CAMPUS ESTIVO DI MATEMATICA, FISICA E ASTROFISICA 17-23 luglio 2016 BARDONECCHIA INTRODUZIONE ALLA MECCANICA QUANTISTICA Donatella Crosta (SAIt ) Indice Introduzione Lo sviluppo storico I fatti sperimentali e le idee: Spettro del corpo nero e la relazione di Planck Effetto fotoelettrico e la spiegazione da parte di Einstein Diffusione Compton Spettro dell’idrogeno e la quantizzazione di Bohr L’aspetto ondulatorio della materia e la lunghezza d’onda di de Broglie Il fallimento dei concetti familiari : esperimento delle due fenditura di Feynman una nuova rappresentazione degli oggetti fisici Il principio di Heisenberg : il postulato di misura Nucleo essenziale del “formalismo” matematico : Paradossi quantistici:“il barile di polvere” e “il gatto di Schrődinger” “collasso della funzione d’onda”o riduzione dello stato La fisica quantistica è completa ? Correlazione quantistica o “entanglement”: particelle che si intrecciano “olismo” La non separabilità: paradosso EPR e teorema di Bell Conclusioni 2 Introduzione “Penso di poter tranquillamente dire che nessuno capisce la meccanica quantistica” Richard Feynman “Nelle scienze esatte è lecito presupporre che sarà sempre possibile comprendere la natura, non bisogna però fare alcuna assunzione a priori sul significato della parola “comprendere” Werner Heisenberg Capire significa ricondurre a schemi mentali noti ciò che cerchiamo di comprendere, però i nostri schemi mentali sono basati sull’esperienza e noi abbiamo esperienza solo del mondo classico: la nostra intuizione non ci aiuta quindi a capire la meccanica quantistica ( Feynman, 1965 ). Tutte le scienze hanno una struttura comune ed ogni teoria si basa su un insieme di regole, assiomi o postulati , combinando i quali si creano nuove asserzioni, leggi o teoremi: l’insieme di questi costituiscono la teoria. I matematici sono liberi di scegliere i postulati in modo del tutto arbitrario, secondo criteri di ragionevolezza; i fisici invece scelgono i postulati facendosi guidare dagli esperimenti : infatti lo scopo della fisica è quello di descrivere la natura attraverso osservazioni. Cercherò di seguire, per quanto possibile, quest’ultimo approccio per non perdersi in un formalismo troppo astratto che può far perdere di vista l’aspetto fisico, anche se comunque dovremo utilizzarlo in forma molto semplice. Pensiamo allora ad un atomo, il più semplice, l’atomo di idrogeno: questo sistema ci ricorda quello formato da Sole e Terra. Immaginiamo che l’analogia sia esatta e domandiamoci se questo tipo di analogia è appropriata. Allora l’elettrone deve possedere una traiettoria ben definita, come quella di un pianeta, ma per l’elettromagnetismo dovrebbe perdere energia emettendo luce fino a “precipitare” sul nucleo! Cosa che non accade: gli atomi sono struttura stabili. Che lezione trarre? Nel mondo dell’ infinitamente piccolo quasi niente obbedisce alle leggi della fisica classica (meccanica per gli oggetti materiali, elettromagnetismo per i 3 fenomeni elettromagnetici e termodinamica per i trasferimenti di calore e di moto) La fisica quantistica quindi costringe ad una rottura netta sia con l’intuito sia con le rappresentazioni semplici e “ragionevoli” del mondo che ci circonda, utilizzando entità astratte che disturbano il nostro senso della realtà. Nonostante le difficoltà legate all’interpretazione, essa è diventata una teoria che è alla base di quasi tutte le branche della fisica moderna, avendo applicazioni in vari settori: dalla fisica delle particelle, all’astrofisica, all’elettronica, alla fisica dei solidi. Lo sviluppo storico Verso la seconda metà del XIX secolo c’era la convinzione che la meccanica "classica" (Newton e sviluppi successivi), l’elettromagnetismo ( equazioni di Maxwell) e la termodinamica (Carnot, Joule ) riuscissero spiegare tutti i fenomeni naturali anche quelli ancora di difficile interpretazione. Tuttavia negli ultimi anni del secolo, e nei primi di quello successivo, vennero eseguiti alcuni esperimenti che in alcun modo potevano essere inquadrati nei modelli precedenti. Questi fenomeni riguardavano il mondo dell’infinitamente piccolo ( struttura intima della materia e interazioni materia ed energia, stabilità degli atomi) Queste scoperte portarono ad una rivoluzione del pensiero scientifico paragonabile a quella del XVII secolo con Galilei e Newton. In un primo momento i fisici cercarono dei modelli "ad hoc" per le varie classi di fenomeni. Non si trattava di un ritorno all’aristotelismo, ma di un tentativo di descrivere in un modo completamente nuovo ciò che si osservava sperimentalmente. Tutti questi modelli sviluppati "ad hoc", avevano però un punto fondamentale in comune: l’energia doveva essere "quantizzata". In pratica i vari sistemi fisici possono scambiare energia soltanto in quantità ben definite: a pacchetti o "quanti". Il quanto elementare di energia è legato ad una costante universale la costante h, che oggi chiamiamo costante di Planck e che vale 6.62618·0-34J s. Planck fu il primo ad introdurla per spiegare lo spettro di corpo nero. Solo in un secondo momento, a partire dagli anni 20 del XX secolo si cominciò a sviluppare una teoria organica che portò alla moderna meccanica quantistica. La nuova fisica dà una visione probabilistica della realtà microscopica in contrasto con la visione deterministica del mondo 4 macroscopico dato dalla fisica classica. Gli stessi concetti di realtà fisica e di misura delle grandezze fisiche hanno subito un mutamento radicale. Il 14 dicembre 1900 alla Physikalische Gesellschaft di Berlino, Max Planck affermò che ci si poteva liberare dei paradossi che infestavano la teoria classica dell’emissione e assorbimento della luce da parte di corpi materiali: l’energia raggiante poteva esistere solo sotto forma di pacchetti di energia discreti. Questa può essere considerata la nascita della fisica quantistica. Cinque anni dopo Albert Einstein applicò con successo l’idea dei quanti di luce per spiegare l’effetto fotoelettrico. Nel 1913 Niels Bohr estese l’idea di Planck alla descrizione dell’energia meccanica degli elettroni in un atomo e nel 1925 Louis de Broglie diede un’interpretazione delle orbite quantizzate di Bohr; subito dopo Werner Heisenberg e Erwin Schrödinger formularono due diverse teorie, rispettivamente la meccanica matriciale e la meccanica ondulatoria che pur essendo diverse dal punto di vista matematico, esprimevano gli stessi concetti dal punto di vista fisico. IL CORPO NERO Nell’Universo è presente radiazione e materia; quando la radiazione incontra la materia viene in parte assorbita, ma se non venisse anche riflessa come nel caso ad esempio della Terra, che riceve continuamente energia dal Sole, aumenterebbe la propria temperatura progressivamente, cosa che invece, ad eccezione di qualche piccola oscillazione, non accade. Quindi l’assorbimento è accompagnata dall’emissione La legge di Stefan-Boltzamann esprime la quantità di energia emessa in un tempo Δt da un corpo alla temperatura T ΔQ/ Δt = εσA T4 1) dove A è l’area della superficie raggiante, ε è il coefficiente di emissione (o assorbimento ) che può assumere valori compresi tra 0 e 1 a seconda delle caratteristiche fisiche della superficie: una superficie avente il massimo di emittanza pari a 1 è detto corpo nero. σ vale 5,67 · 10-8 W / m²K4 ed è chiamata costante di Stefan-Boltzmann in onore di Stefan che scoprì sperimentalmente la legge 1) nel 1879 e Boltzmann che la ricavò teoricamente subito dopo. Un corpo nero è un sistema fisico formato da una cavità con un piccolissimo foro, tale che la radiazione che vi entra ha bassa probabilità di uscirne. La frazione di energia che esce dal foro prende il nome di radiazione del corpo nero e dipende esclusivamente dalla temperatura delle pareti. 5 L’esperimento mostra che fino ad una certa temperatura la cavità appare nera, verso i 600°C comincia ad emettere luce di colore rosso scuro, al crescere della temperatura la luce diventa sempre più intensa fino a diventare di colore bianco. Se, per diverse temperature, si registra l’intensità della radiazione alle varie lunghezze d’onda si ottiene il grafico di fig.1. Si nota che il valore della lunghezza d’onda λmax a cui corrisponde il massimo di intensità cresce in proporzione con la temperatura T secondo la legge di Wien λmax T = 2,898·10- ³ m·K 2) fig.1 Il grafico di fig.1 mostra lo spostamento del massimo di emissione verso lunghezze d’onda più corte all’aumentare della temperatura secondo la legge di Wien: 6 Le spiegazioni Secondo la legge classica, modello proposto da Rayleigh e Jeans, gli atomi della superficie interna della cavità si comportano come piccole antenne capaci di assorbire e riemettere la radiazione . Le previsioni classiche sono in accordo con i dati sperimentali solo per valori grandi della lunghezza d’onda, questo modello però porta a prevedere che la radiazione aumenti con il diminuire della lunghezza d’onda e che quindi l’energia emessa sia infinità! ( catastrofe ultravioletta ) . Se questo fosse vero, aprendo semplicemente un forno da cucina saremmo investiti da una radiazione ultravioletta mortale di potenza infinita. La legge di Rayleigh- Jeans sull’andamento dell’intensità della radiazione emessa in funzione della lunghezza d’onda è espressa come P ( λ, T ) = 2πckB T/ λ4 3) Dove kB = 1,381 10ˉ²³ J/ K è la costante di Boltzmann Nel 1899 Planck fece l’ipotesi che lo scambio di energia tra radiazione e materia non avvenisse in modo continuo ma discreto, cioè per multipli interi di una quantità minima fondamentale di energia, quanto, la cui energia è proporzionale alla frequenza della radiazione secondo la relazione E = hν 4) dove h è la costante di Planck, il cui valore è h= 6,62618 -10-34 J s poiché la costante di Planck ha le dimensioni fisiche di un’energia per un tempo, ossia di un’azione, fu chiamata quanto d’azione*. Nonostante questo successo Planck in un primo tempo considerava l’introduzione dei quanti un artificio di calcolo: infatti presentando i suoi risultati al congresso della Società tedesca di Fisica il 14 dicembre del 1900 definì la quantizzazione “ un atto di disperazione” . Negli anni successivi la quantizzazione si sarebbe rivelata la caratteristica fondamentale dei fenomeni microscopici. *Il significato di “azione” L’azione è definita come prodotto tra variazione di energia e intervallo di tempo ΔEΔt o come prodotto tra variazione di quantità di moto e variazione di posizione ΔpΔx. E’ una 7 grandezza della fisica classica per mezzo della quale si possono spiegare alcune proprietà dei corpi come ad esempio il caso del moto di una particella su un piano inclinato per cui si dimostra che esiste una particolare traiettoria (cicloide ) per la quale l’azione è minima ( principio di minima azione formulato da P.L.M. de Maupertuis nel 1747). Un altro esempio si ha in ottica nel principio di Fermat nel caso di un raggio che subisce una rifrazione passando da un mezzo ad un altro Spettro della luce bianca emessa dal filamento di una lampada Lo studio delle proprietà del corpo nero permette di comprendere i meccanismi di emissione delle sorgenti astronomiche ed anche di sorgenti ad una determinata temperatura quali, ad esempio, il filamento di una lampada fig.2 Il grafico di fig.2 mostra l’intensità di emissione di una lampada ad incandescenza ; il massimo è collocato nell’ infrarosso eppure la lampada 8 emette luce visibile; questo perché, come si vede dal grafico la funzione si estende fino a 0.3 micron che comprende l’intervallo di lunghezze d’onda del visibile. In base a quanto detto sopra si può vedere come a lunghezze d’onda dell’infrarosso l’energia emessa sia maggiore di quella emessa a lunghezze d’onda dell’ultravioletto. EFFETTO FOTOELETTRICO La teoria ondulatoria della radiazione elettromagnetica entrò in crisi verso la fine del XIX secolo con gli esperimenti condotti da H. Hertz ( 1857-1894) e da P.Lenard (1862-1947) che pubblicò i risultati nel 1902 e ricevette il premio Nobel nel 1905. Questi esperimenti mostrarono un effetto nuovo nell’interazione della luce con la materia : l’effetto fotoelettrico, che consiste nel far incidere un fascio di luce di lunghezza d’onda opportuna su una superficie metallica che in determinate condizioni può espellere elettroni. Nel 1900 Lenard dimostrò che quando la luce incide su una superficie metallica, l’energia cinetica degli elettroni estratti , fotoelettroni, non dipende dall’intensità della luce assorbita dalla lastra, che determina invece il numero degli elettroni emessi. La fig.3 mostra l’apparato sperimentale per lo studio dell’effetto fotoelettrico. Fig.3 9 La luce ultravioletta colpisce il catodo C posto in un tubo a vuoto; tra C ed A vi è una differenza di potenziale che può essere variata , gli elettroni emessi quindi possono essere sia accelerati sia rallentati . Tramite un potenziometro si può modificare sia il segno sia il modulo del potenziale dell’anodo. L’anodo A , in corrispondenza quindi di un valore Vo del potenziale , potenziale d’arresto , può respingere tutti gli elettroni, arrestandoli. In questa situazione l’amperometro A segna l’eventuale passaggio di corrente. 1° esperimento Si regola il potenziale ad un valore V0 ,chiamato potenziale d’arresto, in corrispondenza del quale l’anodo può respingere tutti i fotoelettroni causandone l’arresto. In questa situazione di equilibrio l’energia totale del sistema è nulla : l’energia potenziale negativa che arresta i fotoelettroni eguaglia la loro energia cinetica Ecinmax = e Vo 5) dove e è la carica dell’elettrone La fig.4 mostra l’andamento della corrente in funzione della differenza di potenziale quando la lastra è colpita da luce di lunghezza d’onda fissata. Fig.4 i I3 I2 I1 ν>ν0 V0 V 10 Si nota che il valore limite della corrente è direttamente proporzionale all’irraggiamento I (energia assorbita nell’unità di tempo per unità di superficie perpendicolare alla direzione della luce) mentre il potenziale d’arresto e quindi l’Energia cin max degli elettroni è indipendente dall’irraggiamento Le spiegazioni Secondo la fisica classica : se la luce è un’onda elettromagnetica, l’elettrone sotto l’azione del campo elettrico oscillante si mette ad oscillare e se acquista energia sufficiente riesce a sfuggire dalla superficie del metallo. Aumentando l’irraggiamento dovrebbe aumentare l’energia cinetica massima dell’elettrone espulso, ma ciò non accade . Secondo l’ipotesi dei fotoni: Einstein nel 1905 riprese l’ipotesi di Planck dimostrando che gli atomi del materiale acquistano l’energia non con continuità ma a pacchetti di energia denominati fotoni , ciascuno dei quali possiede un’energia pari a E= hv 6) quindi ciascun elettrone può essere emesso solo se il singolo fotone cede una quantità di energia sufficiente a strappare l’elettrone dalla superficie del metallo: questo particolare valore dell’energia è chiamato lavoro di estrazione Wo . Se si aumenta quindi l’intensità della radiazione, aumenta solo il numero dei fotoni ma non la loro energia e quindi neppure quella degli elettroni. 2° esperimento Si fa variare la frequenza della luce incidente, si osserva che l’effetto fotoelettrico non avviene se la frequenza non supera un valore minimo detto frequenza di soglia vo che è sempre lo stesso qualunque sia l’intensità della luce 11 fig.5 La fig.5 mostra l’andamento dell’energia cinetica e quindi del potenziale d’arresto al variare della frequenza della radiazione incidente. Le spiegazioni Secondo la fisica classica, se la luce è un’onda gli elettroni possono sempre essere espulsi: è sufficiente fornire l’energia necessaria e cioè luce di intensità elevata, ma ciò non accade, l’effetto fotoelettrico non avviene se la frequenza è minore della frequenza di soglia. Secondo l’ipotesi dei fotoni : l’elettrone, per spezzare il legame che lo tiene legato all’atomo deve acquistare una quantità minima di energia, detta energia o lavoro di estrazione Wo . Se il fotone non cede un’energia E= h v almeno uguale a Wo l’elettrone non riesce ad abbandonare la superficie. Un fotone di frequenza maggiore cederà all’elettrone una quantità maggiore di energia, ma l’elettrone, per poter sfuggire dal metallo, dovrà cederne una parte , Wo , a seconda del tipo di materiale Legge dell' effetto fotoelettrico da parte di Einstein h v = Wo + E cin max 7) questa legge non è altro che una legge di conservazione dell’energia per l’interazione di un fotone di frequenza v ed un elettrone appartenente ad una sostanza caratterizzata da un lavoro di estrazione Wo . l’eventuale 12 eccedenza di energia , h v - Wo la si ritrova sotto forma di energia cinetica dell’elettrone come si può osservare dalla fig.5 APPLICAZIONI DELL’EFFETTO FOTOELETTRICO Dispositivo ad accoppiamento di carica ( CCD ) Vengono usati nelle fotocamere digitali al posto della pellicola , nelle videocamere digitali negli scanner ed in astronomia. Con luce visibile una “matrice” CCD è formata da uno strato semiconduttore di Silicio e da un certo numero di elettrodi, tale matrice è divisa in parti, pixel, ciascuno dei quali cattura un’immagine. Una fotocamera può averne fino a dieci milioni. Consideriamo un pixel: un fotone colpisce il silicio producendo elettroni per effetto fotoelettrico, che rimane intrappolato all’interno del pixel a causa del potenziale applicato, quindi il numero di elettroni intrappolati è proporzionale al numero di fotoni e quindi all’intensità della luce in quel punto. L’informazione sul colore avviene mediante filtri o prismi che separano i colori Cancelli automatici Un’unità trasmittente invia un fascio di infrarossi ( IR ) attraverso il vano apertura, che viene raccolto da un’unità ricevente fornita di fotodiodo ( dispositivo che , colpito da una radiazione elettromagnetica, restituisce una differenza di potenziale proporzionale alla radiazione incidente ). Se un ostacolo intercetta il fascio impedisce alla luce di raggiungere l’unità ricevente e la corrente nel fotodiodo diminuisce. Questa variazione di corrente viene rilevata da un dispositivo elettronico che blocca la chiusura del cancello. Astronomia v. foto in scuola estiva /fotoelettrico/corponero_astronomia Fotomoltiplicatori elettronici I fotomoltiplicatori elettronici sono dispositivi che rivelano la presenza di un flusso luminoso con una sensibilità complessiva molto elevata, sfruttando contemporaneamente il fenomeno della fotoemissione e quello della emissione secondaria. Il principio di funzionamento di un fotomoltiplicatore è indicato in figura. La luce incidente su un catodo fotoemissivo (fotocatodo) che provvede all'emissione di elettroni in numero proporzionale al numero dei fotoni incidenti 13 (in medi a l ' emi s s i one di un el et t r one puòcor r i s ponder e al l ' i nci denza di 10÷20 f ;otglioni ) elettroni così emessi sono convogliati (per mezzo di un opportuno potenziale acceleratore) verso l'elettrodo. Di denominato dinodo. Gli elettroni che giungono sul dinodo Di cedono la loro energia cinetica provocando l'emissione secondaria di altri elettroni dal dinodo stesso (ad un elettrone incidente o primario possono corrispondere anche più di 10 elettroni secondari). Gli elettroni secondari emessi dal dinodo Di vengono convogliati e quindi moltiplicati (sempre per emissione secondaria) dal dinodo successivo e così via fino all'ultimo elettrodo raccoglitore che è l'anodo. È evidente quindi che da una piccola quantità di luce mediante il fotomoltiplicatore si può ottenere una apprezzabile intensità di corrente: si può giungere ad una sensibilità di alcuni ampere/lumen. Il fotocatodo è costituito da un supporto rivestito di uno strato di materiale fotosensibile come ad esempio l'antimoniuro di cesio, l'ossido di rame-berillio e l'ossido di argento-magnesio. L'amplificazione complessiva A del sistema di moltiplicazione elettronica, ossia il rapporto tra il numero di elettroni raccolti dall'anodo e quello degli elettroni emessi dal fotocatodo, dipende dal rendimento di raccolta e dal coefficiente di emissione secondaria di ogni dinodo. Il rendimento di raccolta g è il rapporto tra il numero di elettroni incidenti in un dinodo ed il numero di elettroni emessi dal dinodo precedente; LA DIFFUSIONE COMPTON La teoria venne definitivamente accettata nel 1924, quando Arthur Compton (1892-1962 ) scoprì un fenomeno legato all’esistenza dei fotoni. Secondo la teoria della relatività ad un’onda elettromagnetica che trasporta energia, E, è associata una quantità di moto p= E/c : infatti nella teoria della relatività l’energia di una particella è data da E² =p²c² + ( mc² ) ² 8) Nel caso di particella con massa a riposo nulla come il fotone si ottiene: E² =p²c² → E = pc 9) e quindi p = E /c 10) quindi un fotone possiederà una quantità di moto p = hν/c = h/λ 11) dove λ è la lunghezza d’onda della radiazione 14 L’esperimento che Compton realizzò consiste nell’inviare un fascio di raggi X di lunghezza d’onda λ contro un bersaglio costituito di atomi di carbonio La fig.6 è una rappresentazione schematica dell’effetto Compton Il fotone giunge da sinistra ed urta l’elettrone in quiete; dopo l’urto il fotone si muove lungo una direzione che forma un angolo φ con la direzione prima dell’urto fig.6 Si osservò che i raggi diffusi avevano una lunghezza d’onda λ’ maggiore della lunghezza d’onda λ dei raggi incidenti. La differenza tra le lunghezze d’onda non dipende dal materiale del bersaglio, ma dipende unicamente dall’ angolo φ secondo la legge determinata da Compton λ’ – λ = λo (1 – cos φ ) 12) dove λo = h / mc =2.4 · 10 ˉ¹² m. prende il nome di lunghezza d’onda Compton 15 Se φ = 0 il fotone diffuso ha la stessa lunghezza d’onda di quello incidente, ossia non c’è interazione. Se φ = 90° allora λ’ – λ = λo Se φ = 180°, cioè per radiazione diffusa all’indietro. la differenza è massima Le spiegazioni Secondo la teoria elettromagnetica classica : gli elettroni dovrebbero oscillare con la stessa frequenza della radiazione incidente ed emettere a loro volta radiazioni di frequenza uguale a quella della radiazione incidente Secondo l’ipotesi dei fotoni : l’urto avviene in modo simile ad un urto tra palle da biliardo; ammettendo che valgano le leggi di conservazione dell’energia e della quantità di moto : hν = hν’ + Ecin 13) dove hν è l’energia del fotone incidente hν’ l’energia del fotone diffuso Ecin ll’energia cinetica acquistata dall’elettrone LO SPETTRO DELL’ATOMO DI IDROGENO Spettri di emissione degli atomi Sul finire del XIX secolo furono effettuati esperimenti che consistevano nel far passare scariche elettriche nei gas ed analizzando la luce emessa. Analizzando allo spettroscopio si evidenzia uno spettro a righe di emissione del gas: cambiando il gas cambia il tipo di spettro Un fascio di luce che incide su un prisma viene scomposto nelle sue componenti monocromatiche dando luogo, su uno schermo posto dietro il prisma , ad uno spettro continuo di tutti i colori dal rosso fino al violetto. Oltre gli spettri di emissione si hanno spettri di assorbimento che si ottengono quando la luce bianca viene fatta passare attraverso un elemento. 16 Il confronto tra spettro di emissione e d assorbimento di una stesso elemento mostra che le righe di emissione hanno la stessa posizione di quelle di assorbimento, ciò significa che ogni elemento assorbe lo stesso tipo di radiazione che è in grado di emettere ( principio di inversione dello spettro ) La fotografia mostra lo spettro di emissione del mercurio Gli spettri di un elemento rappresentano un “messaggio” sulla struttura dell’atomo di quell’elemento. Il primo passo per decifrare questo messaggio fu fatto da Balmer ( 18251898 ) che nel 1885 riuscì ad esprimere le frequenze ν delle righe dello spettro dell’atomo di idrogeno con la seguente formula, detta serie di Balmer ν = R ( 1 / 4 – 1 / n² ) n = 3, 4, 5,… 14) Dove R = 3,2881·10 15 Hz è la costante di Rydberg 17 Negli anni successivi Lyman, Paschen e Brackett scoprirono altre serie di righe rispettivamente nell’ultravioletto e nell’infrarosso In conclusione l’intero spettro dell’atomo di idrogeno può essere espresso dalla formula ν = R ( 1 / m² - 1 / n² ) 15) dove per m = 1, 2 ,3 ,4 si hanno rispettivamente le serie di Lyman, Balmer, Paschen e Brackett ed n assume valori interi maggiori di m. LA “QUANTIZZAZIONE” DI BOHR In questi anni si svilupparono i modelli dell’atomo “plum pudding” di Thomson ( 1865-1940 ), lo scienziato che scoprì l’elettrone, modello che fu abbandonato per il modello di Rutherford, che tuttavia non riusciva a spiegare due fatti: 1) secondo l’elettrodinamica classica un elettrone, ruotando, irraggia energia quindi alla fine dovrebbe cadere sul nucleo; il tempo previsto per perdere tutta l’energia è dell’ordine del centomilionesimo di secondo ! 2) la frequenza di rotazione dovrebbe diventare sempre più grande con il diminuire del raggio dell’orbita e la radiazione emessa dovrebbe dar luogo ad uno spettro continuo in disaccordo con i fatti sperimentali Niels Bohr (1885-1962 ) nel 1911, riprendendo l’ipotesi dei quanti, enunciò i seguenti postulati: 1) l’elettrone ruota su orbite stazionarie senza perdere energia 2) le orbite stazionarie sono caratterizzate da avere un momento angolare L multiplo intero della costante di Planck secondo la seguente formula (quantizzazione del momento angolare) L = n h / 2π n= 1, 2, 3 ….. 16) 18 3) un elettrone può passare da un’orbita stazionaria ad un’altra di energia inferiore, emettendo un quanto di radiazione di frequenza ν, secondo la relazione Efin – Ein = hν 17) I primi due postulati sono in pieno contrasto con la fisica classica: il primo ammette che una carica elettrica possa ruotare senza irraggiare, il secondo introduce la quantizzazione per le orbite, escludendo quindi infinite orbite, il terzo spiega il meccanismo dell’irraggiamento L’ ASPETTO ONDULATORIO DELLA MATERIA La teoria di Bohr non soddisfaceva completamente i fisici nel periodo tra il 1913 ed il 1925 : infatti non spiegava alcuni fatti ( ad esempio l’intensità delle righe spettrali ) ed era incongruente in quanto faceva uso di alcune leggi della fisica classica ma ne rinnegava altre. Tra il 1925 ed il 1927 per opera di alcuni fisici quali de Broglie, Heisenberg, Schrödinger, Born, Pauli, Dirac ed altri si sviluppò una nuova teoria, la meccanica quantistica, che riuscì a spiegare con successo tutti i fenomeni atomici conosciuti Lunghezza d’onda di de Broglie L’idea di de Broglie ( 1892-1987 ) fu il punto di partenza per la costruzione della meccanica quantistica. De Broglie prese come modello le orbite elettroniche di Bohr per il suo modello di onde. Immaginò che ogni elettrone, muovendosi lungo un’orbita, fosse accompagnato da un’onda. La prima orbita quantica portava una sola onda, la seconda due e così via: quindi la lunghezza della prima onda sarà uguale alla lunghezza della prima orbita 2πr1, quella della seconda uguale alla metà della lunghezza della seconda orbita 2πr2 /2 e così via. Le relazioni introdotte da Einstein per i fotoni E = hν = ħ2π / T= ħω p=h/λ 18 ) si applicano anche ad una particella, come un elettrone 19 Quindi per de Broglie l’aspetto corpuscolare dei fenomeni è una manifestazione di una legge generale che vale sia per la radiazione sia per la materia. Per l’elettrone nell’atomo la meccanica classica prevede un’orbita chiusa, quindi perché sia stabile, l’onda associata all’elettrone dovrà richiudersi su se stessa, quindi, come detto sopra, la lunghezza dell’orbita deve essere uguale ad un numero intero di lunghezze d’onda (v.fig.7). Fig. 7 2π rn = n λ 19 ) dove rn è il raggio dell’orbita le orbite risultano così quantizzate ; confrontando 18 ) e 19) si ottiene 2π rn = n h / p 20) m v rn = n h / 2π 21) che coincide con la quantizzazione del momento angolare 16) vista precedentemente. 20 Esperimento di Davisson e Germer Le ipotesi di de Broglie vennero confermate da un esperimento realizzato nel 1927 da Davisson e Germer. Essi inviarono contro un bersaglio di nichel un fascio di elettroni ( v. fig.8 ) con lunghezza d’onda dello stesso ordine di grandezza del passo reticolare, misurarono la distribuzione degli elettroni e trovarono una distribuzione di elettroni con massimi e minimi disposti regolarmente fig.8 21 La fig.9 mostra il confronto tra le figure di diffrazione ottenute con elettroni, a sinistra, e con raggi X, a destra. Dato che la lunghezza d’onda è confrontabile con quella dei raggi X di eguale energia si possono confrontare le figure create sullo stesso bersaglio fig.9 Questo risultato poteva essere spiegato solo come interferenza delle “onde con lunghezza d’onda di de Broglie” associate agli elettroni. Heisenberg dirà:luce e materia sono fenomeni fisici unitari; la loro apparente doppia natura deriva soltanto dalla sostanziale insufficienza del nostro linguaggio. L’equazione d’onda di Schrödinger De Broglie non elaborò però subito una teoria matematica del fenomeno; nel 1926, circa un anno dopo la sua pubblicazione, un fisico austriaco Erwin Schrödinger scrisse un’equazione generale per le onde di de Broglie dimostrandone la validità per ogni tipo di moto elettronico. Questa equazione è molto simile alle equazioni d’onda relative alla propagazione delle onde sonore e delle onde elettromagnetiche: ne riparleremo più avanti. I risultati, relativi ai livelli energetici dell’atomo di idrogeno,ottenuti sulla base 22 dell’equazione di Schrödinger sono identici a quelli ottenuti in base alla teoria di Bohr, ma cambia notevolmente l’aspetto fisico. Secondo Bohr si avevano orbite circolari ed ellittiche su cui ruotano gli elettroni puntiformi, secondo Schrödinger invece il moto degli elettroni era governato dalle onde di de Broglie a tre dimensioni che circondavano il nucleo atomico e le cui frequenze di vibrazione erano determinato da forze elettriche e magnetiche. Il fallimento dei concetti familiari La fisica quantistica, come abbiamo detto, si basa su un formalismo matematico potente ma non trasferibile in linguaggio comune; cerchiamo quindi di esporla in modo semplice non tralasciandone ovviamente il rigore. Ricordiamo che la fisica classica distingue essenzialmente due categorie di oggetti; i corpuscoli da una parte e le onde dall’altra. I corpuscoli sono entità puntiformi, localizzate in una regione di spazio ristretta, le onde non sono localizzate con precisione. Le onde non trasportano materia, trasmettono energia ed informazione. Le onde sono in grado di “sovrapporsi”, mentre due corpuscoli sono incapaci di farlo. Sembrerebbe quindi che non ci sia una parentela tra onda e corpuscolo: per ogni fenomeno fisico ci si può chiedere . appartiene al campo delle onde o dei corpuscoli? Interrogativo che ha raggiunto l’apice nel XIX sec: la luce è un’onda o un corpuscolo? L’esperimento delle due fenditure Questo esperimento, del quale Feynman diceva che riassumeva l’essenza dell’anomalia quantistica, dimostra in definitiva che questi due approcci, ondulatorio e corpuscolare, devono essere superati. Immaginiamo una macchina che lanci palline, con stessa velocità ma in direzioni casuali verso un “muro” in cui vi sono due fenditure parallele e ravvicinate. Collochiamo, oltre il muro, alcune scatole dove vengono raccolte le palline che oltrepassano il muro passando attraverso una delle due fenditure. v.fig.1 23 fig.1 Se, dopo aver lanciato un gran numero di palline, si contano quelle raccolte, si ottiene un campionamento che indica come varia la probabilità di arrivo al variare del punto di impatto. La probabilità P12 che una pallina arrivi in una certa scatola quando le due fenditure sono aperte è la somma della probabilità P1 che arrivi quando è aperta solo la fenditura 1 e della probabilità P2 che arrivi quando è aperta solo la fenditura 2 P12 = P1 + P2 Cioè la pallina deve passare o dalla fenditura 1 o dalla 2 per poter arrivare ad una certa scatola Ripetiamo lo stesso esperimento utilizzando delle onde Si ottiene un risultato molto diverso da quello ottenuto con le palline: compaiono le “frange di interferenza”: v. fig2 24 Fig.2 L’esperimento delle due fenditure quindi ci permette di stabilire il tipo di oggetto con cui abbiamo a che fare: onde se da luogo a interferenza, corpuscoli in caso contrario. 25 Ripetiamo ora l’esperimento utilizzando degli elettroni. v.fig.3 fig.3 Un cannone elettronico invia elettroni su una lastra su cui si aprono due fenditure; al di là della lastra è presente un rivelatore Se immaginiamo che gli elettroni siano corpuscoli ci aspettiamo di ritrovare lo stesso risultato ottenuto nel caso delle palline: ma sullo schermo si osservano frange di interferenza, segno di un comportamento ondulatorio. Riduciamo l’intensità del cannone in modo che gli elettroni fuoriescano uno alla volta: si constata che ogni elettrone arriva in un punto ben preciso, ma all’accumularsi degli impatti si osservano nuovamente le frange di interferenza . v.fig.4 26 Fig.4 Non sono corpuscoli (danno luogo a interferenza),ma neanche onde (vengono rivelati come macchioline che accumulandosi danno luogo a figure di interferenza) Ripetendo più volte l’esperimento aprendo entrambe o una sola delle due fenditure si osserva che gli stati “aperto” o “chiuso” delle due fenditure condizionano la distribuzione spaziale degli elettroni sullo schermo; non possiamo dire attraverso quale fenditura passano gli elettroni 27 Ripetendo l’esperimento cercando di individuare la fenditura attraverso cui passa l’elettrone, otteniamo un comportamento identico a quello delle palline. v. fig.5 fig.5 Non è quindi possibile osservare l’interferenza identificando contemporaneamente la fenditura attraverso cui passa l’elettrone. Conclusioni dell’esperimento I risultati dell’esperimento sono validi per tutte le entità chiamate “particelle” 1) se si utilizza un dispositivo che rende i cammini indistinguibili si manifesta il carattere ondulatorio, se invece si utilizza un dispositivo che permette di distinguere i cammini si evidenzia il carattere corpuscolare 2) le particelle sono state in qualche modo “disturbate”dalla misura: ogni misura sembra interagire tra l’oggetto microscopico su cui si effettua la misura e lo strumento, che è macroscopico. 28 “Il punto cruciale sta nel riconoscimento del fatto che qualunque tentativo di analisi, inteso nel modo proprio della fisica classica dell’individualità dei processi atomici, risulterebbe frustrato, in quanto condizionato dal quanto di azione, dall’ineliminabile interazione tra gli oggetti atomici e gli strumenti di misura”. ( Niels Bohr ) Questa concezione dell’operazione di misura non esisteva nella fisica classica. Che senso ha allora parlare delle proprietà di un oggetto microscopico finché su di esso non è stata effettuata una misura ? Questo interrogativo sulla realtà delle cose al di fuori della misura o dell’osservazione, ce lo saremo già posti quando ci siamo domandati se la lampadina del frigorifero sia davvero spenta quando la porta è chiusa. Riprenderemo più avanti questo aspetto con il “postulato di misura” 3) un esperimento appare parziale e finalizzato. Uno strumento di misura rende evidente una particolare grandezza, ma non un’altra. Approfondiremo più avanti questo aspetto analizzando il “principio di complementarità” la natura della strumentazione determina quindi la tipologia dei fenomeni osservati 4) il concetto di traiettoria fondamentale in fisica classica, crolla. Infatti osservando le frange di interferenza non siamo in grado di dire quale percorso hanno seguito le particelle. 5) l’idea classica per cui le condizioni iniziali e le forze in gioco permettono di determinare il moto di una particella viene meno. infatti non sappiamo dire anticipatamente con certezza in quale punto la particella colpirà lo schermo. Nella meccanica ondulatoria di Schrödinger il ruolo dell’onda è assunto dalla funzione d’onda, ψ, e, nell’esperimento della doppia fenditura si parla di sovrapposizione delle due funzioni d’onda che si hanno quando è aperta ognuna delle due fenditure: ma si tratta di onde di probabilità e non di onde nel senso classico del termine. Secondo l'interpretazione di Max Born quest'onda indica la probabilità di trovare la particella in un determinato punto e dal punto di vista matematico questo valore è dato da | ψ|2. Questa interpretazione probabilistica di ψ è lo strumento per creare il legame tra le formule della fisica quantistica e l'osservazione dell'esperimento: è per così dire il primo passo dell'interpretazione 29 Una nuova rappresentazione degli oggetti fisici Tutte le particelle a volte presentano aspetti ondulatori a volte corpuscolari : questa ambiguità, sviluppata da Bohr nel 1927 consiste nel dire che questi due aspetti sono complementari. Questo concetto sfociò nelle discussioni dell’epoca a proposito dell’”interpretazione” della fisica quantistica provocando la divisione del gruppo dei fondatori: Planck, Einstein, Schrödinger e de Broglie da una parte e Heisenberg, Pauli, Born e Dirac dall’altra. E’ evidente che nel comportamento dell’elettrone c’è un aspetto riconducibile a quello ondulatorio. Se l’esperimento viene realizzato con le onde l’interferenza viene spiegata con l principio di sovrapposizione. Qual è allora l’equivalente dell’altezza di un’onda nell’acqua per l’elettrone? E’ l’ampiezza di probabilità dove “ampiezza” ricorda l’aspetto ondulatori e “probabilità” anticipa l’interpretazione del formalismo che verrà data in seguito. Un’ ampiezza di probabilità non è altro che un numero complesso il cui valore è funzione delle coordinate spaziali e temporali come l’altezza di un’onda nell’acqua dipende dalla posizione e dal tempo. Sia a1 l’ampiezza di probabilità nel caso in cui sia aperta solo la fenditura 1 e P1, la probabilità che l’elettrone compaia in un punto M dello schermo, sia data dal modulo elevato al quadrato di a1 e analogamente se si apre la fenditura 2 : P1 = | a1 |2 e P2 = | a2 | 2 Se sono aperte entrambe le fenditure la probabilità P12 compaia in un punto M dello schermo sarà: P12 = | a1 + a2 | che un elettrone 2 Il quadrato di una somma non è uguale alla somma dei quadrati, di conseguenza la probabilità P12 non è uguale alla somma delle probabilità P1 e P2 . In particolare la probabilità P12 che un elettrone si manifesti in un punto in cui a1 e a2 sono opposte è nulla: sono le frange scure dove non compare alcun elettrone come l’equivalente caso delle onde nell’acqua. 30 Teniamo conto di questa descrizione in termini probabilistici del fatto che gli elettroni, se numerosi, producono una figura di interferenza, quando si esporrà la sostanza del formalismo quantistico. Il principio di Heisenberg Werner Heisenberg è stato uno dei uno dei padri della fisica quantistica; nel 1928 scoprì che ci sono casi in cui due grandezze fisiche non possono essere determinate nello stesso tempo e con precisione o meglio non possono essere predeterminate con precisione: non solo non si può sapere cosa accade in certi fenomeni, ma pare che la stessa natura non si decida a fare delle scelte. Quindi il principio di Heisenberg, chiamato di “indeterminazione”, contrariamente a quanto spesso si afferma implica una limitazione della precisione delle misura solo in un senso lontano dalla accezione comune del termine. Questo principio può essere dimostrato in modo rigoroso a partire da una caratteristica degli “operatori” che il formalismo quantistico associa a ogni tipo di misura: la loro non commutatività. Questo termine indica la dipendenza dei risultati sperimentali dall’ordine cronologico in cui vengono utilizzati gli strumenti. Già il filosofo greco Zenone di Elea più di 2000 anni fa, si era posto il problema: una freccia in volo non si poteva trovare, in alcun momento, in un punto determinabile con precisione, perché se così fosse il moto non sarebbe possibile. Heisenberg propose un esempio analogo, quello di voler colpire un oggetto con un proiettile, ma questo presuppone di conoscere la traiettoria (insieme delle posizioni occupate successivamente dal proiettile ) di quest’ultimo, cioè di vederlo e quindi dovrà essere illuminato. La luce però esercita una “pressione di radiazione” minuscola per gli oggetti macroscopici ma “gigantesca” per una particella. Da qui il dilemma : o si irraggia la particella perturbando così la sua traiettoria o non la si irraggia , e non si saprà nulla sulla sua traiettoria. C’è anche un’ altra considerazione da fare: in base alle leggi dell’ottica, per poter “vedere” la particella la luce dovrà avere una lunghezza d’onda dello stesso ordine di grandezza della particella stessa e se questa è piccola anche la lunghezza d’onda sarà piccola , quindi trasporterà una “grande “ energia e l’impulso trasferito sarà grande; se viceversa, per avere un trasferimento di energia “piccolo” invio un fascio di luce con piccola frequenza, quindi grande lunghezza d’onda, non si riuscirà a “vedere” 31 l’elettrone. Una riduzione dell’indeterminazione sulla posizione della particella comporta quindi un aumento dell’indeterminazione sulla sua velocità. In generale questa conclusione viene riassunta dicendo che non si possono conoscere contemporaneamente la posizione e la velocità di una particella quantistica. Ma questa formulazione è discutibile perché presuppone che ogni particella sia un corpuscolo e lascia intendere che esistano una posizione esatta ed una velocità esatta. Il modo corretto di interpretare il principio di Heisenberg non consiste nel dire che è impossibile determinare contemporaneamente posizione e velocità ma nell’affermare che esse non possiedono mai questi due attributi contemporaneamente, non è possibile preparare uno stato di un sistema che abbia contemporaneamente valori ben definiti per due osservabili. Come per l’indeterminazione anche la complementarità introdotta da Bohr, accennata precedentemente, non è un principio ma può essere ricavato dagli assiomi. Il principio di complementarità può essere enunciato nel seguente modo: non è possibile conoscere contemporaneamente tutte le proprietà che un oggetto può avere. Tornando al principio di Heisenberg, questo non è quindi una limitazione della nostra possibilità di conoscenza ; nel quadro quantistico la posizione o l’impulso possono essere misurati con una precisione grande a piacere, semplicemente le misure di queste grandezze effettuate su sistemi fisici preparati nello stesse condizioni non daranno gli stessi risultati. Sono statisticamente “dispersi”. Il principio di Heisenberg stabilisce che il prodotto tra la dispersione sulla misura della posizione e la dispersione sul valore dell’impulso non può mai essere nullo, deve essere maggiore o uguale a un numero diviso per 4π ΔxΔp ≥ h/4π Δx indica la precisione della misura dell’osservabile posizione Δp la precisione della misura dell’osservabile quantità di moto e ħ = h / 2π ( h “tagliata”) La costante di Planck la costante di Planck h e ha il valore di 6,62 · 10-34 J s, costante introdotta da Planck nel 1900 per la spiegazione del problema del corpo nero. La costante 32 di Planck è una costante universale ed è diventata l’emblema del mondo quantistico. Rappresenta l’ ”azione” , una grandezza fisica che ha le dimensioni di un’energia per un tempo o di un impulso per una lunghezza e la cui esistenza significa che due sistemi possono interagire solo se si scambiano ”qualcosa” che non può essere ridotto a niente. E’ da questa costante che il mondo quantistico trae la sua strana specificità: un universo in cui la costante fosse nulla sarebbe banalmente classico L’effetto tunnel Un fenomeno reso possibile dal principio di H.eisenberg è l’effetto tunnel. Andiamo sulle Alpi, lanciamo una pallina verso la cima di una montagna, via via che sale perde velocità, perde energia cinetica ed aumenta quella potenziale gravitazionale in modo che l’energia totale resti costante: o. la pallina riesce ad oltrepassare la vetta o tornerà indietro: è stata riflessa da una “barriera di potenziale”. La meccanica classica impedisce ad una palina che non possegga una velocità sufficientemente elevata di oltrepassare la “vetta”. In fisica quantistica è diverso. La violazione di questa legge della fisica classica da luogo all’effetto tunnel, identificato nel1928 da George Gamow relativamente ad un fenomeno del campo della radioattività : una particella può apparire dall’altra parte di una barriera di energia anche se, per le leggi della meccanica classica, non dovrebbe essere in grado di oltrepassare. E’ come se questa barriera, la nostra montagna, fosse “bucata”da un tunnel attraverso il quale la particella, dopo vari tentativi, riesce a passare. La fisica quantistica non dice che tutte le particelle riescono a passare , dimostra che la probabilità che una particella ha di passare, e l’esperienza lo dimostra, non è rigorosamente nulla. L’effetto tunnel interviene per esempio nel campo dell’elettronica: ci sono diversi dispositivi basati sulla possibilità che un elettrone attraversi per effetto tunnel zone proibite dalla meccanica classica, come ad esempio il microscopio ad effetto tunnel. 33 Nucleo essenziale del “formalismo” matematico La fisica quantistica si basa su un formalismo matematico estremamente rigoroso :vediamo di esporne il nucleo essenziale. Una proprietà che accomuna tutte le tipologie di onde è il principio di sovrapposizione , la fisica quantistica la riprende, la generalizza dandole una portata molto ampia. Un sistema fisico è definito da un certo numero di caratteristiche che sono identiche per tutti i sistemi dello stesso tipo e da altre grandezze che possono variare da uno all’altro. In fisica classica l’insieme di queste quantità forma lo “stato” del sistema, per esempio della particella, cui evoluzione temporale determinata dalla legge fondamentale della dinamica di Newton. Come rappresentare l’equivalente di questo stato nella fisica quantistica? Formalizziamo maggiormente l’esperimento delle due fenditure di cui avevamo dato una spiegazione abbozzata. Rappresentiamo lo stato di un sistema fisico per mezzo di alcune entità, indicate con a, b, c…. che debbano soddisfare due proprietà 1) vale il principio di sovrapposizione, nel senso che se a e b sono due stai possibili anche lo stato (a + b ) è uno stato possibile del sistema. Generalizziamo cioè il principio di sovrapposizione delle onde a qualunque sistema fisico 2) queste quantità possono essere moltiplicate per un numero qualunque, come nel caso delle onde si può parlare di onda di ampiezza doppia o tripla rispetto ad un’altra Le entità matematiche che soddisfano a queste due proprietà sono i vettori e l’insieme dei vettori si chiama spazio vettoriale. Chiameremo quindi le entità a, b, c …che rappresentano i diversi stati possibili vettori di stato ( funzione d’onda in una vecchia terminologia ). Le osservabili fisiche, cioè ciò che si può misurare, sono descritte tramite operatori lineari. I vettori di stato sono il mezzo con cui il formalismo quantistico rappresenta gli stati fisici dei sistemi e sono funzioni dello spazio e del tempo; questa è l’idea fondamentale della fisica quantistica: impone l’addizione a tutti. Bisogna però chiarire il significato di vettore che non è quello classico ( oggetto nello spazio ordinario caratterizzato da modulo e direzione). Uno spazio vettoriale matematico è una costruzione astratta che può avere come non avere nulla a che fare con lo spazio ordinario: questi spazi vettoriali usati per definire gli spazi quantistici sono chiamati spazi di Hilbert; uno spazio di Hilbert può avere un numero di dimensioni finito o infinito. 34 Paradossi quantistici: “il barile di polvere” e “il gatto di Schrődinger Come sopra detto Il formalismo della fisica quantistica opera in spazi vettoriali astratti ( spazi di Hilbert) che possono avere un numero infinito di dimensioni e quindi molto lontani dallo spazio fisico dove avvengono gli eventi che il formalismo pretende di descrivere. Si crea quindi una distanza tra la rappresentazione dei fenomeni ed i fenomeni stessi. A partire dal 1935 Einstein e Schrödinger per evidenziare l’aspetto paradossale del principio di sovrapposizione idearono ciascuno un esperimento mentale: “il barile di polvere ( Einstein) e “il gatto di Schrödinger (Schrödinger ). Il barile di polvere. Ad un barile di polvere da sparo instabile chimicamente è accoppiato un atomo radioattivo la cui disintegrazione rilascia energia sufficiente ad innescare l’esplosione. Dal momento che la disintegrazione può essere prevista solo n modo probabilistico il vettore di stato dell’atomo è la sovrapposizione dello stato atomo disintegrato e dello stato atomo non disintegrato. Analogamente lo stato del barile sarà la sovrapposizione di barile esploso e barile non esploso . Ma nel mondo macroscopico sovrapposizioni di stato del genere non esistono Il gatto di Schrődinger. Immaginiamo una scatola all’interno della quale si trovi un gatto ed immaginiamo uno strumento in grado di rivelare l’emissione di una particella da parte di un atomo radioattivo che si disintegra, collegato ad un martello che, in caso di disintegrazione dell’atomo,si abbatte su una fiala, posta nella scatola, contenete un gas mortale provocandone la rottura e la morte istantanea del gatto. Il vettore di stato del sistema ( scatola+gatto+martello+fiala) è complesso ed è dato dalla sovrapposizione dello stato Atomo disintegrato – martello abbassato – fiala rotta –gatto morto e dello stato atomo non disintegrato – martello alzato – fiala intatta – gatto vivo Finché non si compie un’osservazione il gatto è né vivo né morto Schrődinger, dal suo punto di vista, introduce la “soggettività” , assenza o presenza di un “osservatore” Spieghiamo cosa succede quando ci sono sovrapposizioni di stati. Consideriamo una particella che può esistere in due stati diversi rappresentati rispettivamente dal vettore di stato a e b 35 Fig.6 L’apparecchiatura è schematicamente rappresentata nella figura 6 La particella proviene da sinistra attraverso il canale I e viene diretta nel canale A se si trova nello stato a e nel canale B se ritrova nello stato b. Dobbiamo descrivere anche lo stato della particella dal punto di vista spaziale, cioè specificare in quale canale (I, A o B) si trova ricorrendo ai vettori di stato indicati con I, A, B . Lo stato completo della particella che specifica il suo stato interno e la sua localizzazione sarà dato dal prodotto dei vettori I,A,B con i vettori di stato interni a, b Con questa notazione una particella che si trova nello stato interno a ed è situata nel canale I sarà rappresentata dal prodotto aI. Avremo quindi aI → aA bI → bB per il principio di sovrapposizione: anche (a + b ) è un possibile stato interno della particella e si avrà (a + b ) I → aA + bB Cioè il suo vettore di stato si ottiene sommando membro a membro le due relazioni precedenti Come si può interpretare il membro di destra ? E’ a combinazione di due termini, canale A e canale B,, ma se la particella è indivisibile non può ripartirsi nei due canali; anche uno strumento posto all’uscita dei canali rivelerebbe particella in A o in B, mai in entrambi 36 Si possono dare altre interpretazioni ma dire cosa sia lo stato di sovrapposizione (a + b ) nessuno lo sa realmente, e questo è ciò che rende la fisica quantistica così difficile da interpretare Ci dice semplicemente che se ripetiamo molte volte l’esperimento partendo dallo stato (a + b ) I all’uscita troveremo la particella nello stato a e nel canale A nella metà dei casi e nello stato b e nel canale B nell’altra metà. La fisica quantistica fornisce solo delle probabilità, finché la misura non è stata effettuata la grandezza che quantifica la proprietà fisica non è rigorosamente definita. “collasso della funzione d’onda” o riduzione dello stato Ripensiamo all’esperimento precedente . Prima della misura lo stato della particella era dato da ( aA + bB ). Se la particelle viene rivelata nel canale A nello stato a, dopo la misura il suo stato è diventato aA, il suo stato interno e la sua localizzazione sono ben definiti, ciò significa che la sovrapposizione quantistica è stata distrutta dalla misura, la misura ha in qualche modo costretto il vettore di stato a perdere uno dei suoi termini. Si dice che è avvenuta una riduzione dello stato o collasso della funzione d’onda Effettuando una misura, otteniamo quindi un’informazione parziale: sappiamo che dopo la misurazione la particella è localizzata in un certo canale ma non abbiamo informazioni sulle probabilità che aveva a priori di essere rivelata in un determinato canale. In altre parole non si può affermare che la particella rivelata in un canale vi si trovasse già prima della misura. Il vettore di stato della particella prima della misura contiene tutte le possibilità del sistema e fornisce solo la probabilità che la misura dia come risultato un valore o un altro. Il problema della misura in fisica quantistica porta ad interrogarsi su ciò che si intende per realtà. La riduzione dello stato sembra una regola “appiccicata” sul formalismo matematico per stabilire una connessione tra sistemi fisici ed i risultati sperimentali, però le previsioni che consente di fare sono sempre in accordo con le osservazioni anche se pone dei problemi sull’interpretazione. In primo luogo se il formalismo quantistico è completo, cioè se è vero che il vettore di stato contiene tutto ciò che è possibile sapere di un sistema quantistico, bisogna ammettere che un fenomeno non può essere interpretato come se fornisse informazioni riguardanti le proprietà che avrebbero gli oggetti in sé. In secondo luogo ci si può chiedere se la riduzione di stato sia un espediente o un effetto fisico reale. Ciò ha portato a discussioni e diatribe tra i 37 fisici che hanno dimostrato come questo principio porti a situazioni paradossali come quello ideato da de Broglie La fisica quantistica è completa ? De Broglie enunciò il paradosso che porta il suo nome nel 1959 turbato dalla riduzione dello stato. Consideriamo una scatola contenente un elettrone. Prima di qualsiasi osservazione la probabilità di trovare l’elettrone è circa la stessa in qualunque punto della scatola, perché il vettore di stato che lo rappresenta occupa tutto il volume. Supponiamo di dividere la scatola in due parti di uguale volume, A e B, con una doppia parete scorrevole; il vettore di stato ora si distribuisce in A e in B con probabilità ½ di trovarlo in A o in B. Portiamo la scatola B a grande distanza dalla A, apriamo la scatola A, l’elettrone è al suo interno, sappiamo quindi con certezza che non si trova nella scatola B, quindi il suo vettore di stato in B è nullo. Il buon senso ci fa dire che l’elettrone si trovava in A già da quando la scatola era stata suddivisa: il vettore di stato non è stato annullato dalla misura, è sempre stato nullo . Ma la fisica quantistica non dice così: il vettore di stato è distribuito equamente nelle due scatole. Se la fisica quantistica è completa bisogna ammettere due cose: 1) il fatto di rivelare la particella nella scatola A ha annullato (a distanza) Il vettore di stato della scatola B. 2) fino a quando la misura non è stata effettuata l’elettrone non era localizzato in una sola scatola : aleggiava nelle due scatole come un “fantasma diluito”. Alcuni fisici hanno tentato di rendere le cose più accettabili ritenendo che la fisica quantistica sia incompleta; consente di fare previsioni giuste quindi è predittivamente completa, ma i vettori di stato non contengono la totalità dell’informazione, tralasciano di considerare alcuni parametri supplementari, le variabili nascoste. Nel caso della scatola, il fatto di dire che l’elettrone osservato in A era già in A prima dell’apertura equivale a introdurre un nuovo parametro che il vettore di stato non conteneva. E’ giusto pensare che la fisica quantistica sia incompleta ? Questa domanda è alla base della controversia tra Niels Bohr ed Albert Einstein 38 Correlazione quantistica o “entanglement” L’idea dell’ entanglement risale a Einstein, ma Bohr la ignorò: erano entrambi di fine ingegno e celebri restano le loro discussioni. Bohr accettava completamente la teoria quantistica mentre Einstein ne era profondamente scettico. Il fenomeno dell’ entanglement è la caratteristica essenziale della meccanica quantistica,ciò che la rende diversa dalla meccanica classica: mette in discussione la comprensione di ciò che è reale nel mondo fisico. Quando abbiamo a che fare con una coppia di particelle pensiamo che sia un sistema separabile, cioè riteniamo di poter trattare separatamente ognuna delle particelle. Einstein spiegò a Bohr il fatto che in meccanica quantistica si può conoscere tutto di un sistema ma nulla delle sue singole componenti, ma non venne compreso né da Bohr né da generazioni di pubblicazioni scientifiche seguenti. Il tutto è la somma delle parti ? La fisica quantistica ci ha insegnato a diffidare delle idee più ovvie Particelle che si intrecciano Immaginiamo due particelle che si muovono una contro l’altra fino a collidere. Prima dell’urto ciascuna particella è descritta da un vettore di stato, ma come descrivere la coppia nel suo insieme ? Classicamente siamo portati a scrivere la somma dei due vettori di stato individuali, ma la fisica quantistica descrive la coppia di particelle con il prodotto dei due vettori di stato individuali. Dal calcolo, che per ovvie ragioni tralasciamo, risulta che dopo la collisione, quando le particelle sono molto lontane tra loro, il vettore di stato della coppia non può essere scomposto in due vettori di stato, ognuno corrispondente a una particella: solo la coppia, e non i suoi elementi, ne possiede uno definito; questo vettore di stato ha intrecciato le particelle. Questo fenomeno, chiamato correlazione quantistica o entanglement scoperto da Schrődinger negli anni ’30 implica conseguenze importanti e nello stesso tempo di difficile comprensione. Per cercare di capire questo concetto consideriamo la seguente situazione. Abbiamo due particelle identiche, “particella 1” e “particella 2” prodotte insieme da una sorgente che si allontanano in direzioni opposte: ognuna delle due è caratterizzata dal suo stato interno (a o b ) e dalla sua localizzazione e supponiamo che non si possano trovare nello stesso stato interno. Si dice allora che gli stati interni sono “correlati” nel senso che la 39 conoscenza di uno è sufficiente a conoscere l’altro senza la necessità di effettuare una misura. I vettori di stato vengono spesso indicati con la lettera ψ, allora ψ1 (a) rappresenta la particella 1 nello stato a e analogamente per l’altra particella. Se la particella 1 si trova nello stato a e la particella 2 nello stato b il vettore di stato della coppia sarà ψ12 = ψ1 (a) x ψ2 (b) Se invece la particella 2 si trova nello stato a e la particella 1 in quello b avremo Ψ21 = ψ2 (a) x ψ1 (b) Lo stato interno di ogni particella è ben definito, non possiamo però sapere a priori quale delle due situazioni si realizzerà: le due situazioni sono egualmente possibili. Di conseguenza il reale vettore di stato della coppia è dato dalla somma dei vettori di stato corrispondenti a ognuna delle due possibilità Ψcoppia = ψ12 + ψ21 Qui si manifesta “l’intreccio”: non si può isolare una parte che si riferisce alla particella 1 dall’altra che si riferisce alla particella 2: la conoscenza di Ψcoppia non permette di conoscere lo stato individuale di ognuna delle due particelle della coppia. La descrizione del “tutto” non implica quella delle sue parti. Viceversa la descrizione delle parti non permette di ottenere quella dell’insieme La non separabilità Einstein non ha mai accettato, pur essendo un fisico rivoluzionario, alcune conclusioni cui porta la fisica quantistica. Le sue obiezioni erano essenzialmente di due ordini: in primo luogo una buona teoria fisica doveva eliminare il caso e in secondo luogo Einstein teneva all’idea di realismo: le parti più piccole devono esistere oggettivamente, come gli oggetti macroscopici che noi li osserviamo o meno. Sulla base di queste considerazioni Einstein concludeva che la fisica quantistica era incompleta; le sue obiezioni culminarono nel 1935 con il 40 celebre articolo, detto “EPR” dalle iniziali degli autori, Einstein, Podolsky e Rosen. Il paradosso EPR e teorema di Bell In questo articolo propose un esperimento mentale che voleva mostrare che la teoria quantistica non ci dice tutto quello che dobbiamo aspettarci dal una buona teoria fisica. Facciamo un semplice esempio. Mettiamo due carte, una blu ed una verde, ognuna in una busta sigillata, diamone una ad Alice ed una a Bob. Quando Alice apre la sua busta e scopre il colore la probabilità che sia blu è uguale a quella che sia verde : il risultato è ovviamente “anticorrelato” con quello che otterrà Bob. Non si manifesta alcun paradosso: non è certamente il fatto che Alice prenda conoscenza della sua carta a determinare il colore della carta di Bob: al colore della carta di Bob è associato un elemento di realtà fisica, basta chiedere ad Alice il risultato che ha ottenuto. La conclusione di EPR è che almeno uno dei seguenti concetti è incompatibile con la fisica quantistica 1) località einsteniana : nessun effetto si può propagare più velocemente della luce; la fisica quantistica potrebbe essere non – locale 2) completezza : la fisica quantistica potrebbe essere non completa nel senso che il vettore di stato non determina tutte le informazioni che possiamo conoscere di un oggetto. 3) realismo : lo stato quantistico potrebbe non essere un’entità fisica e quindi non sarebbe vincolato dalla località. La speranza di EPR era che la fisica quantistica fosse incompleta, cioè che fosse possibile aggiungere delle informazioni al vettore di stato, le cosiddette “variabili nascoste”, che potessero spiegare le misteriose correlazioni che si vengono a creare quando Alice e Bob compiono le loro osservazioni. Questo sogno non potrà essere accettato in modo accettabile per Einstein. Nel 1935, dopo il lavoro di EPR, il fisico irlandese John Bell avanzò l’idea che le due particelle entangled, a prescindere dalla loro distanza continuino a costituire un’unità, un sistema. La misurazione di una delle due particelle modifica lo stato dell’altra: le due particelle non hanno un’esistenza autonoma. Nel 1964 Bell con il teorema che porta il suo nome mette in luce il contrasto tra il modello e le previsioni della fisica quantistica. Secondo questo teorema esiste una contraddizione fra la fisica quantistica e i 41 modelli che funzionano con l’aiuto delle variabili nascoste, detti anche teorie realistiche locali. Si chiamano “locali” perché in esse le proprietà dei sistemi dipendono da cosa accade a loro, dalle misurazioni eseguite; le proprietà osservate sono indipendenti dalle misurazioni eseguite in altri sistemi. Sono anche dette “realistiche” perché i risultati delle osservazioni sono ricondotti a proprietà reali dei sistemi. Secondo Bell quindi qualunque completamento della fisica quantistica è necessariamente “non locale” in senso einsteniano : la fisica quantistica è non-locale oppure non-realista dove “non-locale” è inteso in senso einsteniano e con “non realista” si intende che non si assegna una realtà fisica al vettore di stato Esistono formulazioni locali non-realiste, formulazioni non- locali realiste e formulazioni non-locali non-realiste: Allo stato attuale non sembrano esserci motivi evidenti per la scelta di un tipo di formulazione piuttosto che di un altro: sono tutte accettabili e danno gli stessi risultati nell’analisi degli esperimenti. Conclusioni Abbiamo visto quanto la fisica quantistica lasciò perplesso anche uno dei padri fondatori: Einstein. Oggi ne abbiamo una visione più chiara ed è possibile presentarla con un formalismo matematico potente ed elegante, anche se comunque è difficile da capire fino in fondo. Questa teoria ha le conseguenze di una nuova “rivoluzione copernicana”; allora l’uomo ha scoperto di non essere al centro dell’universo, qui l’uomo scopre di non essere neppure in grado di afferrare la realtà: la sua mente e i suoi sensi sono “classici”, il mondo è quantistico. Questo ha conseguenze che si spingono oltre la fisica per sconfinare nella filosofia: attenzione però i moderni fisici sono tutt’altro che filosofi e la fisica quantistica è il faticoso risultato di un solidissimo metodo scientifico nato con Galileo. La rivoluzione portata non è rimasta senza conseguenze pratiche: nuove invenzioni e applicazioni stanno emergendo: dal computer quantistico alla crittografia quantistica, alla metrologia quantistica. Inizia un’era dove la tecnologia quantistica avrà un ruolo sempre più importante 42 E’ bene notare che la fisica quantistica, nonostante il principio di indeterminazione, la probabilità e i problemi di un sua interpretazione, è la teoria il cui accordo con le prove sperimentali è il più preciso di tutta la storia della fisica 43 BIBLIOGRAFIA I principi fisici della teoria dei quanti - Werner Heisenberg La Fisica di Feynman - Richard Feynman, Robert Leighton, Matthew Sands Il velo di Einstein - Anton Zeilinger Meccanica quantistica, caos e sistemi coplessi. - Lorenzo Maccone e Luca Salasnich Piccolo viaggio nrl mondo dei quanti - E'tienne Klein Meccanica quantistica. - Leonard Susskind- Art Friedman Trent'anni che sconvolsero la fisica. - George Gamov Fisica quantistica per poeti - Leon M. Lederman- Christopher T.Hill Atomi, Nuclei e Particelle - Enrico Fermi a cura di Vincenzo Barone 44