Esercizi di Topologia Generale
Notazioni. Indico l’ inclusione tra insiemi con ⊆, riservando il simbolo ⊂
per l’ inclusione stretta. Con ¬X indico il complementare di un insieme X e
pongo X \ Y := X ∩ ¬Y . Nel trattare di famiglie di oggetti, scrivo (xi )i∈I per
intendere la funzione che ad ogni i ∈ I associa xi mentre con {xi }i∈I intendo la
sua immagine, cioè l’ insieme dei suoi valori.
Indico con R e C il campo dei numeri reali ed il campo dei numeri complessi,
rispettivamente. Con Q e Z indico il campo dei razionali e l’ anello degli interi.
Infine, N := {0, 1, 2, ...}.
Indico l’ intervallo aperto di R di estremi a e b col simbolo ]a, b[ anziché
(a, b). Analoga notazione uso per intervalli semiaperti e semirette. Per esempio,
]a, +∞) sta per {x | x > a).
Avvertenza. Do per scontata la conoscenza dei primi tre capitoli del testo
Geometria 2 del Prof. Sernesi, nel seguito chiamato semplicemente ‘il testo’.
Non ne richiamo i contenuti, peraltro assai variegati. Mi limiterò a definire
alcune nozioni importanti, omesse in quei capitoli
1
1.1
1.1.1
Spazi metrici
Distanze ed equivalenza tra distanze
Alcuni esempi
Esercizio 1.1 Sia S = (S, d) uno spazio metrico ed U un insieme. Dimostrate
che le seguenti condizioni si equivalgono per una funzione f : U → S:
(1) (∃k > 0)(∀u, v ∈ U )(d(f (u), f (v)) ≤ k).
(2) (∃k > 0)(∃u ∈ U )(∀v ∈ U )(d(f (u), f (v)) ≤ k).
(3) (∀p ∈ S)(∃k > 0)(∀u ∈ U )(d(p, f (v)) ≤ k).
(4) (∃k > 0)(∃p ∈ S)(∀u ∈ U )(d(p, f (v)) ≤ k).
Terminologia. Le funzioni soddisfacenti le condizioni precedenti si dicono
limitate (in S, o in quanto funzioni da U a S).
Esercizio 1.2 Dato un insieme U ed uno spazio metrico S = (S, d), sia BS (U )
l’ insieme di tutte le funzioni limitate da U ad S. Per f, g ∈ BS (U ) ponete
d∞ (f, g) = supu∈U d(f (u), g(u)).
1
Dimostrate che d∞ è una distanza su BS (U ).
Nota. Il simbolo d∞ è motivato dalla somiglianza tra questa distanza ed altre distanze di uso comune in Analisi, usualmente indicate con questo stesso
simbolo.
Esercizio 1.3 Con S = (S, d) ed U come negli esercizi 1.1 e 1.2, sia S U l’
insieme delle funzioni da U ad S, limitate o no. Per f, g ∈ S U ponete d∞ (f, g) =
supu∈U d(f (u), d(u)) come nell’ esercizio 1.2, eccetto che ora non si assume che
f e g siano limitate. Quindi può capitare che d∞ (f, g) = ∞ (sicché non è detto
che d∞ sia una distanza). Scelta una funzione φ ∈ S U , sia
BSφ (U ) := {f ∈ S U | d∞ (f, φ) < ∞}.
(1) Dimostrate che d∞ è una distanza su BSφ (U ).
(2) Sia ≈∞ la relazione in S U definita dalla clausola f ≈∞ g ⇔ d∞ (f, g) < ∞.
Dimostrate che ≈∞ è una relazione di equivalenza su S U e BSφ (U ) è la classe di
equivalenza di φ in ≈∞ .
(3) L’ insieme BS (U ) delle funzioni limitate (esercizio 1.2) è una classe di equivalenza di ≈∞ .
(4) Supponiamo che S sia uno spazio normato e d sia la distanza definita
dalla norma assegnata su S. Allora BS (U ) è un sottospazio vettoriale di S U
e BSφ (U ) = φ + BS (U ) per ogni φ ∈ S U .
Avvertenza. A pagina 123 del testo si afferma che d∞ è sempre una distanza
su S U . Questo è falso: una distanza non può mai valere ∞.
Esercizio 1.4 Con BS (U ) definito come nell’ esercizio 1.2, supponete per di
più che U sia finito. In questo caso tutte le funzioni da U a S sono limitate,
quindi BS (U ) è semplicemente l’ insieme S U di tutte le funzioni da U ad S.
In base a quanto detto nell’ esercizio precedente, d∞ è una distanza su S U .
Definiamo altre due funzioni d1 e d2 da S U × S U ad R come segue:
P
d1 (f, g) = Pu∈U d(f (u), g(v))/|U |.
d2 (f, g) = ( u∈U d(f (u), g(v))2 /|U |)1/2 .
Dimostrate che d1 e d2 sono distanze.
Nota. Si rimanda all’ esercizio 1.11 per una generalizzazione di queste definizioni.
Esercizio 1.5 Sia C (0) [0, 1] l’ insieme di tutte le funzioni continue da [0, 1] ad
R. Definite tre funzioni da C (0) [0, 1] × C (0) [0, 1] → R come segue:
d∞ (f, g) = maxx∈[0,1] |f (x) − g(x)|.
R1
d1 (f, g) = 0 |f (x) − g(x)|dx.
R1
d2 (f, g) = ( 0 (f (x) − g(x))2 dx)1/2 .
Dimostrate che d∞ , d1 e d2 sono distanze.
2
Traccia. Che d∞ sia una distanza è ovvio: C (0) [0, 1] ⊂ BR ([0, 1]) e d∞ è
null’ altro che la distanza d∞ di BR ([0, 1]) (esercizio 1.2). Che d1 (f, g) = 0
oppure d2 (f, g) = 0 solo se f = g viene subito dal seguente noto teorema: se
R1
h ∈ C (0) [0, 1] è non-negativa, allora 0 h(x)dx = 0 solo se h è identicamente
nulla. La disuguaglanza triangolare è immediata
Pn per d1 . Per dimostrarla per
d2 , approssimate l’ integrale con una somma i=1 (f (i/n)−g(i/n))2 /n e rifatevi
alla distanza chiamata d2 nell’ esercizio 1.4. Poi fate tendere n ad ∞.
Esercizio 1.6 Sia R[0, 1] ⊃ C (0) [0, 1] l’ insieme delle funzioni f : [0, 1] → R
integrabili secondo Riemann. Possiamo definire d∞ , d1 e d2 in R[0, 1] esattamente come in C (0) [0, 1]. Le funzione integrabili secondo Riemann sono limitate
e d∞ è la distanza indotta dalla distanza d∞ di BR ([0, 1]) (esercizio 1.2). Invece
d1 e d2 non sono distanze. Perchè?
Traccia. Sia h ∈ R[0, 1] tale che l’ insieme {x | h(x) 6= 0} sia non vuoto ma di
R1
misura nulla. Allora 0 h(x)dx = 0 e tuttavia h non è identicamente nulla.
1.1.2
Equivalenza tra distanze
Definizioni. Rammento che due distanze d e d0 su uno stesso insieme S sono
dette topologicamente equivalenti se definiscono la stessa topologia su S. Invece,
se esistono due numeri α, β > 0 tali che
(ME)
α · d(x, y) ≤ d0 (x, y) ≤ β · d(x, y),
(∀x, y ∈ S),
allora d e d0 si dicono metricamente equivalenti. Nel seguito useremo spesso
abbreviazioni come αd ≤ d0 (oppure d0 ≤ βd) per dire che α · d(x, y) ≤ d0 (x, y)
(rispettivamente d0 (x, y) ≤ β · d(x, y)) per ogni scelta di x, y ∈ S. Evidentemente, se vale (ME) allora β −1 d0 ≤ d ≤ α−1 d0 e, se inoltre λd0 ≤ d00 ≤ µd0 per
una terza distanza d00 ed opportuni λ, µ > 0, allora αλd ≤ d00 ≤ βµd. Quindi l’
equivalenza metrica è effettivamente una relazione di equivalenza.
Esercizio 1.7 Due distanze metricamente equivalenti sono anche topologicamente equivalenti.
Traccia. Siano d e d0 come sopra. Dovendo distinguere i dischi aperti per d da
quelli per d0 , indichiamo con D0 (a, r) il disco aperto di centro a e raggio r per
la distanza d0 , riservando il simbolo D(a, r) per quello relativo a d. Con questa
notazione, se αd ≤ d0 allora D0 (a, rα) ⊆ D(a, r).
Viceversa, due distanze possono essere topologicamente equivalenti senza
essere metricamente equivalenti, come mostreremo più avanti (esercizi 1.19, 1.20,
1.21, 1.22 e 1.25).
Esercizio 1.8 Dimostrate che le distanze d1 , d2 e d∞ dell’ esercizio 1.4 sono
tra loro metricamente equivalenti. Precisamente,
p
|U | · d2 ≤ |U | · d1 .
d1 ≤ d2 ≤ d∞ ≤
3
Traccia. Per dimostrare che d1 ≤ d2 si applichi la disuguaglianza di CauchySchwartz ai vettori (d(f (ui ), g(ui )))ni=1 ed (1, 1, ..., 1) di Rn , ove n := |U | ed
u1 , u2 , ..., un sono gli elementi di U .
Esercizio 1.9 Siano d1 , d2 e d∞ le distanze su C (0) [0, 1] definite nell’ esercizio
1.5. Dimostrate che d1 ≤ d2 ≤ d∞ ma che non esiste alcun numero reale α > 0
per il quale una almeno delle seguenti disuguaglianze sia soddisfatta: d∞ ≤ αd1 ,
oppure d∞ ≤ αd2 oppure d2 ≤ αd1 .
Quindi queste tre distanze non sono metricamente equivalenti.
Traccia. Per dimostrare che d2 ≤ d∞ , applicate il teorema della media integrale. Per d1 ≤ d2 approssimate gli integrali con sommatorie come suggerito
sopra, rifatevi all’ esercizio 1.4 e fate tendere n ad ∞. Invece, per dimostrare
che non c’ è equivalenza metrica, prendete fn (x) = xn per n = 0, 1, 2,√... e sia 0
la costante nulla. Allora risulta d1 (fn , 0) = 1/(n + 1), d2 (fn , 0) = 1/ 2n + 1 e
d∞ (fn , 0) = 1.
Esercizio 1.10 Dmostrate che le distanze d1 , d2 e d∞ dell’ esercizio 1.9 non
sono nemmeno topologicamente equivalenti.
Soluzione. Per dimostrare che d∞ non è topologicamente equivalente nè a d1
nè a d2 , basta trovare una funzione g ed una successione di funzioni (fn )∞
n=0
tale che d1 (fn , g) → 0, d2 (fn , g) → 0 mentre d∞ (fn , g) 6→ 0. Una g ed una successione (fn )∞
n=0 con le proprietà richieste sono descritte già nella traccia dell’
esercizio 1.9. Analogamente, per dimostrare che d1 e d2 non sono topologicamente equivalenti, basta trovare una funzione g ed una successione di funzioni
(fn )∞
n=0 tale che d1 (fn , g) → 0 mentre d2 (fn , g) 6→ 0. Allo scopo,
√ si prenda ancora la costante nulla
0
come
funzione
g
e
si
ponga
f
(x)
=
(
1 + n)/(1 + nx).
n
√
Allora d1 (fn , 0) = ( 1 + n/n) · log(1 + n) mentre d2 (fn , 0) = 1 per ogni n. Non
è difficile verificare che
√
1 + n · log(1 + n)
→ 0 per n → ∞.
n
Nota. Le distanze d1 , d2 e d∞ sono definite da norme sullo spazio vettoriale
reale C (0) [0, 1], che ha dimensione infinita. Il fenomeno evidenziato nei due
esercizi precedenti non si presenta mai in dimensione finita, se ci si limita a
considerare distanze che nascano da norme. Infatti, è ben noto che in uno spazio
vettoriale (reale o complesso) di dimensione finita tutte le norme sono tra loro
equivalenti, vale a dire: danno origine a distanze metricamente equivalenti. L’
equivalenza metrica tra le distanze d1 , d2 e d∞ degli esercizi 1.4 e 1.8 è appunto
un caso particolare di questo teorema. Infatti, se S é R con l’ usuale distanza
d(x, y) = |x − y| ed n = |U |, allora l’ insiemePBS (U ) è nell’Paltro che Rn√e le
n
n
distanze d1 , d2 e d∞ nascono dalle norme ( i=1 |xi |)/n, ( i=1 x2i )1/2 / n e
maxni=1 |xi |. Le prime due sono proporzionali a quelle usualmente indicate con
4
||.||√1 e ||.||2 in Analisi (con coefficienti di proporzionalità 1/n e rispettivamente
1/ n), mentre la terza è la cosidetta norma del sup ||.||∞ :
Pn
||(xi )ni=1 ||1 = Pi=1 |xi |,
n
||(xi )ni=1 ||2 = ( i=1 x2i )1/2 ,
n
||(xi )i=1 ||∞ = maxni=1 |xi |.
√
La norma ||.||2 e la distanza ||x − y||2 = n · d2 (x, y) ad essa associata sono
dette anche norma e distanza euclidee. Invece in C (0) [0, 1] le norme che danno
origine alle distanze d1 , d2 e d∞ sono rispettivamente
R1
||f ||1 = 0 |f (x)|dx,
R1
||f ||2 = ( 0 (f (x))2 dx)1/2 ,
||f ||∞ = maxx∈[0,1] |f (x)|.
√
Le loro analoghe in Rn sono rispettivamente ||x||1 /n, |x.||2 / n e ||x||∞ .
1.1.3
Prodotti di spazi metrici
Esercizio
1.11 Siano S1 = (S1 , d1 ), ..., Sn = (Sn , dn ) spazi metrici e sia S :=
Qn
S
.
Definite
in S tre distanze δ1 , δ2 e δ∞ come segue, ove x = (xi )ni=1 ed
i=1 i
n
y = (yi )i=1 :
Pn
δ1 (x, y) = Pi=1 di (xi , yi )/n,
n
δ2 (x, y) = ( i=1 di (xi , yi )2 /n)1/2 ,
δ∞ (x, y) = maxni=1 di (xi , yi ).
Dimostrate che δ1 , δ2 e δ∞ sono effettivamente distanze e che
√
δ1 (x, y) ≤ δ2 (x, y) ≤ δ∞ (x, y) ≤ n · δ2 ≤ nδ1 .
(Quindi d1 , d2 e d∞ sono tra loro metricamente equivalenti.)
Note. 1) Lo spazio prodotto di una famiglia di spazi metrici si può dunque
definire in vari modi. Molti autori, specialmente in Analisi, lo definiscono prendendo δ∞ come distanza.
2) Come già detto in nota all’ esercizio 1.4, la situazione considerata in quell’
esercizio (e in 1.8) è un caso particolare di quella prospettata qui sopra: negli
esercizi 1.4 e 1.8 gli spazi S1 , ..., Sn sono uguali tra loro.
√
Esercizio 1.12 In Rn siano d1 := nδ1 , d2 = nδ2 e d∞ = δ∞ , ove δ1 , δ2 e δ∞
sono definite come nell’ esercizio 1.11. Per i = 1, 2, ∞ descrivete i dischi di di .
Traccia. Per semplicità, prendiamo n = 3 e consideriamo solo dischi di centro
0 := (0, 0, 0) e raggio r = 1. Per i = 1, 2, ∞ sia S (i) = {x | di (x, 0) = 1}
la frontiera del disco di centro 0 e raggio 1 per di . Osservando le cose dallo
spazio R3 munito della distanza euclidea d2 , S (2) ci appare come una sfera, S (1)
come un ottaedro inscritto nella sfera S (2) mentre S (∞) appare come un cubo
circoscritto ad S (2) . Se invece assumiamo d1 come nostro punto di vista, allora
5
è S (1) che ci appare come una sfera mentre S (2) ora ci appare come un cubo
circoscritto alla sfera S (1) . La superficie S (∞) assomiglia ad una stella ad otto
punte. Se invece ci si mette dal punto di vista di d∞ allora S (∞) diventa una
sfera, S (2) un ottaedro ed S (1) assume una forma a stella.
Esercizio 1.13 Nella situazione dell’ esercizio 1.11, dato un numero reale p ≥
1, ponete
δp (x, y) = (
n
X
di (x, y)p /n)1/p .
i=1
Dimostrate che δp è una distanza. Dimostrate anche che, se 1 ≤ p < q allora
δp (x, y) ≤ δq (x, y) ≤ δ∞ (x, y) ≤ n1/q δq (x, y) ≤ n1/p δp (x, y).
(Quindi tutte le distanze δp con p ≥ 1 sono metricamente equivalenti tra loro e
con δ∞ .)
Traccia. Si sfrutti il seguente fatto: se 0 < α ≤ 1 e se x, y ≥ 0 allora (x + y)α ≤
xα + y α . Questo lo si dimostra riconducendosi al caso di y = 1 e dimostrando
che se α > 1 allora (1 + t)α < 1 + tα per ogni t > 0.
Esercizio 1.14
Q Sia ((Si , di ))ai∈I una famiglia infinita di spazi metrici.Q Dato
a = (ai )i∈I ∈ i∈I Si , sia B∞
l’ insieme degli elementi x = (xi )i∈I ∈ i∈I Si
tali che supi∈I di (xi , ai ) < ∞. Per ogni coppia di elementi x = (xi )i∈I ed
a
si ponga
y = (yi )i∈I di B∞
δ∞ (x, y) := supi∈I di (xi , yi ).
a
Si dimostri che δ∞ è una distanza su B∞
.
Nota. Gli spazi metrici (BSφ (U ), d∞ ) dell’ esercizio 1.3 rientrano
Q come caso
a
particolare tra gli spazi (B∞
, δ∞ ) definiti qui sopra. Infatti S U = u∈U Su ove
Su = S per ogni u ∈ U .
∞
Esercizio 1.15
Q∞ Sia ((Sn , dna))n=1 una successione di spazi metrici. ∞Dato a =
(an )∞
∈
S
,
sia
B
l’
insieme delle successioni x = (xn )n=1 per le
n=1
1
n=1 n
quali esistono un numero naturale n(x) ed un numero reale (x) > 0 tale che
dn (an , xn ) ≤ 1/n1+(x) per ogni n ≥ n(x). Per ogni coppia di elementi x =
∞
a
(xn )∞
n=1 ed y = (yn )n=1 di B1 si ponga
δ1 (x, y) :=
∞
X
dn (xn , yn ).
n=1
Si dimostri che δ1 è una distanza su B1a .
6
∞
Esercizio 1.16 Con ((Sn , dn ))∞
n=1 ed a = (an )n=1 come nell’ esercizio 1.15,
a
∞
sia B2 l’ insieme delle successioni x = (xn )n=1 per le quali esistono un numero
naturale n(x) ed un numero reale (x) > 0 tale che dn (an , xn ) ≤ 1/n(1+(x))/2
∞
per ogni n ≥ n(x). Per ogni coppia di elementi x = (xn )∞
n=1 ed y = (yn )n=1 di
a
B2 si ponga
v
u∞
uX
dn (xn , yn )2 .
δ2 (x, y) := t
n=1
Si dimostri che δ2 è una distanza su B2a .
Traccia. Per dimostrare la proprietà triangolare riconducetevi al caso del
prodottoQdi un numero finito di spazi,
Pn osservando che la proprietà triangolare
n
vale in k=1 Sk per la distanza ( k=1 dn (xk , yk )2 )1/2 . Poi passate al limite,
facendo tendere n ad ∞.
Esercizio 1.17 Nella situazione degli esercizi 1.15 e 1.16 risulta B1a ⊆ B2a ⊆
a
. Quindi possiamo anche vedere δ∞ e δ2 come distanze su B1a .
B∞
Le distanze δ∞ e δ2 , interpretate in questo modo, sono tra loro metricamente
equivalenti? Sono equivalenti a δ1 ?
Risposta. No, di queste tre distanze non ce n’ è due che siano equivalenti.
1.1.4
Produzione di nuove distanze da una distanza data
Esercizio 1.18 Dato un insieme U , uno spazio metrico S = (S, d) ed una
funzione iniettiva f : U → S, ponete df (x, y) = d(f (x), f (y)). Verificate che df
è una distanza su U .
Esercizio 1.19 Sia f : R → R una funzione iniettiva e, indicata con d la solita
distanza d(x, y) = |x − y| su R, sia df (x, y) = d(f (x), f (y)), come nell’ esercizio
1.18: df (x, y) = |f (x) − f (y)|.
Dimostrate che se f è continua (nel senso solito, cioè relativamente alla
distanza d) allora d e df sono topologicamente equivalenti. Per di più, d e df
definiscono lo stessa sistema di dischi se e solo se f non è limitata nè superiormente nè inferiormente.
Traccia. Per fissare le idee, supponete che f sia limitata, sia superiormente
che inferiormente. Allora ogni disco per df con raggio maggiore di supx∈R |f (x)|
coincide con tutto R.
Commento. Nel caso considerato qui sopra, se usiamo la distanza df la retta
R ci appare di lunghezza finita.
Esercizio 1.20 Siano f e d come nell’ esercizio 1.19. Mostrate che, anche nell’
ipotesi che d e df definiscano lo stesso sistema di dischi, non è detto che siano
metricamente equivalenti.
7
Traccia. Prendete f (x) = x3 , oppure f (x) = x1/3 , o qualunque altra funzione
con caratteristiche simili.
Esercizio 1.21 Data f come nell’ esercizio 1.19 dimostrate che se d e df sono
metricamente equivalenti allora definiscono lo stesso sistema di dischi.
Esercizio 1.22 Data f come nell’ esercizio 1.19 supponete per di più che f sia
derivabile. Dimostrate che d e df sono metricamente equivalenti se e solo se f 0
è limitata e inf x∈R |f 0 (x)| > 0.
Traccia. Se αd ≤ df ≤ βd, ragionando sul rapporto incrementale si deduce che
α ≤ |f 0 (x)| ≤ β per ogni x. Viceversa, usando il Teorema di Lagrange si vede
che d · inf x∈R |f 0 (x)| ≤ df ≤ d · supx∈R |f 0 (x)|.
Esercizio 1.23 Sia (S, d) uno spazio metrico. Data una funzione γ : [0, +∞) →
[0, +∞) ponete dγ (x, y) = γ(d(x, y)). Considerate le seguenti possibilità per γ.
Per ciascuna di esse dite se dγ è una distanza o no.
(1)
(2)
(3)
(4)
(5)
γ(x)
γ(x)
γ(x)
γ(x)
γ(x)
=
=
=
=
=
xα
xα
dxe
bxc
arctg(x).
(ove
(ove
(ove
(ove
0 < α ≤ 1);
α > 1);
dxe = min(n ∈ N | n ≥ x));
bxc = max(n ∈ N | n ≤ x));
Risposta. dγ è una distanza in (1), (3) e (5), non lo è in (2) e (4).
Esercizio 1.24 Con dγ come nell’ esercizio 1.23, trovate un insieme di condizioni su γ sufficienti a garantire che dγ sia una distanza.
Risposta. Queste, per esempio:
(a) γ(x) = 0 ⇔ x = 0;
(b) γ è non decrescente;
(c) γ(x + y) ≤ γ(x) + γ(y).
Esercizio 1.25 Siano d e d0 due distanze sullo stesso insieme S. Dimostrate
che le seguenti condizioni si equivalgono:
(1) Per ogni punto a ∈ S, i dischi aperti di centro a sono gli stessi per d e per
d0 . Esplicitamente, per ogni r > 0 esiste un r0 > 0 tale che il disco di centro
a e raggio r per la distanza d coincida col disco di centro a e raggio r0 per la
distanza d0 , e viceversa, scambiando i ruoli di d e d0 .
(2) Per ogni scelta di punti x, y, u, v ∈ S, risulta d(x, y) = d(u, v) se e solo se
d0 (x, y) = d0 (u, v).
(3) Risulta d0 = dγ (vedi esercizio 1.23) per una opportuna funzione γ : [0, +∞) →
[0, +∞), iniettiva se ristretta all’ insieme dei valori assunti da d.
Esercizio 1.26 Dato uno spazio metrico (S, d), sia γ : [0, +∞) → [0, +∞)
definita dalla clausola γ(x) = dxe. Dimostrate che ogni disco per dγ è anche un
8
disco per d e, viceversa, ogni disco per d è contenuto in un disco per dγ con lo
stesso centro.
Supponete poi che in (S, d) valga la seguente proprietà: esiste almeno un
punto a tale che per ogni r > 0 risulta D(a, r) 6= {a}. Si dimostri che in questo
caso d e dγ non sono topologicamente equivalenti.
1.1.5
Un caso estremo: distanze su insiemi finiti
Esercizio 1.27 Si dimostri che una distanza d su un insieme S è topologicamente equivalente alla distanza discreta se e solo se per ogni punto a ∈ S l’
insieme {d(a, x)}x6=a ammette estremo inferiore positivo. Ne segue che se S è
finito tutte le distanze su S definiscono la toplogia discreta.
Esercizio 1.28 Due distanze su un insieme finito sono sempre metricamente
equivalenti.
Traccia.. Date due distanze d1 e d2 su un insieme finito S, per i = 1, 2 si ponga
mi = min(di (x, y) | x 6= y) ed Mi = max(di (x, y) | x 6= y). Per {i, j} = {1, 2}
Mi
mi
· dj ≤ di ≤ m
· dj .
risulta M
j
j
1.2
1.2.1
Continuità
Uniforme continuità e funzioni Lipschitziane
Rammento che, dati due spazi metrici S1 = (S1 , d1 ) ed S2 = (S2 , d2 ), una
funzione f : S1 → S2 è detta uniformemente continua se
(UC)
(∀ε > 0)(∃δ > 0)(∀x, y ∈ S1 )(d1 (x, y) < δ ⇒ d2 (f (x), f (y)) < ε).
Evidentemente, l’ uniforme continuità implica la continuità, ma è ben noto che
non vale il viceversa. Diciamo invece che f è Lipschitziana se esiste un numero
k ≥ 0 tale che
(L)
d2 (f (x), f (y)) ≤ k · d1 (x, y),
(∀x, y ∈ S1 ).
Non è difficile vedere che, se f è Lipschitziana, l’ insieme dei k per cui vale (L)
ammette un minimo. Quel minimo è la costante di Lipschitz di f . Ovviamente,
la costante di Lipschitz è uguale a 0 se e solo se f è costante.
E’ anche ovvio che ogni funzione Lipschitziana è uniformemente continua,
ma non vale il viceversa. Per esempio, ogni funzione continua f : [a, b] → R è
uniformemente continua, ma non è detto che sia Lipschitziana. Infatti:
Esercizio 1.29 Sia f : [a, b] → R derivabile su tutto [a, b], estremi compresi. Si
dimostri che f è Lipschiztiana se e solo se la sua derivata è limitata. Se questo
è il caso, supx∈[a,b] |f 0 (x)| è la costante di Lipschitz di f .
9
Esercizio 1.30 Una funzione f : S1 → S2 è uniformemente continua se e solo
se esiste una funzione κ : [0, +∞) → [0, +∞) tale che
(1) κ(0) = 0,
(2) κ(x)x sia non decrescente,
(3) per ogni ε > 0 esista un δ > 0 tale che κ(δ)δ ≤ ε,
(4) d2 (f (x), f (y)) ≤ κ(d1 (x, y)) · d1 (x, y) per ogni scelta di x, y ∈ S1 .
Traccia. Nell’ ipotesi che f sia uniformemente continua, per δ > 0 sia (δ) il
minimo ε per cui d1 (x, y) ≤ δ ⇒ d2 (f (x), f (y)) ≤ ε e si ponga κ(δ) = ε(δ)/δ.
Esercizio 1.31 Dati due spazi metrici S1 = (S1 , d1 ) e S2 = (S2 , d2 ), una funzione f : S1 → S2 una funzione ed un punto 0 ∈ S1 , poniamo
ν(f ) := supx6=0
d2 (f (x), f (0))
.
d1 (x, 0)
(A) Supponiamo che per ogni v ∈ S1 esista un’ isometria τv : S1 → S2 tale che
τv (0) = v e
(1)
(∀x, y ∈ S1 ).
d2 (f (τv (x)), f (τv (y))) = d2 (f (x), f (y)),
Si dimostri che se ν(f ) < ∞ allora f è Lipschitziana (e quindi uniformemente
continua) e ν(f ) è la sua costante di Lipschitz.
(B) Assumiamo che per ogni r > 0 esista un’ isometria ωr : (S1 , d1 ) → (S1 , rd2 )
tale che ωr (0) = 0 e
(2)
d2 (f (ωr (x)), f (ωr (y))) = r · d2 (f (x), f (y)),
(∀x, y ∈ S1 ).
Si dimostri che se ν(f ) = ∞ allora f non è continua.
Traccia. La (A) è ovvia. Dimostriamo la (B). Innazitutto, da (2) segue che
(3)
d2 (f (x), f (0))
d2 (f (ωr (x)), f (0))
=
,
d1 (ωr (x), 0)
d1 (x, 0)
(∀x 6= 0, ∀r > 0).
Sia ν(f ) = ∞. Quindi per ogni intero positivo n esiste xn 6= 0 tale che
(4)
d2 (f (xn ), f (0) > n · d1 (xn , 0).
Sia r = (n · d1 (xn , 0))−1 ed yn = ωr (xn ). Allora d(yn , 0) = 1/n. Quindi yn → 0.
D’ altra parte, da (3) e (4) e dal fatto che d1 (yn , 0) = 1/n si ricava che
d2 (f (yn ), f (0)) > n · d1 (yn , 0) = 1.
Quindi f (yn ) 6→ f (0). La funzione f non è continua.
10
1.2.2
Operatori lineari
Sia f : V1 → V2 un’ applicazione lineare tra due spazi vettorriali normati V1
e V2 ., con norme ||.||1 e ||.||2 . Il numero ν(f ) definito nell’ esercizio 1.31 con
0 uguale al vettore nullo di V1 è precisamente la norma di f indotta dalle
norme ||.||1 e ||.||2 . Le condizioni assunte in (A) e (B) dell’ esercizio 1.31 sono
soddisfatte: τv è la traslazione x 7→ x + v ed ωr è l’ omotetia x 7→ rx. In
particolare, dalla (4) dell’ esercizio 1.31 segue che ν(f ) è l’ estremo superiore
dei valori assunti da ||f (x)||2 sulla sfera S := {x | ||x||1 = 1}.
Le conclusioni dell’ esercizio 1.31 ci dicono che f è continua se e solo se è
ν(f ) < ∞ (vale a dire, f è limitata su S) e, nel caso sia continua, è addirittura
Lipschitziana. In questo caso, se S è compatta (il ché succede se e solo se
dim(V1 ) < ∞) allora ν(f ) è il massimo di ||f (x)||2 per x ∈ S.
Esercizio 1.32 Siano V1 e V2 spazi normati ed f : V1 → V2 un’ applicazione
lineare. Si dimostri che se dim(V1 ) < ∞ allora ν(f ) < ∞.
Traccia. Limitiamoci al caso di spazi vettoriali reali. Il caso complesso si tratta
allo stesso modo. Inoltre, rimpiazzando eventualmente V2 con f (V1 ), possiamo
sempre supporre che anche V2 abbia dimensione finita. Sia dunque V1 = Rn
e V2 = Rm . Come detto in nota all’ esercizio 1.10, in dimensione finita tutte
le norme si equivalgono. Possiamo dunque prendere la norma ||.||∞ sia su Rn
che su Rm . Sia M = (mi,j )m,n
i,i=1 la matrice che rappresenta f rispetto alle basi
canoniche di Rn e Rm . Non è difficile vedere che, posto
ν(M ) := maxm
i=1
n
X
|mi,j |,
j=1
per ogni x ∈ V1 risulta ||M x||∞ ≤ ν(M ) · ||x||∞ . Quindi ν(f ) ≤ ν(M ). Con
un po’ di lavoro in più si puo anche dimostrare che ν(f ) = ν(M ).
Esercizio 1.33 Sia C (0) [0, 1] lo spazio vettoriale delle funzioni contnue da [0, 1]
ad R (esercizio 1.5). Dato a ∈ [0, 1] sia νa : C (0) [0, 1] → R il funzionale lineare
che associa ad ogni f ∈ C (0) [0, 1] il suo valore f (a) in a. Siano d1 , d2 , d∞
definite come nell’ esercizio 1.5. Si mostri che l’ applicazione νa è continua
se come distanza su C (0) [0, 1] prendiamo d∞ ma non lo è se come distanza
prendiamo d1 oppure d2 .
Traccia. Che νa risulti continua per d∞ è evidente. Anzi, con questa distanza
νa risulta addirittura Lipschitziana con costante di Lipschitz 1. Per dimostrare
che νa non è continua nè per d1 nè per d2 basta trovare una successione fn ed
una g tale che, presa come distanza d1 o d2 , risulti fn → g ma fn (a) 6→ g(a).
Sia 0 < a < 1, per fissare le idee. Definite fn in modo che valga 0 da 0 ad
a − a/n, poi cresca a partire da a − a/n fino ad assumere il valore 1 in a, poi
descresca fino a ritornare uguale a 0 in a + (1 − a)/n ed infine valga costantemente 0 da a + (1 − a)/n fino ad 1. Allora fn tende alla costante 0 sia con d1
11
che con d2 , ma fn (a) = 1 non tende a 0.
Derivata e funzione integrale. Indichiamo con C (1) [0, 1] lo spazio vettoriale
delle funzioni f : [0, 1] → R che ammettono derivata continua su tutto [0, 1]. Si
noti che C (1) [0, 1] è un sottospazio di C (0) [0, 1] di codimensione infinita.
Sia D : C (1) [0, 1] → C (0) [0, 1] l’ operatore che ad ogni f ∈ C (∞) [0, 1] associa
la sua derivata e, dato a ∈ [0, 1], sia Ia : C (0) [0, 1] → C (1) [0, 1] l’ operatore che
ad ogni funzione f ∈ C (0) [0, 1] associa la funzione integrale Ia (f ):
Z x
f (t)dt
Ia (f )(x) :=
a
E’ noto che tanto D che Ia sono operatori lineari, che D è suriettiva ma non
iniettiva (infatti Ker(D) = h1i, ove 1 sta per la funzione costante 1) mentre Ia
è iniettiva ma non suriettiva. Infatti Im(Ia ) è l’ iperpiano Ker(νa ) ∩ C (1) [0, 1] di
C (1) [0, 1], ove νa è il funzionale lineare definito nell’ esercizio 1.33. Nel seguito
(1)
indico questo iperpiano col simbolo Ca [0, 1]:
Ca(1) [0, 1] := {f ∈ C (1) [0, 1] | f (a) = 0}.
(1)
Si noti anche che h1i è un complemento di Ca [0, 1] in C (1) [0, 1], vale a dire:
(1)
C (1) [0, 1] = h1i ⊕ Ca [0, 1]. Inoltre DIa è l’ identità su C (0) [0, 1] (Teorema
Fondamentale del Calcolo Integrale).
Esercizio 1.34 Con d1 , d2 e d∞ definite come nell’ esercizio 1.5, consideriamo
le distanze da esse indotte su C (1) [0, 1]. Le indichiamo ancora coi simboli d1 , d2
e rispettivamente d∞ . Si dimostri che, presa d1 oppure d2 o d∞ come distanza
sia su C (1) [0, 1] che su C (0) [0, 1], l’ operatore D non è continuo.
Invece Ia risulta continuo (anzi, Lipschitiziano, quindi uniformemente continuo) qualunque delle tre distanze d1 , d2 o d∞ si scelga.
Traccia. Si consideri la successione di funzioni fn (x) = xn . Allora fn tende
alla funzione costante nulla 0 sia con d1 che con d2 . Ma D(fn ) = nfn−1 e
questa successione non tende a D(0) (= 0),√nè con d1 nè con d2 . Invece, per
d∞ si consideri la successione
fn (x) = xn / n. Questa successione tende a 0
√ n−1
con d∞ . Però D(fn ) = nx
, che non tende piú a 0. Invece, passando ad
Ia , risulta d1 (Ia (f ), Ia (g)) ≤ d1 (f, g), d2 (Ia (f ), Ia (g)) ≤ d1 (f, g) ≤ d2 (f, g)
e d∞ (Ia (f ), Ia (f )) ≤ d∞ (f, g). Quindi Ia è addirittura Lipschitziana (con
costante di Lipschitz k = 1), qualunque delle tre distanze d1 , d2 o d∞ si consideri.
Nota. Si confronti il risultato precedente con l’ esercizio 1.32. Lo spazio
C (1) [0, 1] ha dimensione infinita, mentre il risultato dell’ esercizio 1.32 vale
solo per spazi di dimensione finita. Infatti se V1 ha dimensione infinita allora, qualunque norma si ponga su di esso e qualunque spazio V2 si scelga come
codominio, esistono sempre applicazioni lineari non continue da V1 a V2 . Le
si possono costruire facilmente scegliendo in V1 una base formata da vettori di
norma 1 e facendo corrispondere a ciascuno di essi un vettore di V2 di norma
arbitrariamente grande.
12
1.2.3
Inverse di funzioni continue
(1)
Dato a ∈ [0, 1], sia Da la restrizione di D all’ iperpiano Ca [0, 1] (vedi sezione
(1)
1.2.2). Siccome h1i = Ker(D) e C (1) [0, 1] = h1i ⊕ Ca [0, 1], l’ operatore Da è
(0)
invertibile e, siccome DIa è l’ identità su C [0, 1], l’ operatore Ia , visto come
(1)
funzione da C (0) [0, 1] a Ca [0, 1], è l’ inverso di Da .
(1)
Esercizio 1.35 In Ca [0, 1] e C (0) [0, 1] prendete come distanza d una qualunque
(1)
delle distanze d1 , d2 o d∞ , scegliendo tra d1 , d2 o d∞ la stessa sia in Ca [0, 1]
che in C (0) [0, 1]. Sappiamo che Ia è continua, qualunque sia la scelta che si
è fatta per d (esercizio 1.34) Sappiamo anche che Ia , vista come funzione da
(1)
C (0) [0, 1] a Ca [0, 1], è invertibile. E’ anche un omeomorfismo?
Risposta. No, perchè Ia−1 = Da e Da non è continua. Questo lo si è visto nell’
esercizio 1.34 per D, ma la dimostrazione proposta in quell’ esercizio vale anche
per Da con a = 0. E’ poi facile riadattarla al caso di a 6= 0.
Esercizio 1.36 Sia S1 = R × [0, 2π[ ed S2 = R2 \ {(0, 0)}, muniti dell’ usuale
distanza euclidea. Definite f : S1 → S2 ponendo f (x, y) = (ex cos y, ex sin y).
E’ evidente che f è continua. Verificate che è invertibile.
Sia f −1 : S2 → S1 l’ inversa di f . Dimostrate che f −1 non è continua.
Traccia. I punti di discontinuità di f −1 sono i punti (r, 0) con r > 0.
Esercizio 1.37 Sia f : R2 → R3 definita come segue:
(
p
se x2 + y 2 ≤ 1,
(x, y, 1 − x2 + y 2 )
2
2
f (x, y) =
2y
x +y −1
2x
( x2 +y
se x2 + y 2 ≥ 1.
2 +1 , x2 +y 2 +1 , x2 +y 2 +1 )
La funzione f è evidentemente continua. Verificate che è anche iniettiva, quindi
invertibile se pensata come funzione da R2 ad Im(f ).
Sia poi f −1 : Im(f ) → R2 l’ inversa di f , ove Im(f ) è pensata come uno
spazio metrico, con la distanza ereditata da R3 . Dimostrare che f −1 non è
continua.
Traccia. Si osservi che f (x, y) tende a (0, 0, 1) = f (0, 0) al tendere di x2 + y 2
a +∞. Oppure si osservi che Im(f ) è un insieme compatto. Funzioni continue
portano compatti in compatti. Ma R2 non è compatto. Pertanto f −1 non può
essere continua.
1.2.4
Proiezioni
Esercizio 1.38 Siano
Qn(S1 , d1 ), (S2 , d2 ), ..., (Sn , dn ) spazi metrici e sia δ una
distanza definita su i=1 Si , topologicamente equivalente alle distanze δ1 , δ2 e
δ∞ definite nell’ esercizio 1.11. (Rammento che, come detto nell’ esercizio 1.11,
le distanze δ1 , δ2 e δ∞ sono tra loro metricamente equivalenti.)
13
Qn
n
Qn Sia pk : i=1 Si → Sk la k-esima proiezione, che ad ogni punto (xi )i=1 ∈
componente. Si dimostri che pk è continua in
i=1 Si associa la sua k-esima
Qn
quanto applicazione da ( i=1 Si , δ) ad (Sk , dk ).
Supponiamo che per di piú che δ sia metricamente equivalente alle δ1 , δ2 e
δ2 . Si dimostri che in tal caso pk è addirittura Lipschitziana.
Nota. Nel caso particolare
che δ = δ1 , δ2 o δ∞ la costante di Lipschitz di pk è
√
rispettivamente n, n oppure 1.
Esercizio 1.39 Nel caso di una famiglia infinita {(Si , di )}i∈I di Q
spazi metrici,
data in qualche modo una distanza d su un sottoinsieme S ⊆ i∈I Si , ci si
può chiedere se la proiezione pk : (xi )i∈I 7→ xk risulti o no continua in quanto
funzione da (S, d) ad (Sk , dk ).
Si dimostri che se la topologia definita da d su S coincide con la topologia
indotta dal prodotto delle topologie degli spazi metrici (Si , di ), oppure è più fine
di questa, allora pk è continua, qualunque sia k ∈ I.
Esercizio 1.40 Si dimostri che, nelle situazioni presentate negli esercizi 1.14,
1.15 e 1.16, le proiezioni sono sempre Lipschitziane con costante di Lipschitz 1.
Lo spazio C (0) [0, 1] delle funzioni continue da [0, 1] ad R è contenuto nello
spazio R[0,1] di tutte le funzioni da [0, 1] ad R, continue o no. Questo a sua volta
è null’ altro che il prodotto di una famiglia {Rt }t∈[0,1] di copie di R.
Esercizio 1.41 Inteso R[0,1] come detto sopra, sia Tpr la topologia indotta su
C (0) [0, 1] dalla topologia prodotto di R[0,1] e siano T1 , T2 e T∞ le topologie associate alle distanze d1 , d2 e d∞ definite nell’ esercizio 1.5. Si dimostri che T1
e T2 non sono piú fini di Tpr mentre T∞ è strettamente più fine di Tpr .
Traccia. Per ogni a ∈ [0, 1], l’ operatore νa che associa ad ogni f : [0, 1] → R
[0,1]
il
=
Q suo valore f (a) in a è nient’ altro che la proiezione del prodotto R
R
sul
fattore
R
.
Come
detto
nell’
esercizio
1.33,
questo
operatore
non
a
t∈[0,1] t
è continuo per T1 e nemmeno con T2 , ma lo è se prendiamo T∞ come topologia.
Quindi, per quanto detto nell’ esercizio 1.39, T1 e T2 non sono più fini di Tpr .
(Nemmeno sono meno fini di Tpr , ma questo non vi chiedo di dimostrarlo.)
Invece tra gli aperti della topologia T∞ troviamo tutte le intersezioni di
C (0) [0, 1] con prodotti di famiglie arbitrarie di aperti dei vari Rt . Quindi T∞ è
strettamente piú fine di Tpr (esercizio 2.25).
Nota. Quanto ora visto fornisce un’ altra dimostrazione del fatto che, come
detto nell’ esercizio 1.10, la distanza d∞ non è topologicamente equivalente a
d1 o d2 .
1.2.5
Un teorema di punto fisso
Esercizio 1.42 Sia (S, d) uno spazio metrico completo. Dato un disco aperto
U := D(a, r) di (S, d) sia f : U → S una funzione tale che:
14
(1) f è Lipschitziana con costante di Lipschitz k < 1;
(2) d(f (a), a) < r(1 − k).
Dimostrate che f (U ) ⊆ U e che esiste un unico punto x ∈ U tale che f (x) = x
(in breve, f ammette un unico punto fisso in U ).
Traccia. Se x ∈ U allora d(f (x), a) ≤ d(f (x), f (a)) + d(f (a), a) < kd(x, a) +
r(1 − k) < r. Quindi f (U ) ⊆ U . Costruite poi una successione (xn )∞
n=0 di
punti di U ponendo x0 = a ed xn+1 = f (xn ). Da ripetute applicazioni di (1)
si ottiene che d(xn+1 , xn ) ≤ k n r(1 − k). Da ciò si ricava che se m > n allora
d(xm , xn ) ≤ k n (1 − k m−n )r. Quindi La successione (xn )∞
n=0 è di Cauchy. Per
la completezza di (S, d), esiste un punto x ∈ U tale che xn → x. Dalla (1) si
ricava anche che d(xn , a) ≤ (1 − k n )/(1 − k) · d(x1 , a) ≤ d(x1 , a)/(1 − k). Per
continuità, risulta anche d(x, a) ≤ d(x1 , a)/(1 − k). Ma d(x1 , a)/(1 − k) < r per
(2). Quindi x ∈ U . Inoltre, f è continua in U (anzi, uniformemente continua,
perchè Lipschitziana). Peranto xn → x implica f (xn ) → f (x). D’ altra parte,
f (xn ) = xn+1 per definizione degli xn . Pertanto limn f (xn ) = limn xn = x. Ne
segue che f (x) = x.
Resta da provare che il punto x cosı̀ costruito è l’ unico punto fisso di f in
U . Supponiamo che risulti anche f (y) = y per un altro punto y ∈ U . Allora
d(f (x), f (y)) ≤ k · d(x, y) per (1). Ma f (x) = x ed f (y) = y. Ne viene che
d(x, y) ≤ k · d(x, y) < d(x, y) (perché k < 1 per ipotesi). Assurdo.
Esercizio 1.43 Sia (S, d) uno spazio metrico completo ed f : S → S Lipschitiziana con costante di Lipschitz k < 1. Si dimostri quanto segue.
(1) Esiste un unico punto p ∈ S tale che f (p) = p.
(2) La successione (xn )∞
n=0 di punti di S sia definita prendendo x0 a piacere
e ponendo xn+1 = f (xn ). Allora xn → p, ove p è il punto fisso di f .
(3) Con p come sopra, risulta d(f (x), x) ≥ (1 − k) · d(x, p), per ogni x ∈ S.
Traccia. Dato x0 ∈ S, prendete r > d(f (x0 ), x0 )/(1 − k) e applicate il risultato
dell’ esercizio 1.42, tenendo presente la dimostrazione proposta nella traccia.
Per ottenere (3) prendete r = d(f (x), x)/(1 − k) + ε, rammentate che in base
all’ esercizio 1.42 risulta p ∈ D(x, r) e fate tendere ε a 0.
Nota. Se x0 è scelto molto lontano dal punto fisso p, la (3) ci dice che quando
k è molto piccolo gli xn risultano all’ inizio molto distanziati tra loro. Di solito
in questo caso la successione degli xn si assesta ben presto nelle vicinanze di p.
Invece con k ≈ 1 la convergenza degli xn a p è di solito molto lenta.
1.2.6
Altri esempi
Siano S1 = [0, 1] ed S2 = [0, 1] × [0, 1], entrambi muniti dell’ usuale distanza
euclidea. Rammento che, scelto un intero b > 1 da usare come base, ogni
15
numero reale 0 ≤ a ≤ 1 si può rappresentare nella forma 0.a1 a2 ...an ... ove
0 ≤ an < b per ogni n, con la convenzione che, quando a = 1, si prenda
an = b − 1 per ogni n. Rammento che se risulta an > 0 ed am = 0 per
ogni m > n il numero a = 0.a1 a2 ...an 00... può anche mettersi nella forma
a = 0.a1 a2 ...an−1 0a0n+1 a0n+2 ... ove a0n+k = b − 1 per ogni k > 0. In questo caso
scegliamo come rappresentazione canonica di a la seconda rappresentazione.
In tutti gli altri casi la rappresentazione è unica. Definiamo poi una funzione
f : S1 → S2 in questo modo: se a = 0.a1 a2 ...an ... è la rappresentazione di a
in base b, con la convenzione di prendere la rappresentazione canonica quando
a ammette due rappresentazioni, poniamo f (a) = (f1 (a), f2 (a)) ove f1 (a) =
0.a1 a3 a5 a7 ... ed f2 (a) = 0.a2 a4 a6 ....
Esercizio 1.44 Si verifichi che la funzione f definita sopra è continua e suriettiva, ma non iniettiva.
Traccia. Per quanto riguarda la non iniettività. Risulta |f −1 (b, c))| ≤ 3 per
tutti i punti (b, c) ∈ S2 . Posto Fi = {(b, c) | |f −1 (b, c)| = i} con i = 1, 2 o 3,
risulta |F1 | = |F2 | = |R| e |F3 | = |N|.
Nota. Sia ϕ : Rn → Rm continua. E’ noto che se n < m allora Im(ϕ) non
è aperto mentre se n > m allora ϕ non è iniettiva (A. Tognoli e V. Villani,
Topologia Algebrica, VII, 12). Ne segue che se f è la funzione considerata nell’
esercizio 1.44, allora l’ immagine f (A) di un intervallo aperto A ⊆]0, 1[ non
è mai aperta. Tuttavia f (A) è aperto per infiniti aperti A ⊆]0, 1[: prendete
A = f −1 (B) con B ⊆]0, 1[×]0, 1[ aperto. Viceversa, se g : S2 → S1 associa ad
ogni punto x ∈ S2 un punto g(x) ∈ f −1 (x) allora ogni aperto di R2 contenuto
in S2 contiene infiniti punti di discontinuità per g.
Esercizio 1.45 Sia (S, d) uno spazio metrico. Dimostrare che la seguente disuguaglianza vale per ogni scelta di x, y, z ∈ S:
|d(x, z) − d(y, z)| ≤ d(x, y).
Esercizio 1.46 Usando la disuguaglianza dell’ esercizio 1.45, dimostrate che,
dato a ∈ S, la funzione che ad ogni x ∈ S associa d(x, a) è Lipschitziana con
costante di Lipschitz 1 (quindi è uniformemente continua.)
Esercizio 1.47 Basta che un’ applicazione di uno spazio metrico in sè ne conservi la distanza per essere un’ isometria?
Risposta. No. Infatti è iniettiva, ma non è detto che sia suriettiva. Per
esempio, sia (S, d) uno spazio metrico discreto. Allora ogni applicazione iniettiva
f : S → S è conserva d, ma se S è infinito f può non essere suriettiva. Oppure,
sia V uno spazio vettoriale di dimensione infinita, dotato di un prodotto scalare
(., .) e di una base ortonormale (ei )I∈I . Sia φ : I → I iniettiva ma non suriettiva
e sia f : V → V l’ applicazione lineare definita dalla clausola f (ei ) = eφ(i) per
ogni i ∈ I. Allora f conserva la distanza associata a (., .) ma non è suriettiva.
16
2
2.1
Spazi Topologici
Chiusura e frontiera
Esercizio 2.1 Verificate che l’ operatore che ad ogni insieme X di punti di uno
spazio topologico (S, A) associa la sua chiusura X soddisfa le seguenti proprietà:
(1)
(2)
(3)
(4)
(5)
X ⊆ X,
X = X,
X ⊆Y ⇒ X ⊆Y,
X ∪Y =X ∪Y,
∅ = ∅.
(∀X ⊆ S);
(∀X ⊆ S);
(∀X, Y ⊆ S);
(∀X, Y ⊆ S);
Esercizio 2.2 Dato un insieme S ed indicata con P (S) la famiglia dei suoi
sottoinsiemi, sia γ : P (S) → P (S) una funzione soddisfacente le proprietà
(1)–(5) dell’ esercizio 2.1, ove X viene ora inteso come abbreviazione di γ(X).
Dimostrate che γ verifica anche le proprietà seguenti.
(6)
(7)
∩i∈I X i = ∩i∈I Xi , per ogni famiglia {Xi }i∈I ⊆ P (S);
S = S.
Terminologia. Una funzione γ : P (S) → P (S) verificante le proprietà (1)–(5)
dell’ esercizio 2 (quindi anche (6) e (7) qui sopra) si dice un operatore di chiusura
su S. I sottoinsiemi X ⊆ S per i quali X = X si dicono chiusi (per γ).
Esercizio 2.3 Dato un operatore di chiusura γ : X → X su un insieme S, sia
Cγ la famiglia dei suoi chiusi. Si dimostri che Cγ definisce una topologia su S.
Nota. In questa topologia, {¬C}C∈Cγ è la famiglia degli aperti e γ(X) è la
chiusura di X.
Esercizio 2.4 Dimostrate che l’ operatore che ad ogni insieme X ⊆ S di punti
di uno spazio topologico (S, A) associa la sua frontiera Fr(X) soddisfa le seguenti
proprietà:
(1) Fr(Fr(X)) ⊆
(2) Fr(X ∪ Y ) ⊆
(3) Fr(X ∩ Y ) ⊆
Fr(X),
Fr(X) ∪ Fr(Y ),
Fr(X) ∪ Fr(Y ),
(∀X ⊆ S);
(∀X, Y ⊆ S);
(∀X, Y ⊆ S).
Dedurre da (1) che Fr(X) è sempre un insieme chiuso.
Sia in (1) che in (2) e in (3) può capitare che si abbia inclusione stretta. Trovate
esempi ove questo accade.
Suggerimento. Per l’ ultima domanda: in R prendete X = Q ed Y = ¬X.
Esercizio 2.5 Dati due spazi topologici S1 = (S1 , A1 ) ed S2 = (S2 , A2 ) sia
f : S1 → S2 una funzione continua. Dimostrate che:
(1) f (Fr(X)) ⊆ Fr(f (X)), (∀X ⊆ S1 ),
(2)
f (X) ⊆ f (X),
(∀X ⊆ S1 ).
17
2.2
Assiomi di separazione e di numerabilità
Rammento che uno spazio è detto di Hausdorff se soddisfa la seguente proprietà:
(T2) Per ogni coppia di punti distinti a e b esistono sempre un intorno U di a
ed un intorno V di b tali che U ∩ V = ∅.
Chiaramente (T2) implica la seguente proprietà:
(T1) Per ogni coppia di punti distinti a e b esiste sempre un intorno U di a che
non contiene b.
A sua volta, (T1) equivale al fatto che tutti i singoletti siano insiemi chiusi. Nel
seguito gli spazi soddisfacenti (T1) verranno detti semi-Hausdorff. Ovviamente,
ogni spazio di Hausdorff è anche semi-Hausdorff.
Rimando al testo per la nozione di separabilità e gli assiomi di numerabilità.
Mi limito ad evidenziare un fatto, al quale il testo non dà troppo risalto, ma
che sarà utilizzato più di una volta nel seguito. Lo propongo come esercizio.
Esercizio 2.6 Se un punto ammette un sistema fondamentale di intorni numerabile allora ammette anche un sistema fondamentale di intorni numerabile
{Vn }∞
n=0 ove Vn ⊇ Vn+1 per ogni n.
Traccia. Dato un sistema fondamentale numerabile {Un }∞
n=0 di intorni di un
punto, ponete Vn = ∩nk=0 Uk .
2.2.1
Semi-Hausdorff e Hausdorff
Esercizio 2.7 Fornite un esempio di uno spazio semi-Hausdorff che non sia di
Hausdorff.
Risposta. Un insieme infinito con la topologia dei co-finiti. Questo è il primo
esempio che viene in mente, ma ce n’ è moltissimi altri. La topologia di Zariski,
per esempio (vedi più avanti, esercizio 2.63).
Esercizio 2.8 Sia S un insieme più che numerabile. Sia A0 la famiglia dei
sottoinsiemi X ⊆ S tali che ¬X è al più numerabile e ponete A = A0 ∪ {∅}.
Dimostrate che (S, A) è uno spazio topologico.
Terminologia. La famiglia A definita come sopra viene detta topologia dei
co-numerabili.
Esercizio 2.9 Sia S un insieme piú che numerabile dotato della topologia dei
co-numerabili. Dimostrate che tale spazio è semi-Hausdorff ma non è di Hausdorff.
18
Note. 1) Evidentemente, la topologia dei co-numerabili è strettamente più fine
dalla topologia dei co-finiti.
2) Possiamo definire la topologia dei co-numerabili anche in un insieme al più
numerabile, ma in tal caso otteniamo solo la topologia discreta.
Generalizzazione. La costruzione proposta nell’ esercizio 2.8 si può generalizzare, fissando un numero cardinale infinito a, prendendo un insieme S di
cardinalità |S| ≥ a e considerando la famiglia di tutti i sottoinsiemi X ⊆ S tali
che |¬X| < a. Inchiamo questa topologia col simbolo T (S)a .
Con questa notazione, e usando i simboli ℵ0 ed ℵ1 per indicare rispettivamente la cardinalità degli insiemi numerabili ed il più piccolo cardinale non
numerabile, T (S)ℵ0 è la topologia dei co-finiti e T (S)ℵ1 è la topologia dei conumerabili.
Rammento che un punto a di uno spazio topologico S è detto di accumulazione per un insieme A se ogni intorno di a contiene punti di A diversi da
a. Ovviamente, se ogni intorno di A contiene infiniti punti di A, allora a è di
accumulazione per A. Il viceversa non è vero in generale. Per esempio, nello
spazio banale (S, {∅, S}), se A ⊆ S contiene almeno due punti allora ogni punto
di S è di accumulazione per A, ma nulla impedisce che A sia finito. Invece:
Esercizio 2.10 In uno spazio topologico semi-Hausdorff, se un punto è di accumulazione per un insieme A, allora ogni suo intorno contiene infiniti punti
di A. Dimostratelo.
Esercizio 2.11 Dato un cardinale infinito a ed un insieme S di cardinalità
|S| ≥ a, considerate su S la topologia T (S)a (vedi sopra, generalizzazione proposta dopo l’ esercizio 2.9). Sia A ⊆ S. Dimostrate che se |A| ≥ a allora ogni
punto di S è di accumulazione per A. Se invece |A| < a allora nessun punto di
S è di accumulazione per A.
2.2.2
Convergenza di successioni
E’ ben noto che in uno spazio di Hausdorff una successione di punti ammette
sempre al più un punto limite. Questo però non è vero in ogni spazio topologico.
Per esempio, in uno spazio topologico banale, ogni successione converge ad ogni
punto. Ma qualcosa di simile accade anche in situazioni meno patologiche.
Esercizio 2.12 Trovate uno spazio S che sia semi-Hausdorff e dove si verifichi
quanto segue: se in una successione (xn )∞
n=0 di punti di S non c’ è nessun
termine che si ripeta infinite volte, allora xn → x per ogni punto x ∈ S.
Risposta. Prendete un insieme infinito S munito della topologia dei co-finiti
T (S)ℵ0 . Questo spazio è semi-Hausdorff (esercizio 2.7). Data un questo spazio
una successione di punti x = (xn )∞
n=0 , sia r∞ (x) l’ insieme dei punti che compaiono infinite volte in x. Se r∞ (x) = ∅ allora x converge ad ogni punto di S.
19
Se r∞ (x) = {x} per qualche punto x, allora x converge solo ad x. Se infine
|r∞ (x)| > 1 allora x non converge a nulla.
Esercizio 2.13 Sia S un insieme più che numerabile dotato della topologia dei
co-numerabili. Si dimostri che in questo spazio una successione di punti (xn )∞
n=0
ammette un punto limite se e solo se esistono un punto x ∈ S ed un numero
n0 ∈ N tale che xn = x per ogni n ≥ n0 . (In tal caso, x è è l’ unico punto limite
della successione.)
Esercizio 2.14 Siano S1 ed S2 due spazi topologici con lo stesso insieme di
punti S. Supponiamo che
(∗) per ogni punto a ∈ S ed ogni successione (xn )∞
n=0 di punti di S risulta che
xn → a in S1 se e solo se xn → a in S2 .
La condizione (∗) è sufficiente per concludere che S1 = S2 ?
Risposta. Se S1 e S2 soddisfano il primo assioma di numerabilità allora si,
altrimenti non è detto.
Supponiamo che S1 ed S2 soddisfino il primo assioma di numerabilitá. Per
assurdo, ci siano un punto a ∈ S un sottoinsieme U ⊆ S tale che U è intorno di
a in S1 ma U non è un intorno di a in S2 . Sia (Vn )∞
n=0 un sistema fondamentale
di intorni di a in S2 con Vn ⊇ Vn+1 per ogni n = 0, 1, 2... (esercizio 12). Siccome
U non è un intorno di a in S2 , nessuno dei Vn è contenuto in U . Quindi per
ogni n esiste un xn ∈ Vn \ U . Siccome (Vn )∞
n=0 è un sistema fondamentale di
intorni di a e Vn ⊇ Vn+1 , la successione (xn )∞
n=0 tende ad a in S2 . D’ altra
parte, xn 6∈ U per ogni n. Quindi xn 6→ a in S2 . Questo contraddice la (∗).
Invece, se non assumiamo nulla su S1 e S2 , possiamo trovare esempi ove (∗)
vale ma S1 6= S2 . Eccone uno. Sia S un insieme di cardinalità |S| = a > ℵ1 , sia
T (S)ℵ1 la topologia dei co-numerabili su S1 e consideriamo la topologia T (S)a
(vedi generalizzazioni dopo l’ esercizio 2.9). La topologia T (S)ℵ1 è strettamente
meno fine di T (S)a . D’ altra parte, qualunque di queste due topologie si prenda,
una successione (xn )∞
n=0 tende ad un punto a se e solo se tutti gli xn coincidono
con a da un certo n in poi (esercizio 2.13 e sua soluzione). Quindi (∗) vale.
2.2.3
Continuità per successioni
Dati due spazi topologici (S, A) ed (S 0 , A0 ), una funzione f : S → S 0 si dice
continua per successioni in un punto a ∈ S se, per ogni successione (xn )∞
n=0
di punti di S, se xn → a in (S, A) allora f (xn ) → f (a) in (S 0 , A0 ). Se questo
succede per ogni punto a ∈ S allora diciamo che S è continua per successioni.
Sappiamo che la continuità (in un punto a) implica la continuità per successioni (in a). Viceversa:
Esercizio 2.15 Con (S, A), (S 0 , A0 ) ed f : S → S 0 come sopra, sia a ∈ S.
Supponete che a ammetta un sistema fondamentale numerabile di intorni in
(S, A) e che f sia continua per successioni in a. Dimostrate che allora f è
anche continua in a.
20
Soluzione. Sia {Vn }∞
n=0 un sistema fondamentale di intorni per a, ove Vn ⊇
Vn+1 (esercizio 2.6). Supponiamo che f sia continua per successioni in a. Per
assurdo, esista un intorno U di f (a) tale che f −1 (U ) non sia un intorno di a.
Allora per ogni n esiste xn ∈ Vn \ f −1 (U ). D’ altra parte, ogni intorno V di a
contiene almeno un Vn , quindi anche Vm per ogni m ≥ n. Sicchè V contiene
anche tutti i punti xm con m ≥ n. Pertanto xn → a. Però f (xn ) 6∈ U e pertanto
f (xn ) 6→ f (a), contro le ipotesi.
Commento. Da quanto sopra segue subito che se (S, A) soddisfa il primo
assioma di numerabilità allora, per ogni funzione f : S → S 0 , la continuità per
successioni implica la continuità.
Esercizio 2.16 Fornite un esempio che mostri che, in generale, la continuità
per successioni non implica la continuità.
Risposta. Sia Tℵ1 la topologia dei co-numerabili su un insieme S più che
numerabile (esercizio 2.9). In Tℵ1 , dire che xn → a significa dire che xn = a per
ogni n abbastanza grande (esercizio 2.13). Quindi ogni funzione f : S → S 0 è
continua per successioni, qualunque sia S 0 e qualunque topologia si sia posta su
S 0 , ma evidentemente non è detto che f sia continua in qualche punto.
2.2.4
Regolarità e Normalità
Rammento che uno spazio semi-Hausdorff detto regolare se in esso vale la seguente
proprietà:
(T3) Per ogni chiuso C ed ogni punto a 6∈ C esistono aperti A e B tali che
C ⊆ A, a ∈ B e A ∩ B = ∅.
Invece è detto normale se
(T4) Per ogni coppia di chiusi disgiunti H e K, esistono aperti A e B tali che
H ⊆ A, K ⊆ B e A ∩ B = ∅.
Esercizio 2.17 Si dimostri che uno spazio semi-Hausdorff è regolare se e solo
se per ogni aperto A ed ogni punto a ∈ A esiste un aperto B tale che a ∈ B e
B ⊆ A.
Invece uno spazio semi-Hausdorff è normale se e solo se per ogni aperto A
ed ogni chiuso C ⊆ A esiste un aperto B tale che C ⊆ B ⊆ B ⊆ A.
2.3
2.3.1
Topologie generate da famiglie di insiemi
Terminologia e notazione
Rammento che date due topologie A e B su uno stesso insieme S, se A ⊆ B si
dice che A è meno fine di B oppure che B è più fine di A e si scrive A ≤ B.
Scrivendo A < B si intende che A ⊂ B. In tal caso si dice che A è strettamente
meno fine di B.
21
In questo modo la famiglia di tutte le topologie su S viene strutturata come
un insieme ordinato. La topologia discreta e quella banale sono rispettivamente
il massimo ed il minimo di questo insieme. L’ intersezione di una famiglia arbitraria di topologie è ancora una topologia. Pertanto, data una proprietà che
si conservi per intersezioni e valga per almeno una topologia, possiamo sempre
considerare la meno fine topologia che abbia quella proprietà, prendendo l’ intersezione di tutte le topologie che hanno quella proprietà. In particolare, data
una qualunque famiglia H di sottoinsiemi di S, è possibile considerare la meno
fine topologia che contenga H. La indichiamo col simbolo T (H) e la chiamiamo
la topologia generata da H. La si può definire come l’ intersezione di tutte le
topologie che contengono la famiglia H. Più esplicitamente, T (H) consiste di
tutte le unioni di famiglie arbitrarie di insiemi ottenuti come intersezioni di un
numero finito di membri di H.
L’ operatore T cosı̀ definito permette anche di costruire l’ estremo superiore
di una famiglia di topologie: l’ estremo superiore ∨i∈I Ai di una famiglia {Ai }i∈I
di topologie su S è la topologia T (∪i∈I Ai ).
2.3.2
Qualche esempio
Esercizio 2.18 In Rn ∪ {∞}, indicata con D la famiglia dei dischi aperti di
Rn , ponete D∞ := D ∪ {¬D ∪ {∞}}D∈D . Descrivete la topologia T (D∞ ) di
Rn ∪ {∞} generata da D∞ .
Risposta. T (D∞ ) contiene tutti gli aperti di Rn ed in più tutti gli insiemi della
forma A ∪ {∞}, ove A è un aperto di Rn contenente tutti i punti x a distanza
> r dall’ origine, per un opportuno r dipendente da A.
T (D∞ ) si può anche descrivere come segue. Consideriamo in Rn+1 la sfera
n
S di raggio 1 e centro l’ origine, con la sua topologia naturale, indotta dalla
metrica euclidea di Rn+1 . SiaPf : Rn ∪ {∞} → Sn definita come segue, ove
n
x = (xi )ni=1 ∈ Rn ed (x, x) := i=1 x2i :
(
(x,x)−1
2xn
2x1
,
...,
,
f (x) =
(x,x)+1
(x,x)+1 (x,x)+1 ,
f (∞) = (0, ..., 0, 1).
Allora f è bijettiva e T (D∞ ) è l’ immagine mediante f −1 della topologia naturale di Sn (vedi oltre, esercizio 2.20). In breve, (Rn ∪ {∞}, T (D∞ )) ' Sn .
Commento. Dall’ omeomorfismo (Rn ∪{∞}, T (D∞ )) ' Sn segue subito che lo
spazio (Rn ∪ {∞}, T (H)) è metrizzabile e separabile (vedi anche esercizio 2.20).
Infatti Sn ha entrambe queste proprietà ed (Rn ∪ {∞}, T (H)) le eredita da Sn .
Esercizio 2.19 In R2 , considerate le relazioni d’ ordine ≤1 , ≤2 e ≤3 , definite
come segue, ove ≤ riferito a numeri ha il senso usuale:
(x1 , x2 ) ≤1 (y1 , y2 ) ⇔
(x1 , x2 ) ≤2 (y1 , y2 ) ⇔
(x1 , x2 ) ≤3 (y1 , y2 ) ⇔
(x1 ≤ y1 ) ∧ (x2 ≤ y2 );
(x1 < y1 ) ∨ ((x1 = y1 ) ∧ (x2 ≤ y2 ));
x1 ≤ y1 .
22
Per i = 1, 2, 3 ed a, b ∈ R2 con a <i b sia ]a, b[i := {x | a <i x <i b} l’ intervallo
aperto per ≤i di estremi a e b. Sia Ii = {]a, b[i }a<i b la famiglia degli intervalli
aperti di ≤i e Ti = T (Ii ) la topologia generata da Ii . Indichiamo con TE la
topologia euclidea di R2 . Dimostrate le seguenti asserzioni.
(1) T1 è la topologia discreta.
(2) T3 < TE < T2 .
(3) T2 è metrizzabile e separabile.
(4) T3 soddisfa il secondo assioma di numerabilità ed è separabile ma non è
semi-Hausdorff. Quindi nemmeno è metrizzabile.
Traccie. La (4) è ovvia. Suggeriamo invece come dimostrare (1), (2) e (3).
(1) Dato un punto a = (a1 , a2 ) ∈ R2 , risulta
{a} = ](a1 , a2 − r), (a1 , a2 + r)[1 ∩](a1 − r, a2 , (a1 + r, a2 )[1
con r > 0 preso a piacere. Quindi {a} è un aperto per T1 . Pertanto ...
(2) Gli intervalli di ≤2 sono aperti in T1 ma non in TE . D’ altra parte, ogni
disco di TE si ottiene come unione di una famiglia di intervalli di ≤2 costituiti
da segmenti verticali, variandone opportunamente la lunghezza.
(3) Una distanza che produca T2 può definirsi come segue:
d((x1 , x2 ), (y1 , y2 )) =
2.4
2
· arctg(|x2 − y2 |) + d|x1 − y1 |e + |x1 − y1 |.
π
Trasferire una topologia da un insieme ad un altro
Esercizio 2.20 Sia f : U → V una biiezione tra due insiemi U e V . Su U sia
assegnata una topologia con famiglia di aperti A e ponete
f (A) := {f (A)}A∈A .
Dimostrate che (V, f (A)) è uno spazio topologico e che f è un omeomorfismo da
(U, A) a (V, f (A)). Per di più, se lo spazio (U, A) è metrizzabile allora anche
(V, f (A)) lo è.
Traccia. Tutto ovvio. Per la metrizzabilità, vedi esercizio 1.18.
Definizione. Chiamiamo (V, f (A)) l’ immagine di (U, A) mediante f .
Esercizio 2.21 Dati due insiemi U e V ed una funzione f : U → V , supponete
V dotato di una topologia V. Sia T(f, V) la famiglia delle topologie U su U tali
che f risulti continua in quanto funzione da (U, U) a (V, V). La famiglia T(f, V)
contiene la topologia discreta, quindi non è vuota. Dimostrate che T(f, V) ammette un minimo e descrivetelo.
Risposta. Si vede subito che f −1 (V) := {f −1 (X)}X∈V è una topologia su
U . Evidentemente, se U è dotato della topologia f −1 (V) allora f diventa continua. D’ altra parte, se f : (U, U) → (V, V) è continua allora necessariamente
f −1 (V) ⊆ U. Quindi f −1 (V) è il minimo di T(f, V).
23
Fraseologia. Il minimo di T(f, V) è dunque null’ altro che la retroimmagine
f −1 (V) di V mediante f , ma di solito ci si riferisce ad essa mediante la locuzione
la meno fine topologia su U che rende continua f . Infatti, questo appunto è.
Nota. Se f è suriettiva allora f (f −1 (V)) = V. Se per di più f è anche iniettiva,
allora f è un omeomorfismo, e siamo nel caso considerato nell’ esercizio 2.20.
Esercizio 2.22 Dato un insieme U , una famiglia {(Vi , Vi )}i∈I di spazi topologici e una famiglia {fi }i∈I di funzioni fi : U → Vi , sia T((fi , Vi )i∈I ) la
famiglia delle topologie U su U tali che fi risulti continua in quanto funzione da
(U, U) a (Vi , Vi ), per ogni i ∈ I. La famiglia T((fi , Vi )i∈I ) contiene la topologia
discreta, quindi non è vuota. Dimostrate che T((fi , Vi )i∈I ) ammette un minimo
e descrivetelo.
Risposta. Il minimo di T((fi , Vi )i∈I ) è ∨i∈I fi−1 (Vi ) (= T (∪i∈I fi−1 (Vi ))).
Esercizio 2.23 Dati due insiemi U e V ed una funzione f : U → V , supponete
U dotato di una topologia U. Sia T(U, f ) la famiglia delle topologie V su V tali
che f risulti continua in quanto funzione da (U, U) a (V, V). La famiglia T(U, f )
contiene la topologia banale, quindi non è vuota. Dimostrate che T(U, f ) ammette un massimo e descrivetelo.
Risposta. Il massimo è la topologia f ∗ (U) := {X ⊆ V | f −1 X ∈ U}.
Notazione e fraseologia. Nel seguito manterremo il simbolo f ∗ (U) per indicare il massimo di T(U, f ). Quindi f ∗ (U) è la più fine topologia su V che renda
continua f .
Nota. Quando f non è suriettiva la topologia f ∗ (U) induce la topologia discreta
su V \ f (U ), ma questo può non piacere. Per questo motivo di solito nella
situazione dell’ esercizio 2.23 si preferisce assumere che f sia suriettiva. Se
questo è il caso, allora la funzione che ad ogni punto v ∈ V associa la sua fibra
f −1 (v) è un omeomorfismo da (V, f ∗ (U)) al quoziente di (U, U) rispetto alla
partizione {f −1 (v)}v ∈ V di U nelle fibre di f .
Infine, se f è addirittura invertibile allora ci ritroviamo nella situazione dell’
esercizio 2.20. In tal caso f ∗ (U) = f (U).
Esercizio 2.24 Dato un insieme V , una famiglia {(Ui , Ui )}i∈I di spazi topologici e una famiglia {fi }i∈I di funzioni fi : Ui → V , sia T((Ui , fi )i∈I ) la
famiglia delle topologie V su V tali che fi risulti continua in quanto funzione da
(Ui , Ui ) a (V, V) per ogni i ∈ I. La famiglia T((Ui , fi )i∈I ) contiene la topologia
banale, quindi non è vuota. Dimostrate che T((Ui , fi )i∈I ) ammette un massimo
e descrivetelo.
Risposta. Il massimo è ∩i∈I fi∗ (Ui ).
24
2.5
Prodotti
Sia (Si )i∈I una famiglia diQspazi topologici, Si = (Si , Ai ) per i ∈ I. Rammento
che la topologia
prodotto i∈I Ai è per definizione la menoQfine topologia sull’
Q
insieme i∈I Si che rende continue tutte le proiezioni pk : i∈I Si → Sk . Essa
è generata dalla famiglia ∪i∈I p−1
i (Ai ). Rammento che con questa topologia su
Q
S
le
proiezioni
risultano
anche
funzioni aperte.
i
i∈I
Q
NegliQesercizi seguenti
indico
sempre
con P0 la topologia prodotto i∈I
Q
QAi .
Quindi i∈I Si = ( i∈I Si , P0 ). Indico
invece
con
P
la
topologia
su
∞
i∈I
Q
generata dalla famiglia dei prodotti i∈I Ai con Ai ∈ Ai . Sappiamo che se
|I| < ∞ allora P0 = P∞ .
Esercizio 2.25 Dimostrate che se I è infinito allora P0 < P∞ .
Soluzione. Evidentemente P0 ≤ P∞ . D’ altra parte, tutti gli aperti A ∈ P0
sono tali che pi (A) = Si per tutti gli indici i ∈ I salvo al più un numero finito
di indici. Ma questi sono solo alcuni degli aperti di P∞ .
Dato uno spazio topologico S = (S, A) e per ogni
Q i ∈ I una funzione continua
fi : S → Si , esiste un’ unica funzione f : S → i∈I Si tale che pi f = fi per
ogni i ∈ I, definita cosı̀: f (x) := (fi (x))i∈I per ogni x ∈ S. Nel seguito indico
questa funzione col simbolo [fi ]i∈I .
Q
Esercizio 2.26 La topologia prodotto P0 è la più fine topologia su ∈I Si che
renda continua la funzione [fi ]i∈I , per ogni scelta di uno spazio topologico S e
funzioni continue fi : S → Si .
Soluzione. Sia
Q f := [fi ]i∈I . Dimostriamo che f è continua in quanto applicazione da S a i∈I Si . Sia X ∈ P0 . Per definizione, f −1 (X) = ∩i∈I fi−1 (pi (X))).
Siccome le proiezioni sono aperte, pi (X) è aperto per ogni i ∈ I. Inoltre
pi (X) 6= Si solo per un numero finito di valori di i. Quindi fi−1 (X) 6= S
solo per un numero finito di scelte di i. D’ altra parte, per la continuità delle
fi ed il fatto che pi (X) è aperto, l’ insieme fi−1 (pi (X)) è aperto in S per ogni
i ∈ I. Sicchè f −1 (X) è intersezione di un numero finito di aperti di S. Quindi
è aperto. Ne segue che f Q
è continua.
Prendiamo ora S = i∈I SiQed fi = pi . La funzione p := [pi ]i∈IQè null’
altro che l’ identità sull’ insieme i∈I Si . Supponiamo di aver posto su i∈I Si ,
visto Q
come codominio di p, una topologia P 6⊆ P0 . Quindi esiste un sottoinsieme
X ⊆ i∈I Si che appartiene a P ma non a P0 . Ma p−1 (X) = X perché p è l’
identità. Siccome X è aperto per P ma non per P0 , p risulta non continua.
Esercizio 2.27 Il risultato dell’ esercizio 2.26 può anche formularsi come segue:
Q
(UP) (Proprietà Universale del Prodotto.) P0 è l’ unica topologia su i∈I Si
che renda continue tutte le proiezioni pi e tutte le funzioni [fi ]i∈I , per ogni
scelta di uno spazio topologico S e funzioni continue fi : S → Si .
25
Q
Soluzione. Infatti P0 è la meno fine topologia su i∈I Si che renda continue
tutte le proiezioni pi e la più fine per cui tutte le funzioni [fi ]i∈I siano continue.
Quindi è l’ unica per cui entrambe queste proprietà valgano.
Commenti. 1) Quanto sopra spiega perché nel definire il prodotto topologico
di una famiglia infinita di spazi si sceglie la topologia P0 anziché P∞ . Quanto I
è infinito P∞ è strettamente più fine di P0 (esercizio 2.25). Quindi, adottando
P∞ si perderebbe la proprietà (UP).
1) La Proprietà Universale del Prodotto è menzionata anche nel testo (proposizione 6.6), ma con una formulazione più timida.
Per ogni i ∈ I sia gi : Si0 → Si una funzione ed Q
Si0 uno spazio topologico
0
0
0
0
con Si come insieme
Q di punti.
QSia pi la proiezione di 0 i∈I Si su Si . Esiste un’
0
unica funzione g : i∈I Si → i∈I Si tale che pi g =Qfi pi per ogni i ∈ I, definita
0
cosı̀: g((xi )i∈I ) := (gQ
i (xi ))i∈I per ogni (xi )i∈I ∈
i∈I Si . Indichiamo questa
funzione col simbolo i∈I gi .
Q
Q
Q
Esercizio 2.28 La funzione i∈I gi : i∈I Si0 → i∈I Si è continua se e solo
se tutte le funzioni gi : Si0 → Si sono continue.
Q
Traccia. La parte ‘se’ segue da (UP) osservando che i∈I gi = [fi p0i ]i∈I . La
parte ‘solo se’ segue dal fatto che le proiezioni sono sia continue che aperte.
Precisamente, si sfrutta la continuità delle pi ed il fatto che le p0i sono aperte.
Come detto nel testo (capitolo 3, proposizione 8.2 ed esercizio 15) un prodotto
di spazi di Hausdorff (oppure semi-Hausdorff) è sempre di Hausdorff (rispettivamente, semi-Hausdorff). Ma si può dire di più.
Q
Esercizio 2.29 Lo spazio i∈I Si è di Hausdorff (oppure semi-Hausdorff ) se
e solo se tuttiQ
gli Si sono di Hausdorff (semi-Hausdorff ).
Lo spazio i∈I Si verifca il primo (o il secondo) assioma di numerabilità se
e solo se I è al più numerabile ed il primo (il secondo) assioma di numerabilità
vale in ciascuno degli Si .
Q
Q
∞
Esercizio 2.30 Una
Q successione (un )n=0 di punti di i∈I Si converge in i∈I Si
ad un punto u ∈ i∈I Si se e solo se pi (un ) → pi (u) in Si per ogni i ∈ I.
Traccia. La parte ‘solo se’ viene dalla continuità delle proiezioni. Dimostriamo
la parte ‘se‘. Supponiamo che pi (un ) → pi (u) per ogni ∈ I. Dato un aperto
A ∈ P0 contente u, risulta pi (A) ⊂ Si solo per un numero finito di indici i ∈ I.
Se i1 , ..., im sono gli indici per cui questo accade, e se per ogni h = 1, 2, ..., m
si è scelto nh in modo che pih (un ) ∈ pih (A) per ogni n ≥ nh , allora per n ≥
maxm
h=1 nh risulta un ∈ A. Quindi un → u in P0 .
Esercizio 2.31 Supponiamo che I sia al più numerabile e che il primo assioma
Q
di numerabilità valga in ciascuno degli spazi Si . Sia P una topologia su i∈I Si
soddisfacente il primo assioma di numerabilità e la proprietà seguente:
26
Q
(∗) UnaQ
successione (un )∞
n=0 di punti di
i∈I Si converge in P ad un punto
u ∈ i∈I Si se e solo se pi (un ) → pi (u) in Si per ogni i ∈ I.
Allora P = P0 .
Traccia. Per il risultato
assunte su P una
Q dell’ esercizio 2.30, nelle ipotesi Q
successione di punti di i∈I Si converge ad un punto u ∈ i∈I Si in P se e
solo se essa converge ad u in P0 . La conclusione segue dall’ esercizio 3.6 e dalla
seconda parte dell’ esercizio 2.29.
Esercizio
Qn 2.32 Siano (S1 , d1 ), ..., (Sn .dn ) spazi metrici e sia d una distanza su
S := i=1 Si topologicamente equivalente alle distanze δ1 , δ2 o δ∞ definite come
nell’ esercizio 1.11. (Rammento che queste distanze sono tra loro metricamente
equivalenti.) Sia T la topologia associata a d su S eQper i = 1, 2, ..., n sia Ti la
n
topologia definita da di su Si . Si dimostri che T = i=1 Ti .
Q
Esercizio 2.33 Sia S = (S, A) uno spazio topologico con S ⊆ i∈I Si e sia
P0,S la topologia indotta daQ
P0 su S. Per i ∈ I, sia pi,S : S → Si la restrizione
ad S della proiezione pi : i∈I Si → Si . Supponiamo che per ogni i ∈ I la
funzione pi,S sia continua in quanto funzione da S ad Si . Si dimostri che in
questi ipotesi A ≥ P0,S .
Traccia. In virtùQdi (UP), la funzione p := [pi,S ]i∈I è continua. Ma p è l’
inclusione di S in i∈I Si . Ne segue che X ∩ S ∈ A per ogni X ∈ P0 .
Esercizio 2.34 Con la notazione degli esercizi 1.14, 1.15 e 1.16, per h = 1, 2, ∞
sia Th la topologia definita dalla distanza δh su Bha . Indichiamo con P0 il
prodotto topologico delle topologie degli spazi (Si , di ) (i ∈ I ed I = {1, 2, 3, ...}
quando h = 1 o h = 2). Sia T0 la topologia indotta da P0 su Bha . Si dimostri
che T0 < Th , qualunque sia h ∈ {1, 2, ∞}.
Traccia. Tutte le proiezioni di Bha sugli Sn sono continue per Th (esercizio
1.40). Quindi T0 ≤ Th (esercizio 2.33). D’Qaltra parte, tra gli aperti di Th ne
∞
compaiono anche di quelli della forma A = i∈I Ai con Ai ⊂ Si per ogni i. Essi
appartengono a P∞ \ P0 . Pertanto T0 < Th .
Esercizio 2.35 Rammento che l’ insieme R[0,1] si può pensare come un prodotto
di copie Rx di R, una per ogni x ∈ [0, 1]. In C (0) [0, 1] ⊂ R[0,1] siano T∞ , T1 e
T2 le toplogie associate alle distanze d∞ , d1 e d2 dell’ esercizio 1.5 e sia T0 la
topologia indotta su C (0) [0, 1] dalla topologia prodotto di R[0,1] . Sappiamo che
T0 < T∞ (esercizio 2.34). Si dimostri che invece T0 non è nè più fine nè meno
fine di nessuna delle due topologie T1 e T2 .
Traccia. Chiaramente, T0 non è più fine di T1 o di T2 . Per dimostrare che non
è nemmeno meno fine di esse, si consideri la seguente successione delle funzioni
27
fn definite come segue:

0
per 0 ≤ x ≤ 21 − n1 ,



nx + 1 − n/2 per 12 − n1 ≤ x ≤ 1/2,
fn (x) =
−nx + 1 + n/2 per 1/2 ≤ x ≤ 21 + n1 ,



0
per 12 + n1 ≤ x ≤ 1.
Sia 0 la funzione identicamente nulla. Allora fn → 0 sia in T1 che in T2 , ma
fn (1/2) = 1 6→ 0. Quindi fn 6→ 0 in T0 (esercizio 2.30). Ne segue che T0 non
può essere meno fine di T1 o T2 .
Esercizio 2.36 Sia {Si }i∈I una famiglia di spazi topologici e {Ij }j∈J una partizione di I. Si dimostri che
Y
YY
Si '
Si .
(Proprietà associativa.)
i∈I
j∈J i∈Ij
Si poi σ una permutazione dell’ insieme I degli indici. Si dimostri che
Y
Y
Si '
Sσ(i) .
(Proprietà commutativa.)
i∈Ij
i∈I
Traccia. Per la prima affermazione, si usi la proprietà (UP).
2.6
2.6.1
Compattezza
In generale
Esercizio 2.37 Nella topologia dei co-finiti tutti gli insiemi sono compatti.
Nella topologia dei co-numerabili gli insiemi compatti sono quelli finiti.
Esercizio 2.38 Sia f : S1 → S2 una funzione continua da uno spazio compatto
S1 ad uno spazio di Hausdorff S2 . Sia inoltre X ⊆ S1 tale che la restrizione di
f|X di f ad X sia iniettiva ed X = f −1 (f (X)). Allora f|X è un omeomorfismo
da X (con la topologia indotta da S1 ) ad f (X) (con la toplogia indotta da S2 ).
Soluzione. Sia C ⊆ X chiuso per la toplogia indotta. Quindi C = K ∩ X
per un chiuso K di S1 . Il chiuso K è compatto, perché S1 è compatto. Quindi
f (K) è compatto, e dunque chiuso (perché S2 è di Hausdorff). Pertanto f (C) =
−1
f (K) ∩ F (X) è chiuso in f (X). Ne segue che f|X
: f (X) → X è continua.
Esercizio 2.39 Siano S1 ed S2 spazi topologici ed f : S1 → S2 continua e
invertibile. Supponiamo che S2 sia compatto. Ne segue che f −1 è continua?
Risposta. No. Per esempio, la funzione f che a t ∈ [0, 2π[ associa (cos t, sin t)
è iniettiva ed Im(f ) = {(x, y) | x2 + y 2 = 1}, che è compatto. Ma la funzione
f −1 : Im(f ) → [0, 2π[ non è continua in (0, 0). Si vedano gli esercizi 1.36 e 1.37
per altri controesempi.
28
Sappiamo che in uno spazio topologico semi-Hausdorff soddisfacente il primo
assioma di numerabilità ogni insieme compatto è compatto per successioni (proposizione 9.4 del testo). Viceversa:
Esercizio 2.40 Sia S uno spazio topologico soddisfacente il secondo assioma
di numerabilità. Se un insieme di punti S è compatto per successioni allora è
anche compatto.
Soluzione. Sia C compatto per successioni ma, per assurdo, non compatto.
Allora C ammette un ricoprimento aperto A dal quale non si può estrarre alcun
sottoricoprimento finito. Per il secondo assioma di numerabilità possiamo sostituire i membri di A con i membri di una base numerabile. Quindi possiamo
sempre supporre che i membri di A siano presi da una base numberabile di S.
In questo caso A è numerabile: A = {An }∞
n=0 . Siccome per ipotesi non esistono
sottofamiglie finite di A che ricoprano C, per ogni n esiste un punto xn ∈ C
che non appartiene a ∪nk=0 Ak . Costruiamo cosı̀ una successione X = (xn )∞
n=0
in C. Per le ipotesi fatte su C, la successione X ammette una sottosuccessione
Y = (xnk )nk=0 che converge ad un punto a ∈ C. Quindi ogni aperto contenente a
contiene tutti i termini di Y da un certo punto in poi. In particolare, questo vale
per gli aperti di A che contengono a. Di questi ce n’ è almeno uno, diciamolo
An . Però, per come abbiamo costruito la successione X , l’ aperto An contiene
solo al più i primi n termini di X , contro l’ ipotesi che dovesse contenere tutti i
termini della sottosuccessione Y ⊆ X da un certo punto in poi. Assurdo.
2.6.2
In spazi metrici
Esercizio 2.41 Ogni spazio metrico compatto per successioni è separabile.
Soluzione. Sia (S, d) compatto per successioni. Supponiamo che S sia più che
numerabile (altrimenti non c’ è nulla da dimostrare). Per ogni n, sia Dn la
famiglia dei sottoinsiemi X di S tali che d(x, y) ≥ 1/n per ogni coppia di punti
distinti x, y ∈ X. Sia X ∈ Dn . Se X è infinito, ogni suo sottoinsieme numerabile
ci dà una successione dalla quale non si può estrarre alcuna sottosuccessione
convergente, contro l’ ipotesi che (S, d) sia compatto per successioni. Quindi
tutti i membri di Dn sono finiti. Chiaramente, Dn ⊆ Dn+1 e, siccome S contiene
almeno due punti (anzi, ne contiene infiniti), esiste un n0 tale che Dn0 6= ∅ (e
quindi anche Dn 6= ∅ per ogni n ≥ n0 .) Per fissare le idee, supponiamo che
n0 = 1. Quindi Dn 6= ∅ per ogni n. Dimostriamo ora che Dn contiene un
elemento massimale. Infatti, in caso contrario, Dn contiene una successione
infinita strettamente crescente di insiemi X0 ⊂ X2 ⊂ ... ⊂ Xk ⊂ .... Allora
∪∞
k=0 Xk ∈ Dn è infinito, contro quanto precedentemente detto. Dunque Dn
ammette almeno un elemento massimale, diciamolo Mn . L’ insieme M∞ :=
∪∞
n=1 Mn è numerabile. Resta da dimostrare che M∞ è denso in S. Se non lo
fosse, esisterebbe a ∈ S tale che per qualche n risulti d(a, x) ≥ 1/n per ogni
x ∈ M∞ . Quindi Mn ∪ {a} ∈ Dn , contro la massimalità di Mn . Assurdo.
29
Esercizio 2.42 Uno spazio metrico è compatto se e solo se è compatto per
successioni.
Traccia. Gli spazi metrici sono di Haudorff e soddisfano ed il primo assioma
di numerabilità. Quindi se sono compatti sono anche compatti per successioni
(proposizione 9.4 del testo). Viceversa, sia (S, d) uno spazio metrico compatto
per successioni. Allora (S, d) è separabile (esercizio 2.41). Quindi soddisfa il
secondo assioma di numerabilità (proposizione 3.7 del testo). Quindi è compatto
(esercizio 2.40).
Esercizio 2.43 Si dimostri che in uno spazio metrico ogni insieme compatto è
chiuso e limitato.
E’ noto che in Rn gli insiemi compatti sono precisamente quelli chiusi e
limitati (corollario 9.13 del testo). Nel seguente esercizio propongo una dimostrazione un po’ diversa da quella data nel testo.
Esercizio 2.44 Si usi l’ esercizio 2.42 per dimostrare che in Rn tutti gli insiemi
chiusi e limitati sono compatti.
Soluzione. Procediamo per tappe.
(1) Ogni successione limitata di numeri reali contiene una sottosuccessione convergente. Il testo deduce questa affermazione dalla compattezza di [a, b], ma la
si può dimostrare in modo più immediato. Sia X0 = {xn }∞
n=0 ⊂ I0 = [a, b].
Almeno uno dei due sottointervalli [a, (a + b)/2] ed [(a + b)/2, b] di I0 gode della
proprietà che xn appartenga ad esso per infiniti valori di n. In breve, contiene
una sottosuccessione X1 di X0 . Sia I1 quello dei due sottointervalli per cui questo
succede, oppure uno qualunque dei due, se entrambi godono di questa proprietà.
Possiamo ripetere l’ argomentazione precedente con X1 e I1 al posto di X0 ed
I0 . Otteniamo cosı̀ un intervallo I2 ⊂ I1 di lunghezza (b − a)/4 e contenenete
una sottosuccessione X2 di X1 . Procedendo, si costruisce una successione di
intervalli In di lunghezza (b − a)/2n , ciascuno dei quali sta in In−1 e contiene
una sottosuccessione Xn di Xn−1 . Per l’ assioma di Cantor, ∩∞
n=0 In = {c} per
un punto c ∈ I0 . Se yn è l’ n-esimo termine di Xn , allora yn → c.
(2) Ogni successione limitata di punti di Rn contiene una sottosuccessione convergente. Sia X0 = ((xk,i,0 )ni=1 )∞
k=0 una tale successione. Per ogni i = 1, 2, ..., n,
le successioni numeriche Xi,0 = (xk,i,0 )∞
k=0 sono limitate, siccome X0 è limitata per ipotesi. Per quanto detto al punto (1), possiamo estrarre da X1,0 una
sottosuccessione convergente Y1 . Sia X1 = ((xk,i,1 )ni=1 )∞
k=0 la sottosuccesione
di X0 formata dai punti (xk,i,0 )ni=1 con xk,1,0 ∈ Y1 . Possiamo ora considerare
la successione numerica X2,1 = (xk,2,1 )∞
k=0 . Essa è limitata. Possiamo quindi
estrarne una sottosuccesione convergente Y2 . Sia X2 = ((xk,i,2 )ni=1 )∞
k=0 la sottosuccesione di X1 formata dai punti (xk,i,1 )ni=1 con xk,2,1 ∈ Y2 . Procedendo in
questo modo si perviene infine ad una sottosuccessione Xn = ((xk,i,n )ni=1 )∞
k=0 di
X0 tale che tutte le successioni numeriche (xk,i,n )∞
k=0 siano convergenti. Quindi
Xn converge ad un punto di Rn .
30
(3) Sia ora C ⊂ Rn chiuso e limitato. Per il punto (2), siccome C è limitato, ogni
successione di punti di C ammette una sottosuccessione convergente, diciamola
X . Ma C è chiuso. Quindi il limite di X appartiene a C. In definitiva, C è
compatto per successioni. Quindi è compatto, per l’ esercizio 2.42.
Esercizio 2.45 Si trovi qualche esempio di spazio metrico dove non tutti gli
insiemi chiusi e limitati sono compatti.
Soluzione. Fornisco due esempi di spazi normati ove i dischi chiusi non sono
compatti. Altri esempi simili a questi possono essere costruiti negli spazi descritti negli esercizi 1.14, 1.15 e 1.16.
(1) Sia V uno spazio vettoriale euclideo (cioè, munito di prodotto scalare),
reale o complesso e di dimensione infinita. Sia E := (en )∞
n=0 una successione
ortormale in V (non necessariamente
√ una base). La successione E è contenuta
in D(0, 1). Ma risulta d(en , em ) = 2 per ogni scelta di n 6= m. Quindi da E
non si può estrarre alcuna sottosuccessione convergente. Sicché D(0, 1) non è
compatto.
(2) Consideriamo lo spazio C (0) [0, 1] munito della distanza d∞ introdotta nell’
esercizio 1.5. Per ogni n ≥ 1 sia fn ∈ C (0) [0, 1] definita come segue:

0
se 0 ≤ x ≤ 1/2n − 1/2n2 ,


 2
n x + (1 − n)/2 se 1/2n − 1/2n2 ≤ x ≤ 1/2n,
fn (x) =
−n2 x + (1 + n)/2 se 1/2n ≤ x ≤ 1/2n + 1/2n2 ,



0
se 1/2n + 1/2n2 ≤ x ≤ 1.
Risulta d∞ (fn , 0) = 1/2 per ogni n, ove 0 sta ad indicare la costante nulla.
Quindi fn ∈ D(0, 1). D’ altra parte, se n ed m sono sufficientemente distanziati
allora d∞ (fn , fm ) = 1/2. Quindi dalla successione (fn )∞
n=1 non si può estrarre
nessuna sottosuccessione convergente. Ne segue che D(0, 1) non è compatto.
La successione sopra costruita mostra che D(0, 1) non è compatto nemmeno
se come distanza prendiamo d1 o d2 . Ma per d2 questo lo si sa già dall’ esempio
del punto (1). Infatti la distanza d2 proviene da un prodotto scalare e C (0) [0, 1]
ha dimensione infinita.
Esercizio 2.46 Sia V uno spazio vettoriale reale di dimensione numerabile e
munito di un prodotto scalare. Sia (en )∞
n=1 una base ortonormale di V (che
esiste, per Gram-Schmidt). Definiamo f : V → R come segue:
X
X
1
f(
xn en ) =
(1 − )x2n .
n
n
n
(Avverto che entrambe le somme coinvolte in questa definizione sono in realtà
somme finite.) Si dimostri che f è continua e che per ogni disco chiuso Dr di
raggio r > 0 e centro il vettore nullo di V la restrizione di f a Dr è limitata.
Tuttavia, f non ammette massimo su Dr .
31
Traccia. Risulta supx∈Dr f (x) = r2 ma 0 ≤ f (x) < r2 per ogni x ∈ Dr .
PN
P
Per quanto riguarda la continuità, sia a =
n=1 an en ed x =
n xn en . Se
PN
P
2
2
d(x, a) < δ allora n=1 (xn − an )2 +
x
<
δ
.
Ne
segue
che
n>n n
N
X
(1)
X
(xn − an )2 < δ 2 ,
n=1
x2n < δ 2 .
n>N
D’ altra parte
(2)
P
PN
1
1
2
2
2
|f (x) − f (a)| ≤
n>N (1 − n ) · xn <
n=1 (1 − n ) · |xn − an | +
PN
2
≤
n=1 |xn − an | · |xn + an | + δ
per la seconda disuguaglianza di (1) e perché 1 − 1/n < 1. Inoltre
N
X
|xn − an | · |xn + an | ≤ (
n=1
N
X
(xn − an )2 )1/2 · (
n=1
N
X
(xn + an )2 )1/2
n=1
PN
per Cauchy-Schwartz. D’ altra parte, n=1 (xn − an )2 < δ 2 per la prima delle
PN
2
2
(1) mentre, posto α = maxN
n=1 |an |, risulta
n=1 (xn +an ) ≤ (2α+δ) N perchè
|xn | ≤ |an | + δ. Quindi
N
X
|xn − an | · |xn + an | ≤
√
N · (2α + δ)δ.
n=1
√
Da questa disuguaglianza e da (2) si ha |f (x) − f (a)| < N · (2α + δ)δ + δ 2 .
Siccome α ed N dipendono solo da a, al tendere di δ a 0 il valore |f (x) − f (a)|
tende a 0.
Dall’ ultima affermazione dell’ esercizio 2.46 segue che Dr non è compatto,
come del resto già sapevamo dal primo dei due esempi discussi nella traccia dell’
esercizio 2.45. Quei due esempi sono casi particolari del seguente teorema:
Teorema di Riesz. In uno spazio normato i dischi chiusi sono compatti se e
solo se lo spazio ha dimensione finita.
2.7
2.7.1
Connessione
Un criterio di connessione
Dato uno spazio topologico S = (S, A) ed un sottoinsieme X ⊆ S, sia C un
ricoprimento aperto di X. Definiamo su X una relazione di equivalenza ≡CX
ponendo x ≡CX y se esistono una sequenza finita (Ci )ni=0 di membri di C tale che
x ∈ C0 , y ∈ Cn e Ci−1 ∩ Ci ∩ X 6= ∅ per i = 1, 2, ..., n.
Esercizio 2.47 Supponiamo che C ∩ X sia connesso per ogni C ∈ C. Allora le
classi di equivalenza di ≡CX sono le componenti connesse di X. In particolare,
X è connesso se e solo se ≡CX è la relazione banale, con X come unica classe.
32
Traccia. Le classi di ≡CX sono unioni di insiemi della forma C ∩ X con C ∈ C,
quindi sono aperte nella topologia indotta da A su X. Per avere la conclusione
basta dimostrare che ogni classe di ≡CX è connessa. Sia dunque K una classe
di ≡CX e siano x, y ∈ K ed A, B ∈ A tali che x ∈ A, y ∈ B ed A ∪ B ⊇ K.
Si (Ci )ni=0 una sequenza di membri di C da x ad y come da definizione di ≡CX .
Siccome x ∈ A ed y ∈ B esiste un i per cui Ci ∩ X ∩ A 6= ∅ =
6 Ci ∩ X ∩ B. Ma
per ipotesi Ci ∩ X è connesso. Quindi A ∩ B ∩ Ci 6= ∅.
Esercizio 2.48 Ferme le notazioni e le ipotesi dell’ esercizio 2.47, dimostrate
che se C ⊆ X per ogni C ∈ C allora le componenti connesse di X sono aperte.
In particolare, se X = S allora le sue componenti connesse sono sia aperte
che chiuse.
Traccia. Nelle ipotesi ora assunte, le classi di ≡CX sono unioni di membri di C.
Per la seconda affermazione, si rammenti che le componenti connesse di S sono
sempre chiuse.
2.7.2
Connessione per archi
Esercizio 2.49 Si dimostri che le componenti connesse di un spazio localmente
connesso per archi sono aperte e connesse per archi.
In particolare, uno spazio connesso e localmente connesso per archi è anche
connesso per archi.
Traccia. Esercizi 2.47 e 2.48 con la famiglia degli aperti connessi per archi nel
ruolo di C.
Esercizio 2.50 Si dimostri che lo spazio topologico dei co-finiti di un insieme
infinito è sempre connesso per archi.
Traccia. Sia S lo spazio dei cofiniti di un insieme S. Una funzione f : [0, 1] → S
è continua se e solo se le sue fibre realizzano una partizione di [0, 1] in insiemi
chiusi. Quindi quando |S| > ℵ0 ogni funzione iniettiva da [0, 1] ad S è continua.
Quando |S| = ℵ0 , per avere una funzione continua da [0, 1] ad S occorre e
basta prendere una partizione {Kn }∞
n=0 di [0, 1] in una famiglia numerabile
di insiemi chiusi, una applicazione iniettiva φ : N → S e per n = 0, 1, 2, ...
porre f (x) = φ(n) per ogni x ∈ Kn . Una partizione di [0, 1] in una famiglia
numerabile di chiusi si può realizzare come segue: K0 := {0, 1}, K1 è l’ insieme
degli a ∈]0, 1[ che in base 3 si possono rappresentare nella forma a = 0, 1a2 a3 ...
e poi, induttivamente, Kn+1 è l’ insieme degli a ∈ [0, 1] \ ∪ni=0 Kn che possono
rappresentarsi in base 3 nella forma a = 0, a1 ....an an+1 an+2 ... con an+1 = 1.
Esercizio 2.51 In R3 , con l’ usuale topologia euclidea, si consideri il seguente
insieme di punti:
1
|0<t<1 .
C =
cos 2πt, sin 2πt, sin
t(1 − t)
33
Verificate che C è connesso per archi e localmente connesso mentre C∪{(1, 0, 0)}
e C ∪ {(1, 0, s)}−1≤s≤1 sono connessi ma non connessi per archi e nemmeno
localmente connessi.
Esercizio 2.52 In R3 si consideri il seguente insieme di punti:
1
|0<t<1 .
C =
cos 2πt, sin 2πt, (1 − t) sin
t(1 − t)
Verificate che C è sia connesso per archi che localmente connesso per archi
mentre C ∪ {(1, 0, 0)} e C ∪ {(1, 0, s)}−1≤s≤1 sono connessi per archi ma non
localmente connessi (tantomeno localmente connessi per archi).
Dall’ esercizio 2.49 sappiamo che le componenti connesse di uno spazio localmente connesso per archi sono aperte e connesse per archi. Nel seguente
esercizio si propone una generalizzazione di questa proprietà.
Esercizio 2.53 Sia B una base di aperti per uno spazio S tale che:
(1) Se X, Y ∈ B ed X ∩ Y 6= ∅, allora X ∪ Y ∈ B;
(2) B è chiusa per unioni in catena;
(3) Tutti i membri di B sono connessi.
Si dimostri che le componenti connesse degli aperti di S appartengono a B.
Traccia. Sia A un aperto. Esiste una sottofamiglia X ⊆ B tale che A =
∪X∈X X. Sia A la collezione delle sottofamiglie di B che godono di questa
proprietá. Su A consideriamo la relazione d’ ordine ≤ definita ponendo X ≤ Y
se X è un raffinamento di Y (nel senso stabilito a pagina 116 del testo). Sia
C := (Xi )i∈I una catena in (A, ≤). Sia XC la famiglia di tutte le unioni ∪j∈J Xj
ove {Xj }j∈J è una catena (rispetto all’ inclusione ⊆) di membri di B, J ⊆ I
(con la relazione d’ ordine ereditata da quella data su I) ed Xj ∈ Xj per ogni
j ∈ J. Risulta XC ∈ A per l’ ipotesi (2). Quindi XC è una limitazione superiore
per C in (A, ≤). Per il Lemma di Zorn, (A, ≤) ammette elementi massimali.
Sia M uno di essi. Per la massimalità di M e la (2), M è chiuso per unioni in
catena. Per il Lemma di Zorn, ogni elemento di M è contenuto in un elemento
massimale. Sia M0 la famiglia degli elementi massimali di M. Per la (1), la
massimalità di M e la massimalità dei membri di M0 , X ∩ Y = ∅ per ogni
scelta di X, Y ∈ M0 con X 6= Y . La famiglia M0 fornisce una partizione di A
in membri di B. La conclusione segue dall’ ipotesi (3).
2.7.3
Archi, cappi e curve in R2
Esercizio 2.54 Sia f : [0, 1] → Rn un arco semplice (vale a dire, f è iniettiva).
Si dimostri che se n > 1 allora Rn \ Im(f ) è connesso per archi.
Traccia. L’ insieme γ := Im(f ) è compatto. Quindi, per x ∈ Rn , la distanza
d(x, γ) := inf y∈γ d(x, y) coincide con d(x, y0 ) per qualche y0 ∈ γ. Pertanto
d(x, γ) = 0 se e solo se x ∈ γ.
34
Dati due punti p, q 6∈ γ, sia δ = min(d(p, γ), d(q, γ)) > 0. Siccome γ è
compatto, possiamo ricoprirlo con un insieme finito di dischi di raggio δ/4 e
centro su γ. Se A è l’ unione di questi dischi, d(p, A), d(q, A) ≥ 3δ/4. All’
interno di A possiamo costruire una poligonale semplice P da f (0) ad f (1).
Ovviamente, d(p, P ), d(q, P ) ≥ 3δ/4 e d(P, γ) = inf x∈P,y∈γ d(x, y) < δ/2. Se
sapessimo che esiste sempre un arco α da p a q tale che d(α, P ) ≥ 3δ/4, allora
d(α, γ) ≥ δ/4, e avremmo concluso.
Ci siamo cosı̀ ricondotti al caso che γ sia una poligonale. Ma ora si può
concludere ragionando per induzione sul numero dei lati della poligonale.
Il seguente teorema è ben noto. La dimostrazione si trova in qualunque testo
di Analisi ove si dedichi abbastanza attenzione a funzioni di variabile complessa.
Per esempio: Dieudonné, Elements d’ Analyse (in particolare, cap. IX e sua Appendice).
Teorema di Jordan. Sia f : S1 :→ R2 un cappio semplice (vale a dire, f è
iniettiva). Allora R2 \ Im(f ) ammette esattamente due componenti connesse,
delle quali una è limitata e l’ altra no.
Esercizio 2.55 Per ciascuna delle seguenti possibiltà, trovate una curva iniettiva f : R → R2 che la realizzi.
(1) R2 \ Im(f ) è connesso.
(2) R2 \ Im(f ) ha esattamente due componenti connesse.
(3) R2 \ Im(f ) ha esattamente n ≥ 3 componenti connesse.
(4) R2 \ Im(f ) ha infinite componenti connesse.
Traccia. Per il caso (1), prendete f (t) = (et /(et +1), 0). Per (2) basta prendere
f (t) = (t, 0). Per (3) considerate la seguente funzione, ove k = n − 1:

per 0 ≤ t ≤ 1,
(t, sin 2πt

k )
(1 + cos π(t − 23 ), 1 + sin π(t − 32 )) per 1 ≤ t ≤ 2,
f (t) =

(sin(πt/4), 1 + 2/t)
per t ≥ 2.
Con n = 3 esistono soluzioni molto più semplici. Per esempio, posto g(t) =
(et − 1)((et + 1), potete prendere
(−1 + cos 2πg(t), sin 2πg(t)) per t ≤ 0,
f (t) =
(1 − cos 2πg(t), − sin 2πg(t)) per t ≥ 0.
Infine, per realizzare il caso (4) potete prendete f cosı̀:

(−2π/t, sin t)
per t ≤ −π,

(2 + 23 cos 2t , 21 + 32 sin 2t ) per − π ≤ t ≤ π,
f (t) =

(1 + sin(t/2), 1 + π/t)
per t ≥ π.
Esercizio 2.56 Sia f : [0, +∞) → R2 continua ed iniettiva. E’ vero che l’
insieme R2 \ Im(f ) è sempre connesso?
In caso negativo, quale altra ipotesi assumereste su f per poter concludere
che R2 \ Im(f ) è connesso?
35
Traccia. La risposta alla prima domanda è no. Per esempio, sia f (t) =
(cos g(t), sin g(t)) ove g(t) = 2π · (et − 1)/(et + 1). Allora Im(f ) = S1 , ed
R \ S1 non è connesso.
Alla seconda domanda si possono dare diverse risposte. Eccone una. Assumete che per ogni r > 0 esista ar > 0 tale che d(f (0), f (t)) > r per ogni
t > ar . Allora R2 \ Im(f ) è connesso. Infatti, dati due punti p, q 6∈ Im(f ), sia
r > 2d(p, f (0)), 2d(q, f (0)). Preso ar come sopra, sia br ≤ ar massimo rispetto
alla proprietà che d(f (0), f (t)) ≤ r per ogni t ≤ br . Possiamo allora ripetere in
D(f (0), 2r) ' R2 l’ argomento usato nella traccia dell’ esercizio 2.54, riferendolo
alla restrizione f : [0, br ] → D(f (0), 2r) di f a [0, br ].
Oppure supponete che esista p0 = limt→+∞ f (t) e che p0 6∈ Im(f ). Definite
g : [0, 1] → R2 ponendo g(t) = f ((et − 1)/(et + 1)) se 0 ≤ t < 1 e g(1) = p0 . La
funzione g è continua e iniettiva e Im(g) = Im(f ) ∪ {p0 }. L’ insieme R2 \ Im(g)
è connesso (esercizio 2.54). Quindi o R2 \ Im(f ) è connesso oppure ammette
due componenti connesse, una delle quali è {p0 }. Per avere la connessione di
R2 \Im(f ) basta aggiungere un’ ipotesi che escluda il secondo caso. Per esempio,
possiamo assumere che da p0 esca almeno un arco che non incontri Im(f ).
2.7.4
Alcuni gruppi di matrici
Rammento che lo spazio vettoriale Mn (R) delle matrici quadrate di ordine n
2
a coefficienti in R è isomorfo allo spazio vettoriale Rn . Quindi può essere
strutturato come uno spazio topologico, copiando su di esso la topologia euclidea
2
di Rn (esercizio 2.20).
In questa topologia l’ insieme delle matrici singolari è chiuso, in quanto
soluzione dell’ equazione det(M ) = 0. Quindi il gruppo GL(n, R) delle matrici
non-singolari è un insieme aperto. Invece il sottogruppo SL(n, R) di GL(n, R) è
chiuso, in quanto soluzione dell’ equazione det(M ) = 1. Il gruppo O(n, R) delle
matrici ortogonali di ordine n a coefficienti in R è la soluzione di un sistema di
n2 equazioni di secondo grado, solitamente riassunte nell’ equazione matriciale
M T M = I. Quindi è chiuso. E chiuso è anche il suo sottogruppo SO(n, R) =
O(n, R) ∩ SL(n, R), in quanto intersezione di due chiusi.
Si può dimostrare che tanto SL(n, R) che SO(n, R) sono connessi. Chi è
interessato alla dimostrazione la può trovare in un qualunque testo dedicato ai
gruppi topologici o ai gruppi di Lie.
Esercizio 2.57 Il gruppo O(n, R) è connesso?
Risposta. No. Infatti SO(n, R) ha indice 2 in O(n, R). Quindi O(n, R) è
unione disgiunta di SO(n, R) e di SO(n, R) · A, ove A è un particolare elemento
di O(n, R) \ SO(n, R), non importa quale. Peraltro, SO(n, R) è chiuso, come
osservato sopra. Inoltre l’ applicazione che ad ogni M ∈ Mn (R) associa M A è un
omeomorfismo di Mn (R) su sè stesso. Ne segue che anche SO(n, R) · A è chiuso.
Pertanto O(n, R) è unione di due chiusi disgiunti. Quindi non è connesso.
Esercizio 2.58 Il gruppo GL(n, R) è connesso?
36
Traccia. No. Sia infatti GL+ (n, R) il sottogruppo di GL(n, R) formato dalle
matrici con determinante positivo. Esso è aperto, in quanto retroimmagine
mediante la funzione M 7→ det(M ) della semiretta aperta ]0, +∞). Inoltre, ha
indice 2 in GL(n, R). La conclusione segue come per l’ esercizio 2.57.
Esercizio 2.59 Dimostrate che il gruppo GL+ (n, R) delle matrici a determinante positivo è connesso.
Traccia. Data una matrice A ∈ GL+ (n, R), sia a = det(A) (> 0). Per t ∈ [0, 1]
ponete f (t) = (a − 1)t + 1. Si noti che f (0) = 1, f (1) = a ed f (t) > 0 per ogni
t ∈ [0, 1]. Sia Dt la matrice diagonale Dt := dg(1, 1, ..., 1, 1/f (t)). Quindi D0 =
I mentre D1 = (1, 1, ..., 1, 1/a). Sicchè det(AD1 ) = 1, cioè AD1 ∈ SL(n, R). La
funzione t 7→ ADt è dunque un arco in GL+ (n, R) da A = AD0 ad una matrice
AD1 ∈ SL(n, R). Ma, come si è detto in precedenza, SL(n, R) è connesso.
Quindi anche GL+ (n, R) è connesso.
2.8
Topologia di Zariski
Rammento che, dato un campo K, la topologia di Zariski su K n ha come chiusi le
varietà algebriche (affini) di K n . Modificando leggeremente le notazioni adottate
nel testo, data una varietà algebrica V di K n , indico con J(V ) l’ ideale di
K[x1 , ..., xn ] ad essa associato. Viceversa, se J è un ideale di K n , indico con
V (J) la varietà associata a J.
Rammento che, dati due ideali I e J di K[x1 , ..., xn ], se I ⊆ J allora V (I) ⊇
V (J), ma in genere non vale il viceversa (contrariamente a quanto
√
√ erroneamente
affermato nel testo). Però se K è algebricamente chiuso allora I ⊆ I se e solo
se V (I) ⊇ V (J) (Nullstellensatz di Hilbert; rimando al testo per la √
definizione di
√
J). In ogni
p caso, qualunque sia il campo K, risulta V (J) = V ( J) per ogni
ideale J e J(V ) = J(V ) per ogni varietà V . Quindi, se K è algebricamente
chiuso allora J(V ) ⊆ J(W ) se e solo se V ⊇ W .
Indichiamo con hSi l’ ideale di K[x1 , ..., xn ] generato da un sottoinsieme S di
K[x1 , ..., xn ]. E’ noto che, qualunque sia il campo K, per ogni S ⊆ K[x1 , ..., xn ]
esiste sempre un sottoinsieme finito S0 ⊆ S tale che hS0 i = hSi (Teorema della
Base di Hilbert).
Esercizio 2.60 Sia Z la topologia di Zariski su Rn . Si dimostri che Z è separabile ma non soddisfa il secondo assioma di numerabilità.
Soluzione. Per dimostrare la separabilità potremmo usare l’ argomento esposto
nella soluzione del seguente esercizio 2.61, valido per ogni campo. Ma preferisco
dare una dimostrazione più semplice, anche se non è riformulabile per campi
arbitrari.
Sia E la topologia euclidea di Rn . Sappiamo che Z ≤ E. In altre parole,
la famiglia dei chiusi di Z è contenuta nella famiglia dei chiusi di E. Pertanto,
Z
E
indicata con X ed X la chiusura di un insieme X ⊆ Rn in Z e in E, risulta
37
Z
E
Z
E
sempre X ⊇ X . In particolare, (Qn ) ⊇ (Qn ) . D’ altra parte, Qn è denso in
Rn per E. Quindi esso è denso anche per Z. La separabilità di Z è dimostrata.
Veniamo al secondo assioma di numerabilità. Per assurdo, sia B = {Bn }∞
n=0
una base numerabile di Z. Per ogni n poniamo Wn := ¬Bn e W := {Wn }∞
n=0 .
Quindi Wn è una varietà algebrica e W una famiglia numerabile di varietà. L’
ipotesi che B sia una base si traduce in questo:
(†) Ogni varietà algebrica di Rn è intersezione di varietà Wn ∈ W.
Dato Wn ∈ W, sia Pn un insieme finito di generatori per l’ ideale J(Wn ) (Teorema della Base di Hilbert). Quindi P := ∪∞
n=0 Pn è un insieme numerabile di
polinomi. Per l’ ipotesi (†), per ogni varietà V esiste un sottoinsieme PV ⊆ P
tale che J(V ) = hPV i. Il Teorema della Base di Hilbert ci dice che possiamo
sempre prendere PV finito. Quindi le varietà di Rn sono tante quanti i sottoinsiemi finiti di P. Ma P è numerabile. Pertanto le varietà algebriche di Rn
formano una totalità numerabile. Ma questo è palesemente falso: ogni punto di
Rn è una varietà algebrica, ma l’ insieme Rn è più che numerabile.
Quanto detto nell’ esercizio 2.60 è solo un caso particolare di un risultato
più generale.
Esercizio 2.61 Dato un campo K di cardinalità più che numerabile, sia Z la
topologia di Zariski su K n . Si dimostri che Z è separabile ma non soddisfa il
secondo assioma di numerabilità.
Soluzione. La dimostrazione che Z non soddisfa il secondo assioma di numerabilità è esattamente la stessa data qui sopra nel caso di K = R. La dimostrazione della separabilità va condotta diversamente.
Sia K0 un sottocampo numerabile di K. Un tale sottocampo esiste sempre,
perchè per ipotesi K è infinito. Per concludere basta far vedere che la chiusura
di K0n in Z coincide con tutto K n . Se cosı̀ non fosse, esisterebbe una varietà
algebrica V ⊂ K n con K0n ⊆ V . Per ottenere l’ assurdo è sufficiente mostrare
che
(∗) se un polinomio P ∈ K[x1 , ..., xn ] si annulla in tutti i punti di K0n , allora
P è il polinomio nullo.
Si procede per induzione su n. Se n = 1 la (∗) viene subito dal fatto che il
numero degli zeri di un polinomio non nullo in una sola variabile non supera
mai il grado del polinomio. Sia dunque n > 1 e supponiamo che (∗) valga per
polinomi in meno di n variabili. Almeno due delle variabili x1 , ..., xn compaiono
esplicitamente in P (altrimenti siamo ricondotti al caso di n = 1). Per fissare
le idee, siano xn−1 ed xn due di queste variabili. Preso a caso F ∈ K0 [t], sia
PF (x1 , ..., xn−1 ) = P (x1 , ..., xn−1 , F (xn−1 ). Siccome F ∈ K0 [t], risulta F (t) ∈
K0 per ogni t ∈ K0 . Quindi PF si annulla su tutto K0n−1 . Per ipotesi induttiva,
PF è il polinomio nullo. D’ altra parte, possiamo scrivere P (x1 , ..., xn ) nella
38
forma seguente, ove gli Ak1 ,...,kn−1 (xn−1 , xn ) sono opportuni polinomi nelle sole
variabili xn−1 , xn .
X
kn−2
.
Ak1 ,...,kn−2 (xn−1 , xn ) · xk1 ... xn−2
P (x1 , ..., xn ) =
k1 ,...,kn−2
Il fatto che P (x1 , ..., xn−1 , F (xn−1 )) sia il polinomio nullo implica che tutti i
polinomi Ak1 ,...,kn−2 (t, F (t)) sono identicamente nulli, e questo per ogni scelta di
F ∈ K0 [t]. Questo implica che Ak1 ,...,kn−2 (xn−1 , xn ) è esso stesso identicamente
nullo. Quindi P è il polinomio nullo. La dimostrazione è terminata.
Esercizio 2.62 Sia Z la topologia di Zariski su K n . Si dimostri che se K è
infinito allora K n è l’ unico chiuso di Z che contenga aperti non vuoti.
Traccia. Per assurdo, sia aperto A 6= ∅ un aperto di Z con A 6= K n . Allora
V := ¬A e W := A sono due varietà diverse da K n e tali che V ∪ W = K n .
In termini di ideali, J(V ) e J(W ) dovrebbero essere ideali non nulli ma tali che
tutti i polinomi del prodotto J(V )J(W ) si annullino identicamente su K n . Se
K è infinito, il polinomio nullo è l’ unico che si possa annullare su tutto K n .
(La dimostrazione è simile a quella dellla (∗) nella soluzione dell esercizio 2.61).
Quindi J(V )J(W ) = 0, il ché è assurdo.
Esercizio 2.63 La topologia di Zariski di K n è semi-Hausdorff ma se K è
infinito non è di Hausdorff.
Traccia. Che Z sia semi-Hausdorff segue dal fatto che i punti di K n sono chiusi
in Z. La seconda affermazione segue subito dall’ esercizio 2.62.
Nota. Dagli esercizi 2.62 e 2.63 segue che se K è infinito la topologia di Zariski
non è metrizzabile. Del resto, per campi più che numerabili, la non metrizzabilità di Z era già implicita nelle conclusioni dell’ esercizio 2.61. Invece quando
K è finito la topologia di Zariski è null’ altro che la topologia discreta, banalmente metrizzabile.
Esercizio 2.64 Lo spazio K n munito della topologia di Zariski è connesso se e
solo se K è infinito.
Traccia. Anche questo segue dall’ esercizio 2.62.
Esercizio 2.65 Lo spazio K n munito della topologia di Zariski è sempre compatto. (Di conseguenza, tutte le varietà sono compatte.)
Traccia. Sia {Vi }i∈I una famiglia di varietà tali che ∩i∈I Vi = ∅. Quindi, posto
J = hJ(Vi )ii∈I
√ , risulta V (J) = ∅. (Se K fosse algebricamente chiuso avremmo
addirittura J = K[x1 , ..., xn ], ma di questo non abbiamo bisogno.) Per il
Teorema della base di Hilbert, esiste un sosttoinsieme finito F ⊂ ∪i∈I J(Vi )
tale che J = hF i. Quindi esiste un sottoinsieme finito I0 ⊆ I tale che J =
hJ(Vi )ii∈I0 . Pertanto ∩i∈I0 Vi = ∅.
39
Esercizio 2.66 Sia Z la topologia di Zariski su K n . Supponiamo che su K
sia definita una topologia semi-Hausdorff E e sia (K n , E n ) il prodotto topologico
di (K, E) per sè stesso n volte. Supponiamo che le funzioni somma e prodotto,
che ad ogni coppia (x, y) ∈ K 2 associano rispettivamente x + y ed xy, risultino
continue come applicazioni da (K 2 , E 2 ) a (K, E).
Si dimostri che Z ≤ E n .
Per di più, se E è di Hausdorff e K è infinito allora Z < E n .
Soluzione. Nelle ipotesi assunte, ogni polinomio P ∈ K[x1 , ..., xn ] è una funzione continua da (K n , E n ) a (K, E). Siccome {0} è chiuso in (K, E), P −1 (0) è
chiuso in (K n , E). Ne segue che Z ≤ E. Se poi E è di Hausdorff allora anche
E n lo è (prima parte dell esercizio 2.29) mentre Z non lo è quando K è infinito
(esercizio 2.63). In tal caso Z < E n .
Esercizio 2.67 La topologia di Zariski su K coincide con la topologia dei cofiniti.
Traccia. Un polinomio in una sola variabile ha solo un numero finito di zeri.
3
3.1
Varietà e dintorni
Spazi localmente Rn e varietà topologiche
Definizione. Diciamo che uno spazio topologico S è localmente Rn per dato
intero positivo n se ogni suo punto è contenuto in un aperto omeomorfo ad Rn .
Equivalentemente, S ammette un ricoprimento formato da aperti omeomorfi
a Rn . Quindi, seguendo il Sernesi, una varietà topologica di dimensione n è
uno spazio localmente Rn , di Hausdorff e soddisfacente il secondo assioma di
numerabilità.
Esercizio 3.1 Uno spazio localmente Rn è sempre localmente connesso per
archi, soddisfa il primo assioma di numerabilità ed è semi-Hausdorff.
Traccia. Gli aperti di Rn hanno le proprietà in questione.
Esercizio 3.2 Trovate uno spazio topologico che sia localmente Rn ma che non
sia di Hausdorff e non soddisfi il secondo assioma di numerabilità.
Traccia. Un esempio di spazio localmente R ma non di Hausdorff è fornito nel
testo, a pagina 100. Esso però ammette basi numerabili. Descrivo qui un’ altra
famiglia di esempi di spazi localmente R ma non di Hausdorff. Alcuni di essi
ammettono basi numerabili, altri no.
Dato un insieme I con almeno due elementi, per ogni i ∈ I poniamo Ri :=
((−∞, 0]×{i})∪]0, +∞). Sia Ai la topologia su Ri realizzata copiando la topologia naturale di R (esercizio 2.20). Poniamo RI := ∪i∈I Ri , sia AI la topologia
su RI generata da ∪i∈I Ai ed RI := (Ri , AI ). Lo spazio RI ammette un ricoprimento formato da aperti omeomeorfi a dischi di R. Però non è di Hausdorff:
40
se i 6= j ogni aperto contenente (0, i) ha intersezione non vuota con ogni aperto
contenente (0, j). Inoltre, se I è più che numerabile, RI non ammette basi numerabili.
Nota. Non è difficile vedere che lo spazio RI costruito nella traccia dell’ esercizo
3.2 è connesso. Non conosco invece alcun esempio di spazio topologico che
sia connesso, di Hausdorff e localmente Rn per qualche n ma che non soddisfi
il secondo assioma di numerabilità. Peraltro, se si riuncia alla connessione è
facilissimo far saltare il secondo assioma di numerabilità: basta prendere unioni
disgiunte di famiglie più che numerabili di spazi.
Esercizio 3.3 Un semipiano chiuso di R2 non è mai localmente R2 .
Traccia. Sia S un semipiano chiuso di R2 ed L la retta che lo delimita. Sia
p ∈ L. Per assurdo, supponiamo che nella topologia indotta da R2 su S esista un
intorno aperto U di p omemorfo a R2 . Esiste r > 0 tale che D := D(p, r)∩S ⊆ U .
Prendiamo in D ∩ L un punto q 6= p e sia γ un arco semplice in D da p a q.
(Per esempio, un semicerchio da p a q). Allora U \ γ ha almeno due componenti
connesse (esattamente due se γ ∩ L = {p, q}). Invece, per ogni omemorfismo
φ : U → R2 , l’ insieme R2 \ φ(γ) è connesso (esercizio 2.54).
Esercizio 3.4 L’ unione di una famiglia di k > 2 semipiani chiusi con la stessa
origine non è mai localmente R2 .
Traccia. Siano S1 , S2 , ..., Sk semipiani chiusi distinti con la stessa origine L ed
S := ∪ki=1 Si . Sia p ∈ L. Supponiamo per assurdo che esista in S un intorno
U di p omomorfo a R2 . In U possiamo formare un cappio semplice γ unendo
due semicerchi appoggiati ad L, presi uno in S1 e l’ altro in S2 . Due punti
di U \ γ sono sempre congiunti da un arco. Infatti, se necessario, possiamo
sempre realizzare la connessione utilizzando opportuni archi di S3 appoggiati
ad L. Quindi U \ γ è connesso. Ma se φ : U → R2 è un omeomorfismo, R2 \ φ(γ)
non è connesso, per il Teorema di Jordan (sezione 2.7.3).
Esercizio 3.5 Siano S1 e S2 due spazi locamente Rn1 e Rn2 , rispettivamente.
Si dimostri che S1 × S2 è localmente Rn , ove n = n1 + n2 .
Esercizio 3.6 Si dimostri che il prodotto di due varietà topologiche è ancora
una varietà topologica.
Traccia. Siano V1 e V2 varietà topologiche. Il prodotto V1 × V2 è di Hausdorff e
soddisfa il secondo assioma di numerabilità (esercizio 2.29). Inoltre è localmente
Rn per un n opportuno (esercizio 3.5).
Nella definizione di spazio localmente Rn la dimensione n è assegnata in
anticipo, la stessa per ogni aperto del ricoprimento considerato, ma l’ unicità
di n si può ottenere come conseguenza da altre ipotesi, quali la connessione.
E non può capitare che uno stesso spazio sia al tempo stesso localmente Rn e
41
localmente Rm per distinte dimensioni n ed m. Per fissare meglio la questione,
stabiliamo le seguenti definizioni.
Modifica delle definizioni precedenti. Diciamo che un aperto A di uno
spazio topologico S è euclideo se è omeomorfo a Rn per un opportuno n, che
chiamiamo dimensione di A, e che non escludiamo possa dipendere dalla scelta
dell’ aperto A. Diciamo che S è localmente euclideo se ammette un ricoprimento
formato da aperti euclidei. Richiamiamo il seguente teorema.
Teorema della dimensione. Se n 6= m nessun aperto di Rn può essere omeomorfo ad un aperto di Rm .
Chi fosse interessato alla dimostrazione la può trovare in un qualunque testo
di topologia algebrica ove si dia adeguato spazio alla teoria dell’ omologia.
Ritorniamo all’ unicità della dimensione.
Esercizio 3.7 Sia S localmente euclideo. Se S è connesso allora tutti i suoi
aperti euclidei hanno la stessa dimensione.
Traccia. Sia E la famiglia di tutti gli aperti euclidei di S ed ≡ES la relazione
di equivalenza definita nella sezione 2.7.1, con l’ insieme S dei punti di S nel
ruolo di X. Le classi di ≡ES sono le componenti connesse di S (esercizio 2.47).
Quindi se S è connesso allora S è l’ unica classe di ≡ES . Sia questo il caso.
Siano A, B ∈ E, con dimensioni rispettivamente n ed m. Siccome ≡ES è banale,
esiste una sequanza A0 , A1 , ..., Ak ∈ E ove A0 = B, Ak = A ed Ai ∩ Ai−1 6= ∅
per ogni i = 1, 2, ..., k. Per ogni i = 0, 1, ..., k sia ni la dimensione di Ai e
φi : Ai → Rni un omeomorfismo. Siccome per ipotesi m 6= n, esiste almeno un
i per cui ni−1 6= ni . Sia D un disco aperto di Rni tale che ϕ−1
i (D) ⊆ Ai−1 ∩ Ai
ed ω un omeomorfismo da Rni a D. Allora ϕi−1 ϕ−1
ω
è
un
omeomorfsmo da
i
Rni ad un aperto di Rni−1 , contro il Teorema della Dimensione.
Quindi, ogni componente connessa di uno spazio localmente euclideo S è
localmente Rn per un unico n, che dipende solo dalla componente connessa
considerata e che prendiamo come dimensione della componente stessa. In particolare, uno spazio localmente euclideo e connesso ha una sua ben definita
dimensione.
Possiamo infine riformulare la definizione di varietà topologica come segue:
una varietà topologica connessa è uno spazio topologico connesso, localmente
euclideo, di Hausdorff e soddisfacente il secondo assioma di numerabilità. Una
varietà topologica non connessa è unione disgiunta di più varietà topologiche
connesse (di ugual dimensione, se vogliamo recuperare alla lettera la definizione
data nel testo).
42
3.2
Quozienti su gruppi
Esercizio 3.8 Data una famiglia (Si )i∈I di spazi topologici, per ogni i ∈ I sia
Gi un gruppo di permutazioni dell’ insieme dei punti di Si . Si dimostri che
Q
Y Si
Si
Q i∈I
'
.
Gi
i∈I Gi
i∈I
Esercizio 3.9 Dato uno spazio topologico S ed un gruppo G di permutazioni
dell’ insieme dei punti di S, sia H un sottogruppo normale di G.
Si dimostri che (S/H)/(G/H) ' S/G. Per di piú, se G è un gruppo di
omeomorfismi di S allora G/H è un gruppo di omeomorfismi di S/H.
Esercizio 3.10 Sia S uno spazio topologico e G un gruppo di omeomorfismi di
S su sè stesso. Si dimostri che la proiezione pG : S → S/G è aperta.
Soluzione. Per ogni aperto A di S risulta p−1
G (pG (A)) = G(A) = ∪g∈g g(A).
Ma g(A) è aperto per ogni g ∈ G, perchè per ipotesi gli elementi di G sono omeomorfismi. Quindi G(A) è aperto, in quanto unione di aperti. Sicché G(A) =
−1
p−1
G (pG (A)) è aperto e saturo. Per il Lemma 7.1 del testo, pG (pG (pG (A))) è
−1
aperto. Ma pG (pG (p(A))) = pG (A). Quindi pG (A) è aperto.
Esercizio 3.11 Sia S uno spazio topologico e G un gruppo di omeomorfismi di
S su sè stesso. Si dimostri che le seguenti affermazioni si equivalgono.
(1) S/G è semi-Hausdorff.
(2) Le orbite di G sono chiuse.
(3) Per ogni coppia di punti a, b ∈ S con b 6∈ G(a), esiste un aperto A di S tale
che a ∈ A ma A ∩ G(b) = ∅.
Soluzione. Che (1) implichi (3) è ovvio. Supponiamo che valga (3). Per il
risultato dell’ esercizio 3.10, la proiezione pG : S → S/G è aperta. Quindi, con
a, b ed A come in (3), pG (A) è un intorno di pG (a) che non contiene pG (b).
Sicchè (1) vale. Inoltre G(b) ⊆ ¬A per un opportuno aperto A contenente a.
Quindi G(b) è intersezione di chiusi e pertanto è chiuso, come affermato in (2).
Infine, se vale (2) allora ¬G(a) è aperto. Quindi ¬pG (a) = PG (¬G(a)) è aperto,
per l’ esercizio 3.10. Ne segue che {pG (a)} è chiuso. Di conseguenza S/G è
semi-Hausdorff.
Esercizio 3.12 Sia S uno spazio topologico e G un gruppo di omeomorfismi di
S su sè stesso. Si dimostri che le seguenti affermazioni si equivalgono.
(1) S/G è di Hausdorff.
(3) Per ogni coppia di punti a, b ∈ S con b 6∈ G(a), esistono aperti A e B di S
ove a ∈ A, b ∈ B e G(A) ∩ G(B) = ∅.
Traccia. Vedi esercizio 3.10.
43
Esercizio 3.13 Sia S uno spazio topologico localmente Rn e G un gruppo di
omeomorfismi di S su sè stesso. Supponiamo che per ogni punto a ∈ S esista
un intorno U di a tale che G(x) ∩ U = {x} per ogni x ∈ U . Si dimostri che in
queste ipotesi S/G è localmente Rn .
Soluzione. Dato b ∈ S/G, sia a ∈ p−1 (b). Per le ipotesi assunte su S, esiste in
S un aperto A contenente a e tale che esiste un omeomorfismo ω : A → Rn . D’
altra parte, per le ipotesi assunte su G, esiste un intorno U un intorno di a tale
che U ∩ G(x) = {x} per ogni x ∈ U . Ovviamente, ω(U ∩ A) è un intorno di ω(a)
in Rn . Esso contiene un disco aperto D di Rn di centro ω(a). I dischi aperti
di Rn sono omeomorfi ad Rn . Pertanto ω −1 (D) è un aperto di S contenente
a, contenuto in U ed omeomorfo ad Rn . Per il risultato dell’ esercizio 3.10,
p(ω −1 (D)) è aperto. D’ altronde, per come si è scelto U , la restrizione di p ad
ω −1 (D) è iniettiva. Siccome p è aperta (esercizio 3.10), tale restrizione è un
omeomorfismo da ω −1 (D) a p(ω −1 (D). Quindi p(ω −1 (D)) ' Rn .
Esercizio 3.14 Sia V una varietà topologica e G un gruppo di omeomorfismi
di V su sè stessa. Supponiamo che valgano le seguenti condizioni:
(1) Per ogni punto a ∈ V esiste un intorno U di a tale che G(x) ∩ U = {x}
per ogni x ∈ U :
(2) Per ogni coppia di punti a, b ∈ V con b 6∈ G(a), esistono due aperti A e B
in V tali che a ∈ A, b ∈ B e G(A) ∩ G(B) = ∅.
Dimostrate che in queste ipotesi V/G è una varietà topologica.
Soluzione. Sia n la dimensione di V. Per l’ ipotesi (1) ed il risultato dell’
esercizio 3.13 il quoziente V/G è localmente Rn . Essendo V connessa, V/G è
connessa perché la proiezione p : V → V/G, essendo continua, porta connessi in
connessi. Inoltre p è aperta (esercizio 3.10). Quindi porta ricoprimenti aperti
di V in ricoprimenti aperti di V/G. In particolare, porta basi di V in basi di
V/G. Ne segue che se V soddisfa il secondo assioma di numerabilità allora anche
V/G lo soddisfa. Infine, che V/G sia di Hausdorff segue dall’ ipotesi (2) (vedi
esercizio 3.12).
Definizione. Sia G un gruppo di omeomorfismi di uno spazio topologico S =
(S, A). Una regione fondamentale per G è un sottoinsieme R ⊆ S che interseca
ogni orbita di G in esattamente un punto.
Data una regione fondamentale R di G, poniamo GR (A) = {G(A) ∩ R}A∈A .
Esercizio 3.15 Si dimostri che (R, GR (A)) è uno spazio topologico e che risulta
(R, GR (A)) ' S/G.
Avvertenza. Per ottenere una regione fondamentale basta selezionare un elemento da ciascuna orbita di G, anche a caso. Però in generale se la regione
R è stata messa insieme con scelte casuali lo spazio (R, GR (A)) è praticamente
impossibile da studiare. Viceversa, con scelte di R particolarmente felici molte
proprietà di (R, GR (A) possono diventare del tutto ovvie.
44
3.3
Incollature
Dati due spazi toplogici S1 = (S1 , A1 ) e S2 = (S2 , A2 ) con una parte P = S1 ∩S2
in comune, se A1 e A2 inducano la stessa toplogia su P allora diciamo che S1 e
S2 coincidono su P . Se S1 e S2 coincidono su P , possiamo definire l’ incollatura
S1 ·P S2 di S1 e S2 su P prendendo S1 ∪ S2 come insieme di punti e la seguente
famiglia di insiemi come famiglia di aperti:
A1 ·P A2 := {A1 ∪ A2 | A1 ∈ A1 , A2 ∈ A2 , A1 ∩ P = A2 ∩ P }.
Esercizio 3.16 Si dimostri che A1 ·P A2 è la meno fine topologia su S1 ∪ S2
che induca A1 su S1 ed A2 su S2 .
Esercizio 3.17 Siano V1 e V2 due varietà topologiche con intersezione ∅ =
6 P =
V1 ∩ V2 . Supponiamo che V1 e V2 coincidano su P e che P risulti aperto sia in
V1 che in V2 . Si dimostri che l’ incollatura V1 ·P V2 è una varietà topologica.
Avvertenza. La seguente situazione semprerebbe cozzare contro quel che si
afferma nell’ esercizio 3.17. Siano p1 ∈ V1 e p2 ∈ V2 di aderenza per P in V1
e in V2 e tali che per ogni intorno A1 di p1 in V1 esista un intorno A2 di p2 in
V2 tale che A2 ∩ P = A1 ∩ P , e viceversa. Si sarebbe tentati di dire che ogni
intorno A di p1 in V1 ·P V2 deve risultare dall’ unione di un intorno A1 di p1 in
V1 ed un intorno A2 di p2 in V2 tali che A1 ∩ P = A2 ∩ P . Se cosı̀ fosse, A non
potrebbe mai essere omeomorfo ad Rn . Ma questo è falso: ogni intorno di p1 in
V1 è anche intorno di p1 in V1 ·P V2 . Nulla ci obbliga ad accorparlo con intorni
di p2 in V2 .
Esercizio 3.18 Siano V1 e V2 due varietà topologiche con un unico punto p in
comune. Si dimostri che la loro incollatura V1 ·p V2 non è una varietà topologica.
Soluzione. Ogni intorno A di p in V := V1 ∪p V2 è l’ unione A1 ∪ A2 di un
intorno A1 di p in V1 ed un intorno A2 di p in V2 . Quindi A \ {p} non è
connesso. Se per assurdo V1 ∪p V2 fosse una varietà potrei prendere A ' Rn
per un opportuno n. Ma se n > 1 allora Rn \ {ϕ(p)} è connesso, ove indico con
ϕ un dato omeomorfismo da A ad Rn . Quindi n = 1. Ma in tal caso ϕ(A1 ) e
ϕ(A2 ) sarebbero due intorni di ϕ(p) in R tali che ϕ(A1 ) ∩ ϕ(A2 ) = ϕ(p). Questo
è impossibile.
Esercizio 3.19 Un cono in R3 (inteso come quadrica, quindi a due falde) non
è un varietà topologica.
Traccia. Infatti è omeomorfo a due piani incollati in un punto (corrispondente
al vertice del cono).
Nota. Il risultato dell’ esercizio 3.18 si può generalizzare ad incollature di
varietà su opportune parti chiuse P più grandi di un punto (curve, per esempio)
ma non insisto su questo. Mi limito ad osservare che, per l’ esercizio 3.4, l’ unione
di due piani non paralleli in R3 non è una varietà topologica. L’ unione di due
45
piani intersecantesi su una retta L è un caso di incollatura: è l’ incollatura due
diedri di origine L, formati ciascuno da due semipiani, uno preso da un piano e
l’ altro dall’ altro.
3.4
3.4.1
Alcune varietà topologiche
Toro, nastro di Moebius e bottiglia di Klein
Definizioni e notazioni. Dati a, b > 0, siano τ1 e τ2 le traslazioni di R2 che
portano (x, y) ∈ R2 in (x + a, y) e rispettivamente (x, y + b). Sia inoltre σ la
riflessione attorno all’ asse y = 0, che porta (x, y) in σ(x, y) = (x, −y).
Si noti che τ1 τ2 = τ2 τ1 , σ −1 = σ, στ1 = τ1 σ e στ2 = τ2−1 σ. Quindi
hτ1 , τ2 i ∼
= hτ1 i × hτ2 i mentre hστ1 , τ2 i ammette hτ2 i come sottogruppo normale. Per brevità, per {i, j} = {1, 2} poniamo τ̄i := τi · hτj i (∈ hτ1 , τ2 i/hτj i) e
σ̄τ̄1 := στ1 · hτ2 i (∈ hστ1 , τ2 i/hτ2 i). Risulta
(R × {0})/hτ1 i ' ({0} × R)/hτ2 i ' S1
ove S1 sta ad indicare il cerchio. Il quoziente C := R2 /hτ2 i ' R2 /hτ1 i è il
cilindro mentre
T := R2 /hτ1 , τ2 i ' C/hτ̄1 i ' S1 × S1
è il toro. Il quoziente
K := R2 /hστ1 , τ2 i ' (R2 /hτ2 i)/(hστ1 , τ2 i/hτ2 i) = C/hσ̄τ̄1 i
è la bottiglia di Klein. Il nastro di Moebius aperto è
M := R2 /hστ1 i ' (R×] − 1, 1[)/hστ1 i.
Definiamo anche il nastro di Moebius chiuso M ponendo
M := (R × [−1, 1])/hστ1 i.
L’ omeomorfismo M ' (R×]−1, 1[)/hστ1 i (e la reinterpretazione del quoziente
(R×]−1, 1[)/hστ1 i suggerita più sotto) indica la possibilità di realizzare M in R3
prendendo un nastro, ruotando di π una delle sue due estremità e appiccicandola
cosı̀ ruotata alla prima estremità. In questo modello, M coincide con la chiusura
di M in R3 . La curva M \ M (' S1 ) è chiamata il bordo, sia di M che di M.
Esercizio 3.20 Verificate che C, T , M e K, definiti come sopra, sono effettivamente varietà topologiche. Invece M non è una varietà topologica. Perché?
Traccia. Per C, T , M e K valgono le ipotesi dell’ esercizio 3.14. Invece in M
i punti del bordo non ammettono intorni omeomorfi a R2 (esercizio 3.3).
Le definizioni precedenti si possono rileggere in un modo più pratico. Il
rettangolo semiaperto [0, a[×[−b/2, b/2[∪{(0, b/2)} è una regione fondamentale
sia per il gruppo hτ1 , τ2 i che per hστ1 , τ2 i. Consideriamo la sua chiusura R :=
46
[0, a] × [−b/2, b/2]. Per ottenere il toro T basta identificare lati opposti di R,
identificando (x, −b/2) con (x, b/2) e (0, y) con (a, y). Invece, per ottenere la
bottiglia di Klein K si identifica ancora (x, −b/2) con (x, b/2) ma ora (0, y) viene
identificato con (a, −y). Per costruire il nastro di Moebius si parte da [0, a] × I,
ove I sta per ] − 1, 1[ o [−1, 1] a seconda che si voglia il nastro aperto o quello
chiuso, e si identificano tra loro (0, y) ed (a, −y). Ovviamente, se in [0, a] × I
identifichiamo (0, y) con (a, y) anziché con (a, −y) allora realizziamo un tubo
(nastro ordinario, omeomorfo a C se I =] − 1, 1[).
Nel seguito manterrò la notazione ora introdotta, indicando con T , K, M e
M rispettivamente il toro, la bottiglia di Klein, il nastro di Moebius aperto e
quello chiuso.
Vi verrà richiesto di realizzare T , M e K come sottovarietà di R3 o R4 . Si
intende che una sottovarietà (topologica) Rn è un insieme di punti di Rn che,
con la topologia indotta da quella di Rn , risulta una varietà topologica.
Avvertenza. Il ricorso a regioni fondamentali, ove ci si limita ad identificare
tra loro punti situati sul bordo della regione, consente maggiore libertà che
non l’ approccio mediante quozienti su gruppi. Per esempio, nel definire K
possiamo immaginare di eseguire prima le identificazioni (x, −b/2) ↔ (x, b/2) e
poi le (0, x) ↔ (a, −x), o viceversa. Invece, se ragioniamo in termini di gruppi,
possiamo prima quozientare R2 su hτ2 i e poi R2 /hτ2 i su hσ̄τ̄1 i, perché hτ2 i è
normale in hστ1 , τ2 i, ma non possiamo quozientare prima su hστ1 i e poi su
hστ1 , τ2 i/hτ2 i, perché quest’ ultimo quoziente non esiste. Infatti il sottogruppo
hστ1 i non è normale in hστ1 , τ2 i.
Esercizio 3.21 Descrivete una sottovarietà di R3 omeomorfa a T .
Risposta. Da quanto precede si evince che possiamo realizzare T in R3 prendendo un tubo e saldando le sue estremità, in modo da formare una ciambella.
Questo modello di T è descritto dalla seguente rappresentazione parametrica,
ove α = (r1 + r2 )/2 e β = (r2 − r1 )/2 ed r1 ed r2 sono i raggi della circonferenza
interna ed esterna di T . Si intende che T è collocato ortogonalmente all’ asse
delle quote e con centro nell’ origine.
x
y
z
= (α + β cos φ) · cos θ,
= (α + β cos φ) · sin θ,
= β sin φ.
Per ottenere questa rappresentazione, si immagini un cerchio Cβ di raggio β
collocato su un piano passante per l’ asse delle quote e il cui centro si muove su un
altro cerchio Cα , di raggio α con centro nell’ origine e collocato ortogonalmente
all’ asse delle quote. Eliminando i parametri si ottiene
((x2 + y 2 )1/2 − α)2 + z 2 = β 2
ovvero x2 + y 2 + z 2 + α2 − β 2 = 2α(x2 + y 2 )1/2 . Osservando che il primo
membro di quest’ ultima equazione non può mai essere negativo perché per
47
ipotesi α > β, possiamo anche elevare al quadrato, ottenendo cosı̀ la seguente
equazione polinomiale:
(x2 + y 2 + z 2 + α2 − β 2 )2 = 4α2 (x2 + y 2 ).
Esercizio 3.22 Fornite una rappresentazione parametrica del nastro di Moebius, realizzato in R3 .
Risposta. Il punto generico del nastro di Moebius è


(α + r sin θ) · cos 2θ
(∗)
p(r, θ) =  (α + r sin θ) · sin 2θ 
r cos θ.
ove θ ed r sono parametri ed r è soggetto alla restrizione −1 ≤ r ≤ 1 (se vogliamo
il nastro chiuso M) oppure −1 < r < 1 (se invece vogliamo M). Il numero α
è una costante, che rappresenta il raggio del cerchio C formato dai punti del
nastro equidistanti dal bordo. Per evitare che il nastro debba attraversare sè
stesso, assumiamo che α > 1. Si suppone che C sia collocato ortogonalmente
all’ asse delle quote e con centro nell’ origine 0.
Per ottenere (∗) prendete su C un generico punto p e sul piano per p e per
l’ asse delle quote collocate un segmento sp di lunghezza 2, con il suo punto
medio in p e formante con l’ asse delle quote un angolo θ uguale alla metà dell’
angolo tra l’ asse delle ascisse e la semiretta che proietta p da 0. Il parametro
r localizza p(r, θ) su sp . Si noti che p(r, θ) = p(−r, π − θ) per ogni scelta di r
e θ. I punti p(1, θ) = p(−1, π − θ) sono quelli del bordo mentre i punti p(0, θ)
stanno in C.
Nota. Non ho fissato un intervallo di variabilità per θ. Avendo scelto [−1, 1]
(oppure ] − 1, 1[) per r, possiamo prendere 0 ≤ θ ≤ π. Ma, osservando che
p(−r, π − θ) = p(r, 2π − θ), potremmo anche far variare r in [0, 1] (rispettivamente, [0, 1[) e θ in [0, 2π].
Esercizio 3.23 Trovate una realizzazione di K come sottovarietà di R4 .
Risposta. La seguente è una rappresentazione parametrica di K, ove α > 1
come per il nastro di Moebius:


 x1 = (α + sin θ sin φ) · cos 2θ,

x2 = (α + sin θ sin φ) · sin 2θ,
(1)
x

3 = cos θ sin φ,


x4 = cos φ.
Per ottenerla, si parta dalla rappresentazione (∗) di M data nell’ esercizio 3.22
e si interpreti r come se fosse r = sin φ, vedendo cosı̀ il segmento sp , utilizzato
nella deduzione della rappresentazione di M, come la proiezione su R3 di un
cerchio di raggio 1, con centro in p e collocato su un piano parallelo al piano
di R4 generato dall’ asse delle quote di R3 e dal quarto asse di R4 . Spiegherò
meglio i motivi che suggeriscono questa costruzione, fra poco.
48
Eliminando i parametri da (1) si ottiene un sistema di due equazioni. Ovviamente, se ne possono ottenere infiniti, tutti tra loro equivalenti. Eccone uno:
((x21 + x22 )1/2 − α)2 + x23 + x24 = 1,
(2)
(α2 + αx1 + 2x23 − x2 x3 ) · (1 − x24 ) = 2x23 (α2 + x23 ).
Sviluppando la prima equazione di (1) si ottiene
x21 + x22 + x23 + x24 + α2 − 1 = 2α(x21 + x22 )1/2 .
Osservando che il primo membro di questa equazione non può mai essere negativo, perché per ipotesi α > 1, possiamo elevare al quadrato, ottenendo cosı̀ il
seguente sistema, ove tutte le equazioni sono polinomiali:
4α2 (x21 + x22 ) = (α2 + x21 + x22 + x23 + x24 − 1)2 ,
(3)
(α2 + αx1 + 2x23 − x2 x3 ) · (1 − x24 ) = 2x23 (α2 + x23 ).
In definitiva, abbiamo realizzato K come una varietà algebrica di R4 . In particolare, K è chiusa in quanto sottoinsieme di R4 .
Spiegazione. Resta da motivare la costruzione con cui abbiamo ricavato (1).
Come detto in precedenza, possiamo ottenere K partendo da un rettangolo
R := [0, a]×[−b/2, b/2] ed identificando (x, −b/2) con (x, b/2) e (0, y) con (a, −y)
mentre per ottenere M effettuiamo solo le identificazioni (0, y) ↔ (a, −y). Nella
(∗) dell’ esercizio 3.22 abbiamo sfruttato proprio questo modello, con b = 1 ed
α = a/2π. Potremmo dunque ottenere K direttamente da M, identificando tra
loro i punti p(−1, θ) e p(1, θ), che corrispondono ai punti (−b/2, y) e (b/2, y) di
R con y = aθ/π. Ma questo non conviene. Conviene invece prendere b = 2,
e pensare M ottenuto dal sottorettangolo [0, a] × [−1/2, 1/2] di R. In questo
0
modo M risulta contenuto in un nastro più largo M , a sua volta ottenuto da R.
0
Il segmento sp di M è contenuto in un analogo segmento s0p di M , con lo stesso
centro di sp ma lungo il doppio. L’ identificazione (−b/2, y) ↔ (b/2, y) trasforma
s0p in un cerchio cp ed sp diventa un semicerchio di cp . Ma un semicerchio è
naturalmente omeomorfo al diametro che congiunge i suoi punti estremi. Quindi
possiamo reinterpretare sp come un diametro di cp . Abbiamo cosı̀ la costruzione
utilizzata per dedurre (1), salvo irrilevanti dettagli: per esempio, i cerchi cp ci
risultano di raggio 2/π, mentre li avremmo voluti di raggio 1. Ma possiamo
sempre ingrandirli.
Esercizio 3.24 Fornite una rappresentazione del nastro di Moebius mediante
un’ equazione ed opportune disequazioni.
Risposta. E’ chiaro dalla costruzione utilizzata per dedurre la rappresentazione
parametrica di K che proiettando ortogonalmente K da R4 su R3 si ottiene il
nastro chiuso M.
Algebricamente, si prende uno dei due sistemi (2) o (3) fornito nell’ esercizio 3.23, si tratta x4 come un parametro e lo si elimina, tenendo conto delle
condizioni che rendono l’ eliminazione possibile. Queste ultime si traducono in
49
una o più disequazioni che coinvolgono le rimanenti variabili x1 , x2 ed x3 . Per
esempio, dalla prima equazione di (2) possiamo ricavare
(a)
1 − x24 = x23 + ((x21 + x22 )1/2 − α)2 .
Sostituendo nella seconda equazione otteniamo
q
(b) [α2 + αx1 + 2x23 − x2 x3 ] · [x23 + ( x21 + x22 − α)2 ] = 2x23 (α2 + x23 ).
Considerando che 1 − x24 ≤ 1, dalla (a) si ottiene che
x23 + ((x21 + x22 )1/2 − α)2 ≤ 1.
Analizzando quest’ ultima disequazione si perviene infine alle seguenti due disequazioni:
(c)
x23 ≤ 1,
(x21 + x22 )1/2 ≤ α + (1 − x23 )1/2 .
La combinazione di (b) con (c) ci dà una rappresentazione di M. Per ottenere
una rappresentazione di M basta sostituire ≤ con < in entrambe le disequazioni
di (c).
Esercizio 3.25 Si dimostri che K ∼
= T /H per un opportuno gruppo H di omeomorfismi di T , con |H| = 2.
Traccia. Abbiamo definito K come quoziente K = R2 /G ove G := hστ1 , τ2 i. Il
sottogruppo N := hτ12 , τ2 i è normale in G ed H := G/N ha ordine 2. Inoltre
R2 /N ' T . La conclusione segue dall’ esercizio 3.9.
Note. 1) Il gruppo G = hστ1 , τ2 i contiene infiniti sottogruppi normali. Per
descriverli, fissiamo un po’ di notazioni. Dati due interi h, k ≥ 0 poniamo
Gh,k := h(στ1 )h , τ2k i (uguale a hτ1h , τ2k i oppure hστ1h , τ2k i a seconda che h sia
pari o dispari). In particolare, G0,0 = 1, G1,1 = G e G2,1 è il sottogruppo N
considerato nella traccia dell’ esercizio 3.25. Si ha:

T se h, k > 0 ed h è pari,



K se k > 0 ed h è dispari,
R2 /Gh,k ∼
C se h = 0 oppure 0 = k < h ed h è pari,



M se k = 0 ed h è dispari.
Siccome τ2−1 στ1 τ2 = στ1 τ22 , risulta Gh,k G se e solo se h è pari oppure 1 ≤
k ≤ 2. In tal caso, posto Hh,k := G/Gh,k , si ha


 T /Hh,k se h, k > 0, h pari,

K/Hh,k se
2
1 ≤ k ≤ 2, h dispari,
K ' (R /Gh,k )/Hh,k ∼
se h = 0 < k oppure


 C/Hh,k
k = 0 ed h pari > 0.
Inoltre Hh,k è metaciclico di ordine hk (in breve, Hh,k ∼
= Zk ·Zk ) ed è presentato
dalle relazioni xh = y k = 1 ed x−1 yx = y −1 (ove x ed y sono rappresentati
50
∼ Zh è ciclico di ordine h mentre
in G da στ1 e τ2 ). In particolare, Hh,1 =
Hh,2 ∼
= Z2 × Zh . Invece H0,k ∼
= Zk ed Hh,0 ∼
= Zh .
Esistono dunque infiniti modi di ottenere K da C o da T e persino da K
stessa come quoziente su un gruppo di omeomorfismi.
2) Supponiamo che Gh,k non sia normale in G (come nel caso di k = 0 ed h
dispari, corrispondente ad M). Possiamo ancora ottenere K come quoziente di
R2 /Gh,k , ma non mediante un gruppo di permutazioni dei punti di R2 /Gh,k
(tantomeno, un gruppo di omeomorfismi). Infatti le orbite di G su R2 sono
unioni di orbite di Gh,k . Queste corrispondono ai punti di M ' R2 /G1,0 . Però,
siccome Gh,k non è normale in G, non tutti gli elementi di G portano orbite di
Gh,k su orbite di Gh,k e pertanto G non induce un gruppo di permutazioni sull’
insieme dei punti di R2 /Gh,k .
3) Come già detto, si può ottenere K da sè stessa come quoziente su un gruppo di
omeomorfismi isomorfo a Hh,k (1 ≤ k ≤ 2 ed h dispari). In questo non c’ è nulla
di strano, cosı̀ come non c’ è nulla di strano nel fatto di poter ottenere il cerchio
come quoziente di sè stesso sul gruppo generato da una rotazione di angolo
2π/n, o il toro T = R2 /hτ1h , τ2k i da sè stesso quozientando su hτ1 , τ2 i/hτ1h , τ2k i.
3.4.2
Altre sottovarietà di R4 in relazione col nastro di Moebius
L’ intersezione di K (realizzata in R4 ) con R3 coincide col bordo del nastro di
Moebius. Quindi, se rimuoviamo K ∩ R3 da K otteniamo una varietà che viene
applicata su M dalla proiezione di R4 su R3 . Ma K \ (K ∩ R3 ) non è connessa.
Ha infatti due componenti connesse, corrispondenti rispettivamente a x4 > 0
ed x4 < 0. E non è chiusa. Infatti K \ (K ∩ R3 ) = K. Quindi non è possibile
rappresentare K \ (K ∩ R3 ) con equazioni ottenute uguagliando a 0 due funzioni
continue f, g : R4 → R.
Esercizio 3.26 Trovate una sottovarietà connesa e chiusa di R4 che venga proiettata su M dalla proiezione ortogonale di R4 su R3 .
Risposta. Nella rappresentazione parametrica di M (esercizio 3.22), scelta una
funzione continua e suriettiva f : R →] − 1, 1[, poniamo r = f (t). Otteniamo
cosı̀ la seguente rappresentazione, ove x1 (t, θ), x2 (t, θ), x3 (t, θ), x4 (t, θ) sono le
coordinate del punto generico p(t, θ) della varietà che stiamo definendo, e t e θ
sono i parametri:


 x1 (t, θ) = (α + f (t) sin θ) cos 2θ

x2 (t, θ) = (α + f (t) sin θ) sin 2θ
(1)
x3 (t, θ) = f (t) cos θ



x4 (t, θ) = t
La (1) descrive una sottovarietà di Rn , diciamola Vf . La proiezione ortogonale
di R4 su R3 applica Vf su M. La varietà Vf è connessa perché immagine di R2
mediante una funzione continua (espressa da (1)). Inoltre è chiusa. Infatti Vf è
la soluzione del seguente sistema, ottenuto da (1) eliminando i parametri.
((x21 + x22 )1/2 − α)2 + x23 = f (x4 )2 ,
(2)
(α2 + αx1 + 2x23 − x2 x3 )f (x4 )2 = 2x23 (α2 + x23 ).
51
Note. 1) La proiezione di R4 su R3 non induce un omeomorfismo da Vf a
M, nemmeno se f è iniettiva. Infatti due punti p(t, θ) e p(s, ζ) di Vf vengono
proiettati sullo stesso punto di R3 se e solo se p(t, θ) = p(s, ζ) oppure f (t) =
−f (s) e θ = ζ + kπ con k dispari.
2) Il metodo presentato nell’ esercizio 3.26 può essere utilizzato per costruire
sottovarietà di R4 diverse da K ma anch’ esse proiettate su M. Basta scegliere
f : R → [−1, 1].
3) Il metodo dell’ esercizio 3.26 non è il più generale possibile. Infatti possiamo
considerare anche una seconda funzione continua g(t) : R → R, sostituendo l’
ultima equazione di (1) con x4 = g(t). In questo modo (2) diventa:

 ((x21 + x22 )1/2 − α)2 + x23 = f (t)2 ,
(3)
(α2 + αx1 + 2x23 − x2 x3 )f (t)2 = 2x23 (α2 + x23 ),

x4 = g(t).
Se disponiamo di una relazione che leghi f e g, con un po’ di fortuna la possiamo
usare per eliminare il parametro t da (3). Questo è appunto quello che si è fatto
per ottenere le equazioni di K. In quel caso f (t) = sin t, g(t) = cos t e la
relazione che ci permette di eliminare t è sin2 t + cos2 t = 1.
Esercizio 3.27 Trovate in R4 una sottovarietà omeomorfa ad M, che sia chiusa
e connessa.
Risposta. Sappiamo che M ' R2 /hστ1 i. Questa osservazione suggerisce
di modificare la rappresentazione fornita nell’ esercizio 3.22, interpretando il
parametro r come una quarta coordinata x4 , non soggetta a restrizioni di sorta.
Riscriviamo dunque quella rappresentazione come segue:

 x1 = (α + x4 sin θ) cos 2θ
x2 = (α + x4 sin θ) sin 2θ
(1)

x3 = x4 cos θ
La (1) descrive una sottovarietà W di R4 omeomorfa ad M. Per ottenere una
rappresentazione cartesiana di W basta eliminare il parametro θ da (1). Si
ottiene il seguente sistema:
2
α + x21 + x22 + x23 − x24 = 2α(x2 + y 2 )1/2 ,
(2)
(α2 + αx1 + 2x23 − x2 x3 )x24 = 2x23 (α2 + x23 ).
Avvertenza. L’ immagine di W mediante la proiezione ortogonale di R4 su
R3 non ha però molto a che vedere con M. Essa non è nemmeno una varietà
topologica.
3.4.3
Il piano proiettivo reale
Siano τ1 e τ2 le traslazioni considerate nella sezione 3.4.1, ma con a = b = 2, per
maggiore semplicità. Siano inoltre σ1 e σ2 le rilessioni attorno agli assi y = 0
ed x = 0 di R2 :
σ1 : (x, y) 7→ (x, −y),
σ2 : (x, y) 7→ (−x, y).
52
(La riflessione σ1 è la σ della sezione 3.4.1.) Poniamo g1 := σ1 τ1 , g2 := σ2 τ2 e
G := hg1 , g2 i.
Esercizio 3.28 Risulta G((x, y)) = {((−1)v x + 2u, (−1)u y + 2v)}u,v∈Z per
ogni punto (x, y) ∈ R2 .
Esercizio 3.29 R2 /G ' P2 (R).
Traccia. Intanto, il quoziente R2 /G è una varietà topologica 2-dimensionale.
Questo non lo si può dedurre dall’ esercizio 3.14, perché la condizione (1) di
3.14 non vale nei punti dell’ orbita G((1, 1)) e nemmeno nei punti di G((1, −1))
(vedi esercizio 3.28). Però si può vedere che, se x è uno di quei punti ed r > 0
è abbastanza piccolo, allora lo stabilizzatore Gx di G agisce sul disco D(x, r)
come un gruppo di rotazioni di π con centro x. Ne segue che D(x, r)/Gx ' R2 .
Quindi, R2 /G è effettivamente una varietà di dimensione 2. Per capire di che
varietà si tratta, consideriamo un’ opportuna regione fondamentale per G. Il
quadrato semi-aperto
R = ([−1, 1[×[−1, 1[) ∪ {(−1, 1)}
è una tale regione. Passando al quadrato chiuso R = [−1, 1] × [−1, 1], si vede
che le orbite di G che intersecano il bordo di R lo intersecano in punti opposti
rispetto al centro 0 di R. Quindi R2 /G si ottiene da R identificando punti opposti del bordo. Ma R è omeomorfo al disco chiuso D2 e si sa che identificando
punti opposti del bordo di D2 si ottiene appunto P2 (R). Quindi R2 /G ' P2 (R).
Avvertenza. L’ omeomorfismo R2 /G ' P2 (R) sembrerebbe contraddire il
fatto che il rivestimento universale di P2 (R) è la sfera S2 , non il piano R2 . Il
fatto è che la proiezione pG : R2 → R2 /G non è un rivestimento. Infatti se
x ∈ G((1, 1)) ∪ G((1, −1)) allora la la restrizione di pG ad un intorno di x non
è mai iniettiva (vedi esercizio 3.28).
Esercizio 3.30 Si trovi in R5 una sottovarietà omeomorfa a P2 (R).
Soluzione. Dato un numero α > 1, sia p : [0, π] × [0, π] → R5 la funzione
definita come segue:


cos(θ + 2φ)
 (α + sin(θ + φ)) · sin(2θ + φ) 


◦

( )
p(θ, φ) = 
 (α + sin(θ + φ)) · cos(2θ + 2φ)  .
 (α + sin(θ + φ)) · sin(θ + 2φ) 
cos(2θ + φ)
Non è difficile vedere che Vα := Im(pα ) è una sottovarietà di R. Con calcoli
abbastanza laboriosi, sfruttando anche l’ ipotesi che α > 1, si verifica che la
restrizione di p all’ interno Q :=]0, π[×]0, π[ del quadrato Q = [0, π] × [0, π] è
iniettiva e per di più p(Q) ∩ p(Q \ Q) = ∅. Quindi pα induce un omeomorphismo da Q a pα (Q) (esercizio 2.38). Invece se (θ, φ), (ζ, ψ) ∈ Q \ Q allora
53
p(θ, φ) = p(ζ, ψ) se e solo se (θ, φ) + (ζ, ψ) = (π, π). E’ ora evidente che Vα è
omeomorfa alla varietà ottenuta dal quadrato R = [−1, 1] × [−1, 1] identificando
coppie di punti del bordo opposti rispetto al centro. Ma questa varietà è omeomorfa a P2 (R) (esercizio 3.29). Quindi Vα ' P2 (R).
Qualche spiegazione in più. Ho mostrato come verificare che la rappresentazione (◦ ) ci dà una varietà come voluta, ma forse si vorrebbe anche sapere
come si puó arrivare alla rappresentazione (◦ ).
Ritorniamo al nastro di Moebius M. Lo possiamo ottenere come (R ×
[−1, 1])/hg1 i ma anche come ([−1, 1] × R)/hg2 i, ove g1 e g2 hanno il senso fissato
all’ inizio di questa sezione. In altre parole, con riferimento al quadrato R di cui
alla traccia dell’ esercizio 3.29, possiamo ottenere M sia identificando i punti
(−1, r) ed (1, −r) di R per −1 ≤ r ≤ 1 che identificando i punti (s, −1) e (−s, 1)
(−1 ≤ s ≤ 1). Nel costruire P2 (R) eseguiamo entrambe queste identificazioni.
Quindi possiamo ottenere P2 (R) formando prima M mediante le identificazioni
(−1, r) ↔ (1, −r) e poi identificando tra loro i punti p(1, θ) e p(−1, π − θ) =
p(1, 2π − θ) di M per 0 ≤ θ ≤ π (notazione come in (∗) dell’ esercizio 3.22).
Questi punti di M li possiamo far corrispondere ai punti (1, −s) e (−1, s) di R
con s = cos θ.
Questa costruzione è simile a quella usata nell’ esercizio 3.23 per la bottiglia
di Klein, eccetto che ora i punti di M da identificare vengono visti non come
punti di un cerchio che esce fuori da R3 ma come punti di una curva su un
0
secondo nastro di Moebius M , da collocare in parte fuori di R3 .
Per capire di che curva si tratti, consideriamo il punto p(r, 0) = p(−r, π)
di M corrispondente ai punti (−1, r) e (1, −r) di R. Il segmento da (−1, r)
a (1, −r) corrisponde in M alla curva Cr := {p(r, ζ)}0≤ζ≤π . Dobbiamo allora
0
immaginare di identificare p(1, θ) e p(−1, π −θ) nel secondo nastro M vedendoli
0
come estremi di una curva Cθ0 := {p0 (s, ψ)}0≤ψ≤π di M analoga a Cr , ove
0
0
p (s, 0) = p(1, θ), p (−s, π) = p(−1, π − θ) ed s = cos θ.
0
In quel che si è detto non si ha completa simmetria di ruoli tra M ed M .
Per realizzarla basta rimpiazzare Cr e Cθ0 con altre curve Γφ e Γ0θ non troppo
lontane da Cr e Cθ0 , ove φ = arcos(r):


(α + sin(ζ + φ)) · cos(2ζ + 2φ)
Γφ = {pφ (ζ)}0≤ζ≤π ,
pφ (ζ) =  (α + sin(ζ + φ)) · sin(ζ + 2φ) 
cos(2ζ + φ)

Γ0θ = {p0θ (ψ)}0≤ψ≤π ,

cos(θ + 2ψ)
p0θ (ψ) =  (α + sin(θ + ψ)) · sin(2θ + ψ) 
(α + sin(θ + ψ)) · cos(2θ + 2ψ)
La (◦ ) fonde questi due sistemi di curve in una unica rappresentazione, collocando Γ0θ nel sottospazio x4 = x5 = 0 di R5 e Γφ nel sottospazio x1 = x2 = 0,
ed identificando la terza coordinata di Γ0θ con la prima di Γφ , in modo da non
usare più dimensioni del necessario.
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Esercizio 3.31 Si dimostrino le seguenti affermazioni.
(1) P2 (R) ' K/HK per un opportuno gruppo HK di omeomorfismi di K, ove
HK ∼
= Z2 (e Z2 sta ad indicare il gruppo di ordine 2).
(2) P2 (R) ' T /HT per un opportuno gruppo HT di omeomorfismi di T , con
HT ∼
= Z2 × Z2 . Inoltre, per ogni decomposizione HT = K1 × K2 con K1 ∼
= K2 ∼
=
Z2 , risulta T /K1 ' K e pertanto
P2 (R) ' (T /K1 )/(HT /K1 ) ' K/K2 ' K/HK .
Traccia. I sottogruppi NT = hτ12 , τ22 i ed NK = hσ1 τ1 , τ22 i (oppure hτ12 , σ2 τ2 i)
sono normali in G := hσ1 τ1 , σ2 τ2 i e sappiamo che R2 /NT ' T , R2 /NK ' K e
R2 /G ' P2 (R). Le conclusioni seguono dall’ esercizio 3.9, come nella traccia
dell’ esercizio 3.25.
Nota. Si può ripetere per hσ1 τ1 , σ2 τ2 i quello che si è detto per il gruppo hστ1 , τ2 i
nelle note all’ esercizio 3.25. Come hστ1 , τ2 i, anche hσ1 τ1 , σ2 τ2 i contiene infiniti
sottogruppi normali che ci danno infiniti altri modi di realizzare P2 (R) come
quoziente di T o di K o anche di P2 (R) stesso. E, come per K, possiamo anche
ottenere P2 (R) come quoziente di M, ma non mediante un gruppo.
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Indice
1. Spazi metrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 1
1.1. Distanze ed equivalenza tra distanze. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 1
1.1.1. Alcuni esempi. 1.1.2. Equivalenza tra distanze. 1.1.3. Prodotti di spazi
metrici. 1.1.4. Produzione di nuove distanze da una distanza data. 1.1.5. Un
caso estremo: distanze su insiemi finiti.
1.2. Continuità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 9
1.2.1. Unifome continuità e funzioni Lipschitziane. 1.2.2. Operatori lineari.
1.2.3. Inverse di funzioni continue. 1.2.4. Proiezioni. 1.2.5. Un teorema di
punto disso. 1.2.6. Altri esempi.
2. Spazi topologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 17
2.1. Chiusura e frontiera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 17
2.2. Assioni di separazione e di numerabilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .p. 18
2.2.1. Semi-Hausdorff e Hausdorff. 2.2.2. Convergenza di successioni. 2.2.3.
Continuità per sccessioni. 2.2.4. Regolarità e normalità.
2.3. Togologie generate da famiglie di insiemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 21
2.3.1. Terminologia e notazione. 2.3.2. Alcuni esempi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 22
2.4. Trasferire una topologia da un insieme ad un altro. . . . . . . . . . . . . . . . . p. 23
2.5. Prodotti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .p. 25
2.6. Compattezza. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 28
2.6.1. In generale. 2.6.2. In spazi metrici.
2.7. Connessione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 32
2.7.1. Un criterio di connessione. 2.7.2. Connessione per archi. 2.7.3. Archi,
cappi e curve in R2 . 2.7.4. Alcuni gruppi di matrici.
2.8. Topologia di Zariski. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 37
3. Varietà e dintorni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 40
3.1. Spazi localmente Rn e varietà topologiche. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .p. 40
3.2. Quozienti su gruppi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 43
3.3. Incollature. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 45
3.4 Alcune varietà toplogiche. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 46
3.4.1. Toro, nastro di Moebius e bottiglia di Klein. 3.4.2. Altre sottovarietà di
R4 in relazione col nastro Moebius. 3.4.3. Il piano proiettivo reale.
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