Esercizi di Topologia Generale Notazioni. Indico l’ inclusione tra insiemi con ⊆, riservando il simbolo ⊂ per l’ inclusione stretta. Con ¬X indico il complementare di un insieme X e pongo X \ Y := X ∩ ¬Y . Nel trattare di famiglie di oggetti, scrivo (xi )i∈I per intendere la funzione che ad ogni i ∈ I associa xi mentre con {xi }i∈I intendo la sua immagine, cioè l’ insieme dei suoi valori. Indico con R e C il campo dei numeri reali ed il campo dei numeri complessi, rispettivamente. Con Q e Z indico il campo dei razionali e l’ anello degli interi. Infine, N := {0, 1, 2, ...}. Indico l’ intervallo aperto di R di estremi a e b col simbolo ]a, b[ anziché (a, b). Analoga notazione uso per intervalli semiaperti e semirette. Per esempio, ]a, +∞) sta per {x | x > a). Avvertenza. Do per scontata la conoscenza dei primi tre capitoli del testo Geometria 2 del Prof. Sernesi, nel seguito chiamato semplicemente ‘il testo’. Non ne richiamo i contenuti, peraltro assai variegati. Mi limiterò a definire alcune nozioni importanti, omesse in quei capitoli 1 1.1 1.1.1 Spazi metrici Distanze ed equivalenza tra distanze Alcuni esempi Esercizio 1.1 Sia S = (S, d) uno spazio metrico ed U un insieme. Dimostrate che le seguenti condizioni si equivalgono per una funzione f : U → S: (1) (∃k > 0)(∀u, v ∈ U )(d(f (u), f (v)) ≤ k). (2) (∃k > 0)(∃u ∈ U )(∀v ∈ U )(d(f (u), f (v)) ≤ k). (3) (∀p ∈ S)(∃k > 0)(∀u ∈ U )(d(p, f (v)) ≤ k). (4) (∃k > 0)(∃p ∈ S)(∀u ∈ U )(d(p, f (v)) ≤ k). Terminologia. Le funzioni soddisfacenti le condizioni precedenti si dicono limitate (in S, o in quanto funzioni da U a S). Esercizio 1.2 Dato un insieme U ed uno spazio metrico S = (S, d), sia BS (U ) l’ insieme di tutte le funzioni limitate da U ad S. Per f, g ∈ BS (U ) ponete d∞ (f, g) = supu∈U d(f (u), g(u)). 1 Dimostrate che d∞ è una distanza su BS (U ). Nota. Il simbolo d∞ è motivato dalla somiglianza tra questa distanza ed altre distanze di uso comune in Analisi, usualmente indicate con questo stesso simbolo. Esercizio 1.3 Con S = (S, d) ed U come negli esercizi 1.1 e 1.2, sia S U l’ insieme delle funzioni da U ad S, limitate o no. Per f, g ∈ S U ponete d∞ (f, g) = supu∈U d(f (u), d(u)) come nell’ esercizio 1.2, eccetto che ora non si assume che f e g siano limitate. Quindi può capitare che d∞ (f, g) = ∞ (sicché non è detto che d∞ sia una distanza). Scelta una funzione φ ∈ S U , sia BSφ (U ) := {f ∈ S U | d∞ (f, φ) < ∞}. (1) Dimostrate che d∞ è una distanza su BSφ (U ). (2) Sia ≈∞ la relazione in S U definita dalla clausola f ≈∞ g ⇔ d∞ (f, g) < ∞. Dimostrate che ≈∞ è una relazione di equivalenza su S U e BSφ (U ) è la classe di equivalenza di φ in ≈∞ . (3) L’ insieme BS (U ) delle funzioni limitate (esercizio 1.2) è una classe di equivalenza di ≈∞ . (4) Supponiamo che S sia uno spazio normato e d sia la distanza definita dalla norma assegnata su S. Allora BS (U ) è un sottospazio vettoriale di S U e BSφ (U ) = φ + BS (U ) per ogni φ ∈ S U . Avvertenza. A pagina 123 del testo si afferma che d∞ è sempre una distanza su S U . Questo è falso: una distanza non può mai valere ∞. Esercizio 1.4 Con BS (U ) definito come nell’ esercizio 1.2, supponete per di più che U sia finito. In questo caso tutte le funzioni da U a S sono limitate, quindi BS (U ) è semplicemente l’ insieme S U di tutte le funzioni da U ad S. In base a quanto detto nell’ esercizio precedente, d∞ è una distanza su S U . Definiamo altre due funzioni d1 e d2 da S U × S U ad R come segue: P d1 (f, g) = Pu∈U d(f (u), g(v))/|U |. d2 (f, g) = ( u∈U d(f (u), g(v))2 /|U |)1/2 . Dimostrate che d1 e d2 sono distanze. Nota. Si rimanda all’ esercizio 1.11 per una generalizzazione di queste definizioni. Esercizio 1.5 Sia C (0) [0, 1] l’ insieme di tutte le funzioni continue da [0, 1] ad R. Definite tre funzioni da C (0) [0, 1] × C (0) [0, 1] → R come segue: d∞ (f, g) = maxx∈[0,1] |f (x) − g(x)|. R1 d1 (f, g) = 0 |f (x) − g(x)|dx. R1 d2 (f, g) = ( 0 (f (x) − g(x))2 dx)1/2 . Dimostrate che d∞ , d1 e d2 sono distanze. 2 Traccia. Che d∞ sia una distanza è ovvio: C (0) [0, 1] ⊂ BR ([0, 1]) e d∞ è null’ altro che la distanza d∞ di BR ([0, 1]) (esercizio 1.2). Che d1 (f, g) = 0 oppure d2 (f, g) = 0 solo se f = g viene subito dal seguente noto teorema: se R1 h ∈ C (0) [0, 1] è non-negativa, allora 0 h(x)dx = 0 solo se h è identicamente nulla. La disuguaglanza triangolare è immediata Pn per d1 . Per dimostrarla per d2 , approssimate l’ integrale con una somma i=1 (f (i/n)−g(i/n))2 /n e rifatevi alla distanza chiamata d2 nell’ esercizio 1.4. Poi fate tendere n ad ∞. Esercizio 1.6 Sia R[0, 1] ⊃ C (0) [0, 1] l’ insieme delle funzioni f : [0, 1] → R integrabili secondo Riemann. Possiamo definire d∞ , d1 e d2 in R[0, 1] esattamente come in C (0) [0, 1]. Le funzione integrabili secondo Riemann sono limitate e d∞ è la distanza indotta dalla distanza d∞ di BR ([0, 1]) (esercizio 1.2). Invece d1 e d2 non sono distanze. Perchè? Traccia. Sia h ∈ R[0, 1] tale che l’ insieme {x | h(x) 6= 0} sia non vuoto ma di R1 misura nulla. Allora 0 h(x)dx = 0 e tuttavia h non è identicamente nulla. 1.1.2 Equivalenza tra distanze Definizioni. Rammento che due distanze d e d0 su uno stesso insieme S sono dette topologicamente equivalenti se definiscono la stessa topologia su S. Invece, se esistono due numeri α, β > 0 tali che (ME) α · d(x, y) ≤ d0 (x, y) ≤ β · d(x, y), (∀x, y ∈ S), allora d e d0 si dicono metricamente equivalenti. Nel seguito useremo spesso abbreviazioni come αd ≤ d0 (oppure d0 ≤ βd) per dire che α · d(x, y) ≤ d0 (x, y) (rispettivamente d0 (x, y) ≤ β · d(x, y)) per ogni scelta di x, y ∈ S. Evidentemente, se vale (ME) allora β −1 d0 ≤ d ≤ α−1 d0 e, se inoltre λd0 ≤ d00 ≤ µd0 per una terza distanza d00 ed opportuni λ, µ > 0, allora αλd ≤ d00 ≤ βµd. Quindi l’ equivalenza metrica è effettivamente una relazione di equivalenza. Esercizio 1.7 Due distanze metricamente equivalenti sono anche topologicamente equivalenti. Traccia. Siano d e d0 come sopra. Dovendo distinguere i dischi aperti per d da quelli per d0 , indichiamo con D0 (a, r) il disco aperto di centro a e raggio r per la distanza d0 , riservando il simbolo D(a, r) per quello relativo a d. Con questa notazione, se αd ≤ d0 allora D0 (a, rα) ⊆ D(a, r). Viceversa, due distanze possono essere topologicamente equivalenti senza essere metricamente equivalenti, come mostreremo più avanti (esercizi 1.19, 1.20, 1.21, 1.22 e 1.25). Esercizio 1.8 Dimostrate che le distanze d1 , d2 e d∞ dell’ esercizio 1.4 sono tra loro metricamente equivalenti. Precisamente, p |U | · d2 ≤ |U | · d1 . d1 ≤ d2 ≤ d∞ ≤ 3 Traccia. Per dimostrare che d1 ≤ d2 si applichi la disuguaglianza di CauchySchwartz ai vettori (d(f (ui ), g(ui )))ni=1 ed (1, 1, ..., 1) di Rn , ove n := |U | ed u1 , u2 , ..., un sono gli elementi di U . Esercizio 1.9 Siano d1 , d2 e d∞ le distanze su C (0) [0, 1] definite nell’ esercizio 1.5. Dimostrate che d1 ≤ d2 ≤ d∞ ma che non esiste alcun numero reale α > 0 per il quale una almeno delle seguenti disuguaglianze sia soddisfatta: d∞ ≤ αd1 , oppure d∞ ≤ αd2 oppure d2 ≤ αd1 . Quindi queste tre distanze non sono metricamente equivalenti. Traccia. Per dimostrare che d2 ≤ d∞ , applicate il teorema della media integrale. Per d1 ≤ d2 approssimate gli integrali con sommatorie come suggerito sopra, rifatevi all’ esercizio 1.4 e fate tendere n ad ∞. Invece, per dimostrare che non c’ è equivalenza metrica, prendete fn (x) = xn per n = 0, 1, 2,√... e sia 0 la costante nulla. Allora risulta d1 (fn , 0) = 1/(n + 1), d2 (fn , 0) = 1/ 2n + 1 e d∞ (fn , 0) = 1. Esercizio 1.10 Dmostrate che le distanze d1 , d2 e d∞ dell’ esercizio 1.9 non sono nemmeno topologicamente equivalenti. Soluzione. Per dimostrare che d∞ non è topologicamente equivalente nè a d1 nè a d2 , basta trovare una funzione g ed una successione di funzioni (fn )∞ n=0 tale che d1 (fn , g) → 0, d2 (fn , g) → 0 mentre d∞ (fn , g) 6→ 0. Una g ed una successione (fn )∞ n=0 con le proprietà richieste sono descritte già nella traccia dell’ esercizio 1.9. Analogamente, per dimostrare che d1 e d2 non sono topologicamente equivalenti, basta trovare una funzione g ed una successione di funzioni (fn )∞ n=0 tale che d1 (fn , g) → 0 mentre d2 (fn , g) 6→ 0. Allo scopo, √ si prenda ancora la costante nulla 0 come funzione g e si ponga f (x) = ( 1 + n)/(1 + nx). n √ Allora d1 (fn , 0) = ( 1 + n/n) · log(1 + n) mentre d2 (fn , 0) = 1 per ogni n. Non è difficile verificare che √ 1 + n · log(1 + n) → 0 per n → ∞. n Nota. Le distanze d1 , d2 e d∞ sono definite da norme sullo spazio vettoriale reale C (0) [0, 1], che ha dimensione infinita. Il fenomeno evidenziato nei due esercizi precedenti non si presenta mai in dimensione finita, se ci si limita a considerare distanze che nascano da norme. Infatti, è ben noto che in uno spazio vettoriale (reale o complesso) di dimensione finita tutte le norme sono tra loro equivalenti, vale a dire: danno origine a distanze metricamente equivalenti. L’ equivalenza metrica tra le distanze d1 , d2 e d∞ degli esercizi 1.4 e 1.8 è appunto un caso particolare di questo teorema. Infatti, se S é R con l’ usuale distanza d(x, y) = |x − y| ed n = |U |, allora l’ insiemePBS (U ) è nell’Paltro che Rn√e le n n distanze d1 , d2 e d∞ nascono dalle norme ( i=1 |xi |)/n, ( i=1 x2i )1/2 / n e maxni=1 |xi |. Le prime due sono proporzionali a quelle usualmente indicate con 4 ||.||√1 e ||.||2 in Analisi (con coefficienti di proporzionalità 1/n e rispettivamente 1/ n), mentre la terza è la cosidetta norma del sup ||.||∞ : Pn ||(xi )ni=1 ||1 = Pi=1 |xi |, n ||(xi )ni=1 ||2 = ( i=1 x2i )1/2 , n ||(xi )i=1 ||∞ = maxni=1 |xi |. √ La norma ||.||2 e la distanza ||x − y||2 = n · d2 (x, y) ad essa associata sono dette anche norma e distanza euclidee. Invece in C (0) [0, 1] le norme che danno origine alle distanze d1 , d2 e d∞ sono rispettivamente R1 ||f ||1 = 0 |f (x)|dx, R1 ||f ||2 = ( 0 (f (x))2 dx)1/2 , ||f ||∞ = maxx∈[0,1] |f (x)|. √ Le loro analoghe in Rn sono rispettivamente ||x||1 /n, |x.||2 / n e ||x||∞ . 1.1.3 Prodotti di spazi metrici Esercizio 1.11 Siano S1 = (S1 , d1 ), ..., Sn = (Sn , dn ) spazi metrici e sia S := Qn S . Definite in S tre distanze δ1 , δ2 e δ∞ come segue, ove x = (xi )ni=1 ed i=1 i n y = (yi )i=1 : Pn δ1 (x, y) = Pi=1 di (xi , yi )/n, n δ2 (x, y) = ( i=1 di (xi , yi )2 /n)1/2 , δ∞ (x, y) = maxni=1 di (xi , yi ). Dimostrate che δ1 , δ2 e δ∞ sono effettivamente distanze e che √ δ1 (x, y) ≤ δ2 (x, y) ≤ δ∞ (x, y) ≤ n · δ2 ≤ nδ1 . (Quindi d1 , d2 e d∞ sono tra loro metricamente equivalenti.) Note. 1) Lo spazio prodotto di una famiglia di spazi metrici si può dunque definire in vari modi. Molti autori, specialmente in Analisi, lo definiscono prendendo δ∞ come distanza. 2) Come già detto in nota all’ esercizio 1.4, la situazione considerata in quell’ esercizio (e in 1.8) è un caso particolare di quella prospettata qui sopra: negli esercizi 1.4 e 1.8 gli spazi S1 , ..., Sn sono uguali tra loro. √ Esercizio 1.12 In Rn siano d1 := nδ1 , d2 = nδ2 e d∞ = δ∞ , ove δ1 , δ2 e δ∞ sono definite come nell’ esercizio 1.11. Per i = 1, 2, ∞ descrivete i dischi di di . Traccia. Per semplicità, prendiamo n = 3 e consideriamo solo dischi di centro 0 := (0, 0, 0) e raggio r = 1. Per i = 1, 2, ∞ sia S (i) = {x | di (x, 0) = 1} la frontiera del disco di centro 0 e raggio 1 per di . Osservando le cose dallo spazio R3 munito della distanza euclidea d2 , S (2) ci appare come una sfera, S (1) come un ottaedro inscritto nella sfera S (2) mentre S (∞) appare come un cubo circoscritto ad S (2) . Se invece assumiamo d1 come nostro punto di vista, allora 5 è S (1) che ci appare come una sfera mentre S (2) ora ci appare come un cubo circoscritto alla sfera S (1) . La superficie S (∞) assomiglia ad una stella ad otto punte. Se invece ci si mette dal punto di vista di d∞ allora S (∞) diventa una sfera, S (2) un ottaedro ed S (1) assume una forma a stella. Esercizio 1.13 Nella situazione dell’ esercizio 1.11, dato un numero reale p ≥ 1, ponete δp (x, y) = ( n X di (x, y)p /n)1/p . i=1 Dimostrate che δp è una distanza. Dimostrate anche che, se 1 ≤ p < q allora δp (x, y) ≤ δq (x, y) ≤ δ∞ (x, y) ≤ n1/q δq (x, y) ≤ n1/p δp (x, y). (Quindi tutte le distanze δp con p ≥ 1 sono metricamente equivalenti tra loro e con δ∞ .) Traccia. Si sfrutti il seguente fatto: se 0 < α ≤ 1 e se x, y ≥ 0 allora (x + y)α ≤ xα + y α . Questo lo si dimostra riconducendosi al caso di y = 1 e dimostrando che se α > 1 allora (1 + t)α < 1 + tα per ogni t > 0. Esercizio 1.14 Q Sia ((Si , di ))ai∈I una famiglia infinita di spazi metrici.Q Dato a = (ai )i∈I ∈ i∈I Si , sia B∞ l’ insieme degli elementi x = (xi )i∈I ∈ i∈I Si tali che supi∈I di (xi , ai ) < ∞. Per ogni coppia di elementi x = (xi )i∈I ed a si ponga y = (yi )i∈I di B∞ δ∞ (x, y) := supi∈I di (xi , yi ). a Si dimostri che δ∞ è una distanza su B∞ . Nota. Gli spazi metrici (BSφ (U ), d∞ ) dell’ esercizio 1.3 rientrano Q come caso a particolare tra gli spazi (B∞ , δ∞ ) definiti qui sopra. Infatti S U = u∈U Su ove Su = S per ogni u ∈ U . ∞ Esercizio 1.15 Q∞ Sia ((Sn , dna))n=1 una successione di spazi metrici. ∞Dato a = (an )∞ ∈ S , sia B l’ insieme delle successioni x = (xn )n=1 per le n=1 1 n=1 n quali esistono un numero naturale n(x) ed un numero reale (x) > 0 tale che dn (an , xn ) ≤ 1/n1+(x) per ogni n ≥ n(x). Per ogni coppia di elementi x = ∞ a (xn )∞ n=1 ed y = (yn )n=1 di B1 si ponga δ1 (x, y) := ∞ X dn (xn , yn ). n=1 Si dimostri che δ1 è una distanza su B1a . 6 ∞ Esercizio 1.16 Con ((Sn , dn ))∞ n=1 ed a = (an )n=1 come nell’ esercizio 1.15, a ∞ sia B2 l’ insieme delle successioni x = (xn )n=1 per le quali esistono un numero naturale n(x) ed un numero reale (x) > 0 tale che dn (an , xn ) ≤ 1/n(1+(x))/2 ∞ per ogni n ≥ n(x). Per ogni coppia di elementi x = (xn )∞ n=1 ed y = (yn )n=1 di a B2 si ponga v u∞ uX dn (xn , yn )2 . δ2 (x, y) := t n=1 Si dimostri che δ2 è una distanza su B2a . Traccia. Per dimostrare la proprietà triangolare riconducetevi al caso del prodottoQdi un numero finito di spazi, Pn osservando che la proprietà triangolare n vale in k=1 Sk per la distanza ( k=1 dn (xk , yk )2 )1/2 . Poi passate al limite, facendo tendere n ad ∞. Esercizio 1.17 Nella situazione degli esercizi 1.15 e 1.16 risulta B1a ⊆ B2a ⊆ a . Quindi possiamo anche vedere δ∞ e δ2 come distanze su B1a . B∞ Le distanze δ∞ e δ2 , interpretate in questo modo, sono tra loro metricamente equivalenti? Sono equivalenti a δ1 ? Risposta. No, di queste tre distanze non ce n’ è due che siano equivalenti. 1.1.4 Produzione di nuove distanze da una distanza data Esercizio 1.18 Dato un insieme U , uno spazio metrico S = (S, d) ed una funzione iniettiva f : U → S, ponete df (x, y) = d(f (x), f (y)). Verificate che df è una distanza su U . Esercizio 1.19 Sia f : R → R una funzione iniettiva e, indicata con d la solita distanza d(x, y) = |x − y| su R, sia df (x, y) = d(f (x), f (y)), come nell’ esercizio 1.18: df (x, y) = |f (x) − f (y)|. Dimostrate che se f è continua (nel senso solito, cioè relativamente alla distanza d) allora d e df sono topologicamente equivalenti. Per di più, d e df definiscono lo stessa sistema di dischi se e solo se f non è limitata nè superiormente nè inferiormente. Traccia. Per fissare le idee, supponete che f sia limitata, sia superiormente che inferiormente. Allora ogni disco per df con raggio maggiore di supx∈R |f (x)| coincide con tutto R. Commento. Nel caso considerato qui sopra, se usiamo la distanza df la retta R ci appare di lunghezza finita. Esercizio 1.20 Siano f e d come nell’ esercizio 1.19. Mostrate che, anche nell’ ipotesi che d e df definiscano lo stesso sistema di dischi, non è detto che siano metricamente equivalenti. 7 Traccia. Prendete f (x) = x3 , oppure f (x) = x1/3 , o qualunque altra funzione con caratteristiche simili. Esercizio 1.21 Data f come nell’ esercizio 1.19 dimostrate che se d e df sono metricamente equivalenti allora definiscono lo stesso sistema di dischi. Esercizio 1.22 Data f come nell’ esercizio 1.19 supponete per di più che f sia derivabile. Dimostrate che d e df sono metricamente equivalenti se e solo se f 0 è limitata e inf x∈R |f 0 (x)| > 0. Traccia. Se αd ≤ df ≤ βd, ragionando sul rapporto incrementale si deduce che α ≤ |f 0 (x)| ≤ β per ogni x. Viceversa, usando il Teorema di Lagrange si vede che d · inf x∈R |f 0 (x)| ≤ df ≤ d · supx∈R |f 0 (x)|. Esercizio 1.23 Sia (S, d) uno spazio metrico. Data una funzione γ : [0, +∞) → [0, +∞) ponete dγ (x, y) = γ(d(x, y)). Considerate le seguenti possibilità per γ. Per ciascuna di esse dite se dγ è una distanza o no. (1) (2) (3) (4) (5) γ(x) γ(x) γ(x) γ(x) γ(x) = = = = = xα xα dxe bxc arctg(x). (ove (ove (ove (ove 0 < α ≤ 1); α > 1); dxe = min(n ∈ N | n ≥ x)); bxc = max(n ∈ N | n ≤ x)); Risposta. dγ è una distanza in (1), (3) e (5), non lo è in (2) e (4). Esercizio 1.24 Con dγ come nell’ esercizio 1.23, trovate un insieme di condizioni su γ sufficienti a garantire che dγ sia una distanza. Risposta. Queste, per esempio: (a) γ(x) = 0 ⇔ x = 0; (b) γ è non decrescente; (c) γ(x + y) ≤ γ(x) + γ(y). Esercizio 1.25 Siano d e d0 due distanze sullo stesso insieme S. Dimostrate che le seguenti condizioni si equivalgono: (1) Per ogni punto a ∈ S, i dischi aperti di centro a sono gli stessi per d e per d0 . Esplicitamente, per ogni r > 0 esiste un r0 > 0 tale che il disco di centro a e raggio r per la distanza d coincida col disco di centro a e raggio r0 per la distanza d0 , e viceversa, scambiando i ruoli di d e d0 . (2) Per ogni scelta di punti x, y, u, v ∈ S, risulta d(x, y) = d(u, v) se e solo se d0 (x, y) = d0 (u, v). (3) Risulta d0 = dγ (vedi esercizio 1.23) per una opportuna funzione γ : [0, +∞) → [0, +∞), iniettiva se ristretta all’ insieme dei valori assunti da d. Esercizio 1.26 Dato uno spazio metrico (S, d), sia γ : [0, +∞) → [0, +∞) definita dalla clausola γ(x) = dxe. Dimostrate che ogni disco per dγ è anche un 8 disco per d e, viceversa, ogni disco per d è contenuto in un disco per dγ con lo stesso centro. Supponete poi che in (S, d) valga la seguente proprietà: esiste almeno un punto a tale che per ogni r > 0 risulta D(a, r) 6= {a}. Si dimostri che in questo caso d e dγ non sono topologicamente equivalenti. 1.1.5 Un caso estremo: distanze su insiemi finiti Esercizio 1.27 Si dimostri che una distanza d su un insieme S è topologicamente equivalente alla distanza discreta se e solo se per ogni punto a ∈ S l’ insieme {d(a, x)}x6=a ammette estremo inferiore positivo. Ne segue che se S è finito tutte le distanze su S definiscono la toplogia discreta. Esercizio 1.28 Due distanze su un insieme finito sono sempre metricamente equivalenti. Traccia.. Date due distanze d1 e d2 su un insieme finito S, per i = 1, 2 si ponga mi = min(di (x, y) | x 6= y) ed Mi = max(di (x, y) | x 6= y). Per {i, j} = {1, 2} Mi mi · dj ≤ di ≤ m · dj . risulta M j j 1.2 1.2.1 Continuità Uniforme continuità e funzioni Lipschitziane Rammento che, dati due spazi metrici S1 = (S1 , d1 ) ed S2 = (S2 , d2 ), una funzione f : S1 → S2 è detta uniformemente continua se (UC) (∀ε > 0)(∃δ > 0)(∀x, y ∈ S1 )(d1 (x, y) < δ ⇒ d2 (f (x), f (y)) < ε). Evidentemente, l’ uniforme continuità implica la continuità, ma è ben noto che non vale il viceversa. Diciamo invece che f è Lipschitziana se esiste un numero k ≥ 0 tale che (L) d2 (f (x), f (y)) ≤ k · d1 (x, y), (∀x, y ∈ S1 ). Non è difficile vedere che, se f è Lipschitziana, l’ insieme dei k per cui vale (L) ammette un minimo. Quel minimo è la costante di Lipschitz di f . Ovviamente, la costante di Lipschitz è uguale a 0 se e solo se f è costante. E’ anche ovvio che ogni funzione Lipschitziana è uniformemente continua, ma non vale il viceversa. Per esempio, ogni funzione continua f : [a, b] → R è uniformemente continua, ma non è detto che sia Lipschitziana. Infatti: Esercizio 1.29 Sia f : [a, b] → R derivabile su tutto [a, b], estremi compresi. Si dimostri che f è Lipschiztiana se e solo se la sua derivata è limitata. Se questo è il caso, supx∈[a,b] |f 0 (x)| è la costante di Lipschitz di f . 9 Esercizio 1.30 Una funzione f : S1 → S2 è uniformemente continua se e solo se esiste una funzione κ : [0, +∞) → [0, +∞) tale che (1) κ(0) = 0, (2) κ(x)x sia non decrescente, (3) per ogni ε > 0 esista un δ > 0 tale che κ(δ)δ ≤ ε, (4) d2 (f (x), f (y)) ≤ κ(d1 (x, y)) · d1 (x, y) per ogni scelta di x, y ∈ S1 . Traccia. Nell’ ipotesi che f sia uniformemente continua, per δ > 0 sia (δ) il minimo ε per cui d1 (x, y) ≤ δ ⇒ d2 (f (x), f (y)) ≤ ε e si ponga κ(δ) = ε(δ)/δ. Esercizio 1.31 Dati due spazi metrici S1 = (S1 , d1 ) e S2 = (S2 , d2 ), una funzione f : S1 → S2 una funzione ed un punto 0 ∈ S1 , poniamo ν(f ) := supx6=0 d2 (f (x), f (0)) . d1 (x, 0) (A) Supponiamo che per ogni v ∈ S1 esista un’ isometria τv : S1 → S2 tale che τv (0) = v e (1) (∀x, y ∈ S1 ). d2 (f (τv (x)), f (τv (y))) = d2 (f (x), f (y)), Si dimostri che se ν(f ) < ∞ allora f è Lipschitziana (e quindi uniformemente continua) e ν(f ) è la sua costante di Lipschitz. (B) Assumiamo che per ogni r > 0 esista un’ isometria ωr : (S1 , d1 ) → (S1 , rd2 ) tale che ωr (0) = 0 e (2) d2 (f (ωr (x)), f (ωr (y))) = r · d2 (f (x), f (y)), (∀x, y ∈ S1 ). Si dimostri che se ν(f ) = ∞ allora f non è continua. Traccia. La (A) è ovvia. Dimostriamo la (B). Innazitutto, da (2) segue che (3) d2 (f (x), f (0)) d2 (f (ωr (x)), f (0)) = , d1 (ωr (x), 0) d1 (x, 0) (∀x 6= 0, ∀r > 0). Sia ν(f ) = ∞. Quindi per ogni intero positivo n esiste xn 6= 0 tale che (4) d2 (f (xn ), f (0) > n · d1 (xn , 0). Sia r = (n · d1 (xn , 0))−1 ed yn = ωr (xn ). Allora d(yn , 0) = 1/n. Quindi yn → 0. D’ altra parte, da (3) e (4) e dal fatto che d1 (yn , 0) = 1/n si ricava che d2 (f (yn ), f (0)) > n · d1 (yn , 0) = 1. Quindi f (yn ) 6→ f (0). La funzione f non è continua. 10 1.2.2 Operatori lineari Sia f : V1 → V2 un’ applicazione lineare tra due spazi vettorriali normati V1 e V2 ., con norme ||.||1 e ||.||2 . Il numero ν(f ) definito nell’ esercizio 1.31 con 0 uguale al vettore nullo di V1 è precisamente la norma di f indotta dalle norme ||.||1 e ||.||2 . Le condizioni assunte in (A) e (B) dell’ esercizio 1.31 sono soddisfatte: τv è la traslazione x 7→ x + v ed ωr è l’ omotetia x 7→ rx. In particolare, dalla (4) dell’ esercizio 1.31 segue che ν(f ) è l’ estremo superiore dei valori assunti da ||f (x)||2 sulla sfera S := {x | ||x||1 = 1}. Le conclusioni dell’ esercizio 1.31 ci dicono che f è continua se e solo se è ν(f ) < ∞ (vale a dire, f è limitata su S) e, nel caso sia continua, è addirittura Lipschitziana. In questo caso, se S è compatta (il ché succede se e solo se dim(V1 ) < ∞) allora ν(f ) è il massimo di ||f (x)||2 per x ∈ S. Esercizio 1.32 Siano V1 e V2 spazi normati ed f : V1 → V2 un’ applicazione lineare. Si dimostri che se dim(V1 ) < ∞ allora ν(f ) < ∞. Traccia. Limitiamoci al caso di spazi vettoriali reali. Il caso complesso si tratta allo stesso modo. Inoltre, rimpiazzando eventualmente V2 con f (V1 ), possiamo sempre supporre che anche V2 abbia dimensione finita. Sia dunque V1 = Rn e V2 = Rm . Come detto in nota all’ esercizio 1.10, in dimensione finita tutte le norme si equivalgono. Possiamo dunque prendere la norma ||.||∞ sia su Rn che su Rm . Sia M = (mi,j )m,n i,i=1 la matrice che rappresenta f rispetto alle basi canoniche di Rn e Rm . Non è difficile vedere che, posto ν(M ) := maxm i=1 n X |mi,j |, j=1 per ogni x ∈ V1 risulta ||M x||∞ ≤ ν(M ) · ||x||∞ . Quindi ν(f ) ≤ ν(M ). Con un po’ di lavoro in più si puo anche dimostrare che ν(f ) = ν(M ). Esercizio 1.33 Sia C (0) [0, 1] lo spazio vettoriale delle funzioni contnue da [0, 1] ad R (esercizio 1.5). Dato a ∈ [0, 1] sia νa : C (0) [0, 1] → R il funzionale lineare che associa ad ogni f ∈ C (0) [0, 1] il suo valore f (a) in a. Siano d1 , d2 , d∞ definite come nell’ esercizio 1.5. Si mostri che l’ applicazione νa è continua se come distanza su C (0) [0, 1] prendiamo d∞ ma non lo è se come distanza prendiamo d1 oppure d2 . Traccia. Che νa risulti continua per d∞ è evidente. Anzi, con questa distanza νa risulta addirittura Lipschitziana con costante di Lipschitz 1. Per dimostrare che νa non è continua nè per d1 nè per d2 basta trovare una successione fn ed una g tale che, presa come distanza d1 o d2 , risulti fn → g ma fn (a) 6→ g(a). Sia 0 < a < 1, per fissare le idee. Definite fn in modo che valga 0 da 0 ad a − a/n, poi cresca a partire da a − a/n fino ad assumere il valore 1 in a, poi descresca fino a ritornare uguale a 0 in a + (1 − a)/n ed infine valga costantemente 0 da a + (1 − a)/n fino ad 1. Allora fn tende alla costante 0 sia con d1 11 che con d2 , ma fn (a) = 1 non tende a 0. Derivata e funzione integrale. Indichiamo con C (1) [0, 1] lo spazio vettoriale delle funzioni f : [0, 1] → R che ammettono derivata continua su tutto [0, 1]. Si noti che C (1) [0, 1] è un sottospazio di C (0) [0, 1] di codimensione infinita. Sia D : C (1) [0, 1] → C (0) [0, 1] l’ operatore che ad ogni f ∈ C (∞) [0, 1] associa la sua derivata e, dato a ∈ [0, 1], sia Ia : C (0) [0, 1] → C (1) [0, 1] l’ operatore che ad ogni funzione f ∈ C (0) [0, 1] associa la funzione integrale Ia (f ): Z x f (t)dt Ia (f )(x) := a E’ noto che tanto D che Ia sono operatori lineari, che D è suriettiva ma non iniettiva (infatti Ker(D) = h1i, ove 1 sta per la funzione costante 1) mentre Ia è iniettiva ma non suriettiva. Infatti Im(Ia ) è l’ iperpiano Ker(νa ) ∩ C (1) [0, 1] di C (1) [0, 1], ove νa è il funzionale lineare definito nell’ esercizio 1.33. Nel seguito (1) indico questo iperpiano col simbolo Ca [0, 1]: Ca(1) [0, 1] := {f ∈ C (1) [0, 1] | f (a) = 0}. (1) Si noti anche che h1i è un complemento di Ca [0, 1] in C (1) [0, 1], vale a dire: (1) C (1) [0, 1] = h1i ⊕ Ca [0, 1]. Inoltre DIa è l’ identità su C (0) [0, 1] (Teorema Fondamentale del Calcolo Integrale). Esercizio 1.34 Con d1 , d2 e d∞ definite come nell’ esercizio 1.5, consideriamo le distanze da esse indotte su C (1) [0, 1]. Le indichiamo ancora coi simboli d1 , d2 e rispettivamente d∞ . Si dimostri che, presa d1 oppure d2 o d∞ come distanza sia su C (1) [0, 1] che su C (0) [0, 1], l’ operatore D non è continuo. Invece Ia risulta continuo (anzi, Lipschitiziano, quindi uniformemente continuo) qualunque delle tre distanze d1 , d2 o d∞ si scelga. Traccia. Si consideri la successione di funzioni fn (x) = xn . Allora fn tende alla funzione costante nulla 0 sia con d1 che con d2 . Ma D(fn ) = nfn−1 e questa successione non tende a D(0) (= 0),√nè con d1 nè con d2 . Invece, per d∞ si consideri la successione fn (x) = xn / n. Questa successione tende a 0 √ n−1 con d∞ . Però D(fn ) = nx , che non tende piú a 0. Invece, passando ad Ia , risulta d1 (Ia (f ), Ia (g)) ≤ d1 (f, g), d2 (Ia (f ), Ia (g)) ≤ d1 (f, g) ≤ d2 (f, g) e d∞ (Ia (f ), Ia (f )) ≤ d∞ (f, g). Quindi Ia è addirittura Lipschitziana (con costante di Lipschitz k = 1), qualunque delle tre distanze d1 , d2 o d∞ si consideri. Nota. Si confronti il risultato precedente con l’ esercizio 1.32. Lo spazio C (1) [0, 1] ha dimensione infinita, mentre il risultato dell’ esercizio 1.32 vale solo per spazi di dimensione finita. Infatti se V1 ha dimensione infinita allora, qualunque norma si ponga su di esso e qualunque spazio V2 si scelga come codominio, esistono sempre applicazioni lineari non continue da V1 a V2 . Le si possono costruire facilmente scegliendo in V1 una base formata da vettori di norma 1 e facendo corrispondere a ciascuno di essi un vettore di V2 di norma arbitrariamente grande. 12 1.2.3 Inverse di funzioni continue (1) Dato a ∈ [0, 1], sia Da la restrizione di D all’ iperpiano Ca [0, 1] (vedi sezione (1) 1.2.2). Siccome h1i = Ker(D) e C (1) [0, 1] = h1i ⊕ Ca [0, 1], l’ operatore Da è (0) invertibile e, siccome DIa è l’ identità su C [0, 1], l’ operatore Ia , visto come (1) funzione da C (0) [0, 1] a Ca [0, 1], è l’ inverso di Da . (1) Esercizio 1.35 In Ca [0, 1] e C (0) [0, 1] prendete come distanza d una qualunque (1) delle distanze d1 , d2 o d∞ , scegliendo tra d1 , d2 o d∞ la stessa sia in Ca [0, 1] che in C (0) [0, 1]. Sappiamo che Ia è continua, qualunque sia la scelta che si è fatta per d (esercizio 1.34) Sappiamo anche che Ia , vista come funzione da (1) C (0) [0, 1] a Ca [0, 1], è invertibile. E’ anche un omeomorfismo? Risposta. No, perchè Ia−1 = Da e Da non è continua. Questo lo si è visto nell’ esercizio 1.34 per D, ma la dimostrazione proposta in quell’ esercizio vale anche per Da con a = 0. E’ poi facile riadattarla al caso di a 6= 0. Esercizio 1.36 Sia S1 = R × [0, 2π[ ed S2 = R2 \ {(0, 0)}, muniti dell’ usuale distanza euclidea. Definite f : S1 → S2 ponendo f (x, y) = (ex cos y, ex sin y). E’ evidente che f è continua. Verificate che è invertibile. Sia f −1 : S2 → S1 l’ inversa di f . Dimostrate che f −1 non è continua. Traccia. I punti di discontinuità di f −1 sono i punti (r, 0) con r > 0. Esercizio 1.37 Sia f : R2 → R3 definita come segue: ( p se x2 + y 2 ≤ 1, (x, y, 1 − x2 + y 2 ) 2 2 f (x, y) = 2y x +y −1 2x ( x2 +y se x2 + y 2 ≥ 1. 2 +1 , x2 +y 2 +1 , x2 +y 2 +1 ) La funzione f è evidentemente continua. Verificate che è anche iniettiva, quindi invertibile se pensata come funzione da R2 ad Im(f ). Sia poi f −1 : Im(f ) → R2 l’ inversa di f , ove Im(f ) è pensata come uno spazio metrico, con la distanza ereditata da R3 . Dimostrare che f −1 non è continua. Traccia. Si osservi che f (x, y) tende a (0, 0, 1) = f (0, 0) al tendere di x2 + y 2 a +∞. Oppure si osservi che Im(f ) è un insieme compatto. Funzioni continue portano compatti in compatti. Ma R2 non è compatto. Pertanto f −1 non può essere continua. 1.2.4 Proiezioni Esercizio 1.38 Siano Qn(S1 , d1 ), (S2 , d2 ), ..., (Sn , dn ) spazi metrici e sia δ una distanza definita su i=1 Si , topologicamente equivalente alle distanze δ1 , δ2 e δ∞ definite nell’ esercizio 1.11. (Rammento che, come detto nell’ esercizio 1.11, le distanze δ1 , δ2 e δ∞ sono tra loro metricamente equivalenti.) 13 Qn n Qn Sia pk : i=1 Si → Sk la k-esima proiezione, che ad ogni punto (xi )i=1 ∈ componente. Si dimostri che pk è continua in i=1 Si associa la sua k-esima Qn quanto applicazione da ( i=1 Si , δ) ad (Sk , dk ). Supponiamo che per di piú che δ sia metricamente equivalente alle δ1 , δ2 e δ2 . Si dimostri che in tal caso pk è addirittura Lipschitziana. Nota. Nel caso particolare che δ = δ1 , δ2 o δ∞ la costante di Lipschitz di pk è √ rispettivamente n, n oppure 1. Esercizio 1.39 Nel caso di una famiglia infinita {(Si , di )}i∈I di Q spazi metrici, data in qualche modo una distanza d su un sottoinsieme S ⊆ i∈I Si , ci si può chiedere se la proiezione pk : (xi )i∈I 7→ xk risulti o no continua in quanto funzione da (S, d) ad (Sk , dk ). Si dimostri che se la topologia definita da d su S coincide con la topologia indotta dal prodotto delle topologie degli spazi metrici (Si , di ), oppure è più fine di questa, allora pk è continua, qualunque sia k ∈ I. Esercizio 1.40 Si dimostri che, nelle situazioni presentate negli esercizi 1.14, 1.15 e 1.16, le proiezioni sono sempre Lipschitziane con costante di Lipschitz 1. Lo spazio C (0) [0, 1] delle funzioni continue da [0, 1] ad R è contenuto nello spazio R[0,1] di tutte le funzioni da [0, 1] ad R, continue o no. Questo a sua volta è null’ altro che il prodotto di una famiglia {Rt }t∈[0,1] di copie di R. Esercizio 1.41 Inteso R[0,1] come detto sopra, sia Tpr la topologia indotta su C (0) [0, 1] dalla topologia prodotto di R[0,1] e siano T1 , T2 e T∞ le topologie associate alle distanze d1 , d2 e d∞ definite nell’ esercizio 1.5. Si dimostri che T1 e T2 non sono piú fini di Tpr mentre T∞ è strettamente più fine di Tpr . Traccia. Per ogni a ∈ [0, 1], l’ operatore νa che associa ad ogni f : [0, 1] → R [0,1] il = Q suo valore f (a) in a è nient’ altro che la proiezione del prodotto R R sul fattore R . Come detto nell’ esercizio 1.33, questo operatore non a t∈[0,1] t è continuo per T1 e nemmeno con T2 , ma lo è se prendiamo T∞ come topologia. Quindi, per quanto detto nell’ esercizio 1.39, T1 e T2 non sono più fini di Tpr . (Nemmeno sono meno fini di Tpr , ma questo non vi chiedo di dimostrarlo.) Invece tra gli aperti della topologia T∞ troviamo tutte le intersezioni di C (0) [0, 1] con prodotti di famiglie arbitrarie di aperti dei vari Rt . Quindi T∞ è strettamente piú fine di Tpr (esercizio 2.25). Nota. Quanto ora visto fornisce un’ altra dimostrazione del fatto che, come detto nell’ esercizio 1.10, la distanza d∞ non è topologicamente equivalente a d1 o d2 . 1.2.5 Un teorema di punto fisso Esercizio 1.42 Sia (S, d) uno spazio metrico completo. Dato un disco aperto U := D(a, r) di (S, d) sia f : U → S una funzione tale che: 14 (1) f è Lipschitziana con costante di Lipschitz k < 1; (2) d(f (a), a) < r(1 − k). Dimostrate che f (U ) ⊆ U e che esiste un unico punto x ∈ U tale che f (x) = x (in breve, f ammette un unico punto fisso in U ). Traccia. Se x ∈ U allora d(f (x), a) ≤ d(f (x), f (a)) + d(f (a), a) < kd(x, a) + r(1 − k) < r. Quindi f (U ) ⊆ U . Costruite poi una successione (xn )∞ n=0 di punti di U ponendo x0 = a ed xn+1 = f (xn ). Da ripetute applicazioni di (1) si ottiene che d(xn+1 , xn ) ≤ k n r(1 − k). Da ciò si ricava che se m > n allora d(xm , xn ) ≤ k n (1 − k m−n )r. Quindi La successione (xn )∞ n=0 è di Cauchy. Per la completezza di (S, d), esiste un punto x ∈ U tale che xn → x. Dalla (1) si ricava anche che d(xn , a) ≤ (1 − k n )/(1 − k) · d(x1 , a) ≤ d(x1 , a)/(1 − k). Per continuità, risulta anche d(x, a) ≤ d(x1 , a)/(1 − k). Ma d(x1 , a)/(1 − k) < r per (2). Quindi x ∈ U . Inoltre, f è continua in U (anzi, uniformemente continua, perchè Lipschitziana). Peranto xn → x implica f (xn ) → f (x). D’ altra parte, f (xn ) = xn+1 per definizione degli xn . Pertanto limn f (xn ) = limn xn = x. Ne segue che f (x) = x. Resta da provare che il punto x cosı̀ costruito è l’ unico punto fisso di f in U . Supponiamo che risulti anche f (y) = y per un altro punto y ∈ U . Allora d(f (x), f (y)) ≤ k · d(x, y) per (1). Ma f (x) = x ed f (y) = y. Ne viene che d(x, y) ≤ k · d(x, y) < d(x, y) (perché k < 1 per ipotesi). Assurdo. Esercizio 1.43 Sia (S, d) uno spazio metrico completo ed f : S → S Lipschitiziana con costante di Lipschitz k < 1. Si dimostri quanto segue. (1) Esiste un unico punto p ∈ S tale che f (p) = p. (2) La successione (xn )∞ n=0 di punti di S sia definita prendendo x0 a piacere e ponendo xn+1 = f (xn ). Allora xn → p, ove p è il punto fisso di f . (3) Con p come sopra, risulta d(f (x), x) ≥ (1 − k) · d(x, p), per ogni x ∈ S. Traccia. Dato x0 ∈ S, prendete r > d(f (x0 ), x0 )/(1 − k) e applicate il risultato dell’ esercizio 1.42, tenendo presente la dimostrazione proposta nella traccia. Per ottenere (3) prendete r = d(f (x), x)/(1 − k) + ε, rammentate che in base all’ esercizio 1.42 risulta p ∈ D(x, r) e fate tendere ε a 0. Nota. Se x0 è scelto molto lontano dal punto fisso p, la (3) ci dice che quando k è molto piccolo gli xn risultano all’ inizio molto distanziati tra loro. Di solito in questo caso la successione degli xn si assesta ben presto nelle vicinanze di p. Invece con k ≈ 1 la convergenza degli xn a p è di solito molto lenta. 1.2.6 Altri esempi Siano S1 = [0, 1] ed S2 = [0, 1] × [0, 1], entrambi muniti dell’ usuale distanza euclidea. Rammento che, scelto un intero b > 1 da usare come base, ogni 15 numero reale 0 ≤ a ≤ 1 si può rappresentare nella forma 0.a1 a2 ...an ... ove 0 ≤ an < b per ogni n, con la convenzione che, quando a = 1, si prenda an = b − 1 per ogni n. Rammento che se risulta an > 0 ed am = 0 per ogni m > n il numero a = 0.a1 a2 ...an 00... può anche mettersi nella forma a = 0.a1 a2 ...an−1 0a0n+1 a0n+2 ... ove a0n+k = b − 1 per ogni k > 0. In questo caso scegliamo come rappresentazione canonica di a la seconda rappresentazione. In tutti gli altri casi la rappresentazione è unica. Definiamo poi una funzione f : S1 → S2 in questo modo: se a = 0.a1 a2 ...an ... è la rappresentazione di a in base b, con la convenzione di prendere la rappresentazione canonica quando a ammette due rappresentazioni, poniamo f (a) = (f1 (a), f2 (a)) ove f1 (a) = 0.a1 a3 a5 a7 ... ed f2 (a) = 0.a2 a4 a6 .... Esercizio 1.44 Si verifichi che la funzione f definita sopra è continua e suriettiva, ma non iniettiva. Traccia. Per quanto riguarda la non iniettività. Risulta |f −1 (b, c))| ≤ 3 per tutti i punti (b, c) ∈ S2 . Posto Fi = {(b, c) | |f −1 (b, c)| = i} con i = 1, 2 o 3, risulta |F1 | = |F2 | = |R| e |F3 | = |N|. Nota. Sia ϕ : Rn → Rm continua. E’ noto che se n < m allora Im(ϕ) non è aperto mentre se n > m allora ϕ non è iniettiva (A. Tognoli e V. Villani, Topologia Algebrica, VII, 12). Ne segue che se f è la funzione considerata nell’ esercizio 1.44, allora l’ immagine f (A) di un intervallo aperto A ⊆]0, 1[ non è mai aperta. Tuttavia f (A) è aperto per infiniti aperti A ⊆]0, 1[: prendete A = f −1 (B) con B ⊆]0, 1[×]0, 1[ aperto. Viceversa, se g : S2 → S1 associa ad ogni punto x ∈ S2 un punto g(x) ∈ f −1 (x) allora ogni aperto di R2 contenuto in S2 contiene infiniti punti di discontinuità per g. Esercizio 1.45 Sia (S, d) uno spazio metrico. Dimostrare che la seguente disuguaglianza vale per ogni scelta di x, y, z ∈ S: |d(x, z) − d(y, z)| ≤ d(x, y). Esercizio 1.46 Usando la disuguaglianza dell’ esercizio 1.45, dimostrate che, dato a ∈ S, la funzione che ad ogni x ∈ S associa d(x, a) è Lipschitziana con costante di Lipschitz 1 (quindi è uniformemente continua.) Esercizio 1.47 Basta che un’ applicazione di uno spazio metrico in sè ne conservi la distanza per essere un’ isometria? Risposta. No. Infatti è iniettiva, ma non è detto che sia suriettiva. Per esempio, sia (S, d) uno spazio metrico discreto. Allora ogni applicazione iniettiva f : S → S è conserva d, ma se S è infinito f può non essere suriettiva. Oppure, sia V uno spazio vettoriale di dimensione infinita, dotato di un prodotto scalare (., .) e di una base ortonormale (ei )I∈I . Sia φ : I → I iniettiva ma non suriettiva e sia f : V → V l’ applicazione lineare definita dalla clausola f (ei ) = eφ(i) per ogni i ∈ I. Allora f conserva la distanza associata a (., .) ma non è suriettiva. 16 2 2.1 Spazi Topologici Chiusura e frontiera Esercizio 2.1 Verificate che l’ operatore che ad ogni insieme X di punti di uno spazio topologico (S, A) associa la sua chiusura X soddisfa le seguenti proprietà: (1) (2) (3) (4) (5) X ⊆ X, X = X, X ⊆Y ⇒ X ⊆Y, X ∪Y =X ∪Y, ∅ = ∅. (∀X ⊆ S); (∀X ⊆ S); (∀X, Y ⊆ S); (∀X, Y ⊆ S); Esercizio 2.2 Dato un insieme S ed indicata con P (S) la famiglia dei suoi sottoinsiemi, sia γ : P (S) → P (S) una funzione soddisfacente le proprietà (1)–(5) dell’ esercizio 2.1, ove X viene ora inteso come abbreviazione di γ(X). Dimostrate che γ verifica anche le proprietà seguenti. (6) (7) ∩i∈I X i = ∩i∈I Xi , per ogni famiglia {Xi }i∈I ⊆ P (S); S = S. Terminologia. Una funzione γ : P (S) → P (S) verificante le proprietà (1)–(5) dell’ esercizio 2 (quindi anche (6) e (7) qui sopra) si dice un operatore di chiusura su S. I sottoinsiemi X ⊆ S per i quali X = X si dicono chiusi (per γ). Esercizio 2.3 Dato un operatore di chiusura γ : X → X su un insieme S, sia Cγ la famiglia dei suoi chiusi. Si dimostri che Cγ definisce una topologia su S. Nota. In questa topologia, {¬C}C∈Cγ è la famiglia degli aperti e γ(X) è la chiusura di X. Esercizio 2.4 Dimostrate che l’ operatore che ad ogni insieme X ⊆ S di punti di uno spazio topologico (S, A) associa la sua frontiera Fr(X) soddisfa le seguenti proprietà: (1) Fr(Fr(X)) ⊆ (2) Fr(X ∪ Y ) ⊆ (3) Fr(X ∩ Y ) ⊆ Fr(X), Fr(X) ∪ Fr(Y ), Fr(X) ∪ Fr(Y ), (∀X ⊆ S); (∀X, Y ⊆ S); (∀X, Y ⊆ S). Dedurre da (1) che Fr(X) è sempre un insieme chiuso. Sia in (1) che in (2) e in (3) può capitare che si abbia inclusione stretta. Trovate esempi ove questo accade. Suggerimento. Per l’ ultima domanda: in R prendete X = Q ed Y = ¬X. Esercizio 2.5 Dati due spazi topologici S1 = (S1 , A1 ) ed S2 = (S2 , A2 ) sia f : S1 → S2 una funzione continua. Dimostrate che: (1) f (Fr(X)) ⊆ Fr(f (X)), (∀X ⊆ S1 ), (2) f (X) ⊆ f (X), (∀X ⊆ S1 ). 17 2.2 Assiomi di separazione e di numerabilità Rammento che uno spazio è detto di Hausdorff se soddisfa la seguente proprietà: (T2) Per ogni coppia di punti distinti a e b esistono sempre un intorno U di a ed un intorno V di b tali che U ∩ V = ∅. Chiaramente (T2) implica la seguente proprietà: (T1) Per ogni coppia di punti distinti a e b esiste sempre un intorno U di a che non contiene b. A sua volta, (T1) equivale al fatto che tutti i singoletti siano insiemi chiusi. Nel seguito gli spazi soddisfacenti (T1) verranno detti semi-Hausdorff. Ovviamente, ogni spazio di Hausdorff è anche semi-Hausdorff. Rimando al testo per la nozione di separabilità e gli assiomi di numerabilità. Mi limito ad evidenziare un fatto, al quale il testo non dà troppo risalto, ma che sarà utilizzato più di una volta nel seguito. Lo propongo come esercizio. Esercizio 2.6 Se un punto ammette un sistema fondamentale di intorni numerabile allora ammette anche un sistema fondamentale di intorni numerabile {Vn }∞ n=0 ove Vn ⊇ Vn+1 per ogni n. Traccia. Dato un sistema fondamentale numerabile {Un }∞ n=0 di intorni di un punto, ponete Vn = ∩nk=0 Uk . 2.2.1 Semi-Hausdorff e Hausdorff Esercizio 2.7 Fornite un esempio di uno spazio semi-Hausdorff che non sia di Hausdorff. Risposta. Un insieme infinito con la topologia dei co-finiti. Questo è il primo esempio che viene in mente, ma ce n’ è moltissimi altri. La topologia di Zariski, per esempio (vedi più avanti, esercizio 2.63). Esercizio 2.8 Sia S un insieme più che numerabile. Sia A0 la famiglia dei sottoinsiemi X ⊆ S tali che ¬X è al più numerabile e ponete A = A0 ∪ {∅}. Dimostrate che (S, A) è uno spazio topologico. Terminologia. La famiglia A definita come sopra viene detta topologia dei co-numerabili. Esercizio 2.9 Sia S un insieme piú che numerabile dotato della topologia dei co-numerabili. Dimostrate che tale spazio è semi-Hausdorff ma non è di Hausdorff. 18 Note. 1) Evidentemente, la topologia dei co-numerabili è strettamente più fine dalla topologia dei co-finiti. 2) Possiamo definire la topologia dei co-numerabili anche in un insieme al più numerabile, ma in tal caso otteniamo solo la topologia discreta. Generalizzazione. La costruzione proposta nell’ esercizio 2.8 si può generalizzare, fissando un numero cardinale infinito a, prendendo un insieme S di cardinalità |S| ≥ a e considerando la famiglia di tutti i sottoinsiemi X ⊆ S tali che |¬X| < a. Inchiamo questa topologia col simbolo T (S)a . Con questa notazione, e usando i simboli ℵ0 ed ℵ1 per indicare rispettivamente la cardinalità degli insiemi numerabili ed il più piccolo cardinale non numerabile, T (S)ℵ0 è la topologia dei co-finiti e T (S)ℵ1 è la topologia dei conumerabili. Rammento che un punto a di uno spazio topologico S è detto di accumulazione per un insieme A se ogni intorno di a contiene punti di A diversi da a. Ovviamente, se ogni intorno di A contiene infiniti punti di A, allora a è di accumulazione per A. Il viceversa non è vero in generale. Per esempio, nello spazio banale (S, {∅, S}), se A ⊆ S contiene almeno due punti allora ogni punto di S è di accumulazione per A, ma nulla impedisce che A sia finito. Invece: Esercizio 2.10 In uno spazio topologico semi-Hausdorff, se un punto è di accumulazione per un insieme A, allora ogni suo intorno contiene infiniti punti di A. Dimostratelo. Esercizio 2.11 Dato un cardinale infinito a ed un insieme S di cardinalità |S| ≥ a, considerate su S la topologia T (S)a (vedi sopra, generalizzazione proposta dopo l’ esercizio 2.9). Sia A ⊆ S. Dimostrate che se |A| ≥ a allora ogni punto di S è di accumulazione per A. Se invece |A| < a allora nessun punto di S è di accumulazione per A. 2.2.2 Convergenza di successioni E’ ben noto che in uno spazio di Hausdorff una successione di punti ammette sempre al più un punto limite. Questo però non è vero in ogni spazio topologico. Per esempio, in uno spazio topologico banale, ogni successione converge ad ogni punto. Ma qualcosa di simile accade anche in situazioni meno patologiche. Esercizio 2.12 Trovate uno spazio S che sia semi-Hausdorff e dove si verifichi quanto segue: se in una successione (xn )∞ n=0 di punti di S non c’ è nessun termine che si ripeta infinite volte, allora xn → x per ogni punto x ∈ S. Risposta. Prendete un insieme infinito S munito della topologia dei co-finiti T (S)ℵ0 . Questo spazio è semi-Hausdorff (esercizio 2.7). Data un questo spazio una successione di punti x = (xn )∞ n=0 , sia r∞ (x) l’ insieme dei punti che compaiono infinite volte in x. Se r∞ (x) = ∅ allora x converge ad ogni punto di S. 19 Se r∞ (x) = {x} per qualche punto x, allora x converge solo ad x. Se infine |r∞ (x)| > 1 allora x non converge a nulla. Esercizio 2.13 Sia S un insieme più che numerabile dotato della topologia dei co-numerabili. Si dimostri che in questo spazio una successione di punti (xn )∞ n=0 ammette un punto limite se e solo se esistono un punto x ∈ S ed un numero n0 ∈ N tale che xn = x per ogni n ≥ n0 . (In tal caso, x è è l’ unico punto limite della successione.) Esercizio 2.14 Siano S1 ed S2 due spazi topologici con lo stesso insieme di punti S. Supponiamo che (∗) per ogni punto a ∈ S ed ogni successione (xn )∞ n=0 di punti di S risulta che xn → a in S1 se e solo se xn → a in S2 . La condizione (∗) è sufficiente per concludere che S1 = S2 ? Risposta. Se S1 e S2 soddisfano il primo assioma di numerabilità allora si, altrimenti non è detto. Supponiamo che S1 ed S2 soddisfino il primo assioma di numerabilitá. Per assurdo, ci siano un punto a ∈ S un sottoinsieme U ⊆ S tale che U è intorno di a in S1 ma U non è un intorno di a in S2 . Sia (Vn )∞ n=0 un sistema fondamentale di intorni di a in S2 con Vn ⊇ Vn+1 per ogni n = 0, 1, 2... (esercizio 12). Siccome U non è un intorno di a in S2 , nessuno dei Vn è contenuto in U . Quindi per ogni n esiste un xn ∈ Vn \ U . Siccome (Vn )∞ n=0 è un sistema fondamentale di intorni di a e Vn ⊇ Vn+1 , la successione (xn )∞ n=0 tende ad a in S2 . D’ altra parte, xn 6∈ U per ogni n. Quindi xn 6→ a in S2 . Questo contraddice la (∗). Invece, se non assumiamo nulla su S1 e S2 , possiamo trovare esempi ove (∗) vale ma S1 6= S2 . Eccone uno. Sia S un insieme di cardinalità |S| = a > ℵ1 , sia T (S)ℵ1 la topologia dei co-numerabili su S1 e consideriamo la topologia T (S)a (vedi generalizzazioni dopo l’ esercizio 2.9). La topologia T (S)ℵ1 è strettamente meno fine di T (S)a . D’ altra parte, qualunque di queste due topologie si prenda, una successione (xn )∞ n=0 tende ad un punto a se e solo se tutti gli xn coincidono con a da un certo n in poi (esercizio 2.13 e sua soluzione). Quindi (∗) vale. 2.2.3 Continuità per successioni Dati due spazi topologici (S, A) ed (S 0 , A0 ), una funzione f : S → S 0 si dice continua per successioni in un punto a ∈ S se, per ogni successione (xn )∞ n=0 di punti di S, se xn → a in (S, A) allora f (xn ) → f (a) in (S 0 , A0 ). Se questo succede per ogni punto a ∈ S allora diciamo che S è continua per successioni. Sappiamo che la continuità (in un punto a) implica la continuità per successioni (in a). Viceversa: Esercizio 2.15 Con (S, A), (S 0 , A0 ) ed f : S → S 0 come sopra, sia a ∈ S. Supponete che a ammetta un sistema fondamentale numerabile di intorni in (S, A) e che f sia continua per successioni in a. Dimostrate che allora f è anche continua in a. 20 Soluzione. Sia {Vn }∞ n=0 un sistema fondamentale di intorni per a, ove Vn ⊇ Vn+1 (esercizio 2.6). Supponiamo che f sia continua per successioni in a. Per assurdo, esista un intorno U di f (a) tale che f −1 (U ) non sia un intorno di a. Allora per ogni n esiste xn ∈ Vn \ f −1 (U ). D’ altra parte, ogni intorno V di a contiene almeno un Vn , quindi anche Vm per ogni m ≥ n. Sicchè V contiene anche tutti i punti xm con m ≥ n. Pertanto xn → a. Però f (xn ) 6∈ U e pertanto f (xn ) 6→ f (a), contro le ipotesi. Commento. Da quanto sopra segue subito che se (S, A) soddisfa il primo assioma di numerabilità allora, per ogni funzione f : S → S 0 , la continuità per successioni implica la continuità. Esercizio 2.16 Fornite un esempio che mostri che, in generale, la continuità per successioni non implica la continuità. Risposta. Sia Tℵ1 la topologia dei co-numerabili su un insieme S più che numerabile (esercizio 2.9). In Tℵ1 , dire che xn → a significa dire che xn = a per ogni n abbastanza grande (esercizio 2.13). Quindi ogni funzione f : S → S 0 è continua per successioni, qualunque sia S 0 e qualunque topologia si sia posta su S 0 , ma evidentemente non è detto che f sia continua in qualche punto. 2.2.4 Regolarità e Normalità Rammento che uno spazio semi-Hausdorff detto regolare se in esso vale la seguente proprietà: (T3) Per ogni chiuso C ed ogni punto a 6∈ C esistono aperti A e B tali che C ⊆ A, a ∈ B e A ∩ B = ∅. Invece è detto normale se (T4) Per ogni coppia di chiusi disgiunti H e K, esistono aperti A e B tali che H ⊆ A, K ⊆ B e A ∩ B = ∅. Esercizio 2.17 Si dimostri che uno spazio semi-Hausdorff è regolare se e solo se per ogni aperto A ed ogni punto a ∈ A esiste un aperto B tale che a ∈ B e B ⊆ A. Invece uno spazio semi-Hausdorff è normale se e solo se per ogni aperto A ed ogni chiuso C ⊆ A esiste un aperto B tale che C ⊆ B ⊆ B ⊆ A. 2.3 2.3.1 Topologie generate da famiglie di insiemi Terminologia e notazione Rammento che date due topologie A e B su uno stesso insieme S, se A ⊆ B si dice che A è meno fine di B oppure che B è più fine di A e si scrive A ≤ B. Scrivendo A < B si intende che A ⊂ B. In tal caso si dice che A è strettamente meno fine di B. 21 In questo modo la famiglia di tutte le topologie su S viene strutturata come un insieme ordinato. La topologia discreta e quella banale sono rispettivamente il massimo ed il minimo di questo insieme. L’ intersezione di una famiglia arbitraria di topologie è ancora una topologia. Pertanto, data una proprietà che si conservi per intersezioni e valga per almeno una topologia, possiamo sempre considerare la meno fine topologia che abbia quella proprietà, prendendo l’ intersezione di tutte le topologie che hanno quella proprietà. In particolare, data una qualunque famiglia H di sottoinsiemi di S, è possibile considerare la meno fine topologia che contenga H. La indichiamo col simbolo T (H) e la chiamiamo la topologia generata da H. La si può definire come l’ intersezione di tutte le topologie che contengono la famiglia H. Più esplicitamente, T (H) consiste di tutte le unioni di famiglie arbitrarie di insiemi ottenuti come intersezioni di un numero finito di membri di H. L’ operatore T cosı̀ definito permette anche di costruire l’ estremo superiore di una famiglia di topologie: l’ estremo superiore ∨i∈I Ai di una famiglia {Ai }i∈I di topologie su S è la topologia T (∪i∈I Ai ). 2.3.2 Qualche esempio Esercizio 2.18 In Rn ∪ {∞}, indicata con D la famiglia dei dischi aperti di Rn , ponete D∞ := D ∪ {¬D ∪ {∞}}D∈D . Descrivete la topologia T (D∞ ) di Rn ∪ {∞} generata da D∞ . Risposta. T (D∞ ) contiene tutti gli aperti di Rn ed in più tutti gli insiemi della forma A ∪ {∞}, ove A è un aperto di Rn contenente tutti i punti x a distanza > r dall’ origine, per un opportuno r dipendente da A. T (D∞ ) si può anche descrivere come segue. Consideriamo in Rn+1 la sfera n S di raggio 1 e centro l’ origine, con la sua topologia naturale, indotta dalla metrica euclidea di Rn+1 . SiaPf : Rn ∪ {∞} → Sn definita come segue, ove n x = (xi )ni=1 ∈ Rn ed (x, x) := i=1 x2i : ( (x,x)−1 2xn 2x1 , ..., , f (x) = (x,x)+1 (x,x)+1 (x,x)+1 , f (∞) = (0, ..., 0, 1). Allora f è bijettiva e T (D∞ ) è l’ immagine mediante f −1 della topologia naturale di Sn (vedi oltre, esercizio 2.20). In breve, (Rn ∪ {∞}, T (D∞ )) ' Sn . Commento. Dall’ omeomorfismo (Rn ∪{∞}, T (D∞ )) ' Sn segue subito che lo spazio (Rn ∪ {∞}, T (H)) è metrizzabile e separabile (vedi anche esercizio 2.20). Infatti Sn ha entrambe queste proprietà ed (Rn ∪ {∞}, T (H)) le eredita da Sn . Esercizio 2.19 In R2 , considerate le relazioni d’ ordine ≤1 , ≤2 e ≤3 , definite come segue, ove ≤ riferito a numeri ha il senso usuale: (x1 , x2 ) ≤1 (y1 , y2 ) ⇔ (x1 , x2 ) ≤2 (y1 , y2 ) ⇔ (x1 , x2 ) ≤3 (y1 , y2 ) ⇔ (x1 ≤ y1 ) ∧ (x2 ≤ y2 ); (x1 < y1 ) ∨ ((x1 = y1 ) ∧ (x2 ≤ y2 )); x1 ≤ y1 . 22 Per i = 1, 2, 3 ed a, b ∈ R2 con a <i b sia ]a, b[i := {x | a <i x <i b} l’ intervallo aperto per ≤i di estremi a e b. Sia Ii = {]a, b[i }a<i b la famiglia degli intervalli aperti di ≤i e Ti = T (Ii ) la topologia generata da Ii . Indichiamo con TE la topologia euclidea di R2 . Dimostrate le seguenti asserzioni. (1) T1 è la topologia discreta. (2) T3 < TE < T2 . (3) T2 è metrizzabile e separabile. (4) T3 soddisfa il secondo assioma di numerabilità ed è separabile ma non è semi-Hausdorff. Quindi nemmeno è metrizzabile. Traccie. La (4) è ovvia. Suggeriamo invece come dimostrare (1), (2) e (3). (1) Dato un punto a = (a1 , a2 ) ∈ R2 , risulta {a} = ](a1 , a2 − r), (a1 , a2 + r)[1 ∩](a1 − r, a2 , (a1 + r, a2 )[1 con r > 0 preso a piacere. Quindi {a} è un aperto per T1 . Pertanto ... (2) Gli intervalli di ≤2 sono aperti in T1 ma non in TE . D’ altra parte, ogni disco di TE si ottiene come unione di una famiglia di intervalli di ≤2 costituiti da segmenti verticali, variandone opportunamente la lunghezza. (3) Una distanza che produca T2 può definirsi come segue: d((x1 , x2 ), (y1 , y2 )) = 2.4 2 · arctg(|x2 − y2 |) + d|x1 − y1 |e + |x1 − y1 |. π Trasferire una topologia da un insieme ad un altro Esercizio 2.20 Sia f : U → V una biiezione tra due insiemi U e V . Su U sia assegnata una topologia con famiglia di aperti A e ponete f (A) := {f (A)}A∈A . Dimostrate che (V, f (A)) è uno spazio topologico e che f è un omeomorfismo da (U, A) a (V, f (A)). Per di più, se lo spazio (U, A) è metrizzabile allora anche (V, f (A)) lo è. Traccia. Tutto ovvio. Per la metrizzabilità, vedi esercizio 1.18. Definizione. Chiamiamo (V, f (A)) l’ immagine di (U, A) mediante f . Esercizio 2.21 Dati due insiemi U e V ed una funzione f : U → V , supponete V dotato di una topologia V. Sia T(f, V) la famiglia delle topologie U su U tali che f risulti continua in quanto funzione da (U, U) a (V, V). La famiglia T(f, V) contiene la topologia discreta, quindi non è vuota. Dimostrate che T(f, V) ammette un minimo e descrivetelo. Risposta. Si vede subito che f −1 (V) := {f −1 (X)}X∈V è una topologia su U . Evidentemente, se U è dotato della topologia f −1 (V) allora f diventa continua. D’ altra parte, se f : (U, U) → (V, V) è continua allora necessariamente f −1 (V) ⊆ U. Quindi f −1 (V) è il minimo di T(f, V). 23 Fraseologia. Il minimo di T(f, V) è dunque null’ altro che la retroimmagine f −1 (V) di V mediante f , ma di solito ci si riferisce ad essa mediante la locuzione la meno fine topologia su U che rende continua f . Infatti, questo appunto è. Nota. Se f è suriettiva allora f (f −1 (V)) = V. Se per di più f è anche iniettiva, allora f è un omeomorfismo, e siamo nel caso considerato nell’ esercizio 2.20. Esercizio 2.22 Dato un insieme U , una famiglia {(Vi , Vi )}i∈I di spazi topologici e una famiglia {fi }i∈I di funzioni fi : U → Vi , sia T((fi , Vi )i∈I ) la famiglia delle topologie U su U tali che fi risulti continua in quanto funzione da (U, U) a (Vi , Vi ), per ogni i ∈ I. La famiglia T((fi , Vi )i∈I ) contiene la topologia discreta, quindi non è vuota. Dimostrate che T((fi , Vi )i∈I ) ammette un minimo e descrivetelo. Risposta. Il minimo di T((fi , Vi )i∈I ) è ∨i∈I fi−1 (Vi ) (= T (∪i∈I fi−1 (Vi ))). Esercizio 2.23 Dati due insiemi U e V ed una funzione f : U → V , supponete U dotato di una topologia U. Sia T(U, f ) la famiglia delle topologie V su V tali che f risulti continua in quanto funzione da (U, U) a (V, V). La famiglia T(U, f ) contiene la topologia banale, quindi non è vuota. Dimostrate che T(U, f ) ammette un massimo e descrivetelo. Risposta. Il massimo è la topologia f ∗ (U) := {X ⊆ V | f −1 X ∈ U}. Notazione e fraseologia. Nel seguito manterremo il simbolo f ∗ (U) per indicare il massimo di T(U, f ). Quindi f ∗ (U) è la più fine topologia su V che renda continua f . Nota. Quando f non è suriettiva la topologia f ∗ (U) induce la topologia discreta su V \ f (U ), ma questo può non piacere. Per questo motivo di solito nella situazione dell’ esercizio 2.23 si preferisce assumere che f sia suriettiva. Se questo è il caso, allora la funzione che ad ogni punto v ∈ V associa la sua fibra f −1 (v) è un omeomorfismo da (V, f ∗ (U)) al quoziente di (U, U) rispetto alla partizione {f −1 (v)}v ∈ V di U nelle fibre di f . Infine, se f è addirittura invertibile allora ci ritroviamo nella situazione dell’ esercizio 2.20. In tal caso f ∗ (U) = f (U). Esercizio 2.24 Dato un insieme V , una famiglia {(Ui , Ui )}i∈I di spazi topologici e una famiglia {fi }i∈I di funzioni fi : Ui → V , sia T((Ui , fi )i∈I ) la famiglia delle topologie V su V tali che fi risulti continua in quanto funzione da (Ui , Ui ) a (V, V) per ogni i ∈ I. La famiglia T((Ui , fi )i∈I ) contiene la topologia banale, quindi non è vuota. Dimostrate che T((Ui , fi )i∈I ) ammette un massimo e descrivetelo. Risposta. Il massimo è ∩i∈I fi∗ (Ui ). 24 2.5 Prodotti Sia (Si )i∈I una famiglia diQspazi topologici, Si = (Si , Ai ) per i ∈ I. Rammento che la topologia prodotto i∈I Ai è per definizione la menoQfine topologia sull’ Q insieme i∈I Si che rende continue tutte le proiezioni pk : i∈I Si → Sk . Essa è generata dalla famiglia ∪i∈I p−1 i (Ai ). Rammento che con questa topologia su Q S le proiezioni risultano anche funzioni aperte. i i∈I Q NegliQesercizi seguenti indico sempre con P0 la topologia prodotto i∈I Q QAi . Quindi i∈I Si = ( i∈I Si , P0 ). Indico invece con P la topologia su ∞ i∈I Q generata dalla famiglia dei prodotti i∈I Ai con Ai ∈ Ai . Sappiamo che se |I| < ∞ allora P0 = P∞ . Esercizio 2.25 Dimostrate che se I è infinito allora P0 < P∞ . Soluzione. Evidentemente P0 ≤ P∞ . D’ altra parte, tutti gli aperti A ∈ P0 sono tali che pi (A) = Si per tutti gli indici i ∈ I salvo al più un numero finito di indici. Ma questi sono solo alcuni degli aperti di P∞ . Dato uno spazio topologico S = (S, A) e per ogni Q i ∈ I una funzione continua fi : S → Si , esiste un’ unica funzione f : S → i∈I Si tale che pi f = fi per ogni i ∈ I, definita cosı̀: f (x) := (fi (x))i∈I per ogni x ∈ S. Nel seguito indico questa funzione col simbolo [fi ]i∈I . Q Esercizio 2.26 La topologia prodotto P0 è la più fine topologia su ∈I Si che renda continua la funzione [fi ]i∈I , per ogni scelta di uno spazio topologico S e funzioni continue fi : S → Si . Soluzione. Sia Q f := [fi ]i∈I . Dimostriamo che f è continua in quanto applicazione da S a i∈I Si . Sia X ∈ P0 . Per definizione, f −1 (X) = ∩i∈I fi−1 (pi (X))). Siccome le proiezioni sono aperte, pi (X) è aperto per ogni i ∈ I. Inoltre pi (X) 6= Si solo per un numero finito di valori di i. Quindi fi−1 (X) 6= S solo per un numero finito di scelte di i. D’ altra parte, per la continuità delle fi ed il fatto che pi (X) è aperto, l’ insieme fi−1 (pi (X)) è aperto in S per ogni i ∈ I. Sicchè f −1 (X) è intersezione di un numero finito di aperti di S. Quindi è aperto. Ne segue che f Q è continua. Prendiamo ora S = i∈I SiQed fi = pi . La funzione p := [pi ]i∈IQè null’ altro che l’ identità sull’ insieme i∈I Si . Supponiamo di aver posto su i∈I Si , visto Q come codominio di p, una topologia P 6⊆ P0 . Quindi esiste un sottoinsieme X ⊆ i∈I Si che appartiene a P ma non a P0 . Ma p−1 (X) = X perché p è l’ identità. Siccome X è aperto per P ma non per P0 , p risulta non continua. Esercizio 2.27 Il risultato dell’ esercizio 2.26 può anche formularsi come segue: Q (UP) (Proprietà Universale del Prodotto.) P0 è l’ unica topologia su i∈I Si che renda continue tutte le proiezioni pi e tutte le funzioni [fi ]i∈I , per ogni scelta di uno spazio topologico S e funzioni continue fi : S → Si . 25 Q Soluzione. Infatti P0 è la meno fine topologia su i∈I Si che renda continue tutte le proiezioni pi e la più fine per cui tutte le funzioni [fi ]i∈I siano continue. Quindi è l’ unica per cui entrambe queste proprietà valgano. Commenti. 1) Quanto sopra spiega perché nel definire il prodotto topologico di una famiglia infinita di spazi si sceglie la topologia P0 anziché P∞ . Quanto I è infinito P∞ è strettamente più fine di P0 (esercizio 2.25). Quindi, adottando P∞ si perderebbe la proprietà (UP). 1) La Proprietà Universale del Prodotto è menzionata anche nel testo (proposizione 6.6), ma con una formulazione più timida. Per ogni i ∈ I sia gi : Si0 → Si una funzione ed Q Si0 uno spazio topologico 0 0 0 0 con Si come insieme Q di punti. QSia pi la proiezione di 0 i∈I Si su Si . Esiste un’ 0 unica funzione g : i∈I Si → i∈I Si tale che pi g =Qfi pi per ogni i ∈ I, definita 0 cosı̀: g((xi )i∈I ) := (gQ i (xi ))i∈I per ogni (xi )i∈I ∈ i∈I Si . Indichiamo questa funzione col simbolo i∈I gi . Q Q Q Esercizio 2.28 La funzione i∈I gi : i∈I Si0 → i∈I Si è continua se e solo se tutte le funzioni gi : Si0 → Si sono continue. Q Traccia. La parte ‘se’ segue da (UP) osservando che i∈I gi = [fi p0i ]i∈I . La parte ‘solo se’ segue dal fatto che le proiezioni sono sia continue che aperte. Precisamente, si sfrutta la continuità delle pi ed il fatto che le p0i sono aperte. Come detto nel testo (capitolo 3, proposizione 8.2 ed esercizio 15) un prodotto di spazi di Hausdorff (oppure semi-Hausdorff) è sempre di Hausdorff (rispettivamente, semi-Hausdorff). Ma si può dire di più. Q Esercizio 2.29 Lo spazio i∈I Si è di Hausdorff (oppure semi-Hausdorff ) se e solo se tuttiQ gli Si sono di Hausdorff (semi-Hausdorff ). Lo spazio i∈I Si verifca il primo (o il secondo) assioma di numerabilità se e solo se I è al più numerabile ed il primo (il secondo) assioma di numerabilità vale in ciascuno degli Si . Q Q ∞ Esercizio 2.30 Una Q successione (un )n=0 di punti di i∈I Si converge in i∈I Si ad un punto u ∈ i∈I Si se e solo se pi (un ) → pi (u) in Si per ogni i ∈ I. Traccia. La parte ‘solo se’ viene dalla continuità delle proiezioni. Dimostriamo la parte ‘se‘. Supponiamo che pi (un ) → pi (u) per ogni ∈ I. Dato un aperto A ∈ P0 contente u, risulta pi (A) ⊂ Si solo per un numero finito di indici i ∈ I. Se i1 , ..., im sono gli indici per cui questo accade, e se per ogni h = 1, 2, ..., m si è scelto nh in modo che pih (un ) ∈ pih (A) per ogni n ≥ nh , allora per n ≥ maxm h=1 nh risulta un ∈ A. Quindi un → u in P0 . Esercizio 2.31 Supponiamo che I sia al più numerabile e che il primo assioma Q di numerabilità valga in ciascuno degli spazi Si . Sia P una topologia su i∈I Si soddisfacente il primo assioma di numerabilità e la proprietà seguente: 26 Q (∗) UnaQ successione (un )∞ n=0 di punti di i∈I Si converge in P ad un punto u ∈ i∈I Si se e solo se pi (un ) → pi (u) in Si per ogni i ∈ I. Allora P = P0 . Traccia. Per il risultato assunte su P una Q dell’ esercizio 2.30, nelle ipotesi Q successione di punti di i∈I Si converge ad un punto u ∈ i∈I Si in P se e solo se essa converge ad u in P0 . La conclusione segue dall’ esercizio 3.6 e dalla seconda parte dell’ esercizio 2.29. Esercizio Qn 2.32 Siano (S1 , d1 ), ..., (Sn .dn ) spazi metrici e sia d una distanza su S := i=1 Si topologicamente equivalente alle distanze δ1 , δ2 o δ∞ definite come nell’ esercizio 1.11. (Rammento che queste distanze sono tra loro metricamente equivalenti.) Sia T la topologia associata a d su S eQper i = 1, 2, ..., n sia Ti la n topologia definita da di su Si . Si dimostri che T = i=1 Ti . Q Esercizio 2.33 Sia S = (S, A) uno spazio topologico con S ⊆ i∈I Si e sia P0,S la topologia indotta daQ P0 su S. Per i ∈ I, sia pi,S : S → Si la restrizione ad S della proiezione pi : i∈I Si → Si . Supponiamo che per ogni i ∈ I la funzione pi,S sia continua in quanto funzione da S ad Si . Si dimostri che in questi ipotesi A ≥ P0,S . Traccia. In virtùQdi (UP), la funzione p := [pi,S ]i∈I è continua. Ma p è l’ inclusione di S in i∈I Si . Ne segue che X ∩ S ∈ A per ogni X ∈ P0 . Esercizio 2.34 Con la notazione degli esercizi 1.14, 1.15 e 1.16, per h = 1, 2, ∞ sia Th la topologia definita dalla distanza δh su Bha . Indichiamo con P0 il prodotto topologico delle topologie degli spazi (Si , di ) (i ∈ I ed I = {1, 2, 3, ...} quando h = 1 o h = 2). Sia T0 la topologia indotta da P0 su Bha . Si dimostri che T0 < Th , qualunque sia h ∈ {1, 2, ∞}. Traccia. Tutte le proiezioni di Bha sugli Sn sono continue per Th (esercizio 1.40). Quindi T0 ≤ Th (esercizio 2.33). D’Qaltra parte, tra gli aperti di Th ne ∞ compaiono anche di quelli della forma A = i∈I Ai con Ai ⊂ Si per ogni i. Essi appartengono a P∞ \ P0 . Pertanto T0 < Th . Esercizio 2.35 Rammento che l’ insieme R[0,1] si può pensare come un prodotto di copie Rx di R, una per ogni x ∈ [0, 1]. In C (0) [0, 1] ⊂ R[0,1] siano T∞ , T1 e T2 le toplogie associate alle distanze d∞ , d1 e d2 dell’ esercizio 1.5 e sia T0 la topologia indotta su C (0) [0, 1] dalla topologia prodotto di R[0,1] . Sappiamo che T0 < T∞ (esercizio 2.34). Si dimostri che invece T0 non è nè più fine nè meno fine di nessuna delle due topologie T1 e T2 . Traccia. Chiaramente, T0 non è più fine di T1 o di T2 . Per dimostrare che non è nemmeno meno fine di esse, si consideri la seguente successione delle funzioni 27 fn definite come segue: 0 per 0 ≤ x ≤ 21 − n1 , nx + 1 − n/2 per 12 − n1 ≤ x ≤ 1/2, fn (x) = −nx + 1 + n/2 per 1/2 ≤ x ≤ 21 + n1 , 0 per 12 + n1 ≤ x ≤ 1. Sia 0 la funzione identicamente nulla. Allora fn → 0 sia in T1 che in T2 , ma fn (1/2) = 1 6→ 0. Quindi fn 6→ 0 in T0 (esercizio 2.30). Ne segue che T0 non può essere meno fine di T1 o T2 . Esercizio 2.36 Sia {Si }i∈I una famiglia di spazi topologici e {Ij }j∈J una partizione di I. Si dimostri che Y YY Si ' Si . (Proprietà associativa.) i∈I j∈J i∈Ij Si poi σ una permutazione dell’ insieme I degli indici. Si dimostri che Y Y Si ' Sσ(i) . (Proprietà commutativa.) i∈Ij i∈I Traccia. Per la prima affermazione, si usi la proprietà (UP). 2.6 2.6.1 Compattezza In generale Esercizio 2.37 Nella topologia dei co-finiti tutti gli insiemi sono compatti. Nella topologia dei co-numerabili gli insiemi compatti sono quelli finiti. Esercizio 2.38 Sia f : S1 → S2 una funzione continua da uno spazio compatto S1 ad uno spazio di Hausdorff S2 . Sia inoltre X ⊆ S1 tale che la restrizione di f|X di f ad X sia iniettiva ed X = f −1 (f (X)). Allora f|X è un omeomorfismo da X (con la topologia indotta da S1 ) ad f (X) (con la toplogia indotta da S2 ). Soluzione. Sia C ⊆ X chiuso per la toplogia indotta. Quindi C = K ∩ X per un chiuso K di S1 . Il chiuso K è compatto, perché S1 è compatto. Quindi f (K) è compatto, e dunque chiuso (perché S2 è di Hausdorff). Pertanto f (C) = −1 f (K) ∩ F (X) è chiuso in f (X). Ne segue che f|X : f (X) → X è continua. Esercizio 2.39 Siano S1 ed S2 spazi topologici ed f : S1 → S2 continua e invertibile. Supponiamo che S2 sia compatto. Ne segue che f −1 è continua? Risposta. No. Per esempio, la funzione f che a t ∈ [0, 2π[ associa (cos t, sin t) è iniettiva ed Im(f ) = {(x, y) | x2 + y 2 = 1}, che è compatto. Ma la funzione f −1 : Im(f ) → [0, 2π[ non è continua in (0, 0). Si vedano gli esercizi 1.36 e 1.37 per altri controesempi. 28 Sappiamo che in uno spazio topologico semi-Hausdorff soddisfacente il primo assioma di numerabilità ogni insieme compatto è compatto per successioni (proposizione 9.4 del testo). Viceversa: Esercizio 2.40 Sia S uno spazio topologico soddisfacente il secondo assioma di numerabilità. Se un insieme di punti S è compatto per successioni allora è anche compatto. Soluzione. Sia C compatto per successioni ma, per assurdo, non compatto. Allora C ammette un ricoprimento aperto A dal quale non si può estrarre alcun sottoricoprimento finito. Per il secondo assioma di numerabilità possiamo sostituire i membri di A con i membri di una base numerabile. Quindi possiamo sempre supporre che i membri di A siano presi da una base numberabile di S. In questo caso A è numerabile: A = {An }∞ n=0 . Siccome per ipotesi non esistono sottofamiglie finite di A che ricoprano C, per ogni n esiste un punto xn ∈ C che non appartiene a ∪nk=0 Ak . Costruiamo cosı̀ una successione X = (xn )∞ n=0 in C. Per le ipotesi fatte su C, la successione X ammette una sottosuccessione Y = (xnk )nk=0 che converge ad un punto a ∈ C. Quindi ogni aperto contenente a contiene tutti i termini di Y da un certo punto in poi. In particolare, questo vale per gli aperti di A che contengono a. Di questi ce n’ è almeno uno, diciamolo An . Però, per come abbiamo costruito la successione X , l’ aperto An contiene solo al più i primi n termini di X , contro l’ ipotesi che dovesse contenere tutti i termini della sottosuccessione Y ⊆ X da un certo punto in poi. Assurdo. 2.6.2 In spazi metrici Esercizio 2.41 Ogni spazio metrico compatto per successioni è separabile. Soluzione. Sia (S, d) compatto per successioni. Supponiamo che S sia più che numerabile (altrimenti non c’ è nulla da dimostrare). Per ogni n, sia Dn la famiglia dei sottoinsiemi X di S tali che d(x, y) ≥ 1/n per ogni coppia di punti distinti x, y ∈ X. Sia X ∈ Dn . Se X è infinito, ogni suo sottoinsieme numerabile ci dà una successione dalla quale non si può estrarre alcuna sottosuccessione convergente, contro l’ ipotesi che (S, d) sia compatto per successioni. Quindi tutti i membri di Dn sono finiti. Chiaramente, Dn ⊆ Dn+1 e, siccome S contiene almeno due punti (anzi, ne contiene infiniti), esiste un n0 tale che Dn0 6= ∅ (e quindi anche Dn 6= ∅ per ogni n ≥ n0 .) Per fissare le idee, supponiamo che n0 = 1. Quindi Dn 6= ∅ per ogni n. Dimostriamo ora che Dn contiene un elemento massimale. Infatti, in caso contrario, Dn contiene una successione infinita strettamente crescente di insiemi X0 ⊂ X2 ⊂ ... ⊂ Xk ⊂ .... Allora ∪∞ k=0 Xk ∈ Dn è infinito, contro quanto precedentemente detto. Dunque Dn ammette almeno un elemento massimale, diciamolo Mn . L’ insieme M∞ := ∪∞ n=1 Mn è numerabile. Resta da dimostrare che M∞ è denso in S. Se non lo fosse, esisterebbe a ∈ S tale che per qualche n risulti d(a, x) ≥ 1/n per ogni x ∈ M∞ . Quindi Mn ∪ {a} ∈ Dn , contro la massimalità di Mn . Assurdo. 29 Esercizio 2.42 Uno spazio metrico è compatto se e solo se è compatto per successioni. Traccia. Gli spazi metrici sono di Haudorff e soddisfano ed il primo assioma di numerabilità. Quindi se sono compatti sono anche compatti per successioni (proposizione 9.4 del testo). Viceversa, sia (S, d) uno spazio metrico compatto per successioni. Allora (S, d) è separabile (esercizio 2.41). Quindi soddisfa il secondo assioma di numerabilità (proposizione 3.7 del testo). Quindi è compatto (esercizio 2.40). Esercizio 2.43 Si dimostri che in uno spazio metrico ogni insieme compatto è chiuso e limitato. E’ noto che in Rn gli insiemi compatti sono precisamente quelli chiusi e limitati (corollario 9.13 del testo). Nel seguente esercizio propongo una dimostrazione un po’ diversa da quella data nel testo. Esercizio 2.44 Si usi l’ esercizio 2.42 per dimostrare che in Rn tutti gli insiemi chiusi e limitati sono compatti. Soluzione. Procediamo per tappe. (1) Ogni successione limitata di numeri reali contiene una sottosuccessione convergente. Il testo deduce questa affermazione dalla compattezza di [a, b], ma la si può dimostrare in modo più immediato. Sia X0 = {xn }∞ n=0 ⊂ I0 = [a, b]. Almeno uno dei due sottointervalli [a, (a + b)/2] ed [(a + b)/2, b] di I0 gode della proprietà che xn appartenga ad esso per infiniti valori di n. In breve, contiene una sottosuccessione X1 di X0 . Sia I1 quello dei due sottointervalli per cui questo succede, oppure uno qualunque dei due, se entrambi godono di questa proprietà. Possiamo ripetere l’ argomentazione precedente con X1 e I1 al posto di X0 ed I0 . Otteniamo cosı̀ un intervallo I2 ⊂ I1 di lunghezza (b − a)/4 e contenenete una sottosuccessione X2 di X1 . Procedendo, si costruisce una successione di intervalli In di lunghezza (b − a)/2n , ciascuno dei quali sta in In−1 e contiene una sottosuccessione Xn di Xn−1 . Per l’ assioma di Cantor, ∩∞ n=0 In = {c} per un punto c ∈ I0 . Se yn è l’ n-esimo termine di Xn , allora yn → c. (2) Ogni successione limitata di punti di Rn contiene una sottosuccessione convergente. Sia X0 = ((xk,i,0 )ni=1 )∞ k=0 una tale successione. Per ogni i = 1, 2, ..., n, le successioni numeriche Xi,0 = (xk,i,0 )∞ k=0 sono limitate, siccome X0 è limitata per ipotesi. Per quanto detto al punto (1), possiamo estrarre da X1,0 una sottosuccessione convergente Y1 . Sia X1 = ((xk,i,1 )ni=1 )∞ k=0 la sottosuccesione di X0 formata dai punti (xk,i,0 )ni=1 con xk,1,0 ∈ Y1 . Possiamo ora considerare la successione numerica X2,1 = (xk,2,1 )∞ k=0 . Essa è limitata. Possiamo quindi estrarne una sottosuccesione convergente Y2 . Sia X2 = ((xk,i,2 )ni=1 )∞ k=0 la sottosuccesione di X1 formata dai punti (xk,i,1 )ni=1 con xk,2,1 ∈ Y2 . Procedendo in questo modo si perviene infine ad una sottosuccessione Xn = ((xk,i,n )ni=1 )∞ k=0 di X0 tale che tutte le successioni numeriche (xk,i,n )∞ k=0 siano convergenti. Quindi Xn converge ad un punto di Rn . 30 (3) Sia ora C ⊂ Rn chiuso e limitato. Per il punto (2), siccome C è limitato, ogni successione di punti di C ammette una sottosuccessione convergente, diciamola X . Ma C è chiuso. Quindi il limite di X appartiene a C. In definitiva, C è compatto per successioni. Quindi è compatto, per l’ esercizio 2.42. Esercizio 2.45 Si trovi qualche esempio di spazio metrico dove non tutti gli insiemi chiusi e limitati sono compatti. Soluzione. Fornisco due esempi di spazi normati ove i dischi chiusi non sono compatti. Altri esempi simili a questi possono essere costruiti negli spazi descritti negli esercizi 1.14, 1.15 e 1.16. (1) Sia V uno spazio vettoriale euclideo (cioè, munito di prodotto scalare), reale o complesso e di dimensione infinita. Sia E := (en )∞ n=0 una successione ortormale in V (non necessariamente √ una base). La successione E è contenuta in D(0, 1). Ma risulta d(en , em ) = 2 per ogni scelta di n 6= m. Quindi da E non si può estrarre alcuna sottosuccessione convergente. Sicché D(0, 1) non è compatto. (2) Consideriamo lo spazio C (0) [0, 1] munito della distanza d∞ introdotta nell’ esercizio 1.5. Per ogni n ≥ 1 sia fn ∈ C (0) [0, 1] definita come segue: 0 se 0 ≤ x ≤ 1/2n − 1/2n2 , 2 n x + (1 − n)/2 se 1/2n − 1/2n2 ≤ x ≤ 1/2n, fn (x) = −n2 x + (1 + n)/2 se 1/2n ≤ x ≤ 1/2n + 1/2n2 , 0 se 1/2n + 1/2n2 ≤ x ≤ 1. Risulta d∞ (fn , 0) = 1/2 per ogni n, ove 0 sta ad indicare la costante nulla. Quindi fn ∈ D(0, 1). D’ altra parte, se n ed m sono sufficientemente distanziati allora d∞ (fn , fm ) = 1/2. Quindi dalla successione (fn )∞ n=1 non si può estrarre nessuna sottosuccessione convergente. Ne segue che D(0, 1) non è compatto. La successione sopra costruita mostra che D(0, 1) non è compatto nemmeno se come distanza prendiamo d1 o d2 . Ma per d2 questo lo si sa già dall’ esempio del punto (1). Infatti la distanza d2 proviene da un prodotto scalare e C (0) [0, 1] ha dimensione infinita. Esercizio 2.46 Sia V uno spazio vettoriale reale di dimensione numerabile e munito di un prodotto scalare. Sia (en )∞ n=1 una base ortonormale di V (che esiste, per Gram-Schmidt). Definiamo f : V → R come segue: X X 1 f( xn en ) = (1 − )x2n . n n n (Avverto che entrambe le somme coinvolte in questa definizione sono in realtà somme finite.) Si dimostri che f è continua e che per ogni disco chiuso Dr di raggio r > 0 e centro il vettore nullo di V la restrizione di f a Dr è limitata. Tuttavia, f non ammette massimo su Dr . 31 Traccia. Risulta supx∈Dr f (x) = r2 ma 0 ≤ f (x) < r2 per ogni x ∈ Dr . PN P Per quanto riguarda la continuità, sia a = n=1 an en ed x = n xn en . Se PN P 2 2 d(x, a) < δ allora n=1 (xn − an )2 + x < δ . Ne segue che n>n n N X (1) X (xn − an )2 < δ 2 , n=1 x2n < δ 2 . n>N D’ altra parte (2) P PN 1 1 2 2 2 |f (x) − f (a)| ≤ n>N (1 − n ) · xn < n=1 (1 − n ) · |xn − an | + PN 2 ≤ n=1 |xn − an | · |xn + an | + δ per la seconda disuguaglianza di (1) e perché 1 − 1/n < 1. Inoltre N X |xn − an | · |xn + an | ≤ ( n=1 N X (xn − an )2 )1/2 · ( n=1 N X (xn + an )2 )1/2 n=1 PN per Cauchy-Schwartz. D’ altra parte, n=1 (xn − an )2 < δ 2 per la prima delle PN 2 2 (1) mentre, posto α = maxN n=1 |an |, risulta n=1 (xn +an ) ≤ (2α+δ) N perchè |xn | ≤ |an | + δ. Quindi N X |xn − an | · |xn + an | ≤ √ N · (2α + δ)δ. n=1 √ Da questa disuguaglianza e da (2) si ha |f (x) − f (a)| < N · (2α + δ)δ + δ 2 . Siccome α ed N dipendono solo da a, al tendere di δ a 0 il valore |f (x) − f (a)| tende a 0. Dall’ ultima affermazione dell’ esercizio 2.46 segue che Dr non è compatto, come del resto già sapevamo dal primo dei due esempi discussi nella traccia dell’ esercizio 2.45. Quei due esempi sono casi particolari del seguente teorema: Teorema di Riesz. In uno spazio normato i dischi chiusi sono compatti se e solo se lo spazio ha dimensione finita. 2.7 2.7.1 Connessione Un criterio di connessione Dato uno spazio topologico S = (S, A) ed un sottoinsieme X ⊆ S, sia C un ricoprimento aperto di X. Definiamo su X una relazione di equivalenza ≡CX ponendo x ≡CX y se esistono una sequenza finita (Ci )ni=0 di membri di C tale che x ∈ C0 , y ∈ Cn e Ci−1 ∩ Ci ∩ X 6= ∅ per i = 1, 2, ..., n. Esercizio 2.47 Supponiamo che C ∩ X sia connesso per ogni C ∈ C. Allora le classi di equivalenza di ≡CX sono le componenti connesse di X. In particolare, X è connesso se e solo se ≡CX è la relazione banale, con X come unica classe. 32 Traccia. Le classi di ≡CX sono unioni di insiemi della forma C ∩ X con C ∈ C, quindi sono aperte nella topologia indotta da A su X. Per avere la conclusione basta dimostrare che ogni classe di ≡CX è connessa. Sia dunque K una classe di ≡CX e siano x, y ∈ K ed A, B ∈ A tali che x ∈ A, y ∈ B ed A ∪ B ⊇ K. Si (Ci )ni=0 una sequenza di membri di C da x ad y come da definizione di ≡CX . Siccome x ∈ A ed y ∈ B esiste un i per cui Ci ∩ X ∩ A 6= ∅ = 6 Ci ∩ X ∩ B. Ma per ipotesi Ci ∩ X è connesso. Quindi A ∩ B ∩ Ci 6= ∅. Esercizio 2.48 Ferme le notazioni e le ipotesi dell’ esercizio 2.47, dimostrate che se C ⊆ X per ogni C ∈ C allora le componenti connesse di X sono aperte. In particolare, se X = S allora le sue componenti connesse sono sia aperte che chiuse. Traccia. Nelle ipotesi ora assunte, le classi di ≡CX sono unioni di membri di C. Per la seconda affermazione, si rammenti che le componenti connesse di S sono sempre chiuse. 2.7.2 Connessione per archi Esercizio 2.49 Si dimostri che le componenti connesse di un spazio localmente connesso per archi sono aperte e connesse per archi. In particolare, uno spazio connesso e localmente connesso per archi è anche connesso per archi. Traccia. Esercizi 2.47 e 2.48 con la famiglia degli aperti connessi per archi nel ruolo di C. Esercizio 2.50 Si dimostri che lo spazio topologico dei co-finiti di un insieme infinito è sempre connesso per archi. Traccia. Sia S lo spazio dei cofiniti di un insieme S. Una funzione f : [0, 1] → S è continua se e solo se le sue fibre realizzano una partizione di [0, 1] in insiemi chiusi. Quindi quando |S| > ℵ0 ogni funzione iniettiva da [0, 1] ad S è continua. Quando |S| = ℵ0 , per avere una funzione continua da [0, 1] ad S occorre e basta prendere una partizione {Kn }∞ n=0 di [0, 1] in una famiglia numerabile di insiemi chiusi, una applicazione iniettiva φ : N → S e per n = 0, 1, 2, ... porre f (x) = φ(n) per ogni x ∈ Kn . Una partizione di [0, 1] in una famiglia numerabile di chiusi si può realizzare come segue: K0 := {0, 1}, K1 è l’ insieme degli a ∈]0, 1[ che in base 3 si possono rappresentare nella forma a = 0, 1a2 a3 ... e poi, induttivamente, Kn+1 è l’ insieme degli a ∈ [0, 1] \ ∪ni=0 Kn che possono rappresentarsi in base 3 nella forma a = 0, a1 ....an an+1 an+2 ... con an+1 = 1. Esercizio 2.51 In R3 , con l’ usuale topologia euclidea, si consideri il seguente insieme di punti: 1 |0<t<1 . C = cos 2πt, sin 2πt, sin t(1 − t) 33 Verificate che C è connesso per archi e localmente connesso mentre C∪{(1, 0, 0)} e C ∪ {(1, 0, s)}−1≤s≤1 sono connessi ma non connessi per archi e nemmeno localmente connessi. Esercizio 2.52 In R3 si consideri il seguente insieme di punti: 1 |0<t<1 . C = cos 2πt, sin 2πt, (1 − t) sin t(1 − t) Verificate che C è sia connesso per archi che localmente connesso per archi mentre C ∪ {(1, 0, 0)} e C ∪ {(1, 0, s)}−1≤s≤1 sono connessi per archi ma non localmente connessi (tantomeno localmente connessi per archi). Dall’ esercizio 2.49 sappiamo che le componenti connesse di uno spazio localmente connesso per archi sono aperte e connesse per archi. Nel seguente esercizio si propone una generalizzazione di questa proprietà. Esercizio 2.53 Sia B una base di aperti per uno spazio S tale che: (1) Se X, Y ∈ B ed X ∩ Y 6= ∅, allora X ∪ Y ∈ B; (2) B è chiusa per unioni in catena; (3) Tutti i membri di B sono connessi. Si dimostri che le componenti connesse degli aperti di S appartengono a B. Traccia. Sia A un aperto. Esiste una sottofamiglia X ⊆ B tale che A = ∪X∈X X. Sia A la collezione delle sottofamiglie di B che godono di questa proprietá. Su A consideriamo la relazione d’ ordine ≤ definita ponendo X ≤ Y se X è un raffinamento di Y (nel senso stabilito a pagina 116 del testo). Sia C := (Xi )i∈I una catena in (A, ≤). Sia XC la famiglia di tutte le unioni ∪j∈J Xj ove {Xj }j∈J è una catena (rispetto all’ inclusione ⊆) di membri di B, J ⊆ I (con la relazione d’ ordine ereditata da quella data su I) ed Xj ∈ Xj per ogni j ∈ J. Risulta XC ∈ A per l’ ipotesi (2). Quindi XC è una limitazione superiore per C in (A, ≤). Per il Lemma di Zorn, (A, ≤) ammette elementi massimali. Sia M uno di essi. Per la massimalità di M e la (2), M è chiuso per unioni in catena. Per il Lemma di Zorn, ogni elemento di M è contenuto in un elemento massimale. Sia M0 la famiglia degli elementi massimali di M. Per la (1), la massimalità di M e la massimalità dei membri di M0 , X ∩ Y = ∅ per ogni scelta di X, Y ∈ M0 con X 6= Y . La famiglia M0 fornisce una partizione di A in membri di B. La conclusione segue dall’ ipotesi (3). 2.7.3 Archi, cappi e curve in R2 Esercizio 2.54 Sia f : [0, 1] → Rn un arco semplice (vale a dire, f è iniettiva). Si dimostri che se n > 1 allora Rn \ Im(f ) è connesso per archi. Traccia. L’ insieme γ := Im(f ) è compatto. Quindi, per x ∈ Rn , la distanza d(x, γ) := inf y∈γ d(x, y) coincide con d(x, y0 ) per qualche y0 ∈ γ. Pertanto d(x, γ) = 0 se e solo se x ∈ γ. 34 Dati due punti p, q 6∈ γ, sia δ = min(d(p, γ), d(q, γ)) > 0. Siccome γ è compatto, possiamo ricoprirlo con un insieme finito di dischi di raggio δ/4 e centro su γ. Se A è l’ unione di questi dischi, d(p, A), d(q, A) ≥ 3δ/4. All’ interno di A possiamo costruire una poligonale semplice P da f (0) ad f (1). Ovviamente, d(p, P ), d(q, P ) ≥ 3δ/4 e d(P, γ) = inf x∈P,y∈γ d(x, y) < δ/2. Se sapessimo che esiste sempre un arco α da p a q tale che d(α, P ) ≥ 3δ/4, allora d(α, γ) ≥ δ/4, e avremmo concluso. Ci siamo cosı̀ ricondotti al caso che γ sia una poligonale. Ma ora si può concludere ragionando per induzione sul numero dei lati della poligonale. Il seguente teorema è ben noto. La dimostrazione si trova in qualunque testo di Analisi ove si dedichi abbastanza attenzione a funzioni di variabile complessa. Per esempio: Dieudonné, Elements d’ Analyse (in particolare, cap. IX e sua Appendice). Teorema di Jordan. Sia f : S1 :→ R2 un cappio semplice (vale a dire, f è iniettiva). Allora R2 \ Im(f ) ammette esattamente due componenti connesse, delle quali una è limitata e l’ altra no. Esercizio 2.55 Per ciascuna delle seguenti possibiltà, trovate una curva iniettiva f : R → R2 che la realizzi. (1) R2 \ Im(f ) è connesso. (2) R2 \ Im(f ) ha esattamente due componenti connesse. (3) R2 \ Im(f ) ha esattamente n ≥ 3 componenti connesse. (4) R2 \ Im(f ) ha infinite componenti connesse. Traccia. Per il caso (1), prendete f (t) = (et /(et +1), 0). Per (2) basta prendere f (t) = (t, 0). Per (3) considerate la seguente funzione, ove k = n − 1: per 0 ≤ t ≤ 1, (t, sin 2πt k ) (1 + cos π(t − 23 ), 1 + sin π(t − 32 )) per 1 ≤ t ≤ 2, f (t) = (sin(πt/4), 1 + 2/t) per t ≥ 2. Con n = 3 esistono soluzioni molto più semplici. Per esempio, posto g(t) = (et − 1)((et + 1), potete prendere (−1 + cos 2πg(t), sin 2πg(t)) per t ≤ 0, f (t) = (1 − cos 2πg(t), − sin 2πg(t)) per t ≥ 0. Infine, per realizzare il caso (4) potete prendete f cosı̀: (−2π/t, sin t) per t ≤ −π, (2 + 23 cos 2t , 21 + 32 sin 2t ) per − π ≤ t ≤ π, f (t) = (1 + sin(t/2), 1 + π/t) per t ≥ π. Esercizio 2.56 Sia f : [0, +∞) → R2 continua ed iniettiva. E’ vero che l’ insieme R2 \ Im(f ) è sempre connesso? In caso negativo, quale altra ipotesi assumereste su f per poter concludere che R2 \ Im(f ) è connesso? 35 Traccia. La risposta alla prima domanda è no. Per esempio, sia f (t) = (cos g(t), sin g(t)) ove g(t) = 2π · (et − 1)/(et + 1). Allora Im(f ) = S1 , ed R \ S1 non è connesso. Alla seconda domanda si possono dare diverse risposte. Eccone una. Assumete che per ogni r > 0 esista ar > 0 tale che d(f (0), f (t)) > r per ogni t > ar . Allora R2 \ Im(f ) è connesso. Infatti, dati due punti p, q 6∈ Im(f ), sia r > 2d(p, f (0)), 2d(q, f (0)). Preso ar come sopra, sia br ≤ ar massimo rispetto alla proprietà che d(f (0), f (t)) ≤ r per ogni t ≤ br . Possiamo allora ripetere in D(f (0), 2r) ' R2 l’ argomento usato nella traccia dell’ esercizio 2.54, riferendolo alla restrizione f : [0, br ] → D(f (0), 2r) di f a [0, br ]. Oppure supponete che esista p0 = limt→+∞ f (t) e che p0 6∈ Im(f ). Definite g : [0, 1] → R2 ponendo g(t) = f ((et − 1)/(et + 1)) se 0 ≤ t < 1 e g(1) = p0 . La funzione g è continua e iniettiva e Im(g) = Im(f ) ∪ {p0 }. L’ insieme R2 \ Im(g) è connesso (esercizio 2.54). Quindi o R2 \ Im(f ) è connesso oppure ammette due componenti connesse, una delle quali è {p0 }. Per avere la connessione di R2 \Im(f ) basta aggiungere un’ ipotesi che escluda il secondo caso. Per esempio, possiamo assumere che da p0 esca almeno un arco che non incontri Im(f ). 2.7.4 Alcuni gruppi di matrici Rammento che lo spazio vettoriale Mn (R) delle matrici quadrate di ordine n 2 a coefficienti in R è isomorfo allo spazio vettoriale Rn . Quindi può essere strutturato come uno spazio topologico, copiando su di esso la topologia euclidea 2 di Rn (esercizio 2.20). In questa topologia l’ insieme delle matrici singolari è chiuso, in quanto soluzione dell’ equazione det(M ) = 0. Quindi il gruppo GL(n, R) delle matrici non-singolari è un insieme aperto. Invece il sottogruppo SL(n, R) di GL(n, R) è chiuso, in quanto soluzione dell’ equazione det(M ) = 1. Il gruppo O(n, R) delle matrici ortogonali di ordine n a coefficienti in R è la soluzione di un sistema di n2 equazioni di secondo grado, solitamente riassunte nell’ equazione matriciale M T M = I. Quindi è chiuso. E chiuso è anche il suo sottogruppo SO(n, R) = O(n, R) ∩ SL(n, R), in quanto intersezione di due chiusi. Si può dimostrare che tanto SL(n, R) che SO(n, R) sono connessi. Chi è interessato alla dimostrazione la può trovare in un qualunque testo dedicato ai gruppi topologici o ai gruppi di Lie. Esercizio 2.57 Il gruppo O(n, R) è connesso? Risposta. No. Infatti SO(n, R) ha indice 2 in O(n, R). Quindi O(n, R) è unione disgiunta di SO(n, R) e di SO(n, R) · A, ove A è un particolare elemento di O(n, R) \ SO(n, R), non importa quale. Peraltro, SO(n, R) è chiuso, come osservato sopra. Inoltre l’ applicazione che ad ogni M ∈ Mn (R) associa M A è un omeomorfismo di Mn (R) su sè stesso. Ne segue che anche SO(n, R) · A è chiuso. Pertanto O(n, R) è unione di due chiusi disgiunti. Quindi non è connesso. Esercizio 2.58 Il gruppo GL(n, R) è connesso? 36 Traccia. No. Sia infatti GL+ (n, R) il sottogruppo di GL(n, R) formato dalle matrici con determinante positivo. Esso è aperto, in quanto retroimmagine mediante la funzione M 7→ det(M ) della semiretta aperta ]0, +∞). Inoltre, ha indice 2 in GL(n, R). La conclusione segue come per l’ esercizio 2.57. Esercizio 2.59 Dimostrate che il gruppo GL+ (n, R) delle matrici a determinante positivo è connesso. Traccia. Data una matrice A ∈ GL+ (n, R), sia a = det(A) (> 0). Per t ∈ [0, 1] ponete f (t) = (a − 1)t + 1. Si noti che f (0) = 1, f (1) = a ed f (t) > 0 per ogni t ∈ [0, 1]. Sia Dt la matrice diagonale Dt := dg(1, 1, ..., 1, 1/f (t)). Quindi D0 = I mentre D1 = (1, 1, ..., 1, 1/a). Sicchè det(AD1 ) = 1, cioè AD1 ∈ SL(n, R). La funzione t 7→ ADt è dunque un arco in GL+ (n, R) da A = AD0 ad una matrice AD1 ∈ SL(n, R). Ma, come si è detto in precedenza, SL(n, R) è connesso. Quindi anche GL+ (n, R) è connesso. 2.8 Topologia di Zariski Rammento che, dato un campo K, la topologia di Zariski su K n ha come chiusi le varietà algebriche (affini) di K n . Modificando leggeremente le notazioni adottate nel testo, data una varietà algebrica V di K n , indico con J(V ) l’ ideale di K[x1 , ..., xn ] ad essa associato. Viceversa, se J è un ideale di K n , indico con V (J) la varietà associata a J. Rammento che, dati due ideali I e J di K[x1 , ..., xn ], se I ⊆ J allora V (I) ⊇ V (J), ma in genere non vale il viceversa (contrariamente a quanto √ √ erroneamente affermato nel testo). Però se K è algebricamente chiuso allora I ⊆ I se e solo se V (I) ⊇ V (J) (Nullstellensatz di Hilbert; rimando al testo per la √ definizione di √ J). In ogni p caso, qualunque sia il campo K, risulta V (J) = V ( J) per ogni ideale J e J(V ) = J(V ) per ogni varietà V . Quindi, se K è algebricamente chiuso allora J(V ) ⊆ J(W ) se e solo se V ⊇ W . Indichiamo con hSi l’ ideale di K[x1 , ..., xn ] generato da un sottoinsieme S di K[x1 , ..., xn ]. E’ noto che, qualunque sia il campo K, per ogni S ⊆ K[x1 , ..., xn ] esiste sempre un sottoinsieme finito S0 ⊆ S tale che hS0 i = hSi (Teorema della Base di Hilbert). Esercizio 2.60 Sia Z la topologia di Zariski su Rn . Si dimostri che Z è separabile ma non soddisfa il secondo assioma di numerabilità. Soluzione. Per dimostrare la separabilità potremmo usare l’ argomento esposto nella soluzione del seguente esercizio 2.61, valido per ogni campo. Ma preferisco dare una dimostrazione più semplice, anche se non è riformulabile per campi arbitrari. Sia E la topologia euclidea di Rn . Sappiamo che Z ≤ E. In altre parole, la famiglia dei chiusi di Z è contenuta nella famiglia dei chiusi di E. Pertanto, Z E indicata con X ed X la chiusura di un insieme X ⊆ Rn in Z e in E, risulta 37 Z E Z E sempre X ⊇ X . In particolare, (Qn ) ⊇ (Qn ) . D’ altra parte, Qn è denso in Rn per E. Quindi esso è denso anche per Z. La separabilità di Z è dimostrata. Veniamo al secondo assioma di numerabilità. Per assurdo, sia B = {Bn }∞ n=0 una base numerabile di Z. Per ogni n poniamo Wn := ¬Bn e W := {Wn }∞ n=0 . Quindi Wn è una varietà algebrica e W una famiglia numerabile di varietà. L’ ipotesi che B sia una base si traduce in questo: (†) Ogni varietà algebrica di Rn è intersezione di varietà Wn ∈ W. Dato Wn ∈ W, sia Pn un insieme finito di generatori per l’ ideale J(Wn ) (Teorema della Base di Hilbert). Quindi P := ∪∞ n=0 Pn è un insieme numerabile di polinomi. Per l’ ipotesi (†), per ogni varietà V esiste un sottoinsieme PV ⊆ P tale che J(V ) = hPV i. Il Teorema della Base di Hilbert ci dice che possiamo sempre prendere PV finito. Quindi le varietà di Rn sono tante quanti i sottoinsiemi finiti di P. Ma P è numerabile. Pertanto le varietà algebriche di Rn formano una totalità numerabile. Ma questo è palesemente falso: ogni punto di Rn è una varietà algebrica, ma l’ insieme Rn è più che numerabile. Quanto detto nell’ esercizio 2.60 è solo un caso particolare di un risultato più generale. Esercizio 2.61 Dato un campo K di cardinalità più che numerabile, sia Z la topologia di Zariski su K n . Si dimostri che Z è separabile ma non soddisfa il secondo assioma di numerabilità. Soluzione. La dimostrazione che Z non soddisfa il secondo assioma di numerabilità è esattamente la stessa data qui sopra nel caso di K = R. La dimostrazione della separabilità va condotta diversamente. Sia K0 un sottocampo numerabile di K. Un tale sottocampo esiste sempre, perchè per ipotesi K è infinito. Per concludere basta far vedere che la chiusura di K0n in Z coincide con tutto K n . Se cosı̀ non fosse, esisterebbe una varietà algebrica V ⊂ K n con K0n ⊆ V . Per ottenere l’ assurdo è sufficiente mostrare che (∗) se un polinomio P ∈ K[x1 , ..., xn ] si annulla in tutti i punti di K0n , allora P è il polinomio nullo. Si procede per induzione su n. Se n = 1 la (∗) viene subito dal fatto che il numero degli zeri di un polinomio non nullo in una sola variabile non supera mai il grado del polinomio. Sia dunque n > 1 e supponiamo che (∗) valga per polinomi in meno di n variabili. Almeno due delle variabili x1 , ..., xn compaiono esplicitamente in P (altrimenti siamo ricondotti al caso di n = 1). Per fissare le idee, siano xn−1 ed xn due di queste variabili. Preso a caso F ∈ K0 [t], sia PF (x1 , ..., xn−1 ) = P (x1 , ..., xn−1 , F (xn−1 ). Siccome F ∈ K0 [t], risulta F (t) ∈ K0 per ogni t ∈ K0 . Quindi PF si annulla su tutto K0n−1 . Per ipotesi induttiva, PF è il polinomio nullo. D’ altra parte, possiamo scrivere P (x1 , ..., xn ) nella 38 forma seguente, ove gli Ak1 ,...,kn−1 (xn−1 , xn ) sono opportuni polinomi nelle sole variabili xn−1 , xn . X kn−2 . Ak1 ,...,kn−2 (xn−1 , xn ) · xk1 ... xn−2 P (x1 , ..., xn ) = k1 ,...,kn−2 Il fatto che P (x1 , ..., xn−1 , F (xn−1 )) sia il polinomio nullo implica che tutti i polinomi Ak1 ,...,kn−2 (t, F (t)) sono identicamente nulli, e questo per ogni scelta di F ∈ K0 [t]. Questo implica che Ak1 ,...,kn−2 (xn−1 , xn ) è esso stesso identicamente nullo. Quindi P è il polinomio nullo. La dimostrazione è terminata. Esercizio 2.62 Sia Z la topologia di Zariski su K n . Si dimostri che se K è infinito allora K n è l’ unico chiuso di Z che contenga aperti non vuoti. Traccia. Per assurdo, sia aperto A 6= ∅ un aperto di Z con A 6= K n . Allora V := ¬A e W := A sono due varietà diverse da K n e tali che V ∪ W = K n . In termini di ideali, J(V ) e J(W ) dovrebbero essere ideali non nulli ma tali che tutti i polinomi del prodotto J(V )J(W ) si annullino identicamente su K n . Se K è infinito, il polinomio nullo è l’ unico che si possa annullare su tutto K n . (La dimostrazione è simile a quella dellla (∗) nella soluzione dell esercizio 2.61). Quindi J(V )J(W ) = 0, il ché è assurdo. Esercizio 2.63 La topologia di Zariski di K n è semi-Hausdorff ma se K è infinito non è di Hausdorff. Traccia. Che Z sia semi-Hausdorff segue dal fatto che i punti di K n sono chiusi in Z. La seconda affermazione segue subito dall’ esercizio 2.62. Nota. Dagli esercizi 2.62 e 2.63 segue che se K è infinito la topologia di Zariski non è metrizzabile. Del resto, per campi più che numerabili, la non metrizzabilità di Z era già implicita nelle conclusioni dell’ esercizio 2.61. Invece quando K è finito la topologia di Zariski è null’ altro che la topologia discreta, banalmente metrizzabile. Esercizio 2.64 Lo spazio K n munito della topologia di Zariski è connesso se e solo se K è infinito. Traccia. Anche questo segue dall’ esercizio 2.62. Esercizio 2.65 Lo spazio K n munito della topologia di Zariski è sempre compatto. (Di conseguenza, tutte le varietà sono compatte.) Traccia. Sia {Vi }i∈I una famiglia di varietà tali che ∩i∈I Vi = ∅. Quindi, posto J = hJ(Vi )ii∈I √ , risulta V (J) = ∅. (Se K fosse algebricamente chiuso avremmo addirittura J = K[x1 , ..., xn ], ma di questo non abbiamo bisogno.) Per il Teorema della base di Hilbert, esiste un sosttoinsieme finito F ⊂ ∪i∈I J(Vi ) tale che J = hF i. Quindi esiste un sottoinsieme finito I0 ⊆ I tale che J = hJ(Vi )ii∈I0 . Pertanto ∩i∈I0 Vi = ∅. 39 Esercizio 2.66 Sia Z la topologia di Zariski su K n . Supponiamo che su K sia definita una topologia semi-Hausdorff E e sia (K n , E n ) il prodotto topologico di (K, E) per sè stesso n volte. Supponiamo che le funzioni somma e prodotto, che ad ogni coppia (x, y) ∈ K 2 associano rispettivamente x + y ed xy, risultino continue come applicazioni da (K 2 , E 2 ) a (K, E). Si dimostri che Z ≤ E n . Per di più, se E è di Hausdorff e K è infinito allora Z < E n . Soluzione. Nelle ipotesi assunte, ogni polinomio P ∈ K[x1 , ..., xn ] è una funzione continua da (K n , E n ) a (K, E). Siccome {0} è chiuso in (K, E), P −1 (0) è chiuso in (K n , E). Ne segue che Z ≤ E. Se poi E è di Hausdorff allora anche E n lo è (prima parte dell esercizio 2.29) mentre Z non lo è quando K è infinito (esercizio 2.63). In tal caso Z < E n . Esercizio 2.67 La topologia di Zariski su K coincide con la topologia dei cofiniti. Traccia. Un polinomio in una sola variabile ha solo un numero finito di zeri. 3 3.1 Varietà e dintorni Spazi localmente Rn e varietà topologiche Definizione. Diciamo che uno spazio topologico S è localmente Rn per dato intero positivo n se ogni suo punto è contenuto in un aperto omeomorfo ad Rn . Equivalentemente, S ammette un ricoprimento formato da aperti omeomorfi a Rn . Quindi, seguendo il Sernesi, una varietà topologica di dimensione n è uno spazio localmente Rn , di Hausdorff e soddisfacente il secondo assioma di numerabilità. Esercizio 3.1 Uno spazio localmente Rn è sempre localmente connesso per archi, soddisfa il primo assioma di numerabilità ed è semi-Hausdorff. Traccia. Gli aperti di Rn hanno le proprietà in questione. Esercizio 3.2 Trovate uno spazio topologico che sia localmente Rn ma che non sia di Hausdorff e non soddisfi il secondo assioma di numerabilità. Traccia. Un esempio di spazio localmente R ma non di Hausdorff è fornito nel testo, a pagina 100. Esso però ammette basi numerabili. Descrivo qui un’ altra famiglia di esempi di spazi localmente R ma non di Hausdorff. Alcuni di essi ammettono basi numerabili, altri no. Dato un insieme I con almeno due elementi, per ogni i ∈ I poniamo Ri := ((−∞, 0]×{i})∪]0, +∞). Sia Ai la topologia su Ri realizzata copiando la topologia naturale di R (esercizio 2.20). Poniamo RI := ∪i∈I Ri , sia AI la topologia su RI generata da ∪i∈I Ai ed RI := (Ri , AI ). Lo spazio RI ammette un ricoprimento formato da aperti omeomeorfi a dischi di R. Però non è di Hausdorff: 40 se i 6= j ogni aperto contenente (0, i) ha intersezione non vuota con ogni aperto contenente (0, j). Inoltre, se I è più che numerabile, RI non ammette basi numerabili. Nota. Non è difficile vedere che lo spazio RI costruito nella traccia dell’ esercizo 3.2 è connesso. Non conosco invece alcun esempio di spazio topologico che sia connesso, di Hausdorff e localmente Rn per qualche n ma che non soddisfi il secondo assioma di numerabilità. Peraltro, se si riuncia alla connessione è facilissimo far saltare il secondo assioma di numerabilità: basta prendere unioni disgiunte di famiglie più che numerabili di spazi. Esercizio 3.3 Un semipiano chiuso di R2 non è mai localmente R2 . Traccia. Sia S un semipiano chiuso di R2 ed L la retta che lo delimita. Sia p ∈ L. Per assurdo, supponiamo che nella topologia indotta da R2 su S esista un intorno aperto U di p omemorfo a R2 . Esiste r > 0 tale che D := D(p, r)∩S ⊆ U . Prendiamo in D ∩ L un punto q 6= p e sia γ un arco semplice in D da p a q. (Per esempio, un semicerchio da p a q). Allora U \ γ ha almeno due componenti connesse (esattamente due se γ ∩ L = {p, q}). Invece, per ogni omemorfismo φ : U → R2 , l’ insieme R2 \ φ(γ) è connesso (esercizio 2.54). Esercizio 3.4 L’ unione di una famiglia di k > 2 semipiani chiusi con la stessa origine non è mai localmente R2 . Traccia. Siano S1 , S2 , ..., Sk semipiani chiusi distinti con la stessa origine L ed S := ∪ki=1 Si . Sia p ∈ L. Supponiamo per assurdo che esista in S un intorno U di p omomorfo a R2 . In U possiamo formare un cappio semplice γ unendo due semicerchi appoggiati ad L, presi uno in S1 e l’ altro in S2 . Due punti di U \ γ sono sempre congiunti da un arco. Infatti, se necessario, possiamo sempre realizzare la connessione utilizzando opportuni archi di S3 appoggiati ad L. Quindi U \ γ è connesso. Ma se φ : U → R2 è un omeomorfismo, R2 \ φ(γ) non è connesso, per il Teorema di Jordan (sezione 2.7.3). Esercizio 3.5 Siano S1 e S2 due spazi locamente Rn1 e Rn2 , rispettivamente. Si dimostri che S1 × S2 è localmente Rn , ove n = n1 + n2 . Esercizio 3.6 Si dimostri che il prodotto di due varietà topologiche è ancora una varietà topologica. Traccia. Siano V1 e V2 varietà topologiche. Il prodotto V1 × V2 è di Hausdorff e soddisfa il secondo assioma di numerabilità (esercizio 2.29). Inoltre è localmente Rn per un n opportuno (esercizio 3.5). Nella definizione di spazio localmente Rn la dimensione n è assegnata in anticipo, la stessa per ogni aperto del ricoprimento considerato, ma l’ unicità di n si può ottenere come conseguenza da altre ipotesi, quali la connessione. E non può capitare che uno stesso spazio sia al tempo stesso localmente Rn e 41 localmente Rm per distinte dimensioni n ed m. Per fissare meglio la questione, stabiliamo le seguenti definizioni. Modifica delle definizioni precedenti. Diciamo che un aperto A di uno spazio topologico S è euclideo se è omeomorfo a Rn per un opportuno n, che chiamiamo dimensione di A, e che non escludiamo possa dipendere dalla scelta dell’ aperto A. Diciamo che S è localmente euclideo se ammette un ricoprimento formato da aperti euclidei. Richiamiamo il seguente teorema. Teorema della dimensione. Se n 6= m nessun aperto di Rn può essere omeomorfo ad un aperto di Rm . Chi fosse interessato alla dimostrazione la può trovare in un qualunque testo di topologia algebrica ove si dia adeguato spazio alla teoria dell’ omologia. Ritorniamo all’ unicità della dimensione. Esercizio 3.7 Sia S localmente euclideo. Se S è connesso allora tutti i suoi aperti euclidei hanno la stessa dimensione. Traccia. Sia E la famiglia di tutti gli aperti euclidei di S ed ≡ES la relazione di equivalenza definita nella sezione 2.7.1, con l’ insieme S dei punti di S nel ruolo di X. Le classi di ≡ES sono le componenti connesse di S (esercizio 2.47). Quindi se S è connesso allora S è l’ unica classe di ≡ES . Sia questo il caso. Siano A, B ∈ E, con dimensioni rispettivamente n ed m. Siccome ≡ES è banale, esiste una sequanza A0 , A1 , ..., Ak ∈ E ove A0 = B, Ak = A ed Ai ∩ Ai−1 6= ∅ per ogni i = 1, 2, ..., k. Per ogni i = 0, 1, ..., k sia ni la dimensione di Ai e φi : Ai → Rni un omeomorfismo. Siccome per ipotesi m 6= n, esiste almeno un i per cui ni−1 6= ni . Sia D un disco aperto di Rni tale che ϕ−1 i (D) ⊆ Ai−1 ∩ Ai ed ω un omeomorfismo da Rni a D. Allora ϕi−1 ϕ−1 ω è un omeomorfsmo da i Rni ad un aperto di Rni−1 , contro il Teorema della Dimensione. Quindi, ogni componente connessa di uno spazio localmente euclideo S è localmente Rn per un unico n, che dipende solo dalla componente connessa considerata e che prendiamo come dimensione della componente stessa. In particolare, uno spazio localmente euclideo e connesso ha una sua ben definita dimensione. Possiamo infine riformulare la definizione di varietà topologica come segue: una varietà topologica connessa è uno spazio topologico connesso, localmente euclideo, di Hausdorff e soddisfacente il secondo assioma di numerabilità. Una varietà topologica non connessa è unione disgiunta di più varietà topologiche connesse (di ugual dimensione, se vogliamo recuperare alla lettera la definizione data nel testo). 42 3.2 Quozienti su gruppi Esercizio 3.8 Data una famiglia (Si )i∈I di spazi topologici, per ogni i ∈ I sia Gi un gruppo di permutazioni dell’ insieme dei punti di Si . Si dimostri che Q Y Si Si Q i∈I ' . Gi i∈I Gi i∈I Esercizio 3.9 Dato uno spazio topologico S ed un gruppo G di permutazioni dell’ insieme dei punti di S, sia H un sottogruppo normale di G. Si dimostri che (S/H)/(G/H) ' S/G. Per di piú, se G è un gruppo di omeomorfismi di S allora G/H è un gruppo di omeomorfismi di S/H. Esercizio 3.10 Sia S uno spazio topologico e G un gruppo di omeomorfismi di S su sè stesso. Si dimostri che la proiezione pG : S → S/G è aperta. Soluzione. Per ogni aperto A di S risulta p−1 G (pG (A)) = G(A) = ∪g∈g g(A). Ma g(A) è aperto per ogni g ∈ G, perchè per ipotesi gli elementi di G sono omeomorfismi. Quindi G(A) è aperto, in quanto unione di aperti. Sicché G(A) = −1 p−1 G (pG (A)) è aperto e saturo. Per il Lemma 7.1 del testo, pG (pG (pG (A))) è −1 aperto. Ma pG (pG (p(A))) = pG (A). Quindi pG (A) è aperto. Esercizio 3.11 Sia S uno spazio topologico e G un gruppo di omeomorfismi di S su sè stesso. Si dimostri che le seguenti affermazioni si equivalgono. (1) S/G è semi-Hausdorff. (2) Le orbite di G sono chiuse. (3) Per ogni coppia di punti a, b ∈ S con b 6∈ G(a), esiste un aperto A di S tale che a ∈ A ma A ∩ G(b) = ∅. Soluzione. Che (1) implichi (3) è ovvio. Supponiamo che valga (3). Per il risultato dell’ esercizio 3.10, la proiezione pG : S → S/G è aperta. Quindi, con a, b ed A come in (3), pG (A) è un intorno di pG (a) che non contiene pG (b). Sicchè (1) vale. Inoltre G(b) ⊆ ¬A per un opportuno aperto A contenente a. Quindi G(b) è intersezione di chiusi e pertanto è chiuso, come affermato in (2). Infine, se vale (2) allora ¬G(a) è aperto. Quindi ¬pG (a) = PG (¬G(a)) è aperto, per l’ esercizio 3.10. Ne segue che {pG (a)} è chiuso. Di conseguenza S/G è semi-Hausdorff. Esercizio 3.12 Sia S uno spazio topologico e G un gruppo di omeomorfismi di S su sè stesso. Si dimostri che le seguenti affermazioni si equivalgono. (1) S/G è di Hausdorff. (3) Per ogni coppia di punti a, b ∈ S con b 6∈ G(a), esistono aperti A e B di S ove a ∈ A, b ∈ B e G(A) ∩ G(B) = ∅. Traccia. Vedi esercizio 3.10. 43 Esercizio 3.13 Sia S uno spazio topologico localmente Rn e G un gruppo di omeomorfismi di S su sè stesso. Supponiamo che per ogni punto a ∈ S esista un intorno U di a tale che G(x) ∩ U = {x} per ogni x ∈ U . Si dimostri che in queste ipotesi S/G è localmente Rn . Soluzione. Dato b ∈ S/G, sia a ∈ p−1 (b). Per le ipotesi assunte su S, esiste in S un aperto A contenente a e tale che esiste un omeomorfismo ω : A → Rn . D’ altra parte, per le ipotesi assunte su G, esiste un intorno U un intorno di a tale che U ∩ G(x) = {x} per ogni x ∈ U . Ovviamente, ω(U ∩ A) è un intorno di ω(a) in Rn . Esso contiene un disco aperto D di Rn di centro ω(a). I dischi aperti di Rn sono omeomorfi ad Rn . Pertanto ω −1 (D) è un aperto di S contenente a, contenuto in U ed omeomorfo ad Rn . Per il risultato dell’ esercizio 3.10, p(ω −1 (D)) è aperto. D’ altronde, per come si è scelto U , la restrizione di p ad ω −1 (D) è iniettiva. Siccome p è aperta (esercizio 3.10), tale restrizione è un omeomorfismo da ω −1 (D) a p(ω −1 (D). Quindi p(ω −1 (D)) ' Rn . Esercizio 3.14 Sia V una varietà topologica e G un gruppo di omeomorfismi di V su sè stessa. Supponiamo che valgano le seguenti condizioni: (1) Per ogni punto a ∈ V esiste un intorno U di a tale che G(x) ∩ U = {x} per ogni x ∈ U : (2) Per ogni coppia di punti a, b ∈ V con b 6∈ G(a), esistono due aperti A e B in V tali che a ∈ A, b ∈ B e G(A) ∩ G(B) = ∅. Dimostrate che in queste ipotesi V/G è una varietà topologica. Soluzione. Sia n la dimensione di V. Per l’ ipotesi (1) ed il risultato dell’ esercizio 3.13 il quoziente V/G è localmente Rn . Essendo V connessa, V/G è connessa perché la proiezione p : V → V/G, essendo continua, porta connessi in connessi. Inoltre p è aperta (esercizio 3.10). Quindi porta ricoprimenti aperti di V in ricoprimenti aperti di V/G. In particolare, porta basi di V in basi di V/G. Ne segue che se V soddisfa il secondo assioma di numerabilità allora anche V/G lo soddisfa. Infine, che V/G sia di Hausdorff segue dall’ ipotesi (2) (vedi esercizio 3.12). Definizione. Sia G un gruppo di omeomorfismi di uno spazio topologico S = (S, A). Una regione fondamentale per G è un sottoinsieme R ⊆ S che interseca ogni orbita di G in esattamente un punto. Data una regione fondamentale R di G, poniamo GR (A) = {G(A) ∩ R}A∈A . Esercizio 3.15 Si dimostri che (R, GR (A)) è uno spazio topologico e che risulta (R, GR (A)) ' S/G. Avvertenza. Per ottenere una regione fondamentale basta selezionare un elemento da ciascuna orbita di G, anche a caso. Però in generale se la regione R è stata messa insieme con scelte casuali lo spazio (R, GR (A)) è praticamente impossibile da studiare. Viceversa, con scelte di R particolarmente felici molte proprietà di (R, GR (A) possono diventare del tutto ovvie. 44 3.3 Incollature Dati due spazi toplogici S1 = (S1 , A1 ) e S2 = (S2 , A2 ) con una parte P = S1 ∩S2 in comune, se A1 e A2 inducano la stessa toplogia su P allora diciamo che S1 e S2 coincidono su P . Se S1 e S2 coincidono su P , possiamo definire l’ incollatura S1 ·P S2 di S1 e S2 su P prendendo S1 ∪ S2 come insieme di punti e la seguente famiglia di insiemi come famiglia di aperti: A1 ·P A2 := {A1 ∪ A2 | A1 ∈ A1 , A2 ∈ A2 , A1 ∩ P = A2 ∩ P }. Esercizio 3.16 Si dimostri che A1 ·P A2 è la meno fine topologia su S1 ∪ S2 che induca A1 su S1 ed A2 su S2 . Esercizio 3.17 Siano V1 e V2 due varietà topologiche con intersezione ∅ = 6 P = V1 ∩ V2 . Supponiamo che V1 e V2 coincidano su P e che P risulti aperto sia in V1 che in V2 . Si dimostri che l’ incollatura V1 ·P V2 è una varietà topologica. Avvertenza. La seguente situazione semprerebbe cozzare contro quel che si afferma nell’ esercizio 3.17. Siano p1 ∈ V1 e p2 ∈ V2 di aderenza per P in V1 e in V2 e tali che per ogni intorno A1 di p1 in V1 esista un intorno A2 di p2 in V2 tale che A2 ∩ P = A1 ∩ P , e viceversa. Si sarebbe tentati di dire che ogni intorno A di p1 in V1 ·P V2 deve risultare dall’ unione di un intorno A1 di p1 in V1 ed un intorno A2 di p2 in V2 tali che A1 ∩ P = A2 ∩ P . Se cosı̀ fosse, A non potrebbe mai essere omeomorfo ad Rn . Ma questo è falso: ogni intorno di p1 in V1 è anche intorno di p1 in V1 ·P V2 . Nulla ci obbliga ad accorparlo con intorni di p2 in V2 . Esercizio 3.18 Siano V1 e V2 due varietà topologiche con un unico punto p in comune. Si dimostri che la loro incollatura V1 ·p V2 non è una varietà topologica. Soluzione. Ogni intorno A di p in V := V1 ∪p V2 è l’ unione A1 ∪ A2 di un intorno A1 di p in V1 ed un intorno A2 di p in V2 . Quindi A \ {p} non è connesso. Se per assurdo V1 ∪p V2 fosse una varietà potrei prendere A ' Rn per un opportuno n. Ma se n > 1 allora Rn \ {ϕ(p)} è connesso, ove indico con ϕ un dato omeomorfismo da A ad Rn . Quindi n = 1. Ma in tal caso ϕ(A1 ) e ϕ(A2 ) sarebbero due intorni di ϕ(p) in R tali che ϕ(A1 ) ∩ ϕ(A2 ) = ϕ(p). Questo è impossibile. Esercizio 3.19 Un cono in R3 (inteso come quadrica, quindi a due falde) non è un varietà topologica. Traccia. Infatti è omeomorfo a due piani incollati in un punto (corrispondente al vertice del cono). Nota. Il risultato dell’ esercizio 3.18 si può generalizzare ad incollature di varietà su opportune parti chiuse P più grandi di un punto (curve, per esempio) ma non insisto su questo. Mi limito ad osservare che, per l’ esercizio 3.4, l’ unione di due piani non paralleli in R3 non è una varietà topologica. L’ unione di due 45 piani intersecantesi su una retta L è un caso di incollatura: è l’ incollatura due diedri di origine L, formati ciascuno da due semipiani, uno preso da un piano e l’ altro dall’ altro. 3.4 3.4.1 Alcune varietà topologiche Toro, nastro di Moebius e bottiglia di Klein Definizioni e notazioni. Dati a, b > 0, siano τ1 e τ2 le traslazioni di R2 che portano (x, y) ∈ R2 in (x + a, y) e rispettivamente (x, y + b). Sia inoltre σ la riflessione attorno all’ asse y = 0, che porta (x, y) in σ(x, y) = (x, −y). Si noti che τ1 τ2 = τ2 τ1 , σ −1 = σ, στ1 = τ1 σ e στ2 = τ2−1 σ. Quindi hτ1 , τ2 i ∼ = hτ1 i × hτ2 i mentre hστ1 , τ2 i ammette hτ2 i come sottogruppo normale. Per brevità, per {i, j} = {1, 2} poniamo τ̄i := τi · hτj i (∈ hτ1 , τ2 i/hτj i) e σ̄τ̄1 := στ1 · hτ2 i (∈ hστ1 , τ2 i/hτ2 i). Risulta (R × {0})/hτ1 i ' ({0} × R)/hτ2 i ' S1 ove S1 sta ad indicare il cerchio. Il quoziente C := R2 /hτ2 i ' R2 /hτ1 i è il cilindro mentre T := R2 /hτ1 , τ2 i ' C/hτ̄1 i ' S1 × S1 è il toro. Il quoziente K := R2 /hστ1 , τ2 i ' (R2 /hτ2 i)/(hστ1 , τ2 i/hτ2 i) = C/hσ̄τ̄1 i è la bottiglia di Klein. Il nastro di Moebius aperto è M := R2 /hστ1 i ' (R×] − 1, 1[)/hστ1 i. Definiamo anche il nastro di Moebius chiuso M ponendo M := (R × [−1, 1])/hστ1 i. L’ omeomorfismo M ' (R×]−1, 1[)/hστ1 i (e la reinterpretazione del quoziente (R×]−1, 1[)/hστ1 i suggerita più sotto) indica la possibilità di realizzare M in R3 prendendo un nastro, ruotando di π una delle sue due estremità e appiccicandola cosı̀ ruotata alla prima estremità. In questo modello, M coincide con la chiusura di M in R3 . La curva M \ M (' S1 ) è chiamata il bordo, sia di M che di M. Esercizio 3.20 Verificate che C, T , M e K, definiti come sopra, sono effettivamente varietà topologiche. Invece M non è una varietà topologica. Perché? Traccia. Per C, T , M e K valgono le ipotesi dell’ esercizio 3.14. Invece in M i punti del bordo non ammettono intorni omeomorfi a R2 (esercizio 3.3). Le definizioni precedenti si possono rileggere in un modo più pratico. Il rettangolo semiaperto [0, a[×[−b/2, b/2[∪{(0, b/2)} è una regione fondamentale sia per il gruppo hτ1 , τ2 i che per hστ1 , τ2 i. Consideriamo la sua chiusura R := 46 [0, a] × [−b/2, b/2]. Per ottenere il toro T basta identificare lati opposti di R, identificando (x, −b/2) con (x, b/2) e (0, y) con (a, y). Invece, per ottenere la bottiglia di Klein K si identifica ancora (x, −b/2) con (x, b/2) ma ora (0, y) viene identificato con (a, −y). Per costruire il nastro di Moebius si parte da [0, a] × I, ove I sta per ] − 1, 1[ o [−1, 1] a seconda che si voglia il nastro aperto o quello chiuso, e si identificano tra loro (0, y) ed (a, −y). Ovviamente, se in [0, a] × I identifichiamo (0, y) con (a, y) anziché con (a, −y) allora realizziamo un tubo (nastro ordinario, omeomorfo a C se I =] − 1, 1[). Nel seguito manterrò la notazione ora introdotta, indicando con T , K, M e M rispettivamente il toro, la bottiglia di Klein, il nastro di Moebius aperto e quello chiuso. Vi verrà richiesto di realizzare T , M e K come sottovarietà di R3 o R4 . Si intende che una sottovarietà (topologica) Rn è un insieme di punti di Rn che, con la topologia indotta da quella di Rn , risulta una varietà topologica. Avvertenza. Il ricorso a regioni fondamentali, ove ci si limita ad identificare tra loro punti situati sul bordo della regione, consente maggiore libertà che non l’ approccio mediante quozienti su gruppi. Per esempio, nel definire K possiamo immaginare di eseguire prima le identificazioni (x, −b/2) ↔ (x, b/2) e poi le (0, x) ↔ (a, −x), o viceversa. Invece, se ragioniamo in termini di gruppi, possiamo prima quozientare R2 su hτ2 i e poi R2 /hτ2 i su hσ̄τ̄1 i, perché hτ2 i è normale in hστ1 , τ2 i, ma non possiamo quozientare prima su hστ1 i e poi su hστ1 , τ2 i/hτ2 i, perché quest’ ultimo quoziente non esiste. Infatti il sottogruppo hστ1 i non è normale in hστ1 , τ2 i. Esercizio 3.21 Descrivete una sottovarietà di R3 omeomorfa a T . Risposta. Da quanto precede si evince che possiamo realizzare T in R3 prendendo un tubo e saldando le sue estremità, in modo da formare una ciambella. Questo modello di T è descritto dalla seguente rappresentazione parametrica, ove α = (r1 + r2 )/2 e β = (r2 − r1 )/2 ed r1 ed r2 sono i raggi della circonferenza interna ed esterna di T . Si intende che T è collocato ortogonalmente all’ asse delle quote e con centro nell’ origine. x y z = (α + β cos φ) · cos θ, = (α + β cos φ) · sin θ, = β sin φ. Per ottenere questa rappresentazione, si immagini un cerchio Cβ di raggio β collocato su un piano passante per l’ asse delle quote e il cui centro si muove su un altro cerchio Cα , di raggio α con centro nell’ origine e collocato ortogonalmente all’ asse delle quote. Eliminando i parametri si ottiene ((x2 + y 2 )1/2 − α)2 + z 2 = β 2 ovvero x2 + y 2 + z 2 + α2 − β 2 = 2α(x2 + y 2 )1/2 . Osservando che il primo membro di quest’ ultima equazione non può mai essere negativo perché per 47 ipotesi α > β, possiamo anche elevare al quadrato, ottenendo cosı̀ la seguente equazione polinomiale: (x2 + y 2 + z 2 + α2 − β 2 )2 = 4α2 (x2 + y 2 ). Esercizio 3.22 Fornite una rappresentazione parametrica del nastro di Moebius, realizzato in R3 . Risposta. Il punto generico del nastro di Moebius è (α + r sin θ) · cos 2θ (∗) p(r, θ) = (α + r sin θ) · sin 2θ r cos θ. ove θ ed r sono parametri ed r è soggetto alla restrizione −1 ≤ r ≤ 1 (se vogliamo il nastro chiuso M) oppure −1 < r < 1 (se invece vogliamo M). Il numero α è una costante, che rappresenta il raggio del cerchio C formato dai punti del nastro equidistanti dal bordo. Per evitare che il nastro debba attraversare sè stesso, assumiamo che α > 1. Si suppone che C sia collocato ortogonalmente all’ asse delle quote e con centro nell’ origine 0. Per ottenere (∗) prendete su C un generico punto p e sul piano per p e per l’ asse delle quote collocate un segmento sp di lunghezza 2, con il suo punto medio in p e formante con l’ asse delle quote un angolo θ uguale alla metà dell’ angolo tra l’ asse delle ascisse e la semiretta che proietta p da 0. Il parametro r localizza p(r, θ) su sp . Si noti che p(r, θ) = p(−r, π − θ) per ogni scelta di r e θ. I punti p(1, θ) = p(−1, π − θ) sono quelli del bordo mentre i punti p(0, θ) stanno in C. Nota. Non ho fissato un intervallo di variabilità per θ. Avendo scelto [−1, 1] (oppure ] − 1, 1[) per r, possiamo prendere 0 ≤ θ ≤ π. Ma, osservando che p(−r, π − θ) = p(r, 2π − θ), potremmo anche far variare r in [0, 1] (rispettivamente, [0, 1[) e θ in [0, 2π]. Esercizio 3.23 Trovate una realizzazione di K come sottovarietà di R4 . Risposta. La seguente è una rappresentazione parametrica di K, ove α > 1 come per il nastro di Moebius: x1 = (α + sin θ sin φ) · cos 2θ, x2 = (α + sin θ sin φ) · sin 2θ, (1) x 3 = cos θ sin φ, x4 = cos φ. Per ottenerla, si parta dalla rappresentazione (∗) di M data nell’ esercizio 3.22 e si interpreti r come se fosse r = sin φ, vedendo cosı̀ il segmento sp , utilizzato nella deduzione della rappresentazione di M, come la proiezione su R3 di un cerchio di raggio 1, con centro in p e collocato su un piano parallelo al piano di R4 generato dall’ asse delle quote di R3 e dal quarto asse di R4 . Spiegherò meglio i motivi che suggeriscono questa costruzione, fra poco. 48 Eliminando i parametri da (1) si ottiene un sistema di due equazioni. Ovviamente, se ne possono ottenere infiniti, tutti tra loro equivalenti. Eccone uno: ((x21 + x22 )1/2 − α)2 + x23 + x24 = 1, (2) (α2 + αx1 + 2x23 − x2 x3 ) · (1 − x24 ) = 2x23 (α2 + x23 ). Sviluppando la prima equazione di (1) si ottiene x21 + x22 + x23 + x24 + α2 − 1 = 2α(x21 + x22 )1/2 . Osservando che il primo membro di questa equazione non può mai essere negativo, perché per ipotesi α > 1, possiamo elevare al quadrato, ottenendo cosı̀ il seguente sistema, ove tutte le equazioni sono polinomiali: 4α2 (x21 + x22 ) = (α2 + x21 + x22 + x23 + x24 − 1)2 , (3) (α2 + αx1 + 2x23 − x2 x3 ) · (1 − x24 ) = 2x23 (α2 + x23 ). In definitiva, abbiamo realizzato K come una varietà algebrica di R4 . In particolare, K è chiusa in quanto sottoinsieme di R4 . Spiegazione. Resta da motivare la costruzione con cui abbiamo ricavato (1). Come detto in precedenza, possiamo ottenere K partendo da un rettangolo R := [0, a]×[−b/2, b/2] ed identificando (x, −b/2) con (x, b/2) e (0, y) con (a, −y) mentre per ottenere M effettuiamo solo le identificazioni (0, y) ↔ (a, −y). Nella (∗) dell’ esercizio 3.22 abbiamo sfruttato proprio questo modello, con b = 1 ed α = a/2π. Potremmo dunque ottenere K direttamente da M, identificando tra loro i punti p(−1, θ) e p(1, θ), che corrispondono ai punti (−b/2, y) e (b/2, y) di R con y = aθ/π. Ma questo non conviene. Conviene invece prendere b = 2, e pensare M ottenuto dal sottorettangolo [0, a] × [−1/2, 1/2] di R. In questo 0 modo M risulta contenuto in un nastro più largo M , a sua volta ottenuto da R. 0 Il segmento sp di M è contenuto in un analogo segmento s0p di M , con lo stesso centro di sp ma lungo il doppio. L’ identificazione (−b/2, y) ↔ (b/2, y) trasforma s0p in un cerchio cp ed sp diventa un semicerchio di cp . Ma un semicerchio è naturalmente omeomorfo al diametro che congiunge i suoi punti estremi. Quindi possiamo reinterpretare sp come un diametro di cp . Abbiamo cosı̀ la costruzione utilizzata per dedurre (1), salvo irrilevanti dettagli: per esempio, i cerchi cp ci risultano di raggio 2/π, mentre li avremmo voluti di raggio 1. Ma possiamo sempre ingrandirli. Esercizio 3.24 Fornite una rappresentazione del nastro di Moebius mediante un’ equazione ed opportune disequazioni. Risposta. E’ chiaro dalla costruzione utilizzata per dedurre la rappresentazione parametrica di K che proiettando ortogonalmente K da R4 su R3 si ottiene il nastro chiuso M. Algebricamente, si prende uno dei due sistemi (2) o (3) fornito nell’ esercizio 3.23, si tratta x4 come un parametro e lo si elimina, tenendo conto delle condizioni che rendono l’ eliminazione possibile. Queste ultime si traducono in 49 una o più disequazioni che coinvolgono le rimanenti variabili x1 , x2 ed x3 . Per esempio, dalla prima equazione di (2) possiamo ricavare (a) 1 − x24 = x23 + ((x21 + x22 )1/2 − α)2 . Sostituendo nella seconda equazione otteniamo q (b) [α2 + αx1 + 2x23 − x2 x3 ] · [x23 + ( x21 + x22 − α)2 ] = 2x23 (α2 + x23 ). Considerando che 1 − x24 ≤ 1, dalla (a) si ottiene che x23 + ((x21 + x22 )1/2 − α)2 ≤ 1. Analizzando quest’ ultima disequazione si perviene infine alle seguenti due disequazioni: (c) x23 ≤ 1, (x21 + x22 )1/2 ≤ α + (1 − x23 )1/2 . La combinazione di (b) con (c) ci dà una rappresentazione di M. Per ottenere una rappresentazione di M basta sostituire ≤ con < in entrambe le disequazioni di (c). Esercizio 3.25 Si dimostri che K ∼ = T /H per un opportuno gruppo H di omeomorfismi di T , con |H| = 2. Traccia. Abbiamo definito K come quoziente K = R2 /G ove G := hστ1 , τ2 i. Il sottogruppo N := hτ12 , τ2 i è normale in G ed H := G/N ha ordine 2. Inoltre R2 /N ' T . La conclusione segue dall’ esercizio 3.9. Note. 1) Il gruppo G = hστ1 , τ2 i contiene infiniti sottogruppi normali. Per descriverli, fissiamo un po’ di notazioni. Dati due interi h, k ≥ 0 poniamo Gh,k := h(στ1 )h , τ2k i (uguale a hτ1h , τ2k i oppure hστ1h , τ2k i a seconda che h sia pari o dispari). In particolare, G0,0 = 1, G1,1 = G e G2,1 è il sottogruppo N considerato nella traccia dell’ esercizio 3.25. Si ha: T se h, k > 0 ed h è pari, K se k > 0 ed h è dispari, R2 /Gh,k ∼ C se h = 0 oppure 0 = k < h ed h è pari, M se k = 0 ed h è dispari. Siccome τ2−1 στ1 τ2 = στ1 τ22 , risulta Gh,k G se e solo se h è pari oppure 1 ≤ k ≤ 2. In tal caso, posto Hh,k := G/Gh,k , si ha T /Hh,k se h, k > 0, h pari, K/Hh,k se 2 1 ≤ k ≤ 2, h dispari, K ' (R /Gh,k )/Hh,k ∼ se h = 0 < k oppure C/Hh,k k = 0 ed h pari > 0. Inoltre Hh,k è metaciclico di ordine hk (in breve, Hh,k ∼ = Zk ·Zk ) ed è presentato dalle relazioni xh = y k = 1 ed x−1 yx = y −1 (ove x ed y sono rappresentati 50 ∼ Zh è ciclico di ordine h mentre in G da στ1 e τ2 ). In particolare, Hh,1 = Hh,2 ∼ = Z2 × Zh . Invece H0,k ∼ = Zk ed Hh,0 ∼ = Zh . Esistono dunque infiniti modi di ottenere K da C o da T e persino da K stessa come quoziente su un gruppo di omeomorfismi. 2) Supponiamo che Gh,k non sia normale in G (come nel caso di k = 0 ed h dispari, corrispondente ad M). Possiamo ancora ottenere K come quoziente di R2 /Gh,k , ma non mediante un gruppo di permutazioni dei punti di R2 /Gh,k (tantomeno, un gruppo di omeomorfismi). Infatti le orbite di G su R2 sono unioni di orbite di Gh,k . Queste corrispondono ai punti di M ' R2 /G1,0 . Però, siccome Gh,k non è normale in G, non tutti gli elementi di G portano orbite di Gh,k su orbite di Gh,k e pertanto G non induce un gruppo di permutazioni sull’ insieme dei punti di R2 /Gh,k . 3) Come già detto, si può ottenere K da sè stessa come quoziente su un gruppo di omeomorfismi isomorfo a Hh,k (1 ≤ k ≤ 2 ed h dispari). In questo non c’ è nulla di strano, cosı̀ come non c’ è nulla di strano nel fatto di poter ottenere il cerchio come quoziente di sè stesso sul gruppo generato da una rotazione di angolo 2π/n, o il toro T = R2 /hτ1h , τ2k i da sè stesso quozientando su hτ1 , τ2 i/hτ1h , τ2k i. 3.4.2 Altre sottovarietà di R4 in relazione col nastro di Moebius L’ intersezione di K (realizzata in R4 ) con R3 coincide col bordo del nastro di Moebius. Quindi, se rimuoviamo K ∩ R3 da K otteniamo una varietà che viene applicata su M dalla proiezione di R4 su R3 . Ma K \ (K ∩ R3 ) non è connessa. Ha infatti due componenti connesse, corrispondenti rispettivamente a x4 > 0 ed x4 < 0. E non è chiusa. Infatti K \ (K ∩ R3 ) = K. Quindi non è possibile rappresentare K \ (K ∩ R3 ) con equazioni ottenute uguagliando a 0 due funzioni continue f, g : R4 → R. Esercizio 3.26 Trovate una sottovarietà connesa e chiusa di R4 che venga proiettata su M dalla proiezione ortogonale di R4 su R3 . Risposta. Nella rappresentazione parametrica di M (esercizio 3.22), scelta una funzione continua e suriettiva f : R →] − 1, 1[, poniamo r = f (t). Otteniamo cosı̀ la seguente rappresentazione, ove x1 (t, θ), x2 (t, θ), x3 (t, θ), x4 (t, θ) sono le coordinate del punto generico p(t, θ) della varietà che stiamo definendo, e t e θ sono i parametri: x1 (t, θ) = (α + f (t) sin θ) cos 2θ x2 (t, θ) = (α + f (t) sin θ) sin 2θ (1) x3 (t, θ) = f (t) cos θ x4 (t, θ) = t La (1) descrive una sottovarietà di Rn , diciamola Vf . La proiezione ortogonale di R4 su R3 applica Vf su M. La varietà Vf è connessa perché immagine di R2 mediante una funzione continua (espressa da (1)). Inoltre è chiusa. Infatti Vf è la soluzione del seguente sistema, ottenuto da (1) eliminando i parametri. ((x21 + x22 )1/2 − α)2 + x23 = f (x4 )2 , (2) (α2 + αx1 + 2x23 − x2 x3 )f (x4 )2 = 2x23 (α2 + x23 ). 51 Note. 1) La proiezione di R4 su R3 non induce un omeomorfismo da Vf a M, nemmeno se f è iniettiva. Infatti due punti p(t, θ) e p(s, ζ) di Vf vengono proiettati sullo stesso punto di R3 se e solo se p(t, θ) = p(s, ζ) oppure f (t) = −f (s) e θ = ζ + kπ con k dispari. 2) Il metodo presentato nell’ esercizio 3.26 può essere utilizzato per costruire sottovarietà di R4 diverse da K ma anch’ esse proiettate su M. Basta scegliere f : R → [−1, 1]. 3) Il metodo dell’ esercizio 3.26 non è il più generale possibile. Infatti possiamo considerare anche una seconda funzione continua g(t) : R → R, sostituendo l’ ultima equazione di (1) con x4 = g(t). In questo modo (2) diventa: ((x21 + x22 )1/2 − α)2 + x23 = f (t)2 , (3) (α2 + αx1 + 2x23 − x2 x3 )f (t)2 = 2x23 (α2 + x23 ), x4 = g(t). Se disponiamo di una relazione che leghi f e g, con un po’ di fortuna la possiamo usare per eliminare il parametro t da (3). Questo è appunto quello che si è fatto per ottenere le equazioni di K. In quel caso f (t) = sin t, g(t) = cos t e la relazione che ci permette di eliminare t è sin2 t + cos2 t = 1. Esercizio 3.27 Trovate in R4 una sottovarietà omeomorfa ad M, che sia chiusa e connessa. Risposta. Sappiamo che M ' R2 /hστ1 i. Questa osservazione suggerisce di modificare la rappresentazione fornita nell’ esercizio 3.22, interpretando il parametro r come una quarta coordinata x4 , non soggetta a restrizioni di sorta. Riscriviamo dunque quella rappresentazione come segue: x1 = (α + x4 sin θ) cos 2θ x2 = (α + x4 sin θ) sin 2θ (1) x3 = x4 cos θ La (1) descrive una sottovarietà W di R4 omeomorfa ad M. Per ottenere una rappresentazione cartesiana di W basta eliminare il parametro θ da (1). Si ottiene il seguente sistema: 2 α + x21 + x22 + x23 − x24 = 2α(x2 + y 2 )1/2 , (2) (α2 + αx1 + 2x23 − x2 x3 )x24 = 2x23 (α2 + x23 ). Avvertenza. L’ immagine di W mediante la proiezione ortogonale di R4 su R3 non ha però molto a che vedere con M. Essa non è nemmeno una varietà topologica. 3.4.3 Il piano proiettivo reale Siano τ1 e τ2 le traslazioni considerate nella sezione 3.4.1, ma con a = b = 2, per maggiore semplicità. Siano inoltre σ1 e σ2 le rilessioni attorno agli assi y = 0 ed x = 0 di R2 : σ1 : (x, y) 7→ (x, −y), σ2 : (x, y) 7→ (−x, y). 52 (La riflessione σ1 è la σ della sezione 3.4.1.) Poniamo g1 := σ1 τ1 , g2 := σ2 τ2 e G := hg1 , g2 i. Esercizio 3.28 Risulta G((x, y)) = {((−1)v x + 2u, (−1)u y + 2v)}u,v∈Z per ogni punto (x, y) ∈ R2 . Esercizio 3.29 R2 /G ' P2 (R). Traccia. Intanto, il quoziente R2 /G è una varietà topologica 2-dimensionale. Questo non lo si può dedurre dall’ esercizio 3.14, perché la condizione (1) di 3.14 non vale nei punti dell’ orbita G((1, 1)) e nemmeno nei punti di G((1, −1)) (vedi esercizio 3.28). Però si può vedere che, se x è uno di quei punti ed r > 0 è abbastanza piccolo, allora lo stabilizzatore Gx di G agisce sul disco D(x, r) come un gruppo di rotazioni di π con centro x. Ne segue che D(x, r)/Gx ' R2 . Quindi, R2 /G è effettivamente una varietà di dimensione 2. Per capire di che varietà si tratta, consideriamo un’ opportuna regione fondamentale per G. Il quadrato semi-aperto R = ([−1, 1[×[−1, 1[) ∪ {(−1, 1)} è una tale regione. Passando al quadrato chiuso R = [−1, 1] × [−1, 1], si vede che le orbite di G che intersecano il bordo di R lo intersecano in punti opposti rispetto al centro 0 di R. Quindi R2 /G si ottiene da R identificando punti opposti del bordo. Ma R è omeomorfo al disco chiuso D2 e si sa che identificando punti opposti del bordo di D2 si ottiene appunto P2 (R). Quindi R2 /G ' P2 (R). Avvertenza. L’ omeomorfismo R2 /G ' P2 (R) sembrerebbe contraddire il fatto che il rivestimento universale di P2 (R) è la sfera S2 , non il piano R2 . Il fatto è che la proiezione pG : R2 → R2 /G non è un rivestimento. Infatti se x ∈ G((1, 1)) ∪ G((1, −1)) allora la la restrizione di pG ad un intorno di x non è mai iniettiva (vedi esercizio 3.28). Esercizio 3.30 Si trovi in R5 una sottovarietà omeomorfa a P2 (R). Soluzione. Dato un numero α > 1, sia p : [0, π] × [0, π] → R5 la funzione definita come segue: cos(θ + 2φ) (α + sin(θ + φ)) · sin(2θ + φ) ◦ ( ) p(θ, φ) = (α + sin(θ + φ)) · cos(2θ + 2φ) . (α + sin(θ + φ)) · sin(θ + 2φ) cos(2θ + φ) Non è difficile vedere che Vα := Im(pα ) è una sottovarietà di R. Con calcoli abbastanza laboriosi, sfruttando anche l’ ipotesi che α > 1, si verifica che la restrizione di p all’ interno Q :=]0, π[×]0, π[ del quadrato Q = [0, π] × [0, π] è iniettiva e per di più p(Q) ∩ p(Q \ Q) = ∅. Quindi pα induce un omeomorphismo da Q a pα (Q) (esercizio 2.38). Invece se (θ, φ), (ζ, ψ) ∈ Q \ Q allora 53 p(θ, φ) = p(ζ, ψ) se e solo se (θ, φ) + (ζ, ψ) = (π, π). E’ ora evidente che Vα è omeomorfa alla varietà ottenuta dal quadrato R = [−1, 1] × [−1, 1] identificando coppie di punti del bordo opposti rispetto al centro. Ma questa varietà è omeomorfa a P2 (R) (esercizio 3.29). Quindi Vα ' P2 (R). Qualche spiegazione in più. Ho mostrato come verificare che la rappresentazione (◦ ) ci dà una varietà come voluta, ma forse si vorrebbe anche sapere come si puó arrivare alla rappresentazione (◦ ). Ritorniamo al nastro di Moebius M. Lo possiamo ottenere come (R × [−1, 1])/hg1 i ma anche come ([−1, 1] × R)/hg2 i, ove g1 e g2 hanno il senso fissato all’ inizio di questa sezione. In altre parole, con riferimento al quadrato R di cui alla traccia dell’ esercizio 3.29, possiamo ottenere M sia identificando i punti (−1, r) ed (1, −r) di R per −1 ≤ r ≤ 1 che identificando i punti (s, −1) e (−s, 1) (−1 ≤ s ≤ 1). Nel costruire P2 (R) eseguiamo entrambe queste identificazioni. Quindi possiamo ottenere P2 (R) formando prima M mediante le identificazioni (−1, r) ↔ (1, −r) e poi identificando tra loro i punti p(1, θ) e p(−1, π − θ) = p(1, 2π − θ) di M per 0 ≤ θ ≤ π (notazione come in (∗) dell’ esercizio 3.22). Questi punti di M li possiamo far corrispondere ai punti (1, −s) e (−1, s) di R con s = cos θ. Questa costruzione è simile a quella usata nell’ esercizio 3.23 per la bottiglia di Klein, eccetto che ora i punti di M da identificare vengono visti non come punti di un cerchio che esce fuori da R3 ma come punti di una curva su un 0 secondo nastro di Moebius M , da collocare in parte fuori di R3 . Per capire di che curva si tratti, consideriamo il punto p(r, 0) = p(−r, π) di M corrispondente ai punti (−1, r) e (1, −r) di R. Il segmento da (−1, r) a (1, −r) corrisponde in M alla curva Cr := {p(r, ζ)}0≤ζ≤π . Dobbiamo allora 0 immaginare di identificare p(1, θ) e p(−1, π −θ) nel secondo nastro M vedendoli 0 come estremi di una curva Cθ0 := {p0 (s, ψ)}0≤ψ≤π di M analoga a Cr , ove 0 0 p (s, 0) = p(1, θ), p (−s, π) = p(−1, π − θ) ed s = cos θ. 0 In quel che si è detto non si ha completa simmetria di ruoli tra M ed M . Per realizzarla basta rimpiazzare Cr e Cθ0 con altre curve Γφ e Γ0θ non troppo lontane da Cr e Cθ0 , ove φ = arcos(r): (α + sin(ζ + φ)) · cos(2ζ + 2φ) Γφ = {pφ (ζ)}0≤ζ≤π , pφ (ζ) = (α + sin(ζ + φ)) · sin(ζ + 2φ) cos(2ζ + φ) Γ0θ = {p0θ (ψ)}0≤ψ≤π , cos(θ + 2ψ) p0θ (ψ) = (α + sin(θ + ψ)) · sin(2θ + ψ) (α + sin(θ + ψ)) · cos(2θ + 2ψ) La (◦ ) fonde questi due sistemi di curve in una unica rappresentazione, collocando Γ0θ nel sottospazio x4 = x5 = 0 di R5 e Γφ nel sottospazio x1 = x2 = 0, ed identificando la terza coordinata di Γ0θ con la prima di Γφ , in modo da non usare più dimensioni del necessario. 54 Esercizio 3.31 Si dimostrino le seguenti affermazioni. (1) P2 (R) ' K/HK per un opportuno gruppo HK di omeomorfismi di K, ove HK ∼ = Z2 (e Z2 sta ad indicare il gruppo di ordine 2). (2) P2 (R) ' T /HT per un opportuno gruppo HT di omeomorfismi di T , con HT ∼ = Z2 × Z2 . Inoltre, per ogni decomposizione HT = K1 × K2 con K1 ∼ = K2 ∼ = Z2 , risulta T /K1 ' K e pertanto P2 (R) ' (T /K1 )/(HT /K1 ) ' K/K2 ' K/HK . Traccia. I sottogruppi NT = hτ12 , τ22 i ed NK = hσ1 τ1 , τ22 i (oppure hτ12 , σ2 τ2 i) sono normali in G := hσ1 τ1 , σ2 τ2 i e sappiamo che R2 /NT ' T , R2 /NK ' K e R2 /G ' P2 (R). Le conclusioni seguono dall’ esercizio 3.9, come nella traccia dell’ esercizio 3.25. Nota. Si può ripetere per hσ1 τ1 , σ2 τ2 i quello che si è detto per il gruppo hστ1 , τ2 i nelle note all’ esercizio 3.25. Come hστ1 , τ2 i, anche hσ1 τ1 , σ2 τ2 i contiene infiniti sottogruppi normali che ci danno infiniti altri modi di realizzare P2 (R) come quoziente di T o di K o anche di P2 (R) stesso. E, come per K, possiamo anche ottenere P2 (R) come quoziente di M, ma non mediante un gruppo. 55 Indice 1. Spazi metrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 1 1.1. Distanze ed equivalenza tra distanze. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 1 1.1.1. Alcuni esempi. 1.1.2. Equivalenza tra distanze. 1.1.3. Prodotti di spazi metrici. 1.1.4. Produzione di nuove distanze da una distanza data. 1.1.5. Un caso estremo: distanze su insiemi finiti. 1.2. Continuità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 9 1.2.1. Unifome continuità e funzioni Lipschitziane. 1.2.2. Operatori lineari. 1.2.3. Inverse di funzioni continue. 1.2.4. Proiezioni. 1.2.5. Un teorema di punto disso. 1.2.6. Altri esempi. 2. Spazi topologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 17 2.1. Chiusura e frontiera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 17 2.2. Assioni di separazione e di numerabilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .p. 18 2.2.1. Semi-Hausdorff e Hausdorff. 2.2.2. Convergenza di successioni. 2.2.3. Continuità per sccessioni. 2.2.4. Regolarità e normalità. 2.3. Togologie generate da famiglie di insiemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 21 2.3.1. Terminologia e notazione. 2.3.2. Alcuni esempi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 22 2.4. Trasferire una topologia da un insieme ad un altro. . . . . . . . . . . . . . . . . p. 23 2.5. Prodotti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .p. 25 2.6. Compattezza. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 28 2.6.1. In generale. 2.6.2. In spazi metrici. 2.7. Connessione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 32 2.7.1. Un criterio di connessione. 2.7.2. Connessione per archi. 2.7.3. Archi, cappi e curve in R2 . 2.7.4. Alcuni gruppi di matrici. 2.8. Topologia di Zariski. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 37 3. Varietà e dintorni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 40 3.1. Spazi localmente Rn e varietà topologiche. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .p. 40 3.2. Quozienti su gruppi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 43 3.3. Incollature. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 45 3.4 Alcune varietà toplogiche. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 46 3.4.1. Toro, nastro di Moebius e bottiglia di Klein. 3.4.2. Altre sottovarietà di R4 in relazione col nastro Moebius. 3.4.3. Il piano proiettivo reale. 56