto teso. Comprendiamo subito che si tratta di qualcosa di eccezionale quando, visibilmente
contratto ci informa dell’avvenuto armistizio.Vibra subito nell’aria un fremito di incredula felicità:
c’era già da tempo in noi un cupo stato di malessere ed una gran voglia di scrollarci la noia di
dosso: ma ora c’è anche un pò di tristezza nel cuore, perché la nostra Patria è stata messa in
ginocchio! Il Caporale Celio Baldasso di Giavera del Montello, non proprio sicuro di aver capito
bene, domanda: Allora xe finida la guera sior Tenente? Ed il Tenente, per nulla allegro, ma
semmai con il volto più serio del solito, ci dà una risposta che non sono mai riuscito a dimenticare:
La guerra, forse è finita per altri e non certo per noi! Per noi è solo finita la pace e da domani,
112
56
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
statene certi, incominceranno i nostri guai” (O. G. Perosa, Divisione Acqui, figlia di nessuno Cefalonia e Corfù settembre 1943, op. cit., p. 11-12).
122
Per i soldati italiani ebbe così inizio un autentica settimana di passione, caratterizzata in un
primo momento dall’eccitazione per la fine del conflitto, che fece loro sperare in un immediato
ritorno a casa, e, in seguito, dall’amarezza di non poter raggiungere la patria lontana, data la
prsenza delle truppe tedesche e la mancanza di imbarcazioni idonee alla traversata (G. Giraudi,
La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,, op. cit., p. 331).
123
G. Moscardelli, Cefalonia, Roma,Tipografia Regionale, 1945, p. 7.
124
P. Paoletti, I Traditi di Cefalonia – la vicenda della Divisione “Acqui” 1943-44, Genova,
Fratelli Frilli, 2003, p. 23-24.
125
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 15-16.
126
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 333.
127
I Capitani Pampaloni e Apollonio, comandanti rispettivamente la 1^ e 3^ batteria da 100/17,
schierate l’una tra i due mulini al di la del ponte e l’altra a sud dell’abitato di Argostoli,
attenendosi alle istruzioni ricevute dal loro colonnello comandante di reggimento, senza interporre
indugio facevano puntare e caricare i pezzi accingendosi ad aprire il fuoco. Senonchè perveniva
loro tempestivamente una comunicazione del Capitano Postal, aiutante maggiore del reggimento,
con la quale venivano informati che il comando di Divisione aveva disposto di lasciar
accedere l’autocolonna tedesca dietro impegno di immediato rientro a Lixuri, non appena effettuato
il rifornimento viveri. Non era trascorsa nemmeno mezz’ora che si presentavano dinanzi a
Kardakata altri cinque autocarri tedeschi carichi di truppe provenienti da Liguri e diretti ad
Argostoli. Il Capitano Pantano, comandante l’11^ compagnia, intimava l’alt. Il comandante
dell’autocolonna tedesca ordinava ai suoi soldati di caricare le armi, ma il capitano Pantano
gridava in tedesco: “Il mio battaglione è schierato se vi muovete, faccio aprire il fuoco”. I tedeschi furono
così costretti a rientrare a Lixuri (L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, Milano, Rizzoli, 1952, p.19).
128
C.Vallauri, Soldati, Utet, 2003, p. 209.
129
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 97.
130
V. Palmieri, Quelli delle Jonie e del Pindo, Opera Nazionale per i Caduti senza croce, 1983, p.25.
131
Tra questi erano:Themistocle Kavadias, il professore Spyros Lukatos, l’agronomo Aghesilao
Miliaresi, gli avvocati Ghiankos Kritikos e Niko Della porta da Sami e altri.
132
S. Loukatos, Cefalonia, titolo originale dell’opera: Gli anni dell’occupazione italiana e tedesca e
della Resistenza nazionale a Cefalonia e Itaca, op. cit., p. 24-25.
133
“Devo notare essermi stato riferito da persona autorevolissima che siffatti volantini di propaganda
erano già in circolazione, segretamente, tra i soldati, fin dal 3 settembre, per opera di un cosiddetto
comitato comunista clandestino per la libera Grecia”
(R. Formato, L’Eccidio di Cefalonia, op. cit., p.32).
134
G. Lombardi, L’8 Settembre fuori d’Italia, Milano, Mursia, 1966, p.124.
135
V. Palmieri, Quelli delle Jonie e del Pindo, op. cit., p. 25-26.
136
G. Moscardelli, Cefalonia, Roma,Tipografia Regionale, 1945, p. 15.
137
R. Formato, L’Eccidio di Cefalonia, op. cit., p. 31.
I negoziati Italo - Tedeschi - Capitolo 3
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Capitolo III
I negoziati Italo - Tedeschi
3.1 L’inizio dei negoziati.
Anche al Comando di Divisione c’era notevole nervosismo, pur controllato dalla superiore serenità del Generale Gandin, il quale nonostante l’ordine ricevuto non poteva
considerare rotti i rapporti con i tedeschi. E pertanto, nelle prime ore del mattino del 9
settembre 1943, convocava a rapporto il Tenente Colonnello Barge138 per comunicargli
il contenuto del telegramma del Comando dell’11^ Armata e il relativo atteggiamento
che la Divisione “Acqui” doveva sin d’allora assumere nei riguardi dell’ex alleato139. Il tedesco, evidentemente all’oscuro di quanto accaduto nella capitale greca, prese atto senza
obiezioni, dichiarò che non aveva ancora ricevuto istruzioni, ma si sarebbe impegnato
da subito a mantenere buoni rapporti con gli italiani e come segno di buona volontà il
Tenente Fauth rimase ospite alla mensa del Generale Gandin140. Le parole pronunciate
dall’ufficiale tedesco durante il brindisi141 fecero certamente piacere al Generale Gandin,
il quale come segno concreto di spirito collaborativo diede un ordine sorprendente che
in modo inequivocabile confermava l’assenza di ogni intenzione aggressiva nei confronti
dell’ex-alleato142: ordinò che il Comando del 317° fanteria ripiegasse da Makriotika a
Valsamata e che il III/317° fanteria arretrasse da Kardakata ai vecchi capisaldi di KastrìPadierà. Con tale provvedimento egli rinunciava alle forti posizioni montane che consentivano il controllo della penisola di Lixuri e della rotabile Sami-Divarata-KardakataLixuri, nonché alla sorveglianza delle insenature poste a nord dell’isola e defilate alla vista
dalle montagne che le proteggevano143. Intanto il nervosismo nelle truppe italiane stava
assumendo una sempre più elevata connotazione antitedesca; in parte ciò dipendeva dalla
consapevolezza che la superiorità numerica italiana era tale da non consentire alcun atto
di prepotenza germanica; in parte dalla propaganda greca, subito manifestatasi intensa e
tendenziosa, anche con notizie volutamente allarmanti144. Alcuni abitanti di Cefalonia,
si facevano vivi con ufficiali italiani, ad esempio con il Capitano di artiglieria Amos
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Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
Pampaloni, comandante della 1^ batteria, offrendo assistenza e collaborazione; dissero di
essere rappresentanti dell’ELAS, l’organizzazione della resistenza greca legata al partito
comunista e sostennero di essere in grado di mettere in campo un migliaio di uomini
chiedendo in cambio armi, munizioni, viveri ed un piano d’azione comune145. Quanto
sopra determinava una semplicistica valutazione delle circostanze, da parte della truppa,
che riteneva possibile un’azione come quella suggerita dai greci e caldeggiata da alcuni
ufficiali facinorosi, nelle cui mani essa diveniva un facile strumento di manovra. Nel
pomeriggio del 9 settembre, pertanto, alimentato dal miraggio di un sollecito rimpatrio,
cominciava a manifestarsi, sempre vivo, un sentimento antitedesco unito alla volontà di
passare all’azione, specialmente tra gli artiglieri, i cui ufficiali in sottordine, anziché placare gli animi, li eccitavano ancora di più, in assoluto dispregio delle norme disciplinari146.
Finalmente alle ore 20.00 circa, l’inquietante silenzio radio veniva rotto da un altro
messaggio del Comando 11^ Armata , il n. 02/25026 (partito da Atene alle ore 9.50),
ritrasmesso dall’VIII Corpo d’Armata che ordinava di cedere le artiglierie e le armi
pesanti della fanteria ai tedeschi; quest’ultimi si sarebbero impegnati a rimpatriare tutte
le forze italiane in un breve lasso di tempo. Tale ordine fu poi seguito dal radiogramma
n. 02/25047147 di pari data, avente per oggetto: “Radunata 11^ Armata per successivo
avviamento in Italia”148. La lettura del messaggio suscitò grande sorpresa e perplessità
nel comando di divisione: i nuovi ordini non solo escludevano ogni forma di ostilità
verso i tedeschi, ma delineavano un preciso atteggiamento collaborativo nei loro confronti. Il corpo degli Ufficiali era diviso. A parte qualcuno che si dichiarava disposto a
passare senz’altro con i tedeschi, la maggioranza degli ufficiali era pronta ad attenersi alle
istruzioni del comandante dell’11^ Armata: il Colonnello Edoardo Gherzi, comandante
della fanteria divisionale, il Tenente Colonnello Giovanni Battista Fioretti, Capo di Stato
Maggiore della divisione, i comandanti del 17° e 317° Reggimento fanteria, Colonnello Ernesto Cessari e Colonnello Ezio Ricci, oltre il comandante del Genio, Maggiore
Federico Filippini. Contrari invece si dichiararono il Capitano di Corvetta Mario Mastrangelo, comandante dei reparti della Marina e, con qualche tentennamento, anche il
Colonnello Mario Romagnoli, comandante del 33° Reggimento artiglieria149.
Nella chiara consapevolezza della situazione in generale, il Comandante della Divisione
“Acqui” cercò di prendere tempo, essendosi anche affacciato il dubbio che il secondo
ordine del Generale Vecchiarelli potesse essere apocrifo, dato che correva voce che i tedeschi, sul continente, si fossero impadroniti dei cifrari dei comandi. Così l’ordine non
venne diramato ai reparti, ma fu respinto come parzialmente indecifrabile all’VIII Corpo
d’Armata, per il cui tramite era pervenuto150. Intanto negli acquartieramenti germanici la
giornata del 9 settembre era stata dedicata all’accurata preparazione delle armi individuali
e leggere. A sera i comandanti tennero rapporto ai propri soldati ed in esso si preconizzava che il comando della “Acqui” si sarebbe comportato con ragionevolezza deponendo
pacificamente le armi così come già stava accadendo in Grecia e in Jugoslavia. In caso
contrario, avendo stabilito il Comando Supremo che le isole dovevano restare un caposaldo tedesco, sarebbero stati annientati in breve tempo. Ai soldati venne anche annun-
I negoziati Italo - Tedeschi - Capitolo 3
59
ciato il contenuto della richiesta che il giorno dopo sarebbe stata presentata al Generale
Gandin: consegna dell’armamento pesante in piazza Valianos, la principale di Argostoli,
alla presenza della popolazione greca151.
3.2 La richiesta della consegna delle armi.
Il giorno 10 settembre 1943, alle ore 8.00, il Tenente Colonnello Barge, comandante delle forze tedesche nell’isola di Cefalonia, accompagnato dal Tenente Fauth, si presentava
al Generale Gandin, qualificandosi inviato dal proprio Comando Superiore152. Chiedeva
la consegna di tutte le armi, comprese quelle individuali, da effettuarsi entro le ore 10.00
dell’indomani 11 settembre, nella piazza principale di Argostoli153. La riunione avveniva
nell’ufficio del Generale Gandin. Oltre ai due ospiti vi assistette il Tenente Colonnello
Fioretti; ogni tanto veniva chiamato il Capitano Saettone, la cui stanzetta venne chiusa
a chiave verso l’esterno in modo da evitare fughe di notizie154. Il Generale Gandin ribatteva che non aveva fino allora ricevuto alcun ordine in tal senso dai propri superiori.
L’ordine era forse contenuto in un radiogramma dell’Armata giunto la sera precedente
indecifrabile e che perciò era stato respinto e se ne attendeva la ripetizione. Aggiungeva
che la consegna delle armi nel termine fissato era, oltre tutto, materialmente ineseguibile
per la nota scarsità di mezzi di trasporto nel presidio. Dichiarava che, qualora gli ordini
superiori glielo avessero imposto, sarebbe stato del parere di consegnare solo le artiglierie
e l’armamento pesante, lasciando ad ogni uomo, ufficiali e truppa, l’armamento individuale. Manifestava, altresì, la sua decisa e ferma forma volontà di scartare la piazza di
Argostoli da luogo convenuto per la cessione delle armi, potendosi l’operazione eseguire
in sede più adatta, da scegliersi di comune accordo, fuori dello sguardo indiscreto dei
greci. Il Tenente Colonnello Barge, prendeva così congedo promettendo di riferire al
suo comando i desideri del generale e di tornare al più presto con la risposta155. Allora il
Generale Gandin chiamava a rapporto156 tutti i comandanti di corpo. Chiariti i termini
della situazione, voleva sentire i pareri circa la cessione delle armi di reparto. Il Capitano
di Fregata Mastrangelo, comandante della Marina, si dichiarava nettamente contrario; il
Colonnello Romagnoli, comandante del 33° Reggimento artiglieria, propendeva per il
rifiuto; il Generale Gherzi, comandante della fanteria divisionale, il Tenente Colonnello
Cessari, comandante del 17° Reggimento fanteria ed il Maggiore Filippini, comandante
del Genio, si mostravano invece favorevoli157. Con il passare del tempo, il Generale Gandin si trovava in una posizione sempre più scomoda. A complicare la situazione, nella stessa mattinata del 10 settembre, si presentava al Generale Gandin un ufficiale greco, Andrea
Galiatsatos, (il militare greco era sull’isola per conto della missione militare alleata con
lo scopo di incoraggiare l’azione comune delle varie forze della resistenza greca), che in
nome del Comando alleato del Medio Oriente gli assicurava l’appoggio aereo inglese nel
caso di resistenza della Divisione “Acqui”. Le promesse, alquanto generiche, non distoglievano il Generale Gandin dal suo tentativo di trattare con i tedeschi; infatti nel valutare
60
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
la proposta del Capitano Galiatsatos, non poteva trascurare del tutto l’invito esplicito dei
comandi superiori italiani a non solidarizzare con i greci in armi, che peraltro lui stesso
nei suoi negoziati con i tedeschi continuava a definire “ribelli”. Il Generale decideva in
ogni caso di procedere per la sua strada e di rendere noto ai reparti le disposizioni impartitegli il giorno prima da Vecchiarelli e tenute riservate sino a quel momento158. Si svolsero, di conseguenza, animate discussioni a tutti i livelli, prospettandosi e confrontandosi
essenzialmente le due opposte tendenze: deporre le armi o cacciare i tedeschi.Vivacissima
l’azione di numerosi giovani ufficiali159 che difendevano l’esigenza di non cedere le armi
e, se necessario, di usarle contro i tedeschi160.
L’arrendevole atteggiamento del Generale Gandin161 , certamente dovuto alla speranza
di poter giungere ad un onorevole composizione della contesa, finì per convincere i
tedeschi che era possibile sfruttare quello stato d’animo e così giungere al disarmo della
Divisione per via pacifica, com’era nel loro interesse, data l’inferiorità di forze. A tal fine,
il Generale Lanz, pur minacciando il Tenente Colonnello Barge di sostituirlo nella conduzione della difficile trattativa, su ordine del Comando Superiore, suggeriva di trattare il
Generale Gandin nella maniera più cavalleresca possibile in virtù del suo atteggiamento
particolarmente amichevole nei confronti dei tedeschi; in questo modo la correttezza e
l’onestà del Generale Gandin, sfruttate scaltramente dai tedeschi, fraintese dalla truppa
italiana che reclamava maggior decisione, finirono per favorire i tedeschi concedendo
loro tempo per ricevere i necessari rinforzi e, in un altro verso, per esacerbare l’animo
degli italiani diffondendo tra loro malumori, critiche e sentimenti di sfiducia162.
3.3 L’ultimatum tedesco.
Nel corso della giornata dell’11 settembre avvenivano alcuni incidenti163, subito circoscritti, tra forze italiane e forze tedesche. Il fermento tra i reparti crebbe, alimentato anche
da volantini che invitavano i soldati a ribellarsi al generale164. I sospetti ricadevano sulla
propaganda greca, la quale, naturalmente, più che ad una soluzione onorevole, aveva interesse a porre in conflitto armato italiani e tedeschi. Certo la distribuzione dei manifestini segnò l’inizio del dualismo, che si acuirà sempre più nei giorni seguenti, fra le
truppe e il generale comandante e cominciarono, da quel momento, a circolare senza
ritegno le parole “traditore” e “tradimento”165. Gli ufficiali di artiglieria irriducibili
all’idea del disarmo, in qualunque forma concordato, e invece favorevoli a un azione di
attacco alla guarnigione tedesca anche contro il parere del loro stesso comandante, facevano proselitismo tra colleghi e la truppa166. Intanto, nella notte tra il 10 e l’11 settembre
il Tenente Colonnello Barge presentava al Generale Gandin una controproposta che veniva incontro ai desideri di quest’ultimo: le postazioni fisse di artiglieria sarebbero state
cedute solo al momento dell’imbarco, mentre la consegna delle altre armi pesanti sarebbe
avvenuta al rientro in Italia, dal momento che la Divisione “Acqui” sarebbe stata trasportata in un porto controllato dai tedeschi. Quasi contemporaneamente, il Comando Su-
I negoziati Italo - Tedeschi - Capitolo 3
61
premo tedesco (OKW), dopo aver annunciato la capitolazione di Roma il 10 settembre,
inviava la mattina dell’11 settembre al Gruppo di Armate E un ordine inequivocabile167,
fissando così le coordinate rigide entro cui doveva muoversi il Generale Lanz, comandante del XXII Corpo d’Armata, responsabile delle operazioni sulle isole ioniche168. Il Gruppo di Armate E, con il consenso del Generale Vecchiarelli, alle ore 11.00 del giorno 11
settembre, ordinava al Comando del XXII Corpo d’Armata di trasmettere immediatamente al Tenente Colonnello Barge l’ordine di disarmare gli italiani; di conseguenza il
XXII Corpo d’Armata da montagna inviava al 966° Reggimento granatieri da fortezza
il seguente comunicato radio: “L’11^ Armata italiana ha dato ordine alla Divisione “Acqui” di consegnare le armi. Comunicare al più presto al Comando del XXII Corpo
d’Armata da montagna se sull’isola è stato realizzato il disarmo degli italiani”169. Inoltre
la stessa mattina dell’11 settembre perveniva al Generale Gandin, tramite Marina Argostoli, l’ordine170 del Comando Supremo italiano di considerare i tedeschi come nemici.
L’ordine venne consegnato verso le ore 10.00 dal Sottotenente di Vascello Vincenzo Di
Rocco, addetto alle operazioni e comunicazioni di Marina Argostoli, alla presenza del
Capitano di Fregata Mario Mastrangelo, comandante di Marina Argostoli171. Il Generale
Gandin allora impartiva le disposizioni per la preparazione di un attacco contro le truppe
tedesche di Cefalonia ordinando opportuni spostamenti delle truppe; il personale della
Reale Marina lasciò i Comandi ed il porto per prendere posizione nei due capisaldi della Reale Marina: quello della batteria I-208 da 76/40 e quello della batteria SP-33 da
152/40. Il personale imbarcato sulle unità172 che si trovavano nel porto di Argostoli, dietro ordini del Comando Marina, lasciava le unità, asportando da esse alcuni pezzi del
motore, riunendosi al personale di terra nei due capisaldi. Nei comandi a bordo delle
unità furono distrutti con il fuoco tutti i documenti dell’archivio segreto e ordinario.
Quando tutto sembrava pronto per iniziare l’attacco, giunse l’ordine del Comando di
Divisione “Acqui” per il quale le truppe sarebbero dovute ritornare alle posizioni primitive, perché il Comando avrebbe continuato le trattative con il Comando tedesco173. Infatti nella tarda mattinata il Tenente Colonnello Barge, in applicazione degli ordini ricevuti dal XXII Corpo d’Armata, faceva giungere una proposta scritta in nove punti174 che
irrigidendo i termini delle precedenti intese verbali si presentava come un vero e proprio
ultimatum, a cui il Generale Gandin reagiva dichiarando di respingere qualsivoglia ultimatum. Anzi, di contro, replicava puntigliosamente su alcuni punti della comunicazione
tedesca chiedendo chiarimenti su che cosa si doveva intendere per armi pesanti e armamento personale consentito agli ufficiali e soldati. Escludeva categoricamente la consegna
delle armi nella piazza principale di Argostoli per non offrire uno spettacolo indecoroso
degli italiani agli occhi della popolazione. Rifiutava le scadenze imposte in quanto troppo
strette ed infine chiedeva di conoscere il vero significato dell’espressione “trattamento
cavalleresco” nonché dello status dei reparti che sarebbero passati con i tedeschi175. La
situazione diventava sempre più complicata e sotto molti aspetti avvilente per il continuo
tergiversare che non poteva, nei fatti, essere giustificato dalla speranza di ottenere
dall’esterno176 aiuti e conforti. In effetti, gli ordini erano stati chiari e, in quanto al rap-
62
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
porto di forze, in quel momento, la “Acqui” era ancora largamente superiore al contingente tedesco. Probabilmente il Generale Gandin conosceva lo stato d’animo dei suoi
dipendenti, la tensione che li animava e perciò era riluttante ad assumere decisioni che
ferissero la loro dignità di uomini e di soldati177. In realtà al di sopra di tutti questi dettagli, si stava configurando gradualmente ma con chiarezza una richiesta ultimativa: cedere
le armi, schierarsi con i tedeschi o combattere contro di loro178. Prima di decidere sulla
risposta definitiva il Generale Gandin convocava nuovamente a rapporto il vice comandante e tutti i comandanti di corpo i quali esposero con molta chiarezza la situazione. In
sede di rapporto il Generale Gandin poneva la questione nei seguenti termini: il primo
punto era in contrasto con il giuramento al Re e costituiva una violazione dell’Armistizio; il terzo era disonorevole; del secondo volendolo adottare, si chiedeva quali sarebbero
state le conseguenze179. Infatti non ometteva, in quella sede, di porre in evidenza che un
aperta lotta contro i tedeschi, se pure avesse avuto qualche probabilità di successo iniziale, si sarebbe certamente conclusa tragicamente e senza speranze. Infatti l’assoluta e forzata assenza dell’aviazione e di mezzi contraerei adeguati ponevano i tedeschi in condizione di assoluta superiorità, tale da poter massacrare, indisturbati, dall’aria, le truppe con
i 350 aerei di cui disponevano in Grecia180. Nel frattempo il Tenente Colonnello Barge
faceva pervenire le risposte alle obiezioni sollevate in precedenza precisando che per
armi pesanti dovevano intendersi tutto il materiale bellico, salvo pistole, fucili e mitragliatrici leggere; che armamento e organigramma degli ufficiali rimanevano intatti per i reparti che collaboravano con i tedeschi. Le armi delle altre unità dovevano invece essere
raccolte in appositi locali sorvegliati e consegnate entro le ore 18.00 del giorno 14 settembre. Rimaneva incondizionata la cessione dell’artiglieria mobile e dei cannoni anticarro entro le ore 18.00 del giorno 12 settembre181. Ancora una volta, nel corso del rapporto, i pareri furono diversi e contrastanti, auspicando taluni la cessione delle armi, altri
insistendo per un netto rifiuto (il comandante di Marina Mario Mastrangelo e il Colonnello d’artiglieria Romagnoli)182. Terminato il rapporto, il Generale Gandin riceveva, alle
ore 19.00, il Tenente Colonnello Barge183 e lo rendeva consapevole del suo orientamento
a cedere le armi, beninteso con le note garanzie e contemporaneamente chiedeva, ottenendola, una dilazione, almeno fino all’alba per prendere ancora contatto con i sottordini184. Nel frattempo aveva richiamato l’attenzione del Tenente Colonnello Barge su alcuni movimenti effettuati dalle forze tedesche intimandogli di sospendere, almeno fino al
termine delle trattative, qualsiasi spostamento di truppe nell’isola, compresa l’affluenza di
rinforzi185. In compenso il Generale Gandin si impegnava a ritirare il III battaglione del
317° Reggimento fanteria da Kardakata, considerata una posizione chiave ai fini del
controllo degli sbocchi dalla penisola di Paliki ed il suo sgombero acquistava un significato inequivocabilmente rivolto ad un accordo pacifico. A conclusione dell’incontro il
Tenente Colonnello Barge telegrafava al Comando XXII Corpo d’Armata da montagna
- il quale sollecitava notizie circa il disarmo della Acqui - che “ gran parte della Divisione “Acqui” sarà disarmata. Il completamento della consegna delle armi avverrà il 13
settembre. La parte rimanente della divisione rimane sotto il controllo operativo tede-
I negoziati Italo - Tedeschi - Capitolo 3
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sco...la situazione è calma”186. Per tutta la sera dell’11 settembre e parte della notte (sino
alle ore 3.30 del 12 settembre) si negoziò sulle modalità del disarmo parziale della Divisione “Acqui”. A un certo momento il negoziatore tedesco Fauth si allontanava, seccato
per uno scambio di aspre battute. Ma mezz’ora dopo il Generale Gandin chiedeva di riprendere i contatti187. Mentre si svolgevano queste trattative, corse voce che il Governo
italiano fosse a Bari e il Comando Supremo a Bari od a Brindisi. Il Generale Gandin
effettuava un tentativo di collegamento attraverso il radio ponte di Corfù. Fu quindi redatto, e trasmesso cifrato dalla sezione della marina, un radiogramma diretto al Comando
Supremo. In esso veniva esposta la situazione nell’isola e data notizia del radiogramma del
Comando dell’11^ Armata che aveva ordinato la cessione delle armi ai tedeschi. Si chiedeva infine se detto ordine, fosse apocrifo, e comunque in contrasto con le direttive del
Governo, dovesse o no essere eseguito188.
Alle ore 4.00 del 12 settembre, il Generale Gandin affidava al Capitano Tommasi, interprete della Divisione, una breve lettera da consegnare al Comando Tedesco. In essa
il generale confermava per iscritto che in linea di massima la “Acqui” era disposta alla
cessione delle armi; senza nessun commento i tedeschi trasmisero immediatamente la
traduzione, per radio, al loro comando di Lixuri189.
3.4 Il parere dei cappellani.
Dopo il rapporto con i comandanti, il Generale Gandin decideva di sentire il parere dei
cappellani190 militari della divisione. Si trattava di ascoltare il pensiero anche di coloro che
si doveva supporre conoscessero bene l’animo del soldato, nelle sue trepidazioni e nelle
sue impulsività, prima di arrivare ad una conclusione ponderata191. I cappellani giungevano al comando alle ore 18.00, il Generale, pallido, ritto dinanzi al suo tavolo da lavoro.
Incominciava così: “Come già altre volte nel passato, anche oggi, ho voluto chiamare
intorno a me i cappellani. Voi siete sacerdoti, ministri di Dio. Al vostro consiglio tengo
molto.Voi conoscete l’animo del soldato, come nessun altro, e potrete essermi preziosi in
questo momento”.
“Questo momento è quanto mai tragico per me e per la divisione. Ho sulla mia coscienza
la responsabilità della vita di oltre 10.000 figli di mamma. La vita di tutti questi poveri
ragazzi può essere messa a repentaglio o meno dalla gravissima decisione che sto per
prendere”.
“Non attendo da voi un parere di indole militare, di cui siete necessariamente incapaci
perché incompetenti”.
“Ma ho il diritto di richiedervi un verdetto morale che sia, da una parte, come l’espressione leale della vostra coscienza di sacerdoti e dall’altra la conclusione pratica alla quale
potete giungere attraverso la conoscenza intima della truppa – come risulta alla vostra
osservazione del quotidiano contatto che avete con essa – e del particolare momento
psicologico da cui essa è come dominata in questi giorni di ansia e di passione”. “Se mi
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Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
avete compreso, attendo di conoscere da voi il grado di temperatura del mio soldato. Il
suo polso morale”.
“Come risponderebbe se dovessi eventualmente chiamarlo, tra poche ore, ad una lotta
durissima – quasi disperata – e a un incalcolabile sacrificio”.
Vi do, intanto, lettura di un ultimatum del comandante tedesco di Atene, giuntomi qualche ora fa...”.
A quel punto il Generale Gandin leggeva ai cappellani il testo del comunicato tedesco, il
quale ordinava alla Divisione “Acqui” di decidersi nettamente su uno dei seguenti punti:
- continuare la lotta contro l’antico nemico, accanto alle forze armate tedesche;
- combattere contro i tedeschi;
- cedere pacificamente le armi.
“Riguardo al primo punto: continuare cioè la lotta contro l’antico nemico accanto alle
forze armate tedesche, io vi premetto la considerazione basilare importantissima che –
come militari – siamo legati, davanti a Dio e davanti alla Patria, da un giuramento di
fedeltà alla maestà del Re Imperatore. Non sarò certo io a ricordare a dei sacerdoti che
il giuramento è un atto sacro gravissimo, con il quale chiamiamo Iddio stesso a diretta
testimonianza di quanto affermiamo o promettiamo. Il nuovo legittimo governo del Re
ha firmato un armistizio con l’antico nemico. Non possiamo dunque più impugnare le
armi contro quel nemico”.
“Secondo punto: combatter contro i tedeschi. D’altra parte – continua il generale – perché, senza grave motivo né provocazione, rivolgere quelle armi contro un popolo che ci
è stato a fianco, come alleato, per tre anni, combattendo la nostra stessa guerra, condividendo i nostri stessi sacrifici, e agognando alla nostra stessa vittoria? Non vi sembrerebbe
sommamente immorale rivolgere la punta della spada – oggi – contro un fratello, che –
fino a ieri – si è battuto con noi e per noi, a fianco, per una causa comune?”
“Vi prego di considerare che, in conseguenza dell’armistizio concluso tra il nostro governo e le autorità angloamericane, noi non siamo diventati automaticamente nemici dei
tedeschi. Abbiamo soltanto sospeso ogni ostilità. Non combattiamo più. Noi, dunque, non
abbiamo nessun diritto di attaccare, per primi, i nostri antichi alleati, e non ne abbiamo, per
ora nessun motivo sufficiente. Tuttavia ci difenderemo energicamente da qualunque violenza – qualora vi sia chi abbia la velleità di usarcene – e non sopporteremo che alcuno si
permetta di attentare al nostro onore e alla nostra dignità di soldati. É questo l’ordine chiaro
e preciso delle nostre superiori autorità. E ad esse soltanto dobbiamo obbedire”.
“Terzo punto: cedere pacificamente le armi…”
“Mi hanno assicurato che si tratterebbe soltanto delle armi pesanti – ossia dei pezzi di artiglieria di grosso calibro – le quali d’altronde, ci sono state fornite quasi tutte dall’esercito
tedesco, essendo materiale di preda bellica francese e olandese. Ma questo stesso atto non
violerebbe, forse, lo spirito dell’armistizio, e, per conseguenza, non verremmo ugualmente
meno alla fedeltà che abbiamo giurata al Re Imperatore? E, ancora: dove se ne andrebbe
l’onore delle armi, che è la cosa più cara a dei militari e a un esercito, sfortunato ma pur
glorioso, come quello italiano?”
I negoziati Italo - Tedeschi - Capitolo 3
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Come vedete, per me – per la mia coscienza di uomo e di militare – nessuno dei tre
punti proposti dal comando germanico è accettabile! Eppure su uno di essi devo assolutamente decidermi entro il termine di poche ore!... Il tono del comunicato è brutale. La
ristrettezza del tempo concesso per la decisione indica sfiducia da parte dei tedeschi sulla
nostra lealtà. Il triplice aut…aut risuona al mio orecchio come una provocazione e una
dichiarazione di guerra!…
“Riflettete che, se dovesse verificarsi un conflitto armato contro i tedeschi, noi, numerosi
e forti come siamo in quest’isola, potremmo avere, in una prima fase, il sopravvento. Ma
non ci dimentichiamo che l’isola è circondata da ogni parte dal mare, e che, dietro di
noi, sul vicino continente greco, abbiamo oltre trecentomila tedeschi, certamente decisi
ad accorrere con aiuti di uomini e di materiali. Noi non possiamo sperare in alcun aiuto
né rifornimento. Infine non abbiamo un solo velivolo. I tedeschi potrebbero scaraventare
sull’isola le loro squadriglie di Stukas e massacrarci tutti indisturbatamente”.
“E la truppa? Combatterebbe di buon animo? Resisterebbe, indifesa, sotto i bombardamenti aerei?”
“Tenete presente le varie osservazioni mie, e siccome ho poco tempo a disposizione,
ciascuno di voi, senza perdersi in domande o divagare in inutili discussioni, mi dichiari
il suo parere, significando quale dei tre punti, in coscienza, sente di potermi suggerire
come il male minore”192.
Il Generale Gandin aveva capito tutto. Aveva il torto, ammesso che sia un torto, di non sapere scegliere tra la vita e l’onore militare. Aveva l’umanissima debolezza d’inseguire una
soluzione che lo soddisfacesse quale uomo e quale soldato. Non individuandola, cercava
suggerimenti, facendo ciò rinunciava al suo diritto-dovere di decidere193.
Seduta stante i cappellani si dichiaravano propensi alla cessione delle armi, ma per poter
meglio ponderare il loro giudizio decidevano di ritirarsi in una stanza del convento delle
suore francescane di Argostoli, e dopo sofferta meditazione confermavano che la sola
soluzione possibile era da ricercarsi nella cessione delle armi; diversamente la pensava il
cappellano del 37° ospedale da campo, padre don Luigi Ghirlandini, propenso alla lotta
armata, il quale finiva però, dopo alcuni istanti di riflessione, per condividere il parere degli altri suoi confratelli. Una lettera firmata dai sette cappellani, veniva quindi recapitata
al Generale Gandin dal sacerdote padre don Romualdo Formato del 33° Reggimento
artiglieria e che così concludeva: “…dinanzi al tenore dell’ultimatum tedesco, voi, Signor
Generale, isolato da tutti, impossibilitato di mettervi in comunicazione con i superiori
comandi d’Italia e di Grecia e di riceverne ordini precisi, vi trovate nella ineluttabile
necessità di dover cedere ad una dura imposizione per evitare l’inutile supremo sacrificio dei vostri ufficiali e dei vostri soldati”194. Ma con questo invito, gli stessi cappellani
sottovalutavano il potenziale della rabbia che stava montando negli uomini irrequieti,
incolleriti e minacciosi. Fu un fatto che l’ordine del Comandante della Divisone “Acqui”
di ritirarsi dalle posizioni strategicamente importanti di Kardakata, come segno di buona
volontà italiana in cambio dell’interruzione dell’afflusso di nuove truppe tedesche, fosse
inteso da alcuni come primo passo verso un codardo cedimento195.
66
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
3.5 L’ inizio della rivolta.
La giornata del 12 trascorreva con un crescendo di agitazione196 tra i reparti. Si poteva
affermare che la maggioranza degli ufficiali superiori fosse orientata, con il Generale
Gandin, alla cessione delle armi pesanti, purché questa avvenisse con onore; mentre la
maggioranza degli ufficiali inferiori e degli uomini di truppa era orientata a evitare a
qualunque costo la cessione delle armi. In questo clima si ebbero varie manifestazioni di
insubordinazione e di indisciplina197, sino a coinvolgere lo stesso Generale Gandin198. Alla
base di tutto ci fu probabilmente la nascita spontanea nella truppa, di un sentimento antitedesco che, dalla immediata antipatia del giorno 9 verso l’ormai unico ostacolo alla
pace, era mutato in chiara ostilità ai primi incidenti, per raggiungere rapidamente punte
di vero e proprio odio199. Il nucleo di chi si opponeva ad ogni forma di disarmo, ed era
pertanto pronto allo scontro frontale con i tedeschi, era costituito dagli ufficiali inferiori
del 33° Reggimento di artiglieria (Capitano Pampaloni, Cap. Apollonio, Ten. Ambrosiani) e del Comando Marina (Comandante Mastrangelo). La loro motivazione era una
mescolanza di senso dell’onore, di sentimento patriottico e di voglia di rivalsa antitedesca200. Gli stessi artiglieri del 33° Reggimento artiglieria, la mattina di domenica 12, apparivano irriconoscibili a padre Formato201 in visita per la celebrazione, come di consueto, della messa; certamente però essa non rispecchiava l’immagine di tutta la truppa: ma
in una situazione di grande sconcerto e di incertezza, erano i più decisi a guidare gli indecisi202. Intanto la propaganda greca eccitava sempre più l’animo dei soldati, sì spargevano voci secondo cui l’Italia si era ribellata alle truppe tedesche ivi di stanza, ricacciandole fuori dal territorio nazionale. Gli Alleati erano già sbarcati a Corfù; la flotta inglese si
dirigeva verso le isole Jonie per bloccare l’ingresso al golfo di Patrasso; l’occupazione di
Cefalonia era questione di giorni: in sostanza tutto spingeva ad agire subito contro i tedeschi, in modo da meritare dagli Alleati il pronto rientro in patria203. Scoppiavano sempre più numerosi gli incidenti. Ovunque si udivano spari e minacce204. Se un Ufficiale
tentava di esortare alla calma era subito tacciato di vigliaccheria205. Intanto dai contatti
radio con Malta, proprio il 12 arrivava un messaggio che diceva: “ricordatevi che i tedeschi hanno affondato la corazzata Roma, sicchè non bisogna in alcun modo consegnare
senza combattere le armi ai tedeschi”. All’irrequietezza della truppa corrispondeva la
volontà negoziale del Generale Gandin206, che all’esterno poteva apparire come disponibilità alla resa. Pertanto nella mattinata del 12 settembre riprendevano i colloqui con i
tedeschi. Ma verso le ore 10.00 il Tenente Fauth dichiarava che, siccome gli italiani non
avevano consegnato le armi come precedentemente pattuito, a mezzogiorno gli Stukas
tedeschi avrebbero iniziato il bombardamento. Era la prima volta che i tedeschi minacciavano così esplicitamente207. Il Generale Gandin, senza impressionarsi, contestò il pretesto germanico208: la risposta di massima favorevole alla cessione delle armi era stata data,
ora occorreva definire giorno e modalità, il che comportava una ulteriore dilazione di
almeno 24 ore sull’inizio dell’operazione. Inoltre voleva vedere il tenente colonnello
Barge209. Alle ore 16.00 circa il comandante del 966° Reggimento da fortezza si presen-
I negoziati Italo - Tedeschi - Capitolo 3
67
tava al Comando della “Acqui”210. Nel corso del colloquio veniva concordato di iniziare
la consegna ad Argostoli; il giorno seguente, ore 8.00, furono definite le aree di radunanza dei reparti disarmati. Sembrava che tutto si fosse ricomposto, quando tra le ore 14.00
e le ore 16.00 i tedeschi, dopo aver intimato la resa, catturarono le tre batterie schierate
nel settore a loro affidato: la 2^ del 33° Reggimento artiglieria, la 2^ del VII Gruppo di
Corpo d’Armata e la batteria di Akrotiri della Marina, nonché i reparti dei Carabinieri e
della Guardia di Finanza dislocati a Lixuri211. Alla richiesta di spiegazioni, il Tenente Colonnello Barge ammetteva di non sapere nulla dell’accaduto e dava la colpa ai suoi subordinati, impegnandosi a far liberare gli italiani e a restituire i pezzi212. Terminata la discussione sull’episodio delle batterie di Lixuri, il Tenente Colonnello dichiarava che il
Comando Superiore tedesco gli aveva tolto i poteri di trattare con il Comando della
“Acqui” e pertanto erano da considerarsi nulle le trattative fino ad allora svolte; informava che il Comando Superiore tedesco non intendeva più discutere: voleva soltanto sapere dal Generale Gandin se la “Acqui” era contro i tedeschi oppure se si decideva a cedere le armi213. Con queste novità il Generale Gandin si recava subito al Comando
Artiglieria, ove lo attendevano i comandanti di corpo. Li mise al corrente degli ultimi
eventi e delle trattative, al cui riguardo nulla ancora esisteva di definito. Nel corso della
riunione, telefonò il comandante della 2^ batteria da 100/17 dislocata a Chavriata, comunicando di trovarsi anch’egli di fronte ad un ultimatum tedesco. Fu autorizzato a cedere alla violenza. Poi la conferenza si sciolse ed il Generale Gandin rientrò al Comando
di Divisione214. Alle 18.00 si verificava un’altra esibizione di muscoli. Un semovente tedesco si piazzava nei pressi del ponte di Argostoli e puntava il cannone sulla 3^ batteria
italiana. Una pronta manovra degli artiglieri lo metteva sotto tiro, facendolo allontanare.
A questo punto si spargeva la voce che il Generale Gandin aveva deciso di consegnare le
armi215 ai tedeschi216. La situazione stava veramente precipitando sotto l’incalzante e proditoria azione dei tedeschi; i soldati allarmati e gli ufficiali sgomenti, attendevano chiarimenti e ordini. A questo punto il Capitano Apollonio chiese di conferire con il proprio
comandante di reggimento217, Colonnello Mario Romagnoli, pregandolo di accompagnarlo a rapporto del Generale, per poter esporgli lealmente il loro punto di vista sulla
situazione. Nell’attesa di essere ricevuti furono invitati a partecipare al colloquio anche il
Capitano Amos Pampaloni, il Tenente Abele Ambrosini, il Capitano Guglielmo Pantano.
Accordatogli dal Generale Comandante il richiesto colloquio raggiungevano il Comando di Divisione218. Si arrivava così all’incontro219 con il Generale Gandin alla presenza di
altri ufficiali della Divisione (Tenente Colonnello Fioretti e Capitano di Fregata Mastrangelo). A conclusione del rapporto, il generale assicurava agli ufficiali che le trattative
sarebbero continuate sulla base della non cessione delle armi, e che qualsiasi nuovo tentativo tedesco di modificare lo status quo violando le trattative in corso sarebbe stato
represso con il fuoco220. Il Generale Gandin, intanto, convocava ancora per le ore 20.00
un consiglio di guerra, ove intervennero: il capo di stato maggiore della divisione tenente Colonnello Fioretti, il Generale Gherzi, comandante della fanteria divisionale, il Colonnello Romagnoli, comandante dell’artiglieria divisionale, il Tenente Colonnello Ces-
68
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
sari, comandante del 17° Reggimento fanteria, il colonnello Ricci, comandante del 317°
Reggimento fanteria, il Maggiore Filippini, comandante del Genio divisionale, il Capitano di Fregata Mastrangelo, comandante Marina Argostoli, il Capitano CC.RR. Gasco,
comandante la 2^ compagnia carabinieri. In tale rapporto venivano prese le seguenti
decisioni: il Generale Gandin, offeso per il modo di procedere da parte del Comando
Superiore tedesco, si rifiutava da allora in avanti di trattare con ufficiali tedeschi che non
fossero suoi pari grado e che non si rivolgessero a lui con garantite funzioni plenipotenziare; gli ufficiali tedeschi che fossero venuti a trattare d’ora in avanti sarebbero dovuti
essere accompagnati da un ufficiale del comando dell’11^ Armata conosciuto dal Generale Gandin; inoltre si intimava ai tedeschi di non effettuare invii di rinforzi dal continente né movimenti nell’interno di Cefalonia prima della conclusione delle trattative; si
garantiva infine, da parte italiana, di non compiere atti ostili qualora i tedeschi avessero
rispettato gli impegni di cui sopra. La lettera con queste decisioni veniva direttamente
indirizzata al Comando Superiore tedesco e consegnata al Tenente Colonnello Barge
perché la trasmettesse con la sua stazione radio221.Verso mezzanotte della stesso giorno222
arrivava da Corfù una comunicazione esaltante: il Colonnello Lusignani, comandante del
18° Reggimento fanteria, aveva rifiutato la cessione delle armi e dichiarato di essere
pronto a respingere con la forza qualunque aggressione tedesca. La divulgazione di una
simile notizia avrebbe probabilmente accentuato le difficoltà delle trattative in corso a
Cefalonia, perciò il Generale Gandin scelse di tacerla per non ringalluzzire i fautori del
no223. Nella stessa notte tra il 12 e il 13 settembre 1943, il Capitano Apollonio incontrava
gli esponenti della resistenza ellenica (Tenente Ghergopoulos e il Tenente Lazaratos) al
quale riferivano che il comando di divisione aveva rifiutato la loro collaborazione e che
avevano per questo deciso di sopprimere il comandante; di fronte a tale affermazione il
Capitano Apollonio li invitava a desistere da tale decisione in quanto convinto che il
generale avrebbe finito coll’intervenire contro i tedeschi224. Successivamente lo stesso
Capitano Apollonio convocava nella propria tenda vari ufficiali di fanteria e di artiglieria
per una riunione che si protrasse fino alle ore 5.00 del mattino e che si concludeva con
l’impegno di mantenere la calma per permettere al Generale Gandin di continuare le
trattative, con l’intendimento di non cedere le armi ai tedeschi senza un preventivo accordo, di far prigioniere le truppe tedesche di stanza nella città laddove l’artiglieria
avesse aperto il fuoco mentre il II secondo battaglione del 17° Reggimento fanteria e il
III battaglione del 317° Reggimento di fanteria si sarebbero avviati alla volta di Lixuri
per costringere alla resa i due battaglioni tedeschi colà dislocati. Realizzato infine tale
piano, le truppe avrebbero dovuto rioccupare le posizioni costiere precedentemente tenute contro il tentativo tedesco di impossessarsi dell’isola225.
I negoziati Italo - Tedeschi - Capitolo 3
69
Il Comando del XXII Corpo d’Armata da montagna entrò in funzione nel pomeriggio del 9 settembre.
G. Lombardi, L’8 Settembre fuori d’Italia, Milano, Mursia, 1966, p. 125.
140
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit. p. 16.
141
Durante il brindisi il Ten. Fauth dichiarò: “l’ Armistizio italiano segna la sconfitta per la vostra
povera Patria.Voi non ne avete colpa.Voi avete giurato fedeltà al vostro Re; noi l’abbiamo
giurato al nostro Fuhrer. In nessuna parte del mondo i tedeschi sono stati ricevuti così cordialmente
e fraternamente come da voi in quest’isola. La calda parola che voi, Signor Generale, rivolgeste
allora ai nostri soldati, nel nostro stesso idioma, ci ha riempiti d’orgoglio per la causa che combattiamo
e di amore per l’amica Italia. Siamo stati alleati fino ad oggi. I nostri soldati si sentivano fratelli
con i vostri soldati. Ma, se una stella malvagia dovesse farci diventare avversari, saremo avversari
cavallereschi e leali come siamo stati finora alleati cavallereschi e leali. Alzo il bicchiere augurale al
futuro destino della vostra Patria !”(R. Formato, L’Eccidio di Cefalonia, op. cit. p. 30).
142
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 16.
143
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio, op.cit, p. 335.
144
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 99.
145
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 17.
146
M. Filippini, La vera storia dell’eccidio di Cefalonia – 1^ e 2^ parte, Copiano (PV),
Grafica MA.RO, 2001, p. 32.
147
Quest’ordine, confermando quello precedente, indicava le zone di raduno (per presidio Cefalonia:
Lamia), le modalità per la sostituzione delle truppe italiane con quelle tedesche e per i trasporti
ferroviari e marittimi, i tempi di esecuzione ed altre disposizioni.
148
M.Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 1943, op. cit., p. 471.
149
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p.18.
150
G. Lombardi, L’8 Settembre fuori d’Italia, op. cit., p.126.
151
A. Caruso, Italiani dovete morire, op. cit., p.43.
152
La richiesta pressante degli alti comandi della Wehrmacht è il disarmo immediato e il più completo
possibile degli italiani. Quanto alla questione del loro rimpatrio, una nota ufficiale del gruppo
Armate E, la mattina del 10 settembre, si limita a dire: “deve essere tentato di tutto per spostare
gli italiani con tutti i mezzi il più velocemente possibile dalle isole”. Si parla di spostare e non di
rimpatriare in Italia, tanto meno via mare. Qui si annida l’equivoco: nel negoziato con gli italiani
non si dice chiaramente che l’imbarco di cui si parla si riferisce solo al trasporto delle truppe
dall’isola alla terraferma, non oltre (G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 18-19).
153
G. Lombardi, L’8 Settembre fuori d’Italia, op. cit., p. 127.
154
A. Caruso, Italiani dovete morire, op. cit., p. 45.
155
G. Moscardelli , Cefalonia, op. cit., p. 21-22.
156
Il Colonnello Ricci, comandante del 317° Reggimento fanteria, era stato dispensato dal rapporto
dallo stesso Generale Gandin affinché si tenesse a contatto con i reparti del reggimento.
157
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 100.
158
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 19-20.
159
Ufficiali, più specialmente tenenti e capitani, prendevano contatto tra loro e si consultavano sul da
farsi. La tesi di non deporre le armi e di cacciare i tedeschi dall’isola trionfava dappertutto.
138
139
70
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
Tuttavia, in questo coro ardente ed unanime c’era più di una battuta di arresto. Il Maggiore Altavilla,
comandante del II battaglione del 17° Reggimento fanteria, non volle impegnare dichiarando
che avrebbe eseguito gli ordini del suo comandante di reggimento. Il Tenente Colonnello Fiandini,
comandante un gruppo contraerei, dichiarò che rifiutava ogni collaborazione e che avrebbe unicamente
eseguito gli ordini del comandante della Divisione (G. Moscardelli , Cefalonia, op. cit. p.24-25).
160
G. Lombardi, L’8 Settembre fuori d’Italia, op. cit., p. 128.
161
L’incarico di capo reparto operazioni del Comando Supremo, rivestito per tre anni, lo avevano
messo in grado di poter esprimere apprezzamenti probanti in campo strategico-politico. Sicuramente
valutava il pesante condizionamento di alcuni fattori sfavorevoli. In Grecia l’11^ Armata si trovava
con ogni probabilità in seri guai, proprio per la sua composizione italo-tedesca; un aiuto aereo o
navale dall’Italia era assai poco sperabile; uno sbarco alleato a Cefalonia si mostrava illusorio ed in
Peloponneso altamente improbabile: quindi la Divisione “Acqui” doveva contare soltanto sulle
proprie forze. Essa non possedeva aviazione, l’efficienza della sua fanteria era relativa, la difesa
costiera e contraerea limitata a pochi settori: quindi, sopraffatti senza molte difficoltà i 2000 tedeschi
dell’isola, occorreva affrontare una lotta senza speranza contro la Luftwaffe e, quando il gruppo
d’Armate E lo avesse stabilito, contro sbarchi in forze. La posizione geografica di Cefalonia
rivestiva un indubbio valore strategico: quindi uno sforzo bellico nuovo ed autonomo appariva
privo di qualunque sbocco positivo.Tutto ciò portava ad un’unica amara conclusione: dato l’isolamento,
cedere le armi come ordinato dal Comando 11^ Armata e rassegnarsi alla volontà tedesca. Però
esisteva qualcosa di immenso significato, i sentimenti militari: lo spirito di corpo, il senso del dovere,
il giuramento al Re, l’orgoglio nazionale.Tutto ciò bilanciava nell’animo le considerazioni negative
della mente. Nel tragico dilemma, parve affiorare una via d’uscita. Durante la sua attività al Comando
Supremo, aveva avuto numerosi contatti con i più alti vertici militari. Ne trasse fiducia che il
prestigio acquisito in dette circostanze potesse aiutarlo ad ottenere, con abili trattative, una soluzione
onorevole e conveniente per tutti (G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia, Settembre 1943, op. cit., p. 101).
162
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio, op. cit., p. 336.
163
Migliaia di uomini avevano assistito con sdegno e ira alle due cannonate che l’11 mattina la 2^/
CCI batteria semoventi tedesca aveva sparato a prora del tre alberi “Enrichetta Maddalena” che,
carico di munizioni, stava virando nel porto di Argostoli per accostare alla banchina (G. Giraudi, La
Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio, op. cit., p. 346-347).
164
G. Lombardi, L’8 Settembre fuori d’Italia, op. cit., p. 129.
165
G. Moscardelli , Cefalonia, op. cit., p. 28.
166
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 28.
167
L’ordine era il seguente: “Là dove le truppe italiane al momento fanno ancora resistenza, si deve
porre un ultimatum a breve termine. Con esso si deve annunciare che i comandanti responsabili
della resistenza saranno fucilati come franchi tiratori se non avranno dato l’ordine di cessione ai
tedeschi entro il tempo stabilito”.
168
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 20-21.
169
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefaloni. Settembre 1943, op. cit., p. 131.
170
Occorre tener presente che la direttiva, tardiva, ma precisa e ineludibile, della massima autorità
militare italiana ebbe una sorte infelice. Infatti pervenne solo ai comandi italiani operanti in isole
I negoziati Italo - Tedeschi - Capitolo 3
71
(Sardegna, Corsica, Cefalonia e Corfù ) e che non avevano subito nelle due giornate decisive (il 9 e il 10
settembre) gli effetti negativi dell’organica azione della Wehmarcht (C.Vallauri, Soldati, op.cit., p. 210).
171
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio, op. cit., p. 336.
172
Le unità erano piccoli natanti, come il “tre alberi” carico di munizioni che stazionava al centro
della baia di Livadi, il dragamine “Patrizia” ed altri mezzi navali al servizio della base che,
spesso, imbarcavano personale civile militarizzato, al comando di ufficiali italiani.
173
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 337-338.
174
Ecco il testo della versione tedesca:
1) Il Comando Supremo delle forze armate tedesche ha ordinato che si debba operare il disarmo
delle forze italiane.
2) Sono esclusi dal disarmo quei reparti che, sulla base di un accurato controllo, daranno garanzie
di continuare a combattere agli ordini e al fianco delle truppe tedesche.
3) Le armi e tutto il materiale bellico devono essere raccolti dalla Divisione e consegnati entro le
18.00 del 12 settembre 1943 presso la piazza Italiana di Argostoli.
4) Le truppe italiane, dopo il disarmo, devono abbandonare le posizioni e devono acquartierarsi
nei tratti di territorio precedentemente occupati, rimanendo organizzate in battaglioni al
comando dei loro ufficiali.
5) É vietata la consegna di armi, munizioni, apparecchiature, autoveicoli e pezzi di ricambio
alla popolazione greca.
6) Qualora si verificassero atti di sabotaggio a strutture militari di qualsiasi genere od atti di
violenza contro truppe tedesche, esse reagiranno immediatamente con la forza, e gli ufficiali
responsabili saranno chiamati a risponderne.
7) Dopo il disarmo, i tedeschi garantiranno agli ufficiali ed ai soldati italiani un trattamento
cavalleresco. Sarà vietato agli ufficiali ed ai soldati disarmati abbandonare i loro alloggiamenti
durante le ore di oscurità.
8) Prego darmi comunicazione entro le ore 19.00 dell’ 11 settembre 1943 delle decisioni prese
sui punti 1 e 2. Per quanto riguarda la permanenza e il trasferimento delle truppe italiane dopo
il disarmo si attendono ulteriori ordini.
9) Nomino ufficiale di collegamento presso la divisione, con il compito di seguire la messa in atto
del disarmo, il Tenente Fauth, comandante della batteria di cannoni semoventi.(G. Rochat, La
Divisione Acqui a Cefaloni. Settembre 1943, op. cit., p. 131-132).
175
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 21-22.
176
Il Generale Gandin nella stesso giorno del 11 settembre invia il seguente messaggio: “204511
153011 PAPA Marina Argostoli Marina Brindisi per Comando Supremo 41414 – Comando
Tedesco chiede che Divisione qui decida subito aut combattere unitamente tedeschi aut cedere armi
at esso alt Mancando ogni... et ignorando situazione generale prego dare urgentemente orientamento...
risposta alt Generale Gandin-Brindisi”. I numeri iniziali (gruppo data orario) significano che il
messaggio fu inviato alle 15:30 e giunse alle ore 20:45 dell’11 settembre (P. Paoletti, I Traditi di
Cefalonia - la vicenda della Divisione “Acqui” 1943-44, op. cit., p. 42).
177
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio, op.cit., p. 339.
72
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 23.
G. Moscardelli, Cefalonia, op. cit., p. 30.
180
M.Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 1943, op. cit, p. 471.
181
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 23.
182
G. Lombardi, L’8 Settembre fuori d’Italia, op. cit., p. 130.
183
Il Tenente Colonnello Barge era già a conoscenza della conferma, da parte del Comando 11^
Armata, dell’ordine di consegnare le armi.
184
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 103.
185
M.Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 1943, op. cit., p. 474.
186
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 103.
187
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 24.
188
G. Moscardelli , Cefalonia, op. cit., p.36.
189
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit. p., 29.
190
Erano 7 e precisamente: padre Romualdo Formato del 33° Reggimento artiglieria, padre Biagio
Pellizzari del 317° Reggimento fanteria, padre Angelo Ragnoli del 17° Reggimento fanteria,
padre Mario Di Trapani della Regia Marina, padre Duilio Capozi della 44^ sezione sanità,
padre Luigi Ghirlandini del 37° ospedale da campo, padre Angelo Cavagnini del 527° ospedale
da campo (M.Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 1943, op. cit., p. 471).
191
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p.103-104.
192
R. Formato, L’Eccidio di Cefalonia, op. cit., p. 33-37.
193
A. Caruso, Italiani dovete morire, op. cit., p. 67.
194
O. G. Perosa, Divisione Acqui, figlia di nessuno – Cefalonia e Corfù settembre 1943, op. cit., p. 32-33.
195
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 30.
196
Da Santa Maura erano giunte notizie allarmanti, che avevano aumentato sgomento e rabbia. La
sera dell’11 settembre, i comandi e i reparti del presidio di Argostoli avevano appreso, dal sergente
Luigi Baldassari, la sorte riservata ai militari di Santa Maura, i quali, dopo aver ceduto ai
tedeschi le armi collettive, erano stati brutalmente privati dell’arma individuale ed avviati in campo
di internamento nella zona malarica di Missolungi. Si era appreso anche dell’infamia commessa
dai tedeschi contro il Colonnello Mario Ottalevi, comandante del presidio, assassinato brutalmente
davanti ai suoi soldati perché si era opposto al disarmo (G. Giraudi, La Resistenza dei militari
italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio, op. cit., p. 347)
197
Particolarmente significativa quella narrata da Pampaloni. Nella giornata del 12, avendo avuto
sentore che il comando di divisione stesse per dare l’ordine di consegnare le armi, il capitano
Pampaloni - senza informare il suo comandante di Gruppo – si recò con alcuni altri ufficiali al
comando di divisione ottenendo di parlare con il Generale Gandin. Rientrato al reparto, Pampaloni
riunì la batteria per mettere tutti al corrente della situazione. “Mentre parlavo arrivò il comandante di
Gruppo il quale, avendo saputo della mia iniziativa di andare dal comandante la divisione senza
dire nulla di lui, mi investì urlando in malo modo, deplorando la mia condotta ed affermando
che, normalizzate le cose, sarei stato messo sotto processo! Stavo pazientemente ascoltando i suoi
rimproveri quando un mio artigliere, esasperato dal vedere il suo capitano così ingiustamente
umiliato di fronte a tutti i suoi soldati, preso il moschetto per la canna, dette un colpo in testa al
178
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I negoziati Italo - Tedeschi - Capitolo 3
73
tenente colonnello che stramazzò sorretto dal Tenente Gardenghi che lo accompagnava. Fu un
attimo terribile; vidi molti artiglieri nell’atto di scagliarsi contro il comandante del Gruppo e con
tutte le mie forze gridai “batteria, attenti!”, e tutti per fortuna mi ubbidirono, immobili. Il Tenente
Tognato, il Tenente Gardenghi ed io prendemmo il tenente colonnello e lo portammo in una tenda
mentre i soldati rimasero sull’attenti fino al mio ritorno; sciolsi la riunione non senza deplorare
vivamente l’accaduto, ma dentro di me ero profondamente turbato e commosso per l’attaccamento
che mi dimostravano i miei artiglieri” (Pampaloni, Il Ponte, p.1483-84).
198
G. Lombardi, L’8 Settembre fuori d’Italia, op. cit., p. 137-138.
199
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 104.
200
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 30.
201
“Gli artiglieri sempre bravi, sereni, disciplinati mi apparvero in preda alla più preoccupante
agitazione. Chi sa in che modo fra essi, e ormai fra le truppe,si era sparsa la voce che il generale
volesse vigliaccamente disarmare la divisione di fronte ad uno sparuto numero di tedeschi.
Il generale era ormai tacciato di tedescofilo, di vigliacco, di traditore e di peggio. Con gli occhi
fuori e lividi di indignazione, ufficiali e artiglieri mi urlavano di riferire che essi non avrebbero mai
obbedito a chi avesse ordinato il disonore, che essi non avrebbero consegnato le armi a nessuno, che
sull’arma si cade, ma non si cede... L’eccitazione era impressionante ed andava sviluppandosi
con la rapidità di un incendio”. (R. Formato, L’Eccidio di Cefalonia, op. cit., p.41).
202
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p.31.
203
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943,op. cit., p.104.
204
Nello stesso pomeriggio, mentre il Generale Gandin si recava a una riunione di alti ufficiali, la
sua vettura venne colpita da una bomba a mano che fortunatamente non recò danno né a lui né ai
suoi accompagnatori. Più tardi un militare sbarrò di prepotenza la strada all’automobile che riportava
al comando di divisione il Generale Gandin, per dar modo così ad un altro soldato di strappare
dal cofano, in segno di disprezzo, la bandierina tricolore.
205
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p.31-32.
206
Il Generale Gandin vedeva la realtà della situazione con intelligenza: prevedeva con rara chiarezza
quanto stava per accadere. Era onoratamente preoccupato dal problema morale: una parte di quelle
artiglierie, che i tedeschi chiedevano, ce le avevano date essi; quei soldati tedeschi, che si volevano
scacciare a forza, li aveva chiamati lui nell’isola. Noi dovevamo sgomberare in tutti i casi Cefalonia, per
le clausole dell’armistizio: si trattava di discutere le modalità. Era possibile, era logico, che i tedeschi,
dovendo noi sgomberare, ci lasciassero portare via un intera divisione, con quelle artiglierie, a
rafforzare il potenziale bellico dei loro nemici? Era altrettanto chiaro che, se i tedeschi erano diventati
nostri avversari, noi tentassimo fare quanto essi non volevano. Ma lo potevamo? L’isola era completamente
appartata. Si sarebbe potuto magari cacciare facilmente quel battaglione tedesco che c’era. E poi? Si
chiedeva il Generale Gandin. Chi avrebbe trasportato in Italia le truppe italiane? E se fossero
dovute restare a Cefalonia, chi le avrebbe soccorse contro il ritorno dei tedeschi, che tenevano sul
continente centinaia di migliaia di soldati, mezzi aerei soverchianti e sufficienti mezzi nautici?
Il generale era uno dei pochissimi a capire, che gli inglesi non avevano interessi da quelle parti, non
avevano deciso di ingolfarsi nella Balcania e perciò non avrebbero mandato alcun aiuto (A.Tamaro,
Due anni di storia: 1943 – 1945, Roma, Tosi, 1948, p.63).
74
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
G.E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p.32.
Per precauzione, alle ore 11.00 dava l’ordine di stato di allerta che venne ritirato più tardi, dopo
che i tedeschi avevano concesso un ulteriore dilazione di 24 ore per la conclusione delle trattative.
209
Alle 13.30 il Tenente Colonnello Barge aveva inviato un messaggio radio al Comando del XXII
Corpo d’Armata con il quale comunicava che il disarmo delle “Acqui” proseguiva nonostante il
Generale Gandin si sentisse vincolato al giuramento al Re; l’ottimismo del tenente colonnello era
infinito: sosteneva che il disarmo sarebbe stato completato entro le ore 18.00, che gli italiani sarebbero
stati acquartierati in due zone, a est di Sami e a nord di Argostoli, che i carabinieri sarebbero stati
incaricati di mantenere l’ordine pubblico. Lungaggini burocratiche fecero sì che il radiogramma
giungesse al XXII Corpo d’Armata soltanto alle ore 4.30 del giorno dopo, quando gli avvenimenti
lo avranno già smentito (A. Caruso, Italiani dovete morire, op. cit., p.78).
210
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 104.
211
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio, op. cit., p.361.
212
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 32.
213
G. Lombardi, L’8 Settembre fuori d’Italia, op. cit., p. 139.
214
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943,op. cit., p. 105.
215
Chi, perché e come si sparse la voce nessuno sa dirlo.Altri testimoni, vicini a Gandin, assicurano (nelle loro
memorie) che il comandante non aveva alcuna intenzione di cedere le armi e polemizzano duramente
contro chi, pregiudizialmente ostile al generale, approfitta di questa voce incontrollata per sobillare la truppa.
216
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 33.
217
La richiesta del capitano Apollonio era già fuori dalle regole. Prima che al comandante di reggimento,
egli avrebbe dovuto rivolgersi al comandante di gruppo, il Tenente Colonnello Matteo Deodato
(A. Caruso, Italiani dovete morire, op. cit., p. 82).
218
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 362-363.
219
Quello tra gli ufficiali pronti alla ribellione e il comandante ci viene presentato come uno scontro
attorno al concetto e ai contenuti dell’onore. Per i primi, l’onore coincide puramente e semplicemente
con il non cedere le armi. Per il secondo, il concetto di onore comprende anche la responsabilità
verso la vita dei suoi soldati. Questo è un motivo di grande conflitto interiore. Nell’atteggiamento
dei giovani capitani non c’è alcuna valutazione realistica delle probabilità di vittoria: sono sordi
alle osservazioni sulla debolezza della “Acqui” nel quadro dello schieramento generale delle forze
nemiche nell’area greca e jonica. Respingono anche con superficialità l’obiezione, condivisa dal
Colonnello Romagnoli che pure è dalla loro parte, che la fanteria non è in grado di sostenere una
dura prova sul campo. Apollonio e gli altri fraintendono l’agitazione quasi anarchica di alcuni
reparti di fanteria come voglia di combattere, mentre Gandin è presentato come un uomo indeciso e
sopraffatto dalle circostanze (G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p.35-36).
220
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio, op. cit., p.363.
221
G. Moscardelli , Cefalonia, op. cit., p.46-47.
207
208
I negoziati Italo - Tedeschi - Capitolo 3
75
“La notte trascorse in un vero pauroso fermento di guerra. Alcune bombe furono lanciate sotto la
mensa del comando di artiglieria. I reparti si ribellarono. Carte e documenti importantissimi furono
lacerati negli uffici, calamai frantumati, inchiostro rovesciato, cancelleria distrutta, tavoli capovolti,
registri squarciati. Si organizzavano fughe, rappresaglie, punizioni, vendette. Una batteria puntò
i suoi pezzi contro il comando di divisione, decisa a farlo saltare in aria (R. Formato, L’Eccidio di
Cefalonia, op. cit., p. 44).
223
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 107.
224
Pampaloni, Il Ponte, p. 1484.
225
G. Moscardelli , Cefalonia, op. cit., p. 47-48.
222
Le ultime battute prima dello scontro finale - Capitolo 4
77
Capitolo IV
Le ultime battute
prima dello scontro finale
4.1 La violazione dello “Status quo” e le successive trattative.
La mattina del 13 settembre vedeva tradotto nei fatti l’accordo preso in nottata dai rivoltosi dell’artiglieria e della marina per agire di iniziativa, cioè al di fuori e contro gli
ordini del comando divisione1. Intanto la notte stessa il I Battaglione del 17° Reggimento fanteria già dislocato tra le baie di Katelios e di Scala, che aveva ricevuto ordine di
trasferirsi nella piana di Kraneja, si schierava tra q. 51 di Kokkolata e le pendici di q. 150
di Paliokastro mentre il II Battaglione dello stesso reggimento, di previsto spostamento
a Razata, si sarebbe dislocato tra q.229 di Kavaras e la q.461 di Sparito-Kulumi226. Verso
le ore 7.00 due grosse motozattere227 doppiavano la punta di San Teodoro dirigendosi su
Argostoli; portavano viveri e materiale vario ed avevano a bordo l’equipaggio e il personale addetto alla difesa contraerea (molto forte: due pezzi da 120 mm e due quadrinate
da 40 mm) nonché gli addetti al materiale con l’evidente intento di rinforzare il presidio228. Senza attendere ordini superiori le batterie del 33° Reggimento artiglieria e della
marina aprivano il fuoco229. Le motozattere tedesche, colte di sorpresa, lanciavano razzi di
riconoscimento, alzavano cortine fumogene, tentavano di invertire la rotta, rispondendo
al fuoco con le armi di bordo; una motozattera veniva colpita e affondata. L’altra risultava
gravemente danneggiata. Lo scambio violento di fuoco, nel quale intervenivano anche i
semoventi tedeschi di terra, durò una ventina di minuti, facendo cinque morti230 e otto
feriti tra i tedeschi231. Da parte italiana, un ferito, l’artigliere Cruciali della 1^ batteria
fu il primo soldato italiano, dopo l’armistizio ad aspergere del suo sangue le aride rocce
di Cefalonia232. Partivano, intanto, sia dal Comando Divisione che dal Comando del 33°
Reggimento artiglieria, secchi e perentori ordini di immediata sospensione del fuoco. In
quei terribili momenti la preoccupazione del Generale Gandin era quella di non offrire
ai tedeschi l’appiglio per dichiarare decaduta ogni trattativa. Da Lixuri si faceva vivo il Tenente Colonnello Barge al quale interessava salvare il salvabile delle due motozattere; in
78
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
segno di buona volontà proponeva di riprendere le trattative233 e comunicava di aver dato
disposizione di far tacere i cannoni che sparavano dalla penisola di Paliki e i semoventi
di Argostoli234. Il Capitano Postal, Aiutante Maggiore del 33° Reggimento, incaricato
di tale incombenza, si sentiva rispondere dal comandante la 5^ batteria Tenente Abele
Ambrosini, che lui non riceveva ordini dai “traditori”, ma solo dal Capitano Apollonio235.
Il Capitano Postal intimava al Capitano Apollonio di cessare il fuoco e di farlo cessare
pure alla batteria del Tenente Ambrosini; dopo un iniziale rifiuto si decideva unitamente
agli altri comandanti di batteria a richiamare i propri artiglieri236. Con molta fatica il
Comando di Divisione riusciva a far cessare il fuoco237. Poco dopo l’azione di fuoco una
batteria del 94° Gruppo da 155/35, al comando del Tenente Ermete Ferrara, lasciava di
gran fretta la sua precedente posizione presso Capo Munta e veniva a piazzare i suoi pezzi
sotto il comando di artiglieria divisionale sbarrandone le vie d’accesso. Contemporaneamente un gruppo di uomini, con a capo il Capitano Apollonio238, prendevano d’assalto ed
espugnarono una casa nella quale stazionava un comando tedesco del genio; nello scontro
rimaneva ucciso il comandante e venivano fatti prigionieri gli altri militari239. Appena
cessato lo scontro, si presentava nel golfo di Argostoli un idrovolante tedesco proveniente
da Atene; portava il Tenente Colonnello Bush, della Luftwaffe, inviato dal comandante
militare in Grecia (Generale Spiedel) ed accompagnato da un ufficiale della R. Aeronautica, Capitano Araldo Brezzi, nonché dal Tenente Colonnello Barge240. Il Generale Gandin comprese subito l’importanza di questo incontro del tutto speciale per concludere
in modo ragionevole, pur salvaguardando le rispettive esigenze, un accordo che metteva
fine ad una situazione sempre più ingovernabile241. Il Capitano Brezzi, nel tendere la
mano agli ufficiali del Comando di Divisione, prima di essere introdotto nella stanza del
Generale Gandin, chiedeva: “Stringo la mano ad amici o nemici?” E poi soggiungeva:
“In Grecia l’Armata ha dato le armi ai tedeschi: il Generale Vecchiarelli è d’accordo con
i tedeschi: tutta l’Aeronautica è passata dalla parte dei tedeschi: c’è rimasta solamente la
“Acqui” a fare delle storie e, se continua così, finirà per commettere una pazzia”242. A
nome del Corpo d’Armata tedesco, ma per ordine ancora superiore, il Tenente Colonnello Bush invitava243 il Generale Gandin a recarsi da Mussolini che, liberato dal Gran
Sasso, si trovava in Germania e stava per organizzare le nuove forze italiane da affiancare
alla Germania244. Il Generale Gandin evitando di rispondere all’invito, approfittava della
fortuita presenza nell’isola del Tenente Colonnello Bush, per tentare di impostare una
nuova soluzione, che prevedeva, per la Divisione, il mantenimento delle armi fino al momento dell’imbarco per il promesso trasferimento in Italia. Il Tenente Colonnello Bush
nella speranza, o nella convinzione, che il Generale Gandin intendesse accogliere l’invito
di Mussolini aderiva al seguente accordo245:
- mantenimento in esercizio delle batterie contraeree;
- consegna ai tedeschi delle artiglierie ad installazione fissa (batterie da 76/40 e da
155/40), e delle batterie cedute dai tedeschi agli italiani (4 pezzi da 155/36, 12 pezzi da
155/14, 8 pezzi da 75/26, 12 pezzi controcarro);
- trasferimento dei rimanenti reparti della Divisione nella zona di Sami-Digaleto-Porto
Le ultime battute prima dello scontro finale - Capitolo 4
79
Poros, con l’assicurazione di lasciare loro le armi fino al momento dell’imbarco per l’Italia.
Il Generale Gandin chiedeva ventiquattr’ore di tempo per dare la risposta: termine ultimo
sarebbero state le ore 12.00 dell’indomani, 14 settembre246. Gli ufficiali italiani, rimasti
soli con il Generale Gandin, convenivano della accettabilità delle proposte tedesche. Solo
il Colonnello Romagnoli ed il Tenente Colonnello Fioretti facevano notare che la zona
indicata per raccogliervi i reparti della divisione si prestava per facilitare eventuali azioni
di forza da parte di truppe tedesche e che la intera zona di raccolta veniva ad assumere la
inconfondibile caratteristica di un campo di concentramento247. Partito il rappresentante
del Comando Tedesco248, il Generale Gandin diramava, verso le ore 13.00, un messaggio
a tutti i reparti, informando che erano in corso trattative per ottenere dai tedeschi che
venissero lasciate ai reparti le armi e le munizioni249. Pertanto sulla base dell’accordo
raggiunto, venivano diramati dal Comando di Divisione gli ordini per il trasferimento a
Sami della maggior parte dei reparti250.
4.2 L’intervento del Generale Lanz.
Ormai però per i tedeschi la necessità di risolvere la partita era diventata urgentissima.
La sintesi che il Gruppo d’Armate E fece quel giorno al Gruppo d’Armate F, da cui
dipendeva, destava preoccupazione: “Il nostro tentativo di sbarco a Corfù non ha avuto
successo, la guarnigione di Cefalonia si rifiuta combattendo di consegnare le armi, l’occupazione di Brindisi da parte degli inglesi pone il XXII Corpo d’Armata da montagna
al centro di una situazione incandescente”. Stando così le cose e conosciuto il sostanziale
fallimento della missione del Tenente Colonnello Bush, il Generale Lanz251 decideva di
intervenire di persona252. Nelle prime ore pomeridiane arrivava a Cefalonia il Generale
Lanz, comandante del XXII Corpo d’Armata con sede a Ianina; poiché il suo idroplano
veniva attaccato dal fuoco della contraerea italiana, ammarava vicino Lixuri253. Da qui,
furioso, si metteva in collegamento telefonico con il Generale Gandin che gli rispondeva
in modo da lui giudicato elusivo. Gli ingiungeva per l’ultima volta di adeguarsi, senza
ulteriori indugi, agli ordini trasmessigli giorni prima dal suo diretto superiore. Alle rimostranze del Generale Gandin relative alla ambiguità delle indicazioni ricevute, il Generale
Lanz scriveva di suo pugno quello che considerava l’ultimo ordine definitivo254:
“Il comandante generale del XXII Corpo d’Armata da montagna all’Ufficiale Comandante della Divisione “Acqui”, Gandin:
1) La Divisione “Acqui” deve immediatamente consegnare al comandante tedesco
dell’isola, Tenente Colonnello Barge, tutte le armi, escluse le armi individuali degli ufficiali. Tutti i reparti dell’ VIII e del XXVI Corpo d’Armata italiano hanno già proceduto
in modo analogo.
2) Se le armi non vengono cedute subito, la loro consegna sarà imposta con la forza dalla
Wehrmacht tedesca.
3) Prendo atto che la Divisione sotto il Suo Comando, aprendo il fuoco oggi alle ore
80
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
7.00 contro le truppe tedesche e due imbarcazioni tedesche, causando 5 morti e 8 feriti,
ha commesso un aperto e chiaro atto di ostilità.
Firmato Lanz, Tenente Generale delle truppe da montagna”.
Ciò fatto il Generale Lanz tornava a Ianina, convinto, sembra, che la cosa fosse avviata
a soluzione. Si era attenuto all’ordine dell’ Oberkommando der Wehrmacht dell’11 settembre, secondo il quale:
“Là dove unità italiane o singoli armati italiani oppongono resistenza si deve porre l’ultimatum a breve scadenza. In Tale ultimatum deve essere messo in evidenza il fatto che i
comandanti responsabili degli atti di resistenza saranno fucilati quali franchi tiratori, qualora, entro il termine stabilito, non avranno dato alle loro truppe l’ordine di consegnare
le armi nelle mani dei tedeschi”.
L’ultimatum veniva consegnato più tardi al Generale Gandin dal Tenente Colonnello
Barge255. Rientrato nella sua sede di Ianina, il Comandante del XXII Corpo d’Armata
riceveva alle ore 19.00 un ordinanza dell’ OKW, indirizzata a tutte le unità del Gruppo D’Armate E: “Per ordini del Fuhrer, verso tutti i reparti italiani che permetteranno
a ribelli di impadronirsi delle loro armi oppure faranno con loro causa comune ci si
deve comportare come segue:1) gli ufficiali vanno fucilati secondo la legge marziale; 2)
sottufficiali e truppa saranno inviati tramite trasporti per ferrovia ad Est dove verranno
utilizzati come manodopera. Essi sono da trattare come prigionieri di guerra e raccolti
in convogli specifici che vanno notificati a parte presso comandi militari incaricati di
sovrintendere ai trasporti competenti per territorio”. Il Generale Lanz prendeva atto
della nuova disposizione256. In proposito faceva rapporto, la sera del 13 settembre, al
Gruppo d’Armate E, a cui riferiva, di aver ordinato al presidio tedesco dell’isola di attuare il disarmo con la forza se le truppe italiane non avessero consegnato le armi entro il
giorno dopo alle ore 12.00. Se le cose non fossero andate così, il generale avrebbe avuto
bisogno dell’appoggio dell’aviazione e della marina. Nel frattempo il Generale Gandin e
il Tenente Colonnello Barge avevano proseguito le trattative cercando di arrivare ad una
soluzione che fosse accettabile per entrambe le parti257. In sostanza si trattava della consegna delle armi in tre fasi, rispettivamente da eseguire nei giorni 14 settembre presso
Argostoli, il 15 settembre nella zona sud – est di Cefalonia, e il 16 settembre nella zona
di Sami258. A titolo di garanzia la “Acqui” doveva fornire dieci ostaggi che si sarebbero
dovuti presentare entro le ore 21.00 dello stesso giorno 14 settembre al Comando del
966° Reggimento da fortezza; in difetto di tali adempimenti, la cessione delle armi
sarebbe stata ottenuta con la forza, e ovviamente si sarebbe dato corso alle minacciate
rappresaglie259. Nel tardo pomeriggio il Generale Gandin comunicava ufficialmente e
con tono ottimistico ai suoi uomini: …che si è raggiunto un pieno accordo, mediante il
quale la divisione cederà l’isola al presidio tedesco e raggiungerà quanto prima la patria,
portando con sé tutte le armi, sia pesante che leggere. Si invita quindi al ritorno alla serenità e alla calma essendo stato tutelato in pieno l’onore della divisione e dell’esercito”.
Intanto il Comando di Divisione emanava gli ordini di spostamento di tutti i reparti
verso al regione di Sami in previsione dell’ imbarco260.
Archivio fotografico
Casetta Rossa.
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Comando Divisione.
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
Archivio fotografico
Banchina e idrovolante.
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Soldati in pattuglia.
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
Archivio fotografico
Batteria Marina.
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13 settembre
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
Archivio fotografico
Movimento truppe.
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Stukas sui cieli di Cefalonia.
Archivio fotografico
Stukas bombardamento.
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Caserma Mussolini.
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Archivio fotografico
Strage.
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Traslazione salme.
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
Archivio fotografico
Soldati.
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Messa al campo.
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Archivio fotografico
Stukas.
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Ospedale.
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
Le ultime battute prima dello scontro finale - Capitolo 4
97
4.3 Le diffidenze dei comandanti e gli ordini del Comando Supremo.
Nella notte fra il 13-14 settembre avvennero fatti che indussero il Generale Gandin a
decidere per la resistenza armata, risolvendo così il suo angoscioso dilemma di uomo e di
soldato, reso acuto da opposte esigenze inconciliabili: “la consapevolezza della sorte che
attendeva i suoi soldati; la coscienza della fedeltà al dovere militare, come la lealtà verso
l’alleato divenuto improvvisamente nemico. Deve essergli apparsa evidente, infatti, la
malafede nella manovra tedesca di scindere le forze della Divisione, di privarla delle armi
e di concentrarla in una vallata dove non avrebbe avuto scampo”261. Negli accampamenti
italiani, intanto, si diffondeva la notizia di un prossimo ritorno a casa; ed anche se si trattava dell’Italia presidiata dal Terzo Reich, la prospettiva era più che sufficiente a far digerire
il resto dell’accordo, che per altro veniva venduta al meglio: la divisione manteneva il
proprio equipaggiamento, assieme ad essa sarebbero state imbarcate tutte le armi ad eccezione delle postazioni fisse della marina, della contraerea e dei pezzi ceduti in precedenza
dai tedeschi. Anche il Capitano di Fregata Mastrangelo accettava la soluzione di compromesso, rimaneva scettico il Colonnello Romagnoli262. Infatti il comandante del 33°
Reggimento artiglieria nutriva, dapprima vaghi sospetti263 e poi precisi timori, circa la lealtà dei tedeschi nell’adempimento delle loro promesse. Per questo motivo, prima di sera,
compilò un memoriale scritto – che presentò immediatamente al Generale Gandin - con
il quale chiedeva, da parte del comando germanico, garanzie precise che l’accordo sarebbe stato osservato integralmente; senza le quali garanzie egli non si assumeva la responsabilità di far spostare neppure un solo pezzo delle sue artiglierie264. D’altronde anche il
Tenente Colonnello Burge doveva nutrire qualche dubbio perché nella stessa notte aveva
ordinato il trasferimento del 910° battaglione d’arresto dalla penisola di Lixuri alla zona
di Kardakata e al Gruppo Tattico del Tenente Fauth (202^ sturm-batterie 1^ compagnia
del 909° Battaglione) di attaccare le forze italiane se avessero rifiutato la consegna delle
armi265. Nel frattempo alcuni avvenimenti facevano divampare ovunque un incontenibile
odio che si esternava, in tutti, con feroci propositi di vendetta. Il Sottotenente di Vascello
Vincenzo Di Rocco, venuto a sapere che i tedeschi avevano arbitrariamente ammainato
la Bandiera Italiana nella piazza principale di Argostoli, si recava sul posto con una ventina di marinai e due carabinieri e, fatte piazzare due mitragliatrici per fronteggiare un
eventuale reazione tedesca, ordinava l’Alza Bandiera, cui rispose da parte dei marinai il
festoso grido: “Viva l’Italia!”266. Gli artiglieri delle due batterie catturate dai tedeschi a
Lixuri rientravano al comando di appartenenza; questi, sparsisi tra la truppa, raccontarono
ai compagni che, sebbene si fossero arresi senza combattere, una volta disarmati, erano
stati tenuti per mezza giornata al muro, con le mitragliatrici tedesche puntate contro,
svillaneggiati e maltrattati in tutti i modi, anche alla presenza della popolazione locale267.
In seguito a tutto ciò alcuni reparti cominciarono a rifiutarsi di obbedire all’ordine di
trasferimento, molti comandanti riferirono che le loro truppe rifiutavano assolutamente
di muoversi in alcun modo e che anzi diventavano sempre più minacciose. Si diffondeva
fra i soldati la voce che il Generale Gandin volesse tradire268. Con il passare delle ore si
98
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
diffondeva sempre più la notizia che il Comando tedesco si rifiutava, per il momento,
di caricare insieme con la truppa anche le armi pesanti a causa della scarsezza dei mezzi
navali di trasporto. Le stesse dovevano essere depositate a Samos in attesa di poterle far
proseguire quando fosse stato possibile269. Nel frattempo perveniva da Corfù un messaggio del Comando Supremo: “N. 1023/CS alt Riferimento quanto comunicato circa
situazione isola maggiore CAPRA dovete considerare truppe tedesche come nemiche et
regolarvi di conseguenza punto Rossi”. La firma suscitò qualche perplessità nel Generale
Gandin, ma in nottata (14 settembre) arrivava un altro messaggio del Comando Supremo,
trasmesso alle ore 10.20 del 12 settembre dalla stazione radio della Marina di Brindisi,
tramite il ponte radio di Corfù: “N. 1029/CS alt Comunicate at Generale Gandin che
deve resistere con le armi at intimazione tedesca di disarmo at Cefalonia, Corfù et altre
isole fine”270. Quest’ordine, perentorio e diretto alla sua persona, ebbe certamente peso
determinante nella decisione del Generale Gandin di resistere con le armi; in tal senso
dava immediata esecuzione all’ordine ricevuto, prendendo i seguenti provvedimenti:
- revoca dell’ordine di trasferimento dei reparti nella zona di Sami-Digaleto-Porto Poros;
- ordine di schieramento dei reparti;
- ordini di brillamento della mina per l’interruzione della rotabile per Lixuri e Kardakata;
- consegna alle ore 12.00 del 14 settembre, tramite il Capitano Tomasi, al delegato tedesco
(Tenente Fauth) della risposta, ultimativa ma aperta, all’intimazione tedesca di disarmo271.
Giungeva contemporaneamente dall’isola di Zante la notizia, non certo incoraggiante,
che il comandante di quel presidio, Generale Paterni, aveva già ceduto le armi ed era stato
imbarcato, con circa quattrocento soldati, per essere internato in Germania272.
4.4 La risposta all’ultimatum.
Il Generale Gandin si presentava completamente allibito: vedeva crollare in un sol colpo
tutte la speranze per una ragionevole soluzione, come aveva sempre caldeggiato in cuor
suo. Radunava quindi tutti i suoi collaboratori aggiornandoli sulla situazione, diramando un ordine di operazione che metteva la divisione con i suoi supporti in condizione
di “pronto impiego”273. Di fatto il Comando di Divisione, il Comando di artiglieria
divisionale, il Quartier generale, il Comando carabinieri reali e il Comando genio divisionale abbandonavano i loro rispettivi uffici di Argostoli e si stabilivano nella zona di
Prokopata, formando il cosiddetto “Comando tattico” per le operazioni274. Il Generale
Gandin impartiva i primi ordini intesi a sbarrare le provenienze da nord, tra Phrankata
ed il mare (III Battaglione del 317° Reggimento, con il II Battaglione dello stesso reggimento in riserva), ed a raccogliere il II e il III Battaglione del 17° Reggimento attorno
ad Argostoli. Mentre però i movimenti erano in corso, volle che gli uomini della “Acqui”
venissero interpellati275 sul quesito fatale: contro i tedeschi, a fianco dei tedeschi o cessione delle armi276. All’alba del giorno 14 settembre i comandanti spiegavano la situazione,
chiedendo la risposta ai tre quesiti277. Le risposte esprimevano la volontà quasi unanime
Le ultime battute prima dello scontro finale - Capitolo 4
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di combattere i tedeschi; ormai ogni dubbio si dissolveva, ogni perplessità era superata278. Il Generale Gandin, quindi, inviava un messaggio a tutti i reparti della Divisione.
Egli rilevava, con soddisfazione, che il loro atteggiamento – malgrado alcune riprovevoli
intemperanze – aveva rivelato chiaramente la generale unanime volontà di tutti: salvaguardare a qualunque costo la dignità della divisione, dell’Esercito e della Patria: affinché
non si spargesse del sangue, aveva tentato onestamente tutte le vie che portassero ad un
accordo onorevole279. Finalmente il Generale Gandin poteva interrompere le trattative
opponendo ai tedeschi un netto rifiuto alla cessione delle armi, con un messaggio280 che
veniva consegnato dal Capitano Tomasi al Tenente Fauth alle ore 12.00281 dello stesso
giorno, mentre le truppe erano già in movimento per raggiungere le posizioni sulle quali
avrebbero dovuto schierarsi per opporsi ai tedeschi e cacciarli dall’isola282. La risposta si
esprimeva nei seguenti termini:
“La Divisione “Acqui” si rifiuta di eseguire l’ordine di radunarsi nella zona di Sami,
poiché teme di essere disarmata, contro tutte le promesse tedesche, o di essere lasciata
sull’isola come preda per i greci, o, peggio, di non essere portata in Italia ma sul Continente greco per combattere contro i ribelli.
Perciò gli accordi di ieri non sono stati accettati dalla Divisione.
La Divisione vuole rimanere nelle sue posizioni, fino a quando non ottiene assicurazione – come la promessa di ieri mattina, che subito dopo non è stata mantenuta – che essa
possa mantenere le sue armi e le sue munizioni, e che solo al momento dell’imbarco
possa consegnare le artiglierie ai tedeschi.
La Divisione assicurerebbe, sul suo onore e con garanzie, che non rivolgerebbe le armi
contro i tedeschi.
Se ciò non accadrà, la Divisione preferirà combattere, piuttosto di subire l’onta della cessione delle armi, ed io, sia pure con rincrescimento, rinuncerò definitivamente a trattare
con la parte tedesca, finché rimando capo della mia Divisione.
Prego che mi venga data una risposta entro le ore 16.00.
Nel frattempo le truppe provenienti da Lixuri non debbono essere portate avanti e quelle di Argostoli non debbono avanzare, altrimenti ne possono derivare gravi incidenti. Il
Generale Comandante della Divisione “Acqui”. F.to Gandin”283. Con la lettera in mano il
Tenente Fauth tornava indietro promettendo una risposta entro le ore 13.00. Il Capitano
Tomasi rimaneva ad attenderlo. Si ripresentava in anticipo e a nome del Tenente Colonnello Barge chiedeva una riunione con il Generale Gandin alle ore 16.00. Il Capitano
Tomasi telefonava, il Tenente Colonnello Fioretti accettava. La partenza della delegazione
tedesca dal luogo dell’incontro coincideva con l’apparire nei cieli di Cefalonia di una
squadriglia di Stukas284. Durante l’incontro tra il Tenente Colonnello Fioretti ed il Tenente Colonnello Barge, che avveniva dalle ore 16.00 alle ore 23.30, i tedeschi chiedevano
la sola cessione delle artiglierie su installazione fissa e la temporanea disponibilità della
difesa contraerei. Da parte italiana si pretese che la garanzia del rientro in Italia con armi
e bagaglio provenisse da Hitler in persona. Le trattative continuavano fino all’alba del 15
settembre, infrangendosi sul rifiuto tedesco di fornire garanzie di “altissimo livello” circa
100
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
il trasferimento della Divisione “Acqui” in Italia, e di concedere il mantenimento delle
artiglierie mobili e di quelle contraeree fino all’imbarco per l’Italia. Alla fine il Tenente
Colonnello Barge chiedeva di poter dare una risposta per le ore 14.00 dell’indomani, 15
settembre285. Il Tenente Colonnello Barge informava il Generale Lanz che le trattative
sui particolari rallentavano lo svolgimento delle operazioni di disarmo ma che nel corso
del giorno 15 si sarebbe proceduto alla consegna di alcuni tipi di armamento; a questo
punto riteneva assolutamente urgente informare gli italiani tramite volantini aerei, sui
particolari della resa concordata286.
4.5 La fine delle trattative e le ultime predisposizioni per la battaglia.
Le trattative, intanto, continuavano fino all’alba, infrangendosi sul rifiuto tedesco di fornire garanzie di “altissimo livello”, circa il trasferimento della Divisione “Acqui” in Italia, e
di concedere il mantenimento delle artiglierie mobili e di quelle contraeree fino al momento dell’imbarco per l’Italia. Le parti, su posizioni antitetiche inconciliabili, continuarono a trattare fino al 15 settembre, per il fatto che i tedeschi avevano bisogno di tempo
per assicurarsi il concorso aereo287. Alle ore 5.30 il Tenente Colonnello Barge informava
il XXII Corpo d’Armata da montagna che gli italiani erano sì disposti a consegnare le
armi pesanti fisse, ma che volevano trattenere le artiglierie mobili sino al momento di
abbandonare l’isola. Egli valutava che il momento migliore per condurre una azione di
forza che fosse decisiva sarebbero state le ore 14.00 del 15 settembre. Due ore più tardi,
alle ore 7.30, il Tenente Colonnello Barge trasmetteva di aver intimato al comandante
della divisione italiana la consegna come ostaggi, entro le ore 12.00, di un generale, un
ufficiale di stato maggiore ed altri dieci ufficiali, allo scopo di garantire l’attuazione dello
sgombero della zona di Argostoli e la concessione, per il momento, di tutte le armi pesanti presenti in postazioni fisse lungo la costa. Concludendo aggiunse che: “Nel caso di un
rifiuto, alle ore 14.00 si procederà al disarmo della “Acqui” con la forza” 288. Durante le
affannose trattative, il Comando generale del XXII Corpo d’Armata aveva decisamente
accelerato l’invio di rinforzi fissando per il 16 settembre l’arrivo a Preveza dei seguenti
reparti, pronti per l’imbarco:
- uno scaglione da combattimento del III Battaglione del 98° Reggimento da montagna;
- un plotone pionieri del 54° Battaglione da montagna;
- il Comando del 79° Reggimento d’artiglieria con cannoni semoventi, serventi per i
cannoni costieri italiani, composti da un ufficiale, 20 sottufficiali e militari semplici;
- una batteria del III Battaglione del 79° Reggimento d’artiglieria (scaglione da combattimento).
L’invio di rinforzi continuò nei giorni successivi, ma per quanto riguarda il giorno 15
settembre, essi giunsero a Cefalonia in forma intensificata soprattutto per via aerea289.
Alle ore 9.00, il Generale Gandin290 inviava alle sue truppe un messaggio, in cui, spiegando le ragioni di onore che non avevano consentito di aderire, malgrado ogni buona
Le ultime battute prima dello scontro finale - Capitolo 4
101
volontà , alle richieste tedesche, esortava ufficiali e soldati a prepararsi alla inevitabile lotta,
il cui primo assaggio avveniva quando intorno alle 11.00 due idrovolanti da trasporto
tedeschi che si dirigevano nella rada di Lixuri per ammararvi venivano colpiti dalla
contraerei affondandoli291. Alle ore 12.15 il Tenente Colonnello Barge trasmetteva via
radio, che essendo scaduto l’ultimatum per la consegna degli ostaggi, così come stabilito,
avrebbe attaccato292. Alle ore 14.00 mentre il Generale Gandin studiava con i suoi collaboratori lo schieramento dei singoli reparti, si udiva un improvviso rumore di aerei. Circa
trenta Stukas sorvolavano il cielo dell’isola, poi, abbassandosi in una picchiata fulminea,
svuotavano il loro primo carico di bombe sulle posizioni delle batterie schierate lungo
il costone Faraò-Spilia-Chelmata. Contemporaneamente tutte le batterie e le sezioni
contraeree, tutte le mitragliere aprivano il fuoco segnando il vero, definitivo, inizio delle
ostilità293. La battaglia di Cefalonia aveva inizio con un rapporto di forze quasi pari: se
all’8 settembre gli italiani erano superiori nel rapporto sei a uno, ora, per i consistenti
rinforzi pervenuti ai tedeschi per via aerea, e quelli che stavano giungendo via mare, si
era raggiunto un rapporto di quasi parità. I tedeschi, inoltre, disponevano dell’assoluta
padronanza del cielo, sottoponendo a costante micidiale azione di fuoco294 le truppe e
contrastandone dall’alto i movimenti295. La Divisione “Acqui”, sul piano tattico, aveva
assunto lo schieramento all’impiego operativo (allegato “B”) tra il pomeriggio del 14 e la
notte del 15 risultando così disposta sul terreno296:
- Comando Divisione : a Prokopata;
- Comando fanteria divisionale : a Kokkolata;
- II/17° reggimento fanteria sulle posizioni di M.Telegraphos;
- III/17° reggimento fanteria di rincalzo ad ovest e a sud dell’abitato di Argostoli;
- I/17° reggimento di fanteria in riserva nella piana di Kraneja;
- I/317° reggimento fanteria tra Sami, Antisami e S. Eufemia;
- III/317° da Plaraklata al mare (caposaldi di Castrì e Radierà);
- II/317° di rincalzo a Razata;
- 1^ batteria del III/33° reggimento artiglieria a Prokopata;
- una batteria da 155/36 a Capo Sostis.
Il nuovo schieramento delle truppe italiane si presentava, la mattina del 15, suddiviso in
tre grossi blocchi:
- Il primo, settore di Argostoli, comprendeva i tre battaglioni del 17° Reggimento fanteria; il II Battaglione, in primo scaglione, occupava le posizioni che dalle ultime case a
nord di Argostoli, attraverso l’altura detta “Telegrafo”, giungevano al mare; gli altri due
battaglioni, con altri minori reparti, di riserva a sud ed a ovest della città. L’abitato di
Argostoli era stato quindi sgombrato, a salvaguardia della popolazione civile, da obiettivi
militari.
- Il secondo blocco, settore orientale, comprendeva il I e il II battaglione del 317° Reggimento, mentre il III Battaglione occupava, fronte a nord, le posizioni ad ovest dell’abitato
di Pharaklata fino al mare.
- Il terzo blocco comprendeva le artiglierie ritirate dalla penisola di Argostoli e schierate sul
102
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
lato orientale del golfo omonimo, da dove potevano sostenere l’azione di entrambi i settori.
Solo la batteria da 152 mm della Marina, con il comando e tutto il personale della Marina, era rimasta in postazione a Minies, da dove sorvegliava la baia di Busen e poteva
sostenere l’azione delle truppe del settore di Argostoli297.
I piani del Comando di Divisione avevano come obiettivo:
- la liquidazione della guarnigione tedesca di Argostoli e del reparto meccanizzato aggregato, il cui successo avrebbe assicurato la liberazione di Argostoli e della sua periferia
dai tedeschi;
- la liquidazione dei focolai tedeschi a Lakithra e a Munta di Skàla, il cui successo avrebbe
assicurato il pieno dominio all’interno dell’isola e la sicurezza alle spalle;
- l’occupazione del nodo strategico di Thinià con un assalto concentrico da Pharsa – Davgata – Phalari – Drakopulata dal Pilaro – Ponte di Chimonikò, il cui successo avrebbe
assicurato il controllo dei porti di Myrthos e di Agh.Kyriakì ed un centro di operazioni
per l’attacco alla zona principale di Pali;
- l’attacco infine verso questa ultima zona con il passaggio attraverso la gola di Palikì ed
il balzo verso Livadi, i villaggi di Anoghi, Lixuri ed i villaggi di Katoghis, il cui successo
avrebbe assicurato la liquidazione della principale massa delle truppe germaniche di Cefalonia ed il completo dominio sull’isola.
I piani e gli obiettivi ebbero successo all’inizio delle operazioni, ma poco più tardi si rivolsero a favore dei tedeschi, in seguito ai terrificanti attacchi subiti dai reparti e dalla popolazione greca298. Vi erano, inoltre, molte difficoltà: mancanza di mezzi di collegamento
radio, grado di addestramento della fanteria inferiore a quello della fanteria tedesca,
assoluta mancanza di una aviazione per il necessario concorso, diversità di armamento tra
le unità tedesche e quelle italiane299.
Di contro, subito dopo il 15 settembre, i tedeschi disponevano sull’isola di sette battaglioni di fanteria, di cui cinque di truppe scelte, più la batteria semoventi; ma furono
sbarcate numerose armi di rinforzo, mortai e piccole artiglierie, con il relativo personale.
In quanto a dislocazione, il presidio tedesco godeva di una situazione favorevole: le sue
forze, quasi per intero, presidiavano un settore topograficamente isolato qual era quello
di Lixuri, comprendente l’intera penisola di Paliki; ed il possesso di Kardakata, unica via
terrestre di accesso a detta penisola, accentuava il vantaggio. Sfavorevole invece era la
posizione di Argostoli dove era dislocata la sola batteria semoventi, a sostegno della quale,
però, erano state inviate, durante le trattative, truppe di fanteria di entità imprecisabile300.
La battaglia di Cefalonia301 si svolse dal 15 al 22 settembre: in una prima fase (15 settembre) l’iniziativa tedesca finì per risolversi in un successo italiano; in una seconda fase
(17-19 settembre) accadde l’inverso, l’iniziativa fu italiana ma il successo tedesco; in una
terza fase (21-22 settembre ) la rinnovata iniziativa italiana fu anticipata dai tedeschi e si
concluse con il massacro della “Acqui”302. Iniziava allora il calvario di dolore e di gloria
conclusosi con la rappresaglia, la più spietata che mai si sia verificata tra eserciti in guerra.
Nulla avvenne per improvvisazione, tutto fu regolato secondo precise direttive del Comando Supremo delle Forze Armate tedesche (Oberkommando der Wehrmacht): infatti
Le ultime battute prima dello scontro finale - Capitolo 4
103
nella giornata del 15 settembre venne perfezionata la prima direttiva sul trattamento da
riservare ai militari italiani, dividendoli in tre gruppi303:
- militari italiani fedeli all’alleanza, che continuano a combattere o a prestare la loro opera
nei servizi ausiliari: gli ufficiali, nonché le unità, conservano le armi e vengono trattati
con pieno rispetto del loro onore;
- militari italiani che non vogliono collaborare: sono considerati prigionieri di guerra e
vanno destinati alle organizzazioni per l’economia bellica;
- militari italiani che oppongono resistenza e che s’intendono col nemico o con le bande partigiane: gli ufficiali vanno fucilati, i sottufficiali e la truppa vanno inviati al fronte
orientale, per l’impiego nel servizio di lavoro.
É un ordine che valeva per i pochi generali italiani che avevano opposto resistenza ai
tedeschi o si erano uniti ai partigiani greci e albanesi. Ma è solo quello del 18 settembre
1943, ad essere esclusivo per la guarnigione di Cefalonia: “Il Comandante Supremo SudEst riceve disposizioni perché, in riferimento all’ordine del 15 settembre, a Cefalonia a
causa del comportamento infame e proditorio tenuto dalla guarnigione italiana non deve
essere fatto alcun prigioniero”304.
104
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
M. Filippini, La vera storia dell’eccidio di Cefalonia, op. cit., p. 97.
M.Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 2003, op. cit., p. 476.
227
Le fonti non sono concordi nel segnalare l’ora esatta. Anche il numero di zatteroni secondo alcuni
sarebbe stato di tre. Secondo fonti tedesche uno di esse avrebbe trasportato anche prigionieri
italiani, ma questa notizia non è credibile (G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 42).
228
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 107-108.
229
Questo episodio, abbastanza serio ma non risolutivo, solo in parte acquisterà un valore simbolico
per entrambe le parti. Per gli ufficiali antitedeschi è stato sventato il tentativo germanico di fare un
colpo di mano contro il Comando di Argostoli; per i tedeschi viceversa è la dimostrazione che
gli italiani (o quantomeno alcuni reparti) sono loro pregiudizialmente ostili. Questa seconda
interpretazione è più vicina alla realtà. Se i tedeschi avessero voluto davvero fare un colpo di
mano, conoscendo il dispositivo di difesa di Argostoli, si sarebbero presentati con una formazione
assai più consistente e si sarebbero coordinati efficacemente con i semoventi presenti nel capoluogo.
É plausibile quindi che l’azione delle due motozattere non avesse altro obiettivo che il
mantenimento dei contatti con il contingente tedesco in città. Da parte italiana la pronta e
inattesa azione di fuoco è il frutto della decisione di alcuni aggressivi reparti di artiglieria e dei
loro comandanti, ma non risponde affatto alle intenzioni del Comando di Divisione. Se non
è un atto di insubordinazione, è per lo meno il tentativo di forzare la mano al Comando
(G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 38).
230
I caduti tedeschi vengono sepolti nel cimitero di Argostoli con onori militari resi da due reparti
in armi: uno germanico, l’altro italiano.
231
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 38.
232
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p.35.
233
Sembra che la proposta al comandante della divisione di riprendere le trattative su nuove basi
sia stata avanzata, dietro ordine del Tenente Colonnello Barge, da un capitano tedesco residente
in Argostoli quale rappresentante del suo comando (G. Moscardelli, Cefalonia, op. cit., p. 51).
234
A. Caruso, Italiani dovete morire, op. cit., p. 93.
235
O. G. Perosa, Divisione Acqui, figlia di nessuno – Cefalonia e Corfù settembre 1943, op. cit., p.24.
236
A. Caruso, Italiani dovete morire, op. cit., p. 93-94.
237
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 38.
238
La concessione dell’onore delle armi ai soldati tedeschi catturati durante l’assalto, sarà elemento
determinante che risparmierà il Capitano Apollonio dall’esecuzione della condanna a morte,
erogata, a seguito di semplice inchiesta di Corte Marziale, dal Comando tedesco per
l’affondamento dei pontoni da sbarco (G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero.
Grecia continentale e isole dello Jonio, op. cit., p. 369).
239
R. Formato, L’Eccidio di Cefalonia, op. cit., p. 45.
240
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p 108.
241
O. G. Perosa, Divisione Acqui, figlia di nessuno – Cefalonia e Corfù settembre 1943, op. cit., p.25.
242
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 372.
1
226
Le ultime battute prima dello scontro finale - Capitolo 4
105
“Il colloquio è stato assai vivace, specie alla fine quando il Tenente Colonnello Bush pretese
che – entro mezz’ora gli fossero comunicati telefonicamente i nomi degli ufficiali responsabili della
sparatoria del mattino. Il giorno appresso – 14 settembre – durante l’ultima conferenza con i
tedeschi, il Tenente Colonnello Barge si lamentò vivamente che il generale Gandin non avesse
degnato di una risposta la lettera autografa di Mussolini portatagli dal Tenente Colonnello Bush.
Con tale lettera Mussolini invitava il generale a passare con la Divisione al servizio della
Repubblica Sociale Italiana. Aderendo, il generale avrebbe avuto il comando di tutte le forze
armate in Grecia, o non ricordo quale altra carica in Italia. Egli avrebbe dovuto recarsi immediatamente
a Vienna in volo per abboccarsi con l’ex Duce. Il Tenente Colonnello Barge lamentava che a
Lixuri un idrovolante avesse atteso inutilmente fin a tarda sera il generale o quanto meno una
sua lettera di risposta a Mussolini”. La testimonianza è del Capitano Tomasi, che non ha
partecipato personalmente ai colloqui ma ha raccolto informazioni immediate e dirette
(G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p 108).
244
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 38-39.
245
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 373.
246
G. Lombardi, L’8 Settembre fuori d’Italia, op. cit., p. 141.
247
V. Palmieri, Quelli delle Jonie e del Pindo, op. cit., p. 44.
248
Alle ore 12.45, del 13 settembre il Tenente Colonnello Barge comunicò al XXII Corpo
d’Armata da montagna di aver raggiunto con il Generale Gandin un nuovo accordo provvisorio,
in base al quale la Divisione “Acqui” si sarebbe raccolta, con le proprie armi ad ovest e a sud di
Sami (G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 143).
249
G. Lombardi, L’8 Settembre fuori d’Italia, op. cit., p. 141.
250
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 373.
251
Il Generale Lanz, responsabile del settore militare in cui rientrava Cefalonia, venuto a conoscenza,
nella mattinata del 13, della missione del Tenente Colonnello Bush disposta direttamente da
Atene, ne sia rimasto infastidito, quasi segno di sfiducia nei suoi riguardi, e abbia deciso di
portarsi subito, personalmente sul posto, a risolvere la situazione una volta per tutte (G. Lombardi,
L’8 Settembre fuori d’Italia, op. cit., p. 142).
252
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 109.
253
S. Loukatos, Cefalonia, titolo originale dell’opera: Gli anni dell’occupazione italiana e tedesca e
della Resistenza nazionale a Cefalonia e Itaca,op. cit., p. 32.
254
Il primo punto ripropone l’accordo minimo, concordato o estorto dallo stesso generale Lanz al
Generale Vecchiarelli nella notte tra l’8 e il 9 settembre. Si nota invece che in nessuna parte del
documento si parla di rimpatrio. E’ un assenza che non può sfuggire al Generale Gandin, che
però al momento lascia intendere di essere disponibile a prendere in considerazione il testo come gli
è stato dettato. (G.E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 39-40).
255
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p.109.
243
106
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p.43.
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p.143.
258
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 374.
259
M. Filippini, La vera storia dell’eccidio di Cefalonia, op. cit., p.108.
260
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 43-44.
261
L. Ghirlandini, Sull’arma si cade, ma non si cede,Tipografia Opera SS.Vergine di Pompei,
1982, p. 42-43.
262
A. Caruso, Italiani dovete morire, op. cit., p. 103.
263
I suoi dubbi il Colonnello Romagnoli li riserva soltanto al Generale Gandin, con la truppa si
mostra sereno e fiducioso: stila un comunicato con cui invita ufficiali e artiglieri al rispetto della
disciplina, a non assumere atteggiamenti di sfida nei confronti dei tedeschi, ad non intralciare
l’operato del Generale Gandin, teso a salvaguardare il bene e l’onore di tutti.
264
R. Formato, L’Eccidio di Cefalonia, op. cit., p. 46.
265
M.Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 2003, op. cit., p. 477.
266
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 357.
267
R. Formato, L’Eccidio di Cefalonia, op. cit., p. 47.
268
G. Moscardelli , Cefalonia, op. cit., p. 55.
269
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 44.
270
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 110-111.
271
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 377-378.
272
M.Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 2003, op. cit., p. 478.
273
O. G. Perosa, Divisione Acqui, figlia di nessuno – Cefalonia e Corfù settembre 1943, op. cit., p.26.
274
R. Formato, L’Eccidio di Cefalonia, op. cit., p. 48.
275
Nella storia di Cefalonia questa iniziativa viene chiamata “il referendum” fra le truppe; si tratta
in realtà di una sommaria consultazione di reparti (non si sa esattamente quanti) il cui intento
e valore sono stati politicamente sopravvalutati da parecchi storici (G.E. Rusconi, Cefalonia,
op. cit., p. 45).
Si è molto discusso sulla legittimità della procedura seguita, in sede di diritto internazionale e in
sede di giurisdizione militare italiana: in effetti sono militari che, per mantenere fede al loro
giuramento, decidono di combattere sino all’ultimo, una decisione maturata gradualmente.Vi erano
ufficiali che, di fronte alla minaccia e all’esame obiettivo della situazione, sembravano disposti a
cedere perché consapevoli che sul piano del confronto delle forze in armi, l’iniziale preponderanza
degli italiani con il passare dei giorni sarebbe diventata inutile di fronte alla disponibilità di uomini,
armi e soprattutto aerei, da parte tedesca, tanto più che ormai la resistenza italiana era cessata in
quasi tutta la Grecia e quindi tutta la potenza dell’armata germanica può rovesciarsi sulla
Divisione “Acqui” (C.Vallauri, Soldati, op. cit., p. 213).
276
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p 111.
256
257
Le ultime battute prima dello scontro finale - Capitolo 4
107
Il Generale Gandin, nel frattempo, aveva pensato anche ad un sondaggio tra la truppa al fine di
capire la volontà degli stessi di fronte ad un eventuale scontro armato ed aveva disposto di
effettuare un “referendum” in tal senso, con la possibilità di esprimere tre preferenze:
1) con i tedeschi, 2) cessione delle armi, 3) combattere contro di loro. Da noi il sondaggio si è
svolto pressappoco così: raccolti davanti alla tenda comando, quanti più è stato possibile reperire ed
inquadrare, il Tenente Calabrese, dopo alcune brevi frasi di spiegazione, ci dice: “ Chi vuol fare
causa comune con i tedeschi faccia un passo avanti!” Nessuno si muove! Subito dopo: “Chi è
disposto a cedere le armi faccia un passo avanti!” Anche questa volta restiamo fermi!
Al comandante non resta che ordinare il “rompete le righe!”, soggiungendo, però “Che Iddio ce
la mandi buona!” con un espressione molto preoccupata (O. G. Perosa, Divisione Acqui, figlia di
nessuno – Cefalonia e Corfù settembre 1943, op. cit., p. 27).
278
G. Lombardi, L’8 Settembre fuori d’Italia, op. cit., p. 145.
279
R. Formato, L’Eccidio di Cefalonia, op. cit., p. 49.
280
Secondo alcune testimonianza italiane il testo si conclude con l’affermazione: “… per ordine
del Comando Supremo italiano e per volontà degli ufficiali e dei soldati, la Divisione “Acqui”
non cede le armi. Il Comando superiore tedesco sulla base di questa decisione è pregato di
presentare una risposta definita entro le ore 9.00 di domani 15 settembre”. E’ una bella solenne
affermazione, riportata in tutte le narrazioni di Cefalonia, ma non è presente nella documentazione
tedesca che pure avrebbe dovuto registrarla. Nella sostanza, sia il testo italiano sia quello tedesco
lasciano aperto un ultimo spiraglio di trattativa, anche se le scadenze indicate per il giorno 15 sono
significativamente diverse, rispettivamente ore 9.00 e ore 16.00. In effetti i negoziati riprendono
nel pomeriggio del 14 alle ore 16.00 e vanno avanti fino alle ore 23.30. Ma vista la determinazione
italiana a non cedere le armi pesanti mobili, è certo che i tedeschi mirano soprattutto a prendere
tempo (G.E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 46-47).
282
M.Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 2003, op. cit., p. 477.
283
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 378 ( traduzione tedesca nel Diario di Guerra del XXII Corpo d’Armata ).
284
A. Caruso, Italiani dovete morire, op. cit., p. 112.
285
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 111-112.
286
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 48.
287
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 379.
288
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p 146.
289
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 384.
290
Nella stessa mattinata si tolse dalla giubba l’insegna della croce di ferro di 1^ classe.
291
G. Moscardelli , Cefalonia, op. cit., p. 59.
292
A. Caruso, Italiani dovete morire, op. cit., p. 121.
293
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p. 40-41.
277
108
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
Dato che non è possibile esaminare giorno per giorno la consistenza e gli effetti dell’appoggio
aereo, le missioni giornaliere condotte dall’aviazione verranno qui riassunte statisticamente,
anticipando per così dire gli eventi:
- 15 settembre, sessantatré Ju 87 attaccarono in ondate progressive le postazioni delle batterie
nella zona di Argostoli e nove Ju 87 colpirono la vicina strada costiera, su cui furono gettate
dai bombardieri in picchiata 32,4 tonnellate di bombe dirompenti.
- 16 settembre, settantanove Ju 87, venti Ju 88 e due He 111 presero di mira la capitale
dell’isola ed obiettivi sulla costa orientale del golfo di Argostoli e dell’insenatura di Livadi; in
tutto vennero impiegate 59,1 tonnellate di bombe. Inoltre sette Ju 52 e quattro Ju 88
attuarono voli di rifornimento per le truppe tedesche presso Lixuri.
- 17 settembre, 15,85 tonnellate di bombe dirompenti ed incendiarie furono gettate da trentuno
Ju 87 e sette Ju 88 sulla costa orientale del golfo di Myrthos, nel tratto costiero del golfo di
Sami, a nord ed a sud di Dilinata nonché nella zona tra Pharaklata, Argostoli e Sarlata.
Sei Ju 111, due Ju 88 e sei idrovolanti Ju 52 effettuarono voli di rifornimento e trasporti vari
a Lixuri e Kardakata. Nel settore nord-occidentale di Cefalonia tre Bf 110 e due Bf 109
condussero ricognizioni.
- 18 settembre, mancano notizie sulle missioni effettuate.
- 19 settembre, dodici Ju 87 attaccarono con bombe e servendosi delle armi di bordo la costa
orientale del golfo di Myrthos; Ju 87 si dedicarono alla caccia lungo le strade ad occidente della
baia di Sami fin verso Dilinata; bombardieri in picchiata continuarono ad attaccare Argostoli.
Un He 111 e sei Bf 109, poi, lanciarono circa centomila volantini sul territorio della capitale
dell’isola e su Sami.
- 20 settembre, venti Ju 87 ripresero, servendosi di bombe e delle armi di bordo, gli attacchi
lungo le strade nella zona ad est di Antipata, presso Argostoli e fra Dlinata e Metaxata;
cinque Bf 109 e quattro Bj 110 continuarono le ricognizioni nel settore nord-occidentale
dell’isola (G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 148-149).
295
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 385.
296
M.Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 2003, op. cit., p. 478.
297
G. Moscardelli , Cefalonia, op. cit., p. 65-66.
298
S. Loukatos, Cefalonia, titolo originale dell’opera: Gli anni dell’occupazione italiana e tedesca e
della Resistenza nazionale a Cefalonia e Itaca,op. cit., p. 57.
299
M.Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 2003, op. cit., p. 479.
300
G. Moscardelli , Cefalonia, op. cit., p. 63-64.
301
É diversa dai molti scontri armati della II Guerra Mondiale; i tedeschi conducono un azione
bellica con lo spirito di rappresaglia contro un unità nemica regolare ma considerata ribelle, ovvero
contro ex alleati giudicati traditori. Gli Alti Comandi tedeschi non si preoccupano semplicemente
dell’andamento della battaglia ma anche espressamente della punizione degli italiani sul campo di
battaglia e dopo la loro resa ( G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 48 ).
294
Le ultime battute prima dello scontro finale - Capitolo 4
109
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 112.
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 386.
304
P. Paoletti, I Traditi di Cefalonia, op. cit., p..139-140.
302
303
Le operazioni di guerra - Capitolo 5
111
Capitolo V
Le operazioni di guerra
5.1 La battaglia di “Argostoli” o di “Monte Telegrafo”.
Fu la più importante e grave di tutte le operazioni di guerra e degli scontri tra italiani e tedeschi nel quadro generale della battaglia di Cefalonia1. Da alcuni storici è chiamata “Battaglia di Cima Telegrafo” o di “Monte Telegrafo”, oppure ancora “Battaglia delle colline di
Argostoli”305, perché fu combattuta in gran parte sulle alture attorno al capoluogo dell’isola.
Sembra più appropriato denominare la battaglia con l’obiettivo principale dello scontro, al
quale i tedeschi miravano con due colonne, operanti: una, lungo la direttrice San Teodoro –
Cima Telegrafo – Faraò, e costituita dal Gruppo Tattico Fauth, e l’altra nel settore orientale,
lungo la direttrice Kardakata – Pharsa – Prokopata, quest’ultima sede del Comando Tattico
italiano: in entrambi i settori furono i tedeschi ad assumere l’attacco306.
Con lo scadere della proroga del termine dell’ultimatum italiano al comando tedesco
dell’isola, alle ore 14.00 del 15 settembre, arrivava la risposta tedesca consistente nell’effettuazione di un violentissimo bombardamento aereo, con aeroplani da picchiata Stukas
contro le postazioni italiane, le fortificazioni e i reparti delle colline307.
Nel settore occidentale, contemporaneamente all’intenso bombardamento, i tedeschi –
che nella notte avevano occupato con il 910° Battaglione Pharsa e Davgata – attaccavano
con il 909° Battaglione il settore tenuto dal II Battaglione del 17° Reggimento fanteria a
Monte Telegrafo e nella zona di Lardigò, con manovra avvolgente su Argostoli movendo
da Kardakata a nord e da San Teodoro a Lardigò a sud308. Il Maggiore Altavilla309 (uno
dei più brillanti ed audaci ufficiali della Divisione), comandante del II Battaglione del
17° Reggimento fanteria, schierato sulle alture di Cima Telegrafo, sosteneva fermamente
l’urto nemico, malgrado la minaccia dal cielo di numerosi aerei, che, a volo radente, mitragliavano i fanti, costringendoli a nascondersi fra le rocce prive di vegetazione. Per sfuggire alla minaccia di aggiramento, le compagnie arretravano su posizioni più idonee alla
difesa, dopo aver subito gravi perdite310. Determinante, in questo momento, il contributo
112
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
dei plotoni mortai da 81 mm al comando dei Tenenti Cei311 e Zamparo che, con nutritissimo fuoco di sbarramento a grande capacità, tenevano a distanza i tedeschi dando tempo
ai reparti in linea di riprendersi e organizzarsi312. Un primo e parziale successo tedesco
giungeva dagli attacchi precisi e micidiali degli Stukas e dei semoventi della “Sturmbatterie” che favorivano con straordinaria efficacia la fanteria tedesca, costringendo i soldati
italiani sulla difensiva313. In questo momento di maggiore gravità, interveniva in linea
la 2^ compagnia del 110° Battaglione mitraglieri di Corpo d’Armata che, grazie al suo
appoggio di fuoco costante, facilitava l’inserimento in linea del III Battaglione del 17°
Reggimento fanteria. Spinti da esempi di eroismo314, sollecitati dagli ufficiali, inorgogliti
dal successo che precludeva alla vittoria, i reparti si lanciavano all’assalto travolgendo una
dopo l’altra le postazioni difensive tedesche: era ormai notte, Monte Telegrafo era finalmente in mano italiana, gli Stukas si erano ritirati ed i tedeschi315 ripiegavano inseguiti
dai soldati italiani316. A un certo punto, nel fragore della battaglia, si levava chiara una
voce in italiano: “Italiani, non sparate più, ci arrendiamo”. Per mezzo di parlamentari alle
ore 2.00 del 16 settembre veniva stipulata la resa; i tedeschi contavano quarantacinque
morti in combattimento, trecentocinquanta morti in mare317 e sessantatrè feriti. Da parte
italiana, dodici caduti318 e ventotto feriti. Nel corso della notte il II Battaglione del 17°
Reggimento fanteria riceveva l’ordine di rientrare a Mazarakata (ad eccezione dell’8^
compagnia che veniva trattenuta in Argostoli) mentre il III Battaglione del 17° Reggimento doveva rioccupare le precedenti posizioni in difesa costiera319.
Nel settore orientale i combattimenti si svolgevano con particolare asprezza, anche perché i tedeschi, approfittando del ritiro del II Battaglione del 17° Reggimento fanteria
dall’importante nodo di Kardakata, ancor prima dell’inizio dei combattimenti avevano
occupato le posizioni predominanti, cioè tutta l’aspra dorsale montana, e si erano spinti
fino agli abitati di Pharsa e Davgata, occupati in gran parte dal 910° Battaglione, comandato dal Maggiore Nennstiel320. Il Comando di Divisione impegnato nelle trattative, non
aveva raccolto informazioni precise sui movimenti tedeschi; il servizio informazioni garantito dai patrioti greci, d’altronde, s’era rivelato insufficiente. Cosicché lo schieramento
tedesco costituiva un incognita321. Dalle alture di Kardakata i tedeschi avevano spalancate
davanti a loro sia la rotabile di nord-est che conduceva ai porti di Sant’Eufemia e Sami,
sia la rotabile che puntava a sud tagliando a metà lo schieramento della Divisione. Lasciata
una compagnia a presidio del ponte di Kimonico per bloccare un eventuale tentativo di
aggiramento, il Maggiore Nennstiel dirigeva il resto del battaglione verso Kondogurata,
si impossessava dei picchi dell’Aklevuni e raggiungeva i sobborghi di Pharsa avvolgendo intorno a Castrì la 9^ compagnia del III Battaglione del 17° Reggimento fanteria;
da Pharsa a Pharaklata era un inferno di fuoco. L’attacco continuava dirigendosi verso
Padiera tanto da essere abbandonata, rischiando di essere travolto anche Castrì322. Ma
tennero duro e bloccarono l’attacco tedesco; l’artiglieria compì un buon lavoro di sostegno, ma richiamò l’attenzione degli Stukas, le cui squadriglie si avventarono contro di
essa seminando distruzione323 e morte. Interrotto l’attacco tedesco, il Generale Gandin
effettuava una contromanovra con il II Battaglione del 317° Reggimento di fanteria, il
Le operazioni di guerra - Capitolo 5
113
quale, raggiunta Davgata, contrattaccava sul fianco sinistro il nemico, minacciando di tagliargli la strada324. In attesa che si compiva questa manovra, il Capitano Saettone con una
sezione carabinieri viene inviato nel settore allo scopo di arginare il ripiegamento, che si
accentuava sempre più, del III Battaglione del 317° Reggimento di fanteria325. I tedeschi,
intuita prontamente la manovra, desistevano dall’attacco ritirandosi precipitosamente in
direzione di Kardakata. Nello stesso momento il III Battaglione del 317° Reggimento,
riorganizzatosi, passava al contrattacco attestandosi, unitamente al I Battaglione del 17°
Reggimento fanteria su posizioni antistanti l’abitato di Pharsa tenuto saldamente da pattuglie tedesche326. La situazione era decisamente favorevole alle forze italiane, che avrebbero potuto ormai annientare quelle nemiche, proseguendo per qualche ora la lotta; ma
il Comando di Divisione, forse impressionato dall’asprezza dei combattimenti e dal logoramento degli uomini, faceva sospendere l’inseguimento, rinunciando incredibilmente
a sfruttare il successo ottenuto con tanti sacrifici. Si concludeva così la prima giornata
di combattimenti327, che segnarono la conquista da parte italiana di Monte Telegrafo, la
cattura di oltre 500 tedeschi e la ritirata del 910° Battaglione, comandato dal Maggiore
Nennstiel, verso nord (Kardakata)328.
5.2 L’analisi della situazione e l’arrivo dei rinforzi tedeschi.
Dopo la prima giornata di combattimenti il Tenente Colonnello Barge così riferiva al
XXII Corpo d’Armata: “Gruppo Tattico Fauth, alle ore 23.00, causa troppo elevate perdite e preponderante pressione nemica, costretto alla cessazione della resistenza. 910°
Battaglione, investito da attacco sul fianco ovest Razata; scopo impedire aggiramento
sulla strada del passo, ordinato ripiegamento su linea estremità nord del Golfo di LivadiZola-Pergata. 966° reggimento difende con forze ancora disponibili penisola Lixuri” 329.
Di fronte agli sviluppi, il Generale Lanz decideva di rinviare definitivamente l’azione su
Corfù finché non si fosse riusciti ad avere ragione della situazione a Cefalonia. Tutto il
naviglio disponibile doveva essere utilizzato: il 16 settembre consisteva in tre dragamine,
sei motozattere della marina, un cacciasommergibili e due piccoli vapori. Il comandante
tedesco di Cefalonia riceveva la disposizione di mantenere le posizioni assunte fino a
quando, il giorno successivo, non fosse giunta una squadra da combattimento del 98°
Reggimento cacciatori da montagna330. La disfatta del giorno 15 settembre era stata così
pesante che il Generale Lanz si dovette giustificare di fronte al Generale Loehr, Comandante del Gruppo Armate Est; infatti il giorno 16 settembre telegrafava assicurando
l’apertura, appena possibile, di un inchiesta331 del Tribunale Militare e aggiungendo di
non aver alcuna influenza sul valore combattivo dei due battaglioni, formati da detenuti
penali, né sul loro impiego nell’isola332. Intanto a partire dalla notte sul 16 settembre cominciavano ad affluire sull’isola (per l’operazione definita “Panther”) rinforzi di truppe
germaniche, in particolare:
- III Battaglione del 98° Reggimento cacciatori da montagna;
114
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
- II Battaglione del 724° Reggimento cacciatori da montagna;
- 54° Battaglione cacciatori da montagna ;
- 9^ e 7^ batteria da 105 mm del III Gruppo del 79° Reggimento art. da montagna.
Tutte queste truppe si erano imbarcate a Prevesa ed erano dirette nella baia di Akrotiri
(a nord del capo omonimo), nella parte meridionale della penisola di Lixuri, e nelle
baie di Myrtos e di Samos. Il Comandante del 98° Reggimento cacciatori da montagna,
Maggiore Harald von Hirschfeld333, il giorno 17 settembre, assumeva il comando di tutte
le forze germaniche esistenti nell’isola in sostituzione del Tenente Colonnello Barge334.
Quanto alla parte italiana, la serie di messaggi inviati al Comando Supremo iniziava alla
ore 15.20: “Prego informare autorità competente che oggi sono stato costretto aprire at
Cefalonia ostilità con tedeschi”. Alle ore 15.30: “At ore 14.30 Stukas habent bombardato
et mitragliato mie posizioni alt due aerei nemici allontanatisi in fiamme”. Alle ore 15.40:
“Tedeschi non accettano mia richiesta che divisione conservi armi alt at violenza risponderò con violenza”. Alle ore 17.20: “Situazione ore 16.00 alt combattimento continua
con intervento numerosi Stukas battuti da nostra artiglieria”. Alle 21.55: “Situazione
ore 19.00 alt infuria battaglia su tutta la fronte intorno at Argostoli alt nemico attacca
alt intensissima azione aerea”. Alle ore 24.00: “ Battaglia ancora indecisa soprattutto per
incontrastata azione aerea nemica alt darmi notizie”335. Ma la Divisione “Acqui” non poteva attendersi alcun sostegno dall’Italia, dagli Alleati. I radiomessaggi inviati non avevano
avuto nessun tipo di risposta nonostante il Comando di Divisione continuasse a mandarli
ogni due ore. Essa restava sola e sempre più esposta ai raid aerei tedeschi336. Ecco perché
nella mente del Generale Comandante, sin dall’alba del giorno 16 settembre si delineava
l’inderogabile necessità – ai fini di una rapida soluzione della battaglia – di occupare il
nodo di Kardakata, vera chiave per il dominio dell’isola. Egli quindi elaborava una serie
di operazioni che contemplavano l’impiego di tutto il 317° Reggimento fanteria, del I
Battaglione del 17° Reggimento fanteria e del I Gruppo del 33° Reggimento artiglieria337. Nel frattempo il Generale Gandin ordinava che il II ed il III Battaglione del 17°
Reggimento fanteria, i più provati nella lotta del giorno precedente, si dislocassero: il
II Battaglione quale unità di manovra, nella zona del nodo stradale di Mazakarata; il III
Battaglione a difesa costiera nelle zone di Minies e Svoronata; il I Battaglione del 317°
Reggimento fanteria a difesa costiera nella baia di Sami338. Il disegno di manovra della
“Acqui” era semplice: attaccare da sud le posizioni di Kardakata con il I Battaglione
(Tenente Colonnello D’Ara) del 17° Reggimento fanteria, il II Battaglione (Maggiore Fannucchi339) ed il III Battaglione del 317° Reggimento fanteria, e da est quelle di
Ankona con il I Battaglione (Capitano Neri) del 317° Reggimento fanteria340. L’attacco
doveva avere inizio alle ore sei del giorno 17 settembre: nell’attesa che il I Battaglione
del 317° Reggimento fanteria effettuasse il trasferimento dalla zona di Sami a Sant’Eufemia – dove era schierato – alle posizioni di partenza (ponte di Kimoniko), il Generale
Comandante ordinava al I Battaglione del 17° Reggimento fanteria e al II Battaglione
del 317° Reggimento di serrare sotto; al III Battaglione del 317° Reggimento fanteria
di riorganizzarsi nella zona di Davgata341. Per sostenere l’offensiva dei tre battaglioni del
Le operazioni di guerra - Capitolo 5
115
fronte sud il Generale Gandin spostava in avanti anche le batterie del 33° Reggimento
artiglieria: la 3^ batteria dalla periferia sud di Argostoli al campo sportivo, la 5^ batteria
da Paliokastro a Davgata, la 1^ batteria si trovava già a Faraklata342.
Mentre il Generale Gandin emanava gli ordini di trasferimento dei reparti, l’aviazione tedesca effettuò un pesante bombardamento su Argostoli, anche se il omando di divisione,
sin dal 15 settembre, aveva fatto allontanare anche i carabinieri e la Guardia di Finanza,
per evitare ogni pretesto che potesse in qualche modo giustificare un bombardamento
del centro abitato. Il disastroso bombardamento provocò la morte di circa ottocento ed
il ferimento di circa duemila fra la popolazione civile343. Lungo le strade, gli abitanti della
cittadina – gente di tutte le età e di tutte le condizioni – uomini, donne e bambini - carichi di masserizie fuggivano piangendo e si accasciavano a terra, sfiniti dalla stanchezza344.
5.3 La battaglia di “Kardakata”.
Ricordata anche come “Battaglia di Ponte Kimoniko” (disegno di manovra in allegato
“C”), dove si immolò il I Battaglione del 317° Reggimento fanteria, la battaglia si sviluppò per la conquista del nodo di Kardakata, posizione indispensabile per il controllo
della zona nord – occidentale dell’isola, che era occupata dal grosso delle truppe tedesche.
Era una zona aspra, montagnosa, con coste ripide che scendevano a piombo sul mare e
perciò di difficile accesso; era però particolarmente vulnerabile dal cielo per l’assenza di
vegetazione345. Alle ore 6.00, preceduto da leggera preparazione di artiglieria su alcune
postazioni avanzate nella zona di Pharsa, il I Battaglione del 17° Reggimento fanteria
oltrepassava questa località schierandosi a nord di essa. Contemporaneamente il II Battaglione del 317° Reggimento si schierò a nord di Davgata ed il III Battaglione dello stesso
Reggimento a nord di Monte Rizoculo che dominava tutta la zona346. Tutti i battaglioni,
che operavano a sud di Kardakata, avanzavano allo scoperto e sebbene vivamente contrastati, riuscivano a penetrare nel dispositivo nemico, avvicinandosi a Kardakata, Kuruklata
e Pharsa347. Nello stesso momento nel settore nord un ricognitore tedesco individuava
il I Battaglione del 317° Reggimento fanteria lanciandovi sopra alcuni razzi rossi; dopo
pochi minuti sopraggiungevano numerosi aerei tedeschi che sottoponevano le truppe,
per lunghe ore, ad una serie di violenti mitragliamenti e spezzonamenti348. Le compagnie,
colte di sorpresa in colonna sulla carreggiata, con la parete inaccessibile del monte sulla
sinistra e il baratro del dirupo sulla destra, venivano scompaginate e falcidiate dall’attacco
mentre seguitavano ad opporre una disperata resistenza, con piccoli nuclei eterogenei
sorti spontaneamente349. Allontanatisi gli aerei, la 1^ compagnia riceveva l’ordine di avanzare, superando ponte Kimoniko (in precedenza fatto saltare dai tedeschi); mentre era in
corso l’operazione e la compagnia era allo scoperto sopraggiungevano nuovamente altri
aerei, che seminavano bombe disperdendo la truppa. Purtroppo, nel momento cruciale, il
comandante interinale del battaglione, Capitano Neri Nereo, ferito, veniva costretto ad
abbandonare il campo di battaglia, mentre i tedeschi, approfittando della paralisi causata
116
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
dall’azione aerea, dopo aver serrato sotto, attaccavano con forza sulle alture l’ala sinistra
dello schieramento. Lo scontro fu cruento350. Sempre combattendo, il I Battaglione del
317° Reggimento fanteria ripiegava per nuclei isolati fino a Divarata, dove, riorganizzato
dal Capitano dei carabinieri Gasco, e successivamente dal Capitano Olivieri, arginava l’impeto tedesco opponendo una accanita resistenza351 che raggiungeva proporzioni
eroiche352. Di fronte ad un successivo attacco di un gruppo tattico del III Battaglione
del 98° Reggimento cacciatori da montagna, appena giunto, ripiegava definitivamente
su Divarata353. La manovra tendente ad aggirare da nord le posizioni di Kardakata era
dunque fallita e di conseguenza, per tutta la giornata, anche le operazioni sul fronte di
Pharsa subirono un sosta354.
All’alba, verso le ore 6.00, del giorno 18 settembre (quarto giorno di combattimento)
il Generale Gandin nonostante l’insuccesso del I Battaglione del 317° Reggimento
fanteria decideva di tentare nuovamente il superamento, da nord a sud, della difesa di
Kardakata355. Per controbilanciare la diminuita efficienza del I Battaglione del 317° Reggimento di fanteria, predisponeva l’impiego del III Battaglione del 317° Reggimento,
trasferito da Davgata al Kutzuli, affidandogli il compito di attaccare sul fianco Kuruklata356. L’11^ compagnia del Capitano Pantano conquistava e perdeva per ben tre volte
Kuruklata, compiendo miracoli di audacia, combattendo di casa in casa e costringendo i
tedeschi ad abbandonare Pharsa per non correre il rischio di essere tagliati fuori, mentre
nel settore nord357 ogni modesta avanza verso l’obiettivo veniva annullata dall’intervento
degli aerei358. Circa due ore dopo la 12^ compagnia del III Battaglione del 98° Reggimento cacciatori da montagna iniziava ad avanzare lungo la strada Ankona – Divarata
scontrandosi con una resistenza più forte: l’avversario era il I Battaglione del 317° Reggimento fanteria, già duramente provato il giorno prima; questo veniva accerchiato da due
compagnie tedesche in un area posta un chilometro a sud di Drakata e, verso le ore 10.00
quasi totalmente annientato: di nemici morti ne vennero contati quattrocento così come
risultava dal rapporto che, il comandante del 98° Reggimento, il Tenente Colonnello
Josef Salminger, trasmise al comandante della 1^ Divisione da montagna359.
L’azione sul campo da parte tedesca si accompagnava alla guerra psicologica del lancio
di migliaia di volantini su Argostoli e sulle difese italiane; i concetti dominanti erano la
denuncia del tradimento dei capi e la promessa del rimpatrio, in alternativa alla prigionia
inglese, essi così recitavano: “Italiani di Cefalonia perché combattete contro i tedeschi?
Voi siete stati traditi dai vostri capi! Voi volete ritornare nel vostro paese per stare vicino
alle vostre mamme, alle vostre donne, ai vostri bambini? Ebbene, la via più breve per
raggiungere il vostro paese non è certo quella dei campi di concentramento inglesi. Conoscete già le infami condizioni imposte al vostro paese con l’armistizio angloamericano.
Dopo avervi spinto al tradimento contro i compagni d’arme germanici, ora vi si vuole
avvilire con il lavoro pesante e brutale nelle miniere d’Inghilterra e d’Australia che scarseggiano di mano d’opera. I vostri capi vi vogliono vendere agli inglesi: non credete loro!
Seguite l’esempio dei vostri camerati dislocati in Grecia, a Rodi e nelle altre isole, i quali
hanno tutti deposto le armi e già ritornano in Patria; come hanno deposto le armi le
Le operazioni di guerra - Capitolo 5
117
divisioni di Roma e delle altre località del territorio nazionale. E voi invece – proprio ora
che l’orizzonte della Patria si delinea ai vostri occhi – volete proprio ora preferire morte
e schiavitù inglese! Non costringete, no, non costringete gli Stukas germanici a seminare
morte e distruzione. Deponete le armi. La via della Patria vi verrà aperta dai camerati
tedeschi360. In quegli stessi momenti, alle ripetute richieste di aiuto, il Comando Supremo rispondeva amaramente “ Impossibilità invio aiuti richiesti alt Infliggere nemico più
gravi perdite possibili alt Ogni vostro sacrificio sarà ricompensato alt Ambrosio”361. Da
parte opposta, proprio il giorno 18 settembre al Comando del Gruppo di Armate Est
si rendeva noto l’invito di Hitler a cessare l’atteggiamento bonario dei tedeschi verso
gli italiani; ma soprattutto veniva diffusa l’ordinanza dell’ “OKW”362 attraverso la quale
il Fuhrer ordinava di non “fare prigionieri fra gli italiani a motivo del comportamento
insolente e traditore del presidio dell’isola”; a peggiorare la situazione arrivava l’ulteriore
“barbarica disposizione” di Hitler di non fare prigionieri363. Le forze italiane combatterono strenuamente, contendendo il terreno metro per metro, prendendo e con successo,
iniziative offensive dove possibile, tuttavia il III Battaglione del 98° Reggimento cacciatori da montagna riusciva a mantenere il possesso di Kardakata. Soltanto verso sera le
forze riuscivano ad affacciarsi sull’istmo di Kardakata, ma alcuni reparti tedeschi appartenenti al 724° Reggimento cacciatori di montagna giungevano a quota 874 arrestando
così il movimento del III Battaglione del 317° Reggimento fanteria364. In conclusione, le
azioni del 17 e del 18 settembre, imperniate sul concetto di raggiungere le posizioni di
Kardakata con azione contemporanea da nord e da sud, si erano infrante per la reazione
tedesca nella zona di Kimoniko e per la resistenza tedesca sul fronte di Pharsa: fra i principali motivi del fallimento di queste operazioni risultarono essere l’ininterrotta azione
aera tedesca sulle zone della battaglia alla quale si opponeva assai scarsa, e quasi nulla, la
nostra azione contraerea, l’efficienza difensiva delle truppe tedesche determinata dalla
larga disponibilità di armi pesanti e dall’affluenza immediata di truppe scelte di rinforzo
e infine dal ritardo di oltre quattro ore della disponibilità degli automezzi per il trasporto
del I Battaglione del 317° Reggimento dalla zona di S. Eufemia al Kimoniko365.
5.4 La battaglia di “Capo Munta”.
A sud dell’isola, tra l’ampia spiaggia di Katelios e quella di Skala, c’è Capo Munta, un
pianoro che si spinge verso il mare, e che ospitava un caposaldo tedesco ben fortificato
ed armato, presidiato da circa centoventi artiglieri al comando del Tenente Hans Rademaker. Per la sua posizione veniva considerato pericoloso quale facile approdo per i rinforzi che i tedeschi certamente avrebbero fatto arrivare, come già nei giorni precedenti,
via mare, da Patrasso. Per questo il Comando di Divisione ne decise l’occupazione sin
dal 16 settembre, dando l’incarico al Comando della fanteria di predisporre l’esecuzione del piano366. L’azione veniva affidata ad un battaglione di formazione agli ordini del
Maggiore Altavilla: nei giorni 16, 17 e 18 venivano ammassate nella zona di Scala la 7^
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Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
e la 10^ compagnia del 17° Reggimento fanteria, e aliquote della 4^ rinforzate da un
plotone di mitraglieri di Corpo d’Armata, quattro plotoni di mortai da 81 mm, e due
pezzi da 75/46367. Per conoscere l’esatta dislocazione delle postazioni di difesa, e la consistenza delle forze nemiche, il Capitano Bianchi e il Tenente Albanese, accompagnati
da un greco, tale Mammà Xioni, fingendosi venditori di frutta entravano nel caposaldo,
individuando i passaggi nei reticolati, le postazioni delle mitragliere e i punti favorevoli
all’attacco368. Sul far della sera del giorno 18 settembre il Maggiore Altavilla faceva assumere ai reparti, intorno al caposaldo tedesco, lo schieramento predisposto; l’attacco, che
doveva iniziare alle ore 23.30, iniziava soltanto alle ore 3.30 del giorno 19 settembre
in seguito ad un ritardo causato da difficoltà incontrate nell’effettuare lo schieramento. Dopo una inefficace preparazione di artiglieria – in mancanza di munizioni adatte, vennero impiegate granate perforanti – un razzo rosso segnava l’inizio dell’azione: i
fanti scattavano all’attacco, e, nonostante la reazione opposta dai tedeschi, riuscivano a
serrare sotto approfittando di alcuni terrazzi coltivati a vite disposti trasversalmente alla
direzione di attacco. Sebbene le perdite avessero assunto proporzioni rilevanti, i plotoni
raggiungevano il primo ordine di reticolati, nel quale, mentre tutte le armi automatiche
sparavano rabbiosamente, alcuni genieri praticarono dei varchi, permettendo ad alcune
squadre di superare il secondo ed il terzo ordine di reticolati – ancora in costruzione –
dove venivano falcidiate dalle mitragliatrici tedesche a causa del terreno completamente
allo scoperto369. Ne seguiva un feroce corpo a corpo e le forze italiane, che nonostante le
grandi perdite con gran numero di morti e feriti erano sul punto di sopraffare i tedeschi,
quando una violenta incursione aerea (provenienti dalla base di Araxos, probabilmente
avvertita della difficile situazione in cui si trovava la guarnigione del Tenente Rademaker), improvvisa ed indisturbata, li faceva sbandare costringendoli ad arretrare su posizioni
più sicure ed a lasciare sul terreno morti e feriti370. Purtroppo arrivò l’alba e con essa gli
Stukas, che, volando indisturbati sulla zona, si resero conto della situazione e, aiutati da
razzi lanciati dall’interno del caposaldo, bombardarono l’enorme spianata sulla quale i
nostri soldati si trovavano senza alcuna protezione371. Nonostante i tentativi dei militari
italiani, diventava impossibile mantenere le posizioni, cosicché il Maggiore Altavilla era
costretto a rinunciare definitivamente all’impresa e a ordinare il ripiegamento372. I patrioti greci, che dovevano partecipare all’azione, al momento buono, si erano dileguati. Circa
centocinquanta uomini perirono sotto Capo Munta373; i feriti rimasti sul terreno vennero
fatti fucilare dal Tenente Rademaker, al quale fu più tardi concessa la croce di ferro. Le
salme non furono sepolte, ma fatte sparire con altri sistemi374.
Nelle giornate del 19 e del 20 settembre, a parte il fallimento dell’azione di Capo Munta, vi fu, nelle operazioni terrestri, una stasi non essendo stata condotta a termine dai
tedeschi la preparazione dell’attacco, ma l’aviazione continuava inesorabile le azioni di
bombardamento375. Lo stesso Generale Lanz il 19 mattina volava di nuovo a Cefalonia
per definire con il maggiore Hirschfeld il piano d’attacco contro gli italiani e per lanciare
dall’aereo (personalmente) altre migliaia di volantini sulle truppe italiane in un estremo
tentativo di distoglierle con minacce e promesse dalla resistenza; il testo diceva: “Ca-
Le operazioni di guerra - Capitolo 5
119
merati dell’armata italiana, con il tradimento di Badoglio l’Italia fascista e la Germania
nazionalsocialista sono state abbandonate vilmente nella loro lotta fatale. La consegna
delle armi dell’armata di Badoglio in Grecia è terminata completamente senza spargere
sangue. Soltanto la Divisione “Acqui”, al comando del Generale Gandin, partigiano di
Badoglio, dislocata nelle isole di Cefalonia e Corfù, è isolata colà dagli altri territori,
ha respinto l’offerta della consegna pacifica delle armi e ha cominciato la lotta contro
i camerati tedeschi e fascisti. Questa lotta è assolutamente senza speranza. La Divisione
è divisa in due parti, circondata dal mare, senza alcun rifornimento e senza speranza di
aiuto da parte dei nostri nemici, Noi camerati tedeschi non vogliamo questa lotta. Vi
invitiamo perciò a deporre le vostre armi ed ad affidarvi ai presidi tedeschi delle isole.
Allora anche per voi, come per gli altri camerati italiani, è aperta la via verso la patria. Se
però sarà continuata l’attuale resistenza irragionevole, sarete tutti schiacciati e annientati
in pochi giorni dalle preponderanti forze tedesche che stanno raccogliendosi. Chi verrà
fatto prigioniero allora non potrà più tornare nella Patria. Perciò camerati italiani, appena
otterrete questo manifestino, passate subito ai tedeschi. É l’ultima possibilità di salvarvi!
Chi sarà fatto prigioniero allora non potrà più tornare nella Patria. É l’ultima possibilità
di salvarvi”.376 Il Generale Lanz si limitò a far conservare le posizioni tenute ed a concentrare le truppe. Adesso il Maggiore Hirschfeld – incaricato del comando di tutte le unità
di manovra – disponeva del 910° battaglione da fortezza (il 909° era tornato a Lixuri),
del III Battaglione del 98° Reggimento cacciatori da montagna, del I Battaglione del
724° Reggimento cacciatori da montagna, del 54° battaglione cacciatori da montagna e
del III Gruppo del 79° Reggimento artiglieria da montagna. Secondo la sua valutazione,
lo schieramento difensivo della “Acqui” a sud di Kardakata gli opponeva due reggimenti
di fanteria in profondità377. Il Generale Gandin, cioè, si sarebbe difeso con i due battaglioni che gli rimanevano del 317° Reggimento fanteria su una linea che si estendeva
da Pharsa verso nord-est. Il 17° Reggimento fanteria avrebbe certamente mantenuto le
sue posizioni nella zona di Pharaklata – Argostoli – Metaxata. La massa dell’artiglieria
italiana sarebbe stata piazzata, verosimilmente, nei pressi della capitale dell’isola, presso
Konstantin (Prokopata) ed a sud-ovest di Pharaklata in modo da poter essere utilizzata
per la difesa verso il nord. Unità di artiglierie mobili, di scarsa consistenza però, sarebbero
state collocate presso Davgata.
Il piano operativo tedesco378 prevedeva di entrare in azione il 21 settembre e di distruggere la Divisione “Acqui” entro il 23 del mese379.
Nella stessa giornata il Generale Gandin aveva nuovamente richiesto al Comando Supremo l’intervento dell’aviazione e l’invio di munizioni che durante i tre giorni di lotta
si erano pressoché esaurite e nel dubbio di poter comunicare all’alba aveva inviato a
Brindisi con un motoscafo della Croce Rossa il Sottotenente di Vascello di complemento
Vincenzo Di Rocco per prospettare la situazione e sollecitare l’intervanto di forze aeree.
L’Ufficiale, raggiunta Gallipoli, dopo fortunosa navigazione380, poté presentarsi a Brindisi
soltanto il 21 settembre informando tuttavia Cefalonia del suo arrivo381.
Conscio degli esiti dei combattimenti dei giorni precedenti, il Generale Gandin aveva
120
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
avuto modo di constatare che la difesa tedesca attorno a Kardakata era divenuta assai
solida e profonda. Essa non era infatti imperniata solamente sulle posizioni del Kutsuli,
a nord di Pharsa, ma si estendeva sui robusti bastioni, di difficile accesso, rappresentati
dalle propaggini sud-occidentali del Monte Dafni, dalle posizioni di Kuruklata e dalle
posizioni di Kardakata. Il Generale Gandin, pertanto, constatata l’impossibilità di ottenere
risultati definitivi operando frontalmente o con manovra sui fianchi a limitato raggio,
decideva di eseguire una audace manovra di avvolgimento. Il suo concetto operativo era
il seguente: il I Battaglione del 17° Reggimento fanteria doveva agire da perno continuando a tenere le posizioni a nord di Pharsa; il III Battaglione del 317° Reggimento
fanteria doveva costituire l’ala avvolgente, puntando su Kardakata attraverso le pendici
del Dafni; il II Battaglione del 317° Reggimento fanteria – posto tra il I ed il III – non
appena si fosse accentuata l’azione avvolgente del III Battaglione, doveva attaccare sulla
fronte e sul fianco le posizioni tedesche di Kuruklata382.
5.5 La battaglia di “Dilinata”.
Fu la battaglia finale383 (schema in allegato “D”), che si concluse tragicamente con il
massacro di 189 Ufficiali e circa 5.000 fra Sottufficiali, graduati e soldati, catturati e
spietatamente trucidati sul campo immediatamente dopo gli aspri combattimenti; essa si
svolse nella parte centro – occidentale dell’isola, a cavallo delle rotabili che conducevano
ad Argostoli: Drakata – Kardakata – Pharsa – Drapanon; Dragata – Dilinata – Pharaklata
– Razata; Dilinata – Krankata – Troianata – Kastro – Metaxata – Lakytra – Spilea. L’obiettivo finale era costituito dalla piazza di Argostoli, capoluogo dell’isola384.
Naufragata la possibilità di far cadere lo schieramento tedesco con un azione combinata
da sud e da nord in seguito all’avvenuta distruzione del I Battaglione del 317° Reggimento fanteria, il Generale Gandin decideva di effettuare una manovra avvolgente
attaccando l’ala sinistra dello schieramento nemico da est con il III Battaglione del 317°
Reggimento fanteria. Egli emanava pertanto il seguente ordine di operazione:
- il II Battaglione del 317° Reggimento fanteria, dalle pendici meridionali del Kutzuli
alle quote 764-765;
- il III Battaglione del 317° Reggimento fanteria, dal Kutzuli alla quota 924 del Dafni;
- la 5^ e 6^ compagnia del 17° Reggimento fanteria, da Divarata alla selletta tra il Kutzuli
e il Diculi;
- la compagnia malarici da Valsamata a Divarata;
- la 1^ batteria del 33° Reggimento artiglieria, da Pharaclata a Dilinata,
a destra della rotabile;
- la 3^ batteria del 33° Reggimento artiglieria dal campo sportivo di Argostoli a Dilinata
(a cavallo della rotabile all’altezza di Aj,Vlasis);
- la 5^ batteria del 33° Reggimento artiglieria, da Davgata a Dilinata
(a cavallo della rotabile).
Le operazioni di guerra - Capitolo 5
121
L’attacco condotto dal I Battaglione del 17° Reggimento fanteria e dal III Battaglione
del 317° Reggimento fanteria, avrebbe dovuto avere inizio alle ore 6.00 del 21 settembre385. Da parte tedesca il gruppo di aggiramento, cioè i due battaglioni di cacciatori da
montagna, si mettevano in cammino fin dalle ore 20.00 del 20 settembre, nella zona di
Ankona. Per coprire l’accerchiamento delle forze italiane, il I Battaglione del 724° Reggimento cacciatori doveva iniziare a manovrare, procedendo dalla posizione che avrebbe
raggiunto all’alba, verso Pharaklata attraverso Lamia, ciò contemporaneamente all’entrata
in azione del Gruppo di combattimento Klebe. Anche le azioni del 910° battaglione,
inoltre sarebbero servite a sviare il nemico; nel corso della notte le unità tedesche occuparono, secondo gli ordini, le posizioni loro rispettivamente assegnate in vista dell’attacco
generale386. La manovra, eseguita con tempestiva determinazione, pose in crisi il dispositivo italiano, malgrado la tenace difesa dei fanti e la forte attività dell’artiglieria, chiamata
alle prime luci dell’alba a contrastare energicamente e decisamente l’avanzata tedesca.
Sul fronte del III Battaglione la sorpresa fu totale387. Al primo momento il Tenente Colonnello Siervo non volle credere ai propri occhi: vistosi circondato da ogni parte, in
posizione isolata, non ritenne di dover prontamente reagire388. Il III Battaglione veniva
praticamente annientato ed il Comandante costretto alla resa. Iniziava immediatamente
la rappresaglia: tutti gli Ufficiali che erano in linea (in tutto diciannove e tra questi il Cap.
Pantano389) venivano condotti a Drapanon e successivamente fucilati nel vallone di Santa
Barbara390. Intanto altre due colonne tedesche avanzavano nel cuore della notte, una lungo la strada Phalari – Dilinata, e la seconda lungo una mulattiera tra il Diculi e il Vrochonas, per attaccare da tergo il fianco destro delle posizioni tenute dalle due compagnie del
II Battaglione del 17° Reggimento e del II Battaglione del 317° Reggimento, schierate
sul Risocuzzolo (Kutzuli)391. Le compagnie si impegnavano in una disperata difesa ad
oltranza e dopo i primi minuti di scompiglio e incertezza, contrattaccavano le pattuglie
tedesche più avanzate; ma ecco sopraggiungere una trentina di Stukas ed una ventina di
bombardieri pesanti che iniziavano una serie di mitragliamenti e bombardamenti che
sconvolsero le linee portando paralisi e morte: dopo circa quattro ore, le compagnie, a
posizioni immutate, avevano perso il settanta per cento degli effettivi392. Nel bel mezzo
dello scontro, sopraggiungeva l’altra colonna che aveva aggirato il Diculi e attaccava le
due compagnie schierate sulla selletta tra il Diculi e il Kutzuli393. La situazione diveniva
critica: italiani e tedeschi si contendevano il terreno combattendo a pochi passi gli uni
dagli altri. L’artiglieria doveva sospendere il fuoco per non colpire le proprie fanterie. Il
Capitano Ciaiolo394, che comandava il Battaglione di formazione sulla selletta, cominciava a dibattersi in una lotta che diventava ormai disumana. Le forze sul Kutzuli, a loro
volta, prese di fronte dalle fanterie tedesche che avanzavano da Kardakata procedendo
lungo i canaloni, di fianco dalla colonna procedente sulla strada ormai in procinto di
forzare il passo da tergo dalla colonna ultimamente sopraggiunta, iniziavano a ripiegare e,
sempre combattendo, operavano una conversione a destra395.
Il destino del II Battaglione era segnato: attorniato dal 54° battaglione e dal I battaglione
del 724° Reggimento, sottoposto ad un violentissimo bombardamento aereo, non aveva
122
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
scampo: il Magg. Fannucchi396 raccoglieva ciò che restava dei suoi plotoni lanciandosi in
ultimo tentativo397.
Alla fine, soverchiati dalle preponderanti forze nemiche e investiti da una tempesta di
ferro e di fuoco, i resti dei diversi reparti si ritiravano e, esaurite le munizioni, si arrendevano creando un pericoloso vuoto che consentiva ai tedeschi di procedere con maggiore
speditezza. Subito dopo la resa i tedeschi iniziarono immediatamente la rappresaglia:
Ufficiali e soldati, dopo essere stati depredati, furono fatti arretrare lungo la rotabile Kardakata – Argostoli, ove giunti all’altezza del canalone di Kuruklata, furono mitragliati, e
circa trecento fra Ufficiali e soldati perirono398.
Intanto Pharsa veniva cinta d’assedio: la 4^ compagnia del Capitano Cianciullo399 e la
2^ compagnia del Tenente Massari, entrambe del 110° Battaglione mitraglieri di Corpo
d’Armata, effettuavano un estremo tentativo di rompere l’accerchiamento, ma ormai la
periferia del paese era già nelle mani del 910° Battaglione: alle ore 8,15 i tedeschi occupavano Pharsa400. Spezzata la resistenza dei battaglioni di fanteria, i tedeschi investivano
ed accerchiavano, una dopo l’altra, la 5^, la 1^ e la 3^ batteria del 33° Reggimento artiglieria, schierate a Dilinata: la 5^ batteria (comandata dal Tenente Ambrosini401) a cavallo
della rotabile Davgata – Dilinata, la 1^ batteria (comandata dal Capitano Pampaloni) a
destra della rotabile Pharaclata – Dilinata e la 3^ batteria (comandata dal Capitano Apollonio) a cavallo della strada, all’altezza di AJ.Vlasis, nei pressi della cappella di San Basilio402. La colonna tedesca avanzante per la rotabile, giunta all’altezza di Dilinata, riusciva
repentinamente ad aver ragione di una debole resistenza colà organizzata dal Tenente
Colonnello Deodato403 - Comandante il I Gruppo del 33° Reggimento artiglieria - il
quale cadeva proprio nel mezzo del paese mentre, con la pistola in pugno, incitava i suoi
soldati alla resistenza404. Con l’eliminazione di quest’ultima combattiva unità i tedeschi
non avevano altri ostacoli sulla strada del loro principale obiettivo: il Comando Tattico
di Prokopata, dove puntavano decisi405. Infatti il 910° battaglione, verso le ore 10.00,
occupava anche Davgata, mentre quasi contemporaneamente il I battaglione del 724°
Reggimento cacciatori dava l’assalto a Lamia, nonostante la tenace difesa ed il violento
fuoco d’artiglieria; e nonostante si trovasse già a corto di munizioni, il I battaglione del
724° Reggimento cacciatori proseguiva l’attacco investendo alle ore 12.00 Pharaklata.
Nel frattempo il 54° battaglione ed il III battaglione del 98° Reggimento riuscivano ad
aggirare senza essere notati quota 832 (circa due chilometri a nordest di Pharaklata) ed a
piombare alle ore 14.00 totalmente inaspettati a Phrankata, il cui presidio era costituito
da circa duecento uomini406. Il Generale Gandin, rientrato al comando tattico di Prokopata, emanava il seguente ordine di operazioni, per cercare di arrestare l’avanzata nemica
all’altezza dei capisaldi di Castrì, Radierà, Prokopata, Razata, Passo Kolumi:
- Comando tattico divisionale, da Prokopata a Keramies;
- Comando divisionale da Kokkolata a Prokopata;
- il II Battaglione del 17° Reggimento fanteria, da Mazarakata a Razata;
- il III Battaglione del 17° Reggimento fanteria, da Sarlata a Prokopata.
Purtroppo ancora una volta, l’intervento dell’aviazione fu determinante e decisivo per
Le operazioni di guerra - Capitolo 5
123
l’andamento della battaglia: il II Battaglione, sorpreso mentre stava predisponendosi al
trasferimento, venne distrutto quasi totalmente; il III Battaglione, contrastato da mitragliamenti e bombardamenti aerei, riuscì a stendere una debole linea di difesa da Castrì
a Razata407. Intanto i battaglioni tedeschi continuavano ad avanzare e dopo aver unito le
proprie forze, il 910 ° battaglione ed il I battaglione del 724° Reggimento cacciatori assaltavano verso le ore 18.00 Pharaklata ed una serie di rilievi a sud di quella località: in tal
modo tutti gli obiettivi fissati per il 21 settembre furono raggiunti; per Cefalonia sembrò
essere giunto il momento decisivo408. I prigionieri, suddivisi in vari gruppi e istradati sul
far della sera in varie direzioni, venivano tutti indistintamente passati per le armi: esattamente quattrocentocinquantaquattro e tra essi ben settantacinque appartenenti alla 44^
sezione di sanità muniti di regolare bracciale e tesserino della Croce Rossa Internazionale409. Il Generale Gandin lasciava per ultimo Prokopata per Keramies: alle 18.45 faceva
partire un ennesima richiesta di aiuto, senza neppure l’uso del cifrato: “Se non intervenite
immediatamente con truppe aviotrasportate et aviazione, saremo sopraffatti”. La comunicazione veniva captata dai radiotelegrafisti del Maggiore Hirschfeld e con essa egli ebbe
conferma che la situazione della Divisione “Acqui” era ormai disperata, pertanto diede le
disposizioni per chiudere la partita410.
124
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
S. Loukatos, Cefalonia, titolo originale dell’opera: Gli anni dell’occupazione italiana e tedesca e
della Resistenza nazionale a Cefalonia e Itaca. op. cit., p. 39.
305
Presero parte ai combattimenti i seguenti reparti italiani: nel settore occidentale, II e III battaglione
del 17° Reggimento fanteria, la 2^ compagnia del CX battaglione mitraglieri di Corpo d’Armata
e la 76^ sezione fotoelettrica; nel settore orientale, II e III battaglione del 317° Reggimento
fanteria, la 4^ compagnia mitraglieri di Corpo d’Armata e la 27^ sezione mista carabinieri
mobilitata, con il concorso di fuoco di tutte le batterie dell’Esercito e della Marina, schierate nella
zona di Argostoli e in grado di intervenire.
306
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 393-394.
307
S. Loukatos, Cefalonia, titolo originale dell’opera: Gli anni dell’occupazione italiana e tedesca e
della Resistenza nazionale a Cefalonia e Itaca. op. cit., p. 39.
308
M.Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 2003, op. cit., p. 480.
309
Altavilla Oscar, di Giovanni e di Piezzi Margherita, da Napoli, classe 1907, Maggiore fanteria,
Medaglia d’argento al Valor Militare con la seguente motivazione : “Comandante di Battaglione
durante la Battaglia di Cefalonia, fante tra i fanti, fu visto battersi in linea con la pistola in pugno
indifferente e sereno nonostante il violentissimo bombardamento e mitragliamento aereo. Mentre
con i resti del suo Battaglione accorreva per tentare di arginare l’avanzata nemica venne catturato.
In testa ai suoi soldati affrontava impavido la fucilazione, reo di aver combattuto per l’onore delle
armi” (Stato Maggiore dell’ Esercito – Ufficio Storico, Cefalonia, Roma,Tipografia Regionale,
1947, p. 20).
310
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 394.
311
Cei Antonio, nato il 1915 a Viareggio ( Lucca ).Tenente cpl., 17° Reggimento fanteria. Medaglia
d’oro al Valor militare con al seguente motivazione: “ Audace assertore della lotta contro i tedeschi,
fu tra i primi ad aprire le ostilità con il fuoco del suo plotone mortai. Durante duri combattimenti t
trascinava i suoi soldati ad una titanica lotta destando l’incontenibile ammirazione dei superiori e
dei gregari per la sua fredda audacia che gli consentì, sotto il furioso spezzonamento e mitragliamento
degli Stukas, di caricare da solo, in un sol tempo, i suoi due mortai. Divenuto l’anima della lotta
e della resistenza, comandante dell’unico reparto organico ancora in armi, trovò il coraggio di
opporsi, con un nucleo di eroi, alla potenza nemica che lo annientò – Cefalonia, 9-22 settembre
1943”(G. Carolei, Le Medaglie d’oro al Valor Militare, op. cit., p.323).
312
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p. 43.
313
O.G. Perosa, Divisione Acqui, figlia di nessuno – Cefalonia e Corfù settembre 1943, op. cit., p.36.
314
Fra questi fece spicco il Maresciallo Attilio Fragomeni del 3° Gruppo contraerei da 75/27 C.K.,
durante un bombardamento nemico che aveva distrutto un pezzo della batteria e provocato
l’incendio della riservetta munizioni; con grande sangue freddo, provvide a spegnere l’incendio e ad
animare immediatamente i militari trascinandoli alla lotta meritando la promozione sul campo ad
Aiutante di Battaglia per merito di guerra.
315
In aiuto al presidio tedesco, accorsero da Lixuri, numerose grosse motozattere (se ne contarono
oltre quindici) che trasportavano uomini e materiali. Ma esse furono tutte centrate dal preciso fuoco
1
Le operazioni di guerra - Capitolo 5
125
delle artiglierie e affondarono, provocando ingente numero di naufraghi e di vittime.
Molti naufraghi vennero pietosamente tratti in salvo dagli stessi marinai e artiglieri (R. Formato,
L’Eccidio di Cefalonia, op. cit., p.53).
316
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 395-396.
317
Verso la mezzanotte del 15 settembre, circa quindici motonavi tedesche si mossero da Lixuri,
cariche di uomini e materiale bellico, dirette verso la zona di Lardigò e Argostoli. Non appena
ebbero superato la metà della distanza Lixuri – Lardigò vennero individuate dai proiettori delle
batterie costiere italiane che avvertirono immediatamente le batterie del 33° Reggimento artiglieria
le quali aprirono contro di loro una violenta bufera di fuoco. Il risultato fu che le motonavi non
raggiunsero mai l’obiettivo; la maggior parte fu affondata o resa inservibile; i tedeschi subirono
pesantissime perdite in morti, feriti, prigionieri e materiale bellico (S. Loukatos, Cefalonia, titolo
originale dell’opera: Gli anni dell’occupazione italiana e tedesca e della Resistenza nazionale a
Cefalonia e Itaca, op. cit., pag. 61).
318
A Lakitra il primo ufficiale italiano vittima dei bombardamenti degli Stukas fu il Tenente Franco
Verruca del 17° Reggimento di fanteria.
319
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit. p., 48.
320
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 397.
321
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p. 49.
322
A. Caruso, Italiani dovete morire, op. cit., p. 126-128.
323
Una batteria, la 359^ da 155/14, venne colpita in pieno, e persero la vita i suoi undici artiglieri
con il Tenente Correo; poco dopo, la stessa sorte toccò alla 1^ batteria del 33° Reggimento artiglieria,
il cui valoroso Sottotenente Acquistapace morì abbracciato al suo pezzo.
324
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 398.
325
G. Moscardelli , Cefalonia, op. cit., p. 69.
326
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p. 51.
327
Perdite italiane nella giornata del 15: quasi due compagnie annientate dagli aerei, una sezione
da 70/15 distrutta.
328
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 398-399.
329
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 399.
330
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p.150.
331
A seguito dell’inchiesta promossa dal Comando Gruppo Armate Est, il processo fu celebrato il 24
settembre, e il Tenente Fauth venne condannato a cinque anni di carcere e degradato.
332
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 400.
333
Questi già dalla sera del giorno 16 settembre richiese di poter condurre il combattimento in
modo completamente autonomo e di disporre di pieni poteri sulle unità che componevano il gruppo
126
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
di combattimento. Egli fu spinto ad un simile passo prima di tutto dall’incompetenza del Tenente
Colonnello Barge nel condurre le operazioni; per esempio il Tenente Colonnello Barge aveva fatto
apprestare una linea difensiva principale che permetteva alla Divisione “Acqui” di rinchiudere
quasi senza sforzo le truppe tedesche nella penisola di Paliki. Pertanto il Maggiore Hirschfeld
sollecitò fin dal primo momento la rapida costituzione di una testa di ponte prima dell’istmo
presso Kardakata, testa di ponte che avrebbe giocato un ruolo importante nell’ambito dell’operazione
offensiva in programma. D’altro canto voleva disporre di un autorità senza limiti anche perché
notava come presso i battaglioni 909° e 910° mancasse la disciplina ed i rapporti gerarchici fossero
addirittura caotici (G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p.155).
334
M.Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 2003, op. cit., p. 480481.
335
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 115.
336
A.Caruso, Italiani dovete morire, op. cit., p. 134.
337
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p. 52.
338
G. Moscardelli , Cefalonia, op. cit., p. 73.
339
Fannucchi, Maggiore di fanteria, Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione:
“Nel disperato e vano tentativo di sbarrare il passo al nemico incalzante, per quattro ore guidò il
suo battaglione nella via della gloria fronteggiando forze tedesche numericamente preponderanti e
appoggiate da circa 30 bombardieri pesanti in picchiata. Benché due volte ferito, incitava i suoi
fanti all’estrema resistenza finchè, colpito a morte, cadeva col nome d’Italia sulle labbra”.
Cefalonia, 21 settembre 1943 (Stato Maggiore dell’ Esercito – Ufficio Storico, Cefalonia, op. cit., p. 23).
340
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 115.
341
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p. 52.
342
A. Caruso, Italiani dovete morire, op. cit., p. 135.
343
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 408.
344
R. Formato, L’Eccidio di Cefalonia, op. cit., p. 56.
345
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 408.
346
G. Moscardelli , Cefalonia, op. cit., p. 75.
347
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 409.
348
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p. 57.
349
O. G. Perosa, Divisione Acqui, figlia di nessuno – Cefalonia e Corfù settembre 1943, op. cit., p.44.
350
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 410.
351
I combattimenti nello scacchiere del I Battaglione del 317° Reggimento furono tra i più aspri, e
lo testimoniano le perdite (37 Ufficiali e 487 fra Sottufficiali e Truppa) e quelle inflitte al nemico
(127 uomini e 4 aerei abbattuti).
352
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p. 58.
353
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 115.
354
G. Moscardelli , Cefalonia, op. cit., p. 77.
Le operazioni di guerra - Capitolo 5
127
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 115.
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p. 59.
357
Il Tenente Stablum del Comando di Divisione, che aveva chiesto e ottenuto di accorrere alla lotta,
abbarbicato ancora ad uno sperone roccioso presso il ponte di Kimoniko, cdeva colpito a morte; ecco
la motivazione della Medaglia d’Argento al Valor Militare: “Ufficiale addetto al Quartier Generale
della divisione, apprendendo che il suo battaglione per le enormi perdite subite, era stato travolto
dal nemico, ripetutamente insisteva per essere inviato in linea. Raccolto buon numero di sbandati e
costituito con essi un plotone, cercava di tamponare le larghe falle dello schieramento. Scontratosi
con soverchianti forze tedesche, mentre impugnava un fucile mitragliatore incitando i suoi soldati
alla resistenza, cadeva colpito al petto da una raffica di mitragliatrice” – Cefalonia, 19 settembre
1943 (Stato Maggiore dell’ Esercito – Ufficio Storico, Cefalonia, op. cit., p.25).
358
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 413.
359
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 158-160.
360
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 54-55.
361
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 115-116.
362
In sintesi si deve constatare che, secondo l’esplicita volontà del Comando Supremo delle forze
armate tedesche (OKW), del Comandante Supremo del Sudest-Balcani (Gruppo Armate F) e
del Comando del Gruppo di Armate E, con i membri della Divisione di fanteria “Acqui” non ci
si doveva comportare secondo le regole prescritte dalla convenzione dell’AJA sulla guerra in
terraferma circa il trattamento dei militari appartenenti ad unità nemiche.Va inoltre chiaramente
detto che le truppe incaricate dell’attacco non soltanto erano ampiamente a conoscenza del
proposito dei comandi superiori, ma erano state esplicitamente invitate dal loro comandante in
capo, il Generale di Corpo d’Armata Lohr, a proceder “senza farsi scrupolo” (G. Rochat, La
Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 158).
363
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 55.
364
M.Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 2003, op. cit., p. 482.
365
G. Moscardelli , Cefalonia, op. cit., p. 83.
366
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 422.
367
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p. 66.
368
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 422.
369
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p. 67.
370
S. Loukatos, Cefalonia, titolo originale dell’opera: Gli anni dell’occupazione italiana e tedesca e
della Resistenza nazionale a Cefalonia e Itaca, op. cit., p. 71.
371
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 423.
372
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p. 68.
373
Capo Munta va ricordata anche per un’altra infamia compiuta dai tedeschi. In quei giorni
sbarcarono nei pressi del caposaldo, diciotto soldati del genio, con il Sottotenente del genio minatori
355
356
128
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
Alberto Germani, che, dopo la consegna delle armi avvenuta a Zante subito dopo l’8 settembre,
avevano tentato di raggiungere Cefalonia, dove sapevano che gli italiani stavano resistendo. Essi
pagarono con la vita quel gesto di speranza e di riscossa. A Capo Munta trovarono i carnefici che
li attendevano e che li fucilarono senza pietà. La fucilazione dei 18 soldati e del Sottotenente
suscitò profondo sdegno, per l’aberrante ingiustizia che essa rappresentava. Erano soldati che non
avevano ancora preso le armi contro i tedeschi, né compiuta altra azione offensiva, ma erano italiani
e si trovavano a Cefalonia: bastava questo, per condannarli inesorabilmente: dovevano morire, come
tutti gli altri della Acqui (Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale
e isole dello Jonio, op. cit., p. 424-425).
374
G. Moscardelli , Cefalonia, op. cit., p.85.
375
M.Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 2003, op. cit., p. 483.
376
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 56.
377
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p.117.
378
Il piano del Maggiore Hirschfeld prevedeva una manovra di aggiramento delle posizioni italiane
condotta da est, così da rimanere al coperto delle pericolose artiglierie italiane. L’operazione di
aggiramento, accompagnata da attacchi frontali condotti dal fronte ovest verso sud, è affidata al 54°
battaglione cacciatori di montagna e al III battaglione del 98° Reggimento. Insieme costituiscono il
Gruppo Klebe (dal nome del comandante, Maggiore Reinhold Klebe) che conta sull’effetto
sorpresa (G.E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 57).
379
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 162.
380
A circa metà del viaggio, il motore va in panne e vani risultano i tentativi di rimetterlo in moto; il
Di Rocco, buon marinaio, vi pone rimedio allestendo una vela di fortuna con i remi di emergenza
ed il telo coprimotore, e tanta è la sua bravura, che riesce a prendere terra nei pressi di Gallipoli
dopo un paio di giorni di navigazione. Ma non sono finiti i guai; viene fermato lungo la riva
da una pattuglia di carabinieri che lo ritengono un disertore. Superata anche questa difficoltà,
riesce a raggiungere il Comando Supremo a Brindisi dove consegna il messaggio ed illustra la
tragica situazione in cui si batte la nostra divisione; ma riceve solo elogi per la sua missione e per
il comportamento della divisione (O. G. Perosa, Divisione Acqui, figlia di nessuno – Cefalonia e
Corfù settembre 1943,op. cit., p. 57).
381
M.Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 2003, op. cit., p. 483.
382
G. Moscardelli , Cefalonia, op. cit., p. 86-87.
383
Da alcuni storici è indicata come “Seconda battaglia di Kardakata”, perché Kardakata era
l’obiettivo finale dell’operazione militare; per altri essa costituisce la “Terza fase della battaglia di
Cefalonia”, avendo distinto le operazioni in tre fasi.
384
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 425-426.
385
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p. 72-73.
386
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 162-163.
387
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 428.
388
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p. 74.
Le operazioni di guerra - Capitolo 5
129
Pantano Guglielmo, capitano fanteria, Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente
motivazione: “Ufficiale di eccezionali doti, animatore, trascinatore, si rivelò tra i più fieri della
lotta contro i tedeschi. Benché comandante di compagnia guidò l’intero battaglione durante le fasi
più aspre e cruente della lotta. In ripetuti assalti s’impose all’ammirazione di tutti per la calma
e lo sprezzo del pericolo; nel culmine della lotta, lasciato il comando di battaglione, balzava tra i
suoi fanti, guidando personalmente le squadre all’assalto. Catturato dai tedeschi fu ucciso, reo di
aver combattuto per l’onore delle armi” – Cefalonia, 21 settembre 1943 (Stato Maggiore dell’
Esercito – Ufficio Storico, Cefalonia, op. cit., p. 25).
390
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit. p. 429.
391
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 429.
392
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p. 75-76
393
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 429.
394
Caiolo Giuseppe, di Tancredi e di Bellocci Antonietta, da Napoli, classe 1911, capitano di
fanteria, Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione: “Nel disperato e vano
tentativo di sbarrare il passo al nemico incalzante, per quattro ore guidò la sua compagnia mitraglieri
sulla via della gloria, fronteggiando, insieme ad altro reparto, forze tedesche numericamente
superiori e appoggiate da bombardieri pesanti in picchiata che procuravano enormi perdite ai
reparti impegnati, Deciso alla difesa ad oltranza, benché ripetutamente ferito, impugnava una
mitragliatrice nel tentativo di arrestare il nemico avanzante, ma colpito in fronte si abbatteva
eroicamente sull’arma” – Cefalonia, 21 settembre 1943 (Stato Maggiore dell’ Esercito – Ufficio
Storico, Cefalonia, op. cit., p. 23).
395
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p. 76.
396
Fannucchi Nello, maggiore di fanteria, Medaglia d’Argento al valor Militare con la seguente
motivazione: “Nel disperato e vano tentativo di sbarrare il passo al nemico incalzante, per quattro
ore guidò il suo battaglione nella via della gloria fronteggiando forze tedesche numericamente
preponderanti e appoggiate da circa trenta bombardieri pesanti in picchiata. Benché due volte
ferito, incitava ai suoi fanti all’estrema resistenza finché colpito a morte, cadeva col nome d’Italia
sulle labbra” – Cefalonia, 21 settembre 1943 (Stato Maggiore dell’ Esercito – Ufficio Storico,
Cefalonia, op. cit., p. 23).
397
A. Caruso, Italiani dovete morire, op. cit., p. 183.
398
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 431.
399
Cianciullo Antonio, nato il 1913 a Napoli. Capitano cpl. fanteria, Medaglia d’Oro al Valor
Militare con la seguente motivazione: “Comandante di compagnia mitraglieri di Corpo d’Armata
fu tra i primi decisi assertori della lotta contro i tedeschi. Combatté strenuamente in prima linea c
con audace ardimento e supremo sprezzo del pericolo tanto da suscitare l’ammirazione dei reparti
che vicino a lui combatterono. Ripetutamente, di iniziativa, accorreva con le sue armi in appoggio
ai reparti impegnati e stremati dalla violenza dei bombardieri aerei. Accerchiato il battaglione con
389
130
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
il quale operava, sebbene invitato ad arrendersi, preferiva la difesa ad oltranza e mentre passava
da un arma all’altra, incoraggiava i suoi mitraglieri, impressionati dalle enormi perdite; manovrando
egli stesso le armi rimaste prive di serventi, immolava la sua giovane vita con la visione di quanto
ebbe più caro: la Patria” – Cefalonia, 22 settembre 1943 (G. Carolei, Le Medaglie d’oro al
Valor Militare,op. cit., p. 322).
400
A. Caruso, Italiani dovete morire, op. cit., p. 185-186.
401
Ambrosini Abele, nato il 1915 a Cercino (Sondrio),Tenente cpl, 33° reggimento artiglieria,
Medaglia d’Oro al valor Militare con la seguente motivazione: “Comandante di batteria someggiata
fu tra i primi decisi assertori della lotta contro i tedeschi aprendo di iniziativa il fuoco contro il
nemico. Durante tutta la battaglia per Cefalonia i suoi cannoni schierati tra le unità di fanteria
tuonarono anche sotto i furiosi bombardamenti aerei riuscendo a ritardare l’avanzata nemica.
Benché ferito, continuava a rimanere in linea con i fanti per meglio dirigere il fuoco. Catturato
mentre tentava di raggiungere la sua linea pezzi, che si difendeva ad oltranza, sparando a zero,
veniva fucilato sul posto, reo di aver combattuto per l’onore delle armi” – Cefalonia, 21 settembre
1943 (G. Carolei, Le Medaglie d’oro al Valor Militare,op. cit., p.318).
402
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 435.
403
Deodato Carlo Matteo,Tenente Colonnello in spe, Medaglia d’Argento al valor Militare con la
seguente motivazione: “Comandante di un gruppo di artiglieria appoggiava l’opera dei primi
assertori della lotta contro il tedesco. Nel corso dei combattimenti si distingueva per calma e sprezzo
del pericolo assolvendo il suo compito da osservatori avanzati sotto il violento bombardamento
e mitragliamento aereo. Spezzata la resistenza dei reparti in prima linea, radunava gli artiglieri e,
nel sublime tentativo di arginare l’avanzata nemica, cadeva con essi falciato dal piombo nemico” –
Cefalonia, 21 settembre 1943 (Stato Maggiore dell’ Esercito – Ufficio Storico, Cefalonia, op. cit., p. 22).
404
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p. 84.
405
O. G. Perosa, Divisione Acqui, figlia di nessuno – Cefalonia e Corfù settembre 1943, op. cit., p.55.
406
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 164.
407
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 441.
408
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p.164.
409
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit. p. 89.
410
A. Caruso, Italiani dovete morire, op. cit., p. 201.
Il sacrificio della divisione di fanteria da montagna “Acqui” - Capitolo 6
131
Capitolo VI
Il sacrificio della divisione
di fanteria da montagna “Acqui”
6.1 La resa incondizionata.
La notte sul 22 settembre trascorreva senza scontri degni di nota, ma all’alba i battaglioni del Maggiore Hirschfeld iniziavano a cercare lo scontro decisivo1. L’avanzata tedesca
diventava inarrestabile, e la resistenza si trasformava in una lotta disperata, portata avanti
da sparuti gruppi di italiani che non intendevano cedere e che impegnavano il nemico
in durissimi combattimenti411. La “Acqui” poteva ancora contare sui resti del II e III Battaglione del 17° Reggimento fanteria e delle tre batterie del 33° Reggimento artiglieria
duramente provati: contro di loro le tre colonne tedesche, appoggiate dagli “Stukas”,
provenienti da Pharsa, Dilinata e Pulata si dirigevano con azione irruenta412. Il gruppo
di aggiramento iniziava l’operazione su Argostoli, verso cui si dirigeva il 54° battaglione
cacciatori da montagna, avanzando via Kokkolata, ed il III Battaglione del 98° Reggimento, avanzando via Metaxata; quest’ultima cadeva alle ore 10.00, dopo essere stata strenuamente difesa dalle truppe italiane. Circa un ora dopo le avanguardie del III battaglione del 98° Reggimento entravano in Argostoli. Contemporaneamente il I battaglione del
724° Reggimento cacciatori alle ore 08.00 aveva preso d’assalto Razata, notevolmente
fortificata e tenacemente difesa, ed il 910° battaglione granatieri da fortezza occupava
Kostantin alle ore 10.00. Mezz’ora dopo i granatieri da fortezza giungevano all’estremità
meridionale della baia di Argostoli413. Il Maggiore Hirschfeld, convinto che il Generale
Gandin414 e alcuni rimasugli della “Acqui” si trovassero ad Argostoli, vi rivolgeva il grosso
delle truppe: il 910° battaglione granatieri da fortezza da nord, il I battaglione del 724°
Reggimento da nord – est, il 54° battaglione da sud, mentre il III battaglione del 98°
Reggimento veniva mandato a ripulire la zona attorno a Keramies415. Alle ore 11.00 il III
battaglione del 98° Reggimento entrava ad Argostoli: il Generale Gandin così telegrafava: “La resistenza è divenuta impossibile. Di conseguenza al fine di evitare un ulteriore
inutile spargimento di sangue, la Divisione offre la resa”416. Ogni ulteriore resistenza era
132
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
diventata ormai vana. Mentre gli aerei continuavano a volteggiare minacciosi nel cielo, il Generale Comandante417 decideva di chiedere la resa. Prima di decidersi a tanto,
volle ascoltare la messa; dopo di che convocò per l’ultima volta il consiglio di guerra
che avrebbe dovuto stabilire la capitolazione. Erano le ore 11.00 del 22 settembre 1943
quando, dall’alto della sede del comando, veniva spiegato un grande drappo bianco418. Il
documento di resa veniva portato ad Argostoli dai Capitani Saettone, capo ufficio operazioni, e Tomasi, interprete. “Nell’attesa, egli si tenne calmo e dignitoso sulla soglia del
villino, con le mani sulle anche e lo sguardo al cielo. Gli Stukas volteggiavano ancora
minacciosi sulle nostre teste e vomitavano, a tonnellate, il loro micidiale esplosivo. Il Generale seguiva con impazienza le loro evoluzioni. Il suo atteggiamento, ormai, non era
più quello di chi sprezza il pericolo (atteggiamento che aveva tenuto sempre, in ripetute
mirabili circostanze), ma di chi ne va in cerca, col desiderio di rimanerne vittima. Evidentemente il Generale Antonio Gandin cercava la morte. La sua opera di comandante
si chiudeva in quel tragico momento. - Conosco bene i tedeschi! - aveva detto qualche
giorno prima, durante il combattimento, ad alcuni suoi ufficiali - se perderemo questa
lotta, ci fucileranno tutti”419. Il Maggiore Hirschfeld li riceveva con modi villani e, sentita
la traduzione della lettera, rispondeva con sprezzante freddezza: “Nessuna condizione.
Se volete resistere, fate pure. I miei cacciatori sono arrabbiati per la scarsa resistenza che
hanno incontrato e combatterebbero ancora volentieri”. Il Capitano Tomasi replicava
seccamente che il documento era chiarissimo: il Generale Gandin non poneva condizioni, ma offriva la resa solo per porre fine ad uno spargimento di sangue ormai privo di
scopo420. Il Maggiore Hirschfeld421 accordava la resa senza condizioni ed inviava il Sottotenente Bergman a Keramies allo scopo di definire le ultime modalità422. La riunione per
la resa durava circa due ore; quindi tutti gli ufficiali del comando di divisione deposero
sul tavolo del salone centrale le loro pistole, diventando da quel momento prigionieri di
guerra. Erano quasi le 16.00; espletate le ultime formalità, si ordinò il lungo corteo delle
automobili che aveva in testa quella degli ufficiali tedeschi, ed in coda una vettura con
militari tedeschi armati di mitragliatrici: il corteo si diresse verso il palazzo che aveva
ospitato il Comando Marina ad Argostoli. Ai prigionieri fu assegnato l’ultimo piano e la
soffitta; quando tutti furono sistemati, alla meno peggio, il Generale Gandin fece un giro
d’ispezione: passava in rivista, per l’ultima volta, con il volto contratto dal dolore, lo sparuto avanzo della sua gloriosa Divisione. La Battaglia di Cefalonia era finita423. Purtroppo
quando tutto era ormai concluso, partì, dal Comando Supremo, l’assicurazione che si
sarebbe fatto ogni possibile sforzo per inviare i mezzi aerei richiesti. Ed ebbe allora inizio
il massacro dei superstiti dell’eroica divisione. Avvenuta la resa il Maggiore Hirschfeld
aveva rivolto un proclama ai suoi soldati: “Miei alpini, le ventiquattro ore che seguono
ci appartengono”. Ma già in precedenza, a partire dal giorno 21 settembre, durante i
combattimenti, tutti gli italiani catturati erano stati trucidati sul posto in base a tassativi
ordini pervenuti dall’ OKW424.
Le perdite approssimative subite dalla Divisione “Acqui” sino al 22 settembre furono le
seguenti: 65 Ufficiali e 1.200 Sottufficiali e Truppa caduti in combattimento425; 155 Uf-
Il sacrificio della divisione di fanteria da montagna “Acqui” - Capitolo 6
133
ficiali e 4.700 Sottufficiali e Truppa trattati secondo gli ordini del Fuhrer a mano a mano
che venivano fatti prigionieri426. Fu conseguito l’annientamento di coloro che si erano
strenuamente difesi e che, giunti all’estremo, avevano dovuto arrendersi. Emerse tra tanti
la luminosa figura del valorosissimo comandante della fanteria divisionale della “Acqui”,
il Generale Edoardo Luigi Gherzi427: sorpreso con due tenenti colonnelli, al momento
del massacro si scoprì il petto, si pose sull’attenti, e gridò in faccia al nemico: “Viva l’Italia,
viva il Re” 428. Fra i tedeschi le perdite umane subite dopo il 16 settembre ammontavano
a cinquantaquattro morti, ventitré dispersi e centocinquantasette feriti a cui andrebbero
però aggiunti i circa centoquaranta morti del 909° battaglione granatieri da fortezza e
delle due motozattere colpite dall’artiglieria429.
6.2 La rappresaglia tedesca.
La sera del 22 settembre, alle ore 22.30, il Generale Lanz comunicava con un telegramma
al Comando Gruppo Armate Est, l’avvenuta distruzione della massa della Divisione “Acqui” chiedendo precisazioni circa le modalità da seguire contro il Generale Gandin, il suo
Stato Maggiore e i pochi rimasti430. Alle ore 08.00 dell’indomani mattina volava a Cefalonia e dato che continuava a non giungere alcuna disposizione circa il suo quesito su come
trattare i prigionieri, il suo stato maggiore inoltrò nuovamente la domanda ricevendo finalmente dal Comando del Gruppo Armate Est la seguente risposta: “Il Generale Gandin
ed i suoi comandanti responsabili devono essere immediatamente trattati in base all’ordine del Fuhrer. Con gli altri prigionieri si può procedere in modo più mite”. Il Generale
Comandante del XXII Corpo d’Armata da montagna, aveva quindi la possibilità di non
prendere misure punitive contro gli altri prigionieri; avrebbe potuto accontentarsi di far
fucilare un pugno di Ufficiali: ma ciò non avvenne431. Gli Ufficiali catturati dopo la resa
del 22 settembre furono rinchiusi in parte nella ex – Caserma Mussolini, e in parte nei
locali dell’ex – Comando Marina. La sera del 23 settembre, quando ormai i prigionieri
speravano nella fine delle ritorsioni e della rappresaglia, un sottufficiale tedesco li avvertì
che, il giorno dopo, sarebbero stati trasferiti in continente per un breve interrogatorio
e che, perciò, dovevano preparare il grosso dei loro bagagli da inviare a casa, e trattenere
solo l’indispensabile per il breve viaggio432. Nella stessa sera il Generale Lanz, d’accordo
con il Maggiore Hirschfeld decideva le misure da prendere e tra queste ordinava una corte marziale che condannò a morte il Generale Gandin e venti suoi ufficiali come responsabili di ammutinamento433. Alle ore 07.30 del giorno 24 settembre un ufficiale tedesco
si presentava nell’appartamento dove erano stati rinchiusi gli Ufficiali del Comando di
Divisione e prelevava il Generale Gandin. Nella strada il Generale saliva sulla sua stessa
macchina e, accompagnato da due sentinelle armate, si allontanava434. Primo fra gli Ufficiali ad essere fucilato, il Generale Gandin venne ucciso435 nella stessa mattinata presso
una villa isolata (“Casa Rossa”) nelle adiacenze di San Teodoro436. Neanche un’ora dopo,
quattro autocarrette prelevavano tutti gli Ufficiali rinchiusi nella palazzina della Caserma
134
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
Mussolini, ed altre due quelli che si trovavano insieme allo stesso Generale; gli Ufficiali,
che si erano avviati sulle autocarrette con un certo sollievo, pensando che – ultimato l’interrogatorio – sarebbero stati lasciati finalmente in pace, cominciarono a nutrire i primi
dubbi solamente quando, sorpassate le ultime case di Argostoli, constatarono che i mezzi
si addentravano nell’aperta campagna verso una zona deserta e rocciosa della penisola di
San Teodoro. Le autocarrette si fermavano poco distante dal faro, davanti al cancello di
una casetta disabitata, la cd. “Casetta Rossa”; una decina di soldati tedeschi già sul posto,
con l’elmetto da combattimento e le pistole mitragliatrici, fecero scendere gli ufficiali e
dopo averli minuziosamente depredati di ogni oggetto prezioso, li allinearono a ridosso
del muro di cinta della villa.
Non esisteva più alcun dubbio, nessuna illusione era possibile: i tedeschi avevano deciso
il massacro di tutti gli ufficiali superstiti437. Nella tragica scena che seguì apparve come
volontario protagonista una nobilissima figura di sacerdote, il coraggioso cappellano don
Romualdo Formato, del 33° Reggimento artiglieria.
Avrebbe potuto facilmente rifugiarsi in un ospedale o in un convento dopo la resa. Ma
quasi presago della sorte che attendeva i suoi compagni, non volle abbandonarli, e andò
spontaneamente incontro al sacrificio. In quel tragico mattino del 24 settembre, la sua
presenza sul campo della morte influì beneficamente sugli animi dei condannati, molti
dei quali, dopo un breve colloquio con il sacerdote, mentre andavano verso la morte,
avevano sul volto una raggiante serenità438.
Alla sua mente di sacerdote sembravano ritornare “i primi tempi del cristianesimo, quando i fedeli che venivano uccisi in odio alla fede,… si raccoglievano in preghiera, attorno
al sacerdote benedicente. Tutti infatti si gettano in ginocchio… Molti hanno le mani
levate al cielo…molti levano dal portafoglio le foto dei loro cari e le mostrano ai vicini…”439. Intanto le autocarrette con altri gruppi di ufficiali continuavano a giungere.
Tutti, non appena scendevano davanti alla “Casa Rossa”, divenivano immediatamente
consci del destino che li attendeva. I tedeschi avevano fretta, una voce secca gridò ad un
tratto: “Fuori otto!”.
Spontaneamente uscirono fuori dalle file una quindicina di ufficiali: se si deve morire, se
questo doveva essere il tragico e ineluttabile destino di chi era colpevole solo di aver ubbidito agli ordini dei suoi superiori, molto meglio affrettarsi e mettere fine al tormento.
Gli Ufficiali vennero condotti a circa trecento metri di distanza, su una radura declinante
verso il mare dove era già pronto un plotone di esecuzione: la carneficina iniziava440.
Esempio di fierezza e di dignità, come sempre, fu il Colonnello Mario Romagnoli441,
lo strenuo sostenitore della lotta ad oltranza ai tedeschi. Attorniato dai suoi Ufficiali, in
attesa della morte, fu il padre di tutti. Consolava i più sgomenti, lodava i più coraggiosi,
aveva parole di affetto per tutti; improvvisamente si ricordò di una borsa dimenticata in
un angolo; la raccolse e, sorridendo, distribuì a tutti dei dolci, dicendo: “…che i tedeschi
vedano come gli Ufficiali italiani sanno morire!” Poi accesa la pipa si avviò con il primo
gruppo di otto verso il plotone di esecuzione442. A quattro, a otto, a dodici per volta, senza
un ordine, senza che i tedeschi si preoccupassero di tenere un elenco delle loro vittime,
Il sacrificio della divisione di fanteria da montagna “Acqui” - Capitolo 6
135
gli Ufficiali italiani venivano portati davanti al plotone di esecuzione. In quell’atmosfera
allucinante don Formato visse quattro ore incredibili: tutti si rivolgevano a lui, tutti gli
consegnavano i portafogli, le fotografie dei genitori o della moglie o dei figli, la fede
nuziale o qualunque oggetto d’oro. Nella quasi totalità, soprattutto durante le prime due
ore, i nostri ufficiali andavano sereni e calmissimi davanti al plotone di esecuzione; poi
minuto dopo minuto, l’orrore del massacro e l’insopportabile tensione stroncavano la
resistenza morale dei più deboli. Finalmente, sopravvenuta una tremenda stanchezza, i
morituri si accasciavano per terra o si appoggiavano esausti al muro della “Casa Rossa”
attendendo il loro turno443. L’ultimo pensiero del Sottotenente Gianni Clerici444 fu per la
Patria; mentre si avviava al supplizio, gridò con voce strozzata: “Addio amici. Viva l’Italia!” e giunto davanti al plotone di esecuzione, prima di morire intonò la “Canzone del
Piave”, stroncata da una raffica di mitra445. I tedeschi non ebbero riguardo per nessuno;
un tentativo di don Formato perché fossero scampati dal macello alcuni Ufficiali del
commissariato, della sussistenza, della guardia di finanza e dei carabinieri reali non ottenne alcun frutto446.Caddero così con grande dignità, in quel tragico 24 settembre, ben
129 Ufficiali italiani, solo uno sparuto numero di 37 Ufficiali, per ragioni diverse, venne
risparmiato dalla morte. Durante l’angosciosa attesa (la fucilazione durò circa quattro ore)
non tutti gli Ufficiali persero le speranze: sembrava assurdo che non si verificasse alcun
evento che interrompesse il macabro iniquo rito sacrificale; coltivarono la speranza i più
terrorizzati, e i più attaccati alla vita, i meno temerari, i più fortunati; fatto sta che, per
alcuni di loro, arrivò il momento della salvezza447. Infatti mentre le fucilazioni continuavano con un ritmo agghiacciante, il Tenente Colonnello Uggé si avvicinò all’ufficiale
tedesco mostrandogli una fotografia che lo ritraeva vicino al Duce: precisava di aver fatto
sempre il proprio dovere, di aver sempre ubbidito, e anche in quella circostanza era stato
semplicemente un soldato; le sue parole fecero presa e venne messo in disparte. Il suo
esempio veniva seguito da altri dodici Ufficiali, tra i quali il Colonnello Ricci, che in tal
modo riuscirono ad aver salva la vita448.
Con tale stratagemma si salvarono 14 Ufficiali, a cui se ne aggiunsero altri 12449, trentini
e giuliani450 ed un terzo gruppo, la cui salvezza fu attribuita in gran parte alla stanchezza
degli stessi tedeschi, che da diverse ore stavano uccidendo senza ragione, ed incominciavano ad essere nauseati del sangue fatto scorrere, e, infine dalla constatazione che qualche
altro era già stato risparmiato. I superstiti furono poi trasferiti con le medesime autocarrette che li avevano prelevati al mattino, ad Argostoli e rinchiusi in alcuni locali della
ex mensa del Comando di Divisione: erano esattamente le 17.00 del 24 settembre, la
giornata più lunga e più drammatica della vita dei 37 Ufficiali scampati alla carneficina451.
6.3 Gli ultimi eccidi ed il tentativo di far scomparire le prove.
Quel medesimo giorno, 24 settembre, il bollettino452 del Comando Supremo Tedesco
(Oberkommando der Wehrmacht) comunicava al mondo: La Divisione italiana “Acqui”
136
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
che presidiava l’isola di Cefalonia, dopo il tradimento del Governo Badoglio, aveva rifiutato di deporre le armi e aveva aperto le ostilità. Dopo azione di preparazione svolta
dall’arma aerea, le truppe tedesche sono passate all’attacco, hanno infranto la resistenza
dell’avversario e hanno conquistato la città portuale di Argostoli. Oltre ai quattromila
uomini che hanno deposto le armi nel momento opportuno, il grosso della Divisione,
compreso il suo Stato Maggiore, è stato annientato in combattimento453. Intanto la notizia delle fucilazioni a San Teodoro non tardò a spargersi nella città di Argostoli soprattutto attraverso gli autisti che erano obbligati a far la spola tra la città e San Teodoro stesso, e
la sera uno di questi la portò anche al 37° ospedale dove vi erano ancora undici Ufficiali
ricoverati o rifugiati454. Nella notte fra il 24 ed il 25 settembre, fuggivano dal 37° Ospedale da campo, attraverso una breccia del muro di cinta, due ufficiali italiani in seguito
identificati nel Capitano Mario Bianchi e nel Tenente Edgardo Benedetti, entrambi della
10^ compagnia del 17° Reggimento fanteria, della quale il Capitano era il comandante. I
tedeschi, scoperta la fuga sin dal primo mattino, prelevarono per rappresaglia, sette455 dei
nove ufficiali ricoverati e li portarono a San Teodoro dove vennero barbaramente fucilati.
I due graziati, il Capitano Hengeller ed il Cap. Neri, furono salvati grazie all’intervento
del cappellano militare don Luigi Ghirlandini e del console italiano Vittorio Seganti456.
Con questa ennesima esecuzione il numero delle vittime della barbarie teutonica contro
gli Ufficiali della Divisione “Acqui” saliva a 325, di cui 136 fucilati alla “Casa Rossa” nei
giorni 24 e 25 settembre, e 189 uccisi immediatamente dopo i combattimenti e con i 65
Ufficiali caduti durante la battaglia, le perdite complessive salirono a 390 Ufficiali su 525
presenti l’8 settembre nei quadri della “Acqui” nell’isola di Cefalonia457.
Chiusi i massacri degli Ufficiali, i cappellani militari presenti nell’isola cercarono in ogni
modo di poter compiere il loro dovere: dare sepoltura alle salme458 dei caduti. Ottennero sempre un tassativo diniego. E quando un comandante tedesco dell’isola, più
comprensivo degli altri, inoltrò ai superiori comandi esplicito quesito in proposito, si
vide rispondere che “gli italiani della Divisione “Acqui” morti a Cefalonia, essendo caduti come ribelli badogliani, non avevano diritto a sepoltura”. Ma accanto al perseguito
oltraggio ai cadaveri era chiaro il desiderio, da parte tedesca, di occultare il misfatto459.
Infatti in qualche caso i tedeschi avevano provveduto a coprire le salme facendo brillare
delle mine nei pressi dei luoghi di esecuzione; mentre, per quelle abbandonate all’aperto,
fecero ricorso al fuoco, dopo averle cosparse di benzina. Per diversi notti il cielo sull’isola
fu illuminato da roghi che apparivano qua e là nei luoghi dei combattimenti, lungo le
dorsali delle montagne, nelle vallate, ammorbando l’aria di vapori puzzolenti e di odore di carne bruciata460. Ma non tutte le salme subirono questa sorte: per le salme degli
ufficiali fucilati il 24 mattina, a San Teodoro, presso la cosiddetta “Casa Rossa” si seguì
un procedimento particolare, sempre allo scopo di cancellare ogni traccia del massacro.
Nei giorni successivi all’eccidio, di notte i corpi furono fatti riesumare, sotto la minaccia
dei mitra, da una squadra di diciassette marinai e trasportati con tre automezzi e relativi
autisti461 a bordo di motozattere e quindi dispersi nel mare al largo dell’isola di Vardiani,
all’ingresso del porto di Argostoli462.
Il sacrificio della divisione di fanteria da montagna “Acqui” - Capitolo 6
137
Perché il mare non restituisse le spoglie, il Comando del XXII Corpo d’Armata tedesco
aveva diramato l’ordine di appesantirle, prima di affondarle, con il filo spinato e altro materiale di recupero. Il macabro lavoro durò due notti; alla seconda notte, svuotate le fosse,
i tre autisti vennero fatti rientrare nel campo di concentramento, mentre dei diciassette
marinai si persero le tracce463.
I marinai464, che erano stati forzatamente adibiti a quel pietoso e macabro disseppellimento, vennero fucilati e sepolti sommariamente in una delle fosse dalla quale essi stessi
avevano tolto le salme degli ufficiali; dei tre autisti, uno solo, cioè il Sabattini, riuscì a
salvarsi; gli altri due, entrambi modenesi, Nasi e Jotti di nome morirono più tardi in un
campo di concentramento in Germania465.
Alla fine di settembre restavano in vita 5.000 militari italiani, le vittime della repressione
tedesca furono intorno ai 6.500466 (in allegato “E” la mappa delle rappresaglie).
6.4 I superstiti.
Ultimati i combattimenti e i massacri, rimanevano ancora in mano tedesca circa cinquemila prigionieri: i soldati erano smistati tra l’ex caserma “Mussolini” e le carceri civili
di Argostoli; gli Ufficiali (oltre un centinaio) vennero ristretti nell’ex Comando Marina.
Altri 150 – 200 militari avevano cercato rifugio presso famiglie greche, che li nascondevano correndo rischi per le severe sanzioni minacciate dai tedeschi; altri ancora avevano
riparato presso le organizzazioni partigiane attive sull’isola467. Il cibo fornito ai prigionieri consisteva in un pane spugnoso e nero fatto con gli ingredienti più eterocliti (financo
con la segatura) e in una certa erba secca, appena inumidita in scarsa acqua; da bere quasi
nulla: l’acqua era ridotta a qualche sorso a testa. Per la maggior parte erano scalzi, perché
i tedeschi facevano particolarmente la caccia alle scarpe; senza giacche, senza biancheria,
qualcuno addirittura senza pantaloni, molti in maniche di camicia e senza cappello sotto
un sole cocentissimo. Gli organismi così debilitati erano falciati dalle febbri malariche e
dalla dissenteria468. D’altra parte quei militari rappresentavano una buona scorta di mano
d’opera, che i lunghi e logoranti anni di guerra rendevano estremamente preziosa; per
questo il Generale Lanz ordinò i trasferimenti verso l’Europa centrale, precisando che si
doveva avere cura che lo spazio disponibile fosse sfruttato al massimo possibile469. Il 28
settembre470 il primo piroscafo, Ardena, carico di prigionieri oltre ogni limite di sicurezza
affondò su una mina poco a sud di Argostoli, a 800 metri da riva. Si salvarono tutti e 60
tedeschi imbarcati, ma soltanto 120 degli 840 prigionieri chiusi nelle stive. Il 13 ottobre
un secondo piroscafo, Margherita, fu affondato in alto mare da una mina con la morte di
544 dei 900 prigionieri imbarcati (e di 5 dei 25 tedeschi). Riuscirono invece a raggiungere il porto di Atene altri quattro piroscafi con quasi 4.500 uomini, partiti da Argostoli
tra il 13 ottobre ed il 2 novembre, e due motovelieri con 102 uomini a fine anno. Un
terzo ed ultimo affondamento si ebbe il 6 gennaio con un numero imprecisato di morti,
certamente meno di cento, poiché si trattava del motoveliero Alma di limitate capacità di
carico. In Totale i prigionieri partiti da Cefalonia furono 6.316, i morti durante i trasporti
138
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
1.264; tenendo conto dei prigionieri affondati con l’Alma, i totali salgono a circa 6.400 e
1350. Di questi 6.400, circa 2.550 provenivano da Zacinto, gli altri, poco meno di 4.000,
da Cefalonia471. Quelli che giunsero sul Continente, furono smistati nei diversi campi di
concentramento dell’Europa centrale e orientale. Conobbero le asprezze di Auschwitz,
Dachau, Heuber, Mathausen, Shokken, Zeithan, Frankenheim, Borisdorf….472; se riconosciuti come soldati della “Acqui”, venivano sottoposti ad angherie e maltrattamenti
da parte dei carcerieri, già poco teneri con gli altri; molti perirono per malattie, per la
fame o contrassero la tubercolosi. Ma le sofferenze accrescevano lo spirito di solidarietà e
cementavano gli animi dei superstiti della Divisione martire473. A Cefalonia rimase poco
più di un migliaio di prigionieri474; con questi soldati il Comando tedesco costituì dei
reparti organizzati: due compagnie di lavoro, alla cui testa pose il Capitano Tomasi e due
batterie guidate dal Capitano Renzo Apollonio e dal Tenente Aldo Diamantini. A costoro
si aggiunse il reparto di jugoslavi, per l’esattezza sloveni, che erano al seguito della “Acqui” in qualità di compagnia di lavoro475. Furono lunghi mesi di fatica, di fame, di isolamento, con un regime disciplinare pesante, ma non più terroristico. La popolazione, che
con gli italiani aveva avuto buoni rapporti, era terrorizzata, con una forte componente
di collaborazionisti. I partigiani erano pochi e prudenti, intenti soprattutto a recuperare
armi per la guerriglia che continuava sul continente. All’inizio del settembre 1944 le
forze tedesche sgombrarono Cefalonia, in cui subito si contrapposero vivacemente le
formazioni partigiane dell’ELAS, di orientamento comunista, e la missione militare del
governo monarchico greco, sostenuta dagli inglesi. I militari italiani furono riuniti in un
“Raggruppamento banditi “Acqui”, agli ordini del Capitano Renzo Apollonio e forte
di circa 1.300 uomini, in parte provenienti dal continente, che si appoggiò alla missione
del governo greco ed agli inglesi. Il 12 novembre il grosso del raggruppamento, armato
e inquadrato, si imbarcò per l’Italia, salvo un centinaia di uomini che partirono volontari
per combattere sul continente con i partigiani comunisti. In via di larga approssimazione,
dei 5.000 militari della “Acqui” sopravvissuti ai massacri del settembre 1943 meno di
3.500 tornarono in patria476. Nel momento in cui le navi (l’11 novembre erano giunti
ad Argostoli i cacciatorpediniere “Artigliere” e “Legionario”, e cinque mezzi da sbarco
della Marina inglese) attraccarono alla banchina di Taranto, al Capitano Apollonio fu
consegnato, dal Comandante del Presidio, il seguente messaggio, inviatogli dal Ministro
della Guerra, on. Alessandro Casati: “Al Capitano Apollonio, A nome Esercito Italiano,
Governo e Paese, porgo a S.V., ai vostri valorosi soldati della Divisione “Acqui”, il plauso
riconoscente per le eroiche gesta compiute contro secolare nemico da voi, che addito
alla riconoscenza del Paese. Plaudo anche per azione svolta al fianco degli alleati”477. Un
anno dopo, il 13 settembre 1945, con il Comunicato Straordinario della Presidenza del
Consiglio dei Ministri fatto diramare da Ferruccio Parri, tutta la “Acqui” con i suoi 9.000
caduti e con i suoi gloriosi superstiti, veniva additata alla riconoscenza della Nazione478.
Il sacrificio della divisione di fanteria da montagna “Acqui” - Capitolo 6
139
6.5 La riconoscenza della Patria.
Per il comportamento delle unità vennero conferite le Medaglie d’Oro al Valor Militare
alle Bandiere del 17° Reggimento fanteria, del 317° Reggimento fanteria e allo Stendardo del 33° Reggimento artiglieria. Tra le ricompense individuali furono conferite quattordici Medaglie d’Oro, ventinove Medaglie d’Argento e 23 Medaglie di Bronzo al Valor
Militare. Meritano profonda riflessione, specialmente fra le giovani generazioni, le motivazioni delle Medaglie d’Oro concesse alle Bandiere e alla Stendardo dei reggimenti479.
Alle Bandiere del 17° e 317° Reggimenti di fanteria “Acqui”:
“Nella gloriosa e tragica vicenda di Cefalonia con il valore ed il sangue dei suoi fanti, per
il prestigio dell’Esercito Italiano e per tener fede alle leggi dell’onore militare, disprezzò
la resa offerta dal nemico, preferendo affrontare in condizioni disperate una impari lotta
immolandosi in olocausto alla Patria lontana”. Cefalonia, 8 – 25 settembre 1943.
Allo Stendardo del 33° Reggimento artiglieria “Acqui”:
“Nella gloriosa e tragica vicenda di Cefalonia, con il valore ed il sangue dei suoi artiglieri, primi assertori della lotta contro i tedeschi, per il prestigio dell’Esercito Italiano e per
tener fede alle leggi dell’onore militare, disprezzò la resa offerta dal nemico, preferendo
affrontare in condizioni disperate una impari lotta immolandosi in olocausto alla Patria
lontana”. Cefalonia, 8 – 25 settembre 1943.
La storia di Cefalonia si conclude con un riconoscimento tributato in data 18 novembre 1991 dal Ministero della Difesa ai combattenti, ai Caduti, e ai superstiti, che
presero parte all’epica battaglia nelle Isole Ionie nel settembre 1943, contro i tedeschi.
Il provvedimento ha un precedente nel Decreto dell’11 agosto 1949 del Ministro della
Difesa, che aveva tributato ai componenti della Marina Argostoli un Encomio solenne
con la seguente motivazione:
“Nella gloriosa e tragica vicenda di Cefalonia, quale componente della difesa militare
dell’isola, agli ordini del Capitano di Fregata Mastrangelo – Medaglia d’Oro al Valor
Militare – sprezzava la resa offerta dal nemico e affrontava l’avversario in aspri combattimenti. Dopo tredici giorni di impari lotta, all’estremo delle risorse, cedeva alle soverchianti forze nemiche, che effettuavano inesorabilmente rappresaglie sui difensori”
– Cefalonia, 9 – 24 settembre 1943.
La determinazione del Ministro in merito alla concessione dell’Encomio Solenne, era del
31 gennaio del 1947; il Decreto relativo venne emanato l’11 agosto 1949 e l’estensione
ai Caduti e superstiti dell’Esercito effettuata il 18 novembre 1991. Ecco la motivazione
del decreto ministeriale:
“Nella gloriosa e tragica vicenda di Cefalonia, quale componente della difesa militare
terrestre dell’isola, affidata alla Divisione di fanteria da montagna “Acqui” e relativi
supporti, in un impeto di sublime dedizione alla Patria, ispirata alla legge del dovere e
dell’onore ed a insopprimibile fremito di libertà, sprezzava la resa offerta dal nemico e
affrontava l’avversario in aspri e sanguinosi combattimenti, rinnovando le gesta degli eroi
del Risorgimento. Dopo tredici giorni di impari lotta, all’estremo delle risorse, veniva
140
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
sopraffatto da soverchianti forze aeroterrestri nemiche che effettuavano inesorabili rappresaglie”. Cefalonia, 8 – 24 settembre 1943.
I superstiti, anche a nome di coloro che, nel corso dei quasi cinquant’anni intercorsi dalla
drammatica battaglia, hanno raggiunto i commilitoni della lotta allora intrapresa nelle
isole ioniche per la libertà e l’onore militare, hanno ringraziato il Governo per aver finalmente reso giustizia a uomini liberamente sacrificatisi perché la Patria vivesse480.
Più i giorni passano, più i fatti di Cefalonia vengono misurati coll’inesorabile metro della
critica e più, dallo scetticismo critico vengono frugati e posti in dubbio, più acquistano
tono di alto sacrificio e di perspicuo valore. Bisogna quasi credere ad una giustizia del
destino: questo nostro Esercito – su cui l’8 settembre riversò tale contemporanea valanga
di avversità quale nessuna compagine umana avrebbe potuto sostenere – ha rivendicato
il suo valore offrendo, all’Italia e al mondo, Cefalonia481.
Il sacrificio della divisione di fanteria da montagna “Acqui” - Capitolo 6
141
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 165.
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 449.
412
M.Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 2003, op. cit., p. 485.
413
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 165.
414
Il Comando di divisione si era trasferito nella notte sul 22 a Keramies, un villaggio
nei pressi di Metaxata.
415
A. Caruso, Italiani dovete morire, op. cit., p.206-207.
416
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 57.
417
Il Colonnello Ricci aveva raggiunto nella tarda mattinata il comando di divisione, così riferì più
tardi: “Trovai il Generale Gandin nel suo ufficio, seduto alla scrivania. Mi accolse molto benevolmente.
Da più ore era completamente all’oscuro della situazione, nonostante avesse inviato dappertutto
staffette. Nessun mezzo di collegamento funzionava. Quando i tedeschi furono vicinissimi al
paese, il Generale alzatosi, fece alcuni passi per la stanza; era meditabondo, passeggiò ancora
senza proferire parola. Ad un cero punto si avvicinò risolutamente alla scrivania, si rimise a sedere
e, preso un biglietto di carta vergò con la matita tascabile poche righe (….)”
(G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p.119).
418
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p. 101.
419
R. Formato, L’Eccidio di Cefalonia, op. cit., p. 65-66.
420
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 120.
421
Nel suo rapporto conclusivo il Maggiore Hirschfeld elencò il seguente bottino: una batteria di
cannoni da 155mm, tre batterie obici da 155mm, tre batterie di cannoni da 105mm,
tre batterie obici da 100mm, una batteria di obici da 75mm, due batterie di cannoni da 75mm,
quattro cannoni da 70mm ed una batteria di cannoni da 65mm. A queste armi, appartenute
all’Esercito, andavano aggiunte: una batteria di cannoni da 152mm ed una di cannoni da 120mm,
entrambe dell’artiglieria di marina. In tutto erano sessantotto bocche da fuoco. Per quanto riguarda
l’artiglieria contraerea caddero in mano tedesche: due batterie da 75mm, una batteria da 76mm
e nove cannoncini a tiro rapido da 20mm. I pezzi anticarro di cui si erano impadroniti erano:
otto cannoni da 75mm ed otto calibro 47mm. Inoltre andavano annoverati anche ventiquattro
mortai pesanti (da 81mm) e sessanta leggeri (calibro 45 mm), centodieci mitragliatrici pesanti e
duecentotrentasei fucili mitragliatori, nonché diecimila tra moschetti e fucili
(G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 166-167).
422
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op.cit., p. 464.
423
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p. 101-102.
424
M.Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 2003, op. cit., p.486487.
425
Sulle perdite subite in combattimento dai reparti della “Acqui”, oltre quelle dovute alle azioni
aeree – compresi gli eccidi di Ufficiali, Sottufficiali e Soldati, compiuti sulle posizioni strenuamente
difese, dopo la loro conquista – sono da ricordare tanti sanguinosi episodi, fra i quali: la semidistruzione
del II Battaglione del 17° Reggimento fanteria presso Troianata (circa 900 uomini, comprendenti fanti, artiglieri della contraerea, genieri e finanzieri, ammassati e falciati con le mitragliatrici);
1
411
142
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
le perdite del 317° Reggimento fanteria presso Phrankata (più di 560 uomini) e Divarata (400
uomini); l’annientamento di molti fanti e artiglieri a Passo Kulumi; il massacro a Pharsa (circa
700 uomini); l’olocausto di 180 artiglieri caduti a Dilinata; l’uccisione di 17 artiglieri sul Monte
Lupo; le gravissime perdite riportate dal 317° Reggimento fanteria ed altri reparti sul Rizocuzolo e
presso ponte Kimonico (circa 1.000 uomini); la uccisione di numerosi marinai, le cui salme
furono poi gettate in mare, a Pharsa e ad Acropoli; l’eccidio di S. Barbara (tutto il comando del
17° Reggimento fanteria, con il comandante,Tenente Colonnello Cessari); la uccisione di una
ventina di soldati presso Lurdara, di circa cinquanta soldati presso Lakitra e di più di venti soldati
sulla via di Minies (M.Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 2003,
op. cit., p.488).
426
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 120.
427
Gherzi Luigi, nato il 1889 ad Alessandria, Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente
motivazione: “Comandante di fanteria di una Divisione dislocata oltremare, nella difficile
situazione politico-militare conseguente all’armistizio, affiancava con fermezza il suo comandante
nell’attuare la decisione di non cedere le armi, pur conscio di tutte le conseguenze che tale decisione
comportava. Iniziatasi la lotta, fu sempre sulla linea di combattimento in mezzo ai suoi fanti, che,
forte del suo alto prestigio, incitava con azione energica alla resistenza ad oltranza, costante esempio
di cosciente valore. Catturato dai tedeschi al suo posto di comando tattico, fu soppresso tra i primi,
perché ritenuto responsabile dell’atteggiamento ostile delle nostre truppe. Affrontò la fine con
grande serenità e fierezza e con espressioni di disprezzo per i suoi esecutori, concludendo in modo
mirabile la lunga vita di dedizione al dovere ed alla Patria ed assurgendo, per quelli che nel tragico
epilogo della vicenda lo seguirono nel sacrificio, per i superstiti e per le generazioni future, ad eroico
simbolo dell’onore militare” - Cefalonia, 9 – 22 settembre 1943 (G. Carolei, Le Medaglie
d’oro al Valor Militare, op. cit., p. 323-324).
428
M.Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 2003, op. cit., p. 487.
429
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 120.
430
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 473.
431
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 169.
432
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 476.
433
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 59.
434
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p. 104.
435
La sua salma, per quante ricerche siano state fatte, non è mai stata trovata, probabilmente, in
esecuzione delle precise direttive del Generale Lanz, venne affondata in mare al largo di capo
S.Teodoro. A tale proposito la Missione Militare Italiana, guidata dal Ministro Plenipotenziario
Carlo A. de Vera d’Aragona, inviata a Cefalonia nel 1948 per esaminare la situazione delle
salme dei militari caduti, riferì che: “la Missione ebbe ad interessarsi, per conoscere se il Generale
Gandin fosse stato effettivamente fucilato per primo alla “Casa Rossa”, alle ore 07.30 della
mattina del 24 settembre. La notizia è risultata esatta, per l’ora e per la data, ma non per la
località. Dobbiamo pertanto attenerci alla dichiarazione fatta, a suo tempo, dal Tenente Colonnello
Il sacrificio della divisione di fanteria da montagna “Acqui” - Capitolo 6
143
medico Antonio Briganti, che ebbe conoscenza dal Tenente medico Helmota, della fucilazione del
Generale Gandin, avendo egli, per dovere d’ufficio, dovuto accettarne la tragica fine”. Per quanto
concerne la località, si possono fare alcune ipotesi:
- diversi civili hanno visto il Generale Gandin, prelevato da un ufficiale tedesco, salire su un
automezzo di quest’ultimo, scortato da due sentinelle; il veicolo imboccò la strada che porta a
San Teodoro, e da quel momento non fu più veduto;
- alcuni soldati tedeschi avevano indicato ai nostri soldati Capo San Teodoro come il luogo di
esecuzione del Generale;
- la zona di San Teodoro, brulla, disabitata (ad eccezione della “Casa Rossa”, che però è isolata
sulla punta che s’insinua nel golfo), è particolarmente adatta al tipo di operazione, vicina alla c
città, ma pur lontana da occhi indiscreti (G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero.
Grecia continentale e isole dello Jonio, op. cit., p. 478-479).
436
M.Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 2003, op. cit., p. 489.
437
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p. 105.
438
Triarus, La Tragedia di Cefalonia , Roma, Pinnarò, 1945, p. 34.
439
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 480.
440
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p.107.
441
Romagnoli Mario, nato il 1896 a Roma. Colonnello s.p.e. artiglieria, comandante del 33°
Reggimento artiglieria, Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione:Tenace
sostenitore della lotta contro i tedeschi, durante la battaglia di Cefalonia sotto il furioso spezzonamento
e mitragliamento aereo, trascinava i suoi soldati ad una titanica lotta destando l’ammirazione dei
suoi superiori e dei gregari per le sue eccezionali doti di capacità e per la sua audacia. Dopo
disperata resistenza, travolte dalla potenza nemica tutte le batterie, veniva catturato. Affrontava
la morte dinanzi al plotone di esecuzione con sprezzante e fiero contegno, meritando la gloria dei
martiri”. – Cefalonia, 11-25 settembre 1943 (G. Carolei, Le Medaglie d’oro al Valor Militare,
op. cit., p. 328-329).
442
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 481.
443
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p. 108.
444
Clerici Gianni, Sottotenente di fanteria, Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente
motivazione: “Già proposto dal Generale Comandante la Divisione “Acqui” per la concessione
di medaglia d’argento al V.M. sul campo per il suo eroico comportamento in combattimento. Fatto
prigioniero ed in procinto di essere fucilato insieme ad altri ufficiali, col suo contegno e la sua parola,
animato dal suo spirito eroico, fu di valido sostegno morale per i compagni nel breve periodo di
attesa. In segno di sfida e di disprezzo verso il nemico che, violando ogni diritto e tradizione, osava
fucilare dei soldati prigionieri, col sorriso sulle labbra, si presentò davanti al plotone di esecuzione
cantando l’inno del Piave” – Cefalonia, 2settembre 1943 (Stato Maggiore dell’ Esercito – Ufficio
Storico, Cefalonia, op. cit., p.22).
445
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 481.
144
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p. 115.
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 482.
448
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p. 116.
449
Tra questi il Sottotenente Arturo Loranti, nato a Rovereto nel 1920, ufficiale di complemento nel
1941 della compagnia cannoni da 47/32 del 317° Reggimento fanteria, di presidio a Zacinto
nel 1942-43, poi a Cefalonia. Loranti prese parte ai combattimenti con il suo plotone cannoni
dislocato a Razata, fu fatto prigioniero la mattina del 23 settembre e portato ad Argostoli con
gli altri ufficiali. Ecco la sua testimonianza sulle fucilazioni degli ufficiali il 24 settembre: “Ci
portarono verso la periferia di Argostoli, in una località chiamata “casetta rossa”, dove c’era una
villa con un muro di cinta. Scesi dagli automezzi, entrammo dal cancello e vedemmo alcuni nostri
colleghi tenuti a bada da un cordone di tedeschi con il fucile mitragliatore. Appena entrati ci venne
incontro il cappellano del 33° Reggimento artiglieria don Romualdo Formato, che ci disse: Cari
ragazzi, è la fine. Allora gettammo in un mucchio le nostre cose che avevamo, ormai inutili. Ci
fece inginocchiare e poi diede l’assoluzione in articolo mortis. I tedeschi ci insultavano continuamente:
Traditori e ci invitavano ad uscire 4, 8, 12 alla volta salendo su nostre autocarrette, che ci portavano
al posto di esecuzione, la punta di San Teodoro a circa 200 metri in riva al mare, calmo come
l’olio. Il Plotone di esecuzione era formato da una squadra di 24 soldati tedeschi, dei quali 9 a
turno, (8 con il fucile e un altro in mezzo con il fucile mitragliatore) eseguivano la fucilazione di
4 Ufficiali alla volta, poi il sottufficiale tedesco passava per dare il colpo di grazia. Noi sentivamo
intanto le scariche che uccidevano i nostri colleghi appena usciti. Ore eterne per noi che nell’attesa
ci aggrappavamo con tutte le forze della disperazione a un’ultima inverosimile speranza o rassegnati
all’inevitabile ci si sforzava di conciliare il pensiero della fine imminente colla propria disperata
volontà di vita e il pensiero dei nostri cari. Nessuno parlava; intorno a me vedevo volti pallidi così
come doveva essere il mio. Il cuore mi batteva in gola.Verso le 11.00 non potendo più resistere
alla tensione, uscii e salii sull’autocarretta. Arrivato al posto dell’esecuzione diedi al sottufficiale
tedesco il mio nome e grado: Leutnant Arturo Loranti; ich wohne in Rovereto,Trient, Provinz
Sud Tirol. Ascoltata la mia dichiarazione mi fece riaccompagnare indietro da un soldato fino al
lato posteriore della villa, dove trovai altri 8 Ufficiali trentini e triestini: i Capitani Tomasi, Postal
e Fontana e il Sottotenente Rigo, era arrivato l’ordine che i nativi di Trento, Bolzano,Trieste e
Belluno, cioè il territorio chiamato dai tedeschi Alpenvorland, avevano salva la vita per grazia del
Comando tedesco” (G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p.196-197).
450
Dopo l’8 settembre 1943, il territorio del Sud Tirolo fu considerato annesso al Reich; perciò gli
ufficiali nati nel territorio dovevano essere risparmiati dalla fucilazione.
451
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 483-484.
452
Il bollettino tedesco travisava spudoratamente la realtà; l’unica verità si riferiva al comportamento
della “Acqui”, che, aveva rifiutato di deporre le armi, come d’altra parte era suo dovere.
Contrariamente a quanto affermato nel bollettino, l’apertura delle ostilità avvenne ben prima del
15 settembre, e ad opera dei tedeschi, quando tentarono di modificare lo status quo nell’isola
(e lo tentarono parecchie volte) o quando aggredirono le batterie dislocate a Lixuri e, con la
446
447
Il sacrificio della divisione di fanteria da montagna “Acqui” - Capitolo 6
145
minaccia delle armi le disarmarono. Le azioni di preparazione da parte dell’aviazione, in realtà
erano state vere e proprie azioni di bombardamento e di mitragliamento che, dall’alba al tramonto,
ad ondate alterne, 20-30 Stukas, in perfetta sincronia con i reparti a terra, condussero sui reparti
della “Acqui” bloccandoli sui fronti che non superavano i 500 metri e spesso privi di protezione.
Essi cercarono di minimizzare tutto: operarono un taglio di 2.500 uomini sulla forza effettiva
della “Acqui”, che calcolavano in 9.000 unità ( 4.000 fucilati o trattati secondo gli ordini di
Hitler, e 5000 che, secondo loro, si erano arresi in tempo o in precedenza); nel cosiddetto annientamento,
i tedeschi comprendevano, oltre ai 65 ufficiali ed i 1.250 soldati caduti in combattimento, i 189
ufficiali e i 5000 soldati circa, massacrati immediatamente dopo gli scontri, e i 136 ufficiali fucilati
alla “Casa Rossa”, fra i quali il generale Gandin. Anche padre Formato sostiene che “non è
vero che 4.000 uomini hanno deposto le armi al momento opportuno”, e che siano stati per
questo motivo risparmiati dalla morte, né tanto meno è vero che “il resto della Divisione ribelle,
compreso lo Stato Maggiore di essa, fu annientato in combattimento”.
“La verità è che l’intera Divisione, dopo aver combattuto fino all’estremo limite delle sue forze, fu
sopraffatta, e, per ordine del suo Generale, si arrese. E in seguito alla resa si verificò la rappresaglia
tedesca…” (G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole
dello Jonio, op. cit., p. 498-500).
453
G. Lombardi, L’8 Settembre fuori d’Italia, op. cit., p. 177-178.
454
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p. 127.
455
Essi sono: Il Maggiore Federico Filippini di Roma, comandante del Genio, il suo Aiutante
Maggiore tenente Goffredo Fraticelli, il Tenente Domenico Cirillo, comandante della 9^ com
pagnia del 317° Reggimento fanteria ferito in combattimento a Padiera, il Capitano Giovanni
Serafini, comandante la batteria della Marina di Minies, che risultò tanto ostica ai tedeschi il 15
settembre durante il tentativo di sbarco, il Sottotenente Lelio Triolo ed il Sottotenente Vito La
Sala, entrambi della Guardia di Finanza ed inoltre il Sottotenente Valentino Zanello
del 317° reggimento fanteria.
456
O. G. Perosa, Divisione Acqui, figlia di nessuno – Cefalonia e Corfù settembre 1943, op. cit., p.87.
457
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 485.
458
Odori disgustosi rendevano l’aria irrespirabile diffondendosi nell’isola, in particolar modo nelle
zone percorse dalle colonne tedesche. Essi erano causati da cadaveri in putrefazione dei militari
italiani, per i quali i tedeschi avevano impedito ogni tentativo di sepoltura. Malgrado il divieto, i
greci avevano provveduto a seppellire alcuni cadaveri, trovati vicino alle loro abitazioni,
o a nasconderli in fosse comuni, o in cavità naturali del terreno , ma ne rimanevano a migliaia
all’aperto, in balia delle intemperie e dei cani randagi.
459
G. Lombardi, L’8 Settembre fuori d’Italia, op. cit., p. 179.
460
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 486.
461
Uno degli autisti dei tre automezzi, il fante Alberto Sabattini, consegnò a don Luigi Ghirlandini,
nell’ottobre 1944, una dichiarazione nella quale egli raccontava minuziosamente come i tedeschi
avessero compiuto il disseppellimento dei martiri della “Casa Rossa”; ed ecco, nelle parole del
146
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
fante il destino di quelle salme:“Io sottoscritto, Sabattini Alberto di Vittorio e di Bernini Anna
dichiaro di aver personalmente assistito al trasporto di oltre duecento salme, da San Teodoro al
porto di Argostoli, e questo avvenne come segue. La sera del 27 settembre 1943 (tre giorni dopo
il massacro), verso le ore ventuno, fui chiamato da alcuni graduati tedeschi per seguire da vicino,
con la mia autocarretta, una loro macchina. Nei pressi di San Teodoro ci siamo fermati e subito
dopo la macchina che mi precedeva ripartiva, mentre io fui trattenuto. Davanti a me, un po’ a
destra, da un incavatura naturale abbastanza profonda, perveniva un grandissimo fetore; nelle
immediate vicinanze si trovava un autotreno con autista italiano, attorno al quale lavoravano
in silenzio alcuni marinai italiani, mentre sette o otto tedeschi con le pistole in pugno assistevano
imperterriti a quel macabro andirivieni. Il mio compito (mi disse un ufficiale tedesco) era di proiettare
la luce dei fari della mia autocarretta nell’interno della buca e che scegliessi io il posto migliore per
tale scopo. Quando il posto fu illuminato, ciò che vidi mi impressionò talmente che mi proposi di
non guardare più da quella parte, ma involontariamente l’occhio scrutava: corpi inanimati, deformi
ed irriconoscibili giacevano senza ordine, senza posa e senza cura, uno sopra l’altro, imbevuti nel
sangue. Erano gli Ufficiali italiani fucilati in precedenza. I marinai, muniti di barelle, portavano i
cadaveri dalla buca all’autotreno. Quando l’autotreno fu carico, venne fatto partire accompagnato da
due tedeschi, ma un altro autotreno arrivava con la stessa missione; partito il secondo, arrivò ancora
il primo e seppi dall’autista quanto segue: I nostri ufficiali venivano trasportati al porto di Argostoli
per essere imbarcati su uno zatterone tedesco. Ogni autotreno ne trasportava treantadue-trentatrè
per carico; i marinai che lavoravano nella buca facevano parte della batteria marina costiera sita a
Faraò. Quando il quarto autotreno fu ultimato, il lavoro fu cessato e con l’autocarretta io trasportai
italiani e tedeschi alla “Casa Rossa”, dove noi italiani siamo stati piantonati da due guardie
tedesche. Erano le ore quattro del nascente 28 settembre. Dopo un ora gli altri due autisti ci
raggiunsero. La stessa sera verso le otto, tornai sul posto, cominciai lo stesso servizio; senonché verso
mezzanotte un autista mi fece la presente deposizione: Fra i tedeschi che ci sorvegliano ce n’è uno
di Bolzano che è sempre stato con l’esercito tedesco, il quale mi consigliò ( proseguì l’autista ) di
non parlare né avvicinare i marinai in quanto molto probabilmente faranno una brutta fine.
Io rimasi addirittura sbalordito, ma non ho tenuto conto del consiglio: Infatti non ho mancato di
avvertire alcuni marinai che, a lavoro finito, se potevano, era meglio svignarsela. In quella notte
(era la seconda) con il quarto autotreno, non solo era finito il lavoro, ma anche le salme, e appunto
per questo i marinai li fecero andare al porto con l’ultimo autotreno delle salme mentre io con
l’autocarretta portavo i tedeschi al loro accantonamento di Argostoli. Dopo di che ritornai
all’autoreparto, dove alcune ore dopo rientravano pure gli altri due, mentre i marinai rimasero al
porto. Da allora nessuno più li ha visti” (L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p. 119-121).
462
G. Lombardi, L’8 Settembre fuori d’Italia, op. cit., p. 180.
463
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 487.
464
Il marinaio Arcangelo Mancioppi ( Comando Marina Argostoli ), l’unico superstite dei 17
marinai impiegati nel triste lavoro di recupero e trasporto delle salme degli Ufficiali fucilati dice,
che i suoi compagni, dopo l’ultimo viaggio dalla fossa al porto, furono fatti salire sullo zatterone
dove erano stati posti i poveri resti degli Ufficiali. Aggiunge di aver saputo in seguito che, al largo
Il sacrificio della divisione di fanteria da montagna “Acqui” - Capitolo 6
147
dell’isola di Vardiani, i tedeschi fecero saltare in aria lo zatterone insieme con i marinai e i corpi
degli ufficiali. Il Mancioppi era stato salvato all’ultimo momento, al porto, da un Cappellano
tedesco di nome Franz Muller (da lui conosciuto all’ ospedale di Pola, dove era stato ricoverato
nel mese di febbraio 43) che furtivamente gli aveva fatto cenno di mettersi in salvo (G. Giraudi,
La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio, op. cit., p.488).
465
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p.121.
466
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p.14.
467
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 517.
468
L. Ghirlandini, I Martiri di Cefalonia, op. cit., p.130-132.
469
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 519.
470
“La mattina del 28 settembre ordine di partenza con destinazione porto dove, ad attenderci
(siamo circa 1.300) c’è un grande mercantile di nome Ardena. E’ lontano dalla banchina una
cinquantina di metri e ci sono delle barche sulle quali dobbiamo salire per poter arrivare alla nave.
Alcuni miei amici vorrebbero iniziare subito ad imbarcarsi ma io non sono d’accordo. Facci, infatti,
un semplice ragionamento: i primi che arriveranno, li metteranno senz’altro nelle stive, sotto
coperta, il punto più decisamente pericoloso in caso di naufragio; gli ultimi dovranno, per forza
di cose, metterli su, in coperta, dove ci si può meglio rendere conto di quello che succede e dove,
soprattutto, è più facile muoversi in caso di siluramento o di affondamento. E così infatti avviene.
I primi mille vengono gettati nelle stive, gli altri trecento cominciano a sistemarli in coperta.
Alcuni ascoltano le mie raccomandazioni, altri no; …Intanto la nave esce dal golfo, gira lentamente
a sinistra e si accinge a raggiungere il mare aperto. Non si scherza e non si ride più. Ognuno è
immerso nei propri pensieri; gli sguardi, a volte, sono fissi e guardano lontano, molto lontano. Dopo
un ora circa di navigazione un immenso boato scuote la nave da cima a fondo e riporta ciascuno
di noi alla tragica realtà del momento… Il bailamme è enorme, la confusione indescrivibile e
intanto la nave comincia a inclinarsi… Contemporaneamente si odono ovunque grida, lamenti,
imprecazioni e sempre tante, tante invocazioni di aiuto al Signore, alla mamma e a tutti i santi
del cielo. Alcuni vengono colpiti a morte dalle guardie tedesche e, col loro sangue, il mare intorno
si colora di rosso… Scorgo la scialuppa che io stesso avevo gettato in mare a poche bracciate di
distanza e, con un gran colpo di reni, riesco ad agguantarne il bordo: É fatta, penso e poi grido
Sono salvo (A. Scalvini, Prigioniero a Cefalonia, op. cit., p.53-57).
471
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 15-16.
472
Più di 600.000 furono i soldati e gli Ufficiali internati in Germania. Una massa enorme, un
esercito sterminato, ma coloro che si piegarono, aderendo alla Repubblica Sociale Italiana, costituirono
un infima minoranza. Secondo le fonti più attendibili non furono più di diecimila uomini, e
altrettanto trascurabile fu il numero di coloro che in qualche modo accettarono di collaborare…
La verità è che tra l’armistizio dell’8 settembre e l’inizio dell’opera di adescamento dei tedeschi e
dei fascisti vi furono episodi di aperta resistenza e che il solco di sangue di Cefalonia, Lero, di
Coo, della Balcania fece emergere le posizioni antitedesche in seno all’Esercito, e che esse furono
sufficienti a determinare la prima presa di coscienza del fatto che da una parte ormai stava l’Italia,
148
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
i suoi interessi, il suo avvenire, e dall’altra i tedeschi, i loro servi, la loro guerra. Anche chi non
aveva dato il proprio contributo a quella breve battaglia disperata si sentì solidale con essa, e com
prese che tutti gli italiani sarebbero stati d’ora innanzi identificati dai tedeschi con quelli che
avevano sparato e resistito a Cefalonia, a Lero, in Grecia, in Albania. Questa prima confusa
intuizione permise di non credere alle lusinghe
(A. Natta, L’altra Resistenza, Einaudi,Torino, 1997, p. 7-9).
473
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 522.
474
Gli Ufficiali scampati alla fucilazione secondo dinamiche imprevedibili dovettero sottoscrivere un
impegno formale a combattere per la Germania hitleriana, che non poteva avere un valore
morale vincolante.
475
S. Loukatos, Cefalonia, titolo originale dell’opera: Gli anni dell’occupazione italiana e tedesca e
della Resistenza nazionale a Cefalonia e Itaca, op. cit., p. 93.
476
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 16-17.
477
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 542.
478
R. Apollonio, La Divisione di Montagna Acqui a Cefalonia e Corfù, Città di Torino, Assessorato
per la Cultura.Comitato cittadino per le celebrazioni del 40° anniversario della Liberazione.
Associazione Nazionale Superstiti Reduci e Familiari Caduti Divisione Acqui, 1985, p. 85.
479
M.Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 2003, op. cit., p. 492.
480
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 607-611.
481
Stato Maggiore dell’ Esercito – Ufficio Storico, Cefalonia, op. cit., p. 16.
La questione della memoria e le vicende giudiziarie riguardanti l’eccidio - Capitolo 7
149
Capitolo VII
La questione della memoria
e le vicende giudiziarie
riguardanti l’eccidio
7.1 La strage dimenticata, la strage nascosta.
Quella di Cefalonia è stata, innanzitutto, una strage dimenticata. Nei sessant’anni trascorsi
dai fatti, di Cefalonia si è parlato poco e solo in ambienti ristretti. Le commemorazioni
hanno riguardato le associazioni di reduci, in particolare l’Associazione Nazionale Superstiti e Famiglie dei Caduti della Divisione “Acqui”. Negli anni scorsi pochi e saltuari
sono stati gli interventi dello Stato in direzione di una più approfondita conoscenza degli
eventi; eminenti personalità politiche (tra cui Moro, Pertini e Spadolini) hanno preso parte
a raduni e commemorazioni, ma più in là non si è mai andati. Manifestazioni di questo
genere non hanno mai avuto, inoltre, un eco di particolare rilevanza sul territorio nazionale.
Quella di Cefalonia, però, è stata una strage dimenticata soprattutto perché volutamente
nascosta. Motivi di opportunità politica hanno fatto sì che l’eccidio della Divisione “Acqui”
venisse negato alla conoscenza e rimosso dalla coscienza degli italiani per quasi sessant’anni.
Negli anni ’50, in piena Guerra Fredda, occorreva salvaguardare il buon nome del ricostituendo esercito tedesco della Germania occidentale: la Wehrmacht – che a sua volta, doveva
costituirsi come pilastro dell’ Alleanza Atlantica – non doveva essere coinvolta nelle accuse
riguardanti le stragi naziste; solo le SS erano ritenute apertamente responsabili degli eccidi
di civili e militari, in Italia e all’estero, nel periodo 1943 – 1945.
La ragione di Stato volle che l’inchiesta relativa a Cefalonia venisse archiviata: dietro questa decisione c’era l’accordo tra l’allora ministro degli Esteri, il liberale Gaetano Martino,
ed il ministro della Difesa, il democristiano Paolo Emilio Taviani, facenti parte del primo
governo Segni (1955 – 1957)1.
La lettera del Ministro Martino, dattiloscritta su carta intestata “il Ministro degli Esteri”,
munita di varie sigle, classificata “riservata personale” sino alla declassificazione del 23
150
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
marzo 1998, datata “Roma, 10 ottobre 1956”, è il no del governo italiano dell’epoca a
qualunque estradizione di criminali di guerra nazisti:
“Caro Taviani, il giudice istruttore della procura militare della Repubblica presso il
tribunale militare di Roma si è rivolto a questo ministero con la nota qui unita in
copia, relativa ad un procedimento istruttorio in corso contro 30 militari appartenenti
alle Forze armate tedesche, ritenuti responsabili dell’esecuzione dei noti eccidi che
avvennero a Cefalonia e a Corfù nel settembre 1943 ai danni di soldati italiani. Nell’indicare i nomi di tali militari tedeschi e gli elementi di accusa ancora incompleti in suo
possesso, il predetto giudice istruttore ha chiesto a questo ministero se sia possibile o
meno interessare in via diplomatica la Repubblica federale di Germania per ottenere
le generalità complete dei colpevoli e per chiederne l’estradizione, nel caso di emissione di mandati di cattura. Sono convinto che coloro che presero parte a così barbare
azioni non meritino personalmente alcuna clemenza. Non posso tuttavia nascondermi,
come responsabile della nostra politica estera, la sfavorevole impressione che produrrebbe sull’opinione pubblica tedesca ed internazionale una richiesta di estradizione da noi
avanzata al governo di Bonn alla distanza di ben 13 anni da quando i dolorosi incidenti
su riferiti ebbero luogo, tanto più che una buona parte dei militari incriminati risulterebbero già stati giudicati e condannati dalle corti alleate al momento opportuno e
cioè nell’immediato dopoguerra. Ma a parte le considerazioni negative che potrebbero
farsi su questo nostro tardivo risveglio, non ho bisogno di sottolineare a te, che segui da
vicino i problemi della collaborazione atlantica ed europea, quali interrogativi potrebbe
far sorgere da parte del governo di Bonn una nostra iniziativa che venisse ad alimentare
la polemica sul comportamento del soldato tedesco. Proprio in questo momento, infatti,
tale governo si vede costretto a compiere presso la propria opinione pubblica il massimo
sforzo allo scopo di vincere le resistenze che incontra oggi in Germania la ricostruzione
di quelle Forze armate, di cui la NATO reclama con impazienza l’allestimento. In tale
situazione, ed in vista di quanto sopra, ti prego voler prendere in esame questa delicata
questione la quale, qualora dovesse essere avviata nei termini procedurali proposti dal
tribunale militare, darebbe luogo a grandi difficoltà.
Grato per quanto potrai comunicarmi in merito, ti saluto molto cordialmente, Gaetano
Martino”. In calce, a penna, sull’estrema sinistra del foglio un appunto, datato 20 ottobre
dello stesso anno, a firma del ministro Taviani:
“Concordo pienamente con il Ministro Martino”.
La decisione è presa. No all’estradizione e, quindi, no ai processi. Ma non è tutto, con una
seconda lettera, in data 23 gennaio 1957, il ministro Martino comunica al ministro Taviani
di aver dato parere negativo anche alla semplice richiesta di generalità dei criminali di guerra alle autorità tedesche. Il ministro Taviani, sempre con una riservata personale, risponde
20 giorni dopo, il 12 febbraio 1957: “Caro Martino, mi riferisco alla tua lettera in data 23
gennaio u.s. relativa al noto procedimento in corso presso la procura militare della Repubblica di Roma. Al riguardo ti comunico che condivido le tue valutazioni e l’atteggiamento
del ministero degli Esteri nella questione.
La questione della memoria e le vicende giudiziarie riguardanti l’eccidio - Capitolo 7
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Con l’occasione, desidero comunque informarti che l’ex generale di aviazione Speidel –
il cui nome figura tra quelli degli ufficiali germanici incriminati – non si identifica con
il Ten. Gen. Hans Speidel, testè nominato comandante delle Forze Armate del Centro
Europa. Il primo – a nome Wilhelm e già comandante militare della Grecia – sarebbe
fratello del Gen. Hans Speidel. Con i più cordiali saluti. Firmato Taviani”482.
Le disposizioni dei ministri Martino e Taviani pervennero al procuratore generale della
magistratura militare (allora eletto dal consiglio dei Ministri: sino alla riforma del 1981
la magistratura militare non godeva delle guarentigie della indipendenza, terzietà ed imparzialità proprie della magistratura ordinaria e delle magistrature speciali). Il procuratore
Enrico Santacroce, nel 1960, durante il secondo governo Segni (1959 – 1960), decise
l’archiviazione provvisoria483 di tutti i fascicoli riguardanti le stragi naziste di cui si potessero individuare i responsabili (415 fascicoli riguardavano persone identificate già nel
1944 – 1945, mentre gli altri 280 concernevano fatti che, sebbene documentati, non
riconducevano all’individuazione dei presunti responsabili). I 695 fascicoli “scottanti”,
tra cui quello riguardante l’eccidio della Divisione “Acqui”, finirono in un armadio che
si trovava all’interno di una stanza chiusa da una grata. L’armadio venne posizionato in
modo che le ante poggiassero contro il muro484.
Enrico Santacroce portò a logica e lineare conclusione l’operato esplicato dal dopoguerra alla fine degli anni Cinquanta dai procuratori generali Umberto Corsari (1944 – 54)
e Arrigo Mirabella (1954 – 58), precursori in tema di omissioni d’atti d’ufficio, silenzi
compiacenti , inerzie persistenti, iniziative di facciata senza reali sbocchi giudiziari.
Nel 1975 Santacroce morì improvvisamente, senza una formale consegna degli incartamenti occultati. Nulla, nella documentazione d’ufficio, indicava il contenuto, l’esistenza
e la collocazione dell’armadio, sconosciuto a quanti si sarebbero avvicendati nella carica
di procuratore generale militare: Ugo Foscolo (1975),Vittorio Veutro (1981), Pietro Stellacci (1986), Leonardo Campanelli (1987) e Renato Maggiore (1992). Al di là delle pesanti responsabilità personali del Dottor Santacroce , il suo comportamento manifesta un
eccesso di potere da parte della Procura generale militare ai danni delle procure militari
territoriali. L’intera vicenda può altresì interpretarsi quale frutto avvelenato del sistema
bipolare caratterizzante la “Guerra Fredda”, che assegnando alla neocostituita Repubblica Federale di Germania un ruolo di rilievo nell’assetto politico-militare occidentale per
il contenimento dell’imperialismo sovietico impedì iniziative in grado di condizionare
negativamente il riarmo485.
Lo stesso ex ministro Taviani, nel novembre 2000, poco prima di morire, ha rivelato la
propria responsabilità riguardo all’insabbiamento della strage della Divisione “Acqui” a Cefalonia: “l’Unione Sovietica stava invadendo l’Ungheria con tutte le ripercussioni che chi
ha vissuto quel periodo conosce bene… Aveva anche ragione Martino a prevedere che un
eventuale processo per l’orrendo crimine di Cefalonia avrebbe colpito l’opinione pubblica
impedendo forse per molti anni la possibilità per l’esercito tedesco di risorgere dalle ceneri
del nazismo. Io sono stato uno dei precursori della necessità del riarmo della Germania”486.
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Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
7.2 I fascicoli ritrovati.
Il procuratore militare presso il Tribunale militare di Roma, Antonino Intelisano, impegnato l’estate 1994 nel processo contro l’ex capitano delle SS Erich Priebke per l’eccidio
delle Fosse Ardeatine, ricercando tra i fondi d’archivio un’autorizzazione a procedere
determinò il rinvenimento dell’armadio con i 695 fascicoli occultati dai tre procuratori
generali Borsari, Mirabella e Santacroce. Di questi incartamenti, 280 erano a carico di
ignoti e 415 contenevano notizie che permettevano l’indicazione dei militari indiziati di crimini di guerra. Ecco la dinamica del ritrovamento fortuito: “ In riscontro alla
richiesta del dott. Intelisano, ma anche per un moto di curiosità generato dall’attualità
del problema dei crimini di guerra in relazione al procedimento Priebke, il Procuratore Generale Militare prof. Renato Maggiore interpellava il dirigente della cancelleria, Colonnello Alessandro Bianchi, sull’esistenza nell’ambito dell’ufficio di un carteggio
del genere. Ne aveva risposta negativa; ma il colonnello Bianchi aggiungeva che circa
vent’anni prima,periodo in cui prestava servizio nella cancelleria della Procura Generale
presso il Tribunale Supremo Militare, un carteggio del genere l’aveva notato in un locale
adibito ad archivio, al piano terra nel Palazzo Cesi. Si decideva allora, tra il Procuratore
Generale ed il funzionario, di chiedere alla prima occasione più probanti informazioni
al Dottor Floro Rosselli, magistrato militare in pensione, sicuro conoscitore degli archivi
del palazzo, in quanto aveva riordinato e curato la pubblicazione degli atti del Tribunale
Speciale per la Difesa dello Stato. In effetti, in tal modo si acquisivano le indicazioni che
portavano a stabilire l’ubicazione del carteggio che si cercava”. Gli incartamenti – che
portavano in bella evidenza il timbro “archiviazione provvisoria” apposto dal Procuratore
Generale militare Santacroce trentaquattro anni prima – contenevano denunzie presentate da parenti delle vittime, integrate dagli accertamenti disposti dagli inquirenti, italiani
o alleati. L’armadio custodiva anche il registro generale487 con i dati dei vari fascicoli, dal
quale risultavano ben 2274 notizie di crimini, con le indicazioni sull’autore del reato, la
persona offesa, l’organo pubblico o il privato denunciante, ecc., come avviene con il registro generale di una qualsiasi procura della Repubblica. Nella prima colonna è segnato
il numero d’ordine; nella seconda cognome, nome, paternità, domicilio e grado dell’imputato; nella terza colonna il titolo del reato che nella maggior parte dei casi è l’articolo
185 del Codice militare di guerra, cioè omicidio con violenza: diventa 211 quando le
vittime sono militari prigionieri. Seguono le colonne dove è indicata la parte lesa; l’ente
denunciante che per lo più è rappresentato dai carabinieri, allora ancora carabinieri reali;
il tribunale al quale vengono trasmessi gli atti che come è risaputo non vennero mai trasmessi; gli estremi della denunzia; la data e restituzione degli atti e le note488.
Il fenomeno dell’ “impropria giacenza” per circa mezzo secolo di materiale giudiziario
così scottante rappresentava una grave violazione – di sostanza e di forma – dei principi del diritto, attuata da alti funzionari dello Stato. Il 7 maggio 1996 il Consiglio della
magistratura militare (Cmm) aprì un indagine per stabilire “le dimensioni, le cause e le
modalità della provvisoria archiviazione e del trattenimento nell’ambito della Procura
La questione della memoria e le vicende giudiziarie riguardanti l’eccidio - Capitolo 7
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militare presso il Tribunale supremo militare di procedimenti per crimini di guerra”,
verificando altresì “l’eventuale coinvolgimento nella vicenda di magistrati ancora in servizio”489. Quell’inchiesta divenne, di fatto, un elemento chiave per ricostruire la storia
dell’Armadio. Il lavoro dell’organo di autogoverno della magistratura militare terminò
nel 1999. Queste in sintesi le conclusioni:
- In quell’armadio erano stati nascosti fraudolentemente seicentonovantaquindici fascicoli. Quattrocentoquindici di questi contenevano già nome, cognome grado e reparto
di appartenenza dei responsabili delle stragi, italiani e tedeschi, repubblichini e nazisti.
É ovvio che a ridosso dei fatti sarebbe stato assai facile individuare anche altri assassini.
- Negli anni qualche fascicolo era uscito dall’armadio, ma non del gruppo dei seicentonovantacinque; si trattò solo di quelli riguardanti crimini minori e/o con assai difficile
identificazione dei responsabili.
- L’enorme illegalità si “arricchì” ulteriormente con l’apposizione sui vari fascicoli, nel
1960, di un timbro di “archiviazione provvisoria”, istituto sconosciuto in ogni angolo del
mondo e creato per l’occasione, come alibi assurdo e fragilissimo. Probabilmente rappresentava il tentativo maldestro di coprire in parte l’enorme magagna, dato che in quel
periodo si stava discutendo dell’opportunità di abolire la magistratura militare.
- La Commissione d’inchiesta del Cmm, forse restringendo eccessivamente le responsabilità, pur nel suo meritorio intento di arrivare alla verità, indica soltanto nei primi tre
procuratori militari, Umberto Borsari, Arrigo Mirabella, Enrico Santacroce, succedutisi
dal 1945 al 1974, i responsabili diretti dell’occultamento. Ma ci sono pochi dubbi che
altri, sino ai giorni nostri sapessero.
- Fu il potere politico a imporre il silenzio. Secondo il Cmm la decisione fu determinata
dalla guerra fredda: la Germania Ovest avrebbe dovuto fronteggiare l’Unione Sovietica
con lo scudo Wehrmacht che per questo doveva riarmarsi.
Umberto Corsari, dunque, eseguì un ordine dell’esecutivo; il suo successore si adeguò490.
Dal 1994 al 2001 le indagini si sono concretizzate in migliaia di archiviazioni o di sentenze di non luogo a procedere; soltanto in pochi casi si è potuto istruire un processo,
data la difficoltà di accertamento dei fatti e delle responsabilità a oltre cinquant’anni dal
crimine. Le stesse indagini precedettero a rilento, tra difficoltà di identificazione degli
imputati, ricerca del loro attuale domicilio, reperimento delle prove491.
Nel gennaio 2001 la commissione del Cmm è stata affiancata, dopo le insistenze del
“Comitato per la verità e la giustizia sulle stragi nazifasciste” (costituitosi a Sant’Anna di
Stazzema nel settembre 2000) da una Commissione parlamentare d’indagine che, nel
marzo 2001 si è così espressa: “ solo con una direttiva politica del vertice la vicenda in
esame, con tutta l’illegalità che la caratterizza, può essere spiegata. Alla base della inspiegabile inerzia della magistratura militare vi fu, infatti, la ragione di Stato”. La Commissione
ha concluso i suoli lavori nell’aprile del 2001; i membri di tale Commissione hanno però
suggerito due provvedimenti:
a. la costituzione, nella legislatura apertasi nel giugno 2001, di una Commissione parlamentare d’inchiesta sugli ostacoli frapposti per oltre mezzo secolo alle indagini sui cri-
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Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
mini di guerra, al fine di delineare con maggiore precisione gli ambiti di responsabilità
degli organi dello Stato coinvolti;
b. la desegretazione – ove non rechi pregiudizio agli interessi dell’ordinamento tutelati
dal segreto di Stato – del materiale d’archivio, quale affermazione della volontà del paese
di ricercare la verità storica su quei fatti, così facendo, insieme, un atto di giustizia.
Il 15 maggio 2003 la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva la legge n. 107
che istituisce una nuova “Commissione492 parlamentare d’inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascismi”493.
7.3 Norimberga, 1948.
Ultimato il secondo conflitto mondiale, la Corte Internazionale a Norimberga si occupa
degli avvenimenti che si erano conclusi con l’eccidio di Cefalonia, per ricostruirne la
storia, accertarne le colpe ed individuare i responsabili . Il Tribunale di Norimberga494,
nel 1948, chiama a giudizio il Generale Lanz, comandante del XXII Corpo d’Armata
alpino tedesco, accusandolo di aver ordinato la fucilazione degli ufficiali della Divisione
“Acqui”495. La difesa presenta, come testi a favore, ex commilitoni ed ex sottoposti del
Generale Lanz, che ovviamente respingono qualsiasi accusa a carico del Comandante.
Tali testimoni mirano, anche, a difendere la reputazione della Wehrmacht, l’esercito regolare tedesco che, nel dopoguerra, tenterà più volte di distinguere il proprio operato da
quello delle SS. Il Generale Lanz sostiene di non aver violato nessuna norma del diritto
internazionale, adottando la classica giustificazione dei criminali nazisti: il generale ed i
suoi sottoposti si erano limitati ad eseguire degli ordini496. Come il Generale Lanz ed il
suo difensore (dr. Fritz Sauter) volevano che gli eventi fossero interpretati lo espresse con
chiarezza l’avvocato nella sua arringa conclusiva, in cui, fra l’altro egli disse che: “il Generale Gandin era un militare il quale come cittadino di uno Stato allora ancora neutrale
mosse guerra contro la Germania di propria iniziativa e sotto la sua responsabilità. Egli
fece questo, inoltre, contro un ordine esplicito del suo comandante superiore italiano,
che, tramite il suo capo di stato maggiore, aveva invitato quanto lui quanto il comandante
italiano di Corfù a consegnare senz’altro le armi a Lanz. Soprattutto, poi, (Gandin, agì)
contro l’ordine, ripetutamente espresso, del suo comandante in capo di Atene, che si era
arreso a nome di tutta l’11^ Armata di fronte ai tedeschi ed aveva espresso, per quanto
riguardava la consegna delle armi, un consenso che impegnava anche il Generale Gandin,
che era un suo subordinato. Quando, nel settembre, il Generale Gandin condusse le sue
truppe in combattimento contro le forze d’occupazione tedesche, egli non agiva come
un soldato di uno Stato che si trovava in guerra con la Germania, ma era, insieme a tutta
la sua divisione, un franco tiratore”. L’avvocato difensore sostenne, inoltre, che il sangue
dei soldati italiani e tedeschi caduti ricadeva sul Generale Gandin, poiché proprio lui era,
grazie alla sua perfidia, il responsabile di queste morti497.
L’ultima difesa degli imputati nel “Case seven” è affidata collegialmente al feldmaresciallo
La questione della memoria e le vicende giudiziarie riguardanti l’eccidio - Capitolo 7
155
List, il quale come militare di grado più elevato, dichiara: “Nella seduta di apertura di
questo processo dell’8 luglio 1947 alla domanda se ci riconosciamo colpevoli, abbiamo
risposto con un chiaro no. Oggi, dopo la fine di questi 7 mesi di processo, ripetiamo questo
no. Noi non siamo colpevoli. Non abbaiamo voluto la guerra, non abbiamo provocato le
battaglie nei Balcani e neanche le loro conseguenze. Ci sono state imposte. Abbiamo agito
in difesa dei nostri soldati che ci erano stati affidati e in difesa di tutto il fronte bellico tedesco. Non abbiamo servito il partito nazionalsocialista. Abbiamo fatto il nostro dovere da
soldati per la nostra patria, per la Germania, così come lo avevamo fatto già da decenni. E
dovevamo farlo perché la battaglia era contrassegnata da tutte le caratteristiche della lotta
contro le bande, una battaglia, cioè, che ogni soldato – ed in particolare il soldato tedesco –
detesta. Se si è arrivati – e si è dovuti arrivare – a misure dure, la colpa ricade su coloro che
hanno provocato ed alimentato questa guerra, su coloro che hanno condotto sin dall’inizio
questa guerra in maniera balcanica, cioè in modo perfido e crudele”.
List prosegue con un argomento implicitamente polemico verso gli Alleati: “ Ai militari imputati va riconosciuta la stessa buona fede dei comandanti alleati le cui misure militari hanno provocato terribili sofferenze a popolazioni innocenti, hanno prodotto una grande miseria e distrutto in modo irreparabile monumenti culturali che appartengono all’umanità”.
Dopo aver ricordato il dovere di obbedienza dei soldati, List avanza come attenuante
per i soldati tedeschi il fatto di essere vissuti sotto la coercizione di una dittatura sempre
più “demoniaca e caotica” inconcepibile per un “libero cittadino di una libera democrazia”498.Di diverso parere si rivela, a Norimberga, la V Corte Americana, incaricata
di esaminare, fra l’altro, gli uomini coinvolti nell’eccidio di Cefalonia. Essa prende in
considerazione lo “status” dei militari italiani che hanno combattuto contro i tedeschi
nell’isola e giudica che essi non potevano essere considerati né ammutinati né franchi
tiratori, in quanto erano in possesso di tutti i requisiti di belligeranti, previsti dalla Convenzione dell’AJA del 1907499. Essi erano dei prigionieri di guerra e, come tali, avevano
diritto alla protezione, così come previsto dalla Convenzione di Ginevra del 1929500.
In base a ciò, il 9 febbraio 1949, la V Corte giudica il Generale Lanz responsabile della
fucilazione degli Ufficiali (cosa che il Generale aveva ammesso, anche se limitatamente
agli Ufficiali “responsabili”) e lo condanna a 12 anni di reclusione501, avendolo ritenuto
colpevole delle suddette fucilazioni e della eliminazione di ostaggi, avvenuta nei Balcani,
nella lotta contro i partigiani. Tutti i condannati, pur ritenendosi ingiustamente puniti,
sono contenti che non sia stata pronunciata alcuna condanna a morte. Intuiscono che
non solo il ricorso alle differenze nei sistemi giudiziari internazionali, il riconoscimento
di alcuni errori nell’esibizione di prove e soprattutto il cambiamento politico generale
porteranno presto novità positive502.
Purtroppo la Corte sorvolò su numerose altre colpe sulle quali i superstiti avrebbero
potuto portare precise testimonianze di tempo e di luogo, nonché inconfutabili prove,
rappresentate dai mucchi di cadaveri recanti i segni delle pallottole tedesche, sparsi lungo
le dorsali, nei burroni delle montagne, sotto gli uliveti, lungo le carrarecce dell’isola. In
particolare la V Corte trascurò:
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Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
a. il massacro indiscriminato di 189 ufficiali e di 5.000 soldati compiuto immediatamente
dopo gli scontri nei giorni 21 e 22 settembre, la cui responsabilità risaliva al Generale
Lanz, avendo, egli, il 23 settembre, approvata l’esecuzione e data l’assicurazione dell’avvenuto “trattamento speciale”;
b. le responsabilità dei comandanti delle colonne operative che avevano eseguito i suddetti massacri, e, cioè, il maggiore Reinhold Klebe (III Btg del 98° Reggimento cacciatori da montagna), il maggiore Nennstiel (910° battaglione), il capitano Splinder (54°
battaglione), nonché il maggiore von Hirschfeld, dal 17 settembre responsabile delle
operazioni militari a Cefalonia;
c. l’eliminazione dei marinai adibiti all’esumazione degli ufficiali fucilati a Capo San
Teodoro e poi affogati in mare, al largo dell’isola di Vardiani;
d. la sistematica spoliazione dei cadaveri dei militari italiani, fucilati e lasciati abbandonati
senza sepoltura503.
Il Generale Lanz fu il militare più alto in grado ad essere processato a Norimberga per i
fatti di Cefalonia. Il Maggiore von Hirschfeld, massimo responsabile delle fucilazioni di
massa, era morto in Ucraina nel 1945, Il Generale Stettner, comandante la I Divisione
da Montagna, era stato dichiarato disperso. Al di sopra del Generale Lanz c’erano il Generale Speidel, comandante militare della Grecia, condannato, in quella sede ma per altre
imputazioni, a vent’anni di carcere; il Generale Alexander Lohr, comandante il Gruppo
Armate E, condannato a morte nel 1947; il maresciallo Maximilian von Weichs, comandante del Gruppo Armate F e superiore di Lohr, non preso in considerazione nel 1948
perché gravemente ammalato. Al di sopra di tutti c’era Adolf Hitler. L’ordine di non fare
prigionieri a Cefalonia probabilmente partì da lui504.
Il 3 febbraio 1951 l’ex generale Lanz esce dal carcere. Lungi dal rassegnarsi a una vita di
semplice borghese, presto comincia a occuparsi di politica militare, al punto di divenire
esperto di politica militare e della sicurezza nel partito liberale tedesco (FDP). Muore
nel 1982505.
7.4 Roma, 1957.
Tra il 1945 e il 1954, il dott. Roberto Triolo, padre del Sottotenente Lelio Triolo della
Guardia di Finanza in servizio ad Argostoli e fucilato il 24 settembre 1943 alla “Casa Rossa”
con altri sei ufficiali prelevati dall’Ospedale da campo 37, presenta varie denunce e memorie perché fosse aperto un procedimento a carico dei responsabili. Il Procuratore Militare
della Repubblica in Roma iniziava l’azione penale a carico di 58 imputati (30 tedeschi e
28 italiani), in attesa di identificare i militari tedeschi, di accertare le loro responsabilità circa
l’eccidio, e chiederne la consegna alla Repubblica Federale Tedesca506. Per tutti i tedeschi
(tra cui Lohr, Lanz, Barge, von Hirschfeld), i capi d’accusa erano due:
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a. Concorso nel reato di violenza con omicidio continuato commessa da militari nemici
in danno di militari italiani prigionieri di guerra;
b. Concorso nel reato di spoliazione.
Per gli italiani, i capi di accusa erano vari, comprendendo – tra l’altro – “rivolta continuata”, “cospirazione”, “insubordinazione con minaccia verso superiore ufficiale”507. Queste
le accuse principali, mentre altre, di carattere secondario, riguardavano episodi particolari,
come la fuga dall’Ospedale di due Ufficiali italiani e la conseguente rappresaglia tedesca, o
l’azione di ignoti militari italiani, contro il Comandante la Divisione “Acqui” e altri Ufficiali con atti o frasi ingiuriose, come “traditore, tedescofilo, vigliacco”508.
L’istruttoria protrattasi per anni si è conclusa con una sentenza del Giudice Istruttore
Militare depositata in cancelleria l’8 luglio 1957. La sentenza risulta particolarmente
preziosa perché riesce a ricostruire gli avvenimenti con sufficiente attendibilità. Da parte
di nessun ufficiale c’è stata rivolta, cospirazione, insubordinazione con minaccia verso
superiore ufficiale. Molti ufficiali hanno chiaramente mostrato al Generale Gandin il
loro vivo desiderio di non cedere le armi alle intimazioni tedesche e la loro generosa
volontà di combattere. Ma la decisione suprema è stata presa liberamente, il giorno 14,
dal Generale Gandin, confortato dall’ordine del Comando Supremo finalmente giunto.
Così la sentenza ha potuto dichiarare – in ordine ai tre capi più gravi d’imputazione nei
confronti degli ufficiali italiani – “non doversi procedere, nei confronti di… in ordine al
reato di rivolta ad essi ascritto per non aver commesso il fatto; in ordine al reato di cospirazione, perché il fatto non sussiste; in ordine al reato di insubordinazione, perché il fatto
non sussiste. Analogamente la sentenza ha dichiarato non doversi procedere relativamente
a tutti gli altri capi di imputazione formulati nei confronti degli italiani. Per gli imputati
tedeschi la sentenza ha adottato tre soluzioni diverse soluzioni:
a. per quanto riguardava il Maggiore von Hirschfeld, una apposita ordinanza, emessa in
pari data, ha disposto la sospensione del procedimento, ai sensi dell’art. 89 c.p.p. “ essendo
sorto fondato dubbio sulla esistenza in vita dell’imputato”;
b. per quanto riguardava gli imputati von Weichs, Lohr, Lanz, Speidel, von Stettner,
Rademaker, Heindrich e Kuhn, la sentenza ha ordinato doversi proseguire l’istruzione
formale;
c. per quanto riguardava gli altri imputati, la sentenza ha dichiarato non doversi a procedere, o perché gli autori del reato erano rimasti ignoti (non essendosi potuti esattamente
identificare), o perché non avevano commesso il fatto509.
Il Giudice Istruttore decise, quindi, di proseguire l’istruttoria a carico degli imputati:
Maximilian Weichs, Alexander Lohr, Hubert Lanz, Walter von Stettner, Wilhelm Speidel,
Rademaker, Heindrich e Kuhn. Detta Istruttoria venne chiusa il 14 giugno 1960, con la
seguente motivazione:
a. non doversi procedere nei confronti di M. Weichs, A. Loher, H. Lanz, W. von Stettner
e H. von Hirschfeld, per la morte dei medesimi;
b. non doversi procedere nei confronti di, Rademaker, Heindrich e Kuhn, per non avere
potuto individuare chi commise i reati;
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Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
c. non doversi procedere nei confronti di W. Speidel (Comandante militare della Grecia)
e di H. Lanz, “per non aver commesso i fatti a loro attribuiti”510.
7.5 Da Dortmund a Monaco e ritorno.
Nell’ estate del 1963 uscì il romanzo di Marcello Venturi511 e destò grande interesse (sarà
poi tradotto in 14 lingue e ristampato in Italia nel 1967, nel 1972 e nel 1976); l’eccidio di
Cefalonia – del quale ricorreva il ventesimo anniversario – finì sulle pagine dei giornali
e rotocalchi, ma ciò non servì ad avviare in Italia una doverosa ricerca di verità, mentre
in Germania – dove il libro non sarà tradotto – apparve più tardi un articolo (a firma
Arianna Giachi sui “Die Welt” del 16 ottobre 1964) il cui autore si lamentava perché il
libro di Venturi presentava i soldati tedeschi come oppressori assetati di sangue e perché,
a quasi vent’anni da allora, si continuava a infangare l’onore della Wehrmacht512. Il libro
attira l’attenzione di Simon Wiesenthal, ebreo scampato ai campi di concentramento e, nel
dopoguerra, dedito alla ricerca di criminali nazisti.Wiesenthal scrive a Venturi chiedendogli
di inviargli tutta la documentazione da lui posseduta sul massacro della Divisione “Acqui”.
A quel punto interpella l’ufficio centrale per i crimini nazisti di Ludwisburg per conoscere
il punto di vista tedesco prima di intraprendere un azione legale. Da Ludwisburg gli rispondono che di questo massacro nulla a loro risulta. A stretto rigor di termini, la risposta
è corretta non avendo agito a Cefalonia né reparti delle SS, né reparti della Gestapo. Dato
però che, secondo Wiesenthal, sempre di crimine si tratta, egli passa tutto l’incartamento in
suo possesso ai funzionari di Ludwisburg e li costringe ad aprire un indagine giudiziaria.
Il caso è affidato alla procura di Dortmund, il cui pubblico ministero il 3 novembre 1964
scrive a Venturi per annunciargli l’avvio di un’istruttoria su Cefalonia e chiedergli se può
inviare altri documenti e precisazioni. Il 30 dello stesso mese l’istruttoria è trasferita per
competenza territoriale alla procura di Monaco, poi però ritorna a Dortmund513. Intanto
Venturi continua a mandare copia del suo materiale a chiunque glielo chieda. Nel 1965
allo scrittore viene chiesto di dare maggiori delucidazioni riguardo al Sottotenente Karl
Ritter: nel romanzo costui è un giovane ufficiale prima amico del protagonista italiano e
poi spietato carnefice. É un personaggio inventato, un nome inventato, mentre tutti gli altri
nomi fatti nel libro sono reali. Ma la procura di Dortmund si concentra solo su Ritter, nonostante Venturi abbia ribadito, più volte, che si tratta di un personaggio di fantasia e abbia
insistito perché i magistrati tedeschi si dedicassero agli altri: ciò che il personaggio inventato
fa nel libro, le stragi, le fucilazioni di massa, lo hanno fatto davvero gli altri tedeschi citati514. L’istruttoria si conclude con una lettera del 25 aprile 1969 nella quale il Procuratore
di Stato Hess informa che “l’istruttoria relativa al caso di Cefalonia è stata accantonata
dopo che indagini condotte su ampia scala non hanno dato alcun risultato(...) poiché non
è stato trovato nessun membro vivente della Wehrmacht responsabile della fucilazione dei
prigionieri di guerra italiani”; e tra le ragioni dell’esito negativo dell’inchiesta si fa presente
paradossalmente che il Sottotenente Karl Ritter, il cui nome era stato inventato da Venturi
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per il suo romanzo, risulta irreperibile515. Ugualmente significativo appare il fatto che dei
duecentotrentuno testimoni, ascoltati nel corso dell’istruttoria, solo due erano italiani e altri
due greci, tutti gli altri ex-militari tedeschi di Cefalonia. Per gli italiani erano Marcello Venturi – che non è testimone perché nel 1943 non si trovava a Cefalonia – e l’allora cappellano militare Ghirlandini. Per i greci il medico dott. Niforas di Argostoli e il sig. Kosmetatos
di Atene. Però queste quattro persone hanno deposto per iscritto, rispondendo a domande
scritte. Non sono state interrogate di persona. L’archiviazione spiega come non sia esistito
“nessun bisogno di ascoltare superstiti italiani”, perché non sarebbero stati in condizione di
fare i nomi dei responsabili; di persona essi avrebbero conosciuto solo appartenenti alle formazioni tedesche che si trovavano a Cefalonia prima dell’8 settembre. Gli appartenenti al
gruppo di combattimento von Hirschfeld – così continua il decreto di archiviazione – sono
arrivati solo per l’inizio della battaglia, quindi di persona erano sconosciuti ai superstiti516.
Le deposizioni dei duecentotrentuno militari tedeschi che sono stati ascoltati in quei quattro anni vengono riassunte in otto pagine. All’inizio il decreto di archiviazione chiarisce
che tutti i testimoni erano convinti che gli italiani di Cefalonia fossero “traditori”; essi
“avrebbero “aggredito e fortemente decimato la debole guarnigione tedesca sull’isola” e
avrebbero fatto “causa comune con i partigiani greci”. Il decreto segue spiegando che i testimoni non avrebbero riferito fatti vissuti da loro stessi, ma si sarebbe trattato “ o di racconti
di commilitoni, dei quali non ricordavano neanche i nomi, oppure di dicerie varie”. Però
non tutti i fatti sono rimasti nel vago durante l’istruttoria; molte fucilazioni – anche quelle
di Dilinata, Prokopata e Troianata – vengono descritte nei dettagli. Sul reparto di Fauth si
legge ad esempio che i soldati tedeschi, appena liberati, furono costretti dai loro liberatori a
mitragliare i prigionieri italiani - “per riabilitarsi dopo la vile capitolazione”. In altre occasioni qualcuno avrebbe sparato in aria, per non uccidere i prigionieri. Infine il procuratore
di Stato viene alle conclusioni, nominando i maggiori responsabili da mettere sott’accusa:
- Hitler per aver impartito l’ordine speciale del 18 settembre 1943 di non fare prigionieri a Cefalonia;
- I Comandanti Keitel, von Weichs, Lohr, che hanno trasmesso l’ordine Hitler, Keitel, von
Weichs e Lohr sono morti: il procedimento a loro carico, perciò, è da archiviare517.
Nel 2001, quando da più parti si è ricominciato a parlare della strage, anche per merito
dell’hollywoodiano “Il mandolino del capitano Corelli”, il nuovo procuratore di Dortmund,
Ulrich Maas, ha riaperto l’inchiesta su Cefalonia. Il procuratore sta esaminando gli archivi
americani, inglesi e tedeschi, compresi quelli, fino a poco tempo fa proibiti, della Stasi: secondo
il procuratore ciò che fece chiudere l’inchiesta, nel 1969, fu l’assenza di prove che dimostrassero che la strage di Cefalonia fosse un caso di “omicidio aggravato”, e non di “omicidio semplice”, che cade in prescrizione.Anche oggi, sostiene il procuratore, quelle prove mancano: per
formulare un accusa di omicidio aggravato il codice penale tedesco prevede che esso sia stato
commesso con particolare efferatezza o per bassi motivi. Evidentemente, neanche per il dottor
Maas la sottrazione dei beni personali ai prigionieri prima della fucilazione, le esecuzioni di
massa dopo la resa, la mancata sepoltura dei cadaveri sono prove sufficienti. E la vendetta per il
cosiddetto “tradimento” non sembra essere un motivo sufficientemente basso518.
160
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
I. Insolvibile, La Resistenza di Cefalonia tra memoria e storia, Roma, ANRP, 2004, p. 23.
F. Giustolisi, L’Armadio della vergogna, Roma, Nutrimenti, 2004, p. 55-59.
483
“Procura Generale Militare della Repubblica. Ufficio Procedimenti contro criminali di guerra
tedeschi. Il Procuratore generale Militare.Visti gli atti relativi ai fatti di cui tratta il fascicolo
N. ...... dell’Ufficio sopra indicato; poiché, nonostante il lungo tempo trascorso dalla data del
fatto anzidetto, non si sono avute notizie utili per l’identificazione dei loro autori e per
l’accertamento delle responsabilità, ordina la provvisoria archiviazione degli atti. Roma 14
gennaio 1960. Il Procuratore Generale Militare Enrico Santacroce” ( M. Franzinelli, Le Stragi
nascoste, Milano, Mondatori, 2002, p. 129 ).
484
I. Insolvibile, La Resistenza di Cefalonia tra memoria e storia, op. cit., p. 25.
485
F. Giustolisi, L’Armadio della vergogna, op. cit., p. 129-133.
486
Intervista di F. Giustolisi a P. E.Taviani, Si ho insabbiato Cefalonia, in “L’Espresso”,
16 novembre 2000.
487
Il registro generale documenta pure alcuni tra i più gravi episodi di sangue avvenuti fuori dai
confini nazionali, ai danni sia di militari italiani catturati dai tedeschi a ridosso dell’8 settembre
sia di ufficiali e soldati internati nei Lager nazisti.Tra questi, una decina di incarti sui crimini
perpetrati all’estero contro militari del Regio Esercito, quello relativo a Cefalonia indicato con il
numero 1188. Imputati : “Tenente Colonnello Barge, comandante del 966° fanteria da fortezza,
Maggiore Hireschfeld comandante Battaglione I divisione tedesca alpina, Maggiore Nennstiel,
Capitano Stoephasius von,Tenente Roidenaker Leipold. Separati da una graffa altri nomi:
“Stettner, Heindrich, Bauer, Fremel, Lulai, Gregor,Wiener, Hart, Kuller, Kiker, Kaiser”.Titolo
del reato: convenzione 8.8.1945 crimine di guerra art. 6 para C Statuto Tribunale Internazionale,
violenza con omicidio art. 211 cpmg; parte lesa: strage di militari italiani fatti prigionieri dai
tedeschi nell’isola di Cefalonia; ente denunziante: Ministero degli Esteri; tribunale di riferimento:
Ministero degli Esteri per Londra e procuratore militare di Roma; trasmissione atti Procura
militare Roma 30 novembre 1994 (M. Franzinelli, Le Stragi nascoste, op. cit., p. 168).
488
F. Giustolisi, L’Armadio della vergogna, op. cit., p. 90.
489
M. Franzinelli, Le Stragi nascoste, op. cit., p. 187-189.
490
F. Giustolisi, L’Armadio della vergogna, op. cit., p. 53-54
491
M. Franzinelli, Le Stragi nascoste, op. cit., p.194.
492
Si è riunita per la prima volta l’8 ottobre 2003, presidente Flavio Tanzilli, deputato dell’ Udc.
493
I. Insolvibile, La Resistenza di Cefalonia tra memoria e storia, op. cit., p. 28.
494
Questo processo, anche noto come “Case seven” (caso sette) oppure come “processo per l’uccisione
di ostaggi ( The Hostage Case)” è stato il settimo dei dodici processi contro i maggiori responsabili
del regime nazista davanti alle corti marziali americane di Norimberga. Nel “Case seven” dodici
generali della Wehrmacht sedevano davanti a giudici americani sul banco degli imputati: capi
d’accusa erano i crimini commessi nei Balcani, e in modo particolare i metodi terroristici, adoperati
contro la popolazione civile. Iniziato il 10 maggio 1947, si è protratto per 117 sedute.
Il protocollo completo del processo comprende 10.544 fogli; in più esistono 678 exhibitis, cioè
documenti di prova, presentati dall’accusa, e 1025 exhibitis, presentati dalla difesa; tra questi
documenti di prova si trovano ad esempio i c.d. “Kriegstagebucher” (diari di guerra) della
1
482
La questione della memoria e le vicende giudiziarie riguardanti l’eccidio - Capitolo 7
161
divisione; poi ordini scritti, fotografie, e verbali di interrogatori di testimoni a carico e dichiarazioni
sotto il vincolo del giuramento, presentate dalla difesa con testimoni a discarico; poi letter, carte
militari terrestri e marine. Nelle udienze del processo sono stati interrogati sedici testimoni,
presentati dall’accusa e trentasei testimoni, presentati dalla difesa (C. U. Schmink-Gustavus,
Cefalonia 1941-1944. Un triennio di Occupazione, Roma, ANRP, 2004, p. 109-110).
495
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 503.
496
I. Insolvibile, La Resistenza di Cefalonia tra memoria e storia, op. cit., p. 43.
497
G. Rochat, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, op. cit., p. 186-187.
498
G.E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 81-82.
499
Regolamento relativo alle leggi e agli usi della guerra terrestre (L’AJA, 18 ottobre 1907):
Sezione I (Dei Belligeranti), capitolo I (della qualità di belligerante): Le leggi, i diritti e i doveri
della guerra non si applicano soltanto all’esercito, bensì anche alle milizie, e ai corpi di volontari
che soddisfano le seguenti condizioni;1° avere alla loro testa una persona responsabile per i
propri subordinati; 2°avere un segno distintivo fisso e riconoscibile a distanza; 3° portare le armi
apertamente; 4° conformarsi, nelle loro operazioni, alle leggi e agli usi della guerra. Nei paesi in
cui le milizie o i corpi di volontari costituiscono l’esercito o ne fanno parte, essi sono compresi nella
denominazione di esercito.
500
Il trattato di Ginevra sul trattamento dei prigionieri di guerra del 1929 era stato firmato anche
dal Reich tedesco – e addirittura dopo l’ascesa al potere del regime nazista. In seguito tale trattato
era stato pubblicato nel “Reichsgesetzblatt”, cioè la Gazzetta Ufficiale del Reich, e con ciò era
entrato in vigore (C. U. Schmink-Gustavus, Cefalonia 1941-1944. Un triennio di Occupazione,
op. cit., p. 117).
501
Della sua pena ha scontato solo una piccola parte, e questo in condizioni di detenzione che, per
molti aspetti, erano incomparabilmente più favorevoli rispetto alle condizioni di vita dei normali
reduci di guerra. Il carcere di Landsberg, una vecchia fortezza, veniva utilizzata dagli americani
come prigione per i criminali di guerra, ma per i generali e gerarchi le pene furono eseguite con
numerose agevolazioni. Appena trascorsi tre anni a Landsberg, Lanz ottenne la concessione della
grazia e poté lasciare il carcere nel febbraio 1951 (C. U. Schmink-Gustavus, Cefalonia 19411944. Un triennio di Occupazione, op. cit., p. 119).
502
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p.82.
503
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 505-506.
504
I. Insolvibile, La Resistenza di Cefalonia tra memoria e storia, op. cit., p.45.
505
G. E. Rusconi, Cefalonia, op. cit., p. 83.
506
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 508.
507
G. Lombardi, L’8 settembre fuori d’Italia, op. cit., p. 200.
508
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 509.
509
G. Lombardi, L’8 settembre fuori d’Italia, op. cit., p. 201-202.
162
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
G. Giraudi, La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Jonio,
op. cit., p. 510.
511
Bandiera bianca a Cefalonia, introduzione di F. De Nicola, Milano, Rizzoli, 1972. La prima
edizione è apparsa nel 1963.
512
F. De Nicola, Introduzione a M.Venturi, Bandiera bianca a Cefalonia, op. cit., p.16.
513
A. Caruso, Italiani dovete morire, op. cit., p. 269-270.
514
I. Insolvibile, La Resistenza di Cefalonia tra memoria e storia, op. cit., p. 51.
515
F. De Nicola, Introduzione a M.Venturi, Bandiera bianca a Cefalonia, op. cit., p. 16.
516
C. U. Schminck – Gustavus, I Sommersi di Cefalonia, Firenze, Il Combattente, 1995, p. 137.
517
C. U. Schminck – Gustavus, I Sommersi di Cefalonia, op. cit., p. 137-146.
518
I. Insolvibile, La Resistenza di Cefalonia tra memoria e storia, op. cit., p. 52.
510
Conclusioni
163
CONCLUSIONI
A me che non sono un esperto, ma un semplice curioso della Storia, la vicenda della Divisione “Acqui” nell’isola di Cefalonia pare tra le più belle pagine dell’Esercito Italiano.
Eppure è tra le più dimenticate. A parte pochi benemeriti, le cui opere sono state indicate
nella bibliografia, non esiste libro di testo che la menzioni, non esiste professore di scuola
che la ricordi, non esiste studente/allievo con le stellette che la conosca. Non c’entra
neanche la scarsa dimestichezza degli italiani con le vicende della Patria o lo scarso rispetto delle memorie collettive. Cefalonia è un ricordo scomodo perché non appartiene
all’antifascismo, né, tanto meno, alla Sinistra, per decenni distributrice di patenti su ciò
che andava dimenticato della Seconda Guerra Mondiale.
A Cefalonia si combatté e si morì anche in nome dell’Italia, a volte in nome del Re, a
volte persino nel nome di Badoglio. I partiti e le ideologie rimasero fuori. E se ne vendicarono decretando il silenzio sul sacrificio di oltre novemila “figli di mamma”, obbligati
in pochi giorni a decidere tra la vita e la morte pur di poter ritornare a casa.
Un sacrificio ignorato persino nella distribuzione delle medaglie. Gli alti gradi militari,
i successori di coloro che preoccupandosi soltanto della loro salvezza mandarono allo
sbaraglio centinaia di migliaia di soldati, hanno cercato di camuffare la realtà attraverso
le onorificenze e le motivazioni. La Divisione “Acqui” non era una unità di specchiate e
provate virtù guerresche; a parte il 17° Reggimento fanteria ed il 33° Reggimento artiglieria, era una divisione raccogliticcia ed infiacchita da trenta mesi di dolce occupazione
delle isole ioniche. Dunque non è vero che tutti i suoi reparti affrontarono impavidi le
bombe e i proiettili. Spesso i soldati, privi di qualsiasi addestramento e di qualsivoglia
esperienza, se la dettero a gambe. Ma proprio per questo la loro morte avrebbe meritato
maggior rispetto anche nella ricostruzione dei fatti.
La “Acqui” non fu per niente compatta nell’urlare il proprio “no” al tedesco. All’inizio
il Generale Gandin e i suoi collaboratori volevano giungere ad un accordo, all’inizio
soltanto pochissimi Ufficiali Superiori e Inferiori erano decisi ad usare le armi contro
l’odiato ex alleato. Sino a poche ore dal primo bombardamento degli Stukas, il Generale
Gandin tentò di trovare un intesa con il Tenente Colonnello Barge. Comportamento
più che legittimo – si erano arrese quasi tutte le divisioni italiane, perché non doveva
arrendersi anche la “Acqui”? – ma che risulta essere in rotta di collisione con il tentativo
di farlo passare per il più irriducibile propugnatore della resistenza a oltranza. Se hanno
voluto conferire la Medaglia d’Oro al valor militare al Generale Gandin e al Generale
Gherzi, che allo scontro furono portati dapprima dal timore che i reparti si ribellassero,
poi dall’ordine giunto da Brindisi, la stessa andava attribuita a tutti gli altri Ufficiali che
impavidamente diedero la loro vita per l’onore della Divisione: andava forse attribuita a
tutti quelli che a Cefalonia si dimisero dalla vita per non dimettersi dalla dignità.
D’altronde che cosa ci si poteva aspettare da un paese i cui tribunali civili e militari per
dodici anni sono stati impegnati nel decidere se a Cefalonia fossero stati commessi i reati
di rivolta, di cospirazione e di insubordinazione e se anziché di un atto di eroismo si
164
Divisione Acqui: Cronaca di una tragedia - Cefalonia, settembre 1943
fosse trattato di una colossale mascalzonata, sfociata nella morte di oltre novemila “figli
di mamma”. Ma una volta che gli Ufficiali più indisciplinati ed irruenti avevano agito in
conformità delle leggi e dei regolamenti militari all’epoca in vigore – oltre che dell’essere
uomini e soldati – , come mai non sono stati insigniti di quella medaglia che meritavano
molto di più del Generale Gandin e del Generale Gherzi?
Paradossalmente in Italia si è dispiegato maggior accanimento contro quei pochi Ufficiali
che avevano avuto il torto di sopravvivere alla strage che contro coloro che ne avevano
creato i presupposti.
É immaginabile che abbiano pesato considerazioni di politica internazionale più che gli
ostacoli frapposti dalla Germania, decisa a difendere il buon nome della Wehrmacht al di
là di ogni evidenza. Ad insistere per avere delucidazioni sugli angeli della cattiva morte
in divisa tedesca, che avevano calpestato gli articoli di tutte le convenzioni, che si erano
macchiati di un crimine senza giustificazioni, c’era da andare in rotta di collisione con il
governo di Bonn.
Si è, invece, preferito buttare tutto nel dimenticatoio e aiutare la Germania a far finta che
a Cefalonia non fosse successo niente di anomalo. Così l’unica condanna rimane quella
di Norimberga nei confronti del Generale Lanz.
Non posso e non voglio credere che i morti ed i vivi di Cefalonia cerchino vendette o
rivalse giudiziarie. Forse a loro basterebbe essere ricordati. Ne hanno tutti i diritti.
Allegati
165
Allegato - A -
Isola di Cefalonia
166
Allegato - B -
Cefalonia: la situazione al 15 settembre ‘43
Allegati
Allegati
167
Allegato - C -
Cefalonia: il disegno di manovra della Acqui (17-18 settembre ‘43)
168
Allegato - D -
L’attacco tedesco a Cefalonia: 21-22 settembre ‘43
Allegati
Allegati
169
Allegato - E -
Isola di Cefalonia - Mappa della rappresaglia
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