33° Congresso SCIVAC MEDICINA D’URGENZA E TERAPIA INTENSIVA NEI PICCOLI ANIMALI MONTECATINI TERME (PT), 21-23 MARZO 1997 Consiglio Direttivo 1995-1998 Presidente: CARLO SCOTTI Presidente Senior: GIORGIO ROMANELLI Vice Presidente: PIERMARIO PIGA Segretario: MAURIZIO CORNELLI Tesoriere: GILDO BARONI Consigliere: MARCO CALDIN Consigliere: UGO LOTTI Coordinatori Scientifici del Congresso FABIO VIGANÒ Commissione Scientifica Congressi e Corsi GIORGIO ROMANELLI, Presidente CLAUDIO BUSSADORI ALESSANDRA FONDATI CLAUDIO PERUCCIO ALDO VEZZONI Segreteria SCIVAC Palazzo Trecchi Via Trecchi, 20 26100 CREMONA Tel. 0372/460440 - Fax 0372/457091 Organizzazione Congressuale e Alberghiera NEW TEAM Via Ghiretti, 2 - 43100 PARMA Tel. 0521/293913 Fax 0521/294036 1 33° Congresso SCIVAC MEDICINA D’URGENZA E TERAPIA INTENSIVA NEI PICCOLI ANIMALI MONTECATINI TERME (PT), 21-23 MARZO 1997 La SCIVAC è particolarmente grata alla ditta IAMS per il significativo contributo fornito alla realizzazione del Congresso. 4 33° Congresso SCIVAC MEDICINA D’URGENZA E TERAPIA INTENSIVA NEI PICCOLI ANIMALI MONTECATINI TERME (PT), 21-23 MARZO 1997 INDICE SALUTO AI PARTECIPANTI E INAUGURAZIONE DELL’INCONTRO . . . . . . .pag. 7 INFORMAZIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 9 RELATORI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 12 PROGRAMMA DELLE RELAZIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 13 PRONTEZZA OSPEDALIERA Dennis T. Crowe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 17 APPROCCIO AL PAZIENTE IN CONDIZIONI DI EMERGENZA Douglass K. Macintire . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 29 VALUTAZIONE DELLE FUNZIONI CARDIOVASCOLARI Steve C. Haskins . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 37 EMERGENZE EMATOLOGICHE (PARTE PRIMA E PARTE SECONDA) Douglass K. Macintire . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 47 TECNICHE PER LA GESTIONE PRATICA DELLE EMERGENZE VASCOLARI (PARTE PRIMA) Dennis T. Crowe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 57 RIPRISTINO DI UNA CIRCOLAZIONE EFFICACE: FLUIDOTERAPIA DURANTE LO SHOCK Steve C. Haskins . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 73 TECNICHE PER LA GESTIONE PRATICA DELLE EMERGENZE VASCOLARI (PARTE SECONDA) Dennis T. Crowe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 83 5 33° Congresso SCIVAC MEDICINA D’URGENZA E TERAPIA INTENSIVA NEI PICCOLI ANIMALI MONTECATINI TERME (PT), 21-23 MARZO 1997 TERAPIA CARDIOTONICA E VASOATTIVA Steve C. Haskins . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 97 TECNICHE PER LA GESTIONE PRATICA DELLE EMERGENZE VASCOLARI (PARTE TERZA) Dennis T. Crowe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 105 USO PRATICO DELL’INFUSIONE CONTINUA (CRI, CONSTANT RATE INFUSION) Douglass K. Macintire . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 129 DIFFICOLTÀ RESPIRATORIE Steve C. Haskins . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 137 TECNICHE PRATICHE PER LA GESTIONE DELLE EMERGENZE RESPIRATORIE Dennis T. Crowe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 153 LA MEDICINA D’URGENZA NEL GATTO Douglass K. Macintire . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 175 L’ADDOME ACUTO Steve C. Haskins . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 185 TECNICHE PER LA GESTIONE PRATICA DELLE PATOLOGIE SETTICHE DELL’ADDOME Dennis T. Crowe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 201 6 33° Congresso SCIVAC MEDICINA D’URGENZA E TERAPIA INTENSIVA NEI PICCOLI ANIMALI MONTECATINI TERME (PT), 21-23 MARZO 1997 Dal Presidente Caro collega, con il 33° Incontro con tema “Medicina d’urgenza e terapia intensiva” ricomincia l’attività Congressuale della nostra Associazione per quest’anno appena iniziato. In linea con la tradizionale dinamicità di SCIVAC affrontiamo un argomento di estrema importanza che richiede al professionista una preparazione di clinica e di chirurgia, una solida conoscenza farmacologica ed una notevole capacità decisionale in tempi rapidi. Congressi di questo tipo non possono che affascinare il clinico pratico poiché offrono un vasto bagaglio di notizie che, se applicate in maniera corretta, possono salvare la vita ad un nostro paziente. La preparazione dei relatori è nota a tutti noi per cui avremo piacevoli sorprese nell’ascoltarli. Il Congresso si estende anche al primo pomeriggio della Domenica, sia per l’impossibilità a rinunciare agli argomenti proposti dai relatori, sia per dare spazio all’Assemblea del sabato in occasione della quale vi aspetto numerosi. In attesa di incontrarti a Montecatini Terme ti porgo i miei più cordiali saluti. Dr. Carlo Scotti Presidente SCIVAC 7 33° Congresso SCIVAC MEDICINA D’URGENZA E TERAPIA INTENSIVA NEI PICCOLI ANIMALI MONTECATINI TERME (PT), 21-23 MARZO 1997 NORME CONGRESSUALI SEGRETERIA CONGRESSUALE La Segreteria verrà aperta alle ore 8.00 di Venerdì 21 Marzo 1997. All’atto della registrazione si prega di esibire la tessera SCIVAC e un documento d’identità. CONTRASSEGNI CONGRESSUALI Colori: rosso: Relatori e Coordinatori azzurro: Congressisti bianco: Consiglio SCIVAC e Segreteria verde: Ditte Espositrici • Il contrassegno congressuale che consente l’accesso alla sala deve essere esibito in maniera visibile ed è obbligatorio. • Il contrassegno congressuale è strettamente personale e non può essere ceduto ad altre persone non iscritte al Congresso. • In caso di smarrimento il contrassegno congressuale non può essere sostituito. • L’esibizione del contrassegno congressuale può essere richiesta dal Comitato Organizzatore o dal Servizio d’Ordine in qualsiasi momento. RINUNCE In caso di rinuncia la quota versata verrà restituita all’80% se la richiesta perverrà per iscritto alla Segreteria Organizzativa Congressuale entro 10 giorni dalla data di svolgimento del Congresso; oltre tale termine al Socio iscritto che non ha potuto partecipare spetterà unicamente il volume degli Atti. MOSTRA TECNICO-SCIENTIFICA Al piano terra del Centro Congressi, su una superficie di 1000 mq sarà allestita una mostra dedicata alle attrezzature chirurgiche, alla diagnostica strumentale, alla farmacoterapia ed all’editoria scientifica. VARIAZIONI L’Organizzazione si riserva il diritto di apportare al programma del Congresso cambiamenti resi necessari da esigenze tecniche o da cause di forza maggiore. 9 31° Congresso SCIVAC DIAGNOSTICA PER IMMAGINI RICCIONE, 20-23 GIUGNO 1996 SERVIZI CONGRESSUALI INCLUSI NELL’ISCRIZIONE ATTI DEL CONGRESSO Il volume degli atti del Congresso viene consegnato a tutti gli iscritti al momento della registrazione presso la Segreteria in sede congressuale. Grazie all’impostazione tipografica adottata con lo spazio libero per le note a fianco di ogni pagina, gli Atti costituiscono, durante lo svolgimento delle relazioni, un utile strumento didattico. A richiesta sono disponibili, a pagamento presso la Segreteria, altre copie del volume. SERVIZIO DI TRADUZIONE SIMULTANEA È disponibile, senza maggiori costi di iscrizione, il servizio di Traduzione Simultanea IngleseItaliano e Italiano-Inglese. Il servizio è fornito tramite radio-cuffia da ritirare in segreteria. Ricordarsi di riconsegnare la cuffia al termine del Congresso! ATTESTATO DI FREQUENZA Al termine del Congresso sarà rilasciato a tutti i partecipanti che ne faranno richiesta presso la Segreteria. SEDE DEL CONGRESSO Palazzo dei Congressi Via Amendola 2 51016 Montecatini Terme Tel. 0572/75209 Fax 0572/910400 10 33° Congresso SCIVAC MEDICINA D’URGENZA E TERAPIA INTENSIVA NEI PICCOLI ANIMALI MONTECATINI TERME (PT), 21-23 MARZO 1997 PROGRAMMA SCIENTIFICO 11 33° Congresso SCIVAC MEDICINA D’URGENZA E TERAPIA INTENSIVA NEI PICCOLI ANIMALI MONTECATINI TERME (PT), 21-23 MARZO 1997 RELATORI DENNIS T. CROWE, DVM, ACVS, ACVECC, EMT Laureato alla IOWA State University nel 1972. Svolge un periodo di Internship presso la Colorado State University nel 1973 ed un Residency dedicato allo studio della Chirurgia presso la Ohio State University fino al 1976. In questo periodo approfondisce lo studio del trattamento del paziente traumatizzato e porta a termine un programma speciale di chirurgia e terapia d’urgenza presso il Riverside Methodist Hospital (un ospedale umano con 900 posti letto). Terminato il periodo di Residency si dedica alla pratica professionale privata a Detroit nel Westcott Hospital and Animal Emergency dove svolge l’attività di chirurgo e dove vengono osservati circa 25.000 pazienti ammalati e traumatizzati all’anno. Nel 1978 ricopre il ruolo di Assistant Chief of Surgery e Director of the Intensive Care Unit della Kansas State University. Nel 1980 si trasferisce ad Athens Georgia prima come Assistant Professor poi come Associate Professor of Surgery, Director of the Shock Trauma Team e Chief of Emergency and Critical Care Services dell’Università della Georgia. Ha scritto più di 100 lavori e capitoli di libri su argomenti di chirurgia ed interventi di emergenza /terapia intensiva. Attualmente lavora in una clinica privata di Milwaukee specializzata nella medicina d’urgenza. STEVE C. HASKINS, DVM, MS, ACVA, ACVECC Laureato alla Washington State University nel giugno 1969. Ha poi frequentato un Internship presso l’Animal Medical Center di New York fino alla fine del 1970. Dal 1970 al 1971 ha completato un Residency in Anestesia presso l’Università del Minnesota dove ha poi conseguito nel 1973 il MS. Dal 1975 è Professore all’Università della California nel Department of Surgical and Radiological Sciences. È inoltre Board Certified dell’American College of Veterinary Anesthesiology e dell’American College of Veterinary Emergency and Critical Care. Ha ricevuto nel 1973 dall’Università del Minnesota e nel 1985 dall’Università della California il Norden Distinguished Teacher Award che premia l’ottimo insegnamento. DOUGLASS K. MACINTIRE, DVM, MS, ACVIM Laureata alla Texas A&M University nel 1980. Nel 1981 ha completato un Internship in Small Animal Medicine and Surgery presso la Louisiana State University. Nel 1981-84 ha completato un Residency in Small Animal Medicine presso la Auburn University dove ha anche conseguito il MS. Dal 1984 al 1990 ha insegnato medicina d’urgenza presso l’Università della Pennsylvania. Ha ottenuto il Board Certification in Medicina Interna dall’American College of Veterinary Internal Medicine nel 1986. Nel 1990 è stata la prima persona a superare il certification examination dell’American College of Veterinary Emergency and Critical Care. Attualmente è membro del corpo docente della Auburn University College of Veterinary Medicine ed è Director dell’Intensive Care Unit e Presidente della Veterinary Emergency and Critical Care Society. 12 33° Congresso SCIVAC MEDICINA D’URGENZA E TERAPIA INTENSIVA NEI PICCOLI ANIMALI MONTECATINI TERME (PT), 21-23 MARZO 1997 PROGRAMMA SCIENTIFICO PRIMO GIORNO: VENERDI’ 21 MARZO 1997 8.00 Registrazione dei partecipanti 9.30 Apertura e benvenuto del Consiglio Direttivo SCIVAC ed inizio lavori COORDINATORE SCIENTIFICO: FABIO VIGANO’ CHAIRMAN: CARLO SCOTTI 9.45 Dennis T. Crowe PRONTEZZA OSPEDALIERA Equipaggiamento necessario e tecniche che potranno permettere al veterinario di poter affrontare le emergenze più comuni, dalle spugne assorbenti ai tubi per la somministrazione dell’ossigeno agli aspiratori mobili 10.15 Douglass K. Macintire APPROCCIO AL PAZIENTE IN CONDIZIONI DI EMERGENZA 11.15 Pausa caffè 11.45 Steve C. Haskins VALUTAZIONE DELLE FUNZIONI CARDIOVASCOLARI Valutazione dei segni clinici Monitoraggio elettrocardiografico Pressione venosa centrale Pressione sanguigna arteriosa Gittata cardiaca 12.45 Discussione 13.00 Pausa pranzo 13 33° Congresso SCIVAC MEDICINA D’URGENZA E TERAPIA INTENSIVA NEI PICCOLI ANIMALI MONTECATINI TERME (PT), 21-23 MARZO 1997 CHAIRMAN: PIERMARIO PIGA 14.30 Douglass K. Macintire EMERGENZE EMATOLOGICHE (PARTE PRIMA) Perdite acute di sangue Tossicità dei rodenticidi anticoagulanti DIC (coagulazione intravasale disseminata) Emotrasfusioni 11.15 Pausa caffè 16.00 Douglass K. Macintire EMERGENZE EMATOLOGICHE (PARTE SECONDA) Anemia emolitica Malattie infettive trasmesse da artropodi Trombocitopenia immunomediata 17.00 Discussione 17.30 Dennis T. Crowe TECNICHE PER LA GESTIONE PRATICA DELLE EMERGENZE VASCOLARI (PARTE PRIMA) Dal semplice controllo delle emorragie esterne con cuffia pneumatica per la determinazione della pressione arteriosa, al controllo delle emorragie interne con la contropressione esterna e la rianimazione ipotensiva 18.15 Discussione 18.30 Interruzione 14 33° Congresso SCIVAC MEDICINA D’URGENZA E TERAPIA INTENSIVA NEI PICCOLI ANIMALI MONTECATINI TERME (PT), 21-23 MARZO 1997 SECONDO GIORNO: SABATO 22 MARZO 1997 CHAIRMAN: GIORGIO ROMANELLI 9.00 Steve C. Haskins RIPRISTINO DI UNA CIRCOLAZIONE EFFICACE: FLUIDOTERAPIA DURANTE LO SHOCK Cristalloidi, soluzioni saline ipertoniche, colloidi, sangue intero 10.00 Dennis T. Crowe TECNICHE PER LA GESTIONE PRATICA DELLE EMERGENZE VASCOLARI (PARTE SECONDA) Dalle celiotomie esplorative di emergenza con compressione della aorta attraverso il pacchetto addominale, al controllo definitivo delle emorragie vascolari di provenienza epatica, splenica, renale o addominale. Sapevate che è possibile comprimere l’aorta distale senza compromettere il flusso ematico agli arti e creare quindi un problema emodinamico? 11.00 Discussione 11.15 Pausa caffè 11.45 Steve C. Haskins TERAPIA CARDIOTONICA E VASOATTIVA Indicazioni, farmaci simpaticomimetici e vasodilatatori 12.45 Discussione 13.00 Pausa pranzo CHAIRMAN: MARCO CALDIN 14.00 Dennis T. Crowe TECNICHE PER LA GESTIONE PRATICA DELLE EMERGENZE VASCOLARI (PARTE TERZA) Dalla toracotomia d’emergenza per arrestare le emorragie polmonari alla rianimazione con clampaggio della aorta discendente in soggetti che arrivano o in cui si instaura una bassa o assente pressione arteriosa. Le terapie salvavita, quali l’infusione rapida di sangue o l’autotrasfusione, da mettere in atto per salvare questi pazienti 15.00 Douglass K. Macintire USO PRATICO DELL’INFUSIONE CONTINUA (CRI, CONSTANT RATE INFUSION) 16.30 Interruzione 16.45 Assemblea sociale SCIVAC 15 33° Congresso SCIVAC MEDICINA D’URGENZA E TERAPIA INTENSIVA NEI PICCOLI ANIMALI MONTECATINI TERME (PT), 21-23 MARZO 1997 TERZO GIORNO: DOMENICA 23 MARZO 1997 CHAIRMAN: GILDO BARONI 9.00 Steve C. Haskins DIFFICOLTÀ RESPIRATORIE: Malattie neuromuscolari, ostruzione delle prime vie aeree, ostruzione delle vie aeree profonde, problemi della parete toracica, problemi addominali, anormalità dello spazio pleurico, malattie del parenchima polmonare, problemi di origine non respiratoria, tromboembolismo polmonare 10.00 Dennis T. Crowe TECNICHE PRATICHE PER LA GESTIONE DELLE EMERGENZE RESPIRATORIE Dal posizionamento del catetere per l’ossigenoterapia transtracheale o nasotracheale alla tracheotomia con approccio alla trachea lacerata extra od intratoracico 10.45 Discussione 11.00 Pausa caffè 11.30 Douglass K. Macintire LA MEDICINA D’URGENZA NEL GATTO 12.45 Discussione 13.00 Pausa pranzo CHAIRMAN: UGO LOTTI 14.00 Steve C. Haskins L’ADDOME ACUTO Valutazione iniziale, diagnosi e diagnosi differenziale 14.45 Dennis T. Crowe TECNICHE PER LA GESTIONE PRATICA DELLE PATOLOGIE SETTICHE DELL’ADDOME 15.30 Discussione 16.30 Fine del congresso 16 33° Congresso SCIVAC MEDICINA D’URGENZA E TERAPIA INTENSIVA NEI PICCOLI ANIMALI MONTECATINI TERME (PT), 21-23 MARZO 1997 Dennis T. Crowe DVM, Diplomate ACVS, ACVECC The Animal Emergency Center & The Veterinary Institute of Trauma, Emergency, and Critical Care Milwaukee, Wisconsin, USA Prontezza ospedaliera Venerdì, 21 marzo 1997, ore 9.45 17 NOTE La prontezza delle strutture e del personale, sia dal punto di vista fisico che mentale, sono essenziali per salvare la vita dei pazienti colpiti da traumi o malattie gravi INTRODUZIONE Quando tornerete alle vostre cliniche, provate ad eseguire questo test, immaginando di essere voi il paziente. Avete appena inghiottito un pezzo di mela che ha determinato una gravissima ostruzione delle vostre vie aeree... Provate ad eseguire su voi stessi la manovra di Heimlich, che non funziona... collassate non appena superata la porta d'ingresso dell'ospedale. Sopravviverete, o state per morire? Una semplice cricotiroidotomia seguita dall'inserimento di un tubo endotracheale dotato di manicotto insufflabile e da una ventilazione con ossigeno al 100% mediante pallone di AMBU eseguita immediatamente significherà la vostra sopravvivenza, mentre un ritardo di appena 30 secondi comporterà la morte. Ora come ora, voi e il vostro ospedale siete pronti ad affrontare un caso simile? Potreste effettuare tutti questi interventi salva-vita entro 20 secondi, ottenere la pervietà delle vie aeree ed effettuare la ventilazione? Così come, nell'esempio, la VOSTRA VITA e le vostre funzioni neurologiche dipendevano dalla vostra rapidità d'azione, così LA VITA DEI VOSTRI PAZIENTI è affidata alla vostra capacità di intervenire con celerità e precisione e di poter disporre subito delle apparecchiature necessarie... ALLA FINE DEL TEST, SIETE VIVI O SIETE MORTI? La situazione che vi ho presentato non era finalizzata a spaventarvi, ma ad attirare la vostra attenzione sull'importanza della prontezza ospedaliera. L'ostruzione delle vie aeree che richiede un intervento chirurgico di ripristino della pervietà e l'impiego di apparecchiature necessarie sia per l'intervento che per la ventilazione di supporto a pressione positiva attraverso un tubo tracheale è una situazione classica che utilizzo come test per valutare la prontezza di ciascuno di noi. Come vi è andata? In questo lavoro, verranno sottolineate le modalità che ciascuno può impiegare per mantenere se stesso e la propria struttura in condizioni ottimali per affrontare prontamente le emergenze potenzialmente letali che potrebbero avere esiti catastrofici. In tutte queste situazioni, il fattore 18 che accomuna gli interventi che hanno avuto successo è il tempo occorso per completare la rianimazione richiesta. Verranno presi in esame, da questo punto di vista, locali, attrezzature e personale. NOTE LOCALI Per trattare i pazienti che hanno urgente bisogno di cure con la rapidità necessaria ad evitare un disastro, l'ospedale deve essere mantenuto costantemente pronto. Per ottenere la massima efficenza, si deve utilizzare un'area centralizzata per la valutazione iniziale del paziente ed i primi interventi. Chiamiamola "zona di pronto soccorso". Spesso, la migliore zona di questo tipo si trova in prossimità della sala operatoria. Qui si devono esaminare e trattare tutti gli animali gravemente feriti o malati. In questa stessa zona si devono trattare le emergenze che colpiscono i pazienti ricoverati, con la sola eccezione di quelle che si verificano in sala operatoria. Anche quest'ultima, tra l'altro, deve essere sempre pronta. Per verificare il livello di prontezza del sistema è possibile servirsi di liste di controllo da utilizzare quotidianamente o almeno settimanalmente da parte di tutto il personale impiegato per il trattamento delle emergenze. Effettuando questo compito a rotazione, tutti i membri dello staff sapranno esattamente dove si trovano gli strumenti ed i materiali di importanza fondamentale. Il mantenimento di un livello di prontezza costante deve riguardare sia la sala operatoria che le aree destinate alla terapia intensiva, alla radiologia ed al laboratorio. L'ideale è disporre di apparecchi radiologici che consentano di effettuare rapidamente le operazioni di ripresa e sviluppo delle immagini, cioè di un'unità radiografica da 200-300 mA e di una sviluppatrice automatica. Inoltre, la disponibilità di apparecchiature e di sistemi di rilevazione rapida dei dati fa sì che venga abitualmente effettuato un maggior numero di indagini: ciò permette una migliore valutazione complessiva di tutti i pazienti esaminati presso l'ospedale o la clinica e non solo di quelli che vi giungono in condizioni di emergenza. SALA OPERATORIA. Nei pazienti con traumi molto gravi, è preferibile attuare le operazioni di rianimazione direttamente in sala operatoria, piuttosto che iniziarle nella zona di pronto soccorso ed essere poi costretti ad interrom19 NOTE perle perché per arrestare un'emorragia o effettuare una ventilazione efficace è necessario intervenire chirurgicamente. È importante disporre di una sala operatoria strutturata ed attrezzata in modo tale da consentire l'esecuzione dei seguenti interventi: • tracheostomia e riparazione delle lesioni tracheali, compreso l'approccio mediante parasternotomia; • inserimento di una sonda da toracostomia, toracentesi e stabilizzazione di un segmento di parete toracica mobile; • laparotomia esplorativa con autotrasfusione; • resezione di un lobo epatico e riparazione o resezione di un tratto intestinale; • splenectomia totale e parziale; • erniorrafia della parete addominale o del diaframma; • toracotomia esplorativa (rianimativa); • clampaggio dell'aorta, arresto di un'emorragia vascolare mediante legatura, lobectomia polmonare; • esplorazione di ferite e rapido controllo dell'emostasi di emorragie imponenti; • riparazione o legatura di emorragie dai vasi principali. LABORATORIO. Come minimo, deve essere possibile effettuate la determinazione sul posto di ematocrito, solidi totali, conteggio piastrinico, conteggio e formula leucocitaria. In molti casi, la capacità di misurare la glicemia, il tempo di coagulazione attivata, l'azotemia, i livelli sierici degli elettroliti, il pH ematico ed i valori dell'analisi del gas disciolti nel sangue nonché le caratteristiche citologiche dell'urina, dei liquidi prelevati dalle cavità corporee o dei campioni ottenuti mediante lavaggio può essere fondamentale per salvare la vita dei pazienti. Gli ospedali veterinari che non sono in grado di eseguire questi test devono organizzarsi in modo da trovare soluzioni alternative, ad esempio stabilendo un protocollo d'intesa per farli eseguire presso un ospedale umano della zona o un laboratorio privato. ZONA DI PRONTO SOCCORSO: ORGANIZZAZIONE, APPARECCHIATURE E FARMACI. Dal momento che in essa si trovano, facilmente accessibili, diverse apparecchiature fondamentali, come gli erogatori di ossigeno, i fluidi da infusione endovenosa, i cateteri, ecc., spesso viene utilizzata come "zona di pronto soccorso" quella destinata all'induzione dell'anestesia. In questo settore devono essere collocate ed organizzate in modo 20 razionale tutte le apparecchiature necessarie alla rianimazione di emergenza ed i farmaci occorrenti per trattare condizioni come un arresto cardiaco. Tutti i materiali devono essere identificati e riposti in modo da facilitarne il reperimento e l'impiego. Carrello d'emergenza. Si suggerisce di tenere nell'ospedale un carrello di emergenza, costituito da una struttura mobile montata su ruote pivottanti e contenente sul piano più alto un ECG/defibrillatore, un aspiratore ed un'unità di monitoraggio della pressione sanguigna (Doppler ed oscillometria). I cassetti devono essere imbottiti di gommapiuma, nella quale devono essere praticate delle cavità destinate a contenere tutti gli strumenti o i farmaci di ciascun cassetto. Così ogni cosa sarà sempre al suo posto. Si raccomanda di destinare il cassetto in alto alle VIE AEREE, collocandovi i tubi orotracheali, preferibilmente trasparenti, dotati di manicotti insufflabili e di diametro interno di 3,0, 5,0, 6,0, 7,0, 8,0 e 10 mm. Inoltre, devono essere presenti un laringoscopio con lame n. 3 o 4, garza, forbici Mayo e alcune lame da bisturi. Bisogna poi disporre di una pinza da tamponi di Forrester e di una pinza emostatica curva per afferrare i corpi estranei arrestatisi nelle vie aeree dietro la faringe o la parte prossimale della laringe. Il secondo cassetto è quello dei FARMACI. Qui devono trovare posto i prodotti abitualmente usati nel trattamento delle condizioni di emergenza (atropina, lidocaina, adrenalina, dopamina, metilprednisolone e glucosio) ed una serie di siringhe da 1, 6 e 12 ml con ago già montato. Il terzo ed il quarto cassetto vengono utilizzati per gli altri strumenti necessari per gli interventi urgenti, come una confezione di ferri chirurgici sterili da impiegare per l'apertura delle cavità corporee (addome, torace) quando vi è in corso un'emorragia o per effettuare la rianimazione cardiopolmonare mediante apertura del torace e del pericardio e clampaggio del'aorta. In alternativa al carrello, si può preparare ed utilizzare una grande "scatola dei farmaci urgenti", contenente tutto il necessario ad eccezione dei componenti più voluminosi ed ingombranti (ECG/defibrillatore, aspiratore, unità di monitoraggio). Spesso, risulta molto adatta allo scopo una grossa cassetta da pesca. Elenco degli oggetti fondamentali da tenere nella zona di pronto soccorso. È necessaria in primo luogo una buona illuminazione (preferibilmente ottenuta con una lampada a due fasci luminosi, una sorgente di luce intensa, NOTE 21 NOTE 22 una lampada frontale, una lampada stilo). Inoltre, è indicata una tabella a muro riportante i dosaggi dei farmaci d'emergenza. Poi, un aspiratore, un sistema di erogazione di ossigeno, un laringoscopio, un set chirurgico completo comprendente un paio di forbici curve di Mayo ed un divaricatore Balfour. Cateteri assortiti, materiale da sutura, teli e telini sterili e farmaci d'emergenza quali, come già ricordato, adrenalina, atropina e lidocaina. Sono anche necessari antidoti e molti altri farmaci d'urgenza (nitroglicerina in pasta, enalapril, mannitolo, amido eterificato, destrano 70, propranololo, procainamide, cefazolina, gentamicina, dopamina, dobutamina, bretilio, carbone attivo, apomorfina, cloruro di calcio, cloruro di potassio, cloruro di magnesio, plasma e sangue intero - a meno che non si possa fare affidamento su una serie di donatori dai quali prelevare, in caso di urgenza, il sangue da trasfondere). Infine, bisogna poter disporre di una serie di apribocca e dei materiali occorrenti per l'esecuzione di decompressione e lavaggio dello stomaco, clismi e bendaggi. L'efficacia del trattamento delle lesioni o delle malattie gravi si fonda sulla disponibilità di queste attrezzature fondamentali, che di solito non sono necessarie per intervenire su molte altre condizioni patologiche. Spesso, si tratta di materiali insostituibili, la cui mancanza compromette direttamente le probabilità di guarigione del paziente. Il corredo fondamentale è quello elencato nella pubblicazione Guidelines and Standard of Emergency and Critical Care Facilities delle Veterinary Emergency and Critical Care Societies degli Stati Uniti. Aspiratore. Un esempio di apparecchio fondamentale del corredo è l'aspiratore, che serve ad eliminare vomito, coaguli ematici, essudati densi o saliva da faringe, laringe e trachea in modo da garantire la pervietà delle vie aeree. L'apparecchiatura completa comprende una bottiglia di raccolta, i tubi di aspirazione, diversi tipi di punte (di Yaunker per l'aspirazione faringea, dentali per la rima della glottide e la trachea e tracheali sottili per la trachea ed i bronchi) ed un motore capace di generare una pressione di aspirazione fino a 300 mm Hg entro 4 secondi dall'occlusione del tubo. Le punte da aspirazione dentale possono essere utilizzare per la rimozione di pezzi di materiale vomitato e coaguli di grandi dimensioni, mentre quelle fini servono a rimuovere secrezioni schiumose, vomito, essudato o sangue. Per eliminare eventuali particelle di detriti dalla faringe e dalle vie aeree superiori, è possibile impie- gare anche un tubo orotracheale raccordato all'estremità del tubo dell'aspiratore. L'interposizione di un filtro grossolano o di un sistema di raccolta alla base delle punte da aspirazione dentale o del tubo orotracheale permette di evitare l'ostruzione dei condotti in lattice dell'apparecchio da parte di grandi quantità di detriti e coaguli ematici. È stato descritto l'uso di un sistema di raccolta da fissare direttamente al tubo orotracheale. Ciò permette di effettuare un'aspirazione efficace direttamente nel corso dell'intubazione e, quindi, di risparmiare secondi preziosi. Per ottenere la massima "prontezza", si consiglia di tenere collegato all'aspiratore, attraverso un tubo del diametro di 1,5 cm, una punta di Yaunker, una punta dentale di medie dimensioni o un tubo orotracheale (con manicotto insufflabile), tenendo a portata di mano gli altri accessori in modo da poterne effettuare rapidamente la sostituzione. Si può anche acquistare, presso i negozi di autoaccessori, un sistema di aspirazione manuale, del tipo usato per i lavori sui motori. Ripetendo più volte la compressione manuale, si può generare entro 5-10 secondi una pressione superiore a 300 mm Hg. In commercio si trovano anche aspiratori di tipo manuale. Questi apparecchi sono comunemente usati sulle ambulanze. Ossigeno. Si deve disporre come minimo di una bombola di ossigeno dotata di un erogatore capace di garantire un flusso fino a 15 l/min. È anche consigliato l'uso di un tubo a Y collegato alla linea di flusso dei gas proveniente dal vaporizzatore della macchina da anestesia. Il tubo dell'ossigeno viene quindi usato direttamente per erogare il gas sul muso dell'animale che ne ha bisogno. Se il paziente si dibatte, va posto con il muso sopra lo sbocco del tubo e lasciato respirare a bocca aperta. La pressione generata da un flusso di 15 l/min contribuisce a determinare una certa pressione positiva nelle vie aeree durante l'esalazione. In questo modo si ottiene una pressione positiva continua nelle vie aeree che aumenta la capacità funzionale residua. L'incremento di quest'ultima nei pazienti con edema o lesioni polmonari può essere fondamentale per la loro sopravvivenza. Materiale plastico di copertura pulito. È anche possibile servirsi di un foglio di plastica per evitare la dispersione dell'ossigeno opponendovi una barriera, temporanea ma istantanea, che consente di intervenire sul paziente e cateterizzare una vena di un arto sfilandolo da sotto la tenda improvvisata. Questo tipo di manovra è risultata molto NOTE 23 NOTE utile per il trattamento dei gatti dispnoici che sembrano sempre "cercare di portarvi con loro" quando tentano freneticamente di respirare. Tubi orotracheali, laringoscopio, pallone di AMBU. Il pallone di AMBU può essere impiegato per ottenere una pressione positiva tramite ventilazione mediante maschera con ossigeno al 100% servendosi di un'erogazione di 1015 l/min. Dopo alcuni atti respiratori, si effettua l'intubazione servendosi di un laringoscopio, stando attenti a non sollevare o manipolare troppo la testa dell'animale, perché ciò potrebbe causare l'aspirazione di fluidi nelle vie aeree. Servendosi di un laringoscopio in plastica e di tubi orotracheali trasparenti, i pazienti possono essere lasciati sul fianco o sul dorso con la testa orizzontale, svuotando le vie aeree con un'aspiratore ed introducendo il tubo orotracheale senza necessità di sollevare il capo del paziente. Tavole o plance di plexiglas e nastro. Qualunque animale che arrivi all'ospedale con un sospetto di frattura spinale, emorragia interna, fratture pelviche o fratture multiple degli arti deve essere immediatamente immobilizzato. Allo scopo, può essere posto su una tavola o una plancia di plexiglas, alla quale viene fissato con del nastro. Quest'ultimo va applicato almeno in quattro punti: 1) attraverso l'ala dell'ileo, 2) nella regione toracica media, 3) attraverso le ali dell'atlante e 4) diagonalmente attraverso le estremità degli arti, in modo di impedirgli di compiere dei movimenti di pedalamento. Attraverso la tavola è possibile anche effettuare la ripresa di radiografie. L'immobilizzazione dell'animale così ottenuta consente di ridurne al minimo i movimenti e, quindi, diminuisce le probabilità di rottura di un coagulo a livello di una zona o un'organo sanguinanti o quelle di ulteriori danni spinali causati da fratture o lussazioni. Di solito, l'immobilizzazione rende meno probabile la comparsa di dolore, ma occasionalmente questo può essere tale da richiedere la somministrazione endovenosa di analgesici o il ricorso all'anestesia epidurale. SANGUE E COLLOIDI. La disponibilità di sangue intero omologo fresco, in particolare, è di primaria importanza nel trattamento delle lesioni più catastrofiche, che sono comunemente caratterizzate da una grave perdita ematica. Anche nei pazienti sotto shock (che non hanno subito gravi emorragie) la necessità di plasma o di altri colloidi per il ripristino del volume riveste un significato 24 vitale. Recenti studi hanno dimostrato che l'espansione del comparto vascolare o l'infusione in esso di altri fluidi risulta di breve durata se si utilizzano soluzioni cristalloidi come il Ringer lattato. Quest'ultimo scompare dalla circolazione in misura superiore all'80% in meno di un'ora, passando nell'interstizio. Un'altra indagine eseguita in cani colpiti da shock emorragico ha evidenziato che solo il 6% della soluzione di Ringer lattato resta in circolo a distanza di un'ora dall'infusione. Invece, un colloide come il destrano 70 è ancora in circolo al 100% dopo 12 ore. Nei pazienti politraumatizzati, ed in particolare in quelli con lesioni polmonari o craniche (condizioni molto frequenti) l'iperespansione dello spazio interstiziale (che insorge comunemente con la rapida somministrazione di cristalloidi in quantità pari al volume di sangue perduto) può essere particolarmente dannosa. L'aumento del volume dell'acqua interstiziale al di sopra dei valori normali, che si manifesta clinicamente sotto forma di edema, è stato associato nei pazienti umani politraumatizzati ad un aumento della morbilità e della mortalità. Nei soggetti con ematocrito inferiore al 25% viene anche significativamente ridotta la capacità di trasporto dell'ossigeno. Quindi, si può concludere che, ai fini della rianimazione dei pazienti che hanno subito traumi gravi, il sangue e gli emoderivati come il plasma sono insostituibili. NOTE PRONTEZZA MENTALE DEL PERSONALE ESERCITAZIONI La prontezza operativa richiede che il personale dell'ospedale sia sempre mentalmente e fisicamente preparato. Si raccomanda l'attuazione di seminari ed esercitazioni all'interno dell'ospedale. Bisogna in particolare mantenere al massimo livello di efficienza le capacità del personale destinato alla valutazione e rianimazione dei pazienti in condizioni di emergenza. In presenza di traumi molto gravi, tutti devono sapere esattamente cosa fare ed essere in grado di farlo bene. Le esercitazioni migliorano le capacità psicomotorie e abituano tutti ad operare nell'ambito di una squadra, garantendo al paziente un trattamento efficace ed efficiente. Si può utilizzare un cane di pezza per simulare un "paziente investito da un'automobile" in stato di shock ed incosciente. Alla conclusione delle esercitazioni si devono tenere delle riunioni di controllo per valutare, 25 NOTE 26 in modo positivo e costruttivo, il rendimento dell'intero staff. Queste riunioni possono anche servire a proporre ed esaminare la fattibilità di nuovi protocolli di intervento. Protocolli. Si raccomanda l'adozione di protocolli per la valutazione generale del paziente, il suo trattamento e la terapia di specifici eventi traumatici o malattie particolarmente gravi. Questi protocolli devono sempre essere scritti e riesaminati ad ogni incontro dello staff. Possono anche essere affissi alle pareti delle aree principali dell'ospedale o nella zona di pronto soccorso, dove possono essere facilmente consultati. Costituiscono così delle linee guida e dei promemoria per tutti gli operatori, aumentano l'efficacia della squadra e contribuiscono ad evitare errori di valutazione e trattamento. Ciascun protocollo può essere organizzato sotto forma di elenco numerico o alfabetico oppure come algoritmo. Ognuno di essi deve essere periodicamente riesaminato ed aggiornato, a seconda delle necessità, in modo da essere sempre attuale, facilmente comprensibile ed efficace nell'ambito operativo al quale è destinato. Numero di componenti del team di emergenza. Idealmente, devono sempre essere presenti ed impegnati nel trattamento degli animali con gravi traumi o affezioni almeno tre clinici e tecnici esperti. Naturalmente, se il personale disponibile è in numero inferiore e non si può fare nulla per aumentarlo, si devono trovare delle soluzioni alternative. Occasionalmente, il supporto tecnico può essere fornito in parte da un addetto alla reception, un operatore della manutenzione o un contabile. Queste persone possono essere preparate ad effettuare le operazioni di contenimento ed eseguire alcuni interventi fondamentali per salvare la vita del paziente. Se non si dispone di personale medico e paramedico in numero adeguato, è possibile, nelle situazioni di crisi, chiedere l'aiuto dei presenti o del proprietario, richiedere l'intervento di altri professionisti non in servizio (retribuiti per interventi effettuati in reperibilità e dotati di un sistema cercapersone), affidarsi ad un programma di convenzione, su base volontaria o a pagamento, con studenti universitari, che in questo modo possono acquisire esperienza oppure, se si dispone di una famiglia numerosa, reclutare parenti e figli. Il concetto di numero minimo di personale occorrente non è limitato alle operazioni di rianimazione immediata da effettuare nella zona di pronto soccorso, ma va esteso agli interventi chirurgici risolutivi da eseguire subito dopo. Ad esempio, si consideri il caso di un pastore tedesco che richiede un intervento di chirurgia esplorativa e riparativa perché presenta una ferita da arma da fuoco all'addome. Sono necessarie come minimo 3 persone: il chirurgo, un assistente che si occupi delle operazioni di retrazione, aspirazione, manipolazione delle pinze emostatiche applicate in profondità sui vasi che richiedono una legatura (migliorando l'efficacia e la rapidità dell'intervento) ed un anestesista-rianimatore. Nei pazienti traumatizzati che devono essere sottoposti ad interventi di notevole entità sono sempre necessari la ventilazione assistita e l'accurato monitoraggio dell'anestesia. Se si dispone di un sistema meccanico di ventilazione, una sola persona può occuparsi di entrambi questi compiti, ma non è la soluzione ideale. Il coinvolgimento del diaframma o della parete toracica impone la ventilazione continua, per cui all'anestesista-rianimatore resta ben poco tempo per fare altro. NOTE DOCUMENTAZIONE Nella società odierna, in cui i veterinari stanno iniziando a confrontarsi con i problemi legali, bisogna sempre tenere presente che ciò che non è stato registrato non è mai stato fatto. Quindi, bisogna riportare sulle cartelle cliniche tutti gli interventi effettuati. È anche molto importante far firmare al cliente, non appena possibile, una dichiarazione di consenso alla terapia. Il consenso implicito, rilasciato dal proprietario nel momento in cui entra precipitosamente nell'ospedale, non è così vincolante come una dichiarazione firmata in cui autorizza il veterinario ad effettuare gli interventi e le indagini diagnostiche ritenute opportune. Il documento va suddiviso in due sezioni, una relativa ai presunti interventi che si ritiene di dover effettuare e l'altra in cui il proprietario indichi cosa desidera che si faccia nel caso che dovesse insorgere una complicazione imprevista, come un arresto cardiaco. Sulla cartella clinica si devono riportare tutte le informazioni relative all'anamnesi ed all'esame clinico, agli interventi effettuati nell'unità di terapia intensiva ed in sala operatoria, l'evoluzione delle condizioni del paziente e gli esiti degli esami di laboratorio. Tutte le comunicazioni con il proprietario DEVONO essere documentate, così come tutti i riscontri clinici ed i trattamenti effettuati. Ogni ricovero deve essere registrato riportando ora, data, descrizione del caso e firma 27 NOTE 28 della persona presente. Lo stesso metodo di registrazione di tutti gli interventi attuati, i farmaci impiegati e le cure prestate DEVE essere usato per effettuare un conto accurato delle spese e, quindi, dei compensi. Se non è scritto, è regalato! 33° Congresso SCIVAC MEDICINA D’URGENZA E TERAPIA INTENSIVA NEI PICCOLI ANIMALI MONTECATINI TERME (PT), 21-23 MARZO 1997 Dennis T. Crowe DVM, Diplomate ACVS, ACVECC The Animal Emergency Center & The Veterinary Institute of Trauma, Emergency, and Critical Care Milwaukee, Wisconsin, USA Tecniche per la gestione pratica delle emergenze vascolari (Parte prima) Venerdì, 21 marzo 1997, ore 17.30 57 NOTE Tutti i sanguinamenti prima o poi si arrestano... quando la pressione ed il volume del sangue nello spazio intravascolare si riducono a sufficienza... ma non è un bene, perché se l'emorragia è troppo prolungata il paziente muore per lo shock INTRODUZIONE Il controllo delle emorragie, che in genere viene attuato inizialmente sotto forma di compressione diretta o indiretta, va eseguito durante il ripristino del volume circolante e prima di portare a termine i tentativi di normalizzazione della pressione sanguigna, altrimenti si potrebbe avere un sanguinamento ancora più rapido con un aumento del rischio di morte. Questa affermazione, basata semplicemente sul buon senso, non è stata molto sottolineata in precedenza, ma è stata ora dimostrata sperimentalmente e viene considerata con sempre maggiore attenzione. La sopravvivenza dei pazienti dipende dalla rapidità con cui si riesce ad individuare e controllare l'origine dell'emorragia, nonché dalla disponibilità o meno di attrezzature idonee e personale preparato, dalla possibilità di utilizzare sangue intero o soluzioni colloidali da infondere per ripristinare il volume circolante, dalla capacità del chirurgo e dalle disponibilità economiche del proprietario. Le emorragie più lievi concedono maggior tempo al clinico per giungere alla diagnosi ed effettuarne il controllo, ma spesso per arrivare alla soluzione definitiva del problema è necessario intervenire chirurgicamente entro un'ora dal ricovero ed instaurare un rapido ripristino del volume ematico, che resta tuttora uno dei capisaldi della terapia. Nella maggior parte dei pazienti esaminati presso gli ospedali veterinari, le lesioni sono di minore entità e causano emorragie lievi o autolimitanti, che in genere non richiedono il ricorso alle trasfusioni. Si ritiene che questa possa essere la ragione dell'idea, abbastanza comune, che il ripristino del volume ematico mediante infusione di soli cristalloidi (60-90 ml/kg), effettuata nell'arco di un'ora, senza bisogno di interventi chirurgici di alcun genere, possa essere sufficiente, nella maggior parte degli animali, a trattare lo "shock emorragico". Tuttavia, negli ospedali veterinari che, essendo rapidamente raggiungibili, esaminano un numero più elevato di pazienti con emorragie potenzialmente letali, spesso per arrestare l'emorragia è necessario 58 ricorrere ad un intervento chirurgico d'urgenza (da attuare entro pochi minuti) associato all'infusione di grandi quantità di sangue e plasma attraverso uno o più cateteri di grosso calibro (del tipo usato per l'alimentazione paraenterale) inseriti in una vena centrale. NOTE La classificazione delle emorragie come guida al loro trattamento I pazienti che presentano un'emorragia localizzata in un punto specifico e si trovano in condizioni critiche devono essere sottoposti ad intervento chirurgico anche se si trovano sotto shock, perché è impossibile che si "stabilizzino" prima di che si sia ottenuto il controllo della perdita ematica. La prima ora successiva all'insorgenza del problema è quella più critica per una corretta scelta degli interventi terapeutici. L'autore ha sviluppato una "classificazione delle emorragie" basata sui segni clinici presentati dal paziente, sui dati anamnestici e sulla stima dell'effettiva entità della perdita di sangue osservata o, eventualmente, documentata. La perdita viene espressa in percentuale di sangue normale sul totale dell'organismo di un gatto (55 ml/kg) o di un cane (90 ml/kg) in età adulta e magro, tenendo presente che i valori indicati vanno leggermente diminuiti nei soggetti anziani o obesi e nelle femmine non ovariectomizzate. Criteri di stima delle perdite ematiche. Si tratta di linee guida generali, che però possono fornire utili indicazioni. In un arto fratturato e rigonfio, ogni aumento di volume della grossezza di "un pugno" corrisponde a circa 300-500 ml di sangue. Un ristagno ematico appiattito del diametro di circa 30 cm è pari a circa 100 ml. Un tampone di cotone (10 x 10 cm) può contenere 5-10 ml di sangue, a seconda del grado di saturazione. Uno strofinaccio da cucina o un tampone da laparotomia (30 x 30 cm) può contenerne 50100 ml, sempre secondo il grado di saturazione. È anche possibile pesare tamponi e bendaggi, tenendo presente che ogni aumento di 1 g (rispetto al loro peso da asciutti) indica la presenza di circa 1 ml di sangue. La classificazione che segue (basata su studi fisiologici condotti in animali sotto anestesia) e le relative indicazioni terapeutiche costituiscono una modificazione di un'analoga classificazione pubblicata nella letteratura medica umana. 59 NOTE DISSANGUAMENTO - Emorragia di Classe 5. Si definisce come tale la perdita del 35-40% del volume di sangue del paziente in un arco di tempo di 5-10 minuti, che risulta insufficiente all'instaurarsi delle risposte compensatorie dell'animale (come l"autotrasfusione dei fluidi interstiziali e lo svuotamento dei sinusoidi splenici). Emorragie di questa classe si possono anche avere in seguito alla perdita di un minor volume di sangue se l'animale ha pure subito un trauma o se non era in buone condizioni di salute prima dell'evento. Quando la stessa emorragia si sviluppa nell'arco di alcune ore, spesso l'organismo è in grado di mostrare un'ottima compensazione, con scarse manifestazioni cliniche fino a che la perdita di sangue non raggiunge un valore critico (superiore al 50%). I segni clinici sono molto evidenti: mucose di colore bianco o grigio, polso debole o impercettibile, assenza di tempo di riempimento capillare, vene appiattite che non si distendono in seguito all'occlusione, estremità fredde e perdita di coscienza. La frequenza cardiaca e quella respiratoria sono variabili, da rapide a quasi inesistenti. Sono comuni le aritmie ventricolari. MOLTO GRAVE - Emorragia di Classe 4. Si ha negli animali che perdono più del 40-50% del loro volume ematico in un arco di tempo più prolungato (30-90 minuti). I pazienti che perdono una simile quantità di sangue necessitano di un intervento di ripristino mediante infusione di sangue e colloidi. Le ricerche effettuate indicano che rimpiazzando il volume perduto con le sole soluzioni cristalloidi, che portano ad un ematocrito dell'8-10%, si ha nel cane un tasso di mortalità del 100%. In ciascun paziente, è possibile accertare i limiti dell'emodiluizione monitorando il calo della pressione venosa mista pO2 e/o l'aumento dei livelli dei lattati ematici. L'esperienza personale ha dimostrato che, con la rapida infusione di cristalloidi, l'ematocrito può presentare un calo acuto al 6% e ciò nonostante il paziente può ancora sopravvivere, a condizione che la perdita ematica sia controllata e si inizi nell'arco di pochi minuti una rapida terapia di ripristino del volume di sangue circolante. I segni clinici sono gravi: stupore o incoscienza, tempo di riempimento capillare appena accennato, polso percettibile solo a livello delle principali arterie (femorale), mucose pallidissime, estremità gelide o fredde, tachicardia e tachipnea. Possono anche essere presenti bradicardia ed aritmie ventricolari. 60 GRAVE - Emorragia di Classe 3. Gli animali che perdono dal 35% al 40% del volume ematico mostrano i segni di un grave shock. Senza un'adeguata rianimazione con ripristino volumetrico, potrebbero non sopravvivere. Il trattamento va effettuato preferibilmente con un'associazione di colloidi, sangue e cristalloidi, tuttavia in genere risulta efficace anche la sola infusione di cristalloidi, se l'emorragia è stata arrestata. Durante l'infusione, è necessario monitorare accuratamente l'ematocrito ed i solidi totali del plasma. Se il primo scende al di sotto del 2025% ed i secondi risultano inferiori a 3,5-4,0 g/dl, è indicato l'impiego di sangue e/o colloidi. I segni clinici sono rappresentati da ipotensione, depressione del sensorio senza perdita di coscienza, polso filiforme, rallentamento del tempo di riempimento capillare, mucose pallide o leggermente rosee. Gli animali possono sembrare clinicamente in ipotensione ed essere invece ipertesi e pallidi per la stimolazione simpatica determinata dal dolore. È importante effettuare la misurazione della pressione arteriosa, sia direttamente che indirettamente (Doppler od oscillometria). NOTE MODERATA - Emorragia di Classe 2. Consiste nella perdita del 20-25% del volume ematico. I pazienti con emorragie di questa entità rispondono molto bene alla sola infusione di cristalloidi (in quantità pari a circa 3-4 volte quella perduta). Gli animali precedentemente sani che subiscono una perdita di sangue non superiore al 20% sono di solito in grado di riprendersi spontaneamente grazie alla contrazione splenica ed al trasferimento nei capillari del liquido interstiziale per "autotrasfusione". Non si può invece fare affidamento sul riequilibrio spontaneo di fluidi ed eritrociti nei pazienti già precedentemente malati o anziani, che non sempre possono attuare questa autorianimazione. I segni clinici sono rappresentati da lieve aumento della frequenza cardiaca e respiratoria, leggero rallentamento del tempo di riempimento capillare, diminuzione della pressione sistolica, ma incremento di quella diastolica, con pressioni medie essenzialmente invariate rispetto a prima dell'emorragia. Possono essere presenti ansia e debolezza. LIEVE - Emorragia di Classe 1. Consiste in una perdita ematica del 10-15%. L'autorianimazione è in genere sufficiente a ripristinare il volume vascolare nei pazienti 61 NOTE non affetti da preesistenti condizioni patologiche. Se non ci sono ulteriori emorragie, risulta del tutto adeguata l'infusione di cristalloidi. I segni clinici sono quasi inesistenti; nella maggior parte dei casi si osservano lieve tachicardia, tempo di riempimento capillare rapido e mucose brillanti. LINEE GUIDA PER LA RIANIMAZIONE GENERALE Non appena giunti in ospedale, tutti i pazienti devono essere sottoposti ad una valutazione della gravità delle loro condizioni, da parte di un infermiere o di un veterinario. Se sul corpo dell'animale si osservano tracce di sangue è necessario indossare dei guanti protettivi, perché potrebbe anche essere del proprietario. A causa degli elevati rischi che ciò può comportare (HIV ed epatite), questa misura precauzionale è assolutamente imprescindibile. Prima di dedicarsi al controllo dell'emorragia bisogna garantire la pervietà delle vie aeree e stabilizzare la respirazione; negli stadi iniziali della rianimazione del paziente, è possibile che non si possa andare oltre il controllo temporaneo del sanguinamento. Le condizioni dell'animale, tuttavia, non devono essere considerate stabilizzate finché non si è ottenuto il controllo definitivo della perdita ematica. Spesso, le vittime dei traumi non sono in grado di effettuare autonomamente la ventilazione e necessitano quindi di un rapido intervento di ventilazione a pressione positiva. Nel paziente conscio, se necessario, per consentire l'intubazione orotracheale si possono impiegare benzodiazepine, oppiacei ed agenti paralizzanti. Negli animali con lesioni della testa o gravi danni polmonari si consiglia l'esecuzione di una tracheotomia senza anestesia, per ottenere l'immediato controllo delle vie aeree. La maggior parte dei pazienti con emorragia è colpita da ipossiemia dovuta alla perdita della massa eritrocitaria ed all'ipotensione conseguente al calo del volume intravascolare. È di capitale importanza essere in grado di offrire un apporto supplementare di ossigeno ed inserire in una vena un catetere di grosso calibro per infondere rapidamente grandi quantità di soluzioni cristalloidi e colloidi. Per il trattamento dei pazienti in stato di shock che non presentano segni di emorragia risultano adeguati i colloidi di sintesi, mentre le perdite ematiche più imponenti richiedono trasfu- 62 sioni di eritrociti, plasma e sangue fresco intero. Nei pazienti con emorragie gravissime, quando non si dispone di emoderivati può essere indispensabile l'autotrasfusione. Recenti studi suggeriscono che una rianimazione aggressiva mediante fluidoterapia in presenza di emorragie non controllate determina una diminuzione della sopravvivenza. Il controllo spontaneo delle perdite di sangue arteriose dipende dalla formazione del coagulo e dal calo della pressione sanguigna. Il coagulo fibrinoso non è rilevabile prima che siano trascorsi almeno 20-30 minuti dall'emorragia, Quindi, è stato ipotizzato che un ritorno troppo precoce ai valori pressori normali determini la distruzione del coagulo e la prosecuzione dell'emorragia. Il calo della viscosità è stato associato ad un aumento della velocità di flusso. La rapida infusione di cristalloidi diluisce la massa eritrocitaria e riduce la viscosità del sangue e può causare un aumento del sanguinamento. Nei modelli animali con emorragie non controllate, il raggiungimento di una pressione media di 80 mm Hg comporta, rispetto ai casi in cui questo parametro è stato riportato ai valori normali, una notevole riduzione dell'emorragia ed un aumento della sopravvivenza. Se, nonostante gli interventi di rianimazione volti ad ottenere il ripristino volumetrico, un paziente continua a perdere sangue attraverso un'emorragia interna ad una velocità incontrollabile durante i primi 30-60 minuti di rianimazione (una condizione indicata da continua espansione dell'addome, aumento dell'ematocrito del liquido di lavaggio peritoneale e/o persistenza o aggravamento dei segni clinici), può essere indicata la realizzazione, nell'ora successiva, di un ambiente controllato "ipovolemico". Quando si attua questa rianimazione "ipotensiva", è necessario monitorare strettamente la pressione arteriosa perché la grave ipotensione può essere associata ad insufficienze organiche e morte per ipoperfusione ed ipossia. L'autore cerca accuratamente di mantenere la pressione sistolica al di sopra di 80 mm Hg, ma al di sotto di 110-120 mm Hg. Ciò spesso richiede la somministrazione endovenosa di analgesici come l'ossimorfone (0,03-0,05 mg/kg) ed il butorfanolo (0,05-0,2 mg/kg). Zona di rianimazione. I pazienti con gravi emorragie in atto possono non farcela ad arrivare alla sala operatoria. È necessario disporre di una "zona di pronto soccorso" attrezzata con tutti i materiali necessari per effettuare la rianimazione fluidoterapica e la chirurgia d'urgenza. NOTE 63 NOTE 64 Strumentario chirurgico occorrente. I corredi operatori completi per il trattamento dei pazienti traumatizzati devono contenere, oltre agli strumenti standard per i principali interventi addominali, divaricatori di Balfour, tubi in silicone (silastic) per aspirazione, punte da aspiratore Yankauer e Poole, pinze cardiovascolari di DeBakey, pinze occlusive di tipo Cooley, Bulldog o Serrafine, tamponi per laparotomia e teli di cotone di varie dimensioni. L'applicazione di una spilla di sicurezza ad ogni telo ne garantisce l'individuabilità radiografica. Inoltre, devono essere presenti anche dei fissateli supplementari, che si possono usare per chiudere temporaneamente le sedi di incisione necessarie ad ottenere l'accesso ai vasi e le cavità corporee aperte per l'applicazione temporanea di impacchi compressivi. Per la chiusura delle strutture vascolari e fasciali si utilizzano materiali da sutura non assorbibili monofilamento di varie dimensioni (da 6-0 a 2) montati su aghi atraumatici. I sistemi di sutura a punti metallici possono far risparmiare una considerevole quantità di tempo. È essenziale un'approfondita conoscenza della farmacologia ed i farmaci e gli anestetici impiegati devono essere scelti con cura. Monitoraggio della pressione e del flusso nelle arterie. I sistemi Doppler per il monitoraggio indiretto della pressione sanguigna e del flusso sono ormai considerati essenziali nei centri di terapia d'urgenza aggiornati e sono comunque caldamente consigliati in tutte le strutture veterinarie dove si prevede di poter trattare dei pazienti con emorragie in atto. Queste apparecchiature garantiscono la corretta perfusione durante la rianimazione, evitando il rischio di ipertensione che potrebbe potenzialmente portare ad un aggravamento dell'emorragia. L'applicazione di una sonda Doppler su un'arteria o una vena distali può servire a stabilire l'apporto vascolare alla parte in caso di lesioni periferiche. Protocolli. L'uso di protocolli interni all'ospedale assicura il mantenimento di uno standard costante del livello di assistenza ed aumenta le probabilità di sopravvivenza del paziente. I seminari e le esercitazioni pratiche su cadavere, che vengono frequentemente attuati nei centri di terapia d'urgenza in medicina umana, migliorano il lavoro di squadra e consentono a medici ed infermieri di migliorare il livello delle cure prestate. Tanto queste esercitazioni che la messa a punto di protocolli terapeutici sono consigliate anche nei centri veterinari che effettuano interventi d'urgenza. PROTOCOLLO DI TRATTAMENTO DELLE EMORRAGIE CATASTROFICHE O GRAVI NOTE Le emorragie catastrofiche sono quelle che mettono in pericolo la vita del paziente perché 1) comportano un'imponente perdita di sangue (interna e/o esterna) con conseguente collasso vascolare o 2) avvengono in una cavità interna dove l'occupazione dello spazio disponibile da parte del sangue determina alterazioni funzionali secondarie a carico delle strutture neurovascolari o neurologiche (come avviene ad esempio in caso di tamponamento pericardico o aumento della pressione intracranica). In genere, quando questi pazienti giungono in ospedale sono già evidenti i segni dello shock. I soggetti esaminati immediatamente dopo un trauma significativo possono apparire in condizioni clinicamente stabili anche se in realtà in essi è in atto una grave emorragia. In uno studio sperimentale effettuato mediante dissanguamento di alcuni cani, sono occorsi almeno 5 minuti prima della comparsa dei segni clinici dello shock. Nei pazienti che hanno subito traumi gravi, è sempre meglio presumere, fino a prova contraria, l'esistenza di una grave emorragia interna, che non può essere esclusa sulla base della semplice "stabilità dei segni vitali" se non è trascorsa almeno un'ora dall'evento traumatico. Autotrasfusione L'autotrasfusione prevede il prelievo di sangue dalle grandi cavità corporee di un paziente con emorragia in atto e la sua reinfusione in circolo. Da questo punto di vista, è da considerare ideale il sangue prelevato dalla cavità toracica, perché è solitamente sterile, contiene un numero limitato di piastrine e presenta i fattori della coagulazione. In commercio si trovano diversi sistemi di autotrasfusione, che però non sono indispensabili. Il sangue va prelevato nella maniera più asettica possibile, evitando la formazione di bolle che potrebbero causare un'ulteriore lisi degli eritrociti. Data l'assenza di fibrinogeno, di solito non è necessaria l'aggiunta di anticoagulanti al sangue ottenuto dal torace. Quello di derivazione addominale raccolto entro le prime ore dall'emorragia contiene invece il fibrinogeno e richiede quindi l'aggiunta di un anticoagulante. 65 NOTE Il sangue addominale comporta il rischio di una batteriemia per la possibile contaminazione fecale e non va infuso fino a che non è stato dimostrato che in addome non sono presenti agenti inquinanti di derivazione enterica o colonica. Tuttavia, se non ci sono alternative e si ritiene che la vita del paziente sia in pericolo, si deve ricorrere anche all'infusione di questo sangue. Idealmente, dovrebbero trascorrere al massimo 4 ore fra la raccolta e la reinfusione. Se possibile, prima di essere reimmesso in circolo il sangue va filtrato attraverso un filtro da 40 micron, ma, anche in questo caso, la mancanza di quest'ultimo non preclude l'autotrasfusione. Il rischio di insorgenza di coagulazione intravasale disseminata e di complicazioni correlate all'infusione di sostanze corpuscolate, sangue contaminato ed emoglobina libera esiste, ma è raro e principalmente dose-dipendente ed i casi studiati hanno dimostrato come queste complicazioni comportino un rischio più che accettabile nei pazienti con emorragie catastrofiche. Nei soggetti che richiedono l'infusione di grandi quantità di sangue (oltre 90 ml/kg), con coagulopatie derivanti dalla riduzione del numero e della funzionalità delle piastrine e dalla mancanza di fattori della coagulazione, può essere necessaria la trasfusione di sangue fresco intero, plasma ricco di piastrine o fresco congelato. Riassumendo, l'impiego dell'autotrasfusione è consigliato nelle seguenti circostanze: a. quando l'ematocrito scende al di sotto del 20% e/o i solidi totali del plasma diventano inferiori a 3,5 g/dl e non è disponibile sangue omologo; b. quando è presente un'emorragia imponente e non si può disporre immediatamente di sangue omologo, mentre si può raccogliere quello presente in una cavità corporea; c. quando si riscontra una perdita ematica continua è non è più disponibile sangue omologo. Metodi di controllo delle emorragie La maggior parte delle informazioni fornite in questa sede è relativa al trattamento dei traumi da corpo contundente, ma le stesse regole si applicano in genere anche alle ferite penetranti. I sanguinamenti derivanti da lacerazioni, punture e lesioni penetranti sono spesso più facili da controllare, rispetto a quelli da corpo contundente, che determinano la formazione di lesioni da rottura o schiacciamento. 66 Compressione diretta. La compressione diretta è molto importante nel controllo iniziale dei sanguinamenti interni ed esterni. Una compressione digitale di poche decine di grammi per centimetro quadrato è in grado, nella maggior parte dei casi, di arrestare emorragie anche molto profuse. Nelle situazioni di emergenza, si può appoggiare sulla ferita un dito guantato o chiudere una mano, sempre protetta dal guanto, intorno ad un'estremità. Le soluzioni di continuo di dimensioni maggiori possono essere coperte da tamponi di garza o di tela, avvolte poi da un bendaggio compressivo sul quale, per aumentare la compressione, si pone infine la mano dell'operatore. I bendaggi compressivi non vanno rimossi prima di aver pianificato il trattamento definitivo, perché il loro allontanamento potrebbe danneggiare i fragili coaguli ematici. In caso di ulteriori perdite di sangue, si deve applicare un secondo bendaggio su quello iniziale. Se la ferita viene trattata con procedure sterili, si hanno minori complicazioni durante la guarigione. L'inserimento di tamponi nelle cavità e nelle aperture sanguinanti può essere considerata una forma di compressione diretta. I materiali da utilizzare a questo scopo variano dalle bende alle garze, ai tamponi da laparotomia ed ai teli, e vanno inseriti nelle zone sanguinanti servendosi delle mani o di pinze, in modo da comprimerli contro quelli già precedentemente applicati. Si può anche attuare una chiusura temporanea con suture, spille di sicurezza o pinze fissateli. Nei pazienti con coagulopatie o trombocitopenia, l'inserimento di questi materiali e la chiusura temporanea della lesione possono servire durante la fase di correzione dell'anomalia. La ferita va nuovamente esplorata, con la rimozione del materiale inserito, entro uno o due giorni. I tamponi non vanno lasciati in sede per più di 24-48 ore per il rischio di infezione. Manicotti compressivi e lacci emostatici. È possibile applicare un manicotto insufflabile, del tipo utilizzato per la misurazione della pressione sanguigna, a monte della ferita sanguinante o direttamente sopra ad essa, gonfiandolo fino ad una pressione superiore di 20-30 mm Hg a quella arteriosa, in modo da ottenere il controllo dell'emorragia. Questi manicotti possono essere lasciati in sede per diverse ore senza causare compromissioni neurovascolari irreversibili. I lacci emostatici non vanno mai usati per fermare le emorragie delle estremità, a meno che non si preveda che queste debbano essere amputate nel tratto situato distalmente al laccio stesso. I bendaggi compressivi troppo NOTE 67 NOTE 68 stretti, i tubi di drenaggio in gomma troppo serrati ed i lacci emostatici determinano il collasso completo di tutto il flusso arterioso e venoso, con conseguenti alterazioni ischemiche, trombosi e deficit neuromuscolari permanenti e, quindi, possono essere impiegati solo per periodi di tempo molto brevi (meno di 3-5 minuti). Anche con l'uso di sistemi di compressione su superfici più ampie, si consiglia di ristabilire il flusso arterioso nelle estremità distali dopo un limite di due ore (fino ad un massimo assoluto di sei ore). Punti di pressione. L'applicazione della conoscenza dei punti di pressione consente di esercitare una compressione sui vasi superficiali che irrorano l'area dove è localizzata l'emorragia. Gravi sanguinamenti della testa e del collo possono essere controllati applicando una compressione digitale sull'area profonda situata ventralmente all'angolo della mandibola, dove sono situate le arterie mascellari Non si devono comprimere le vene giugulari, linguofacciali o mascellari, per non aggravare ulteriormente il sanguinamento. È possibile evitare il coinvolgimento di questi vasi attuando una compressione profonda in posizione direttamente adiacente alla mandibola. Una rapida perdita di sangue attraverso una coscia può essere controllata con la compressione della regione del canale inguinale e femorale, agendo sulle arterie femorale e femorale profonda. Se la lesione interessa anche queste aree, si può attuare una compressione digitale sull'arteria iliaca esterna spingendo la punta delle dita nella superficie laterale della parte caudale dell'addome, cranialmente al canale inguinale. Anse vascolari. La realizzazione di anse vascolari intorno ai vasi che irrorano le regioni in cui è localizzata l'emorragia consente di ottenere il controllo temporaneo del problema fino all'esecuzione della legatura definitiva. Si deve continuare a mantenere la compressione a livello dei punti di pressione, applicando l'intera mano guantata o le dita sulla sede della ferita e sulla zona dei punti di pressione. Si raggiungono chirurgicamente i grandi vasi situati prossimalmente e distalmente alla ferita. Intorno alle arterie (prossimalmente) ed alle vene (distalmente) principali si fa passare un'ansa di nastro o di tubo da nutrizione enterale, serrandola con le pinze emostatiche. Le anse vascolari possono essere utilizzate a livello di addome, torace, collo o spazio retroperitoneale, per controllare temporaneamente un'emorragia situata distalmente all'occlusione. Contropressione esterna. La contropressione esterna si applica a livello di arti posteriori, bacino e addome e può essere un metodo molto efficace per aumentare la pressione sanguigna sistemica (sia arteriosa che venosa) e rallentare o arrestare le emorragie a livello delle strutture interessate, comprese quelle a carico dei grossi vasi come l'aorta addominale, la vena cava e l'arteria femorale. Grazie alle caratteristiche idrauliche del sangue, la contropressione applicata su un'area dell'addome provoca determinati effetti pressori su tutte le strutture intraaddominali. La contropressione consiste nell'applicazione di una forza esterna che agisce sui vasi sanguigni sottoposti alla sua influenza, causando una riduzione del diametro vascolare. Poiché il flusso è direttamente proporzionale alla quarta potenza del raggio (Q = P x R4/L), una piccola riduzione del diametro causa un significativo calo del flusso. L'aumento della pressione sanguigna è dovuto all'incremento della resistenza vascolare sistemica, con le vene interessate più delle arterie. Ciò determina un aumento transitorio del ritorno venoso ed un incremento della gittata cardiaca. La pressione continua può causare un calo del ritorno venoso con conseguente riduzione della gittata cardiaca, che può essere significativo nei pazienti cardiopatici. La contropressione esterna può essere attuata servendosi di appositi "calzoni" antishock, di tipo pneumatico. Ognuno di essi è costituito da molteplici camere insufflabili. Il paziente viene inserito in questi calzoni iniziando dalla punta delle dita e proseguendo fino ad arrivare al bacino ed all'addome. Le camere vengono quindi insufflate una dopo l'altra fino al raggiungimento della pressione desiderata. Nei pazienti con emorragie gravi, può essere necessario arrivare a gonfiare tutte le camere. Se non si dispone di un sistema antishock pneumatico, si possono avvolgere gli arti posteriori, il bacino e la parte media dell'addome con bende o teli. Sulla parte ventrale dell'addome, prima dell'attuazione del bendaggio, si applicano 250-450 g di cotone o un telo arrotolato, in modo da evitare l'effetto "laccio emostatico" e, forse, aumentare la pressione sui visceri splancnici, innalzando la resistenza vascolare sistemica e la pressione arteriosa. L'applicazione di questa imbottitura è particolarmente importante a livello della parte caudale dell'addome, dove un'eccessiva compressione può determinare l'occlusione della vena cava ed impedire il ritorno venoso dagli arti posteriori. Il bendaggio non deve essere troppo stretto. Una pressione di appe- NOTE 69 NOTE na 40-60 mm Hg è sufficiente a ridurre drasticamente il flusso ematico sotto il bendaggio. Se applicato correttamente, fra questo e la cute deve essere possibile inserire un dito. Per valutare accuratamente la compressione ottenuta, è possibile gonfiare parzialmente il manicotto di uno sfigmomanometro appoggiandolo poi sulla superficie dell'addome e comprendendolo nel bendaggio. Lo strumento consente la misurazione dei valori pressori. L'impiego della contropressione esterna nel controllo delle emorragie addominali è controverso e le percentuali di sopravvivenza segnalate in proposito sono ampiamente variabili. Attualmente, i dati di sopravvivenza sono più "pro" che "contro" questo tipo di intervento e l'autore ne consiglia l'attuazione. Con questa tecnica è stato possibile, sia in animali da esperimento che in casi clinici, controllare parzialmente e in alcuni casi totalmente le emorragie, comprese le lacerazioni dell'aorta addominale e della vena cava caudale. In uno studio condotto mediante scontinuazione dell'arteria e della vena renale in cani eparinizzati ed anestetizzati, negli animali non sottoposti a contropressione il polso non era più apprezzabile mediante palpazione entro 612 minuti (8 minuti in media in 6 cani), mentre, applicando la contropressione dopo la comparsa dei segni clinici dello shock (entro 6 minuti in tutti i casi) la durata media dell'arco di tempo intercorrente fra l'inizio dell'emorragia e la scomparsa del polso palpabile era di 23 minuti. Emorragia addominale Protocollo di trattamento non chirurgico 1. Monitorare la pressione sanguigna ed infondere il volume necessario attraverso un vaso situato in posizione craniale. Utilizzare colloidi (fino a 20 ml/kg) e cristalloidi (fino a 40 ml/kg) e mantenere la pressione sanguigna sistolica fra 85 e 110; se possibile, impiegare colloidi con il magnesio al posto del calcio. 2. Determinare l'emorragia intraaddominale mediante irrigazione peritoneale diagnostica o lavaggio peritoneale diagnostico. Quest'ultimo è da preferire. Se l'ematocrito del liquido di lavaggio è superiore a 5 e l'irrigazione iniziale è stata effettuata con 20 ml/kg di fluido, il sanguinamento è considerato significativo. Il catetere va lasciato in sede per monitorare l'eventuale prosecuzione dell'emorragia, prelevando un altro campione dopo 5 minuti. Se questo risulta di 5 punti superiore a quello precedente, si deve ritenere che l'emorragia continui. È indicata una contropressione. 70 3. Iniziare una contropressione esterna limitata. Nei casi in cui si opta per il trattamento non chirurgico dell'emorragia, la contropressione esterna, una volta attuata, va idealmente lasciata in sede almeno per diverse ore, se non fino al giorno successivo, nella speranza che si formi un coagulo di fibrina. Monitorare l'entità della pressione esercitata sull'addome con il manicotto di uno sfigmomanometro leggermente insufflato. Applicare all'animale i bendaggi compressivi o i "calzoni anti-shock" e stringere gli uni o gonfiare gli altri fino ad una pressione di 20 mm Hg (prendere in considerazione la possibilità di impiegare pressioni di 40 mm o più SE vi sono segni che indicano un aggravamento o la necessità di un intervento chirurgico). NOTE 4. Se necessario, garantire l'analgesia. Si tratta di un intervento spesso richiesto nel momento in cui viene serrato il bendaggio aumentando la pressione. L'impiego per via endovenosa di butorfanolo, fentanyl, ossimorfone o morfina, associato ad una quantità molto ridotta di diazepam o acepromazina, risulta molto valido, nella maggior parte dei casi, per calmare il paziente ed evitare le reazioni contro l'ipertensione. Si può anche prendere in considerazione l'analgesia epidurale. 5. Mantenere la compressione esterna limitata per almeno 2 ore ed al massimo per 12. Una contropressione molto accentuata non va protratta per oltre un'ora. Se la compressione viene prolungata, occorre monitorare pressione sanguigna, pO2, frequenza cardiaca e frequenza respiratoria. Se le caratteristiche della respirazione indicano un danno polmonare, apportare ossigeno con un catetere rinofaringeo. 6. Diminuire la compressione lentamente, iniziando dai settori più craniali e monitorando strettamente i valori pressori. Se questi diminuiscono di più di 5 mm Hg, bisogna sospendere l'operazione ed infondere dei liquidi per riportarli alla normalità. In casi inusuali di emoperitoneo od emoretroperitoneo che si osservano in animali con avvelenamento da warfarin, i calzoni compressivi o i bendaggi vanno lasciati in sede per 24 ore, durante le quali non si devono osservare segni di ulteriori emorragie, in modo da consentire il ritorno alla normalità dei parametri della coagulazione e la somministrazione di vitamina K. Contropressione in presenza di compromissione della ventilazione. L'insufflazione dei calzoni pneumatici o l'applicazione dei bendaggi compressivi va effettuata con cautela, perché determina un aumento della resistenza all'espansione del diaframma che può portare ad una compromissione della ventilazione. La contropressione non va esercitata sulla gabbia costale e nei pazienti con gravi traumi toracici, pneumotorace o ernia diaframmatica; in questi soggetti, di solito è impossibile insufflare le camere addominali senza ricorrere contemporaneamente alla ventila71 NOTE 72 zione a pressione positiva. Se non si fornisce un adeguato sostegno alla ventilazione, la compromissione respiratoria può essere fatale. Aggiunta di una contropressione interna. Se i segni clinici continuano a peggiorare e non è possibile intervenire chirurgicamente, si può ricorrere all'infusione in addome di soluzioni saline bilanciate, come quella di Ringer lattato, per esercitare un'ulteriore pressione idraulica sugli organi e sui vasi responsabili dell'emorragia interna. Allo scopo, si utilizza un catetere con più fori. Si iniettano a livello intraperitoneale approssimativamente 25-40 ml/kg di liquido, preferibilmente riscaldato a temperatura corporea. Occorre monitorare lo sforzo della ventilazione ed arrestare l'infusione non appena si osservano delle difficoltà. 33° Congresso SCIVAC MEDICINA D’URGENZA E TERAPIA INTENSIVA NEI PICCOLI ANIMALI MONTECATINI TERME (PT), 21-23 MARZO 1997 Dennis T. Crowe DVM, Diplomate ACVS, ACVECC The Animal Emergency Center & The Veterinary Institute of Trauma, Emergency, and Critical Care Milwaukee, Wisconsin, USA Tecniche per la gestione pratica delle emergenze vascolari (Parte seconda) Sabato, 22 marzo 1997, ore 10.00 83 NOTE Tutti i sanguinamenti prima o poi si arrestano... ma talvolta è necessario un intervento chirurgico per tappare le falle INTRODUZIONE Le emorragie di molte strutture o organi richiedono, per il controllo definitivo, un intervento chirurgico, basato sui principi fondamentali delle tecniche di legatura e sutura. Tuttavia, si possono impiegare anche altri metodi. Il fine del presente lavoro è quello di illustrare le metodiche più comunemente utilizzate per questo scopo. Verranno anche descritte alcune metodiche non molto comuni rivelatesi efficaci. Controllo definitivo mediante legatura La legatura è il fondamento del trattamento chirurgico delle emorragie. Il modo migliore di controllare la fuoriuscita di sangue da un vaso è quello di impiegare delle pinze emostatiche curve, tirandone le punte fuori dalla ferita. In questo modo, l'operatore può vedere direttamente l'estremità dello strumento ed è quindi facilitato nell'applicazione del materiale da legatura; inoltre, così facendo si ha la certezza di aver afferrato solo i vasi interessati dalla lesione. Lasciando una piccola (1-3 mm) porzione di tessuti o di vasi oltre l'estremità della pinza, si evita che il moncone scivoli dalla stessa prima dell'applicazione della legatura. Se il peduncolo vascolare è molto grande, è indicato l'uso di due pinze emostatiche. Al momento di serrare la legatura, si allenta quella più prossimale, in modo da permettere al filo di circondare completamente il peduncolo. La pinza viene quindi richiusa senza toglierla, per essere certi di evitare lo scivolamento dei tessuti durante la chiusura del nodo; le estremità del materiale da sutura vengono quindi avvolte intorno al peduncolo e nuovamente annodate, in modo da ottenere una "doppia legatura". Il materiale da sutura più comunemente utilizzato in tutto il mondo per le ferite pulite è la seta. Per quelle contaminate si può impiegare un monofilamento in nylon o in polipropilene, mentre per i vasi con diametro inferiore a 3 mm ci si può servire di un monofilamento assorbibile. Per 84 il controllo delle emorragie mediante "legatura" sono anche molto indicate le graffette metalliche (titanio), che devono essere chiuse molto strettamente, come le legature, lasciando a valle un piccolo moncone vascolare, per evitare i rischi di scivolamento. NOTE Controllo definitivo mediante "Stick tying" (legatura passante) I sanguinamenti dei vasi che decorrono a livello dei tessuti circostanti possono essere controllati in modo definitivo inserendo con un ago atraumatico un filo da sutura nei tessuti stessi. Il filo viene fatto passare due volte attraverso i tessuti, tirato e poi serrato, in modo da intrappolare i vasi sanguinanti, occludendoli. Nella maggior parte dei casi si utilizza un materiale monofilamento per le estremità e multifilamento o monofilamento per i tessuti più profondi e le cavità. Al termine dell'intervento si raccomanda l'irrigazione della parte, analoga a quella effettuata dopo la legatura ordinaria, in modo da eliminare tutti i coaguli contaminati e verificare l'eventuale persistenza di emorragie. La presenza di striature ematiche di colore rosso nel liquido di irrigazione chiaro indica il persistere del sanguinamento e la necessità di intervenire mediante legatura o elettrocauterizzazione. Controllo definitivo mediante applicazione di graffette Utilizzando gli strumenti disponibili in commercio è possibile applicare due o tre file di graffette in acciaio inossidabile o in titanio a forma di lettera B. L'autore ha utilizzato questi prodotti con molto successo nel controllo delle emorragie di fegato, milza, orecchietta destra, polmone e rene. Può essere necessario controllare piccole aree sanguinanti sulla superficie scontinuata dei tessuti servendosi di una legatura passante. Controllo definitivo mediante elettrocauterizzazione L'elettrocauterizzazione mediante corrente ad alta frequenza mono- o bipolare è molto utile per il controllo delle emorragie. Nella maggior parte delle strutture veterinarie, 85 NOTE questa tecnica non viene usata frequentemente come dovrebbe. È particolarmente utile per il controllo delle emorragie di surrene, pancreas, tiroide ed altri organi endocrini. Serve anche a controllare le emorragie puntiformi localizzate in altri organi addominali cavi o solidi. È poi molto utile per il controllo delle emorragie dei vasi di diametro inferiore ad 1 mm, compresi i piccoli sanguinamenti neovascolari associati alle lesioni neoplastiche o granulomatose. Controllo definitivo mediante chiusura con sutura continua Questa tecnica, che prevede l'esecuzione di una sutura a sopraggitto su un peduncolo vascolare cavo o solido, costituisce un metodo fondamentale, usato per molti anni. Per la realizzazione di queste suture vascolari a livello di arti, sbocchi delle vene epatiche e della vena cava, monconi di milza, escoriazioni o ferite penetranti del rene e margini recisi della mucosa vascolare dello stomaco e della vescica ed altre lesioni che determinano la formazione di superfici scorticate e sanguinanti sono stati impiegati con successo materiali da sutura di calibro variabile da 4-0 a 0, montati su aghi atraumatici. Rientrano in questa categoria le lesioni degli organi molto vascolarizzati come il pancreas e le surreni. Controllo definitivo mediante applicazione di un collante L'applicazione di un collante plastico cianoacrilato per il controllo delle emorragie epatiche è stato sviluppato come tecnica chirurgica di estrema utilità durante la Guerra del Vietnam, fra la fine degli anni sessanta e l'inizio dei settanta. La tecnica prevede la chiusura di tutte le afferenze vascolari e la spremitura della parte di fegato sanguinante per espellere tutto il sangue ancora presente nei sinusoidi, in modo da rendere estremamente asciutta la zona dove si deve effettuare il controllo dell'emorragia. Il collante viene poi applicato sulle superfici lese servendosi di una siringa di plastica e di un catetere da gatto maschio con l'estremità aperta. L'occlusione vascolare viene mantenuta per un altro minuto. 86 EMORRAGIE ADDOMINALI DIAGNOSI E RISPOSTA ALLA DOMANDA "SANGUINA ANCORA?" NOTE Alcuni organi addominali, essendo incomprimibili ed altamente vascolarizzati, sono più sensibili ai traumi da corpo contundente ed altamente esposti al rischio di emorragie. Le lesioni da dissanguamento intraperitoneali vengono rapidamente diagnosticate in base al riscontro della distensione dell'addome e dei segni clinici dello shock, che si aggravano progressivamente nonostante i tentativi di rianimazione. Tuttavia, è stato sperimentalmente dimostrato nel cane che per rilevare una netta distensione addominale è necessario infondere 40 ml/kg di sangue e fluidi. Emorragie addominali più lievi possono essere più difficili da diagnosticare. Il riscontro di un livido di forma circolare intorno all'ombelico è stato segnalato come indice di emorragia endoaddominale, ma non è un evento comune. Nei pazienti umani con ipotensione secondaria a shock emorragico è stata descritta una bradicardia paradossa. Il meccanismo di questo fenomeno è sconosciuto e non è associato ad un aumento della mortalità. Il dolore può anche mancare, a causa della mancanza di terminazioni nervose a livello degli organi splancnici (peduncoli splenici). In tutti i casi di trauma addominale è indicata la paracentesi, sebbene possa essere negativa anche in presenza di un volume di sangue in addome che può arrivare al 50%. Il lavaggio peritoneale diagnostico è un metodo rapido, sicuro e sensibile per identificare un emoperitoneo (la tecnica di esecuzione è descritta in un'altra relazione). Se si riscontra la presenza di sangue, questa va quantificata. La fuoriuscita di sangue vivo dal catetere peritoneale indica una grave emorragia, man non permette di stabilire se questa sia ancora in atto o meno. È allora possibile lasciare in sede il catetere ed effettuare delle aspirazioni periodiche, per stabilire se sia necessario intervenire chirurgicamente. L'autore ha costantemente riscontrato che lasciare un catetere con più fori in addome ed effettuare un prelievo di liquido di lavaggio ogni 5-10 minuti può contribuire a determinare in modo accurato se sia in atto un'emorragia peritoneale, che viene evidenziata da un significativo aumento dell'ematocrito (superiore al 5%) o dei livelli di emoglobina (oltre 1 g/dl) rispetto al primo campione ottenuto. La ricerca ha dimostrato che la quantità di sangue libero nella cavità peritoneale può essere stimata sulla base dell'ematocrito del liquido di lavaggio. 87 NOTE Per eseguire l'irrigazione peritoneale diagnostica, il paziente viene posto in decubito laterale sinistro, quindi si effettua una paracentesi servendosi di due aghi da 18 G inseriti nei quadranti mediolaterali di destra e di sinistra già preparati chirurgicamente. Attraverso l'ago di destra si inietta rapidamente nella cavità peritoneale una soluzione di cristalloidi riscaldata, fino a che il fluido non gocciola dall'ago in posizione più declive (quello di sinistra) formando una colonna di liquido ininterrotta. Il fluido così ottenuto può essere sottoposto alle stesse analisi alle quali viene destinato quello infuso per effettuare il lavaggio peritoneale diagnostico. TRATTAMENTO CHIRURGICO DELLE EMORRAGIE ADDOMINALI - INDICAZIONI Le indicazioni per l'intervento chirurgico nei pazienti con sangue libero nella cavità addominale sono elencate più sotto. Sia per ragioni economiche che per la mancanza di un'adeguata preparazione alla riparazione chirurgica delle gravi emorragie, in medicina veterinaria il numero dei pazienti trattati in modo conservativo è molto più elevato di quello dei soggetti operati. Tuttavia, ci sono casi in cui senza intervento gli animali morirebbero. Il fatto di poter contare su del personale di supporto è di importanza critica per il successo del trattamento di questi pazienti, che richiedono una persona per monitorare l'anestesia, effettuare una fluidoterapia controllata per il ripristino del volume ematico, sostenere la pressione ed attuare la ventilazione a pressione positiva; inoltre, data la natura critica delle lesioni presenti in questi casi, è essenziale la presenza di un assistente chirurgo. Indicazioni per la chirurgia addominale esplorativa in caso di emoaddome 1. Espansione addominale che diventa clinicamente sempre più evidente. 2. Segni vitali (frequenza cardiaca, pressione sanguigna) che non rispondono al rapido ripristino volumetrico ed alla contropressione. 3. Ricomparsa dei segni clinici dello shock dopo il ripristino volumetrico e la contropressione. 4. Segni radiografici di pneumoperitoneo, ernia diaframmatica o addominale o masse, corpi estranei metallici (ferite da arma da fuoco). 5. Ematocrito iniziale del liquido di irrigazione o lavaggio peritoneale superiore al 20%. 88 6. Ematocrito dei successivi campioni di liquido di irrigazione o lavaggio peritoneale superiore del 5% al primo (o aumento di più di 1 g/dl dei livelli di emoglobina). 7. Risultati degli esami microscopici o chimici dei campioni di liquido di irrigazione o lavaggio peritoneale che suggeriscono una fuoriuscita di materiale da un viscere cavo (vescica, intestino, stomaco, cistifellea, ecc.). 8. Riscontri radiografici e clinici di continua espansione retroperitoneale con emorragia. 9. Calo persistente dei livelli di emoglobina e dell'ematocrito con l'espansione volumetrica. 10. Presenza di traumi penetranti a carico della cavità addominale (ferite da arma da fuoco o da morso), evidenziati dai risultati dell'esame clinico e radiografico. 11. Nei pazienti umani con traumi da corpo contundente, si ritiene che la presenza di sangue nel retto e nello stomaco giustifichi l'intervento chirurgico esplorativo. NOTE EMORRAGIE ADDOMINALI APPROCCIO CHIRURGICO Preparazione. Tutti gli animali con gravi emorragie addominali in atto devono essere sottoposti ad una laparotomia esplorativa d'urgenza. La contropressione va mantenuta finché il paziente non è stato anestetizzato, la confezione degli strumenti sterili non è stata aperta ed il chirurgo non si è cambiato e non ha indossato i guanti. Quindi, viene rapidamente eliminata, continuando gli interventi di supporto al volume vascolare. L'addome viene velocemente rasato e preparato chirurgicamente con una soluzione spray ad azione rapida, terminando l'intera fase, idealmente, in meno di 4 minuti. Durante la preparazione, si raccomanda la compressione manuale dell'addome e la ventilazione a pressione positiva. Delimitazione del campo operatorio. La laparotomia esplorativa si effettua attraverso un'incisione della linea mediana ventrale estesa dal processo xifoideo dello sterno al pube. La delimitazione delle due regioni inguinali consente di raggiungere immediatamente l'arteria e la vena femorali nei casi in cui è necessario accedere rapidamente alla vascolarizzazione centrale per l'infusione di liquidi ed il monitoraggio diretto dei valori arteriosi. La delimitazione dello sterno e della metà ventrale della parete toracica laterale consente invece un approccio rapido al torace, mediante sternotomia paramediana, per il clampaggio dell'aorta. 89 NOTE 90 Toracotomia e clampaggio aortico. In caso di emorragie addominali che provocano dissanguamento, si consiglia di effettuare il clampaggio dell'aorta attraverso una toracotomia sinistra prima di penetrare in addome. In questo modo si evita una grave caduta della pressione arteriosa conseguente alla vasodilatazione che si ha secondariamente all'eliminazione dell'"effetto tamponamento" determinato dalla presenza del sangue in addome. Occlusione dell'aorta addominale. Se non si effettua il clampaggio dell'aorta toracica, la compressione digitale del tratto aortico situato prossimalmente all'arteria celiaca consente di ridurre al minimo la caduta della pressione. La manovra va eseguita subito dopo l'apertura dell'addome servendosi della mano destra, nei casi in cui il chirurgo è in piedi alla destra del paziente. Si identificano mediante palpazione il rene sinistro e la surrene e si esercita una compressione lungo la linea mediana, appena cranialmente a quest'area. Si può anche apprezzare al tatto il pilastro del diaframma e servirsene per localizzare la parte prossimale dell'aorta addominale. Nei casi di grave ipotensione, l'arteria può non essere facilmente palpabile. Eseguita la compressione digitale, si apre il resto dell'addome e si aspira il sangue presente, conservandolo in un contenitore per un'eventuale autotrasfusione successiva. Un secondo operatore contribuisce a mantenere la pressione sull'aorta mentre si portano a termine le fasi successive. Tamponamento dell'addome per il controllo delle emorragie venose e della dilatazione. La compressione digitale della parte craniale dell'aorta addominale non arresta il sanguinamento venoso, per cui è necessario inserire nell'addome completamente aperto dei tamponi sterili o dei teli. Questa operazione contribuisce anche a proseguire la compressione sulla vascolarizzazione splancnica e ad evitare la grave ipotensione determinata dal calo della pressione idraulica (causata in precedenza dall'accumulo di sangue libero in addome). I tamponi vengono poi scostati abbastanza da visualizzare il punto in cui è stata occlusa l'aorta addominale. Con un paio di pinze curve si pratica una "finestra" nella fascia paraaortica e vi si inserisce un pezzo di nastro o un tratto di tubo da alimentazione di piccolo calibro, formando un'ansa che viene poi serrata con un paio di pinze emostatiche. L'addome viene svuotato mediante aspirazione, quindi si rimuovono uno per uno, in modo sistematico, tutti i tamponi, controllando il sanguinamento mediante un'analoga occlusione vascolare. Dopo aver escluso un grave sanguinamento venoso, si allenta in modo intermittente la compressione sull'aorta addominale man mano che si esamina ogni quadrante. Dopo aver temporaneamente controllato i vasi sanguinanti, si esegue la legatura definitiva. L'esecuzione di quest'ultima per tutti i vasi sanguinanti man mano che vengono identificati ed isolati è un processo che richiede molto tempo, che spesso il paziente non ha. L'inserimento di tamponi in addome consente di controllare sanguinamenti venosi anche di notevole entità. Se non è possibile attuare subito il controllo definitivo, si possono lasciare i tamponi in sede e chiudere temporaneamente l'addome, per tornare ad esplorarlo in seguito. NOTE CONTROLLO DEFINITIVO DELLE EMORRAGIE EPATICHE Il controllo delle emorragie epatiche lievi può essere facile, mentre quello delle forme più gravi può essere estremamente impegnativo. Secondo quanto riportato nella letteratura medica umana, l'85-90% delle lesioni rientra nella categoria di quelle che possono essere suturate e nel 10-15% dei pazienti la mortalità è elevata per la gravità dell'emorragia. I traumi da corpo contundente sono caratterizzati da una morbilità ed una mortalità molto maggiori di quelle delle ferite penetranti. I gravi danni dell'organo possono essere associati ad imponenti perdite ematiche, spesso accompagnate da coagulopatie. Esiste un alto rischio di coagulazione intravasale disseminata ed è necessario disporre di plasma fresco congelato e piastrine. Esposizione chirurgica. L'esposizione chirurgica può essere migliorata scontinuando la parete lungo la cartilagine xifoidea, collocando un tampone da laparotomia dorsalmente al fegato in modo da tenerlo sollevato e, in rari casi, effettuando una sternotomia o una parasternotomia. Durante la trazione e la compressione dell'organo, si può compromettere il ritorno venoso dalla vena cava, per cui è necessario monitorare strettamente il volume venoso centrale. In questi pazienti è di importanza critica l'estremo bilanciamento dell'anestesia, perché l'ipotensione, la depressione cardiaca e le coagulopatie possono portare ad un arresto cardiaco. Classificazione dei danni epatici. Il trattamento delle ferite del fegato può essere facilitato da una loro suddivi91 NOTE 92 sione in 4 categorie: superficiali o profonde, lineari o non lineari, centrali o periferiche e con sanguinamento moderato o grave. In generale, le ferite più profonde, non lineari e centrali sono quelle con maggiori probabilità di causare un grave danno del parenchima ed un sanguinamento più accentuato. Le lacerazioni superficiali che non sanguinano non vanno suturate. Quelle sanguinanti possono di solito essere controllate con una compressione diretta della durata di 10-15 minuti o suturate con catgut cromico 2-0 o 3-0, di solito con una sutura da materassaio. In alternativa, è possibile impiegare collanti tissutali, servirsi di un lembo di omento come rivestimento o ricorrere agli agenti emostatici (trombina, collagene bovino, ecc.). Metodi di controllo. Per visualizzare i vasi più profondi sanguinanti si deve impiegare la digitoclastia, facilitata dall'uso del dorso di un manico da bisturi, per dissezionare i lobi epatici. L'impiego di un aspiratore e di un sistema di irrigazione facilita la visualizzazione dei vasi. Si applicano quindi sulla parte lesa delle pinze emostatiche o delle graffette metalliche e si effettua la legatura dei vasi con materiale da sutura in nylon o in seta annodato a mano. I margini dell'organo devono poi essere accostati, coperti con un lembo di omento e suturati lassamente in posizione. Ciò elimina lo spazio morto e permette di controllare le emorragie venose di minore entità. L'omento serve anche ad evitare che il fegato formi aderenze con altri organi, come lo stomaco. Si deve quindi eseguire l'asportazione dei tessuti chiaramente devitalizzati, tenendo presente che è probabile che una revisione inadeguata o insufficiente porti allo sviluppo di ascessi intraepatici o endoaddominali. I lobi epatici schiacciati possono essere rimossi mediante digitoclastia, legatura alla base con un nodo modificato di Miller a lento rilascio o applicazione di graffette metalliche. Se sono disponibili, per la resezione dei frammenti distrutti si possono utilizzare il laser Nd:YAG e l'elettrochirurgia ad ultrasuoni. Se l'inserimento dei tamponi in addome non determina il controllo dell'emorragia, è possibile suturare i margini del fegato con grandi punti in catgut cromico, per ottenere un effetto di tamponamento ed un'occlusione vascolare. L'arteria epatica può essere temporaneamente occlusa con un laccio emostatico di Rummel o una pinza vascolare bulldog o di Serrafine. Se il sanguinamento non si arresta ancora dopo l'occlusione dei vasi ed un tamponamento della durata di 5-10 minuti, si deve ricorrere alla manovra di Pringle, che comporta la temporanea occlusione della triade portale (arteria epatica, vena porta e dotto biliare comune). Spesso, questo metodo riesce a controllare le emorragie dove gli altri avevano fallito. La manovra di Pringle può essere attuata servendosi sia delle dita che di un laccio emostatico di Rummel. Prima di effettuare l'occlusione di qualsiasi vaso, si devono somministrare antibiotici per via endovenosa per prevenire la proliferazione della flora batterica residente nel parenchima epatico ischemico. Nei pazienti normotermici, la manovra di Pringle può essere mantenuta per 15-20 minuti. In quelli ipotermici ai quali siano stati somministrati corticosteroidi, l'occlusione può perdurare per 30-40 minuti senza complicazioni postoperatorie. La compressione portale va allentata per 60 secondi ogni 10 minuti. Simultaneamente, si deve occludere l'arteria mesenterica craniale per evitare un'ipertensione portale acuta. Se l'emorragia persiste nonostante l'occlusione completa del flusso afferente (arteria epatica e vena porta), significa che è in atto un flusso retrogrado proveniente dalle vene epatiche o dalla vena cava. La prognosi in questo caso è molto sfavorevole. È necessario accedere al tratto toracico della vena cava e suturare la lacerazione o applicare un tubo per aggirare con un bypass la regione lacerata durante la riparazione. Per mantenere la gittata cardiaca, può essere necessario effettuare un'imponente infusione di sangue nella vena cava craniale. Durante la fase inspiratoria della respirazione si può avere il passaggio di emboli di aria attraverso le lacerazioni dei grossi vasi. La rimozione delle occlusioni temporanee va effettuata con estrema cura per impedire l'accesso dell'aria ai vasi. I dissanguamenti potenzialmente letali sono in genere dovuti alla lacerazione della branca centrale della vena porta, dell'arteria epatica, delle vene epatiche o del tratto retroepatico della vena cava, oppure ad una profonda soluzione di continuo del parenchima del fegato. A proposito del trattamento degli ematomi sottocapsulari, le opinioni sono contrastanti; se non viene effettuata l'esplorazione della lesione vi è il rischio di una rottura ritardata, mentre in caso di apertura esiste il rischio di dissanguamento imponente. Se l'ematoma sembra espandersi o se si rilevano segni di lesioni ischemico-necrotiche dei tessuti, bisogna correre il rischio di aprirlo. NOTE 93 NOTE CONTROLLO DEFINITIVO DELLE EMORRAGIE SPLENICHE Inizialmente, le emorragie spleniche vanno controllate mediante compressione diretta e tamponamento. Il peduncolo dell'organo può essere occluso avvolgendogli intorno una garza o un laccio emostatico di Rummel. Si possono anche utilizzare delle pinze vascolari o, al loro posto, delle pinze da tamponi di Forrester con della garza alla sommità. Le lacerazioni possono essere suturate, mentre i sanguinamenti capillari possono essere controllati mediante agenti emostatici. Spesso, per le lacerazioni della parte intermedia o di piccole dimensioni può essere sufficiente una legatura passante. Anche le lacerazioni di maggiori dimensioni possono spesso essere chiuse incorporando nella sutura un lembo di omento. L'organo può anche essere avvolto da una rete sintetica di polidiossanone o poliglactina. La decisione di effettuare una splenectomia totale o parziale va presa tenendo conto della gravità della lesione dell'organo e della stabilità delle condizioni del paziente. Se la milza può essere salvata senza far correre all'animale dei rischi inutili, è preferibile la splenectomia parziale. Quando è gravemente danneggiata, la milza va esteriorizzata senza sottoporla ad una trazione diretta e poi rimossa. La legatura dei vasi splenici può essere effettuata manualmente con seta da 0 a 3-0 o con graffette emostatiche. Si possono anche utilizzare dei sistemi automatici molto efficaci per la "legatura" dei vasi splenici. Gli studi condotti hanno evidenziato come per la rimozione dell'organo occorrano solo 6-8 legature doppie. Si consiglia caldamente di eseguire la legatura dell'omento e delle strutture associate allentando la pinza di Carmalt al momento di serrare la legatura. Talvolta, l'omento viene lacerato piuttosto che legato; tuttavia, poiché spesso è presente una DIC di lieve entità od una coagulopatia di altro tipo, l'autore raccomanda sempre la legatura. Bisogna stare attenti a preservare la circolazione pancreatica. Con un'accurata osservazione dell'arteria e della vena spleniche è possibile rilevare il punto in cui il pancreas si trova in prossimità di queste strutture. È qui che prende origine la maggior parte della vascolarizzazione sia arteriosa che venosa della ghiandola. Nel periodo postoperatorio può essere necessaria la decompressione gastrica. 94 CONTROLLO DEFINITIVO DELLE EMORRAGIE RETROPERITONEALI NOTE C'è un modo di dire di cui l'esperienza ed il tempo hanno dimostrato la validità: "se sanguina da qualche parte, ma sembra che non sanguini da nessuna parte, guarda nel retroperitoneo". Le emorragie retroperitoneali possono essere identificate in base al riscontro della presenza di lividi nella regione inguinale o all'aumento di dimensioni dello spazio retroperitoneale nelle radiografie in proiezione latero-laterale. Questi sanguinamenti possono essere abbastanza gravi da far sì che il paziente mostri i segni di un grave shock. In letteratura sono documentati casi di animali morti a causa di emorragie retroperitoneali secondarie a fratture del bacino. Nella maggior parte dei casi, queste lesioni possono essere trattate in modo conservativo, dal momento che in genere gli ematomi sono causati da emorragie provenienti da più arterie e vene di piccolo calibro che si risolvono spontaneamente. Questi pazienti necessitano di un rigoroso riposo, ottenuto, se necessario, anche ricorrendo alla sedazione. Durante le prime fasi del sanguinamento o se questo persiste può essere necessaria la contropressione esterna. Quest'ultima è stata impiegata con successo anche nel controllo delle gravi emorragie renali conseguenti ad un intervento di biopsia percutanea. Se si rilevano segni di peggioramento dello shock o si osserva un'espansione dello spazio retroperitoneale, è necessaria la laparotomia. Un eventuale ematoma in espansione va esplorato. Prima di aprirlo, si raccomanda di effettuare il clampaggio dell'aorta prossimalmente all'ematoma e della vena cava distalmente ad esso, in modo da controllare l'emorragia della parte e consentire la visualizzazione diretta dei vasi sanguinanti, che possono poi essere legati se la compressione diretta ed il tamponamento non consentono il controllo dell'emorragia. Lo spazio retroperitoneale viene quindi richiuso con una sutura. CONTROLLO DEFINITIVO DELLE EMORRAGIE RENALI La maggior parte delle lesioni renali può essere trattata in modo conservativo e bisogna fare tutto il possibile per preservare questi organi. La nefrectomia va riservata ai 95 NOTE casi che presentano i segni di un'emorragia incontrollabile in atto o di un'avulsione renale. In assenza di coagulopatie, la compressione diretta della zona sanguinante per 10-15 minuti può essere sufficiente ad ottenere il controllo definitivo, anche in caso di apertura dell'intero rene. Per le lacerazioni di piccole dimensioni possono essere indicate le suture crociate. Se necessario, il peduncolo renale può essere occluso per 30 minuti. Per controllare l'emorragia ed il flusso di urina si può effettuare una nefrectomia parziale con chiusura del bacinetto e suture da capsula a capsula. La nefrectomia totale va effettuata con una doppia legatura del peduncolo. Le lacerazioni della vena cava o dell'aorta devono essere riparate con suture crociate molto ravvicinate o con una sutura continua semplice, in materiale monofilamento di piccolo calibro (da 4-0 a 6-0) montato su aghi cardiovascolari atraumatici. CONTROLLO DEFINITIVO DELLE EMORRAGIE DEI GROSSI VASI Data l'estensione del sistema arterioso e venoso, nel cane e nel gatto è possibile effettuare direttamente la legatura di molti vasi di grosso calibro, come il tratto distale dell'aorta prima della biforcazione nelle arterie iliache, la vena cava distalmente alle vene epatiche, le arterie iliache di destra e di sinistra, le arterie femorali, le arterie e le vene iliache circonflesse profonde e le arterie succlavie di destra e di sinistra. A parte il tratto addominale della vena cava, non è possibile effettuare la legatura di altre vene di grosso calibro, per le quali si deve tentare la riparazione. Nei gatti e nei cani di piccola taglia, l'intervento richiede l'uso di un microscopio operatorio, o quantomeno di una loupe, e di materiale da sutura 7-0 o più piccolo. Qualora fosse necessario eseguire delle anastomosi, si raccomanda l'impiego della tecnica di triangolazione di Carrels. Se proprio la riparazione risulta impossibile, si deve effettuare la legatura, nella speranza che resti una rete vascolare sufficiente e che gli organi e le strutture drenati dal vaso occluso non subiscano una significativa congestione o un infarto. 96 33° Congresso SCIVAC MEDICINA D’URGENZA E TERAPIA INTENSIVA NEI PICCOLI ANIMALI MONTECATINI TERME (PT), 21-23 MARZO 1997 Dennis T. Crowe DVM, Diplomate ACVS, ACVECC The Animal Emergency Center & The Veterinary Institute of Trauma, Emergency, and Critical Care Milwaukee, Wisconsin, USA Tecniche per la gestione pratica delle emergenze vascolari (Parte terza) Sabato, 22 marzo 1997, ore 14.00 105 NOTE La maggior parte delle emorragie toraciche si arresta senza bisogno di ricorrere alla toracotomia, anche se può richiedere l'inserimento di un drenaggio. Tuttavia, in presenza di emorragie toraciche estremamente gravi la toracotomia è necessaria, insieme ad una rianimazione aggressiva e ad un'idonea terapia di sostegno. Solo il 10% dei pazienti con emorragie toraciche gravissime sopravvive. Il risultato finale dipende in larga misura dal tempo trascorso dalla lesione e dalla prontezza e dall'abilità del personale dell'ospedale. INTRODUZIONE La maggior parte dei cani e dei gatti può essere colpita da emorragie toraciche causate da entità molto comuni: traumi da corpo contundente o ferite penetranti o avvelenamenti da rodenticidi che NON richiedono una toracotomia d'urgenza. Il semplice drenaggio del sangue presente nello spazio pleurico seguito dall'espansione dei polmoni riduce lo sforzo respiratorio del paziente e permette al polmone di agire come un tampone interno, arrivando al controllo dell'emorragia. La toracotomia è necessaria solo in pochi casi, tanto gravi che spesso il paziente muore prima di giungere all'ospedale. Alcuni possono morire al momento del ricovero, mentre altri sono molto vicini alla morte. Occasionalmente, con una terapia molto aggressiva il personale dell'unità di rianimazione può riuscire a salvare qualcuno di questi pazienti. Solo il 10% dei soggetti con emorragie toraciche così gravi sopravvive, e solo a condizione di trovare le migliori condizioni possibili per quanto riguarda i tempi di intervento e la prontezza e l'abilità degli operatori. I pazienti con più del 50% del proprio volume ematico nella cavità toracica giungono all'ospedale in stato di incoscienza o quasi morti. Quelli privi di conoscenza devono essere immediatamente intubati e ventilati con ossigeno al 100%. Il modo migliore di effettuare la rianimazione è quello di servirsi di un pallone di Ambu (pallone da rianimazione con una valvola di esalazione ed un serbatoio collegato ad una fonte di ossigeno con un flusso di 10-15 l/min), perché consente al rianimatore di "sentire" come vengono insufflati i polmoni e di non dover prestare attenzione ad una valvola pop-off di un apparecchio per anestesia. L'intubazione va eseguita tenendo la testa del paziente orizzontale. In questo modo si evita qualsiasi flusso di san- 106 gue verso il capo dell'animale e si proteggono le vie aeree dal rischio di aspirazione. Se il paziente si dibatte per respirare bisogna somministrare ossigeno a flusso elevato e, se continua ad apparire agitato, si deve iniettare rapidamente diazepam (0,1-0,2 mg/kg) seguito da succinilcolina (1 mg/kg) o ketamina (1-4 mg/kg). Per facilitare l'intubazione è consigliato l'uso di un laringoscopio. Se l'operazione risulta difficile, si deve ricorrere all'ossigenoterapia a flusso elevato mediante un sistema costituito da un pallone di Ambu collegato ad una maschera attraverso una valvola, in modo da ossigenare il paziente prima di effettuare un secondo tentativo di intubazione. È anche essenziale inserire nelle vene cefaliche del paziente due cateteri di grosso calibro attraverso i quali attuare un rapido intervento di ripristino volumetrico mediante infusione di sangue intero o emazie concentrate e plasma fino ad ottenere l'effetto voluto (risoluzione della grave ipotensione). Nei pazienti quasi morti o morti all'arrivo, si deve immediatamente effettuare l'apertura del torace mediante la tecnica descritta più oltre. Se i segni vitali migliorano, si attua la toracentesi, seguita dall'inserimento di un drenaggio toracico costituito da un tubo di grosso calibro (pari a 3/4 dell'ampiezza del 5°-7° spazio intercostale). Sia la toracentesi mediante ago o catetere che l'inserimento di un drenaggio toracico verranno illustrati più oltre. Il sangue aspirato viene posto in un contenitore sterile, che può essere collegato ad un sistema di trasfusione per reimmetterlo nella circolazione del paziente. In genere, questa soluzione è indicata quando non vi sono altre fonti di sangue o plasma immediatamente disponibili (si veda quanto detto a proposito dell'autotrasfusione nella prima parte di questa relazione). Le emorragie toraciche più moderate richiedono solo l'inserimento di uno o due drenaggi di grosso calibro e l'evacuazione del sangue presente, senza bisogno di ricorrere all'autotrasfusione o alla toracotomia. Tuttavia, esistono delle eccezioni a questa regola e bisogna quindi essere sempre pronti ad eseguire tanto l'autotrasfusione che la sternotomia paramediana per il controllo di un'emorragia. Bisogna anche entrare nell'ottica che la chirurgia può essere molto utile anche per i pazienti che al momento non sanguinano, ma potrebbero ricominciare a farlo. Ciò vale particolarmente nei casi in cui l'anamnesi segnala altri episodi "spontanei" di emorragia toracica. Un altro tipo di emorragia toracica di comune riscontro in associazione con traumi ed avvelenamenti da rodenticidi NOTE 107 NOTE è quella intrapolmonare. Anche questa condizione può mettere in pericolo la vita dell'animale e necessita di una terapia aggressiva. Lo scopo del presente lavoro è quello di illustrare dettagliatamente le procedure diagnostiche e terapeutiche e le tecniche necessarie per trattare con successo i pazienti con gravi emorragie toraciche, sia intrapolmonari che intrapleuriche. DIAGNOSI E TRATTAMENTO DELLE EMORRAGIE POLMONARI E TORACICHE Le contusioni polmonari sono estremamente comuni nelle vittime dei traumi. Le gravi emorragie intrapolmonari sono meno comuni, ma possono essere causa di gravi compromissioni respiratorie acute. I segni clinici sono rappresentati da aumento della depressione con progressiva dispnea e presenza di aree di ottusità all'ascoltazione ed alla percussione, suoni polmonari differenti nei due emitoraci e fuoriuscita di sangue dalla bocca (quest'ultimo segno potrebbe non risultare evidente sino al momento dell'intubazione del paziente). La valutazione dei soggetti con difficoltà respiratorie deve sempre comprendere l'esame radiografico, ma NON PRIMA di aver effettuato la toracentesi ed aver accertato che l'animale presenta le vie aeree sgombre ed è in grado di ventilare IN MODO ADEGUATO. In questi pazienti, è sempre più indicata la proiezione dorsoventrale rispetto a quella ventrodorsale. È anche molto utile la ripresa laterolaterale, che però per alcuni risulta troppo stressante. Senza dubbio, gli animali che necessitano di intubazione e ventilazione tollerano queste riprese, ma è bene NON disporli con il lato colpito più gravemente in alto perché ciò potrebbe determinare l'accumulo di liquidi nelle vie aeree del polmone sano, causando un disastro. Anche la ripresa in proiezione ventrodorsale può predisporre alla raccolta di fluidi a livello delle vie aeree e degli alveoli dei campi polmonari normali, per cui NON è consigliabile. Le radiografie che indicano un'emorragia intrapolmonare possono presentare l'aumento del quadro interstiziale, il collasso di un lobo polmonare o lo spostamento del mediastino. Spesso, l'incremento della radiopacità può essere diffuso, ma in altri casi si notano una o più zone isolate o con una distribuzione casuale. Il riscontro di fratture costali o sternali è segno che si è verificato un grave trauma da corpo contundente ed esiste il rischio di lacerazioni pol- 108 monari, epatiche o mediastiniche. In un'indagine retrospettiva non pubblicata della University of Georgia, sono stati sottoposti a necroscopia 20 cani morti o soppressi eutanasicamente in seguito a gravi emorragie intrapolmonari. In 18 di essi erano presenti lesioni epatiche, ed in 5 si riscontrarono i segni di significative emorragie intraaddominali. I danni polmonari con emorragia secondaria sono causati da tre meccanismi: improvviso aumento della pressione intraalveolare in seguito allo schiacciamento del torace, forze concussive dirette esercitate sul tessuto polmonare e forze di taglio generate dal movimento improvviso dei polmoni all'interno della cavità toracica. Il sangue, mescolandosi all'aria, determina l'ostruzione delle vie aree di minor calibro. In un modello sperimentale di emorragia intrapolmonare, l'infusione nella trachea di un cane anestetizzato di soli 4 ml/kg di sangue, effettuata nell'arco di 30-60 minuti, ha determinato la riduzione della pressione parziale di ossigeno arterioso a meno di 60 torr, con variazioni minime della pressione parziale del biossido di carbonio arterioso o della resistenza delle vie aeree. Nei casi clinici più gravi è richiesto il controllo chirurgico dell'emorragia mediante una toracotomia aperta, per arrestare i sanguinamenti intrapolmonari o pleurici. È essenziale l'ossigenoterapia e, nei casi più gravi, la ventilazione meccanica a pressione teleespiratoria positiva. Bisogna stare attenti a non infondere una quantità eccessiva di cristalloidi durante la rianimazione, perché i fluidi tendono a fuoriuscire nelle vie aeree danneggiate. La presenza di sangue nel tubo orotracheale indica una grave emorragia. È importante determinare quale sia il polmone sanguinante, in modo da poter porre il paziente in decubito sul lato colpito. Per determinare l'origine del problema è possibile servirsi della broncoscopia, effettuando contemporaneamente l'infusione di ossigeno nel canale bioptico. Si deve introdurre un tubo orotracheale direttamente nel bronco che non sanguina, insufflando il manicotto. Se queste misure non funzionano, si può utilizzare un catetere a palloncino di Fogarty oppure zaffare le vie aeree con della garza. La prognosi per questi pazienti è molto sfavorevole. Per il controllo definitivo dell'emorragia è indicata la rimozione chirurgica d'urgenza del polmone sanguinante. I pazienti con emorragie intratoraciche possono essere portati in ospedale con segni clinici simili a quelli delle emorragie intrapolmonari. Di solito, la fuoriuscita di sangue dalle lesioni degli organi della respirazione provoca un emotorace. L'elevato livello di tromboplastina presente nei NOTE 109 NOTE polmoni, la bassa pressione dell'arteria polmonare e l'effetto di tamponamento determinato dal sangue stesso nel torace contribuiscono alla riduzione spontanea del sanguinamento. Se questo persiste, si deve sospettare una lacerazione più grave dei grossi vasi. La fuoriuscita di sangue dai vasi intercostali può essere marcata e va controllata nei pazienti con emorragie persistenti. Tutti gli animali che manifestano una dispnea dopo un evento traumatico devono essere immediatamente sottoposti a toracentesi. Se questa risulta positiva, si deve inserire un drenaggio toracico, perché è impossibile stimare l'entità dell'emorragia intrapleurica sulla base della quantità di sangue aspirato attraverso l'ago da toracentesi. L'emotorace limita la ventilazione ed ostacola il ritorno venoso e, quindi, quando è di notevole entità, deve essere evacuato. I piccoli sanguinamenti dai vasi intratoracici spesso si arrestano spontaneamente subito dopo la completa evacuazione. Il cane è in grado di riassorbire fino al 30% del proprio volume ematico entro 90 ore, per cui, se il sangue non interferisce con la ventilazione o l'ossigenazione e l'emorragia è autolimitante, si può decidere di non effettuare l'evacuazione. Se i segni vitali migliorano in seguito allo svuotamento della raccolta, questo deve continuare. Se l'emorragia è rapida, la semplice toracentesi mediante ago può non consentire uno svuotamento abbastanza veloce ed è necessario ricorrere ad un drenaggio toracico. Per quanto possibile, il sangue va raccolto in contenitori sterili, in previsione di un'eventuale autotrasfusione. Se man mano che procede lo svuotamento i segni vitali peggiorano, è possibile che l'animale si stia dissanguando attraverso una lesione toracica. In questo caso, si deve chiudere il drenaggio con una pinza ed eseguire una toracotomia d'urgenza. LA DECISIONE DI ESEGUIRE UNA TORACOTOMIA D'URGENZA La maggior parte delle lesioni del cuore e dei grossi vasi provoca un imponente dissanguamento, al quale in genere il paziente non sopravvive. Tuttavia, in alcuni casi, anche se l'animale appare moribondo, una toracotomia d'urgenza può salvarne la vita. In base ai dati rilevati in medicina umana, le percentuali di sopravvivenza sono molto più elevate nei pazienti con ferite penetranti che in quelli con lesioni da corpo contundente. 110 Se durante la rianimazione si sospetta una ferita penetrante del cuore, il paziente deve mostrare un tamponamento pericardico. Può essere indicata una pericardiocentesi transtoracica, che però può ritardare il rapido accesso al torace per il trattamento definitivo e può danneggiare ulteriormente il cuore. Se è necessario accedere celermente alla cavità toracica, si esegue una toracotomia dal lato sinistro o una parasternotomia senza alcuna preparazione del campo operatorio. Nei pazienti molto piccoli, si può ottenere un accesso adeguato anche con il soggetto in decubito dorsale, aprendo il torace bilateralmente attraverso un'incisione toracotomica trans-sternale. In presenza di ferite penetranti, si deve aprire per prima la parte di torace con la risonanza più ottusa o quella dove è localizzata la lesione. Si deve raccogliere una grande quantità di sangue per l'autotrasfusione. Servendosi di un aspiratore o inclinando rapidamente il paziente e raccogliendo il sangue in una grossa bacinella o in un sacchetto di plastica è possibile visualizzare immediatamente l'origine dell'emorragia. In primo luogo si deve aprire il pericardio ed esaminare il cuore, a meno che non sia già stata individuata chiaramente l'origine della perdita di sangue. L'apertura del pericardio va effettuata preferibilmente a livello dell'apice, servendosi di un paio di forbici per recidere il legamento sternopericardico, tuttavia in presenza di un'imponente emorragia l'apertura può essere eseguita in un punto qualsiasi. Qualunque lacerazione a carico del cuore o dei grossi vasi può essere immediatamente tamponata mediante compressione digitale diretta. Sotto il dito si esegue quindi una sutura orizzontale da materassaio in seta 2-0 o prolene, annodandola. In alternativa, si possono eseguire suture crociate o una semplice sutura continua. In tutti gli animali con lesioni dei polmoni, dei grossi vasi o del cuore bisogna stare attenti ad evitare le embolizzazioni e non rimuovere alcuna pinza prima di aver ottenuto il controllo definitivo dell'emorragia. L'orecchietta destra può essere utilizzata come via di accesso per l'infusione di grandi volumi di soluzioni colloidi o cristalloidi. Se ne afferra l'estremità con un paio di pinze e si esegue intorno ad essa un nodo di Miller o una semplice ansa. Sull'orecchietta si pratica quindi un'incisione nella quale si inserisce un tubo, suturandolo in posizione in modo da impedire che si sfili. Quando non è più necessario, il tubo viene semplicemente rimosso, effettuando una legatura con un nodo di Miller. NOTE 111 NOTE 112 Il secondo intervento da attuare è il clampaggio dell'aorta toracica discendente. Attraverso questo vaso passa fino al 60% della gittata cardiaca, per cui la sua chiusura determina un enorme incremento del flusso coronarico e cerebrale. L'aorta discendente viene isolata per dissezione, in modo da poterne effettuare il clampaggio mediante visualizzazione diretta. Allo scopo si può utilizzare una pinza vascolare, una pinza da tamponi di Forrester o delle pinze di Allis rivestite in gomma o garza. Utilizzando queste ultime, se ne spingono le punte unite oltre il lato opposto dell'aorta. Il laccio emostatico di Rummel è il metodo d'elezione per effettuare l'occlusione vascolare servendosi di un nastro o un tubicino in gomma rossa. L'aorta può essere occlusa per 10 minuti senza provocare gravi complicazioni intestinali, renali o midollari. L'occlusione va allentata lentamente, effettuando contemporaneamente un'infusione di liquidi per bilanciare la dilatazione dei vasi sanguigni distali. Se il flusso aortico va sospeso per più di 10 minuti, l'occlusione va allentata per un minuto prima di riprendere. La durata massima dell'occlusione segnalata nell'uomo senza che si verifichino paralisi permanenti è stata di 30 minuti. Lo stesso dato è stato anche riportato in studi sperimentali condotti su cani con ipotermia moderata (34-35 °C). In presenza di ipotermie più accentuate (30-31 °C), è stato possibile mantenere occlusioni più prolungate senza l'insorgenza di paraplegia. Una volta che l'aorta discendente è stata occlusa, si effettua un'esplorazione accurata per individuare l'origine dell'emorragia. Se occorre effettuare un clampaggio aortico prossimalmente all'arteria succlavia sinistra per più di 2 o 3 minuti è necessario realizzare un bypass, a meno che l'animale non sia fortemente ipotermico. Se gli altri metodi non hanno successo, per tamponare ed arrestare la fuoriuscita del sangue dai vasi è possibile introdurre negli stessi un catetere di Foley ed insufflare il palloncino. Le lacerazioni vasali vanno riparate con una sutura continua realizzata con materiale fine montato su ago atraumatico. A causa della notevole anastomizzazione, molte arterie possono essere legate (vedi tabella). Le lesioni della vena cava e delle vene brachiocefaliche vanno invece suturate, dal momento che la legatura può portare alla comparsa di chilotorace ed edema della testa e del collo. Gli ematomi polmonari sono grandi lacerazioni del parenchima colme di sangue che di solito si risolvono spontaneamente nell'arco di qualche settimana, ma in rari casi si possono avere delle ascessualizzazioni dell'organo. Le lacerazioni polmonari devono essere sottoposte ad un'immediata compressione diretta, applicando se necessario delle pinze emostatiche per prevenire le embolizzazioni. Se il sanguinamento delle arterie polmonari non può essere arrestato a livello periferico, può essere necessario eseguire un clampaggio più vicino al cuore. L'arteria polmonare diretta al polmone leso va quindi suturata se si vuole salvare l'organo. È possibile eseguire una sutura continua a sopraggitto. Se la lesione è grave, è necessaria una lobectomia polmonare. Per effettuare rapidamente una lobectomia parziale o completa sono molto utili le graffette metalliche. NOTE TECNICHE DI EMERGENZA DA UTILIZZARE NEL CONTROLLO DELLE EMORRAGIE TORACICHE Se i segni clinici suggeriscono la possibilità di uno pneumotorace, la diagnosi va confermata mediante toracentesi. L'operazione va eseguita tenendo il paziente nella posizione più comoda possibile ed evitando ogni forma di contenimento energico. Si può apportare ossigeno ad elevata velocità di flusso (10 l/min) attraverso una maschera, una sacca o una cannula posta vicino alla testa (ed in particolare al naso) del paziente. Toracentesi. La toracentesi va eseguita bilateralmente a livello del 7° spazio intercostale, fra il terzo superiore e il terzo medio. Occorre operare in modo tale da garantire la penetrazione e l'aspirazione dello spazio pleurico. È stato suggerito di porre una goccia di una soluzione sterile (fisiologica o lidocaina 1-2%) sul cono di un ago ipodermico da 18 G usato per penetrare attraverso la pleura dopo averlo inserito nella cute. Quando l'ago viene spinto in avanti ed infine entra nello spazio pleurico, il fluido si sposta in avanti, indicando uno pneumotorace semplice (normoteso) o una pleura normale, oppure verso l'esterno, indicando uno pneumotorace iperteso. È importante non accettare la semplice sensazione di "scoppio" della pleura come conferma della penetrazione nella cavità. Ciò può portare a conclusioni pericolose o erronee. Anche in presenza di uno pneumotorace iperteso, se l'ago impiegato per la toracentesi non è abbastanza lungo si possono avere risultati falsi-negativi. D'altro canto, se l'ago viene spinto 113 NOTE 114 troppo in avanti l'esito può essere falso-positivo per la penetrazione in un polmone. Quest'ultima evenienza può anche portare ad una piccola perdita d'aria continua, solitamente di minima entità. Una volta penetrati nello spazio pleurico, come dimostrato dal movimento del liquido a livello del cono dell'ago, quest'ultimo viene tenuto ben fermo. Movimenti accidentali dello strumento mentre si trova nello spazio pleurico possono causare piccole lacerazioni o graffi della superficie polmonare, inducendo una perdita d'aria continua. Dopo aver inserito l'ago con le modalità descritte, si deve cercare di aspirare aria e liquidi servendosi di una grossa siringa collegata ad un sistema di raccordo e ad una valvola a tre vie. Se in seguito all'aspirazione di aria (che conferma lo pneumotorace) e/o sangue (che conferma l'emotorace) le condizioni del paziente sembrano iniziare a migliorare, lo svuotamento del cavo pleurico deve continuare. Si suggerisce di operare con cautela quando per la toracentesi si utilizzano aghi ipodermici troppo piccoli o corti o aghi a farfalla. Mini-drenaggio toracico. Se è necessario ripetere lo svuotamento più di due volte per alleviare le difficoltà respiratorie del paziente, non si aspira sangue ed è possibile ottenere facilmente il vuoto con l'aspirazione, si consiglia l'inserimento di un mini-drenaggio toracico. Ciò consente di effettuare in modo rapido e sicuro ripetute evacuazioni dell'aria contenuta nel cavo pleurico. Dopo aver iniettato un anestetico locale nella zona interessata, si realizza artigianalmente un minidrenaggio praticando 5 piccoli fori supplementari in un tubo da alimentazione in polivinilcloruro (PVC) trasparente da 16 G a 5 Fr. Le dimensioni dei fori non devono essere superiori ad 1/4 della circonferenza del tubo. Quest'ultimo viene inserito in un ago da 14 G introdotto nello spazio pleurico a livello del 7° spazio intercostale e fatto avanzare per 7,5-12,5 cm all'interno dello spazio pleurico. L'ago viene quindi sfilato ed il catetere fissato alla parete toracica con delle suture che devono attraversare la fascia e NON solo la cute. Quindi, si unisce l'ago ad un tubo di raccordo terminante con un rubinetto e si applica un bendaggio protettivo, facendo in modo che il rubinetto si venga a trovare alla fine sul dorso dell'animale. Si possono anche utilizzare appositi cateteri da toracentesi in PVC o poliuretano reperibili in commercio, che funzionano bene come i minidrenaggi e sono molto facili da inserire. L'aspirazione viene effettuata ad intervalli di alcune ore fino a che la quantità di aria estratta nel corso di più tentativi consecutivi non diviene molto limitata e l'animale appare a suo agio, senza segni di difficoltà respiratoria. Drenaggio toracico. Se il paziente non sembra migliorare, o se si aspira una grande quantità di aria o sangue, o ancora se non si riesce ad ottenere il vuoto nello spazio pleurico con la semplice aspirazione, si deve inserire un drenaggio toracico. Le dimensioni del tubo prescelto devono essere approssimativamente le stesse del bronco principale del paziente. Dopo aver effettuato una completa preparazione chirurgica, un assistente provvede a tirare in avanti e tenere sollevata la cute del torace. Si esegue l'anestesia locale del 6° e 7° nervo intercostale, dei tessuti circostanti e della pleura. Se l'animale è agitato, si attua una lieve sedazione mediante iniezione endovenosa di diazepam (0,1 mg/kg) ed ossimorfone (0,05 mg/kg), continuando ad apportare ossigeno supplementare. La cute ed i tessuti sottocutanei vengono incisi al centro del 7° spazio intercostale. Con una pinza emostatica, si pratica mediante delicata dissezione per via smussa un piccolo foro nello spazio pleurico, attraverso il quale si lascia entrare l'aria, in modo che il polmone collassi e si allontani dalla parete toracica. Si inserisce quindi nell'apertura un drenaggio toracico dotato di mandrino leggermente retratto, in modo che la punta non fuoriesca dall'estremità del tubo. La sonda viene fatta penetrare per 8-20 cm fino a che tutti i 5 fori sono passati all'interno dello spazio pleurico. Alcuni drenaggi toracici reperibili in commercio richiedono la realizzazione di un certo numero di fori laterali supplementari per arrivare ad un minimo di cinque. La cute viene quindi lasciata tornare in posizione normale, formando un piano di tessuto che garantisce la tenuta ermetica del drenaggio impedendo la penetrazione di aria nel cavo pleurico. Si inizia quindi l'aspirazione mediante una siringa raccordata al rubinetto o un sistema di aspirazione a tre bottiglie. Il tubo viene fissato in posizione con una sutura che deve comprendere il periostio della costola e la fascia. Il tutto viene coperto con un bendaggio sterile. Prima di applicare il bendaggio protettivo si raccomanda di effettuare la ripresa di una radiografia per verificare la posizione del tubo e controllare che non si sia piegato. La somministrazione di ossigeno supplementare mediante maschere, sacche, collari o cateteri nasali deve continuare ed è considerata un prerequisito essenziale per poter effettuare gli esami radiografici. Un metodo molto pratico per NOTE 115 NOTE 116 ottenere una pressione continua di aspirazione di 15 cm di H2O consiste nel collegare un tratto di tubo da 4,0 cm di diametro (5/8") nel quale sia stato praticato un foro laterale sufficiente a consentire l'aspirazione di una quantità adeguata di aria ambientale attraverso un aspiratore standard sempre acceso. Tuttavia, sono preferibili i set di aspirazione a bottiglie reperibili in commercio. L'attuazione di un'aspirazione continua per diversi giorni è in genere efficace per il trattamento di uno pneumotorace inizialmente persistente, senza bisogno di ricorrere alla chirurgia. L'aspirazione continua è importante, perché mantiene le superfici della pleura viscerale e di quella parietale in reciproco contatto, determinando una chiusura interna della lesione attraverso la quale usciva l'aria. Se le perdite continuano e non mostrano segni di rallentamento o arresto, è necessario un'intervento esplorativo mediante toracotomia o parasternotomia/sternotomia con resezione della zona lesa. Toracotomia rianimativa e clampaggio dell'aorta discendente. Si tratta di tecniche che possono salvare la vita del paziente, o almeno contribuire moltissimo a farlo, negli animali colpiti da emorragie catastrofiche a livello addominale o toracico e che mostrano i segni di morte imminente, quali pressione sanguigna molto bassa, perdita di conoscenza, respirazione superficiale, frequenza cardiaca molto rapida o molto lenta ed anamnesi di traumi da corpo contundente o ferite penetranti. Oltre al sospetto di gravissime emorragie addominali, la toracotomia rianimativa è poi indicata anche in caso di 1) presenza di uno pneumotorace iperteso che progredisce rapidamente in un paziente privo di conoscenza, 2) arresto cardiaco in un soggetto appena traumatizzato e 3) arresto cardiaco in cui il massaggio cardiaco esterno ed il trattamento farmacologico, già attuati, non hanno avuto l'esito sperato. Per cominciare, dopo l'intubazione tracheale e l'attuazione della ventilazione a pressione positiva, si effettua un rapido esame del paziente (valutazione primaria). Se in base ai risultati di questa indagine si sospetta un'emorragia toracica o addominale (assenza di imponenti emorragie all'esterno) e si ritiene che il paziente possa essere salvato (ad esempio, perché non pare avere gravi danni cerebrali o spinali), è indicata la toracotomia rianimativa. La tecnica può essere facilmente attuata servendosi della lama di un coltello per praticare un'incisione approssimativamente a livello del quinto spazio intercostale di sinistra (a meno che non vi siano motivi per agire diversa- mente, come, ad esempio, una ferita da arma da fuoco sulla destra). L'incisione della cute può anche essere eseguita con un paio di forbici Mayo, che determinano una soluzione di continuo ellittica. Il vantaggio dell'impiego delle forbici rispetto alla lama è dato dal minor rischio di lesioni iatrogene all'animale o all'operatore. La punta delle forbici può poi servire a penetrare nello spazio pleurico a livello della giunzione costocondrale. Aprendo le forbici, si lascia penetrare l'aria all'interno, determinando un parziale collasso del polmone sinistro. Quindi, con le forbici parzialmente aperte, si separano tutti gli strati della muscolatura toracica. La breccia praticata nel torace viene ampliata con le dita per stirare i tessuti e con le forbici Mayo per ottenere una maggiore dissezione. Fra le costole si inserisce rapidamente un divaricatore di Balfour, aprendolo. L'autore ha riscontrato che nel cane e nel gatto questo tipo di divaricatore funziona meglio ed è più rapido di quelli per uso umano (Finochietto, ecc.). Occlusione aortica (clampaggio). In presenza di grave ipotensione, dissanguamento in torace o in addome ed arresto cardiaco, si deve visualizzare l'aorta discendente ed effettuarne il clampaggio con una pinza vascolare, una pinza da tamponi di Forester o una pinza di Allis rivestita in gomma o garza. Utilizzando quest'ultima, le punte vengono portate insieme sul lato opposto dell'aorta. Se non si dispone di pinze adatte, è possibile far passare intorno al vaso un pezzo di nastro o di tubo da alimentazione (che è il metodo di clampaggio preferito dall'autore) e serrarlo (usando una pinza emostatica per tenerne i capi a ridosso dell'aorta, che viene intrappolata ed occlusa in modo atraumatico). Con questo intervento, il sangue viene deviato verso il centro, aumentando significativamente la perfusione cerebrale e cardiaca e riducendo al tempo stesso l'emorragia nelle zone situate distalmente all'occlusione. La tecnica è stata anche indicata nei pazienti umani con arresto o semiarresto cardiaco da dissanguamento ed in quelli con imponente e rapida distensione addominale (indicativa di una grave emorragia intraperitoneale). L'occlusione dell'aorta discendente riduce significativamente le dimensioni dello spazio vascolare da perfondere, aumenta la resistenza vascolare sistemica e determina il controllo temporaneo delle emorragie delle arterie addominali. Stando a quanto segnalato in letteratura, l'aorta può restare occlusa per periodi fino a 10 minuti NOTE 117 NOTE 118 senza causare gravi complicazioni (renali, midollari o intestinali). L'intervento aumenta in modo significativo il flusso ematico che giunge ai polmoni, all'encefalo ed al cuore. Quando non è più necessaria, se è stata lasciata in sede per 5 minuti, l'occlusione deve essere rimossa gradualmente, effettuando contemporaneamente l'infusione di un volume di fluidi sufficiente a compensare la vasodilatazione secondaria che si ha nei tessuti situati distalmente al tratto occluso. Se l'arresto del flusso aortico è stato mantenuto per un periodo compreso fra 5 e 10 minuti (che corrisponde al limite massimo), si raccomanda di allentare la pinza, il nastro o il tratto di tubo lasciando riprendere la perfusione per un minuto e poi stringerli nuovamente. Ciò contribuisce ad evitare la compromissione della funzione renale o la comparsa di una paraplegia, che costituiscono le due principali complicazioni del clampaggio aortico. Resezione di un lobo polmonare. L'emorragia o la perdita di aria vengono inizialmente controllate applicando una pinza attraverso il lobo interessato, prossimalmente al punto della lesione. Allo scopo, risultano particolarmente adatte le pinze vascolari come quelle di Satinsky o di Potts, che possono essere successivamente riposizionate senza rischi per il tessuto polmonare sotto di essi. In mancanza di questi strumenti, si può utilizzare una pinza di Forrester. Se non si possono impiegare neppure queste, l'uso di pinze emostatiche impone la successiva resezione del lobo nel punto della loro applicazione o in un tratto più prossimale, ma mai più distale. La tecnica adottata dall'autore è un adattamento di una procedura utilizzata in medicina umana per la deviazione del lobo. Se questo è grande, viene scontinuato fra le pinze, poi si effettuano una sutura a sopraggitto, una legatura passante per il bronco ed una doppia legatura per i vasi. In alternativa, ci si limita semplicemente a chiudere con delle graffette l'area che si intende asportare. Se il lobo polmonare è piccolo, si può attuare senza rischi la semplice legatura della massa o dell'intero peduncolo. Se la pinza più prossimale viene prima allentata e poi serrata nuovamente durante la realizzazione della prima legatura e se questa viene eseguita lentamente, la tecnica funziona molto bene per i lobi ed i peduncoli di piccole dimensioni. La doppia legatura viene eseguita lasciando un moncone di tessuti di 0,5-1,0 cm, in modo da prevenirne lo scivolamento. Per le lesioni molto piccole si esegue una legatura passante in polipropilene monofilamento 4-0 o 5-0 montato su un piccolo ago cardiovascolare. Sull'apertura si eseguono diverse suture crociate, comprendendo una quantità di tessuto sufficiente a tenere insieme i tessuti circostanti. La tenuta ermetica della chiusura viene controllata immergendo il polmone in soluzione fisiologica ed insufflandolo ad una pressione di 30-40 cm di H2O. Se si osservano delle perdite d'aria, si devono applicare altre suture. Arresto delle emorragie nello spazio pleurico. Se dopo aver aperto il torace si riscontra la presenza di un'emorragia di considerevole entità nello spazio pleurico, è possibile girare rapidamente il corpo del paziente in modo da far defluire il sangue presente, oppure aspirarlo o raccoglierlo mediante tamponi da laparotomia, teli, ecc. Se non si riesce ad individuare l'origine dell'emorragia, il torace va tamponato con una maggior quantità di materiale assorbente, da rimuovere poi, un tampone alla volta, man mano che si esaminano i vari quadranti. Bisogna tenere sempre presente che il tamponamento influisce sulle strutture del cavo pleurico di un lato e bisogna stare attenti a non comprimere troppo la vena cava. Subito dopo averla identificata, si comprime direttamente l'origine del sanguinamento e poi si effettua il controllo definitivo dell'emorragia mediante clampaggio o sutura, a seconda delle necessità. Si cercano quindi altre eventuali sedi di sanguinamento, trattandole in modo analogo. Una volta arrestata l'emorragia, si effettuano l'esplorazione completa del torace, gli interventi di riparazione necessari ed un'abbondante irrigazione del torace con soluzione fisiologica o di Ringer lattato (diverse centinaia di ml nel gatto e diversi litri nei cani di grossa taglia) dopo aver inserito un drenaggio. Nella maggior parte dei casi, il pelo della parete toracica laterale non viene rasato né prima di entrare nella sala operatoria né prima di uscirne. Ci si limita a scostare i peli lunghi. Non viene effettuata alcuna altra preparazione. Se il paziente inizia a svegliarsi prima di aver terminato le necessarie operazioni di riparazione e chiusura della breccia, si deve effettuare un'adeguata analgesia mediante somministrazione endovenosa di piccole dosi di associazioni di narcotici e benzodiazepine, controllando l'eccessivo movimento con l'infusione di piccole dosi di miorilassanti. L'autore ha rilevato l'efficacia dell'impiego di ossimorfone-diazepam (alle dosi, rispettivamente, di 0,0250,05 mg/kg e 0,05-0,1 mg/kg) ed atracurio (0,25 mg/kg) o NOTE 119 NOTE pancuronio (0,04 mg/kg). Per favorire il controllo del paziente e l'analgesia durante la riparazione delle lesioni intratoraciche, la chiusura della breccia operatoria ed il periodo di risveglio sembra anche utile l'uso di lidocaina al 2% o di bupivacaina allo 0,5% per l'anestesia locale dei nervi intercostali e della superficie della pleura parietale nella zona della toracotomia. È sorprendente notare come, secondo l'esperienza dell'autore, la frequenza delle infezioni nei pazienti sottoposti a toracotomia d'urgenza sia bassa. Con un'accurata pulizia, un'abbondante irrigazione e la somministrazione di antibiotici nel periodo perioperatorio (cefalotina o altre cefalosporine di prima generazione alla dose di 40 mg/kg IV ogni 6 ore per 24 ore), l'infezione della ferita si è verificata solo in 2 pazienti su un totale di 20 sopravvissuti. In nessun caso si è avuto un piotorace. Questi dati concordano con altri analoghi relativi all'esecuzione della toracotomia d'urgenza nell'uomo. Tempi di occlusione dei vasi Riassunto - fasi dell'approccio chirurgico al paziente con il torace pieno di sangue Inserimento nelle vene cefaliche di cateteri endovenosi corti e DI GROSSO CALIBRO collegati ad un raccordo ad Y (in modo da poter passare rapidamente alle trasfusioni di sangue). In alternativa, inserimento a livello centrale di un catetere DI CALIBRO MOLTO GROSSO (sonda da alimentazione da 3-10 French). Monitoraggio della pressione sanguigna, che deve essere mantenuta ai limiti inferiori della norma (media 80, MASSIMO 100/60), somministrazione di analgesici, dosi ridotte di diazepam e ridottissime di acetilpromazina (0,005-0,01 mg/kg non riducono la pressione). Uso di piccole dosi di narcotici e ketamina per l'intubazione (se necessario, impiegare la succinilcolina, 0,1 mg/kg). Effettuare immediatamente l'intubazione orotracheale ed iniziare la ventilazione a pressione positiva (non lasciare che il paziente respiri con una ventilazione spontanea). Garantito il sostegno alla respirazione, infondere colloidi e cristalloidi secondo necessità per normalizzare la pressione e la perfusione (sino a valori di poco inferiori alla norma). Decidere se inserire un drenaggio toracico o intervenire chirurgicamente. Inserire il drenaggio toracico ed eliminare tutto il sangue presente con un'aspiratore a pressione ridotta (20-30 cm di H2O). Conservare tutto il sangue rimosso attraverso il drenaggio toracico per una possibile autotrasfusione (ematocrito < 15). Monitorare accuratamente i segni vitali: SE RESTANO O DIVENTANO INSTABILI, SI DEVE INTERVENIRE CHIRURGICAMENTE. Non dimenticare che l'aspirazione mediante ago del torace NON fornisce informazioni adeguate sulla quantità di sangue presente nel cavo pleurico; SOLO attraverso un drenaggio di grosso calibro correttamente inserito e con un aspiratore a bassa pressione si può valutare l'entità della perdita di sangue e stabilire se l'emorragia perdura e con che velocità. 120 NOTE 5-10 minuti: aorta toracica discendente (30-40 minuti di occlusione al massimo senza difetti neurologici nei pazienti leggermente ipotermici e trattati con corticosteroidi) 30-40 minuti: aorta addominale (anche in questo caso, il limite può essere prolungato con l'ipotermia ed i corticosteroidi) 2-3 minuti: aorta ascendente prossimalmente alla succlavia sinistra 30 minuti al massimo: triade portale (arteria epatica, vena porta, dotto biliare comune), arteria epatica da sola, arteria e vena spleniche, arteria e vena renali, aorta addominale, tratto distale della vena cava caudale, vasi iliaci, vasi femorali. Vasi che possono essere legati entrambe le carotidi comuni entrambe le vene giugulari, se l'arteria vertebrale è preserva ta ed il circolo di Willis è funzionale entrambe le vene brachicefaliche entrambe le arterie brachiali entrambe le vene brachiali entrambe le vene cefaliche entrambe le arterie femorali entrambe le arterie iliache esterne entrambe le vene iliache comuni entrambe le vene femorali aorta addominale al di sotto del rene vena cava addominale al di sotto del fegato Diagnosi e trattamento delle emorragie osteofasciali I pazienti con fratture esposte presentano lacerazioni visibili che possono essere controllate, nella maggior parte dei casi, mediante compressione diretta. Invece, le lacerazioni causate internamente dai capi ossei possono non essere altrettanto evidenti. Si possono osservare ecchimosi cutanee o tumefazioni al di sopra del focolaio di frattura. La stabilizzazione temporanea di quest'ultima deve essere effettuata nel più breve tempo possibile per evitare ulteriori traumi interni. Allo scopo, è possibile eseguire delle steccature; in presenza di gravi fratture del bacino, l'applicazione dei calzoni pneumatici antishock può essere di valore inestimabile. In alternativa, è possibile avvolgere con asciugamani e teli l'intero cinto pelvico (senza comprendere gli arti posteriori). I teli vanno fissati con del nastro. La pressione esercitata da questi sistemi di immobilizzazione deve essere simile a quella precedentemente indicata. Spesso, sono necessari analgesici e tranquillanti in basse 121 NOTE dosi. Le emorragie osteofasciali si verificano in corrispondenza della zona di un osso fratturato, solitamente il femore o l'omero. Possono portare ad una sindrome compartimentale in cui la pressione all'interno dell'area colpita sale fino al punto di compromettere gravemente l'apporto vascolare e l'ossigenazione dei tessuti della zona sottostante. Questa condizione, pur essendo rara, può essere documentata con la misurazione della pressione all'interno del comparto tissutale rigonfio. L'emorragia è spesso localizzata a livello dei ventri muscolari, ma i capi ossei scontinuati possono anche provocare la lacerazione di alcuni vasi. I segni clinici sono rappresentati da tumefazione dell'area colpita, raffreddamento delle estremità, polso debole distalmente alla zona lesa e dolore. Inizialmente, il modo migliore di controllare il sanguinamento è la compressione indiretta mediante immobilizzazione con teli secondo le modalità precedentemente descritte. Se il comparto continua ad espandersi rapidamente, è indicata l'esplorazione chirurgica. Se la pressione aumenta lentamente, occorre tenerla sotto controllo ed impedire che superi il limite di 35 mm Hg misurato con un catetere fissato ad un transduttore ed inserito nel comparto. È stato dimostrato che la fissazione precoce delle fratture riduce la morbilità e la mortalità del paziente. Se è impossibile attuare un'immobilizzazione immediata e la pressione compartimentale è in aumento, può essere necessario praticare un'incisione della cute e della fascia sottostante per alleviarla. La fascia viene scontinuata e lasciata aperta in modo da consentire l'espansione del comparto muscolare. Se non viene trattata, la sindrome compartimentale può portare all'amputazione delle estremità situate distalmente alla regione colpita. Sono indicati gli analgesici. LESIONI DELLA VASCOLARIZZAZIONE PERIFERICA ED EMORRAGIE FASCIALI Le lesioni vascolari possono essere suddivise in cinque tipi: difetti della parete (lacerazioni, ferite penetranti), transezioni, fistole arterovenose, spasmi ed irregolarità dell'intima o della parete. I primi tre sono di solito causati da ferite penetranti, le lacerazioni dell'intima e gli ematomi parietali dipendono in genere dai traumi da corpo contundente e gli spasmi vascolari possono essere dovuti ad 122 entrambi gli eventi patologici. Le emorragie esterne sono di norma facilmente controllabili mediante compressione diretta, secondo le modalità già descritte. I vasi scontinuati trasversalmente tendono a sanguinare meno di quelli che hanno riportato lacerazioni tangenziali. Le arterie completamente recise tendono a retrarsi e trombizzarsi, per cui se da una ferita che ha determinato un danno vascolare si osserva un'emorragia persistente, si tratta probabilmente di sangue venoso. Altrimenti, emorragie significative si possono avere in caso di lesioni arteriose tangenziali. Anche in questo caso, l'applicazione di un manicotto insufflabile associata ad un rigoroso controllo della pressione risulta molto utile per arrestare temporaneamente l'emorragia e preparare il paziente all'intervento chirurgico. Queste lesioni possono essere tali da mettere in pericolo la vita dell'animale e sono difficili da controllare senza un accesso chirurgico immediato. È essenziale ottenere un'esposizione adeguata della regione interessata e stabilire un accesso prossimale e distale con il controllo vascolare della vena e dell'arteria, se possibile prima dell'apertura del comparto in espansione. L'applicazione delle pinze emostatiche va effettuata con cautela, perché i nervi decorrono molto vicini alle arterie. Se la legatura diretta dei vasi sanguinanti non riesce a determinare il controllo dell'emorragia, può essere necessario allacciare l'arteria che irrora la regione. Le emorragie venose persistenti possono richiedere il tamponamento della ferita e l'applicazione di un bendaggio compressivo. Gli ematomi possono essere autolimitanti, ma devono essere strettamente monitorati mediante misurazione periodica delle loro dimensioni. Si raccomanda una lieve compressione, perché gli ematomi in espansione possono indurre una sindrome compartimentale fasciale. NOTE CONTROLLO DEFINITIVO DELLE EMORRAGIE NASALI Le emorragie nasali possono essere causati da traumi oppure da coagulopatie primarie. Data l'estesa vascolarizzazione dei turbinati, il sanguinamento può essere grave. Il controllo iniziale consiste nella sedazione dei pazienti ansiosi o troppo attivi. Si esercita una compressione digitale sulle arterie mascellari e si instillano nelle narici alcune 123 NOTE gocce di adrenalina 1:100.000 o fenilefrina spray per indurre una vasocostrizione. Se questo trattamento risulta inadeguato, si possono zaffare le vie nasali di garza (imbevuta o meno di adrenalina). Se anche così non si controlla l'emorragia, il paziente va fortemente sedato o anestetizzato e quindi sottoposto all'inserimento di un catetere di Foley nel meato ventrale e poi nel rinofaringe. Dopo aver insufflato il palloncino, si retrae il catetere fino a che non viene a contatto delle vie nasali. Il meato nasale viene quindi zaffato di nastro spinto il più caudalmente possibile con un paio di pinze emostatiche. L'estremità del nastro va suturata al naso. Il tampone così ottenuto va lasciato in posizione per 24-48 ore, durante le quali si effettua la valutazione dei fattori della coagulazione e delle piastrine. Può anche essere utile tenere leggermente sollevata la testa dell'animale. EMORRAGIE INTRACRANICHE Le emorragie intracraniche conseguenti ad un trauma da corpo contundente possono essere dovute al danneggiamento delle arterie meningee, che può portare all'insorgenza di ematomi epidurali, danneggiamento dei seni venosi della dura madre con conseguente formazione di ematomi subdurali o lesioni delle arterie e delle vene subaracnoidee, responsabili di ematomi subaracnoidei. Dopo il trauma, l'encefalo va incontro ad una rapida tumefazione nell'arco delle 2-4 ore successive. Questo evento, associato all'emorragia intracranica, può essere responsabile di un aumento della pressione intracranica. Se la terapia medica non riesce a ridurre questo incremento pressorio, può essere necessario eseguire una craniotomia/craniectomia decompressiva; secondo l'esperienza dell'autore, questo è di solito il caso delle emorragie epidurali o subdurali. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Anche se le gravi lesioni che comportano una rapida perdita di sangue sono intrinsecamente associate ad un'elevata mortalità (compresa fra il 75% ed il 95% in medicina umana), i valori di questo parametro possono essere ridotti a meno del 10-30% presso i centri specializzati nel trattamento dei pazienti traumatizzati, che sono in grado di 124 offrire ad ogni animale con lesioni multiple un trattamento aggressivo, in un arco di tempo minimo fra il momento del ricovero ed il completamento degli interventi definitivi. La rianimazione inizia già sulla scena dell'incidente, ad opera del proprietario, di uno degli astanti o di un paramedico, e continua nell'ospedale. Le probabilità di successo dell'intervento sono tanto più elevate quanto più sono rispettati ed attuati i principi della rianimazione. NOTE Letture consigliate Stern S, Dronen SC, Birrer P, et al. 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Crowe DVM, Diplomate ACVS, ACVECC The Animal Emergency Center & The Veterinary Institute of Trauma, Emergency, and Critical Care Milwaukee, Wisconsin, USA Tecniche pratiche per la gestione delle emergenze respiratorie Domenica, 23 marzo 1997, ore 10.00 153 NOTE La perdita improvvisa e completa della pervietà delle vie aeree è per definizione un'emergenza assoluta. Se ciò è dovuto ad un corpo estraneo, si deve tentare la manovra di Heimlich. Se questa non funziona, bisogna dirigere direttamente sul muso del paziente un getto di ossigeno a flusso elevato. L'animale può essere rapidamente anestetizzato e sottoposto alla rimozione dell'ostruzione; se questa è ancora impossibile, si deve realizzare una via aerea d'emergenza. Altre possibilità sono l'inserimento di un catetere cricotiroideo, la rapida cateterizzazione transtracheale o la tracheostomia. OSTRUZIONE E DISTRUZIONE DELLE VIE AEREE EZIOLOGIA. Un esempio di lesione di questa natura è quella associata all'ostruzione completa delle vie aeree secondaria alla cosiddetta "sindrome da lesioni da cane grosso nel cane piccolo", dove i soggetti di piccola taglia riportano notevoli lesioni da schiacciamento del collo che coinvolgono la trachea. Entro circa 2 minuti dal trauma l'animale perde conoscenza, mentre la PaO2 scende a 30 torr (saturazione dell'ossigeno arterioso del 50%) o meno. Per un altro minuto continua l'aumento dello sforzo respiratorio, e dopo 2-6 minuti inizia l'apnea. Entro 5-10 minuti scompare il polso (asistole in diastole). L'ipossia e l'acidosi (da accumulo di CO2 ed acidi fissi) nel sangue e nei tessuti concorrono a determinare l'insufficienza circolatoria. In seguito ad una lesione a carico della lingua, della bocca, del naso e della faringe si può avere un sanguinamento significativo. I coaguli ematici di grandi dimensioni possono ostruire le vie aeree a livello di ingresso del torace, laringe, trachea o bronchi principali. Il sangue può anche provenire da polmoni, bronchi, laringe e trachea. Nel primo caso, si ha la formazione di bollicine e schiuma che, se è abbastanza grave, può essere causa di ostruzione. Anche l'aspirazione di materiale vomitato o saliva addensata può determinare lo stesso problema. Si possono avere ostruzioni secondarie diffuse delle vie aeree di piccolo calibro in seguito all'aspirazione del contenuto gastrico. Lo svuotamento dello stomaco viene praticamente arrestato da un evento traumatico significativo e, nei pazienti in stato comatoso o semicomatoso, i residui emessi per rigur- 154 gito passivo costituiscono un'autentica minaccia. L'aspirazione di un materiale liquido in quantità superiore a 5 ml/20 kg di peso e con un pH inferiore a 2,5 (che è il valore comunemente presente nel contenuto gastrico) può determinare un broncospasmo ostruttivo fatale ed una polmonite acuta da cause chimiche. I getti d'aria diretti sulla laringe possono indurre uno spasmo laringeo, che può essere abbastanza grave da determinare un'ostruzione quasi completa. Anche la distruzione anatomica delle vie aeree, determinata da un trauma da corpo contundente o da una ferita penetrante, può causare un'ostruzione, quantomeno parziale, capace di minacciare la vita dell'animale. In questo caso, il problema può essere associato all'impedimento del flusso dell'aria attraverso le vie respiratorie causato dalle alterazioni distruttive. La distruzione parziale o completa della trachea può portare alla sua ostruzione. Sono stati osservati pazienti con distacco completo della trachea cervicale o toracica che presentavano i segni di un'ostruzione parziale. La manipolazione degli animali a fini diagnostici (ad esempio, per la ripresa di radiografie) o per l'induzione dell'anestesia generale o durante i tentativi di intubazione finalizzati alla riparazione dei danni riscontrati può spesso trasformare un'ostruzione parziale in una completa. NOTE SEGNI CLINICI. La caratteristica tipica delle gravi ostruzioni parziali è la difficoltà di respirazione durante l'inspirazione. I suoni riscontrabili a livello delle vie aeree sono accentuati; il tipo e la localizzazione di queste sonorità contribuisce alla localizzazione dell'ostruzione parziale nell'albero respiratorio. Le alterazioni prelaringee determinano la comparsa di suoni gorgoglianti e sonori, mentre quelle laringee o della parte craniale della trachea inducono toni sibilanti e rasposi. Il riscontro di questi ultimi (più forti) all'ingresso del torace indica di solito un'ostruzione parziale della parte caudale della trachea cervicale o del tratto craniale di quella toracica. L'interessamento di quest'ultima e dei bronchi comporta in genere un'estensione della dispnea anche alla fase espiratoria. Man mano che l'ostruzione peggiora, vengono attivati i muscoli respiratori accessori della faccia e del collo, il cui movimento risulta visibile durante i tentativi di ventilazione. La cianosi è un segno clinico finale ed inaffidabile dell'ostruzione delle vie aeree (richiede la presenza in circolo 155 NOTE di almeno 5 g/100 ml di emoglobina ridotta). È anche più difficile da riconoscere con l'illuminazione artificiale. Quando è presente, impone però un'attenzione immediata! Negli animali con ostruzioni complete, come già ricordato, non si odono suoni di alcun genere durante i tentativi di ventilazione. Nella maggior parte dei casi questi soggetti sono incoscienti, cianotici (o cinerei), non tentano di respirare e presentano un polso molto debole. In questi casi, la diagnosi clinica di ostruzione o di grave distruzione delle vie aeree non viene formulata fino al momento dei tentativi di intubazione e ventilazione. In presenza di una distruzione tracheale o laringea che determina una certa perdita di aria che passa nei tessuti, il riscontro di un enfisema sottocutaneo nelle regioni del collo e della testa è il segno clinico fondamentale, che si associa a quelli dell'ostruzione parziale o completa. Dopo avere effettuato l'intubazione, il veterinario non deve dimenticare di effettuare l'auscultazione bilaterale dei polmoni per accertarsi della validità della ventilazione. In caso di distruzione tracheale, spesso il tubo orotracheale non riesce a penetrare nel lume del segmento distale. In questi casi, anche dopo l'intubazione, non si apprezzano suoni polmonari. RIANIMAZIONE DEL PAZIENTE CONSCIO. Se gli scambi gassosi che l'animale è ancora in grado di effettuare sono sufficienti ad impedire la perdita di conoscenza, la prima cosa da fare è tenerlo il più tranquillo possibile. Poi, è di capitale importanza un apporto supplementare di ossigeno (a questo proposito si veda, più oltre, la sezione relativa al trauma toracico). Il paziente va tenuto con la testa in basso, esercitando contemporaneamente una compressione forzata dell'addome e del torace per cercare di espellere il materiale ostruente. Nei pazienti che sono ancora in grado di determinare un certo movimento dell'aria, ma sono quasi cianotici, si raccomanda il rapido inserimento di un catetere transtracheale attraverso il quale somministrare ossigeno. Si può impiegare, con cautela, un'ossigenazione ad alta velocità di flusso associata alla compressione toraco-addominale, per cercare di sbloccare l'ostruzione. Tuttavia, bisogna stare attenti a non insufflare eccessivamente i polmoni. Occasionalmente, si devono inserire diversi cateteri transtracheali o un tubo da tracheotomia. Tracheostomia d'urgenza e somministrazione intratracheale di farmaci. La tracheostomia d'urgenza va presa in considerazione solo quando le condizioni del paziente si 156 deteriorano rapidamente e sembra che stia per morire da un momento all'altro. Si pratica un'incisione nella regione mediocervicale ventrale, si separano i muscoli con le dita, con una pinza emostatica o con un paio di forbici e si esegue nella trachea un'incisione sufficiente ad inserirvi un tubo orotracheale. In queste situazioni, le discussioni relative al tipo di incisione da effettuare (longitudinale o trasversale) hanno valore puramente accademico. L'importante è solo riuscire ad introdurre il tubo ed iniziare la ventilazione. Al momento dell'inserimento del tubo orotracheale, è sempre utile la ventilazione assistita. Se insorgono bradicardie o tachicardie ventricolari pericolose, si possono instillare atropina e lidocaina attraverso il tubo. Per la stessa via si può anche somministrare dell'adrenalina nei pazienti con arresto cardiaco o prossimi ad esso. In questi animali, la posologia dell'atropina, della lidocaina o dell'adrenalina deve essere almeno raddoppiata. NOTE RIANIMAZIONE DEI PAZIENTI PRIVI DI CONOSCENZA. Le fasi fondamentali del trattamento sono 1) continuare i tentativi di compressione del torace e dell'addome per espellere i materiali estranei, 2) cercare di far penetrare una certa quantità di aria od ossigeno nelle vie aeree [continuare le manovre di pronto soccorso fino all'arrivo di aiuti attrezzati], 3) pulire la faringe e la laringe con un aspiratore, 4) effettuare l'intubazione tracheale, 5) eseguire la tracheostomia e, raramente, 6) ricorrere alla parasternotomia per immobilizzare o riaprire le vie aeree ostruite. In certi casi, se è immediatamente disponibile, può essere utile anche un endoscopio. Aspirazione. Se l'ostruzione ha determinato la perdita di conoscenza dell'animale, si deve eseguire l'intubazione, preferibilmente con l'aiuto di un laringoscopio. Se sono presenti coaguli, vomito e saliva addensata o schiumosa che impediscono la visualizzazione della laringe o causano l'ostruzione, è necessaria un'immediata aspirazione. La soluzione migliore per allontanare questo materiale ostruente dalla laringe o dalla faringe consiste nel montare sull'aspiratore una punta dentale con una grossa apertura terminale o un tubo orotracheale. Per le secrezioni più fluide va anche bene una punta di Yaunker (tonsillare). Intubazione. Bisogna stare attenti a trattare delicatamente le strutture perilaringee durante l'intubazione, perché nei pazienti in ipossia ed ipercapnia si può avere un arresto cardiaco da induzione vagale. Durante l'intubazione, se pos157 NOTE 158 sibile, la testa del paziente va tenuta orizzontale (non sollevata) per evitare che la gravità favorisca l'aspirazione di materiale nelle vie aeree e riduca la perfusione cerebrale. Il modo migliore per effettuare l'intubazione mantenendo orizzontale la testa dell'animale consiste nel porre il paziente in decubito dorsale, con il capo all'estremità del tavolo. In questa posizione è possibile anche inserire il tubo senza assistenza e riducendo al minimo la manipolazione laringea servendosi di un laringoscopio. Per attuare l'intubazione senza assistenza, è necessario appoggiare l'animale su dei sacchetti di sabbia, una struttura a "V" o un tavolo operatorio con i fianchi regolabili, in modo da mantenere il decubito dorsale. Quando viene utilizzato nei pazienti in decubito dorsale, il laringoscopio va tenuto nella mano sinistra, insieme alla punta della lingua. La lama dello strumento viene introdotta appena ventralmente o dorsalmente all'epiglottide, a seconda del tipo usato. Quindi, con un movimento a leva si solleva (cioè si sposta ventralmente) l'apparato ioideo. In questo modo, la rima della glottide si sposta più rostralmente e si apre, facilitando l'inserimento del tubo orotracheale, tenuto nella mano destra. L'intubazione senza assistenza mediante laringoscopio può essere effettuata anche con l'animale in decubito laterale destro. Anche in questo caso, lo strumento viene tenuto nella mano sinistra ed il tubo nella destra. Questo sistema risulta particolarmente utile nei cani di taglia molto grande, quando non si può contare su un assistente, che, altrimenti, faciliterebbe l'intera operazione tenendo aperta la bocca del paziente. Disponendo di un assistente, se necessario (per mancanza di esperienza), si può effettuare l'intubazione con il paziente in decubito ventrale. Tuttavia, in questa posizione si ha un ulteriore calo della perfusione cerebrale, perché è necessario sollevare la testa. Se il paziente è già ipoteso, questa ulteriore riduzione del flusso ematico al cervello può scatenare un arresto cardiopolmonare. Una volta intubato il paziente, si deve iniziare la ventilazione e servirsi dell'auscultazione per verificare che su entrambi i lati del torace siano presenti suoni soddisfacenti. Per rimuovere eventuali corpi estranei tracheali, come pezzi di cibo o vomito e coaguli ematici, può essere necessario svuotare il tubo con un'aspirazione mediante punta dentale. Il riscontro di suoni liquidi o attenuati in un bronco indica la necessità di effettuare un'aspirazione mediante cannula tracheale. Tracheostomia d'urgenza o approccio cervicale e parasternale ed intubazione tracheale. Se non è possibile intubare la trachea e garantirne la pervietà con questi metodi convenzionali e si ritiene che l'animale stia morendo per la compromissione respiratoria (da traumi e ostruzione), è necessario eseguire una tracheostomia d'urgenza o un approccio cervicale e parasternale alla trachea, intubandola. Questi interventi di chirurgia d'urgenza vanno presi in considerazione solo dopo il fallimento dei tentativi di intubazione effettuati con il laringoscopio ed alla cieca. Le grandi lacerazioni tracheali ed i distacchi completi in cui si è avuta la perdita della continuità delle vie aeree rappresentano le principali indicazioni per il ricorso alla chirurgia d'urgenza a questo livello. Altre indicazioni, secondo l'esperienza dell'autore, sono i traumi laringei e le tumefazioni perilaringee o gli spasmi conseguenti ad un trauma. Anche l'ostruzione tracheale da corpo estraneo può essere considerata un'indicazione per la tracheostomia d'urgenza, ma di solito non è associata ad un'anamnesi di trauma. Poiché le conseguenze della perdita della pervietà delle vie aeree sono estremamente gravi, nei pazienti che hanno perso conoscenza è essenziale l'intubazione immediata, che deve essere attuata con qualsiasi mezzo necessario. Non c'è tempo di radere il pelo o effettuare una preparazione asettica. La trachea viene rapidamente esposta con un bisturi e (preferibilmente) un paio di forbici Mayo. Tuttavia, sono state impiegate con successo anche le forbici da bende, dimostrando come il rianimatore debba talvolta utilizzare qualsiasi strumento tagliente immediatamente disponibile. Con l'animale possibilmente in decubito dorsale e con il collo in iperestensione, si incide la cute della regione mediocervicale lungo la linea mediana vicino ad essa. Quindi, si separano i muscoli sternotiroidei e si espone la trachea. Tracheostomia cervicale. Per eseguire la tracheostomia cervicale, si separa la leggera fascia peritracheale e si pratica un'incisione fra gli anelli tracheali (come preferisce l'autore) oppure, longitudinalmente, attraverso due o tre di essi. Si lascia l'estremità dello strumento utilizzato per penetrare nella trachea all'interno della breccia, per indicarne la posizione, e con un secondo (preferibilmente una pinza emostatica) si separano gli anelli e si permette alla ventilazione di iniziare. Sempre tenendo lo strumento in NOTE 159 NOTE 160 sede come una guida, si inserisce nell'apertura un tubo orotracheale dotato di manicotto insufflabile, meglio se del tipo da tracheostomia. Se si impiega un tubo da anestesia, bisogna accorciarlo e modificarlo in modo da poterlo fissare in sede. Sia il tubo modificato che quello apposito vengono trattenuti in posizione da un nastro fatto passare dietro il collo dell'animale. "Tracheostomia nel paziente sveglio." La tracheostomia cervicale è indicata anche nei pazienti non privi di conoscenza che, nonostante un apporto supplementare di ossigeno in concentrazione elevata, presentano una grave dispnea conseguente a contusione polmonare, edema ed emorragia intrapolmonare. I tessuti molli circostanti vengono anestetizzati localmente con lidocaina e poi si esegue la tracheostomia mentre un assistente tiene la testa ed il collo in estensione. Si applicano due suture di fissazione, intorno all'anello tracheale più prossimale ed intorno a quello più distale, vicino al punto prescelto. Queste suture verranno lasciate in sede quando il tubo sarà inserito e serviranno a guidarlo nuovamente nel lume tracheale quando fosse necessario sostituirlo o si fosse accidentalmente spostato. Esposizione tracheale cervicale emergente per il trattamento delle ferite distruttive della trachea. L'approccio è analogo a quello della tracheostomia d'urgenza. Una volta esposte, le principali lesioni della trachea a carattere distruttivo abbastanza gravi da causare una dispnea significativa sono in genere anche abbastanza grandi da consentire l'inserimento di un tubo endotracheale nel segmento distale. Per consentire la visualizzazione della parte e l'introduzione del tubo può essere necessario allontanare dalla ferita i tessuti molli circostanti. Occasionalmente, è necessario ampliare l'apertura della trachea per consentire l'inserimento del tubo. Se la lesione ha determinato una notevole devitalizzazione ed un esteso schiacciamento dei tessuti, per effettuare l'intubazione può essere necessario realizzare un'apertura completamente nuova distalmente alla zona danneggiata. Una volta introdotto il tubo, si inizia la ventilazione e si effettua la necessaria aspirazione della parte. Il paziente viene trasferito in sala operatoria e si dà inizio all'anestesia gassosa. La trachea viene poi intubata con un tubo orotracheale inserito attraverso la bocca e spinto fino nel segmento distale. L'operazione spesso richiede la manipolazione del segmento stesso. Riparazione della trachea. La trachea viene riparata dopo aver asportato tutti i tessuti non vitali ed avere effettuato un'abbondante irrigazione. Allo scopo, si esegue una sutura semplice a punti staccati in materiale monofilamento non assorbibile 4-0 o 2-0, come il polipropilene o il nylon, su ago atraumatico o tagliente. Secondo l'esperienza dell'autore, il filo da sutura può penetrare nel lume senza determinare complicazioni ed assicurando una seconda chiusura. Ne casi in cui è necessaria la resezione, gli anelli tracheali da accostare vengono uniti con una serie di punti staccati, che tengono vicini i semianelli. Questi ultimi vengono realizzati dividendo longitudinalmente gli anelli con una lama da bisturi, seguendo un percorso circolare. Quando le superfici di taglio della cartilagine ialina di ciascun semianello vengono accostate, guariscono per prima intenzione, riducendo al minimo i fenomeni cicatriziali e stenotici. Parasternotomia d'urgenza per l'esposizione della trachea toracica. In rari casi, la distruzione della trachea avviene all'interno della cavità toracica ad opera di ferite penetranti, lesioni da trazione o traumi da corpi contundenti. In questi pazienti, il polmone non può essere ventilato attraverso un normale tubo orotracheale. Se, dopo aver cercato di far avanzare il tubo sino al tratto caudale della trachea toracica per superare la parte danneggiata, le difficoltà di inspirazione sono ancora presenti, è necessario un intervento di approccio caudocervicale e parasternale d'emergenza alla trachea. Con una lama da bisturi si incide la cute lungo la linea mediana ventrale o in prossimità di essa. Quindi, con un paio di forbici Mayo, si separano le articolazioni condrosternali ed i tessuti molli, arrivando al manubrio dello sterno e proseguendo caudalmente per almeno 4-5 sternebre. Pur operando con la massima rapidità possibile per arrivare ad ottenere l'esposizione necessaria, bisogna fare molta attenzione a non danneggiare le vene brachiocefaliche e gli altri grandi vasi. Per evitare di ledere queste strutture può essere utile tenere le punte delle forbici Mayo il più possibile in posizione ventrale. È inevitabile scontinuare la vena e l'arteria toracica interna di uno dei due lati, che verranno successivamente legate. Lesioni dei bronchi principali. In presenza di gravi danni dei bronchi principali si può osservare una serie di segni clinici di tipo misto, quali assenza dei suoni polmonari su uno dei lati, progressiva dispnea con accumulo di NOTE 161 NOTE 162 aria nello spazio pleurico sullo stesso lato, enfisema sottocutaneo a livello della zona cervicale, dell'ingresso del torace e, forse, di un lato della parete e pneumomediastino. Nella maggior parte dei casi di lesioni bronchiali, si ha la formazione di una fistola broncopleurica che, secondo l'esperienza dell'autore, si presenta di solito sotto forma di un grave pneumotorace monolaterale a rapido sviluppo, associato o meno ad un enfisema sottocutaneo dissecante cervicale ed a collasso polmonare (dal lato della lesione bronchiale). Lo pneumotorace iperteso è una complicazione comune che in genere viene trattata con successo con l'inserimento di un drenaggio toracico collegato ad un sistema di aspirazione continua. Le lacerazioni bronchiali in genere si chiudono da sole e richiedono solo un trattamento conservativo (inserimento del tubo di drenaggio ed aspirazione con sistema a bottiglie) per 3-5 giorni. Se la fuoriuscita di aria dal bronco (misurata in base alla quantità aspirata) non si arresta e non rallenta considerevolmente, è indicata una toracotomia esplorativa per la riparazione diretta della lesione. I danni più lievi dei bronchi e del parenchima polmonare che determinano una perdita d'aria nel cavo pleurico possono richiedere più tempo per determinare la comparsa dei segni clinici della compromissione respiratoria, perché l'accumulo di aria nello spazio pleurico, nel mediastino e nel sottocute avviene più lentamente. Il trattamento è analogo. Bisogna stare attenti a non interrompere troppo presto il drenaggio o l'aspirazione. Prognosi. La prognosi delle ostruzioni o delle distruzioni più gravi delle vie aeree dipende spesso dal tempo trascorso prima dell'identificazione del problema e risulta tanto più favorevole quanto più la diagnosi è stata precoce. Anche l'entità delle lesioni laringee, tracheali o bronchiali in atto influisce sul giudizio. La prognosi è poi tanto più riservata quanto più è difficile l'intervento chirurgico riparativo. Le principali conseguenze a lungo termine sono rappresentate dalla fibrosi e dalla stenosi del lume della trachea nei casi in cui la lesione era estesa lungo tutta la circonferenza e non è stato possibile ottenere una guarigione per prima intenzione. L'incidenza delle infezioni postoperatorie, nonostante l'esecuzione della tracheostomia e della parasternotomia d'urgenza senza radere e preparare la cute, è bassa. Si ritiene che ciò sia dovuto all'abbondante irrigazione ed alla pulizia delle strutture esposte al termine dell'intervento. Caso clinico illustrante la rianimazione delle vie aeree NOTE Esempio di impiego dei principi di terapia d'urgenza precedentemente elencati (riassunto). Un Boston terrier di 3 anni venne portato all'ospedale (UGA-VTH) con una grave dispnea inspiratoria. Si sospettò un trauma, ma nessuno aveva osservato il cane nelle ore precedenti. La dispnea divenne progressiva e l'animale presentò perdita di conoscenza e cianosi. Dopo l'intubazione orotracheale, non si riuscì comunque ad udire i suoni della ventilazione e si sospettò un'ostruzione. L'aspirazione non consentì di ottenere alcun materiale. Insorsero arresto respiratorio ed intensa cianosi. A questo punto, si eseguì un approccio caudocervicale d'urgenza alla trachea, nella speranza di trovare la lesione e risolverla. Poiché l'organo apparve integro, si attuò una parasternotomia d'urgenza. La trachea venne rintracciata mediante palpazione del mediastino e si identificò un notevole distacco appena cranialmente alla biforcazione. Dopo la scoperta dell'interruzione completa delle vie aeree, si inserì nel moncone distale l'estremità di un tubo orotracheale e si attuò la ventilazione a pressione positiva, evitando un arresto cardiaco altrimenti certo. La lesione tracheale venne riparata mediante attento inserimento di un tubo intratracheale, revisione chirurgica dei margini scontinuati e loro accostamento con una sutura semplice a punti staccati in polibutestere o polipropilene 3-0. Il cane venne rianimato con successo, con buon esito neurologico e senza sviluppo di infezioni postoperatorie. A distanza di tre anni, l'animale continua a stare bene, senza alcun problema residuo di ventilazione. TRAUMA TORACICO La rianimazione iniziale dei pazienti con trauma toracico dipende dall'entità dello sforzo respiratorio e dallo stato di conoscenza manifestato dal paziente. Nella grande maggioranza dei casi, si percepisce un certo grado di "dispnea" o difficoltà di respirazione ed il paziente è cosciente. In questo caso si deve somministrare immediatamente ossigeno. SOMMINISTRAZIONE DI O2. In qualsiasi paziente in condizioni critiche, l'apporto di ossigeno ai tessuti è da considerare prioritario e può essere portato ai massimi livelli 163 NOTE con un'accurata valutazione dello scambio gassoso polmonare, delle concentrazioni di emoglobina per il trasporto e della perfusione tissutale per l'apporto di ossigeno alle cellule. In questa sezione verranno illustrati i metodi con cui il clinico può ottenere la massima tensione di ossigeno. Le trasfusioni di sangue e la regolazione della perfusione tissutale sono trattate in un'altra relazione. La somministrazione di ossigeno fa ordinariamente parte delle cure prestate a molti pazienti traumatizzati. Poiché l'ossigenoterapia è costosa, bisogna in primo luogo determinare se è utile o meno ad un dato paziente. Una volta identificato il fabbisogno di ossigeno del soggetto, si potrà scegliere caso per caso il metodo di somministrazione ottimale. Determinazione della necessità di somministrazione dell'ossigeno Nella maggior parte dei casi, è di gran lunga meglio abbondare con l'ossigeno che offrire al paziente un apporto insufficiente. Pur non essendo definitiva, l'ossigenoterapia costituisce di solito un positivo intervento di sostegno, che può risultare della massima importanza. Nei pazienti traumatizzati che presentano una compromissione del parenchima polmonare, l'apporto di una quota supplementare d'ossigeno costituisce una parte significativa della terapia definitiva. L'osservazione dei pazienti ipossiemici può evidenziare chiari segni di difficoltà respiratoria, quali aumento dello sforzo respiratorio, reclutamento dei muscoli della parete addominale, dilatazione delle narici, respirazione a bocca aperta, estensione del collo, cianosi e/o respirazione paradossa. La necessità del paziente di ricevere ossigeno può essere confermata con la misurazione dei gas arteriosi e/o con l'ossimetria del polso. Nei soggetti con evidenti difficoltà di respirazione, il bisogno di ossigeno è spesso chiaramente evidente anche per il clinico meno esperto. A meno che non sia assolutamente giustificata dalla necessità di ristabilire un equilibrio volumetrico, l'infusione di cristalloidi va ridotta il più possibile. È però importante rendersi conto che la somministrazione di ossigeno può essere molto utile anche in situazioni in cui la presenza dell'ipossiemia può non essere così facilmente intuibile. La tachipnea può essere erroneamente attribuita al dolore quando in realtà è causata dall'ipossiemia. I 164 cani che appaiono abbattuti per lo shock o per un problema neurologico possono essere incapaci di manifestare i tipici segni clinici della difficoltà di respirazione. Il riscontro di mucose rosee non esclude la possibilità di un'ipossiemia clinicamente significativa, dal momento che questa colorazione si mantiene fino a che la PaO2 non scende al di sotto di 60 mm Hg (contro un valore normale di 85-100 mm Hg). Analogamente, può essere molto difficile rilevare la cianosi in animali con mucose molto pallide, perché l'insufficiente perfusione dei tessuti periferici può impedire la visualizzazione della desossiemoglobina. La distinzione fra cianosi e colorazione rosata è anche resa difficile dall'illuminazione artificiale. In questi casi, per stabilire il fabbisogno di ossigeno il clinico si deve basare su altre indicazioni, come, ad esempio, la presenza di una tachicardia o un'ipotensione refrattarie alla terapia, aritmie ventricolari, grave depressione mentale o tachipnea. Poiché è improbabile che l'apporto di ossigeno a concentrazioni del 30-50% possa essere dannoso per il paziente, la maggior parte di coloro che operano nell'ambito della terapia d'urgenza preferisce sottoporre all'ossigenoterapia i pazienti traumatizzati in condizioni critiche fino al momento in cui non si sia accertato che l'animale è in grado di restare in condizioni stabili anche senza questo sostegno. NOTE Metodi di somministrazione dell'ossigeno I pazienti con trauma toracico sono spesso colpiti da anomalie associate ad uno squilibrio della ventilazione e della perfusione, rispettivamente, delle unità capillari alveolari e polmonari e pertanto presentano disossia ed ipossiemia. La ricerca ha dimostrato che l'ossigenoterapia è molto utile nel trattamento di questo tipo di ipossiemia, a condizione che la ventilazione sia ancora adeguata. La somministrazione può essere effettuata mediante gabbia, catetere nasale, cannule nasali, catetere transtracheale, collare, borsa di plastica trasparente o cappuccio ed è importante che sia eseguita sin dall'inizio della terapia, a condizione che le anomalie delle vie aeree non compromettano la ventilazione fino al punto di portare il paziente sull'orlo del collasso. La corretta scelta del metodo di somministrazione dell'ossigeno da impiegare in ogni singolo paziente richiede una certa conoscenza delle varie modalità disponibili. 165 NOTE Vengono comunemente usate diverse tecniche. Ciascuna di esse è caratterizzata da vantaggi e svantaggi specifici ed il clinico deve cercare di conoscerne bene il più possibile. 1. Flusso diretto (tubo vicino al muso) Con questa tecnica si deve semplicemente cercare di orientare l'estremità del tubo erogatore verso il muso e il naso del paziente, con un flusso di ossigeno di 5-10 l/min. Si può provare a raccordare al tubo il cilindro di una siringa di plastica, per orientare meglio sul bersaglio il flusso di gas. Con questa velocità di flusso, intorno alle narici ed alla bocca del paziente si forma una "nube di ossigeno", che viene inalato in concentrazione elevata. Se l'animale respira a bocca aperta, si può dirigere il getto verso la parte posteriore della faringe oppure vicino alla glottide, ottenendo una pressione positiva continua nelle vie aeree, che mantiene aperti gli alveoli ed è quindi utile in caso di edema polmonare. Vantaggi Molto facile da usare Gli animali dispnoici sembrano tollerare meglio questo metodo di ossigenazione nelle fasi iniziali. Svantaggi Richiede una fonte di ossigeno collegata direttamente ad un flussimetro. Tuttavia, il problema può essere facilmente risolto con un raccordo ad Y inserito sulla linea dell'ossigeno e proveniente dal flussimetro di un apparecchio da anestesia. Comporta un notevole spreco Nella maggior parte dei casi, può essere attuato solo per un breve periodo di tempo, perché richiede un operatore che indirizzi continuamente il flusso verso il muso del paziente. 2. Sacche, collari, maschere In ogni caso, l'ossigeno viene pompato in un'area ristretta sopra la testa o il muso dell'animale. La maggior parte delle maschere è trasparente e consente l'osservazione del soggetto. 166 Sacche (cappucci) ad ossigeno. Un sistema di somministrazione di ossigeno che l'autore trova molto utile è quello di impiegare delle sacche di plastica trasparente all'interno delle quali si pone la testa del paziente, con uno spazio sufficiente a permettere almeno un certo numero di scambi respiratori. L'ossigeno viene fornito attraverso un tubo inserito all'interno della sacca, vicino al naso dell'animale, con un'erogazione di almeno 200 ml/kg/min. La sacca resta aperta alla sommità per consentire la fuoriuscita dei gas. Con questo metodo, è possibile apportare ossigeno in concentrazione pari almeno al 75%, una volta effettuata la denitrogenazione. Collare di Elisabetta ad ossigeno. Questa tecnica è stata sviluppata dall'autore per soddisfare l'esigenza di porre gli animali in un ambiente ricco di ossigeno senza stressarli o usare metodiche invasive né rinchiuderli in una gabbia dove sono impossibili da esaminare o trattare. La testa dell'animale viene posta in un COLLARE AD OSSIGENO DI CROWE, che può essere applicato in un minuto. Si tratta di un collare di Elisabetta in materiale plastico, preferibilmente trasparente, che mantiene il tubo dell'ossigeno su un lato del collo del paziente, con l'estremità posta all'interno della parte ventrale del collare e fissata con un nastro. La parte anteriore del collare è coperta da un foglio di carta plastificata, in modo da formare uno scudo o "baldacchino ad ossigeno portatile". La sommità del collare non è coperta, per consentire la fuoriuscita dei gas esalati, più caldi. Studi non pubblicati confermano che in meno di un minuto, con il flussimetro regolato a 300 ml/min/kg, si possono raggiungere concentrazioni di ossigeno all'interno del collare fino al 90%. Le velocità di flusso tipicamente raccomandate dall'autore sono di 100-200 ml/min/kg. In genere, ciò consente di ottenere una concentrazione di ossigeno all'interno del collare pari al 40-50%. L'unica complicazione osservata con questo metodo è l'ipertermia, riscontrata in cani già ansimanti ed eccitati ed in quelli con significativa compromissione delle vie aeree, come il bulldog. Maschere. Sono facili da usare, ma molti pazienti non sembrano tollerarle molto bene. Non sono disponibili maschere per uso veterinario senza rirespirazione, per cui la massima concentrazione di ossigeno generalmente raggiungibile è del 50%. NOTE Vantaggi: Sono tutti metodi facili da usare 167 NOTE Tutti possono essere applicati rapidamente in situazioni di emergenza A seconda delle velocità di flusso e della tenuta ermetica, si possono raggiungere concentrazioni di ossigeno molto elevate Dal momento che resta coperta solo la tesata dell'animale, il clinico può ancora attuare sul paziente degli interventi diagnostici e terapeutici Alcune di queste soluzioni (baldacchino) permettono agli animali di muoversi liberamente Svantaggi: Alcuni possono non essere ben tollerati dagli animali dispnoici (maschera) Alcuni sono efficaci negli animali liberi di muoversi (maschera) Se non si utilizza un flusso abbastanza elevato, si può avere un eccessivo aumento della temperatura all'interno 3. Somministrazione di ossigeno a livello nasale La somministrazione di ossigeno a livello nasale viene comunemente effettuata con un catetere urinario in gomma da 3-8 Fr., a seconda delle dimensioni del paziente. Si possono anche utilizzare i cateteri da ossigeno reperibili in commercio (in polivinilcloruro, da 4-8 Fr). L'autore ha contribuito a rendere popolare questa tecnica dimostrando quanto fosse facile ed economica. Si misura un tratto di catetere di lunghezza pari alla distanza esistente fra le narici ed il canto mediale dell'occhio, contrassegnandolo con un pezzetto di cerotto. Si instillano in una narice alcune gocce di lidocaina al 2% (o proparacaina nel gatto) e si solleva leggermente il naso dell'animale per evitare che colino all'esterno. In pochi minuti si ottiene l'anestesia locale della narice e si può iniziare l'inserimento del catetere. Se l'animale oppone una significativa resistenza, è indicata una lieve sedazione (ad es., con acepromazina [0,01 mg/kg] o diazepam [0,1 mg/kg] associati ad ossimorfone [0,01 mg/kg]). Il catetere viene inserito delicatamente nella narice in direzione ventromediale e fatto avanzare fino al punto contrassegnato in precedenza. Una volta posizionato, viene fatto passare intorno alla piega alare e suturato o incollato su un lato del muso. Per ottenere un posizionamento più 168 sicuro, il punto di fissazione deve essere il più possibile vicino alla giunzione naso-cutanea. L'estremità prossimale del catetere viene poi fissata con del nastro intorno al collo e raccordata al tubo di erogazione dell'ossigeno. Con una velocità di flusso di 1-3 l/min, 100 ml/kg, si ottiene generalmente una concentrazione di ossigeno del 40%. Negli animali molto dispnoici, la cateterizzazione può essere effettuata bilateralmente. Alcuni soggetti possono essere trattati meglio impiegando le cannule nasali per uso umano, che penetrano solo di 1 cm o meno nella cavità nasale. Con questo tipo di sistema si possono raggiungere facilmente concentrazioni di ossigeno nell'aria inspirata del 40-60%. Se il paziente respira a bocca aperta, si possono ottenere valori dell'80-90%. In una ricerca sulla somministrazione nasale di ossigeno ne cane pubblicata recentemente, con velocità di flusso proporzionalmente più elevate si sono raggiunte concentrazioni di ossigeno del 95%. L'autore ha impiegato questa tecnica in più di 500 cani e gatti, del peso variabile fra 300 g e 120 kg, riscontrando una tolleranza eccellente. Nei pazienti che non tollerano il catetere (10-20% stimato) è necessaria una lieve sedazione-tranquillizzazione e/o l'applicazione di un collare di Elisabetta, senza complicazioni. Cannule nasali. In commercio si trovano delle cannule nasali per uso umano che si inseriscono bene all'interno delle vie aeree più rostrali e sono mantenute in posizione dalla trazione esercitata da un elastico passante dietro la testa. Alcuni cani le tollerano bene. I gatti ed altri cani sono troppo piccoli per poterli impiegare. Cateteri rinofaringei. Sono simili ai cateteri nasali e, una volta inseriti, sono tollerati dalla maggior parte dei pazienti. In questo caso, l'estremità del catetere viene fatta progredire fino alla parte più rostrale della faringe. Il loro impiego è consigliato in tutti i casi in cui è indicato il raggiungimento di concentrazioni più elevate e/o di una pressione positiva continua nelle vie aeree, come nel trattamento delle gravi contusioni polmonari. Cateteri rinotracheali. Vengono inseriti nel naso e spinti nella faringe come quelli precedenti, ma invece di arrestarsi a questo livello vengono fatti terminare nella trachea. Nel 50% circa dei casi, semplicemente sollevando la testa dell'animale è possibile introdurre il catetere in laringe e/o in trachea. L'estremità della sonda deve terminare appena cranialmente alla biforcazione tracheale. Per verificare il corretto posizionamento del catetere, si effettua NOTE 169 NOTE un'aspirazione. L'aria deve fluire liberamente. In caso di dubbio, si può ricorrere al controllo radiografico. Si somministra ossigeno, preferibilmente umidificato, alla velocità di 50-75 ml/kg/min. Negli animali che non possono essere cateterizzati "alla cieca", può essere necessaria una certa sedazione per far loro tollerare l'inserimento del laringoscopio. Il catetere viene afferrato a livello della faringe e guidato nella laringe con una pinza di Magill o di altro tipo. Una volta verificatone il corretto posizionamento, il catetere viene infine suturato al naso. Vantaggi: In genere, i cateteri sono facili da posizionare Ben tollerati dalla maggior parte dei cani e dei gatti Il clinico è libero di lavorare sull'animale, valutare il colore delle mucose, portare a termine l'esame clinico ed eseguire i necessari interventi diagnostici e terapeutici L'animale è libero di muoversi entro i limiti della gabbia Svantaggi: Alcuni animali non tollerano l'inserimento di un tubo nasale, rinofaringeo o rinotracheale e sembrano manifestare un significativo disagio, toccandosi il muso con le zampe e sternutendo. Tuttavia, se ciò si verifica, si può attuare una lieve sedazione per migliorare la tollerabilità dei cateteri e ridurre le reazioni. Le concentrazioni di ossigeno inspirate attraverso i cateteri nasali possono non essere abbastanza elevate negli animali gravemente dispnoici, soprattutto in caso di respirazione a bocca aperta. In questo caso, si deve impiegare un collare di Elisabetta chiuso anteriormente da un foglio di plastica, oppure ricorrere alla cateterizzazione rinofaringea o rinotracheale. Sono inutili (e relativamente controindicati) negli animali con lesioni nasali. 4. Ossigenazione transtracheale Per attuare l'ossigenazione transtracheale, si inserisce un catetere in trachea per via transcutanea, insufflando direttamente l'ossigeno nelle vie aeree. Allo scopo, si rasa e prepara chirurgicamente una piccola zona di cute nella parte ventrale del collo, lungo la linea mediana. Si esegue l'anestesia locale con lidocaina. L'introduzione del catetere 170 viene eseguita utilizzando la stessa metodica impiegata per il lavaggio transtracheale. Il tubo viene fissato in posizione mediante collante, suture o nastro, quindi si somministra ossigeno attraverso un sistema che garantisca l'apporto di 50-100 ml/kg. La velocità più bassa consente in genere di ottenere concentrazioni di ossigeno del 40-50%. Con questa tecnica, si possono ottenere nelle vie aeree valori più elevati di quelli consentiti dai cateteri nasali, perché tendono a ridurre la mescolanza con l'aria ambientale inalata. È preferibile impiegare ossigeno umidificato per evitare l'essiccamento della mucosa tracheale. La somministrazione di ossigeno mediante catetere transtracheale è più adatta di quella mediante cateterizzazione nasale nei pazienti con epistassi o anamnesi di lesioni della testa. Può anche servire per un certo periodo come sistema di supporto per alleviare le difficoltà di respirazione nei pazienti con ostruzioni totali o parziali della laringe o del tratto superiore della trachea. Infine, può servire per l'espulsione dei corpi estranei. L'ossigeno immesso in trachea attraverso questo tipo di catetere aumenta la quantità di gas presente nelle vie aeree che, con lo schiacciamento del torace e dell'addome, vengono poste sotto pressione. L'aggiunta di ossigeno, inoltre, lascia più tempo a disposizione per l'eliminazione del corpo estraneo. NOTE Vantaggi: Si evita il passaggio attraverso la cavità nasale, la faringe e la laringe, per cui la tecnica è particolarmente utile per i pazienti con lesioni od ostruzioni in queste regioni Sono anche utili per gli animali con grave collasso tracheale Sono ben tollerati, con l'eccezione di una tosse occasionale Permettono l'apporto costante di ossigeno anche se l'animale si muove Consentono di raggiungere concentrazioni di ossigeno del 100% Svantaggi: È una tecnica invasiva Lo spostamento del catetere può portare all'insufflazione sottocutanea di ossigeno Il catetere può piegarsi in corrispondenza del punto di penetrazione nel collo L'essiccamento delle mucose costituisce un problema. L'ossigeno somministrato deve essere umidificato. 171 NOTE 5. Gabbie ad ossigeno Le gabbie ad ossigeno vengono ormai offerte da molti produttori. Oltre a garantire un'elevata concentrazione di ossigeno inspirato, una buona gabbia di questo tipo deve anche essere predisposta per il controllo della temperatura e dell'umidità interne. Per il trattamento degli animali gravemente dispnoici, deve essere possibile ottenere per brevi periodi di tempo concentrazioni di ossigeno superiori all'80%. Prima di utilizzare queste apparecchiature bisogna tenere conto di un avvertimento. Dal momento che è difficile osservare da vicino gli animali che si trovano al loro interno, esiste il rischio che insorga un'insufficienza respiratoria progressiva senza che sia rilevata. È opinione dell'autore che, proprio per questa ragione, siano da preferire gli altri metodi, come la cateterizzazione nasale e transtracheale, che non comportano il confinamento o l'isolamento dell'animale. Inoltre, i cateteri nasali e transtracheali consentono di effettuare l'ossigenoterapia ad un costo minore e permettono al clinico di eseguire nel contempo altri test diagnostici, come la ripresa di radiografie cervicali e toraciche. Un paziente chiuso in una gabbia ad ossigeno non può essere monitorato in modo efficace. Questi animali sono isolati e, all'apertura della gabbia, vengono esposti ad una rapida caduta del tasso di ossigeno (ad esempio, 40%) dell'atmosfera respirata. Ciò spesso li sottopone a stress notevoli. Vantaggi: Tecnica non invasiva e ben tollerata, soprattutto dal gatto Si possono raggiungere elevate concentrazioni di ossigeno, ma è difficile. Svantaggi: L'animale è chiuso dietro una parete di vetro e non può essere manipolato, esaminato o trattato né dagli infermieri né dal clinico I cani di grossa taglia possono subire un eccessivo aumento della temperatura Le gabbie ad ossigeno sono molto costose ed occupano molto spazio Possono determinare un notevole consumo di ossigeno, perché ogni volta che si apre la porta quello presente al loro interno va perduto e deve essere rimpiazzato. Inoltre, l'improvviso calo del tasso di ossigeno nell'aria respirata può essere molto stressante per l'animale. 172 Occorrono diversi minuti per arrivare a concentrazioni elevate. Per molti tipi di gabbie, è difficile arrivare a concentrazioni elevate. Alcuni animali, trovandosi all'interno di un ambiente di plexiglas, possono spaventarsi. NOTE IL "MOTTO DELL'OSSIGENO". Il motto dell'autore a proposito del trattamento di qualsiasi paziente traumatizzato che presenta segni sistemici secondari alle lesioni riportate (come tachicardia, tachipnea, ansia, depressione, ipertensione, ipotensione, ecc.) è che "L'OSSIGENO È BUONO" e la sua somministrazione è sempre consigliabile. I proprietari che possiedono determinate conoscenze mediche (infermieri, medici, paramedici) sanno che l'ossigenoterapia di un paziente traumatizzato è uno dei fondamenti del trattamento d'urgenza e sono quindi portati a contestare la mancata attuazione di questa misura. Se si sospetta un danno toracico, l'ossigeno è ancora più indicato. INDICAZIONI PER L'USO DELL'OSSIGENO DURANTE IL TRASPORTO. Se è necessario trasferire il paziente ad un centro specializzato, si consiglia caldamente di farlo impiegando un sistema di ossigenazione durante il trasporto con una bombola portatile ed un regolatore, soprattutto se il paziente presenta segni di tipo respiratorio. La mancanza di questo tipo di sostegno può anche essere considerato motivo di contestazione da parte dei proprietari irati con il veterinario, almeno stando alle lamentele registrate. La maggior parte delle filiali locali delle compagnie che producono apparecchiature mediche di sostegno alla respirazione è ben lieta di affittare bombole di ossigeno, erogatori e tubi ai proprietari perché possano trasportare i loro animali in caso di necessità, quando il veterinario non dispone delle apparecchiature necessarie o di un'ambulanza che possa fornire questo servizio. Si consiglia caldamente si suggerire sempre ai proprietari di impiegare l'ossigenoterapia per trasportare fuori dall'ospedale i loro animali se questi presentano qualsiasi segno di interessamento respiratorio. Questa offerta deve sempre essere documentata, trascrivendola nella cartella clinica del paziente, soprattutto quando il cliente non acconsente. 173 33° Congresso SCIVAC MEDICINA D’URGENZA E TERAPIA INTENSIVA NEI PICCOLI ANIMALI MONTECATINI TERME (PT), 21-23 MARZO 1997 Dennis T. Crowe DVM, Diplomate ACVS, ACVECC The Animal Emergency Center & The Veterinary Institute of Trauma, Emergency, and Critical Care Milwaukee, Wisconsin, USA Tecniche per la gestione pratica delle patologie acute e settiche dell’addome Domenica, 23 marzo 1997, ore 14.45 201 NOTE L'addome settico richiede un intervento di rianimazione aggressiva, il ricorso alla chirurgia d'urgenza e la costante attività di un'unità di terapia intensiva per aumentare al massimo le probabilità di sopravvivenza. TRAUMA ADDOMINALE E ADDOME ACUTO LINEE GUIDA DIAGNOSTICHE. In tutti i pazienti con trauma da corpo contundente e trauma acuto che vengono presentati in stato di shock non accompagnato da evidenti emorragie esterne, con grave dolore addominale o con vomito, si deve sospettare fino a prova contraria l'esistenza di un danno addominale e di un'emorragia. L'esame clinico, pur essendo il caposaldo della diagnosi generale, nel 50% dei casi non riesce a determinare l'entità delle lesioni interne negli animali con segni di trauma da corpo contundente o addome acuto. Il mantello della regione addominale va tosato per consentire la visualizzazione della cute ed in particolare di lividi, ferite penetranti o lacerazioni. I pazienti con ernie o ferite penetranti devono essere immediatamente sottoposti a preparazione chirurgica dopo la ripresa di una radiografia toracica. In tutti quelli con traumi da corpo contundente e manifestazioni addominali acute che non devono essere immediatamente operati bisogna effettuare l'esame radiografico del torace e dell'addome in proiezione laterolaterale. Nelle immagini deve essere compresa anche la zona del bacino. Se le radiografie non evidenziano l'esistenza di uno pneumoperitoneo o di altre lesioni che indichino la necessità di un intervento (masse, ernie e notevole perdita di dettaglio), si deve eseguire la paracentesi addominale. Quest'ultima può essere attuata con tre tecniche differenti. Paracentesi addominale mediante ago. È la metodica più vecchia; la ricerca, sia sperimentale che clinica, ha dimostrato che, dal momento che effettua il campionamento attraverso un'unica apertura e che l'ago può essere occluso da molti organi, questa tecnica è molto poco accurata, soprattutto per quanto riguarda la capacità di rilevare lesioni in cui è presente solo una piccola quantità di liquido libero in addome (meno di 10 ml/kg). La vecchia raccomandazione di far sempre seguire la paracentesi negativa da una cateterizzazione addominale o da un lavaggio peritoneale è tuttora valida, confermata da molti studi condotti sia nell'uomo che negli animali. Una paracentesi negativa 202 non dice nulla; non si sa neppure se è stata effettuata con la tecnica aperta (senza collegare una siringa all'ago) o chiusa (con la siringa), se sono stati esaminati quattro quadranti o solo due, se al momento del prelievo l'animale era in stazione o coricato. Paracentesi mediante catetere e lavaggio peritoneale diagnostico. Segnalata per la prima volta in medicina veterinaria da Crowe nel 1975, questa tecnica si è dimostrata dotata di un'accuratezza superiore al 90% per la capacità di rilevare la presenza di gravi danni intraaddominali o peritoniti nel cane e nel gatto. Si introduce nella cavità peritoneale un catetere dotato di più fori, del tipo reperibile in commercio oppure realizzato artigianalmente praticando 35 fori supplementari in un catetere endovenoso da 14 o 15 G con ago interno. In assenza di organomegalia, l'inserimento viene effettuato per via percutanea. Un altro metodo percutaneo di inserimento di un catetere a fori multipli è quello del filo metallico di Seldinger. In primo luogo, dopo aver infiltrato la parte con un anestetico locale, si inserisce un ago ipodermico nella cavità peritoneale, appena a lato della linea mediana. Quindi, si fa passare un filo metallico intrecciato dentro l'ago, che poi viene sfilato. Il flessibile catetere a più fori viene inserito sul filo metallico e spinto in addome. Si toglie il filo e si completa l'inserimento. In commercio si trovano dei kit che facilitano queste operazioni. La tecnica comporta ben poche complicazioni. L'unica controindicazione è il costo dei kit. Se l'animale presenta un'organomegalia o è privo di conoscenza e non può manifestare reazioni di difesa dell'addome, è più sicuro introdurre il catetere con una mini-laparotomia. Questo metodo risulta particolarmente utile nei cani di grossa taglia, in cui per il lavaggio peritoneale diagnostico si utilizza un catetere da dialisi peritoneale. Con una lama da bisturi n. 15 si pratica nella cute, precedentemente preparata ed eventualmente sottoposta ad anestesia locale nei pazienti normalmente vigili, un'incisione da 2 o 3 mm. Con due pinze emostatiche si afferra la fascia esterna del muscolo retto e si pratica una piccola incisione nel mezzo. Si scontinuano anche la fascia interna dello stesso muscolo ed il peritoneo. Quindi, si inserisce un catetere privo di mandrino nella cavità peritoneale, in direzione caudale. Una volta inserito il catetere, si tenta un'aspirazione, Se non si ottiene alcun liquido, si introducono nella cavità, attraverso il catetere, 20 ml/kg di soluzione fisiologica o di Ringer lattato riscaldate e, dopo aver effettuato un delicato NOTE 203 NOTE 204 massaggio addominale, si ripete il prelievo. Per l'analisi sono sufficienti solo pochi ml. In primo luogo si valuta l'aspetto macroscopico. Se non si riescono a vedere le dita attraverso il tubo con cui è stato raccolto il liquido di lavaggio, nella maggior parte dei casi è indicato l'intervento chirurgico. L'opacità è dovuta all'elevata cellularità. Se il liquido ottenuto appare rosso, denotando un emoaddome, se ne deve determinare l'ematocrito. Se si opta per il trattamento conservativo della condizione, il catetere va lasciato in sede. Dopo 10-15 minuti si preleva un altro campione. Se l'ematocrito di quest'ultimo è superiore del 5% a quello del precedente, l'emorragia non si è arrestata ed è indicato l'intervento chirurgico. Il catetere non va rimosso anche nel caso che siano passate meno di 3 ore dall'evento traumatico, ripetendo l'esame più tardi, perché occorrono appunto almeno 3 ore per lo sviluppo della risposta leucocitaria peritoneale. Il riscontro nel liquido di lavaggio di un numero di globuli bianchi superiori a 1.000/cm3 indica una peritonite. Poiché gli elementi raccolti nel liquido di lavaggio sono sospesi in una soluzione fisiologica di NaCl e non in un plasma isoosmotico, la valutazione dei leucociti va effettuata entro 1/2 ora, prima che la crenazione e la distorsione rendano difficile effettuarne un conteggio accurato. Il sedimento, dopo essere stato delicatamente centrifugato, viene posto su un vetrino, colorato con il metodo Diff-QuickR o con la colorazione di Wright e poi esaminato attentamente. Il riscontro di fibre vegetali o leucociti contenenti dei batteri indica una contaminazione ad opera del contenuto gastroenterico ed una peritonite settica. Il fatto che il surnatante del fluido centrifugato risulti positivo al test per la ricerca della bilirubina mediante strisce reattive indica la presenza di bile libera e non che l'animale è itterico. Il riscontro di concentrazioni di azoto ureico e creatinina superiori a quelle sieriche denota un uroaddome. Un altro test chimico potenzialmente utile per la diagnosi delle affezioni endoaddominali è la determinazione dei livelli di amilasi o lipasi, il cui aumento indica un danno o un'infiammazione del pancreas o del tenue. Irrigazione peritoneale diagnostica. L'autore ha utilizzato con molto successo una nuova modificazione della tecnica di lavaggio, l'irrigazione peritoneale diagnostica, che consiste nell'inserire due aghi nella cavità peritoneale, una in ciascun quadrante laterale, con l'animale in decubito sul fianco sinistro. Attraverso una sacca da infusione ed un deflussore raccordato all'ago inserito a destra, si immette nella cavità peritoneale una soluzione riscaldata, fisiologica o di Ringer lattato. L'infusione continua finché il liquido non esce dall'ago del lato opposto. Quest'ultimo non deve essere collegato ad alcun sistema di aspirazione, ma semplicemente lasciato fermo permettendo al fluido di fuoriuscire per gravità. In genere, prima che ciò si verifichi è necessario immettere almeno 10-20 ml/kg di soluzione di irrigazione. Quando il liquido inizia a gocciolare con caratteristiche di aspetto e di colore costanti, se ne raccoglie un campione, sempre per gravità, in una provetta con EDTA e lo si invia all'analisi. Sia nel caso del lavaggio che dell'irrigazione peritoneale diagnostica, il campione da sottoporre ad esame citologico va centrifugato per ottenere il sedimento da porre su un vetrino e colorare entro 1/2 ora dalla raccolta. In caso contrario, le cellule iniziano a disgregarsi. Il vantaggio dell'irrigazione peritoneale diagnostica è che richiede solo l'inserimento degli aghi ed è di facile esecuzione. Lo svantaggio è che, a differenza del lavaggio peritoneale diagnostico, non consente una quantificazione accurata e non si può essere certi di avere effettuato l'irrigazione dell'intero cavo peritoneale. Gli aghi non possono essere lasciati in sede. Se è necessario prelevare un altro campione, bisogna ripetere l'intera metodica. Con entrambe le tecniche, il liquido lasciato in cavità peritoneale viene in genere rapidamente assorbito nel volgere di poche ore. Altri metodi di diagnosi. Gli altri metodi diagnostici utili per stabilire l'entità dei danni intraaddominali o la necessità di intervenire chirurgicamente in caso di addome acuto, oltre ad esame clinico, anamnesi, radiografie, analisi di laboratorio e paracentesi/lavaggio peritoneale, sono la ripresa di immagini radiografiche con mezzo di contrasto (come l'urografia discendente), l'ecografia addominale, la laparoscopia e la tomografia computerizzata (TC). Tutti presentano vantaggi e svantaggi. Gli esami contrastografici sono eccellenti per definire mediante urografia discendente o uretrocistografia particolari lesioni come l'avulsione di un uretere o la rottura della vescica. L'ecografia, pur essendo un metodo pratico e dai costi sempre più accessibili, richiede un'apposita preparazione per interpretare accuratamente i quadri riscontrati. Gli svantaggi più evidenti della laparoscopia e della TC sono 1) in genere, la scarsa disponibilità, 2) il tempo richiesto dalla loro esecuzione, 3) l'esperienza occorrente per interpretare correttamente i risultati ottenuti e 4) il costo, che attualmente si aggira su NOTE 205 NOTE 206 diverse centinaia di dollari. Inoltre, entrambe richiedono una lieve anestesia generale. Laparotomia esplorativa. Il "test" diagnostico definitivo è l'esplorazione della cavità addominale attraverso un'ampia breccia aperta lungo la linea mediana dalla cartilagine xifoidea al pube. È indicata nei casi in cui persistono i segni dell'addome acuto (vomito, dolore), o quando una qualsiasi delle indagini di laboratorio, radiografiche o collaterali fornisce esito positivo. Anche il riscontro di risultati poco chiari in un paziente che "non va", non mangia, occasionalmente vomita ed è stato investito da un'automobile 3 giorni prima ed ora sembra molto depresso e presenta una dolorabilità addominale di lieve entità può essere un buon esempio di un caso in cui la laparotomia esplorativa può essere utile. Le complicazioni di un "intervento con esito negativo" sono molto scarse, mentre quelle derivanti dal mancato rilevamento di una lesione addominale di interesse chirurgico possono essere catastrofiche. Quindi, nei casi dubbi l'esplorazione è sempre consigliata. Monitoraggio. Pressione arteriosa, tempo di riempimento delle vene giugulari, pressione venosa centrale, tempo di riempimento capillare, confronto fra temperatura interdigitale ed interna, stato del sensorio, ematocrito, solidi totali, glicemia e produzione di urina vengono utilizzati, complessivamente, per valutare come il paziente risponde ad una terapia antishock. Se la paracentesi o il lavaggio o l'irrigazione peritoneali hanno evidenziato la presenza di sangue, si può lasciare in sede il catetere, per ripetere il prelievo più tardi, secondo le modalità precedentemente descritte. È molto importante monitorare la pressione arteriosa direttamente o indirettamente (doppler od oscillometria). Un'eventuale ipertensione va immediatamente trattata con narcotici o atarattici, dal momento che è stato dimostrato che l'eccessivo aumento pressorio causato dal successo della terapia antishock con il ripristino volumetrico e dal dolore può portare ad un ulteriore emorragia addominale o toracica non controllata. È anche importante monitorare il tempo di coagulazione attivata e quello di emorragia ed effettuare una stima delle piastrine. Le coagulopatie da diluizione o indotte dal trauma possono essere un problema nei pazienti con emoaddome, soprattutto in presenza di gravi lesioni da schiacciamento del fegato, dal momento che molti di questi animali muoiono se non viene effettuata una terapia aggressiva mediante infusione di sangue fresco ed eventualmente piastrine concentrate e plasma fresco congelato. Analgesici ed atarattici. Il trattamento conservativo dell'emoaddome dipende dall'entità dell'emorragia che si è verificata. Gli animali in cui l'ematocrito del lavaggio peritoneale risulta inferiore al 5% possono spesso essere trattati semplicemente con farmaci che contribuiscono a tenerli calmi e ad impedire loro di sentire dolore e, di conseguenza, sviluppare un'ipertensione, che indurrebbe un ulteriore sanguinamento non controllato. Si deve monitorare frequentemente la pressione ematica. Si somministrano analgesici e piccole dosi di diazepam, o anche dosi molto ridotte di tranquillanti fenotiazinici, allo scopo di trattare ogni significativo aumento della pressione arteriosa (sistolica > 130-140 mm Hg, diastolica > 80-90 mm Hg). Nella maggior parte dei casi, gli analgesici sono i soli farmaci necessari. Il trattamento d'elezione dell'autore è l'iniezione endovenosa di butorfanolo (0,1-0,2 mg/kg) fino all'effetto desiderato. Successivamente, se questo non si ottiene, si iniettano per via endovenosa diazepam o midazolam (0,050,1 mg/kg). La pressione sanguigna deve normalizzarsi attestandosi su valori leggermente al di sotto o al di sopra della norma e stabilizzarsi. Gli animali devono anche apparire maggiormente a loro agio. Contropressione esterna. Se un animale sembra presentare distensione addominale, grave stato di shock, deterioramento dei segni vitali, ematocrito del lavaggio peritoneale pari al 5% o più o altri segni indicativi di un'emorragia moderata o continua, si deve ricorrere alla contropressione esterna. In primo luogo, bisogna effettuare un rapido esame del torace ed una toracentesi, per escludere un'emorragia toracica o la presenza di difficoltà respiratorie, che costituiscono una relativa controindicazione a questa tecnica. La contropressione esterna, applicata agli arti pelvici ed alla parte caudale dell'addome, può risultare molto efficace per rallentare o arrestare le emorragie nelle zone interessate, comprese quelle a carico dei grossi vasi come l'aorta addominale o la vena cava caudale. In caso di shock molto grave, la contropressione può anche determinare un aumento temporaneo della pressione sistemica (sia arteriosa che venosa centrale), perché il flusso ematico viene preferenzialmente deviato verso il circolo centrale e cerebrale. La tecnica può anche servire ad immobilizzare eventuali fratture pelviche e femorali, arrestando le emorragie ad esse associate. La contropressione funziona perché esercita una forza esterna sui vasi ai quali viene applicata, riducendone il NOTE 207 NOTE 208 diametro (raggio). Ciò comporta anche una riduzione del flusso attraverso questi vasi, ma di entità notevolmente superiore, per la legge fisiologica secondo la quale Q (flusso) = P (pressione) x R (raggio dei vasi) alla QUARTA POTENZA/L (lunghezza) [Q = P x R4/L]. Il flusso viene quindi deviato in modo significativo dai vasi sottoposti alla contropressione. La resistenza vascolare sistemica aumenta significativamente e la pressione arteriosa nelle zone non soggette alla contropressione si innalza proporzionalmente. Poiché anche la pressione venosa centrale subisce un aumento temporaneo, le vene periferiche risultano più facili da individuare e cateterizzare. Si tratta di un fatto importante ai fini dell'introduzione in una vena di un catetere di grosso calibro per un rapido ripristino del volume vascolare. Il recupero vascolare centrale è anche accentuato dalla contropressione perché sotto l'influenza di quest'ultima il sangue precedentemente situato nelle vene e nelle venule viene spinto nella circolazione centrale. Anche se questa forma di "autotrasfusione" non è considerata da certi ricercatori importante come l'aumento delle resistenze periferiche, è opinione dell'autore, sulla base dei risultati preliminari di indagini cliniche e sperimentali in cani sottoposti a gravi emorragie, che questa "autotrasfusione" venosa divenga sempre più importante nei pazienti con la perdita del tono vasomotorio, che si verifica nello shock grave. Un altro metodo di ripristino del volume vascolare potenzialmente associato all'impiego della contropressione esterna è l'incremento dello spostamento dei liquidi interstiziali nel sistema vascolare sotto l'influenza della crescente pressione perivascolare tissutale. La contropressione viene esercitata mediante appositi "pantaloni" pneumatici antishock reperibili in commercio, oppure avvolgendo intorno agli arti (iniziando dalle punte delle dita), al bacino ed alla parte caudale dell'addome dei teli sui quali si applica poi del nastro o una fascia elastica. Nel primo caso, il paziente viene semplicemente introdotto nei "pantaloni", formati da diverse camere insufflabili che avvolgono completamente gli arti posteriori, il bacino e la parte caudale dell'addome, arrivando appena dietro la gabbia costale. Dopo averne verificato la corretta applicazione, si gonfiano le camere, iniziando da quella più caudale e distale fino ad ottenere un'evidente distensione. Si passa poi alla camera successiva e così via fino alla normalizzazione della pressione del paziente o all'insufflazione di tutte le camere. Secondo l'esperienza dell'autore, quest'ulti- ma evenienza (insufflazione completa) si ha in caso di emorragie catastrofiche. Al momento di gonfiare le camere addominali, è necessario verificare che il paziente stia respirando mediante ventilazione a pressione positiva (che nella maggior parte dei casi è comunque richiesta nei soggetti in grave stato di shock; tuttavia, la verifica è indispensabile perché la contropressione addominale riduce la compliance e di conseguenza il volume tidalico nella ventilazione spontanea). L'operazione è anche particolarmente importante nei pazienti con ernia diaframmatica o pneumotorace, che possono essere anch'essi colpiti da una compromissione respiratoria che viene aggravata dalla contropressione e può avere esito fatale se non si offre al paziente un aggressivo sostegno della ventilazione. Il bendaggio mediante teli sui quali si avvolgono nastri o fasce elastiche deve iniziare dalle estremità più distali e procedere con un andamento a spirale. È importante che le fasce non siano troppo strette. Se si dispone di un o sfigmomanometro con bracciale insufflabile, è possibile servirsene per determinare l'entità della pressione applicata. Il bracciale viene parzialmente gonfiato e appoggiato sull'addome a livello della linea mediana. Quindi, si applicano i teli avvolgendo anche il bracciale, ma tenendo fuori lo sfigmomanometro, in modo da potervi leggere i valori pressori riscontrati. Si avvolge un secondo telo intorno all'addome, stringendolo abbastanza da portare la pressione a circa 40-60 mm Hg. Se si osserva una compromissione respiratoria, la pressione va ridotta. Il nastro o la fascia elastica vengono quindi utilizzati per immobilizzare i teli mantenendo la pressione prescelta. In una serie di 30 casi di grave shock emorragico studiati dall'autore, 20 risposero facendo rilevare un aumento del livello di coscienza, che anzi per alcuni divenne totale, mentre al momento del ricovero mancava del tutto. In tutti i casi in cui la frequenza cardiaca non era gravemente ridotta o assente, si è osservato un aumento della pressione sanguigna. In diversi casi, al momento del ricovero non era presente un polso palpabile. Dopo l'applicazione e l'insufflazione dei pantaloni pneumatici, questo è invece ricomparso. Risultati analoghi sono stati descritti in seguito all'impiego della stessa tecnica in pazienti umani con shock ipovolemici catastrofici. Il risultato è stato così notevole nella rianimazione dei soggetti traumatizzati, che un autore ha recentemente affermato che "lo sviluppo di questa tecnica (la contropressione esterna) è tanto importante NOTE 209 NOTE 210 per il sostegno circolatorio dei pazienti traumatizzati quanto quello della respirazione bocca-a-bocca lo è stato per il trattamento dell'arresto cardiopolmonare". I sistemi di contropressione, una volta posizionati ed attivati in modo da esercitare una pressione sull'addome, devono restare in sede fino al ripristino del volume vascolare. Se anche dopo tale ripristino i segni vitali restano instabili ed il paziente continua a manifestare un grave stato di shock, significa che l'emorragia è ancora in atto ed è necessario intervenire chirurgicamente. In questi animali la contropressione deve perdurare fino al momento immediatamente precedente l'inizio dell'intervento. In questi casi la rimozione va attuata rapidamente, effettuando una preparazione molto celere del campo operatorio tenendo una mano al di sopra dell'area dell'emorragia interna ed accedendo rapidamente alla parte interessata. In tutti gli altri casi (che, fortunatamente, sono la maggioranza), con la contropressione e l'infusione di soluzioni bilanciate i segni vitali si stabilizzano. Ottenuta la normalizzazione di tutti i parametri vitali, compresa la pressione sanguigna e la forza del polso, che devono risultare nella norma o di poco superiori, la contropressione può essere rimossa, monitorando la pressione sanguigna e la frequenza cardiaca. Se si sono utilizzati i sistemi pneumatici, è sufficiente lasciare uscire una certa quantità di aria ad intervalli di alcuni minuti, verificando che la pressione del paziente non diminuisca di più di 5 mm Hg fino alla completa evacuazione. Il bendaggio compressivo va rimosso anch'esso gradualmente, tagliandolo o allentandolo iniziando dal margine più craniale. Anche in questo caso, se la pressione si riduce di più di 5 mm Hg si deve interrompere l'operazione ed iniziare l'infusione di un ulteriore volume di fluidi fino a riportare alla normalità i valori pressori. La rapida eliminazione della contropressione, in particolare dopo uno shock associato a lesioni gravi, può causare una catastrofica ipotensione secondaria al significativo calo della resistenza vascolare sistemica. Rapida rianimazione volumetrica. La contropressione viene applicata inizialmente in pazienti con pressione (arteriosa e venosa) bassa. Essa contribuisce a distendere le vene e favorirne la cateterizzazione. Inoltre, favorisce il controllo delle emorragie PRIMA di effettuare il ripristino del volume ematico che, altrimenti, non farebbe che aggravarle. Una volta applicata la contropressione, il che non dovrebbe richiedere più di qualche minuto, ci si deve dedicare a ripristinare nel modo più rapido possibile il volume ematico circolante. I dati che indicano la possibilità di ritornare ad un volume ematico più che adeguato sono la normalizzazione o il lieve aumento della pressione sanguigna, il leggero incremento della pressione venosa centrale, il ritorno alla normalità del colore delle mucose e del tempo di riempimento capillare e la ricomparsa della coscienza e della reattività. Come regola empirica, la fluidoterapia per il ripristino del volume di liquidi deve essere abbastanza rapida da riportare la pressione arteriosa sistemica ad un valore minimo accettabile (80 mm Hg) e quella venosa centrale leggermente al di sopra della norma (2 cm di H2O) entro 15 minuti al massimo. Accesso al sistema vascolare e somministrazione di fluidi. Si deve inserire in un vaso, preferibilmente situato cranialmente al diaframma, almeno un catetere di grosso calibro. Nei pazienti molto piccoli in cui la cateterizzazione endovenosa risulta difficile, si può anche impiegare una cannula intraossea. Verranno brevemente descritte le modalità di accesso al sistema vascolare. Cateterizzazione di vene periferiche. Nella maggior parte dei pazienti, l'accesso alla vascolarizzazione si ottiene introducendo in almeno una vena cefalica un catetere di grosso calibro (14 G nei cani di media e grossa taglia, 1820 G in quelli molto piccoli e nei gatti). Se possibile, è meglio cateterizzare entrambe le vene cefaliche, in modo da poter infondere contemporaneamente sangue e fluidi cranialmente al diaframma. Cateterizzazione delle vene centrali. Nei pazienti con ipotensione molto grave secondaria alla perdita di sangue, è ancora meglio accedere al sistema venoso centrale attraverso un catetere di calibro molto grande o una sonda da alimentazione. Quest'ultima è da preferire ai rigidi cateteri in polietilene. Se ne può introdurre una di diametro adeguato (10 French nei di taglia molto grande e 3,5 French in quelli molto piccoli e nei gatti) nella vena mascellare, attraverso la rapida esposizione chirurgica del vaso. Anche la vena giugulare è facilmente accessibile e può essere agevolmente incannulata in molti pazienti di grossa taglia servendosi di un ago da 14 G nel quale viene inserita una sonda da alimentazione da 5 Fr. Si possono anche utilizzare dei cateteri disponibili in commercio. Inserendo un catetere nella vena mascellare o in quella giugulare e facendolo avanzare fino a portarne l'estremità NOTE 211 NOTE 212 nella vena cava craniale è possibile somministrare sostanze ed effettuare un monitoraggio intermittente della pressione. Un catetere di queste dimensioni permette di valutare rapidamente la pressione venosa centrale semplicemente abbassando la sacca contenente il liquido che viene infuso e notando quando questo cessa di fluire nella camera di gocciolamento del deflussore. Si tratta di un dato utile per stabilire la quantità di fluidi e/o sangue che occorre rimpiazzare. L'infusione deve essere rapida fino a che la pressione venosa centrale non sale leggermente al di sopra dei valori normali. Somministrazione intraossea. Il ripristino del volume ematico può essere attuato anche attraverso uno o due aghi intraossei di grosso calibro inseriti nel canale midollare dell'omero, del femore o eventualmente della tibia attraverso cannule (aghi da biopsia midollare o aghi spinali) conficcati, rispettivamente, nel tubercolo maggiore, nella fossa trocanterica e nel plateau tibiale. La maggior parte dei farmaci e dei prodotti biologici che può venire infusa in vena può essere somministrata anche per via intraossea, con un assorbimento molto rapido. In una segnalazione, quest'ultimo era anzi superiore utilizzando la via intraossea (femore) piuttosto che quella endovenosa (vena cefalica). Secondo l'esperienza dell'autore, il volume che si può infondere nell'osso è generalmente limitato ed inferiore a quello ottenibile con un catetere di calibro analogo inserito in una vena. Piccole quantità di sangue sono state somministrate attraverso la cresta iliaca senza complicazioni. Nei pazienti molto piccoli, la via intraossea, per la facilità di inserimento delle cannule, è spesso preferita a quella endovenosa, dal momento che in questi animali, soprattutto se sotto shock, la cateterizzazione venosa è molto difficile. Ripristino del volume ematico mediante cristalloidi, colloidi e sangue. In generale, il primo liquido da infondere è una soluzione elettrolitica poliionica bilanciata come quella di Ringer lattato, e di solito è necessario almeno 1 volume ematico (90 ml/kg nel cane, 55 ml/kg nel gatto). Nei pazienti in cui risulta evidente una grave perdita, il metodo ideale per ripristinare rapidamente la perdita ematica consiste nel ricorrere a trasfusioni di sangue intero, autotrasfusioni di sangue raccolto dalla cavità toracica o addominale o somministrazioni di plasma/colloidi sintetici ed emazie concentrate. Contrariamente a quanto è scritto in alcuni trattati di terapia d'urgenza, l'autore crede fermamente nell'infusione rapida e sino ad effetto di sangue, plasma o soluzioni colloidali (c.d. plasma expanders) nei pazienti con gravi traumi ed emorragie in atto. Questi fluidi sono significativamente migliori dei cristalloidi. Nei pazienti trattati dall'autore, non si sono verificati problemi da ipertrasfusione o reazioni allergiche. La stessa linea di condotta viene raccomandata ed attuata nei pazienti umani colpiti da gravi emorragie acute. Anche le preoccupazioni relative alla funzionalità piastrinica ed allo sviluppo di coagulopatie utilizzando destrano o amido eterificato come sostituti del plasma non hanno mai costituito un problema nell'esperienza dell'autore, finché la quantità totale somministrata non supera il 50% del normale volume plasmatico del paziente. In alternativa, recentemente si è dimostrato molto efficace nel trattamento dello shock ipovolemico indotto dalla perdita di sangue l'impiego di soluzione ipertonica di NaCl (7,5%) e destrano 70 (6%) (HSDS). L'infusione di questa soluzione determina, grazie alla sua ipertonicità, un richiamo molto rapido ed efficace del liquido interstiziale nella circolazione. È stato anche osservato sperimentalmente che la soluzione agisce in un certo modo, forse attraverso alcuni osmocettori che innescano ed inviano segnali neurologici al sistema cardiovascolare, per stimolare un aumento diretto della risposta cardiovascolare e, di conseguenza, della gittata cardiaca. La terapia mediante infusione di soluzione ipertonica di NaCl (7,5%) e destrano 70 (6%) ha il vantaggio di richiedere solo l'infusione di 5 ml/kg, che corrispondono ad un volume ematico di soluzione di Ringer lattato (90 ml/kg). Poiché la quantità occorrente è relativamente piccola, l'infusione di questa soluzione può essere effettuata molto rapidamente rispetto a quella della soluzione di Ringer lattato o di altri fluidi isotonici, ottenendo sempre la stessa risposta iniziale. Sempre a causa della ridotta quantità necessaria, la soluzione ipertonica può essere impiegata anche per via intraossea (nel canale midollare dell'omero o del femore). L'aggiunta di destrano (o di qualche altro colloide di sintesi, come l'amido eterificato) alla soluzione ipertonica di NaCl è importante per trattenere nel comparto vascolare i fluidi provenienti dalo spazio interstiziale. Altrimenti, il fluido inizierebbe a lasciare nuovamente i vasi subito dopo la normalizzazione dell'osmolalità plasmatica, che di solito avviene entro 30-45 minuti. È stato dimostrato che il benefico effetto della soluzione ipertonica di NaCl da sola NOTE 213 NOTE 214 (senza l'aggiunta di colloidi) non dura più di un'ora, mentre con i collodi, e soprattutto con la loro somministrazione continua, in studi sperimentali effettuati nel cane è stata rilevata una prolungata espansione del volume vascolare, della durata di 2-5 giorni a seconda del colloide. Ciò è in contrasto con le caratteristiche della soluzione di Ringer lattato che, secondo alcuni autori, entro la prima ora dall'infusione abbandona il circolo in misura pari al 75%, passando negli spazi interstiziali. È importante ricordare, quindi, che questa soluzione NON è un autentico plasma expander, ma piuttosto un fluido capace di espandere il volume interstiziale. L'iperespansione dello spazio interstiziale è stata recentemente riconosciuta come uno dei principali problemi nella rianimazione dei pazienti traumatizzati trattati con soli cristalloidi in presenza di una perdita ematica acuta stimata superiore al 30% del volume ematico normale. I cristalloidi possono essere utilizzati da soli quando non ci sono altre scelte (colloidi/sangue), ma al prezzo di un edema interstiziale. Quest'ultimo viene tollerato da molti pazienti traumatizzati, ma è stato anche dimostrato che aumenta la morbilità e la mortalità in quelli con lesioni craniche e polmonari. Quindi, soprattutto in questi casi, per il ripristino del volume ematico sono indicati il sangue e i colloidi. Altre possibili modalità di trattamento. Anche se le modalità di trattamento dello shock traumatico e delle emorragie addominali precedentemente delineate costituiscono il fondamento della terapia, esistono altre possibilità. Ciò vale particolarmente quando il proprietario non ha le disponibilità economiche per sostenere le spese di un intervento chirurgico e quindi si ha uno shock prolungato. Per contribuire a rallentare o arrestare l'emorragia è possibile manipolare farmacologicamente la pressione sanguigna con la somministrazione di vasodilatatori. Il dolore va trattato con analgesici, soprattutto narcotici, che contribuiscono anche a mantenere una "minima ipotensione" ad un valore medio di 70 mm Hg nell'animale adulto. L'acepromazina per via endovenosa in piccole dosi (0,020,07 mg/kg) è risultata efficace per contribuire alla sedazione ed al mantenimento della prevenzione dell'ipertensione. Poiché la perfusione dei tessuti periferici non è buona, si può prendere in considerazione anche l'uso di sostanze che blocchino la produzione di superossidi e ne favoriscano l'eliminazione. Si può anche provare ad utiliz- zare altri agenti volti a sostenere il metabolismo cellulare. La contropressione, applicata sulle regioni dell'addome e del bacino, viene mantenuta a 40 mm Hg per 24 ore e poi gradualmente diminuita fino ad eliminarla. In seguito alla sua scomparsa è prevedibile un certo danno da riperfusione, per cui si può prendere in considerazione l'impiego di altri protocolli farmacologici sperimentali volti a ridurre al minimo questo fenomeno. Rientra in questa categoria l'uso di mannitolo, vitamina C ed E, calcio-bloccanti ed allopurinolo. Controllo chirurgico delle emorragie addominali. Nei pazienti con emorragie addominali catastrofiche, privi ci conoscenza e con segni vitali molto scarsi, si devono effettuare in primo luogo l'apertura del torace ed il clampaggio dell'aorta, prima ancora di procedere all'apertura dell'addome. L'autore raccomanda anche di eseguire sul diaframma una sutura a borsa di tabacco praticandovi poi al centro un'apertura attraverso la quale si inserisce in cavità addominale l'estremità di un aspiratore, in modo da raccogliere il sangue presente in un contenitore (per destinarlo eventualmente all'autotrasfusione) durante la tosatura e preparazione chirurgica dell'addome. Se il clampaggio aortico non viene eseguito, all'apertura dell'addome il sangue ed i liquidi presenti nella cavità distesa fuoriescono rapidamente, causando un precipitoso crollo della pressione sistemica. I pazienti con emorragia addominale continua che non hanno perso conoscenza richiedono una laparotomia d'urgenza, che deve essere effettuata in un modo particolare per ridurre al minimo la caduta pressoria e la potenziale perdita ematica al momento della rimozione della contropressione e dell'apertura dell'addome. Questi inconvenienti possono essere ridotti al minimo effettuando rapidamente le operazioni di rasatura e preparazione della parte, tenendo una mano sull'addome del paziente durante l'intero processo ed eseguendo l'incisione addominale in modo che, inizialmente, sia appena sufficiente ad introdurre una mano nella cavità ed occludere il tratto prossimale dell'aorta addominale. Allo scopo, le dita vanno appoggiate cranialmente all'origine dell'arteria celiaca, localizzabile individuando mediante palpazione il rene sinistro, poi la surrene e poi premendo lungo la linea mediana appena cranialmente a questa zona. È anche possibile trovare con le dita il pilastro del diaframma e servirsene per localizzare l'aorta addominale. Negli stati di grave ipotensione, il vaso di per sé non è palpabile. In seguito all'occlusione digitale, si NOTE 215 NOTE ottiene un significativo miglioramento della perfusione del cuore, dell'encefalo e delle altre strutture poste cranialmente all'occlusione. Questa variazione è documentabile con un misuratore di flusso Doppler. Le gravi emorragie arteriose situate distalmente alla sede della compressione vengono temporaneamente controllate. Poiché l'occlusione aortica non arresta i gravi sanguinamenti venosi, si deve tamponare l'addome zaffandovi teli o tamponi da laparotomia. In questo modo si ottiene il controllo temporaneo delle emorragie venose. L'incisione dell'addome viene quindi ampliata dal processo xifoideo al pube. I tamponi vengono scostati quanto basta per visualizzare il punto di compressione dell'aorta. Con un paio di pinze curve si pratica un'apertura nella fascia paraaortica e si afferra l'estremità di un nastro o di una sonda da alimentazione da 3,5-8 Fr. in modo da formare un'ansa che viene poi stretta intorno all'aorta con una pinza emostatica. A questo punto, si rimuovono i tamponi e si effettuano l'aspirazione e l'ispezione dell'addome, quadrante per quadrante, alla ricerca dell'origine dell'emorragia. L'occlusione aortica viene allentata periodicamente, al termine dell'ispezione di ogni quadrante, dopo aver prima escluso l'esistenza di un grave sanguinamento venoso. Ogni lesione emorragica riscontrata viene temporaneamente controllata con un metodo di occlusione vascolare simile a quello impiegato per l'aorta, ma attuando la chiusura in modo più energ ico; ad esempio, in caso di riscontro di una grave emorragia della milza, avvolgendo la sonda da alimentazione intorno al peduncolo splenico e stringendola. Secondo l'esperienza dell'autore e di altri, se le gravi emorragie addominali non vengono affrontate con questo metodo spesso i pazienti muoiono prima che si riesca ad individuare e controllare l'origine del problema. ERNIA DIAFRAMMATICA Si tratta di una conseguenza comune dei traumi da corpo contundente toracici ed addominali ed è dovuta ad un improvviso e significativo aumento della pressione endoaddominale, che può portare alla rotura del diaframma a destra o a sinistra dei segmenti muscolari. Le forze tangenziali possono anche causare la separazione del diaframma dalla parete toracica. Le lacerazioni che mettono in comunicazione torace e addome possono variare da una 216 lunghezza di pochi centimetri alla completa avulsione, con conseguente ernia del contenuto addominale nel torace. Occasionalmente, le lacerazioni possono interessare lo iato della vena cava, la vena stessa o i suoi principali vasi tributari diaframmatici. Anche le ferite penetranti coinvolgono spesso il diaframma. Quelle causate dalle zuffe fra cani e dagli impalamenti in genere interessano più organi addominali. NOTE DIAGNOSI. Il sospetto di ernia diaframmatica va preso in considerazione in tutti i pazienti che hanno riportato traumi da corpo contundente e va escluso con l'esame radiografico del torace. Il riscontro di visceri addominali (sia solidi che cavi) all'interno della cavità toracica o la loro mancata visualizzazione in addome confermano la diagnosi. In seguito ad un trauma, possono essere presenti delle lacerazioni diaframmatiche non accompagnate da spostamento di visceri, per cui le radiografie del torace risultano quasi normali. Quindi, i proprietari vanno informati del fatto che non è possibile escludere totalmente l'eventualità di un danno del diaframma solo in base ad una valutazione radiografica iniziale. Segni clinici. La gravità dei segni clinici varia da un lieve aumento della frequenza respiratoria ad una grave dispnea, in relazione all'entità della raccolta di liquido pleurico o sangue, alla gravità delle contusioni polmonari ed al volume ed al tipo degli organi erniati ed intrappolati nello spazio pleurico. In rari casi, nel corso dell'auscultazione del torace è possibile udire i suoni delle contrazioni gastriche o intestinali. Altri riscontri diagnostici. In alcuni casi, in cui le radiografie iniziali non fornivano indicazioni definitive, è stato possibile giungere alla diagnosi in base al riscontro in cavità toracica, mediante toracentesi, di un fluido con le caratteristiche di quello prelevabile con la paracentesi addominale. In 4 casi di lacerazione diaframmatica è stato impiegato il lavaggio peritoneale diagnostico, riscontrando il liquido nello spazio pleurico immediatamente dopo l'infusione in addome. A fini diagnostici è stata utilizzata anche la ripresa di immagini radiografiche dopo l'infusione in addome di un mezzo di contrasto negativo (CO2), ossido di azoto) o positivo (composti iodati sterili). Infine, la condizione viene rilevata nel corso delle laparotomie o toracotomie esplorative eseguite nei soggetti traumatizzati. 217 NOTE 218 TRATTAMENTO. Tutti i casi, ad eccezione di quelli più cronici che non mostrano alcun segno di compromissione respiratoria, richiedono un intervento chirurgico riparativo (laparotomia esplorativa, riposizionamento del contenuto intestinale e chiusura del diaframma). La maggior parte dei casi non è così grave da richiedere l'immediato ricorso ad intubazione, ventilazione e trattamento chirurgico. Tuttavia, nell'attesa è sempre consigliabile attuare i comuni interventi di supporto, come la somministrazione di ossigeno attraverso un catetere nasale e la fluidoterapia endovenosa. Se lo stomaco del paziente è passato in cavità toracica, è bene introdurre una sonda rinogastrica attraverso la quale effettuare periodicamente delle aspirazioni, per prevenire la distensione dell'organo. Prima dell'intervento, il paziente va tenuto sotto costante osservazione per rilevare un eventuale aumento dello sforzo respiratorio. Se ciò si verifica, è necessario intervenire immediatamente con la chirurgia d'urgenza. Se non è possibile tenere l'animale sotto stretta osservazione, l'operazione va eseguita prima che il soggetto resti senza controllo. Anestesia e ventilazione. Nei pazienti traumatizzati in condizioni instabili, bisogna cercare di utilizzare gli anestetici che danneggiano meno il sistema cardiovascolare. Gli agenti comunemente associati a depressione cardiaca, aritmie e dipotensione sono rappresentati da barbiturici, isofluorano, alotano e propofolo. L'autore consiglia per l'induzione dell'anestesia nei pazienti sotto shock l'uso di ossimorfone, ketamina o etomidato, da soli o in associazione con il diazepam. L'isofluorano, pur potendo essere utilizzato per il mantenimento dell'anestesia in caso di necessità, spesso deve essere associato all'infusione endovenosa costante di dopamina (2-10 µg/kg/min) per contrastare la vasodilatazione che induce. Bisogna monitorare la pressione sanguigna per identificare e trattare correttamente l'ipotensione da anestetici. Nei pazienti in condizioni di grave compromissione, si può prendere in considerazione l'impiego degli agenti di blocco neuromuscolare (succinilcolina cloridrato, 0,1 mg/kg), in animali già sedati (diazepam 0,1 mg/kg, con ossimorfone 0,05-0,1 mg/kg) per l'intubazione ed il controllo iniziale delle vie aeree. Bisogna cercare di mantenere costantemente l'animale al livello più superficiale di anestesia, riducendo al minimo la depressione cardiovascolare. Il mantenimento può essere attuato con dosi alterne di diazepam e ketamina, anestesia bilanciata con un miorilassante cone il bromuro di pancuronio, ossimorfone e diazepam, o una combinazione di questi agenti con l'isofluorano. Una volta effettuata l'intubazione del paziente ed ottenuto il controllo delle vie aeree, si deve iniziare immediatamente la ventilazione manuale. L'anestesista deve cercare di fornire all'animale ad ogni respirazione un volume tidalico abbastanza normale, pari a circa 10-15 ml/kg, iniziando con una frequenza respiratoria di 15-20 atti/minuto. In un animale con polmoni normali, questo volume tidalico porta ad ottenere nelle vie aeree pressioni massime di 1015 mm Hg. In quelli in cui i polmoni sono irrigiditi in seguito ad una contusione o che sono colpiti da affezioni dello spazio pleurico come l'ernia diaframmatica, può essere necessario raggiungere valori pressori più elevati per ottenere un'insufflazione adeguata. Non ci si deve preoccupare, se necessario, di ventilare i polmoni a pressioni di 30-40 mm Hg ed è possibile servirsi dell'entità del movimento della parete toracica ad ogni respiro per valutare l'adeguatezza della ventilazione. Se i polmoni sono molto rigidi, si deve prendere in considerazione come possibile alternativa la ventilazione ad alta frequenza. Ciò comporta una ventilazione a frequenze respiratorie molto elevate (60-90/min) con volumi tidalici molto inferiori alla norma (2-5 ml/kg). Periodicamente, si effettua una ventilazione più convenzionale per contrastare l'atelettasia. La ventilazione ad alta frequenza può essere l'approccio più adatto per ridurre al minimo la pressione massima nelle vie aeree ed il barotrauma, a condizioni che l'ossigenazione e lo scambio di CO2 siano adeguati. Se sono disponibili, è possibile impiegare mezzi di valutazione come l'ossimetria del polso o la capnografia tele-tidalica per raccogliere in modo non invasivo delle informazioni sull'efficacia dell'ossigenazione e della ventilazione. L'analisi dei gas ematici è ovviamente il parametro di riferimento da questo punto di vista e, anche se molti clinici non ne dispongono ancora, è possibile stipulare degli accordi con il laboratorio di un ospedale umano per far eseguire questo tipo di esame, oppure impiegare i nuovi strumenti manuali. Anche in assenza di questi mezzi, tuttavia, è possibile ottenere dei dati clinici utili per valutare l'efficacia dell'ossigenazione e della ventilazione. Quando l'animale viene mantenuto su un piano di anestesia abbastanza superficiale, lo sforzo respiratorio diviene evidente se la PaCO 2 supera il valore di 50 mm Hg. È probabile che questo sfor- NOTE 219 NOTE 220 zo respiratorio sia del tutto inefficace, ma è riconoscibile in base alla dilatazione delle narici ed agli sforzi inspiratori toracici. Se l'anestesista li riconosce, deve aumentare la ventilazione manuale fino ad eliminarli, cioè a portare la PaCO2 al di sotto della soglia di stimolazione della respirazione. Analogamente, si deve osservare spesso il colore delle mucose. Se si riscontra cianosi, è evidente che l'ossigenazione (e molto probabilmente la ventilazione) è inadeguata. Altri segni utili per sospettare l'ipoventilazione sono la presenza di aritmie cardiache, le alterazioni del tratto ST, la tachicardia, l'ipotensione e l'ipertensione. Il loro riscontro impone un monitoraggio mediante ECG e controllo diretto o indiretto della pressione arteriosa. Allo scopo si utilizzano tipicamente un sistema doppler o un'unità osillometrica associate ad uno sfigmomanometro con bracciale insufflabile. Si raccomanda in particolare il monitoraggio della pressione arteriosa, perché recenti indagini cliniche hanno dimostrato che l'ipotensione arteriosa è una complicazione comune nei pazienti gravemente malati o traumatizzati anestetizzati con isofluorano. È stato anche recentemente evidenziato quanto sia poco accurata ed insensibile, ai fini della determinazione della pressione arteriosa, la semplice palpazione del polso. Complicazioni della ventilazione a pressione positiva nei pazienti con traumi addominali. Lo pneumotorace è una delle più significative e potenzialmente letali complicazioni della ventilazione a pressione positiva nei pazienti traumatizzati. Una rottura alveolare anche piccola presente prima di questa ventilazione viene gravemente accentuata dalla pressione generata nelle vie aeree ed esiste un significativo rischio di insorgenza di penumotorace iperteso. Nei casi in cui nelle radiografie preoperatorie si riscontrano anche solo lievi segni di pneumotorace, si deve prendere in seria considerazione la possibilità di inserire un drenaggio toracico a scopo profilattico subito dopo l'induzione dell'anestesia, per consentire l'eliminazione dell'aria in caso di necessità. La seconda ed ugualmente grave complicazione della ventilazione a pressione positiva nei pazienti con compromissione cardiovascolare è la possibilità che venga gravemente accentuato lo shock. La pressione positiva a livello intratoracico determina un calo del ritorno venoso al cuore e, quindi, della gittata cardiaca. Questo effetto può essere minimizzato con un'aggressiva fluidoterapia. Bisogna cercare di arrivare a far sì che la pressione positiva intratora- cica sia presente per il più breve tempo possibile per ogni ciclo respiratorio. Il miglior modo per ottenere questo risultato è quello di assicurare un'inspirazione più breve dell'espirazione ed una frequenza respiratoria quanto più possibile lenta. Il valore massimo della pressione nelle vie aeree va mantenuto al minimo. Riparazione chirurgica. È necessario effettuare la preparazione chirurgica completa di addome, torace e regione ingunale. La delimitazione del campo operatorio deve comprendere il torace perché è necessario inserire un drenaggio prima di chiudere il diaframma e, in rari casi, occorre anche aprire la cavità mediante parasternotomia o sternotomia per riparare il tessuto polmonare e controllare le emorragie. La regione inguinale va invece compresa per poter accedere ai vasi in caso di imponenti emorragie. Dopo aver effettuato l'esplorazione dell'addome e controllato tutte le emorragie, si riportano delicatamente nella cavità di provenienza gli organi erniati, ispezionandoli per rilevare eventuali danni. Si inserisce nel cavo pleurico un drenaggio toracico e si chiude il diaframma con una sutura continua semplice in polipropilene 3-0 (gatto) e 2-0 o 0 (cani piccoli e grandi) su ago atraumatico. Le due estremità della sutura vanno fissate con almeno 6 nodi. La chiusura della breccia deve iniziare dalla parte più profonda del diaframma e si devono eseguire dei punti ampi, che comprendano parecchio tessuto. È necessaio essere certi di aver individuato e chiuso tutte le lacerazioni diaframmatiche; non è raro che ve ne siano più di una. NOTE UROADDOME ED ADDOME SETTICO EZIOLOGIA. Le fuoriuscite di materiale dal tratto urinario o da quello gastroenterico determinano la raccolta di urina o fluidi settici nella cavità peritoneale o nello spazio retroperitoneale. Sia le lesioni da corpo contundente che le ferite penetranti possono determinare delle contaminazioni ad opera di materiali estranei e batteri provenienti dagli apparati urinario e digerente. Con la formazione di coaguli parziali e di aderenze con le vicine strutture sierose, la fuoriuscita di materiale può impiegare diversi giorni a manifestarsi oppure, in alcuni casi, si arresta spontaneamente, per cui le condizioni del paziente migliorano, o non si deteriorano neppure. Tuttavia, questo non è l'esito abituale. 221 NOTE FISIOPATOLOGIA. Numerosi trattati recenti discutono a fondo la fisiopatologia di queste condizioni, per cui in questa sede verranno ricordati solo alcuni punti fondamentali. Bisogna sempre tenere presente che lo spazio retroperitoneale contiene i reni, la prostata, l'uretra pelvica, i linfonodi sottolombari ed i vasi principali (aorta, vena cava, arteria e vena iliaca). Gli spandimenti di urina o le ferite penetranti localizzati nello spazio retroperitoneale, le perdite di materiali ed i processi infettivi possono restare confinati in questa sede. Tuttavia, la progressione del processo patologico può determinare una peritonite. Invece, gli spandimenti o le contaminazioni che si verificano nella cavità peritoneale si estendono rapidamente, nel volgere di pochi minuti, all'intero addome. Nel cavo peritoneale esiste un naturale flusso linfatico che si sposta in direzione craniale e migra attraverso la parte sternale del diaframma per passare nei vasi linfatici sternali del torace. Quindi, è possibile osservare un'infiammazione della cavità pleurica come estensione di una peritonite settica. Anche l'arcata lombocostale costituisce una "finestra" attraverso la quale i fluidi possono migrare nella cavità pleurica, dando origine ad un piotorace. I prodotti derivanti dal sistema urinario (cataboliti azotati, potassio, ecc.) vengono assorbiti e spesso causano un'uremia. L'intero processo può richiedere poche ore. Il fluido settico induce una significativa risposta infiammatoria, mentre l'urina produce solo una lieve reazione. Ciò determina la migrazione dei leucociti nella cavità peritoneale, con la conseguente lisi e liberazione di molti prodotti della risposta flogistica sistemica (agenti vasoattivi, prodotti autodigerenti, ecc.). Su questi meccanismi si fonda il successo del trattamento: diagnosi precoce, esplorazione chirurgica con arresto della fuoriuscita di materiale, irrigazione della cavità peritoneale per allontanare l'essudato e drenaggio delle secrezioni eventualmente rimaste. SEGNI CLINICI E DIAGNOSI. I segni clinici sono quelli associati alla peritonite da agenti chimici, all'uremia o alla sepsi ed alla peritonite settica. Il vomito è più comune nel cane. La febbre è variabile. Sono comuni disagio e dolore addominali. Le immagini radiografiche di solito indicano un certo grado di ileo ed una perdita generalizzata di dettaglio. Il conteggio dei leucociti risulta spesso elevato ed associato a neutrofilia con spostamento a sinistra, tuttavia prima o poi nel decorso della malattia questa risposta 222 può mancare. La paracentesi addominale effettuata con un catetere a fori multipli è solitamente positiva, dal momento che permette di rimuovere una certa quantità di liquido dalla cavità peritoneale. Il riscontro di un fluido limpido e di colore giallo chiaro indica la possibile presenza di urina o di un essudato settico. L'analisi del materiale prelevato rivela, in caso di uroaddome, la presenza di livelli elevati di creatinina, superiori a quelli ematici. Nella peritonite settica, l'esame citologico evidenzia una leucocitosi peritoneale con il predomino di neutrofili. Nelle peritoniti batteriche questi ultimi appaiono degenerati e contengono al loro interno dei batteri. Se per prelevare il campione è necessario effettuare il lavaggio o l'irrigazione peritoneale, i risultati ottenuti sono analoghi, ma il numero e le concentrazioni dei vari parametri sono diminuiti per effetto della diluizione. Gli esami radiografici con mezzo di contrasto possono servire a definire la localizzazione e l'estensione di un trauma delle vie urinarie. Il contrasto negativo dovuto ai gas presenti nel tenue è, entro certi limiti, sempre presente in caso di peritonite. Benché i mezzi di contrasto positivi per l'esame del tratto gastroenterico possano essere utili in certi casi, nella maggior parte delle situazioni, a causa dell'ileo paralitico secondario, il pasto baritato spesso non riesce ad evidenziare altro che il mancato svuotamento dello stomaco. Ogni volta che nelle radiografie si riscontra la presenza di gas liberi in addome, si deve sospettare una rottura del tratto digerente. Se dopo aver effettuato l'esame clinico, le indagini radiografiche e la paracentesi o il lavaggio peritoneale diagnostici il quadro complessivo è ancora poco chiaro, se persiste un sospetto di danno addominale è sempre indicata l'esplorazione chirurgica. È sempre meglio effettuare troppo presto una laparotomia che risulta negativa, piuttosto che aspettare troppo ed aprire l'addome solo quando sono evidenti gravi segni di uremia, peritonite e sepsi o per effettuare la necroscopia. NOTE TRATTAMENTO. Nella grande maggioranza dei casi, il trattamento è chirurgico. In rari casi, si può attuare con successo la terapia conservativa di alcune lesioni della vescica e dell'uretra, mediante inserimento nell'apparato urinario di un catetere collegato ad un sistema chiuso di drenaggio esercitando una leggera aspirazione per diversi giorni, durante i quali le aperture traumatiche della vescica e dell'uretra si chiudono e vengono coperte per riepitelizzazione. 223 NOTE I principi fondamentali del trattamento dei traumi prevedono che la terapia di sostegno venga instaurata prima di quella definitiva, per ridurre al minimo il rischio di complicazioni anestetiche o chirurgiche. Ciò vale anche in caso di uroaddome e peritonite. Il tempo richiesto dalla terapia di sostegno prima che il paziente possa essere anestetizzato ed operato in condizioni di sicurezza dipende dalla rapidità della diagnosi e dalla gravità delle alterazioni fisiologiche presenti. In genere, quanto più la diagnosi è precoce, tanto prima si riesce ad intervenire. In tutti i casi, prima dell'intervento è necessario ripristinare il volume dei liquidi vascolari ed interstiziali. Spesso, il modo migliore per ottenere questo scopo consiste nell'impiego combinato di cristalloidi e colloidi. Se i livelli sierici di albumina scendono al di sotto di 2,0 g%, si deve ricorrere alla somministrazione di plasma sino a correggere l'alterazione. Se il paziente è in stato di grave intossicazione, si consiglia di eseguire ripetutamente il lavaggio peritoneale per 12-24 ore prima dell'intervento. Ciò determina la normalizzazione degli squilibri elettrolitici ed acido-basici e l'allontanamento dei fluidi tossici, dei leucociti e dei detriti dall'addome. In anestesia locale, si inseriscono per via percutanea in addome uno o due cateteri da dialisi/lavaggio peritoneale, usando una delle tecniche disponibili. Si possono anche introdurre delle sonde a più fori attraverso un'incisione minilaparotomica. La cavità peritoneale viene lavata con una soluzione riscaldata (fisiologica, di Ringer lattato, ecc.), infondendo 20 ml/kg ogni 1-4 ore e lasciandoli agire per 30 minuti, trascorsi i quali si effettua il drenaggio per gravità. Nei casi molto gravi, il lavaggio viene inizialmente protratto fino a che il liquido ottenuto non risulta limpido. La terapia medica di sostegno prevede l'accurato monitoraggio dei livelli sierici di glicemia ed elettroliti e la correzione delle anomalie rilevate. Bisogna anche iniziare il più presto possibile la nutrizione enterale; sebbene inizialmente si possano infondere solo quantità molto piccole di soluzioni glucosate isotoniche ed elettrolitiche, queste hanno un effetto protettivo sull'intestino e riducono l'entità della traslocazione batterica. Trattamento chirurgico dell'uroaddome La prima cosa da fare è la laparotomia esplorativa, rilevando tutte le lesioni presenti. L'esposizione dei danni del- 224 l'uretra pelvica può richiedere la realizzazione di un lembo ventrale di bacino. I traumi a carico di ureteri, vescica o uretra vanno idealmente chiusi con materiale da sutura sintetico monofilamento, assorbibile o non assorbibile. La chiusura degli ureteri o dell'uretra viene effettuata con una sutura molti fine eseguita con ago atraumatico. Ogni punto deve penetrare nella sottomucosa. Negli animali di dimensioni più piccole, è necessario un sistema di ingrandimento. La vescica viene inizialmente chiusa con una sutura orizzontale continua della mucosa, applicata in modo che i nodi restino dalla parte muscolare. In questo modo si ottiene una buona emostasi. Il secondo ed eventualmente il terzo piano di chiusura vengono realizzati con una sutura continua semplice o una sutura introflettente, con i punti nella sottomucosa. Se la chiusura è considerata a rischio, si può eseguire un piano di rinforzo. Un'alternativa rivelatasi efficace per questo stesso scopo è quella di applicare sopra la linea di sutura un tratto di ansa intestinale fissandola alla parete vescicale con una sutura continua. Si può estendere ogni punto fino alla sottomucosa. Nel lume vescicale, prima della chiusura dell'organo, si lascia un catetere a più fori, che viene collegato ad un sistema di aspirazione chiuso o ad un drenaggio per gravità. Il periodo di tempo durante il quale occorre mantenere il catetere dipende dalla lesione di partenza e varia da 1 a 5 giorni ed in genere risulta più prolungato per la riparazione dei danni uretrali. Si avvolge l'omento intorno alla zona di vescica riparata, si effettua il lavaggio dell'addome e si chiude la breccia laparotomica secondo la procedura di routine. NOTE Trattamento della peritonite settica Dopo aver eseguito l'esplorazione completa dell'addome attraverso un'apertura estesa dal processo xifoideo al pube, si asportano o si riparano tutte le possibili fonti di infezione, regolandosi in base alla loro apparente vitalità. Dopo una completa irrigazione, le riparazioni dello stomaco, del tenue o del colon vengono protette suturandovi sopra un tratto di ansa intestinale ed avvolgendo loro intorno una porzione di omento. Si inserisce una sonda da digiunostomia per poter iniziare il supporto nutrizionale immediatamente dopo il risveglio dall'anestesia. Nelle cavità in cui prima degli interventi di svuotamento e revisione erano presenti degli 225 NOTE 226 ascessi vengono posti dei tubi di drenaggio in silicone. La cavità peritoneale viene irrigata abbondantemente con svariati litri di soluzione fisiologica riscaldata e poi si fissa l'omento nelle zone in cui occorre garantire una protezione, come il punto di contatto fra la l'uscita della sonda da digiunostomia e le anse intestinali o il peritoneo parietale. L'omento che presenta tracce di essudato o contaminazione viene rimosso. Si asporta anche il legamento falciforme, per facilitare il drenaggio della cavità addominale aperta. Si esegue un'accurata emostasi mediante elettrocauterizzazione o legatura. La cavità addominale viene lasciata aperta per consentirne il drenaggio e per permettere all'aria di penetrarvi. In questo modo si aumenta il potenziale di ossidoriduzione (contenuto di ossigeno) che accresce la funzione dei macrofagi e sopprime la proliferazione della flora batterica intestinale anaerobica e microaerofila. Questi microorganismi sono comuni nella peritonite batterica causata dalla fuoriuscita del contenuto gastrointestinale. Per proteggere il paziente dallo sventramento, si esegue una sutura continua in polipropilene monofilamento della fascia esterna del muscolo retto, lasciandola molto lenta, in modo da ottenere un'apertura larga 2 o 3 cm. Sulla parte ventrale dell'addome si applicano dei teli sterili, coprendoli poi con un bendaggio che circondi l'addome. Per rendere più facile l'applicazione del bendaggio, il terzo caudale della breccia addominale, che si estende caudalmente al limite più craniale delle cosce, viene completamente chiuso. Nei cani maschi è necessario un drenaggio urinario chiuso per evitare che l'urina contamini le bende. Il bendaggio addominale va sostituito quando è saturo di fluidi addominali ed essudati. In genere, per i primi 2 o 3 giorni occorre cambiarlo 2 o 3 volte al giorno. La produzione di essudato di norma diminuisce significativamente dopo 3 o 4 giorni, quando si può chiudere l'addome. Mantenendo la cavità addominale aperta per 3 o 4 giorni si consente ai meccanismi di difesa di instaurarsi pienamente, per cui alla chiusura della breccia gli eventuali microorganismi ancora presenti all'interno della ferita e della cavità hanno ben poche probabilità di dare origine ad un'infezione. Se durante il periodo in cui l'addome è aperto si osserva un aumento della produzione di essudato o di liquidi settici o se insorgono i segni clinici di un aggravamento dell'infezione, è indicata la ripetizione dell'esplorazione dell'addome. Durante il periodo i cui la cavità addominale è aperta, l'animale va tenuto sotto stretta osservazione, per verificare che il bendaggio sia costantemente a posto. La sostituzione del bendaggio va attuata in condizioni di sterilità. La quantità di liquidi persi attraverso il drenaggio può essere stimata confrontando il peso dei bendaggi rimossi e di quelli asciutti. La differenza di peso corrisponde ai liquidi eliminati, tenendo presente che 1 g = 1 ml. È anche possibile effettuare una stima della perdita di proteine, misurando la concentrazione delle proteine totali nel fluido e moltiplicando il valore ottenuto per il presunto volume drenato. È importante continuare a rimpiazzare la perdita di fluidi e proteine utilizzando l'infusione endovenosa di cristalloidi, come la soluzione di Ringer lattato. e plasma. È anche indicata la nutrizione paraenterale parziale periferica con il 3% di aminoacidi ed il 3% di glicerolo, iniziando con 2 ml/kg/ora per i primi giorni prima di passare alla nutrizione enterale totale. Quest'ultima e la somministrazione endovenosa di antibiotici battericidi attivi nel confronti di microorganismi Gram-positivi e Gram-negativi, anaerobi ed aerobi sono molto importanti nel trattamento delle peritoniti settiche. Vengono comunemente impiegati cefazolina, metronidazolo e gentamicina per i primi 5 giorni di terapia. I dettagli relativi all'impiego di questi ed altri protocolli antibiotici si possono trovare in altri lavori, così come quelli riferiti ad altri importanti aspetti del trattamento. NOTE Chiusura dell'addome Si consiglia di chiudere l'addome con una sutura continua in materiale sintetico monofilamento assorbibile o non assorbibile, accostando solo la fascia esterna del muscolo retto. Non c'è bisogno di chiudere il peritoneo o la fascia interna. Sui due nodi all'inizio ed alla fine della sutura si possono eseguire sei o sette nodi quadrati. Le dimensioni del materiale impiegato variano da 3-0 a 2 a seconda del peso del paziente. Se si opta per una sutura a punti staccati, occorre impiegare materiale di dimensioni maggiori. Le ricerche condotte hanno però dimostrato la superiorità della sutura continua. È stato ipotizzato che ciò sia dovuto al fatto che questa ha solo due nodi che, rispetto a quelle in cui sono molti di più, possono eseguiti con maggiore cura. 227 NOTE 228 Ogni nodo rappresenta un punto dove è maggiore il rischio di deiscenza. Il minor numero di nodi della sutura continua inoltre diminuisce l'affondamento del materiale nei tessuti e l'infiammazione ad essa associata. Una volta effettuata la chiusura continua della fascia, si irriga a fondo il sottocute e lo si chiude secondo la procedura di routine. Anche la cute viene accostata nel modo abituale, con suture o punti metallici. La superficie cutanea viene lavata con soluzione fisiologica riscaldata, per allontanare sangue e coaguli, ed asciugata. Si raccomanda l'applicazione di un bendaggio sterile sulla ferita per le successive 24 ore, in modo da consentirne la chiusura. Ciò riduce l'incidenza delle infezioni della ferita causate dalle contaminazioni verificatesi nell'immediato periodo postoperatorio. Finito di stampare nel mese di Marzo 1997 dalla Press Point di Abbiategrasso (Milano) 33° Congresso SCIVAC MEDICINA D’URGENZA E TERAPIA INTENSIVA NEI PICCOLI ANIMALI MONTECATINI TERME (PT), 21-23 MARZO 1997 Steve C. Haskins DVM, MS, ACVA, ACVECC University of California School of Veterinary Medicine Department of Surgical and Radiological Sciences Davis, California, USA Ripristino di una circolazione efficace: fluidoterapia durante lo shock Sabato, 22 marzo 1997, ore 9.00 73 NOTE Se, in base ai dati della valutazione clinica, si ritiene che il paziente sia eccessivamente ipovolemico, si deve instaurare una terapia di ripristino del volume ematico, da continuare finché l'animale non è fuori pericolo. CRISTALLOIDI La soluzione di Ringer lattato, o un'altra equivalente che contenga in concentrazioni approssimativamente analoghe a quelle extracellulari normali sodio, potassio, cloro ed un anione "bicarbonato-simile" (bicarbonato, lattato, gluconato o acetato) è una buona scelta per iniziare il ripristino del volume ematico. Si tratta di prodotti economici, facilmente reperibili e somministrabili in tutta sicurezza in grandi quantità negli animali normali. I cristalloidi devono contenere un anione "bicarbonato-simile" (bicarbonato, lattato, gluconato o acetato) per prevenire l'acidosi da diluizione indotta dai fluidi che ne sono privi (soluzione fisiologica o di Ringer). La soluzione fisiologica mostra una certa tendenza all'acidificazione, soprattutto quando viene somministrata in volume elevato. Il lattato viene metabolizzato (come acido lattico) dal fegato che lo trasforma in acido piruvico attraverso un processo che consuma ioni idrogeno (e, quindi, ha un effetto alcalinizzante). Da un certo punto di vista, l'acetato ed il gluconato possono essere preferibili rispetto al lattato perché vengono metabolizzati da altri tessuti oltre al fegato.1 I liquidi ipotonici, come la soluzione al 5% di destrosio in acqua ed i fluidi di mantenimento a basso contenuto di sodio, non vanno usati per il ripristino del volume ematico, perché contengono una quantità eccessiva di acqua libera (intossicazione da acqua) ed hanno un'azione molto scarsa come agenti di espansione del volume ematico. Per arrivare ad ottenere un adeguato ripristino del volume ematico, può essere necessario infondere le soluzioni cristalloidi in quantità pari a 40-90 ml/kg o anche superiori (nel cane). Nel gatto, il volume di sangue è più piccolo di quello del cane (50-55 ml/kg contro 80-90 ml/kg) ed è quindi necessario ridurre di conseguenza la quantità di liquidi da infondere. Per ogni singolo paziente, la fluidoterapia deve cessare quando si sia risolta la vasocostrizione periferica, i caratteri del polso siano tornati accettabili e sia ripresa la produzione di urina. Quando i segni esteriori sono poco chiari, è 74 possibile effettuare una misurazione obiettiva della correttezza del ripristino del volume ematico e del precarico sul cuore, rilevando il ritorno della pressione venosa centrale a valori normalmente elevati (8-10 cm di H2O). Per ristabilire il precarico è indicato l'uso di agenti simpaticomimetici quando i parametri del flusso ematico anterogrado (gittata cardiaca e perfusione tissutale) non sono accettabili. Solo il 25-30% delle soluzioni cristalloidi resta nel comparto vascolare a distanza di 30 minuti dalla somministrazione.2 La parte restante diffonde prontamente attraverso le membrane endoteliali e viene ridistribuita nel comparto fluido interstiziale. Il ripristino volumetrico ottenuto con queste soluzioni può essere fugace e se l'ipotensione o la vasocostrizione recidivano (a causa di una ridistribuzione dei liquidi o del protrarsi di un'emorragia) è indicata un'ulteriore somministrazione di fluidi, eventualmente sotto forma di colloidi o sangue intero. Negli animali con preesistente edema polmonare, edema cerebrale o insufficienza cardiaca congestizia, la fluidoterapia deve essere di tipo conservativo. Le soluzioni colloidali possono essere più efficaci nel ripristinare il volume ematico riducendo contemporaneamente al minimo l'eccesso di alcuni stati edematosi. L'infusione di cristalloidi viene comunemente limitata dall'eccessiva emodiluizione, definita come la condizione in cui l'ematocrito scende al di sotto del 15-30% (a seconda dello stato sistemico del paziente) o le concentrazioni di emoglobina risultano inferiori a 5-10 g/dl e/o le proteine totali sono inferiori a 3,5 g/dl o l'albumina non supera il valore di 1,5 g/dl. NOTE SOLUZIONE IPERTONICA DI NaCl In certe situazioni, può essere difficile somministrare sufficienti volumi di liquidi in modo abbastanza rapido da rianimare il paziente. In questi casi, è auspicabile riuscire ad ottenere il massimo vantaggio cardiovascolare con l'infusione del minor volume possibile di liquidi. La soluzione ipertonica di NaCl, rispetto a quella isotonica, determina una migliore espansione volumetrica e consente di ottenere valori più elevati di gittata cardiaca, pressione sanguigna e perfusione tissutale.3,4 Inoltre, causa una prominente vasodilatazione. Questa soluzione è ideale quando si dispone di un tempo limitato perché il paziente si trova in condizioni 75 NOTE così gravi da non poter attendere di essere rianimato con elevati volumi di soluzioni isotoniche oppure ha una taglia così grande da rendere difficile riuscire a somministrare in tempo una quantità adeguata di fluidi. Un'altra indicazione si può avere nel caso degli interventi fuori dalla clinica, quando può essere difficile trasportare grandi volumi di fluidi. È stato dimostrato che la soluzione ipertonica di NaCl migliora la maggior parte dei parametri cardiovascolari e la perfusione tissutale, riducendo il volume di fluidi che occorre infondere successivamente per ottenere una completa rianimazione.3,4 In molti studi l'effetto è risultato di breve durata, ma i valori di plateau sono stati superiori a quelli ottenuti con la soluzione fisiologica normale. I meccanismi dei benefici effetti di questa soluzione sono rappresentati da 1) ridistribuzione delle riserve di fluidi intracellulari, che passano nel comparto fluido extracellulare, 2) piccolo coefficiente di riflessione del sodio a livello della membrana endoteliale, per cui la soluzione ipertonica non si pone completamente in equilibrio fra il comparto vascolare e quello dei fluidi interstiziali, 3) "osmocettori" polmonari e meccanismi di feedback al SNC e 4) ripristino dei normali potenziali di membrana e, presumibilmente, delle funzioni cellulari. Gli effetti deleteri sono invece dati da 1) aumento delle concentrazioni di sodio e cloro, 2) incremento dell'osmolarità e 3) calo delle concentrazioni di potassio e bicarbonati. In seguito alla somministrazione di una dose, le variazioni riscontrate sono moderate ed hanno un'importanza clinica minima, a meno che il paziente non fosse affetto da preesistenti anomalie elettrolitiche o vengano effettuate ripetute infusioni. La dose comunemente consigliata per la soluzione ipertonica al 7,5% di NaCl va da 4 a 6 ml/kg. TERAPIA CON COLLOIDI Se i livelli di proteine totali sono inferiori a 3,5 g/dl o se è probabile che scendano al di sotto di questo valore con l'infusione di cristalloidi, si devono somministrare nell'ambito del programma di fluidoterapia delle soluzioni colloidali, rappresentate dal plasma o dai suoi sostituti (destrano, amido eterificato). Queste soluzioni sono più efficaci dei cristalloidi come agenti di espansione del volume ematico e vanno prese in considerazione quando il paziente non 76 Caratteristiche delle comuni soluzioni colloidali Colloide Albumina Plasma Amido eterificato 6% Pentastarch 10% Destrano 70 6% Destrano 40 10% Gelatine Peso molecolare (Dalton) Range Mw Mn (in millesimi) 66-69 119 10-1.000 150-350 15-160 10-80 5-100 69 88 450/0,7* 264/0,5* 70 40 35 Emivita intravascolare (in ore) Durata (in ore) 69 18 > 24 69 35 41 26 6 2-67 24-36 25-36 3 12-24 2-4 2-4 * 0,7 e 0,5 = percentuale di idrossilazione delle molecole di amido (tanto più questa è elevata, tanto più lento è il metabolismo). Mw = Media ponderata di distribuzione dei pesi molecolari. Mn = Media numerica semplice della totalità dei pesi molecolari. sembra rispondere in modo appropriato all'infusione di cristalloidi o quando si ha l'insorgenza di un edema prima del ripristino di un adeguato volume ematico. I colloidi, pur essendo più costosi dei cristalloidi in termini di spesa per bottiglia, determinano una migliore espansione volumetrica ed una minore espansione interstiziale iniziale rispetto ai cristalloidi e mantengono più elevata la pressione oncotica (colloidosmotica) per cui sono economicamente convenienti. Le soluzioni colloidali del commercio sono generalmente isoosmotiche ed iperoncotiche. I colloidi con peso molecolare inferiore a 50.000 vengono escreti rapidamente attraverso l'urina ed hanno una breve durata d'azione (2-4 ore). DESTRANO I destrani sono miscele di polisaccaridi prodotte dai batteri Leuconostoc mesenteroides o da lattobacilli che si sviluppano su terreni contenenti saccarosio. Attraverso l'idrolisi acida delle macromolecole si ottengono composti di differente peso molecolare. Quelli con peso inferiore a 50.000 vengono rapidamente filtrati dal glomerulo renale, mentre quelli di peso superiore si distribuiscono ampiamente nell'organismo e vengono metabolizzati dalle destrinasi alla velocità di 70 mg/kg/die. Il destrano 40 viene usato raramente per espandere il volume ematico perché ha una durata d'azione molto 77 NOTE breve, di appena 1,5-3 ore. L'uso di questo composto è stato associato ad insufficienza renale. Viene filtrato rapidamente dal glomerulo e può essere associato ad una diuresi osmotica. Negli stati di riassorbimento tubulare attivo di sodio ed acqua, il destrano si concentra nel lume dei tubuli, aumentando la viscosità del filtrato e, forse, precipitando ed ostruendo il lume stesso. I destrani determinano un difetto dose-dipendente dell'emostasi primaria, superiore a quello dovuto alla semplice diluizione. Quando vengono somministrati in volumi elevati, possono indurre una sindrome von Willebrandsimile. Il prolungamento dell'APTT riscontrato in questi casi è stato attribuito ad una riduzione dell'attività del fattore VIII:C. Il prolungamento del tempo di sanguinamento e la riduzione dell'adesività piastrinica sono invece stati imputati all'inibizione dell'attività del vWf:ag. Anche se non ci si deve aspettare che la somministrazione di dosi anche elevate induca la comparsa di sanguinamenti nei pazienti normali, i destrani vanno usati con cautela, o non vanno usati affatto, in quelli con malattia di von Willebrand. Sono invece considerati agenti terapeutici per il trattamento della fase di ipercoagulabilità della coagulazione intravasale disseminata. AMIDO ETERIFICATO L'amido eterificato è un'amilopectina modificata, un polimero ramificato del glucosio. L'idrossilazione lo rende più resistente alla degradazione ad opera dell'amilasi sierica. La sua emivita dipende dal grado di idrossilazione e dalle dimensioni molecolari. La cinetica di eliminazione è piuttosto complessa, per l'eterogeneità delle soluzioni dell'amido eterificato: il 18% ha un'emivita di 2 ore, il 17% di 8,5 ore ed il 30% di 67 ore. Gli amidi vengono metabolizzati dall'alfa-amilasi plasmatica ed interstiziale. L'amido eterificato può anche causare tendenze emorragiche, ma con un'incidenza apparentemente minore di quella del destrano 70. Il c.d. pentastarch è formato da particelle più piccole ed omogenee, con una minore sostituzione idrossietilica. Ha una pressione oncotica di 40 mm Hg (iperoncotica) e, quindi, determina una maggiore espansione iniziale del volume ematico, pari ad 1,5 volte la quantità somministrata. 78 ALBUMINA NOTE L'albumina costituisce il 50% delle proteine plasmatiche totali e determina l'80% della pressione colloidosmotica del plasma. Nel liquido extracellulare, è presente in quantità pari a circa 5 g/kg di peso dell'animale; per il 40% si trova nello spazio intravascolare e per il 60% in quello interstiziale. La sua concentrazione plasmatica è di circa 2,5-3,5 g/dl, mentre a livello interstiziale è approssimativamente di 1-1,5 g/dl. La sua sintesi viene regolata dagli osmocettori dello spazio interstiziale epatico, mentre viene ridotta dalla presenza di altri colloidi intravascolari (ipergammaglobulinemia e somministrazione di colloidi artificiali). L'albumina mantiene la pressione oncotica intravascolare (ogni grammo di albumina trattiene osmoticamente 1318 ml di fluidi). È dotata di una forte carica negativa ed è un'importante proteina trasportatrice di certi farmaci, ormoni, metalli ed enzimi, nonché di certe sostanze chimiche e tossiche quali cationi, anioni, radicali tossici dell'ossigeno e prodotti tossici della flogosi.1 SANGUE INTERO Se l'ematocrito è inferiore al 15-30% o se è probabile che si riduca con l'infusione di cristalloidi, nell'ambito del programma di fluidoterapia si devono somministrare emazie concentrate o sangue intero. Quest'ultimo può essere reso incoagulabile con eparina se deve essere immediatamente ritrasfuso (1 unità di eparina/ml di sangue intero) o con acido-citrato-destrosio (ACD) o citrato-fosfato-destrosio (CPD) (0,15 ml di soluzione/ml di sangue intero). Se il sangue è destinato alla conservazione, si deve usare il CPD-A1; gli eritrociti risultano vitali ancora per il 70% dopo 4 settimane (3 settimane con l'ACD). Trascorso tale periodo, si può separare il plasma e conservarlo congelato per almeno 1 anno, mentre gli eritrociti vengono eliminati.11 Nel cane, esistono otto antigeni eritrocitari comunemente identificati.12 In teoria, nel 15% circa dei casi in cui un cane viene sottoposto per la prima volta ad una trasfusione di sangue senza effettuare la prova di emocompatibilità si dovrebbero avere delle reazioni trasfusionali dovute all'esistenza di alloanticorpi naturali.12 In pratica, l'inciden79 NOTE 80 za di questo fenomeno sembra essere molto minore, presumibilmente perché la maggior parte delle reazioni è di tipo subclinico. Anche se tutti gli antigeni eritrocitari scatenano una risposta anticorpale, le reazioni trasfusionali clinicamente significative hanno buone probabilità di verificarsi solo in occasione della seconda trasfusione di sangue dei gruppi DEA 1,1 e DEA 1,2 e, in misura minore, DEA 7. I potenziali donatori devono essere sottoposti alla determinazione del gruppo di appartenenza13 e risultare negativi per questi tre antigeni. Se il ricevente è già stato sottoposto a precedenti trasfusioni o se soffre di un'anemia emolitica immunomediata, si raccomanda l'esecuzione della prova di emocompatibilità in vitro, anche se il donatore è stato sottoposto a tipizzazione, per verificare l'idoneità del sangue da trasfondere. Nel gatto domestico vengono identificati comunemente due antigeni eritrocitari, A e B. La loro incidenza varia considerevolmente nelle diverse nazioni:14 i gatti domestici a pelo corto "meticci" sono praticamente tutti di tipo A. Il riscontro di popolazioni di tipo B è più probabile in razze come lo scottish fold, il birmano, l'himalayano, l'abissino, il somalo, il persiano, il cornish e devon rex ed il british shorthair. I gatti di tipo A presentano bassi titoli naturali di anticorpi anti-B. Quelli di tipo B possiedono invece elevati titoli di forti anticorpi naturali anti-A. Nelle trasfusioni compatibili, la sopravvivenza media degli eritrociti marcati è stata misurata in 29-39 giorni. L'esecuzione di molteplici trasfusioni compatibili in gatti presumibilmente di tipo A ha determinato un accorciamento della sopravvivenza media degli eritrociti.15 La trasfusione di sangue di tipo B in gatti di tipo A è stata associata ad una sopravvivenza media degli eritrociti di 2 giorni ed a reazioni trasfusionali di minore entità, mentre la trasfusione di sangue di tipo A in gatti di tipo B ha portato ad una sopravvivenza delle emazie di 1 ora ed alla comparsa di marcate reazioni trasfusionali.16 La tipizzazione del sangue del donatore può essere utile, ma è anche necessario sapere quale sia il gruppo di appartenenza del ricevente, per essere certi di effettuare una trasfusione corretta. La quantità di sangue da somministrare viene calcolata in 10-40 ml/kg (nel cane; 5-20 ml/kg nel gatto), a seconda che si voglia trasfondere una quantità di sangue ridotta o, rispettivamente, elevata. La velocità di infusione di sangue intero o plasma deve essere controllata, in modo da ridurre al minimo le manifestazioni cliniche delle reazioni mediate dall'istamina in risposta alla trasfusione di proteine estranee. Di solito risultano soddisfacenti velocità di 5-10 ml/kg/ora, ma in situazioni di emergenza si può arrivare a 20-25 ml/kg/ora. Dopo la trasfusione si deve ripetere la misurazione dell'ematocrito o della concentrazione dell'emoglobina, per stabilire se si sono raggiunti i valori desiderati. Il sangue infuso deve essere filtrato. Le reazioni trasfusionali immunologiche si possono manifestare con irrequietezza, collasso acuto, ipotensione, dispnea, sibili respiratori, orticaria, emoglobinemia o emoglobinuria o febbre.11,16 Se nel corso di una trasfusione si rileva la comparsa di uno qualsiasi di questi segni, l'operazione va immediatamente interrotta. Altri effetti collaterali indesiderati delle trasfusioni sono rappresentati da embolizzazione polmonare di aggregati piastrinici, leucocitari o eritrocitari presenti nel sangue trasfuso, sindrome da difficoltà respiratoria, ipotermia in caso di infusione di sangue troppo fred- NOTE Confronto tra vantaggi e svantaggi delle soluzioni colloidali Colloide Vantaggi Svantaggi Sangue intero Eritrociti e plasma Reazioni trasfusionali Malattie trasmissibili Emazie concentrate Eritrociti concentrati Reazioni trasfusionali Plasma Mantenimento della pressione colloido-osmotica Trasporto di farmaci Adsorbimento di tossine Malattie trasmissibili Costo Reazioni allergiche Amidi Nessuna interferenza con i test degli antigeni eritrocitari Coagulopatie (raramente) Anafilassi (raramente) Elevata amilasi sierica Amido eterificato 6% Costo Destrani Coagulopatie Interferisce con i test degli antigeni eritrocitari Destrano 40 Destrano 70 Migliora la viscosità Insufficienza renale acuta Durata < 3 ore Durata > destrano 40 Durata < amido eterificato Tutte le soluzioni colloidali determinano una buona espansione del volume di sangue e sostengono la pressione oncotica e possono causare un sovraccarico vascolare. 81 NOTE do, ipocalcemia in risposta alla somministrazione di un'elevata quantità di citrati, eparinizzazione da infusione di grandi quantità di eparina ed acidosi in risposta all'impiego di grandi quantità di citrati come anticoagulanti. Se l'animale è affetto da un eccessivo sanguinamento in cavità pleurica o peritoneale e se non è possibile disporre di una fonte esogena di sangue intero, si deve prendere in considerazione il ricorso all'autotrasfusione. Il sangue va aspirato delicatamente, trattato con anticoagulanti, filtrato e somministrato al paziente. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 82 McNamara JJ, Suehiro GT, Suehiro A, et al: Resuscitation from hemorrhagic shock. J Trauma 23:552-557, 1983. Walser M, Selfin DW and Grollman A: Measurement of extracellular fluid with radiosulfate. J Clin Invest 31:669, 1952. Nakayama SI, Sibley L, Gunther RA, Holcroft JW and Kramer GC: Smallvolume resuscitation with hypertonic saline (2,400 mOsm/Liter) during hemorrhagic shock. Circ Shock 13:149-159, 1984. Kramer GC, Perron PR, Lindsey DC, et al: Small volume resuscitation with hypertonic saline dextran solution. Surgery 100:239-246, 1986. 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Haskins DVM, MS, ACVA, ACVECC University of California School of Veterinary Medicine Department of Surgical and Radiological Sciences Davis, California, USA Terapia cardiotonica e vasoattiva Sabato, 22 marzo 1997, ore 11.45 97 NOTE La terapia simpaticomimetica è indicata nei casi in cui la fluidoterapia, da sola, non è riuscita a ripristinare livelli accettabili di perfusione tissutale, qualità del polso, pressione arteriosa o gittata cardiaca nonostante elevati livelli di pressione venosa centrale o di occlusione polmonare.3-5 I recettori adrenergici postsinaptici sono attivati dalle catecolamine circolanti (di derivazione endogena o esogena) o dai neurotrasmettitori rilasciati localmente; quelli presinaptici sono attivati principalmente da questi ultimi ed agiscono attraverso un meccanismo di feedback negativo sul rilascio dei trasmettitori. Tutti gli agenti vasodilatatori determinano la risoluzione della vasocostrizione ipossica polmonare e, quindi, accentuano la mescolanza venosa e l'ipossiemia. Analogamente, gli agenti che accrescono la gittata cardiaca incrementano la mescolanza venosa attraverso un aumento della perfusione delle regioni poco ventilate. L'importanza di un aumento della mescolanza venosa e di un calo della PaO2, nonostante l'ipossiemia "in buona fede", può essere validamente bilanciato dall'accrescimento della gittata cardiaca, per cui l'effetto finale sull'apporto di ossigeno risulta essere un miglioramento. Se si sviluppa un'ipossiemia, può essere indicata un'ossigenazione/ventilazione più aggressiva. La maggior parte degli effetti svantaggiosi dei simpaticomimetici sono correlati all'eccessiva manifestazione della loro azione agonista: tachicardia sinusale/attività di Attività dei recettori nel cuore e nella vascolarizzazione Recettore Cuore Vascolarizzazione Alfa1 Post-sinaptico; cronotropo Post sinaptico; vasocostrizione Alfa2 Presinaptico; feedback negativo Post sinaptico; vasocostrizione, pre-sinaptico, feedback negativo Beta1 Recettore predominante; post-sinaptico, cronotropo, inotropo Beta2 Post-sinaptico; cronotropo, inotropo Post-sinaptico; vasodilatazione Dopaminergico1 Non presente Vasodilatazione (renale, coronarica, mesenterica) Dopaminergico2 Non presente Inibisce il rilascio di noradrenalina 98 Attività sui diversi recettori degli agenti inotropi e vasoattivi1 Isoproterenolo Dobutamina Dopamina Efedrina Adrenalina Noradrenalina Fenilefrina Alfa1 Alfa2 Beta1 Beta2 Dopaminergico ++/+++ + + ++++ +++ ++/+++ ? + ? ++++ +++ + ++++ ++++ ++ ++++ +++ ? ++ ++ + +++ +/++ 0 0 ++++ 0 0 0 pacemaker ectopico per i farmaci con azione beta2-agonista, ipertensione per gli alfa1-agonisti, ipotensione per i beta2-agonisti o gli alfa1-bloccanti ed i vasodilatatori diretti. La dopamina ha effetti cardiovascolari sia diretti che indiretti. fino al 50% della sua azione può essere attribuita al rilascio di noradrenalina dalle terminazioni nervose simpatiche.6 La durata dei benefici effetti di questo farmaco è limitata a circa 2 ore. La principale ragione di questo fatto può essere la deplezione delle riserve dopaminergiche presinaptiche, tuttavia è probabile che vi contribuiscano anche il sequestro o la riduzione della sensibilità dei recettori.7 Alla dose di 1-3 µg/kg/min, la dopamina offre un certo sostegno cardiovascolare e migliora la perfusione renale e viscerale (ad eccezione di quella epatica).8 Per ottenere un maggiore effetto cardiotonico e di sostegno della pressione sanguigna è indicato l'impiego di dosi più elevate (da 3 a 10 µg/kg/min). La dopamina è preferibile alla dobutamina nei casi in cui si desidera ottenere un aumento della pressione sanguigna. Dosi più elevate di dopamina possono causare un'eccessiva vasocostrizione, dopodiché l'ulteriore aumento del dosaggio non accresce maggiormente la gittata cardiaca o l'apporto di ossigeno. Il farmaco determina una costrizione della capacitanza venosa e può aumentare la pressione venosa centrale e le pressioni di occlusione polmonare.9 Inoltre, riduce la secrezione di aldosterone.10 La stimolazione dei recettori dopaminergici-2 può ridurre il vomito, mentre quella dei recettori 1 o 2 può sopprimere la peristalsi ed aumentare l'ileo.1 La dobutamina migliora la gittata cardiaca, l'apporto di ossigeno ed il suo consumo in modo più affidabile della dopamina, principalmente perché non causa vasocostrizio99 NOTE 100 ne. Anche se col tempo tende a perdere i propri effetti emodinamici, li mantiene più a lungo della dopamina. La dobutamina è un potente agonista beta1, beta2 ed alfa1. Il suo principale metabolita, la 3-O-metildobutamina, è un potente inibitore alfa1 ed alfa2. Di solito, la dobutamina è associata ad un calo della resistenza vascolare sistemica e dei parametri del precarico (pressione venosa centrale e pressione di occlusione polmonare). Spesso, dopo la sua infusione è necessaria un'ulteriore somministrazione di fluidi. Si osserva tipicamente un marcato miglioramento della gittata cardiaca, mentre la pressione arteriosa periferica aumenta in misura minima. L'adrenalina è un potente agonista dei recettori beta1 e beta2 ed alfa1 ed alfa2. Alle dosi minori è associata ad un incremento della gittata cardiaca con minime variazioni della resistenza vascolare sistemica. Dosi più elevate possono accompagnarsi ad un aumento della resistenza vascolare sistemica e della pressione arteriosa, senza ulteriori miglioramenti della gittata cardiaca. L'adrenalina è indicata negli animali che non rispondono alla dobutamina o alla dopamina. L'efedrina è un simpaticomimetico ad azione indiretta, che provoca il rilascio di noradrenalina dalle terminazioni nervose simpatiche. Il suo impiego prolungato può determinare la deplezione delle riserve dei neurotrasmettitori noradrenalinici, con conseguente tachifilassi. L'efedrina è uno stimolatore cardiovascolare generale, un broncodilatatore ed un rilassante dello sfintere uretrale. Supera la barriera emato-encefalica ed ha un lieve effetto analettico. Simula l'azione della dopamina e della dobutamina, anche se non è altrettanto potente o efficace. È più facile da somministrare ed ha una durata d'azione più prolungata della dopamina, della dobutamina e dell'adrenalina. La noradrenalina è indicata nei casi in cui è nota l'esistenza di una bassa resistenza vascolare sistemica o se la pressione arteriosa non può essere stabilizzata con uno qualsiasi degli agenti sopracitati. Si tratta di un potente vasocostrittore da utilizzare con attenzione, perché la vasocostrizione periferica può alterare la perfusione degli organi interni. La fenilefrina è anch'essa indicata nei casi in cui è nota l'esistenza di una bassa resistenza vascolare sistemica o quando non si riesce a stabilizzare la pressione arteriosa con uno degli agenti cardiotonici sopracitati. Essendo un potente vasocostrittore, va utilizzata con attenzione, perché la vasocostrizione periferica può alterare la perfusione degli organi interni. L'idralazina è indicata quando la resistenza vascolare periferica resta elevata anche dopo un'adeguata fluidoterapia e la contrattilità miocardica è ritenuta sufficiente. Riduce le concentrazioni del calcio nel citosol ed è principalmente un vasodilatatore arteriolare. Può essere somministrata per os o per via paraenterale. La sua emivita (nell'uomo) è di 2-4 ore e la sua durata d'azione (nel cane) è di circa 12 ore. Anche il nitroprussiato è indicato nei casi in cui la resistenza vascolare periferica resta elevata nonostante un'opportuna fluidoterapia e la contrattilità miocardica è ritenuta adeguata. Si tratta di un vasodilatatore misto, arteriolare e venulare. Viene somministrato per via endovenosa e la sua azione insorge e si stabilizza immediatamente. Nel sangue e nei tessuti, il nitroprussiato viene convertito in modo non enzimatico in cianogeno, un radicale cianuro che, a sua volta, viene metabolizzato dal fegato in tiocianato. La tossicità da cianogeno è annunciata da acidosi lattica e diminuzione dell'effetto vasodilatatore del farmaco di origine. Quella da tiocianato può manifestarsi con il delirio. L'intossicazione da nitroprussiato è più probabile nei pazienti in cui questo viene utilizzato per periodi prolungati e ad alte dosi o in quelli con insufficienza epatica o renale. A scopo preventivo e terapeutico si può somministrare idrossicobalamina (vitamina B12a). NOTE INDICAZIONI GENERALI PER LA SOMMINISTRAZIONE DEGLI AGENTI INOTROPI E VASOATTIVI Tutti i farmaci con attività beta1- o beta2- o alfa1-agonista sono potenzialmente in grado di indurre tachicardia sinusale, extrasistoli ventricolari e fibrillazione ventricolare. Se queste condizioni sono già preesistenti o quando questi agenti vengono somministrati in dosi elevate, si deve attuare un accurato monitoraggio del paziente. Questi agenti vanno impiegati con estrema cautela in caso di miocardiopatia ipertrofica, ipertiroidismo e feocromocitoma. Tutti i farmaci con una predominante attività beta2-agonista, alfa1-antagonista o miorilassante diretta sulla muscolatura liscia sono potenzialmente in grado di indurre un'eccessiva vasodilatazione ed un'ipotensione sistemica. Se queste condizioni sono già preesistenti o quando questi 101 NOTE 102 agenti vengono somministrati in dosi elevate, si deve attuare un accurato monitoraggio del paziente. Questi agenti vanno impiegati con estrema cautela nei pazienti con ipovolemia e stato di shock di qualsiasi tipo. I dosaggi consigliati sono quelli generalmente associati al conseguimento dei risultati desiderati senza la comparsa di effetti sgraditi. A causa delle variazioni dei processi patologici e delle risposte dei pazienti a questi farmaci, in certi casi si possono verificare considerevoli sovrapposizioni, per cui gli effetti indesiderati si possono manifestare a dosi minime in certi pazienti, mentre in altri è necessario somministrare dosaggi considerevolmente superiori a quelli consigliati per ottenere l'effetto auspicato. Sfortunatamente, non è possibile fornire indicazioni posologiche uniformemente efficaci e, quindi, per garantire la massima validità del trattamento è necessario basarsi su un accurato monitoraggio. Una descrizione più completa delle relazioni che intercorrono fra le varie componenti del sistema cardiovascolare si può trovare nel lavoro relativo alla "Valutazione delle funzioni cardiovascolari". Alcuni degli obiettivi della terapia cardiotonica e vasoattiva possono sembrare, a prima vista, reciprocamente controproducenti. Ad esempio, per mantenere un'adeguata perfusione ematica (allo scopo di garantire una corretta perfusione coronarica e cerebrale) può essere necessaria una certa resistenza vascolare sistemica, ma un'eccessiva vasocostrizione è controindicata perché ostacola la perfusione dei tessuti viscerali a meno che non sia necessaria per il mantenimento della pressione sanguigna nella fase iniziale del trattamento, prima della stabilizzazione del volume ematico e della funzione cardiaca. Gli specifici obiettivi terapeutici vanno adattati alle esigenze dei singoli casi e dei singoli momenti e molto probabilmente devono essere modificati (più volte) nel corso della terapia, seguendo l'evoluzione delle condizioni del paziente. È compito del clinico monitorare frequentemente la risposta del soggetto alla terapia, regolando i dosaggi ed i farmaci impiegati per adattarsi rapidamente alle varie modificazioni della situazione. La somministrazione di agenti cardiotonici e vasoattivi è in genere indicata solo dopo che il paziente non ha risposto all'ottimizzazione dello stato di idratazione e del volume vascolare. Si presume che gli eventuali problemi anatomici come il tamponamento pericardico e le emorragie siano già stati affrontati e risolti. L'obiettivo generale della somministrazione di questi farmaci è quello di mantenere a livelli adeguati/ottimali la gittata cardiaca, la pressione arteriosa ed il tono vasomotore arteriolare. Nella valutazione generale del paziente, la pressione arteriosa è il parametro con la priorità più elevata, dal momento che l'eccessiva ipotensione può causare immediatamente la morte per insufficiente perfusione coronarica e/o cerebrale. Al secondo posto si trova il tono vasomotorio (che però può essere modificato a sostegno della pressione sanguigna), perché un'eccessiva vasocostrizione provoca comunque la morte, anche se in tempi più lunghi (alcune ore), per ischemia dei tessuti viscerali e conseguenti insufficienze organiche. L'importanza della gittata cardiaca dipende dal fatto che mette in relazione la pressione arteriosa con il flusso del sangue. Da un punto di vista più specifico, tuttavia, non è possibile attribuire una priorità assoluta ad un parametro escludendo tutti gli altri, perché tutti sono importanti e reciprocamente correlati. Di solito, gli interventi terapeutici (finalizzati al mantenimento costante di una pressione arteriosa adeguata od ottimale) si sviluppano nel seguente ordine: 1) fissazione del precarico (volume ematico - fluidoterapia), 2) fissazione della contrattilità (cardiotonici) e 3) fissazione del tono vasomotore arteriolare (agenti vasoattivi). Con un'accurata scelta degli agenti simpaticomimetici da impiegare, è possibile attuare simultaneamente gli interventi dei punti 2 e 3. Lo scopo dello studio dell'omeostasi cardiovascolare è quello di rendere possibile questo risultato, in un modo o nell'altro. Molti di questi agenti cardiotonici e vasoattivi sono incompatibili con altri farmaci; non si devono quindi effettuare miscele, o se ne deve verificare preventivamente la NOTE Dosaggi degli agenti inotropi e vasoattivi* Isoproterenolo Dobutamina Dopamina Efedrina Adrenalina Noradrenalina Fenilefrina Idralazina Nitroprussiato Dosaggio (µg/kg/min) Note Da 0,05 a 0,5 Da 5 a 15 Da 2 a 8 0,1-0,5 mg/kg per dose IV, IM Da 0,05 a 1,0 Da 0,1 a 2,0 Da 1 a 10 0,5-3 mg/kg per dose IM, PO ogni 8-12 ore Da 1 a 5 Potente agente ipotensivo Stimolazione del SNC Vomito/diarrea Cianogeno, tossicità del tiocianato * Per l’esclusivo supporto cardiovascolare dell’arresto cardiaco. 103 NOTE compatibilità. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 104 Rudis MI, Basha MA, Zarowitz BJ, Is it time to reposition vasopressors and inotropes in sepsis? Crit Care Med, 1996; 24:525-537. Plumb DC, Veterinary Drug Handbook, 2nd ed., Iowa State University Press, Ames, 1995. Shoemaker WC, Appel PL, Kram HB, et al, Comparison of hemodynatnic and oxygen transport effects of dobutamine and dopamine in critically ill surgical patients. Chest 1989; 96:120- 126. Lollgen H and Drexler H. Use of inotropes in the critical care setting. Crit Care Med 1990; 18:S56-S60. Zaritsky AL, Catecholamines, inotropic medications, and vasopressor agents, in Chernow B, (ed.). The Pharmacologic Approach to the Critically Ill Patient, 3rd ed., Williams & Wilkins, Baltimore, 1994. P. 387-404. Driscol DJ, Gillete PC, Exrailson EG, Inotropic responses of the neonatal canine myocardium to dopamine, Pediatr Res 1978; 12:42-45. Maekawa K, Liang CS, Hood WB, Comparison of dobutamine and dopamine in acute mycardial infarction, Circulation, 1983; 67:750-759. van Kesteren RG, van Alphen MMA, Charbon GA, Effects of dopamine on intestinal vessels in anesthetized dogs, Circ Shock 1988; 25:41-51. Marino RJ, Romagnoli A, Keats AS, Selective venoconstriction by dopamine in comparison with isoproterenol and phenylephrine, Anesthesiology 1975; 43:570-572. Whitfield I, Sowers JR, Tuck MI, Golub MS, Dopaminergic control of plasma catecholamine and aldosterone response to acute stimuli in normal man, J Clin Endorcrinol Metab 1980; 51:724-729. 33° Congresso SCIVAC MEDICINA D’URGENZA E TERAPIA INTENSIVA NEI PICCOLI ANIMALI MONTECATINI TERME (PT), 21-23 MARZO 1997 Steve C. Haskins DVM, MS, ACVA, ACVECC University of California School of Veterinary Medicine Department of Surgical and Radiological Sciences Davis, California, USA Valutazione delle funzioni cardiovascolari Venerdì, 21 marzo 1997, ore 11.45 37 NOTE SEGNI CLINICI Frequenza cardiaca In un paziente stressato in condizioni di emergenza, la bradicardia (< 50-60 battiti/min) costituisce un riscontro inatteso. Il rallentamento della frequenza cardiaca può essere causato da 1) anestetici: narcotici, xilazina o dosi eccessive di qualsiasi anestetico generale, 2) ipertono vagale, che può essere dovuto a stimolazione faringea, laringea o tracheale ad opera di corpi estranei, compressione del globo oculare o dei muscoli retti, o infiammazione o distensione dei visceri, 3) ipossia, come evento terminale, 4) tossiemia esogena (digitale, organofosfati), 5) tossiemia endogena (ipotermia, ipotiroidismo, iperkalemia o insufficienze organiche), 6) sindrome del nodo del seno, 7) eccessivo tono vagale atrioventricolare e 8) disturbi della conduzione atrioventricolare. I pazienti in condizioni di emergenza o traumatizzati dovrebbero essere tachicardici. La tachicardia può essere causata da ipovolemia o ipotensione, eccitazione, dolore, ipossiemia, ipercapnia, ipertermia, insufficienze organiche, sepsi, farmaci (ketamina, anticolinergici, simpaticomimetici) o malattie (ipertiroidismo, feocromocitoma). Le frequenze cardiache più lente possono essere ritmicamente aritmiche, associate all'andamento a "va e vieni" del tono vagale. La condizione non dovrebbe essere associata a deficit di polso. Le frequenze più elevate non devono presentare questa aritmia sinusale ed i battiti cardiaci devono essere molto costanti. Aritmie irregolari associate a deficit di polso sono indicative di attività di un pacemaker ectopico e vanno identificate elettrocardiograficamente. Qualità del polso La qualità del polso dipende sia dall'altezza (pressione del polso = differenza fra pressione sanguigna diastolica e sistolica) che dall'ampiezza (durata) dell'onda pressoria. Altezza e durata del polso dipendono dalla gittata sistolica e dalla compliance (cedevolezza) della parete delle arterie. Inoltre, i caratteri apprezzabili con la palpazione dipendono dalle dimensioni del vaso, per cui gli animali più grandi hanno di solito un polso più marcato. Un polso 38 "debole e filiforme" o di cattiva qualità può essere dovuto ad un ridotto volume di riempimento diastolico (precarico) conseguente ad ipovolemia o ad altre cause di scarso ritorno venoso, quali tamponamento pericardico, insufficienza cardiaca, stenosi aortica, insufficienza mitralica o, semplicemente, tachicardia da qualsiasi causa. La vasocostrizione riduce le dimensioni e la compliance dei vasi e può essere una causa dello scadimento della qualità del polso. NOTE Tono vasomotorio La valutazione semi-quantitativa del tono vasomotorio si effettua con la determinazione del tempo di riempimento capillare, del gradiente termico fra la temperatura interdigitale e quella interna e della produzione di urina. Il sangue spinto da una compressione digitale fuori dal letto capillare della mucosa boccale in condizioni normali impiega circa un secondo a refluire nei tessuti. La velocità di questo reflusso dipende dallo stato degli sfinteri arteriolari precapillari e non dalla pressione arteriosa. Con del nastro, si fissa fra le dita dell'animale una termocoppia elettronica, un termistore o anche un termometro da laboratorio, per misurare la temperatura a livello interdigitale. Quindi, si calcola la differenza fra questa e quella interna, rilevata a livello rettale o esofageo. In condizioni normali, il gradiente fra questi due valori arriva fino a 4 °C. Scarti superiori sono da attribuire a vasocostrizione. La produzione di urina viene spesso usata per monitorare la perfusione dei tessuti viscerali, basandosi sul principio che se è presente vi è perfusione renale e se i reni sono irrorati, lo devono essere anche gli altri organi addominali. La vasocostrizione è causata da un incremento del tono simpatico e può essere dovuta ad ipovolemia, scarsa gittata cardiaca, eccitazione, dolore, ipossia, ipercapnia, ipotermia e somministrazione di simpaticomimetici esogeni. Dovrebbe essere una prevedibile risposta all'ipovolemia, ma il riscontro di un prolungamento del tempo di riempimento capillare non consente di definire la presenza di uno stato ipotensivo o ipovolemico, perché la vasocostrizione può essere dovuta a varie altre cause. La vasodilatazione può dipendere da ipertermia, sepsi e somministrazione di vasodilatatori. 39 NOTE MONITORAGGIO ELETTROCARDIOGRAFICO L'ECG misura l'attività elettrica del cuore e serve ad identificare le aritmie presenti. Non misura invece il rendimento del miocardio, la gittata cardiaca o la pressione sanguigna e può quindi sembrare del tutto normale anche in presenza di una scarsa efficienza meccanica dell'organo. Ai fini del monitoraggio, non è necessario applicare con precisione gli elettrodi per il rilevamento delle derivazioni. Il principale motivo per cui viene eseguito l'esame è stabilire se inizialmente le onde del tratto PQRST sembrano approssimativamente normali e se cambiano col tempo. Per un esame di breve durata, risultano soddisfacenti le pinze a coccodrillo con i denti smussati e opportunamente protetti da un imbottitura per evitare di determinare un'ischemia da compressione a carico dei tessuti sottostanti. Per il monitoraggio prolungato si devono utilizzare elettrodi adesivi monouso. Dopo aver rasato il pelo, la cute va "sgrassata" con una soluzione alcolica e spruzzata con tintura di benzoina. La maggior parte della carta da tracciato elettrocardiografico presenta una linea più spessa ogni cinque millimetri. Se la velocità della carta è di 25 mm/sec (pari ad un tratto di 5 linee spesse ogni secondo, si deve contare il numero di complessi compresi fra 10 linee spesse e moltiplicarlo per 30. Se invece la velocità è di 50 mm/sec (10 linee spesse ogni secondo) si devono contare i complessi compresi fra 20 linee spesse e moltiplicarli per 30. Il ritmo è regolare o irregolare? L'onda PQRST è costantemente presente e/o presenta forma e dimensioni approssimativamente normali? La presenza di irregolarità come l'eccessiva altezza o larghezza delle onde o le variazioni degli intervalli, è spesso indicativa di un'aritmia ventricolare. Esiste un'onda P prima di ogni QRS? L'intervallo P-R è abbreviato (fenomeni di preeccitazione, contrazioni ventricolari premature, dissociazione atrioventricolare) o prolungato (disturbi della conduzione atrioventricolare, disassociazione)? L'assenza dell'onda P contribuisce a differenziare i battiti ventricolari prematuri (extrasistoli) dai blocchi di branca e dall'ipertrofia ventricolare (tre condizioni che possono essere associate a complessi QRS ampi e di forma bizzarra). Le extrasistoli ventricolari sono di solito un segno di un processo patologico primario, ma possono evolvere in un'aritmia pericolosa per la vita del paziente 40 come la tachicardia o la fibrillazione ventricolari. Il blocco della branca destra è in genere benigno e non richiede alcun trattamento. Quello di sinistra è invece di solito indicativo di una miocardiopatia. La comparsa di onde T abnormemente alte e appuntite può essere dovuta ad iperkalemia, ipossia o dilatazione. La depressione del segmento S-T è spesso attribuita ad ipossia miocardica o ad anomalie dei livelli del potassio o del calcio, ma si osserva comunemente in cani che non mostrano alcun altro problema. Esiste una sincronia fra il tracciato dell'ECG ed il polso apprezzabile con la palpazione? I deficit di polso possono essere causati da extrasistoli atriali o ventricolari, riempimento ventricolare diastolico variabile (che si rileva soprattutto in presenza di frequenze cardiache elevate e può essere indicativo di un'ipovolemia relativa) o dissociazione elettromeccanica. Le cause della presenza di un'attività di pacemaker ectopico parossistico o persistente atriale o ventricolare sono rappresentate da 1) rilascio endogeno di catecolamine secondario a stress di qualsiasi tipo o somministrazione di catecolamine esogene, 2) ipossia o ipercapnia, 3) ipovolemia o ipotensione, 4) intossicazione da digitale (potenziata da ipokalemia ed ipercalcemia), 5) ipokalemia (potenziata da alcalosi respiratoria o metabolica, glucosio o insulinoterapia), 6) iperkalemia (potenziata da acidosi, ipocalcemia, succinilcolina o da cause iatrogene), 7) certi anestetici, che abbassano la soglia di sensibilità alle catecolamine endogene o esogene (alotano, xilazina, tiamilale, tiopentale), 8) infiammazioni, malattie o stimolazioni del miocardio (cateteri intracardiaci, sonde pleuriche), 9) traumi toracici e non, 10) insufficienza cardiaca congestizia o ipertrofica, 11) affezioni viscerali (dilatazione-torsione dello stomaco), 12) disordini intracranici (aumento della pressione, ipossia) e 13) feocromocitoma. L'attività di un pacemaker ectopico indica la presenza di un'anomalia primaria che va identificata e, se possibile, trattata. La terapia specifica delle aritmie è indicata nelle forme gravi, caratterizzate da 1) frequenza superiore a 180-200 battiti al minuto (o crisi parossistiche che restano su tali valori per un intero minuto), 2) aritmia di natura multiforme, 3) tendenza dell'incidenza o della gravità della malattia ad aggravarsi, 4) comparsa di focolai ectopici durante l'onda P del complesso precedente e 5) segni di inadeguatezza della gittata cardiaca. NOTE 41 Il trattamento dei principali gruppi di aritmie è quello sottoindicato. Aritmia Trattamento generale Bradicardia, disturbi della conduzione atrioventricolare Anticolinergici; simpaticomimetici beta-adrenergici Tachicardia parossistica atriale, flutter atriale, fibrillazione atriale Calcio-bloccanti (prima scelta nel cane); bloccanti beta-adreadrenergici (pazienti con insufficienza cardiaca ipertrofica); digitale (pazienti con insufficienza cardiaca congestizia); forte pugno sulla parete toracica; chinidina (dopo il controllo della frequenza ventricolare); cardioversione (se la condizione è dovuta ad un disordine acuto e non ad un'affezione atriale cronica) Focolai ectopici ventricolari parossistici o persistenti Lidocaina (prima scelta); chinidina o procainamide; bloccanti beta-adrenergici Inoltre, il bretilio è il miglior antiaritmico per la prevenzione ed il trattamento della fibrillazione ventricolare. Le aritmie causate dall'intossicazione da digitale vanno trattate in primo luogo sospendendo la somministrazione del farmaco responsabile e, se sono gravi, con fenitoina. La terapia delle aritmie da preeccitazione ventricolare si basa su lidocaina (farmaco di prima scelta), chinidina o procainamide; digitale e calcio-bloccanti sono da evitare. I gatti sono molto sensibili a molti agenti antiaritmici, che in questi animali vanno usati a dosi ridotte. Nei felini, i capisaldi della terapia antiaritmica sono la digossina ed il propranololo. L'obiettivo finale della terapia non è necessariamente la totale eliminazione dell'aritmia, poiché, spesso, gli effetti indesiderati degli antiaritmici si manifestano prima della ricomparsa del normale ritmo sinusale. Un semplice calo della frequenza e della gravità delle aritmie è già un risultato soddisfacente. Pressione venosa centrale La pressione venosa centrale è quella presente nel lume del tratto intratoracico della vena cava craniale. Il suo valore è determinato da volume del sangue venoso (ritorno venoso), tono venoso e gittata cardiaca. La pressione veno42 sa centrale può essere aumentata incrementando il volume ematico, riducendo la gittata cardiaca e la venocostrizione, e viceversa. In condizioni normali, nei piccoli animali è pari a 0-10 cm di H2O. Può essere pari a 0 cm di H2O anche in animali con funzione cardiovascolare per il resto normale. Se è presente una vasocostrizione, può essere di 5 cm di H2O in un animale ipovolemico. La pressione venosa centrale è una misura della capacità relativa del cuore di pompare la quantità di liquidi che tornano ad esso attraverso il circolo e, quindi, va misurata negli animali in cui si sospetta una componente di insufficienza cardiaca. Inoltre, costituisce una stima della relazione esistente fra il volume ematico e la capacità vascolare e, quindi, va misurata quando è necessario somministrare rapidamente grandi volumi di fluidi (shock settico). Si ritiene che la fluidoterapia sia stata adeguata per ristabilire un precarico ragionevole quando ha determinato la risalita della pressione venosa centrale al valore di circa 10 cm di H2O. Se, in presenza di un precarico adeguato, i "parametri del flusso anterogrado", come la gittata cardiaca, la qualità del polso, la pressione arteriosa e/o la perfusione tissutale, non sono ancora accettabili, si ritiene che il cuore sia incapace di pompare il ritorno venoso disponibile. Una volta escluse le cause organiche dell'insufficienza cardiaca, come il tamponamento pericardico o la stenosi aortica, si deve sospettare un'insufficienza sistolica, per la quale risultano indicati i simpaticomimetici. La pressione venosa periferica è variamente più elevata di quella centrale, della quale non costituisce un indice attendibile. I cateteri devono essere spinti nella vena cava craniale. Si deve evitare che vengano a contatto con l'endocardio dell'atrio o del ventricolo di destra, perché ciò potrebbe stimolare un'attività ectopica di pacemaker. Il corretto posizionamento e la non ostruzione del catetere possono essere verificati osservando le piccole fluttuazioni del menisco del liquido all'interno del manometro, che si muovono in sincronia con il battito cardiaco, e le escursioni più ampie sincronizzate con la ventilazione. La presenza di grandi fluttuazioni in sincronia con ciascun battito cardiaco può indicare che l'estremità del catetere è a ridosso del ventricolo destro. La misurazione va effettuata fra le escursioni correlate alla ventilazione, perché le variazioni della pressione pleurica influiscono su quella endoluminale nella vena cava craniale. NOTE 43 NOTE PRESSIONE ARTERIOSA La pressione arteriosa è il prodotto della gittata cardiaca, del volume del sangue arterioso e della resistenza vascolare periferica. Il mantenimento di una pressione arteriosa media di 50-60 mm Hg è importante per la perfusione cerebrale e coronarica. La palpazione digitale della qualità dell'ampiezza del polso in un'arteria periferica riflette la gittata sistolica ed è scarsamente correlata alla pressione arteriosa. Il polso debole e filiforme che si ha nell'ipovolemia è dovuto ad una ridotta gittata sistolica; questi pazienti possono essere normotesi con altre alterazioni cardiovascolari. Negli animali, la misurazione della pressione arteriosa può essere effettuata sia con una tecnica indiretta che con una diretta. Misurazione indiretta della pressione arteriosa La sfigmomanometria indiretta prevede l'applicazione di un manicotto compressivo su un'arteria di un'arto in un punto a sezione cilindrica. Il manicotto va applicato in modo che risulti comodo, né troppo stretto né troppo largo. La sua insufflazione determina una compressione sui tessuti sottostanti e, quando la pressione presente al suo interno supera quella che si ha nel lume vasale durante la sistole, impedisce totalmente il flusso del sangue. Quando il manicotto viene sgonfiato, l'urto dell'onda del polso arterioso contro la parete dell'apparecchio determina la comparsa di oscillazioni dell'ago del manometro, che corrispondono approssimativamente alla pressione sistolica. Quando la pressione nel manicotto coincide circa con quella sistolica, diventa anche possibile apprezzare il polso, mediante palpazione digitale, distalmente all'occlusione. Il metodo Doppler prevede l'applicazione di un piccolo cristallo piezoelettrico su un'arteria. Gli ultrasuoni vengono diretti verso i tessuti sottostanti. La frequenza dell'energia riflessa dai tessuti in movimento viene leggermente modificata rispetto a quella trasmessa originariamente e questa differenza viene convertita elettronicamente in un segnale udibile. L'oscillometria consiste nell'applicare un manicotto attorno ad un arto. Quindi, si misurano e calcolano le variazioni della pressione all'interno del manicotto stesso determinate dalle modificazioni delle dimensioni dell'arto 44 che si hanno quando il manicotto viene lentamente sgonfiato; su uno schermo digitale vengono evidenziati i valori delle pressioni sistolica, media e diastolica, nonché la frequenza cardiaca. Questi strumenti sono molto sensibili agli artefatti determinati dal movimento. Tutte le tecniche di misurazione esterna sono meno sensibili quando i vasi sono di piccolo calibro, quando la pressione è bassa e in presenza di una costrizione vascolare. NOTE Misurazione diretta della pressione arteriosa La misurazione diretta della pressione arteriosa è più accurata e continua rispetto a quella indiretta, ma richiede la cateterizzazione di un'arteria. Nella maggior parte dei casi, si usa quella metatarsea dorsale, nella quale il catetere viene introdotto per via percutanea. I tessuti sottocutanei presenti intorno a questa arteria sono relativamente densi, per cui è raro che dopo la retrazione del catetere si abbia la formazione di un ematoma. Le arterie femorali possono essere cateterizzate sia per via percutanea che mediante cutdown (esposizione chirurgica del vaso). In cani anestetizzati, sono state cateterizzate anche le arterie linguali. I cateteri da introdurre nell'arteria femorale devono essere lunghi, perché vi sono notevoli possibilità di movimento fra il punto di penetrazione attraverso la cute e quello di introduzione nel vaso (per cui i cateteri brevi possono venire sfilati dagli spostamenti dell'arto). I cateteri arteriosi devono essere lavati con soluzione fisiologica eparinizzata ad intervalli frequenti (ogni ora) o mediante infusione continua. Una volta inserito il catetere arterioso, lo si collega ad un sistema di monitoraggio, che può essere costituito da un lungo deflussore fissato al soffitto, che opera come per la misurazione della pressione venosa centrale. Si può anche impiegare un manometro anaeroide fissato al catetere da due deflussori, all'interno dei quali si inietta con una valvola a tre vie della soluzione fisiologica, in direzione del manometro, fino a che l'aria compressa non determina l'aumento della pressione registrata sino ad un livello superiore a quello della pressione sanguigna. Al sistema costituito dal manometro pressurizzato viene quindi permesso di porsi in equilibrio con la pressione sanguigna media del paziente. Il catetere arterioso può anche essere connesso ad un transduttore e ad un sistema di registrazione del tipo reperibile in commercio che, pur essendo molto più costosi dei siste45 NOTE mi artigianali precedentemente descritti, sono molto più facili da usare per la misurazione della pressione continua. Interpretazione delle misurazioni della pressione arteriosa In condizioni normali, le pressioni sistolica, diastolica e media sono rispettivamente pari a circa 100-160, 60-100 ed 80-120 mm Hg. Si ritiene che le pressioni sistoliche inferiori ad 80 e quelle medie inferiori a 60 mm Hg determinino un'inadeguata perfusione cerebrale e coronarica e richiedano una terapia. L'ipotensione può essere dovuta a ipovolemia, vasodilatazione periferica o riduzione della gittata cardiaca. La prima è la causa più comune. Il calo della gittata cardiaca può dipendere da una gran varietà di disturbi cardiaci (vedi "gittata cardiaca", sotto). La vasodilatazione periferica può essere causata da farmaci o costituire uno stadio preterminale di qualsiasi processo patologico. GITTATA CARDIACA La gittata cardiaca è il prodotto della gittata sistolica per la frequenza cardiaca; la gittata sistolica, a sua volta dipende dal volume di riempimento ventricolare telediastolico e dalla contrattilità. La gittata cardiaca può essere stimata mediante indicatori attraverso tecniche di diluizione che prevedono l'iniezione di una quantità nota (volume e concentrazione/temperatura) di un dato composto (l'indicatore) nell'atrio destro, misurando poi le variazioni della sua concentrazione/temperatura in un tratto del circolo situato più a valle (arteria polmonare o aorta). La gittata cardiaca può essere ridotta da 1) insufficiente ritorno venoso e scarso volume di riempimento ventricolare telediastolico (ipovolemia, pressione positiva delle vie aeree e del cavo pleurico ed occlusione del flusso determinata da cause patologiche o chirurgiche), 2) affezioni ventricolare a carattere restrittivo (miocardiopatia ipertrofica, tamponamento pericardico o fibrosi pericardica), 3) calo della contrattilità, 4) eccessiva bradicardia, tachicardia o aritmie, 5) rigurgito (flusso retrogrado) di una parte del volume telediastolico dovuto ad insufficienza delle valvole atrioventricolari o 6) ostruzione (stenosi) del cono arterioso del ventricolo. 46 33° Congresso SCIVAC MEDICINA D’URGENZA E TERAPIA INTENSIVA NEI PICCOLI ANIMALI MONTECATINI TERME (PT), 21-23 MARZO 1997 Steve C. Haskins DVM, MS, ACVA, ACVECC University of California School of Veterinary Medicine Department of Surgical and Radiological Sciences Davis, California, USA Difficoltà respiratorie Domenica, 23 marzo 1997, ore 9.00 137 NOTE Gli animali con difficoltà respiratoria presentano generalmente un quadro clinico generale di diminuzione o aumento degli sforzi ventilatori. Il calo di questi ultimi è associato a problemi dell'asse neuromuscolare, costituito da centro bulbare del respiro, vie efferenti cervicali, giunzione neuromuscolare o funzione muscolare. In caso di aumento degli sforzi ventilatori, invece, l'asse neuromuscolare è normale, ma l'animale è incapace di regolare l'assunzione di ossigeno o l'eliminazione del biossido di carbonio a causa di un'alterazione anatomica e/o fisiologica del sistema polmonare. INSUFFICIENZA RESPIRATORIA ASSOCIATA A CALO DEGLI SFORZI VENTILATORI I pazienti con insufficienza respiratoria associata a calo degli sforzi ventilatori devono essere sottoposti ad intubazione orotracheale e ventilazione fino all'identificazione dell'affezione primaria. Spesso, le disfunzioni bulbari centrali sono associate ad altri segni di interessamento intracranico, quali depressione dello stato mentale, lesioni da trauma cranico, anomalie delle dimensioni pupillari e del riflesso fotomotore, depressione dei riflessi dei nervi cranici (palpebrale, corneale, pannicolare), opistotono e respirazione irregolare, iperventilazione ed ipoventilazione cicliche, ipoventilazione ciclica ed apnea, tachipnea (con respirazione regolare), tachipnea ed apnea cicliche, respiro apneustico (sospensione inspiratoria), irregolarmente irregolare, e rantoli agonici. Le disfunzioni del midollo spinale e della giunzione neuromuscolare possono essere associate ad uno stato mentale normale e, di per sé, non si accompagnano ad altri segni di interessamento intracranico. Le affezioni del midollo toracico superiore possono causare una paralisi motoria intercostale (per cui la respirazione risulta tipicamente addominale o diaframmatica). L'"irritabilità" del nervo frenico è associata a singhiozzo - il diaframma si contrae ad ogni battito cardiaco. In entrambi i casi, l'animale respira in modo soddisfacente, ma il quadro della respirazione è alterato. Le affezioni midollari abbastanza gravi da interferire con la funzionalità del nervo frenico di solito coinvolgono anche quella dei nervi intercostali, per cui gli sforzi ventilatori sono deboli o assenti. 138 INSUFFICIENZA RESPIRATORIA ASSOCIATA AD AUMENTO DEGLI SFORZI VENTILATORI NOTE Ostruzione delle vie aeree di maggior calibro Le ostruzioni complete delle vie aeree di maggior calibro sono associate alla totale assenza di suoni polmonari e ad energici tentativi di respirazione accompagnati da retrazione della parete toracica. Le ostruzioni incomplete provocano la comparsa di suoni stertorosi (alcune gravi ostruzioni delle vie aeree superiori determinano un suono alto, "squittente"). L'ampiezza dei suoni può predominare durante l'inspirazione se l'ostruzione non è fissa (per cui il diametro della via aeree fluttua con le variazioni della pressione all'interno della via stessa) ed è localizzata a livello extratoracico, mentre può prevalere durante l'espirazione nelle ostruzioni non fisse intratoraciche. Se la lesione ostruttiva lascia libera una via dal diametro fisso, il suono si può udire sia durante l'inspirazione che nell'espirazione. Spesso, l'animale respira così rapidamente da rendere difficile determinare se il rumore è inspiratorio o espiratorio. Cause di insufficienza respiratoria associate ad aumento degli sforzi ventilatori 1. Ostruzione delle vie aeree di grosso calibro Sindrome brachicefalica (piccole dimensioni di vie nasali, vie orofaringee e glottide, eversione dei sacculi laterali) Masse faringee (ascessi, ematomi, neoplasie, corpi estranei) Edema laringeo Paralisi del nervo ricorrente laringeo Collasso tracheale Masse tracheali Masse perifaringee o peritracheali 2. Ostruzione delle vie aeree di piccolo calibro Broncocostrizione Accumulo di muco o fluidi nel lume 3. Parete toracica Pneumotorace aperto Perdita di rigidità della parete toracica 4. Ingrossamento addominale/spostamento anteriore del diaframma Torsione gastrica; ascite; piometra 139 NOTE 5. Anomalie dello spazio pleurico Pneumotorace Idrotorace Trasudato Essudato Sangue Chilo Ernia diaframmatica 6. Affezioni del parenchima polmonare Edema polmonare Polmonite 7. Malattie che simulano un'affezione polmonare Ipotensione; tamponamento pericardico Ipertermia; ansia, acidosi Anemia; oppiacei 8. Tromboembolia polmonare In presenza di un'ostruzione delle vie aeree pericolosa per la vita del paziente, bisogna esaminare in primo luogo l'orofaringe, se l'animale lo consente. Molti soggetti tendono ad assumere atteggiamenti fortemente protettivi, per cui bisogna fare attenzione a non provocare loro delle lesioni nel corso dell'esame. Se necessario, per esaminare la faringe si deve ricorrere al contenimento farmacologico. L'uso dei sedativi in questi casi non è raccomandabile, perché questi agenti possono causare un'eccessiva depressione respiratoria senza che l'effetto sul SNC sia tale da consentire l'accurato esame della faringe o, se necessario, l'intubazione del paziente. Si consiglia quindi l'impiego di un anestetico a rapida azione, come le associazioni di ketamina (5-10 mg/kg/IV) e diazepam (0,2 mg/kg IV), oppure di tiamilale o tiopentale (5-10 mg/kg IV) e diazepam (0,2 mg/kg IV). Se se ne ha il tempo, prima dell'induzione dell'anestesia generale è indicata la preossigenazione mediante insufflazione. Se è presente una massa non facilmente rimovibile o se la laringe presenta qualche forma di malfunzionamento, occorre intubare la trachea per aggirare l'ostruzione. Spesso, la massa può essere spostata di lato con un laringoscopio o un abbassalingua, per consentire una migliore visualizzazione della glottide. Altre volte, ciò risulta impossibile perché la massa è troppo grande. Quando il 140 tubo orotracheale passa nell'orofaringe, la visualizzazione delle strutture presenti risulta impedita e l'intubazione alla cieca fallisce. In questi casi, può risultare più facile l'introduzione di un tubo più piccolo o di un catetere urinario rigido da usare come mandrino lungo il quale far scivolare il tubo orotracheale spingendolo fino oltre la glottide. Lo stesso catetere urinario può essere anche utilizzato per insufflare ossigeno o attuare una ventilazione ad alta frequenza del paziente. Quest'ultima può essere effettuata, mediante getto di gas, collegando in qualche modo il catetere alla comune porta di uscita dell'apparecchio da anestesia e poi aprendo brevemente e rapidamente la valvola dell'ossigeno. L'insufflazione avviene ad una pressione molto alta, mentre l'esalazione è dovuta al rilassamento passivo della parete toracica ed alla contrazione elastica dei polmoni e può essere ostacolata dalle affezioni a carattere ostruttivo delle vie aeree. Si deve fare attenzione a non insufflare eccessivamente i polmoni. Come ultima risorsa e come procedura attuata per salvare la vita dell'animale, si può eseguire una tracheostomia d'urgenza. La tracheostomia d'urgenza va attuata con una certa cura. Nelle situazioni d'emergenza l'asepsi è sempre un problema ed il rischio di infezione della ferita e delle vie aeree è elevato. Il paziente va posizionato esattamente in decubito dorsale, in modo da escludere ogni rotazione della testa e del collo. La dissezione dei tessuti cervicali deve essere attuata secondo un ordine rigoroso. L'incisione della trachea va eseguita in modo che il tracheotubo penetri confortevolmente nel lume dell'organo; la necrosi da compressione della trachea può causare emorragie ed enfisema sottocutaneo e può predisporre il paziente alla stenosi tracheale da tracheostomia. L'incisione cutanea non va suturata strettamente a ridosso del tracheotubo; si deve permettere all'aria che fuoriesce dall'incisione tracheale di disperdersi nell'ambiente. Il tubo va poi fissato al collo dell'animale. Ogni volta che sia possibile, questo deve essere stato sottoposto ad intubazione orotracheale e trovarsi in condizioni stabilizzate, in modo da poter effettuare la tracheostomia in modo ordinato ed asettico. Se l'esame della faringe non rivela l'esistenza di un problema faringeo o laringeo, si deve presumere che il problema ostruttivo sia situato caudalmente alla laringe. Prima di effettuare le abituali indagini broncoscopiche e radiografiche, bisogna stabilizzare le condizioni del paziente. Questo viene anestetizzato (se non lo è già stato per l'esame della NOTE 141 NOTE faringe), intubato e sottoposto a ventilazione a pressione positiva. L'eliminazione degli sforzi spontanei dell'animale e l'insufflazione a pressione positiva delle vie aeree (nelle lesioni non fisse) intorno alla massa ostruente consentono di ottenere una migliore ventilazione. I cuccioli in giovane età sono soliti giocare con piccoli oggetti, che occasionalmente finiscono per inalare. Se è possibile che si sia verificata questa evenienza, sollevare il treno posteriore dell'animale ed effettuare parecchie energiche e brusche compressioni della circonferenza dell'addome (badando di evitare le costole ed il fegato). Questa "tosse" artificiale può determinare l'espulsione dell'oggetto. Le ostruzioni delle vie aeree superiori non pericolose per la vita dell'animale, ma comunque gravi, possono rispondere alla somministrazione di sedativi. Se è possibile indurre il paziente a respirare in modo più rilassato, si avrà una riduzione del restringimento delle vie aeree e della turbolenza del flusso dei gas che attraversano il tratto ostruito durante il ciclo della respirazione; la resistenza al flusso dell'aria diminuisce, come pure il lavoro della respirazione, e quest'ultima risulta più efficace. Quando si somministrano sedativi ad animali con grave compromissione respiratoria, è necessario attuare un monitoraggio accurato; la respirazione non è sempre facilitata da questi farmaci. Ostruzione delle vie aeree di minor calibro L'ostruzione delle vie aeree di minor calibro determina la comparsa di sibili dai toni medi o elevati, quasi musicali. Il restringimento diffuso di queste vie può essere causato da broncocostrizione, congestione infiammatoria dell'epitelio bronchiolare o accumuli di detriti essudativi lungo le pareti interne dei condotti. Quando i sibili risultano chiaramente udibili senza l'aiuto di uno stetoscopio, sono distribuiti diffusamente in tutto il polmone e costituiscono un problema grave, la causa più probabile della difficoltà respiratoria è la broncocostrizione. Nella forma diffusa, quest'ultima è spesso di natura allergica, in risposta a stimoli ambientali, punture di insetti o vaccinazioni. Se si ritiene che la causa del problema sia la broncocostrizione, il trattamento consiste ovviamente nella broncodilatazione. Se il problema è tale da minacciare la vita dell'animale, si deve somministrare un potente agente beta2-agonista. I 142 simpaticomimetici convenzionali (adrenalina, dopamina, dobutamina, isoproterenolo, efedrina) sono molto efficaci come broncodilatatori, ma sfortunatamente hanno alcuni effetti sistemici indesiderabili (tachicardia sinusale, extrasistoli ventricolari, ipertensione sistemica). Sebbene questi farmaci siano comunque utilizzabili, è preferibile ricorrere ai più selettivi beta2-agonisti (terbutalina, albuterolo, isoetarina, metaproterenolo). Questi agenti selettivi hanno meno effetti collaterali sistemici, non sono associati a notevoli risposte di ritorno, non provocano altrettanto facilmente lo sviluppo di tachifilassi, sono efficaci per via orale e non attraversano la barriera ematoencefalica (ad eccezione dell'efedrina e dell'aminofillina). Possono essere impiegati per via endovenosa, intramuscolare, intratracheale o semplicemente schizzati in bocca, nelle cavità nasali o nel sacco congiuntivale (l'assorbimento attraverso qualsiasi letto capillare abbondante è molto rapido). Inoltre, la loro somministrazione può essere ripetuta a seconda delle necessità del paziente. Se le difficoltà respiratorie non sono pericolose per la vita dell'animale, si possono utilizzare i più deboli broncodilatatori xantinici (aminofillina), privi di questi potenti effetti sistemici. Se la broncocostrizione riconosce una componente allergica, possono essere indicati i glucocorticoidi e gli antiistaminici. Gli anticolinergici (atropina, glicopirrolato) non sono molto efficaci come broncodilatatori nel paziente normale, ma in questi pazienti possono essere utili. NOTE Problemi della parete toracica Le lesioni penetranti della parete toracica che consentono all'aria di passare nello spazio pleurico - realizzando uno pneumotorace aperto - devono essere chiuse manualmente in modo da ripristinare la tenuta stagna. Si deve quindi introdurre un catetere o drenaggio toracico, sia attraverso la ferita che in un punto a parte, per consentire la rimozione dell'aria presente nel cavo pleurico. La tenuta stagna può essere mantenuta coprendo la ferita con una gran quantità di una pomata qualsiasi e con un bendaggio occlusivo (che comprenda eventualmente l'uso di prodotti in materiale plastico) intorno al torace. Non appena possibile, si devono effettuare la revisione chirurgica della parte e la riparazione della lesione. 143 NOTE 144 La rigidità della parete toracica può andare perduta in seguito alla lacerazione dei muscoli intercostali provocata da una ferita penetrante o da una frattura delle costole causata da un trauma da corpo contundente. Questa perdita di rigidità provoca, durante la ventilazione, la comparsa di un movimento paradosso del segmento interessato, che viene spinto verso l'interno dal calo della pressione intrapleurica durante l'inspirazione, mentre protrude durante l'espirazione. L'entità dell'interferenza di questo problema con la ventilazione dipende dalle dimensioni dell'area colpita. Le zuffe fra cani di grossa taglia con altri più piccoli provocano spesso lacerazioni intercostali caratterizzate da questo movimento paradosso. Se il tratto interessato non è molto esteso non si ha una grave dispnea; se questa è invece presente deve far sospettare l'esistenza di lesioni interne (emotorace e/o pneumotorace). Anche la frattura di una o più costole in due punti diversi determina la comparsa di un movimento paradosso della parete toracica. I segmenti di piccole dimensioni o che non ostacolano gravemente la ventilazione spesso rispondono bene al riposo forzato in gabbia per il tempo necessario. Le lesioni di questo tipo che provocano gravi difficoltà respiratorie devono invece essere opportunamente immobilizzate. Inizialmente si può effettuare una parziale stabilizzazione del segmento coricando l'animale sul lato colpito o effettuando un bendaggio del torace; in questo modo si impedisce la protrusione del segmento durante l'espirazione, ma non il suo affondamento durante l'inspirazione. Anestesia, intubazione e ventilazione a pressione positiva, che eliminano gli sforzi di ventilazione spontanea, sono solo palliativi; il segmento viene sostenuto dai polmoni. Se fosse possibile mantenere questo metodo di sostegno dall'interno per diverse settimane, si otterrebbe la stabilizzazione per il tempo occorrente alla guarigione delle fratture costali. Per offrire un adeguato supporto alla parete toracica può invece essere necessario ricorrere alla fissazione chirurgica o all'applicazione di una stecca esterna (che deve coprire sia la zona lesa che la parete toracica normale circostante e deve essere suturata sia al segmento paradosso che al tratto integro). Se la frattura costale è caratterizzata dalla dislocazione dei capi ossei, è necessario intervenire chirurgicamente. In presenza di fratture comminute, talvolta bisogna associare le varie modalità terapeutiche sopradescritte. Aumento di dimensioni dell'addome / spostamento in avanti del diaframma NOTE L'aumento di dimensioni dell'addome (torsione gastrica, raccolte di gas a livello intestinale, utero gravido, ascite) e l'applicazione intorno ad esso di bendaggi stretti provocano lo spostamento in direzione anteriore del diaframma che, nei casi gravi, interferisce con la respirazione. Le condizioni del paziente vanno stabilizzate mediante ventilazione a pressione positiva fino alla correzione del problema primario. Anomalie dello spazio pleurico Le anomalie dello spazio pleurico provocano un'attenuazione o la scomparsa dei toni cardiaci o dei suoni respiratori su un'ampia area del torace. La condizione può essere mono- o bilaterale e può prevalere nelle zone ventrali o dorsali del polmone, a seconda della natura e dell'estensione del problema specifico. Le anomalie dello spazio pleurico sono in genere più regionali di quelle lobari (torsione polmonare, polmonite lobare), che tendono ad essere localizzate. Se si sospetta un difetto di riempimento dello spazio pleurico, si deve effettuare la percussione del torace per caratterizzare meglio la natura della malattia. Si appoggia un dito su uno spazio intercostale e si batte con un dito dell'altra mano, ascoltando per rilevare l'aumento o la diminuzione delle risonanze. La procedura va ripetuta più volte in diverse zone di entrambi i lati del torace. Il riscontro di un suono dai toni alti, di lunga durata e timpanico può indicare anomalie dovute alla presenza di aria (pneumotorace, ernia diaframmatica con intrappolamento gastrico). Suoni dai toni bassi, di breve durata e ottusi indicano la presenza di liquidi (idrotorace, piotorace, ernia diaframmatica con intrappolamento di organi solidi e visceri, epatizzazione polmonare). Spesso, se il paziente è in grado di tollerare lo stress e di attendere per il tempo necessario alle operazioni di sviluppo, la ripresa di immagini radiografiche di buona qualità consente di diagnosticare una vasta gamma di alterazioni anatomiche. Gli animali con compromissione respiratoria pericolosa per la sopravvivenza non devono essere sottoposti ad indagini radiografiche; Il procedimento diagnostico e la stabilizzazione delle condizioni del paziente devono procedere senza questo tipo di ausilio. 145 NOTE 146 Se si sospetta la presenza di una raccolta di fluidi o aria, si deve effettuare la toracentesi. Per penetrare nello spazio pleurico si deve utilizzare un ago ipodermico o un catetere endovenoso collegato ad una siringa. L'ago va diretto caudoventralmente o caudodorsalmente e deve penetrare nello spazio pleurico passando a ridosso del margine anteriore di una costola (dal momento che i vasi e i nervi decorrono lungo quello posteriore). L'ago va introdotto il più possibile parallelo alla superficie pleurica della costola (in modo da tenerlo il più possibile lontano dal polmone) e va fatto progredire in modo tale che la sua punta si venga a trovare sotto l'osso (per assicurarsi di essere effettivamente penetrati nello spazio pleurico), con la bietta rivolta verso il polmone (in modo da evitare l'occlusione dell'apertura da parte della sierosa pleurica). Forse, se il primo tentativo dà esito negativo, è bene ripetere la toracentesi in più sedi (in alto e in basso, rostralmente e caudalmente). Qualsiasi fluido ottenuto deve essere conservato per essere destinato agli esami citologici e colturali o ad altre analisi di laboratorio. Si deve rimuovere abbastanza liquido da consentire all'animale di respirare senza difficoltà. Se la raccolta di fluidi o aria si riforma tanto rapidamente da richiedere frequenti e ripetuti interventi di svuotamento, si deve inserire un drenaggio permanente. Lo pneumotorace può essere spontaneo o conseguente alla perforazione traumatica , infettiva, o neoplastica delle vie aeree in un punto qualsiasi dalla trachea ai setti alveolari. Da queste sedi, l'aria può fuoriuscire attraverso il connettivo lasso e passare nel mediastino. Nel cane e nel gatto, lo pneumomediastino evolve rapidamente in pneumotorace. Naturalmente, l'aria può anche passare direttamente da una via aerea allo spazio pleurico (fistole broncopleuriche, rotture traumatiche alveolo-settali-pleuriche, rottura di una bolla polmonare). Lo pneumotorace traumatico è spesso autolimitante, per cui non è necessario ripetere lo svuotamento iniziale. Naturalmente, può anche avere un decorso progressivo e richiedere il successivo inserimento di un drenaggio permanente. L'emotorace può essere dovuto a traumi, rottura di un emangiosarcoma, infezioni e coagulopatie o può essere conseguente ad un intervento chirurgico. Se l'emorragia continua o se la diagnosi dell'affezione primaria non può essere formulata con procedure più conservative, è indicato l'esplorazione chirurgica. Il piotorace può essere dovuto a migrazione di corpi estranei, ferite penetranti, diffusione ematogena, polmonite, ascessi pleurici e perforazioni tracheali o esofagee. NOTE Affezioni del parenchima polmonare Le affezioni del parenchima polmonare sono caratterizzate da suoni anomali: murmure vescicolare aspro, rantoli o crepitii all'inizio dell'inspirazione o alla fine dell'espirazione (che indicano la presenza di una certa quantità di fluidi nelle vie aeree), rumori di bolle durante l'inspirazione e l'espirazione (presenza di fluidi in maggiore quantità), aree localizzate di sibili, fischi o squittii dai toni acuti (parziale ostruzione delle vie aeree) ed assenza localizzata del murmure vescicolare nel campo polmonare. Bisogna localizzare il punto di massima intensità dei suoni più evidenti riferibili alla presenza di liquidi, perché a livello toracico si possono udire rumori che in realtà hanno localizzazione faringea. L'auscultazione va effettuata in una stanza tranquilla, nella quale i rumori esterni siano ridotti al minimo, perché i suoni che si cerca di individuare possono essere molto lievi. L'auscultazione deve comprendere tutte le aree del campo polmonare. La natura e la distribuzione dei rumori anomali va caratterizzata nel modo più accurato e completo possibile. Spesso, se il paziente è in grado di tollerare lo stress che esse comportano, nella valutazione delle alterazioni anatomiche risultano utili le radiografie di buona qualità. Può esistere una scarsa correlazione fra l'aspetto anatomico del polmone ed il disturbo funzionale determinato dall'anomalia conseguente all'incapacità dei meccanismi omeostatici di compensare la malattia; il polmone può apparire gravemente ammalato in un animale in cui l'ossigenazione è ancora molto buona, oppure sembrare relativamente normale in presenza di una grave pneumopatia ipossiemica. Le affezioni del parenchima polmonare possono essere causate da processi infettivi, traumi da corpo contundente (forze di compressione-decompressione che causano la rottura delle membrane endoteliali ed epiteliali e riempiono l'interstizio, le vie aeree e gli alveoli di plasma e sangue), ferite penetranti, neoplasie o meccanismi passivi secondari all'aumento della pressione idrostatica capillare o della permeabilità capillare. 147 NOTE 148 Il flusso transcapillare dei fluidi viene normalmente regolato dal gradiente di pressione idrostatica intramicrovascolare/perimicrovascolare, dal gradiente di pressione oncotica intramicrovascolare/perimicrovascolare e dalla permeabilità delle membrane endoteliali del microcircolo. In condizioni normali è presente un piccolo flusso transcapillare che viene eliminato dall'interstizio polmonare attraverso le vie linfatiche. La pressione idrostatica perimicrovascolare probabilmente resta relativamente stabile e vicina a quella atmosferica. Probabilmente, non riveste un ruolo importante nel flusso transcapillare; in uno studio, è stato rilevato che anche la ventilazione a pressione positiva continua non altera la progressione del processo edematoso. La pressione idrostatica intramicrovascolare può essere aumentata in caso di insufficienza cardiaca sinistra, stenosi della valvola mitrale, costrizione venosa polmonare ed ipervolemia. Se la pressione aumenta troppo, si ha il trasudamento di una quantità eccessiva di liquidi nello spazio perimicrovascolare. Il calo della pressione oncotica (colloidosmotica), anche se riduce la soglia di sviluppo dell'edema polmonare, non è una delle principali cause dell'edema stesso, almeno finché l'ipoproteinemia non diviene molto grave, perché esiste un calo proporzionale della concentrazione delle proteine perivascolari, che accompagna la riduzione delle concentrazioni di quelle intravascolari, per cui il gradiente resta relativamente normale. Man mano che l'ipoproteinemia progredisce, i fluidi che normalmente attraversano la membrana capillare contengono meno proteine; la concentrazione proteica perivascolare viene diminuita. L'aumento della permeabilità capillare riconosce molte cause e, sfortunatamente, rappresenta un meccanismo comune alla disfunzione del parenchima polmonare nei pazienti in condizioni critiche. Non esiste alcuna terapia che consenta di ripristinare prontamente la normale permeabilità, se non il trattamento del processo patologico primario e l'efficace sostegno della funzione polmonare in modo da dare all'organo il tempo di guarire. I liquidi che raggiungono lo spazio perivascolare defluiscono verso l'ilo del polmone a causa del gradiente di pressione idrostatica fra setto alveolare ed ilo. I vasi linfatici raccolgono i fluidi dagli spazi peribronchiali e perivascolari e li reimmettono nella circolazione centrale. Quando la quantità di liquidi che fuoriesce supera le capacità del drenaggio linfatico, si ha un accumulo nel connettivo lasso degli spazi peribronchiali e perivascolari. A questo punto, non c'è alcun apparente coinvolgimento delle regioni settali o degli spazi alveolari del polmone. In questa fase interstiziale dell'edema polmonare, la compliance polmonare è minore e la respirazione è più difficoltosa. I fluidi continuano ad accumularsi nei tessuti lassi peribronchiali e perivascolari fino a che l'aumento della pressione raggiunge un livello critico, in cui il liquido inizia a passare nelle vie aeree di minor calibro e negli alveoli, probabilmente attraverso le lasse giunzioni intercellulari delle vie aeree terminali. I fluidi si accumulano sulle superfici degli alveoli e delle piccole vie aeree ed accrescono la tensione superficiale, per cui il diametro di queste viene proporzionalmente diminuito. Quando la tensione superficiale aumenta o il volume del lume si riduce fino a raggiungere un livello critico, gli alveoli e le piccole vie aeree collassano. Questo fenomeno è associato ad una riduzione della capacità polmonare totale, della capacità funzionale residua, della compliance polmonare e dell'efficienza dell'ossigenazione del sangue. La formazione della miscela di aria e liquidi che si ha quando gli alveoli collassati e pieni di liquido si espandono nuovamente determina la comparsa di bolle (schiuma) che aumentano marcatamente la resistenza opposta dalle vie aeree al lavoro della respirazione. NOTE Affezioni infiltranti diffuse del parenchima polmonare (Sindromi da difficoltà respiratoria) (Edema polmonare) A. Aumento della pressione idrostatica 1. Insufficienza cardiaca 2. Ipervolemia o elevata gittata cardiaca 3. Ipertensione 4. Edema polmonare neurogeno (costrizione venosa polmonare) 5. Stenosi della valvola mitrale B. Aumento della permeabilità capillare 1. Traumi toracici e non 2. Shock emorragico e settico 3. Infezioni virali, batteriche, micotiche o parassitarie 4. Tromboembolie - leucociti polimorfonucleati, grasso, piastrine, aria, midollo osseo, detriti cellulari (da trasfusioni di sangue) 5. Aspirazione del contenuto acido dello stomaco 6. Inalazione di fumi e vapori chimici - biossido d'azoto, cloro, ammoniaca, sostanze fosgene, bromuro, fluoruro di idrogeno, acido cloridrico, acido nitrico, acido picrico, acroleina, aldeidi 7. Inalazione di polveri minerali per cause professionali 149 NOTE 8. Disordini metabolici quali pancreatite emorragica, uremia, ipercalcemia 9. Intossicazione da ossigeno 10. Ingestione di sostanze tossiche - paraquat 11. Neoplasie: carcinoma broncoalveolare, metastasi ematogene 12. Malattie congenite dell'uomo 13. Polmonite da radiazioni 14. Ustioni termiche 15. Vari disordini immunologici dell'uomo 16. Sovradosaggio di narcotici 17. Reazioni a farmaci non narcotici: nitrofurantoina, idralazina, bleomicina 18. Coagulazione intravasale disseminata 19. Cause sconosciute Affezioni non respiratorie simili a quelle respiratorie Esistono diversi disordini non respiratori che possono causare tachipnea o accentuazione dello sforzo di ventilazione con iperventilazione, ma non ipossiemia: ipertermia, grave acidosi metabolica, eccitazione, ipotensione, tamponamento pericardico. Tromboembolismo polmonare Il tromboembolismo polmonare si può avere in conseguenza dell'embolizzazione di aria, grasso o coaguli di fibrina nel polmone. La condizione è stata segnalata in associazione con iperadrenocorticismo, endocardite, filariosi cardiopolmonare, miocardiopatia, ipotiroidismo, amiloidosi renale e periodo postoperatorio nel cane ed è stata riscontrata anche nei gatti con miocardiopatia. Vi sono buone probabilità che si verifichi nei pazienti con grave shock ipovolemico, shock settico, colpo di calore, estese neoplasie, malattie o insufficienze di organi interni e coagulazione intravasale. Gli emboli si localizzano nelle regioni capillari del polmone e determinano una cattiva perfusione (un aumento dello spazio morto della ventilazione): se l'ostruzione interessa un tratto abbastanza esteso del letto capillare, si possono avere cor pulmonale e, forse, insufficienza cardiaca destra. Il cor pulmonale può essere associato a sdoppiamento del secondo tono cardiaco, insufficienza della valvola polmonare e/o tricuspide, extrasistoli ventricolari, distensione delle vene giugulari e 150 aumento della pressione venosa centrale. Una broncocostrizione inappropriata accentua la perdita di sincronizzazione fra ventilazione e perfusione con conseguente ipossiemia (di solito associata ad ipocapnia). La diagnosi è generalmente basata sull'improvvisa comparsa di una grave dispnea e dei segni dell'ipossiemia in un paziente che presenta segni clinici o anamnestici riferibili a malattie che potrebbero causare tromboembolia e nel quale non è stato possibile identificare altre cause di difficoltà respiratoria. Spesso, le radiografie del torace appaiono normali. La diagnosi definitiva si fonda su angiografia, angiografia per sottrazione digitale o scintigrafia. Inizialmente, a scopo terapeutico è indicato il trattamento del disordine primario associato ad eparinizzazione. La terapia fibrinolitica (streptochinasi, urochinasi, attivatore del plasminogeno tissutale) può essere efficace, ma solo nelle forme gravi e potenzialmente letali di tromboembolismo, perché è costosa e comporta il rischio di una fibrinolisi sistemica. NOTE 151 33° Congresso SCIVAC MEDICINA D’URGENZA E TERAPIA INTENSIVA NEI PICCOLI ANIMALI MONTECATINI TERME (PT), 21-23 MARZO 1997 Steve C. Haskins DVM, MS, ACVA, ACVECC University of California School of Veterinary Medicine Department of Surgical and Radiological Sciences Davis, California, USA L’addome acuto Domenica, 23 marzo 1997, ore 14.00 185 NOTE Si definisce come "addome acuto" una condizione in cui un animale presenta un problema addominale che richiede un trattamento immediato, che non può attendere il completamento di procedure diagnostiche approfondite. Rientrano in questa categoria il dolore intenso, il vomito protratto e la distensione addominale grave. DOLORE ADDOMINALE INTENSO Il dolore addominale si può manifestare con anomalie del comportamento, dell'appetito o dell'attività. Si possono anche avere stranguria, tenesmo, debolezza, atteggiamenti posturali insoliti, alterazioni dell'andatura o collasso. L'animale può dare l'impressione di non riuscire a coricarsi in un modo confortevole o essere incapace di dormire. Questi soggetti, rispetto a quelli normali, tollerano meno la palpazione addominale. Si possono osservare atteggiamenti di protezione dell'area dolente (espressione ansiosa, tensione o lamenti quando si tocca loro l'addome) o reazioni di difesa attiva (tentativi di mordere). Le alterazioni fisiologiche secondarie sono rappresentate da tachicardia, tachipnea, ipertensione, aritmie, dilatazione delle pupille, ipersalivazione e/o iperglicemia. Anche l'emissione di suoni immotivati (grida, piagnucolii) in animali non affetti da malattie del SNC e non in fase di risveglio dall'anestesia può indicare un intenso dolore addominale. I recettori nocicettivi sono terminazioni nervose libere situate nella maggior parte dei tessuti dell'organismo. Le afferenze primarie delle vie nocicettive sono fibre di tipo A-delta e C. Le prime sono responsabili della prima manifestazione dolorifica, acuta, rapida e netta, associata ad una lesione. L'area deputata alla ricezione di queste afferenze è molto ben definita. Le vie di tipo C sono responsabili del secondo tipo di dolore, sordo, persistente, bruciante, pulsante e cronico. La loro area ricettiva è relativamente ampia e la localizzazione dell'origine dello stimolo è limitata alle grandi regioni anatomiche. Gli organi viscerali contengono solo fibre di tipo C, mentre nelle sierose sono presenti contengono entrambi i tipi. I recettori del dolore viscerale sono stimolati da distensione, infiammazione ed ischemia. Le indagini anamnestiche possono fornire importanti indicazioni sulla causa del dolore addominale. Quali sono state l'insorgenza e la progressione dei segni clinici, si 186 sono avuti recentemente traumi o interventi chirurgici, l'animale è predisposto all'assunzione di atteggiamenti di pica o ingestione di rifiuti, o può avere accesso a sostanze tossiche? Quali sono la frequenza e le caratteristiche del vomito, dell'urinazione e della defecazione? Qual è lo stato riproduttivo del paziente? È stato recentemente trattato con antiprostaglandinici e steroidi? Negli animali che presentano dolore addominale, è poi importante effettuare un approfondito esame clinico. Prima di proseguire nell'indagine diagnostica, occorre trattare gli eventuali stati di disidratazione, ipovolemia e shock. Si deve eseguire un esame completo del cavo orale, del retto, della colonna vertebrale e delle altre strutture di interesse ortopedico. Ci sono segni di trauma? La palpazione addominale va attuata in modo lento e delicato, per ridurre al minimo il fastidio ed il dolore per il paziente. Sono presenti ernie, ferite o masse patologiche? Queste ultime possono essere evidenziate con la palpazione profonda, unitamente alla presenza di intussuscezioni o raccolte di gas all'interno delle anse intestinali. Si devono infine effettuare gli esami di laboratorio necessari a valutare le condizioni generali del soggetto e lo stato delle strutture addominali. L'esame radiografico dell'addome permette di diagnosticare o escludere alcune condizioni patologiche, come l'organomegalia, la dilatazione-torsione dello stomaco, la piometra, la presenza di calcoli radiopachi nell'apparato urinario e gli eventuali corpi estrani radiopachi all'interno dell'intestino. Il riscontro di aria libera, principalmente fra lo stomaco o il fegato ed il diaframma, indica la rottura di un organo cavo. Si può anche verificare l'esistenza di un versamento addominale. Le radiografie addominali consentono di effettuare una valutazione globale degli organi contenuti nella cavità e delle loro reciproche relazioni. L'ecografia fornisce invece informazioni relative alla struttura di questi stessi organi. Ecograficamente, si può visualizzare un'infiammazione del pancreas o la presenza di piccoli versamenti localizzati, facilitando la paracentesi. La paracentesi addominale a scopo diagnostico è indicata nei casi in cui sono presenti dei fluidi in addome. L'operazione va evitata se si sospetta una piometra, perché si potrebbe facilmente determinare una lacerazione uterina. Si rade il pelo e si prepara secondo le regole dell'antisepsi la regione medio-addominale destra (in modo da evitare il NOTE 187 NOTE 188 fegato, la milza e la vescica). L'animale può essere in stazione o in decubito laterale. Si introduce delicatamente un ago da 22 G nella cavità peritoneale. Si effettua quindi una cauta aspirazione, o si lascia gocciolare il liquido dal cono dell'ago in una provetta sterile. Se non si riesce ad aspirare alcun liquido, si deve ripetere l'intera operazione in una o due sedi differenti. Se la paracentesi addominale ha esito negativo, può essere indicato un lavaggio peritoneale diagnostico. Si tratta di una tecnica molto accurata. L'animale viene posto in decubito laterale, quindi si rade e prepara asetticamente una zona della regione medio-addominale destra. È necessaria l'anestesia locale. Si introduce nella cavità addominale un catetere di grosso calibro ad ago interno con fenestrazioni supplementari, attraverso il quale si esegue l'infusione di 20 ml/kg di soluzione fisiologica sterile riscaldata. L'animale viene fatto delicatamente rotolare su se stesso, massaggiandone l'addome per diversi minuti, allo scopo di ottenere una distribuzione uniforme del liquido, che viene infine aspirato o lasciato defluire passivamente e destinato all'analisi. Il fluido addominale viene sottoposto a valutazione macroscopica ed esame citologico, batteriologico e chimico (livelli di azoto ureico, creatinina o potassio per la presenza di urina; bilirubina per la bile; amilasi o lipasi in caso di pancreatite). Se si osservano dei batteri, è indicata una colorazione di Gram per facilitare la scelta iniziale dell'antibiotico da impiegare. Il riscontro di un ematocrito superiore al 2% indica un'emorragia in atto e richiede un ulteriore monitoraggio o un intervento chirurgico. L'aumento dell'ematocrito del versamento suggerisce un'emorragia in atto. Il riscontro di un numero di leucociti inferiore a 500/ml è da considerare normale, nel periodo postoperatorio si può arrivare a 1500/ml, ma valori superiori a 2000/ml sono sempre indicativi di un'infiammazione attiva. Qualsiasi riscontro di batteri, materiale vegetale o fecale o pigmenti biliari nel fluido indica, rispettivamente, un'infezione, una rottura del tratto gastroenterico o una fuoriuscita di bile ed impone il ricorso alla chirurgia. Nella maggior parte dei casi, si deve rimuovere dalla cavità addominale solo la quantità di liquido necessaria per le analisi, lasciandovi il resto. L'allontanamento di elevate quantità di eritrociti e proteine finirebbe col provocare la deplezione delle riserve dell'organismo. La paracen- tesi addominale a scopo terapeutico è indicata in caso di 1) presenza di un versamento di entità tale da compromettere la respirazione, 2) fluido settico o contenente bile o urina, 3) esecuzione di una dialisi peritoneale e 4) attuazione di un'autotrasfusione. NOTE Cause di intenso dolore addominale Epatite acuta Colecistite Colangioepatite Neoplasie Traumi Rotture del dotto biliare Gastroenterite emorragica Enterite virale (Parvovirosi, panleucopenia, infezione da coronavirus) Ulcere gastriche/duodenali Gastrite aspecifica Dilatazione-torsione dello stomaco Ostruzione intestinale Intussuscezione Ulcere gastriche/duodenali perforate Ernia/incarceramento intestinale Volvolo mesenterico Pancreatite acuta Pancreatite necrotizzante o emorragica Torsione splenica Nefrite acuta Metrite Prostatite Calcoli renali, ureterali, vescicali o uretrali Torsione uterina Torsione testicolare Infezione testicolare Peritonite (bile, sangue, urina, pancreatite, rottura di un viscere) Dolori di origine extraaddominale Traumi della parete addominale Miosite Lesioni spinali/discopatie 189 NOTE PANCREATITE NECROTIZZANTE La pancreatite si osserva di solito nelle cagne di media età in condizioni di sovrappeso, mentre è rara nel gatto. Spesso è causata da un pasto ricco di grassi. Può anche essere dovuta a diabete mellito, ipotiroidismo, iperadrenocorticismo, uremia, ostruzioni duttali, traumi ed ischemia. Queste stesse condizioni possono agire anche da cause predisponenti. I segni clinici più costantemente riscontrati sono il vomito ed il dolore addominale. Nei casi gravi si possono avere anche diarrea, ittero, ascite, aritmie cardiache, difficoltà di respirazione ed ipocalcemia. Non esistono esami di laboratorio specifici per la diagnosi di pancreatite. Anche i livelli sierici di amilasi e lipasi possono aumentare per ragioni diverse, mentre sono risultati normali in casi di pancreatite confermata. La diagnosi si basa spesso sulla corretta raccolta dei dati relativi al segnalamento ed all'anamnesi, sul riscontro di livelli plasmatici molto elevati di lipasi, sull'incremento delle concentrazioni di amilasi e lipasi nel fluido addominale, sulla presenza di tipici quadri radiografici (aumento della radiopacità nell'area del pancreas, accumulo di gas a livello duodenale) ed ecografici (se visibili). Inizialmente si verifica un danneggiamento degli acini del pancreas, seguito dall'attivazione degli enzimi digestivi, che provocano l'autodigestione dell'organo e dei tessuti circostanti. Gli inibitori delle proteasi plasmatici e tissutali (alfa-macroglobuline) vengono sopraffatti. L'edema della ghiandola, il rilascio dei mediatori chimici della flogosi e la continua attivazione degli enzimi pancreatici rendono autoperpetuante il decorso del processo patologico. Il trattamento è volto a favorire al massimo la perfusione pancreatica attraverso un'opportuna fluidoterapia ed a ridurre quanto più possibile le secrezioni della ghiandola (nulla per os). È importante la somministrazione di antibiotici ed analgesici. Le trasfusioni di plasma fresco possono servire a ripristinare gli inibitori plasmatici delle proteasi. Per i casi gravi di peritonite, può servire il lavaggio peritoneale. Il ricorso all'intervento chirurgico è controverso ed è indicato solo raramente, quando le condizioni del paziente si deteriorano nonostante una terapia medica aggressiva o se si sospetta un ascesso pancreatico o un'ostruzione del dotto biliare. 190 VOMITO PROTRATTO NOTE Il vomito consiste nell'eliminazione attiva e forzata del contenuto dello stomaco, causato dalla contrazione dei muscoli addominali. Generalmente si ritiene che il "centro del vomito" nella formazione reticolare del tronco encefalico venga stimolato dalla zona chemiorecettoriale scatenante, sotto l'influsso delle afferenze ascendenti vagali o simpatiche, dell'apparato vestibolare o della corteccia cerebrale. La zona chemiorecettoriale scatenante viene stimolata principalmente da sostanze umorali (come quelle presenti nelle uremie e nelle tossiemie), digitale, oppiacei o altri farmaci, infezioni e chinetosi. La stimolazione meccanica e/o l'infiammazione del tratto gastroenterico, del peritoneo, delle vie genitourinarie, del cuore, dei polmoni e del fegato attivano le fibre nervose afferenti ascendenti vagali e simpatiche. La chinetosi e le affezioni vestibolari, nonché le influenze emotive della corteccia cerebrale, provocano la nausea e stimolano direttamente il centro del vomito. L'attività dei recettori centrali e periferici responsabili della mediazione del vomito sono di tipo D2-dopaminergico, alfa2-adrenergico, 5-HT3-serotonergico, M1-colinergico, H1- ed H2-istaminergico ed ENKµ- ed ENK∂-encefalinergico. I recettori sono localizzati in più sedi ed è quindi impossibile dire, ad esempio, se la stimolazione della zona chemiorecettoriale scatenante è mediata esclusivamente da alcuni di essi. Sembra che riguardo alla distribuzione dei recettori ed all'efficacia di certi antiemetici esistano delle differenze di specie (Washabau RJ, 1995). Molti antiemetici mostrano un'attività nei confronti di più recettori e, quindi, riconoscono molteplici meccanismi (e siti) di potenziale efficacia. La maggior parte delle cause di vomito è di tipo multifattoriale. Il vomito può determinare l'aspirazione di materiale nelle vie aeree, determinandone l'ostruzione fisica o provocando una tracheobronchite o una broncopolmonite secondarie alla contaminazione batterica dell'apparato respiratorio e, se il pH del materiale aspirato è inferiore a 2,0, causando l'immediata necrosi da contatto dell'epitelio delle vie aeree. Se è prolungato, il vomito causa disidratazione e disturbi degli elettroliti. Le anomalie di questi ultimi nei pazienti con vomito protratto dipendono 1) dalla presenza o meno di reflusso duodenale e 2) dal fatto che l'animale abbia avuto o meno a disposizione dell'acqua da bere. 191 NOTE Concentrazioni medie degli elettroliti (mEq/l) nei fluidi gastrici e duodenali normali (nell'uomo) e nel vomito (in 7 cani) Succo gastrico Succo duodenale Vomito Sodio Potassio Cloro Bicarbonato 20-100 100-200 54-121 5-10 5-10 5,6-27,7 120-160 10-80 56-160 0 20-120 32-52 Gli animali che vomitano solo succhi gastrici tendono a manifestare ipernatremia, ipocloremia, iperbicarbonatemia ed ipokalemia. Nella maggior parte dei cani e dei gatti, tuttavia, prima del vomito si ha il riflusso di una considerevole quantità di secrezioni duodenali nello stomaco, per cui alla fine si ha la perdita di una soluzione alcalina. Questi animali sono in genere ipernatremici, ipercloremici, ipobicarbonatemici ed ipokalemici. Il "vomito duodenale" è l'evento di gran lunga più comune, che viene confermato dal riscontro di una colorazione verdastra o giallastra del materiale emesso o dalla misurazione del pH dello stesso. Gli animali che bevono acqua nel periodo del vomito presentano in genere iponatremia. ANTIEMETICI La metoclopramide è un antagonista dei recettori D2dopaminergici e 5-HT3-serotonergici che inibisce il vomito indotto da un'irritazione gastrointestinale e dalla stimolazione della zona chemiorecettoriale scatenante. Il farmaco possiede anche certi effetti sedativi e può causare manifestazioni extrapiramidali, disorientamento ed eccitazione (specialmente in dosi elevate). Probabilmente, non va usato nei pazienti con disordini convulsivi. La metoclopramide accentua anche lo svuotamento dello stomaco attraverso la sensibilizzazione colinergica periferica e, quindi, senza stimolazione delle secrezioni gastriche, pancreatiche o biliari. I suoi effetti sono inibiti dagli anticolinergici e, presumibilmente, accentuati dai colinergici. Il farmaco aumenta il tono dello sfintere esofageo inferiore (inibendo il reflusso gastrico), determina il rilasciamento del tono di quello pilorico ed aumenta la peristalsi del duodeno e del digiuno (ma non del colon). Può essere causa di dolore addominale e diarrea e non va usata nei pazienti con ostruzione intestinale. La cisapride è un antagonista dei recettori 5-HT4-serotonergici e dopaminergici. Aumenta la peristalsi del tratto inferiore dell'esofago ed il tono dello sfintere ed accentua lo 192 svuotamento gastrico incrementando il rilascio di acetilcolina (senza causare altre manifestazioni muscariniche o nicotiniche). Non va usata nei pazienti con ostruzione intestinale. La clorpromazina è un antagonista dei recettori D2dopaminergici, alfa1- ed alfa2-adrenergici, M1-colinergici ed H1- ed H2-istaminergici con effetti tranquillanti, antiemetici e vasodilatatori. Può causare manifestazioni extrapiramidali (tremori, incoordinamento). In genere, viene considerata un antiemetico molto efficace. La difenidramina è un antagonista dei recettori H1 con effetti sedativi, anticolinergici, antitussigeni ed antiemetici. L'ondansetrone è un antagonista dei recettori 5-HT3serotonergici che inibisce il vomito agendo sulla zona chemiorecettoriale scatenante e sulle afferenze vagali. Il domperidone è un antagonista D2-dopaminergico che inibisce il vomito agendo sulla muscolatura liscia gastroenterica. È dotato di attività sia procinetica che antiemetica (zona chemiorecettoriale scatenante). Non supera la barriera ematoencefalica ed è quindi privo di effetti sul SNC (sonnolenza, eccitazione, segni extrapiramidali). Non possiede attività colinergica e non è inibito dall'atropina. La scopolamina è un antagonista M1-colinergico che inibisce il vomito agendo sull'apparato vestibolare e sulla zona chemiorecettoriale scatenante. Inoltre, è un antagonista M2- ed M3-colinergico e, quindi, inibisce lo svuotamento gastrico e la peristalsi intestinale. La yoimbina è un antagonista alfa2-adrenergico che inibisce l'emesi agendo sulla zona chemiorecettoriale scatenante e sul centro del vomito. I cannabinoidi (nabilone) mostrano effetti antiemetici, forse dovuti ad un'azione sul centro del vomito. Le benzodiazepine possono diminuire l'emesi, probabilmente attraverso i loro effetti ansiolitici. NOTE Meccanismo d'azione dei farmaci antiemetici Cisapride Clorpromazina Domperidone Difenidramina Metoclopramide Ondansetrone Scopolamina Yoimbina D2-dopaminergico alfa1- e alfa2- adrenergico antag antag antag antag 5-HT3serotonergico 5-HT4-antag 5-HT3-antag 5-HT3-antag antag M1colinergico H1- e H2istaminergico antag antag antag H1-antag antag antag 193 Dosaggi ed effetti collaterali dei farmaci antiemetici Farmaco Dosaggio Effetti collaterali Clorpromazina 0,2-0,4 mg/kg ogni 8 ore SC, IM Calo della pressione sanguigna, sedazione, segni extrapiramidali Cisapride 0,1-0,1 mg/kg ogni 8 ore per os Diarrea Domperidone 0,1-0,3 mg/kg ogni 12 ore IM Difenidramina 2-4 mg/kg ogni 8 ore per os, IM Sonnolenza, secchezza delle fauci, eccitazione Eritromicina 0,5-1,0 mg/kg ogni 8 ore per os, IV Può causare vomito Metoclopramide 0,2-0,5 mg/kg ogni 6-8 ore per os, SC, IM 0,05-0,1 mg/kg/ora IV Segni extrapiramidali, eccitazione Ondansetrone 0,5-1,0 mg/kg per os 0,5-1,0 mg/kg per os ogni 12-24 ore Sedazione, scuotimento della testa Scopolamina 0,03 mg/kg ogni 6 ore, SC, IM Secchezza delle fauci, stasi gastroenterica, sonnolenza Yoimbina 0,1-0,5 mg/kg ogni 12 ore, SC, IM Eccitazione, sedazione STRATEGIE TERAPEUTICHE PER IL TRATTAMENTO DEL VOMITO Nell'ambito dei mediatori del processo del vomito, sembrano esistere delle differenze di specie.2 Il ruolo dei recettori D2-dopaminergici ed H1- ed H2istaminergici nell'induzione del vomito mediato dalla zona chemiorecettoriale scatenante sembra essere maggiore nel cane che nel gatto, mentre in quest'ultimo paiono essere più importanti i recettori alfa2-adrenergici. È noto che i recettori 5-HT3-serotonergici sono molto significativi nel cane. Questa caratteristica può costituire un problema per l'uso degli antiemetici cosiddetti unifocali, ma la maggior parte degli agenti comunemente impiegati agisce su più di un sito recettoriale, per cui le differenze di specie nella risposta ai singoli farmaci sono di lieve entità. La metoclopramide e la clorpromazina, ad esempio, sono efficaci come antiemetici sia nel cane che nel gatto. In letteratura si trovano tutti i dati relativi alle sedi di localizzazione degli specifici recettori ed all'attività che esercitano su di essi i singoli antiemetici (Washabau RJ, 1995; King GL, 1990), tuttavia la sovrapposizione esistente fra i diversi agenti sembra sufficiente a far ritenere non 194 necessario che, al momento attuale, il clinico si preoccupi di questi dettagli. In altre parole, se un antiemetico non funziona, se ne deve provare un altro. Tuttavia, al momento di scegliere il secondo antiemetico da inserire nel protocollo terapeutico, può essere prudente accertarsi che agisca su una differente gamma di recettori. Un aspetto importante di qualsiasi terapia antiemetica è che lo stomaco deve essere vuoto. Di solito, per questo scopo si impedisce all'animale di assumere qualsiasi cosa per via orale. È anche importante incoraggiare la motilità intestinale, soprattutto nei pazienti in condizioni critiche che non sono in grado di vomitare (oltre che, naturalmente, per ragioni nutrizionali). I farmaci che favoriscono lo svuotamento gastrico sono rappresentati da metoclopramide, cisapride, eritromicina (che determina il rilascio di un ormone, la motilina, che innesca la fase III del complesso mioelettrico migrante), domperidone e, come ultima risorsa, betanecolo (un colinomimetico che di solito viene usato solo in associazione con la metoclopramide). Fra i farmaci che impediscono lo svuotamento dello stomaco e predispongono il paziente all'ileo rientrano gli agonisti dei recettori M2 come la scopolamina, l'atropina ed il glicopirrolato. Nei pazienti con stasi intestinale ed in quelli con ulcere, accertate o presunte, per ridurre l'acidità gastrica e, rispettivamente, proteggere con un rivestimento le aree ulcerate sono stati impiegati gli antagonisti dei recettori istaminici H2 (cimetidina, ranitidina) ed il sucralfato. Questi agenti possono anche ridurre l'incidenza del vomito diminuendo l'irritazione fisica della mucosa gastrica e gli impulsi delle afferenze vagali diretti al centro del vomito. Può essere indicato il misoprostil. Per il trattamento della chinetosi nel cane sono maggiormente indicate la difenidramina o la scopolamina, mentre nel gatto è preferibile la clorpromazina (Washabau RJ, 1995). Il vomito uremico va trattato con la somministrazione di metoclopramide, un antagonista dei recettori H2 e sucralfato. Quello indotto dalla chemioterapia è mediato dai recettori 5-HT3-serotonergici ed è stato trattato con successo con l'ondansetrone. In presenza di vomito protratto da cause sconosciute, è indicata la terapia sintomatica. Si devono somministrare vari antiemetici in differenti combinazioni, procedendo per tentativi, fino ad individuare il trattamento efficace. NOTE 195 Altri farmaci potenzialmente utili nel trattamento del vomito del cane e del gatto Farmaco Indicazioni Azione Dosaggio Sucralfato Ulcere gastroenteriche Si lega ai siti ulcerati Cimetidina Riduzione della secrezione acida dello stomaco Riduzione della secrezione acida dello stomaco Riduzione della secrezione acida dello stomaco Antiacidi Antagonista dei recettori H2 0,25-1 g per cani e gatti di piccola e grossa taglia, rispettivamente 5-10 mg/kg per os, IV, IM ogni 6-8 ore 0,5-2 mg/kg per os, IV, IM ogni 8-12 ore 0,5-1 mg/kg per os ogni 24 ore 1-10 ml Ranitidina Omeprazolo Idrossido di alluminio, calcio o magnesio Misoprostil Riduzione della secrezione acida dello stomaco e trattamento delle ulcere gastrointestinali Antagonista dei recettori H2 Inibizione della pompa protonica H+K+ATPasica Neutralizzazione dell'acido gastrico Analogo di sintesi della prostaglandina E1 1-5 µg/kg per os ogni 8 ore Il sucralfato reagisce con l'acido cloridrico per formare un complesso che si lega agli essudati proteinacei a livello delle ulcere proteggendo la parte dall'ulteriore danneggiamento ad opera di pepsina, acidi o bile. Può anche stimolare l'attività delle prostaglandine E2 ed I2 e, quindi, possiede un effetto citoprotettivo simile a quello del misoprostil. Non altera la secrezione di acido, tripsina ed amilasi. Il sucralfato riduce la biodisponibilità e l'assorbimento degli altri farmaci e può causare costipazione. La cimetidina e la ranitidina bloccano i recettori H2 della membrana basolaterale delle cellule parietali dello stomaco. Riducono la produzione di acido e non alterano il tempo di svuotamento gastrico, il tono dello sfintere esofageo e di quello pilorico o la secrezione pancreatica o biliare. La cimetidina, ma non la ranitidina, inibisce la funzione enzimatica microsomiale P450 a livello epatico e può alterare il metabolismo di altri farmaci comunemente usati (ß-bloccanti, Ca-bloccanti, diazepam, metronidazolo, acetaminofene), si lega ai linfociti T e può aumentare l'immunità cellulo-mediata, si unisce ai recettori H2 degli eritrociti e delle piastrine e può essere associata ad anemia e trombocitopenia. Entrambi i farmaci vanno somministrati a distanza di tempo (almeno 2 ore) da qualsiasi altro agente (antiacidi, metoclopramide, sucralfato). La ranitidina può diminuire lo svuotamento gastrico. La cimetidina (la ranitidina molto meno) supera la barriera emato196 encefalica e si può accompagnare a confusione mentale/depressione. Entrambe, in virtù dell'aumento del pH intragastrico, possono consentire il ripopolamento dello stomaco e del cavo orale da parte di microorganismi potenzialmente patogeni che, a loro volta, predispongono i pazienti all'insorgenza di polmoniti nosocomiali. La famotidina e la nizatidina sono due nuovi antagonisti dei recettori H2 che, rispetto alla cimetidina, possono essere associati a minori effetti collaterali. L'omeprazolo è un inibitore della pompa protonica dell'acido gastrico. In un ambiente acido, viene attivato a sulfenamide, che si lega irreversibilmente all'enzima ATPasico di scambio H +/K + sulla superficie secretoria delle cellule parietali. Il superamento dell'effetto del farmaco dipende dalla sintesi di una nuova proteina H+/K+ ATPasica (3 giorni). Questo agente inibisce anche il sistema ossidasico misto P450 del fegato e, quindi, impedisce la metabolizzazione di una gran varietà di altri farmaci (sedativi ed anestetici). Può causare crampi addominali, vomito e diarrea. Gli antiacidi sono stati ampiamente soppiantati dal sucralfato e dagli H2-bloccanti, che risultano più efficaci e con meno effetti collaterali. Neutralizzano l'acido gastrico, inibiscono l'attività proteolitica della pepsina ed hanno un effetto astringente locale. Possono essere usati ad integrazione di altri composti e sono ancora indicati per la terapia dell'iperfosfatemia nell'insufficienza renale; possono causare ipofosfatemia nei pazienti in cui tale insufficienza non è presente. La somministrazione di questo prodotto determina l'assorbimento di importanti quantità di magnesio, che ne sconsigliano l'uso in caso di insufficienza renale. Alcuni di questi farmaci contengono una quota significativa di sodio e potassio e vanno quindi usati con cautela nei pazienti con ipernatremia o iperkalemia. La presenza di alluminio può ritardare lo svuotamento gastrico. Alluminio e calcio possono essere causa di costipazione, mentre il magnesio può indurre diarrea. Anche questi farmaci vanno impiegati a distanza di tempo da tutti gli altri agenti somministrati per os. Il misoprostil inibisce direttamente la secrezione acida delle cellule parietali ed ha un'azione citoprotettiva dovuta all'aumento di secrezione di muco gastrico e bicarbonato. Il farmaco accresce anche i meccanismi di difesa della mucosa e la guarigione delle lesioni causate dagli acidi. È specificamente indicato per la terapia delle complicazioni NOTE 197 NOTE gastroenteriche della somministrazione di antiprostaglandine, ma non interferisce con gli effetti antiinfiammatori/ analgesici di questi farmaci. Il misoprostil aumenta le contrazioni uterine ed è specificamente controindicato negli animali gravidi. Aumenta anche la motilità gastroenterica, per cui si possono avere problemi di crampi, diarrea o vomito. Cause di vomito Epatite, colecistite, colangioepatite Neoplasie addominali Traumi addominali Ostruzione o rottura del dotto biliare Gastrite (ulcere gastriche/duodenali, intossicazione da rifiuti/ingestione di materiali non alimentari) Enteriti virali (parvovirosi, panleucopenia, coronavirus) Dilatazione-trosione dello stomaco Ostruzione intestinale (corpi estranei, intussuscezioni, incarceramento intestinale, volvolo) Pancreatite acuta o cronica Torsione splenica Insufficienza renale acuta o cronica Metrite o piometra Prostatite Calcoli renali, ureterali, vescicali o uretrali Torsione uterina o testicolare Peritonite Nausea da qualsiasi causa Squilibrio vestibolare GRAVE DISTENSIONE ADDOMINALE La distensione addominale può essere causata da neoplasie, emorragie, ascite conseguente ad insufficienza cardiaca o epatica, peritonite da qualsiasi causa, gravidanza, piometra, dilatazione-torsione dello stomaco. La condizione costituisce un problema quando 1) determina uno spostamento in avanti del diaframma di entità tale da ostacolare la respirazione, 2) nei casi in cui è dovuta ad emorragia e provoca un'eccessiva ipovolemia, 3) quando è conseguente ad un processo congestizio o flogistico/settico e provoca una continua perdita di liquidi in questo "terzo spazio" e 4) in caso di distensione gastrica, se impedisce la respirazione ed il ritorno venoso al cuore ed è causa di ischemia gastrica e splenica. 198 Le anomalie dovute all'accumulo di liquidi in cavità devono essere caratterizzate attraverso l'esame citologico. Le ulteriori indagini diagnostiche dipendono dalla sospetta causa del problema. NOTE DILATAZIONE-TORSIONE DELLO STOMACO La dilatazione-torsione dello stomaco è un problema dei cani di grossa taglia a torace profondo, benché sia stata segnalata anche in soggetti di piccola mole e nel gatto. La causa è sconosciuta, ma associata all'assunzione in un unico pasto di grandi quantità di alimenti commerciali altamente digeribili, per cui la condizione potrebbe essere associata a ritardato svuotamento dello stomaco ed estese fermentazioni. La rotazione dell'organo può avvenire in ogni direzione, ma di solito si verifica in senso orario. Il piloro e l'antro pilorico si spostano ventralmente attraverso la linea mediana e salgono lungo la parete addominale di sinistra fino ad arrivare in prossimità del cardias. Lo stomaco torto e disteso ostruisce il ritorno venoso dalla metà caudale dell'organismo e, quindi, riduce la gittata cardiaca. A livello dell'organo vengono sequestrati dei fluidi e la parete gastrica può subire un danno cellulare ischemico (cui segue un danno da riperfusione quando la rotazione viene eliminata). Entro 12-36 ore si riscontra comunemente un'attività ectopica di pacemaker, dovuta a cause multifattoriali. Lo stomaco disteso determina lo spostamento in avanti del diaframma ed interferisce con la respirazione. La dilatazione gastrica acuta, associata o meno a torsione, avviene di solito entro poche ore da un pasto abbondante ed è spesso associata ad attività fisica. L'addome appare macroscopicamente disteso e timpanico. Radiograficamente, con il paziente in decubito laterale destro, il piloro risulta posto dorsalmente e cranialmente al fondo dello stomaco. In decubito sternale, lo stesso piloro è situato a sinistra della linea mediana. Lo stomaco può apparire "compartimentato", attraversato da una linea radiopaca corrispondente ad una plica della parete. Anche la milza può essere in posizione anomala. Il trattamento prevede in primo luogo il ripristino del volume dei liquidi organici e la correzione delle anomalie elettrolitiche, seguiti dalla decompressione dello stomaco mediante inserimento di una sonda orogastrica di grosso 199 NOTE calibro. Lo stomaco va svuotato di tutto il cibo, i detriti ed i liquidi in esso contenuti e lavato con acqua pulita. Se l'inserimento della sonda risulta impossibile, si deve effettuare una gastrocentesi percutanea attraverso la parete addominale sinistra con un lungo e grande catetere. Se si sospetta la torsione (in base ai riscontri radiografici e perché è impossibile introdurre la sonda nello stomaco) è indicato l'intervento chirurgico. Quando un addome acuto è candidato al trattamento chirurgico? La chirurgia d'urgenza è richiesta nelle seguenti situazioni generali: 1) emorragia addominale continua che non risponde alla contropressione ed alla fluidoterapia aggressiva; 2) segni radiografici o ecografici di gas libero in addome, che di solito denota la rottura di un viscere cavo; 3) presenza nel liquido addominale di batteri intracellulari, pigmenti biliari, feci o materiale vegetale; 4) ernia addominale, sventramento o ferite penetranti da morso, da arma da fuoco o da coltello. 5) ostruzione intestinale completa, compresa la torsione dello stomaco. Bibliografia Campbell M, Bateman DN, Pharmacokinetic optimisation of antiemetic therapy, Clin 1992; 60, 1992. Dutta SK, Sood R, Clinical pharmacology of drugs used in GI disorders of critically ill patients, in Chernow B (ed), The Pharmacologic Approach to the Critically Ill Patient, 3rd ed, Williams & Wilkins, Baltimore, 1994. P. 614631. King GL, Animal models in the study of vomiting, Can J Physiol Pharmacol, 1990;68-260. Plumb DC, Veterinary Drug Handbook, Iowa State University Press, Ames. Saxon WD. The Acute Abdomen in Vet. Clinics of North America Small Animal Prac. Vol 24 Number 6 Nov. 1994. Washabau RJ, Elie MS, Antiemetic therapy, in Kirk’s Current Veterinary Therapy XI, Bonagura JD, (ed.), WB Saunders Co., Philadelphia, 1995, p. 679-684. Waxman IL, The Acute Abdomen, in Textbook of Critical Care Medicine, Ayers SM, et al. (eds), WB Saunders Co, Philadelphia, 1995. 200 33° Congresso SCIVAC MEDICINA D’URGENZA E TERAPIA INTENSIVA NEI PICCOLI ANIMALI MONTECATINI TERME (PT), 21-23 MARZO 1997 Douglass K. Macintire DVM, MS, ACVIM Department of Small Animal Surgery & Medicine College of Veterinary Medicine Auburn University, AL 36849 Approccio al paziente in condizioni di emergenza Venerdì, 21 marzo 1997, ore 10.15 29 NOTE VALUTAZIONE DELLA GRAVITÀ DEL CASO Quando un paziente viene portato ad un ospedale veterinario che effettua attività di emergenza, bisogna identificare immediatamente tutti i problemi pericolosi per la sua sopravvivenza. Per definizione, con questo processo di valutazione i pazienti vengono classificati in relazione all'urgenza delle loro esigenze di un intervento medico. Non appena un animale entra in sala d'attesa, l'addetto alla reception deve immediatamente chiamare la sala visita con l'interfono per richiedere una valutazione del caso, che può essere effettuata tanto da un tecnico esperto quanto da un veterinario. I problemi potenzialmente pericolosi per la vita dell'animale devono essere affrontati immediatamente. I quattro apparati di importanza critica da valutare nei soggetti in condizioni di emergenza sono quelli cardiovascolare, respiratorio, neurologico ed urinario. Nella Tabella 1 sono elencati i problemi di questi apparati che richiedono un'attenzione immediata. Mentre si stabilisce perché il cliente ha portato l'animale alla visita, si valutano i segni vitali del paziente, con particolare riguardo a colore delle mucose, tempo di riempimento capillare, qualità del polso, frequenza cardiaca, frequenza e sforzo respiratori. Se questi segni vitali sono stabili, l'animale può attendere insieme al proprietario che il veterinario si liberi. Se invece questo primo esame evidenzia già dei problemi, l'animale viene introdotto direttamente nella sala destinata alla terapia d'urgenza, mentre il proprietario espleta le formalità del ricovero. Le apparecchiature minime che devono essere presenti nella sala di terapia d'urgenza sono rappresentate da un sistema di somministrazione di ossigeno, un aspiratore, tosatrici, fluidi per infusione endovenosa, elettrocardiografo, defibrillatore, lampada operatoria, apparecchio per anestesia, tavolo da visita e contenitori con laringoscopi, tubi orotracheali, farmaci per rianimazione cardiopolmonare e cateteri endovenosi. Anche i materiali per il bendaggio e gli strumenti chirurgici devono essere facilmente raggiungibili. La sala deve essere controllata quotidianamente in modo che sia sempre pronta. 30 Tabella 1 - Problemi identificati durante la valutazione del paziente che richiedono un'attenzione immediata NOTE Cardiovascolari arresto cardiaco (assenza di polso e battiti udibili) pallore delle mucose prolungamento del tempo di riempimento capillare (> 2 sec) polso debole, filiforme o assente emorragia in atto mucose di colore rosso mattone, tempo di riempimento capillare < 1 secondo, polso saltellante tachicardia (cane > 180, gatto > 250) bradicardia (cane < 60, gatto < 150) deficit di polso, aritmie collasso Respiratori respiro rapido e superficiale ostruzione delle vie aeree superiori respirazione difficoltosa cianosi rantoli e sibili polmonari all'auscultazione trauma toracico - fratture costali, ferite penetranti, movimento paradosso della parete Neurologici crisi convulsive o anamnesi di crisi convulsive stupore coma trauma cranico anamnesi di ingestione di sostanze tossiche Urinari incapacità di urinare anamnesi di ingestione di glicol etilenico alla palpazione, vescica grande e dolente assenza di vescica palpabile dopo un trauma Altri ipertermia (T > 40,5 °C), colpo di calore distocia morso di serpenti avvelenamenti vomito o diarrea profusi ustioni fratture lesioni da incidente stradale caduta dall'alto 31 NOTE DETERMINAZIONE DELLE PRIORITÀ Il primo sommario esame del paziente deve comprendere la valutazione del livello di coscienza, della pervietà delle vie aeree, della funzione respiratoria e di quella circolatoria, in quest'ordine. Si devono quindi identificare e, se possibile, trattare i principali problemi pericolosi per la sopravvivenza dell'animale. Man mano che le condizioni del paziente si stabilizzano, si può raccogliere un'anamnesi più accurata e si possono prelevare campioni di sangue ed urina da analizzare per disporre di un minimo di dati di base. L'anamnesi deve essere breve e pertinente e chiarire in particolare 5 punti: il motivo per cui l'animale è stato portato in ospedale, l'insorgenza dei segni clinici (quando è stata l'ultima volta che l'animale è apparso normale?) e la loro progressione, gli aspetti più rilevanti dell'anamnesi remota ed una valutazione sistemica per verificare ulteriori problemi quali tosse, vomito, diarrea, poliuria e polidipsia. Gli esami di laboratorio da effettuare in condizioni di emergenza sono la determinazione dell'ematocrito e dei solidi totali, la misurazione mediante strisce reattive dell'azotemia e della glicemia, l'analisi delle urine (mediante strisce reattive e valutazione del peso specifico) e l'esecuzione dell'ECG. Questi test contribuiscono ad escludere o confermare la presenza di disidratazione, anemia, insufficienza renale, chetoacidosi diabetica ed ipoglicemia. Se possibile, i livelli sierici di sodio e potassio e l'analisi dei gas ematici contribuiscono a verificare l'eventuale presenza di un ipoadrenocorticismo e squilibri elettrolitici e facilitano la scelta appropriata dei fluidi da infondere. L'ECG contribuisce ad accertare le cardiopatie primarie e le aritmie. I dati della valutazione di emergenza si possono ottenere entro pochi minuti dall'arrivo del paziente. È necessaria solo una piccola quantità di sangue, che si può ottenere con 4-5 tubi capillari che possono essere riempiti al momento dell'inserimento del catetere. VALUTAZIONE SECONDARIA Una volta trattati i problemi più pericolosi per la sopravvivenza immediata e completate le indagini di laboratorio di partenza, si deve parlare con il proprietario della prognosi, della spesa presunta, delle eventuali diagnosi dif- 32 ferenziali e delle varie possibilità terapeutiche. Inoltre, a questo punto bisogna effettuare un più accurato esame clinico del paziente. Le fratture vanno identificate ed immobilizzate con un bendaggio di sostegno temporaneo. Le ferite aperte e le fratture esposte vanno rasate, pulite e lavate prima di proteggerle con un bendaggio sterile. Si deve instaurare un'appropriata antibioticoterapia. L'esame neurologico deve permettere di escludere deficit dei nervi cranici, lesioni del midollo spinale o danni dei nervi periferici nel focolaio di frattura. In relazione al tipo di problemi identificati in questa seconda valutazione, si possono effettuare ulteriori indagini diagnostiche quali radiografie, paracentesi addominale, lavaggio peritoneale, toracentesi, esami radiografici con mezzo di contrasto ed altre analisi del sangue. Può essere utile determinare l'azotemia e l'osmolarità negli animali che presentano stupore o coma, la calcemia in quelli con tremori muscolari, crisi convulsive e poliuria-polidipsia in associazione con malattie neoplastiche, i livelli di amilasi e lipasi nei soggetti con vomito profuso o dolore addominale, l'emogramma, il conteggio dei reticolociti e delle piastrine ed il test di Coombs diretto nei pazienti con anemia emolitica o petecchie, i test della coagulazione o il tempo di coagulazione attivata in quelli con segni clinici di tendenze emorragiche o anamnesi di avvelenamento da warfarin. NOTE MONITORAGGIO E TRATTAMENTO Il paziente in condizioni critiche richiede di solito un monitoraggio intensivo durante le prime 24 ore. Si tratta di animali soggetti a rapidi cambiamenti ed è importante identificare le tendenze ed anticipare le complicazioni prima che si verifichino. Verranno quindi ora elencati i parametri ed i segni vitali da monitorare in questi casi. 1. Frequenza e sforzo della respirazione. Gli animali con respirazione difficoltosa devono ricevere un'integrazione di ossigeno (mediante maschera, gabbia ad ossigeno o catetere nasale) e non devono essere stressati. Le difficoltà respiratorie si possono aggravare progressivamente col tempo negli animali con inalazione di fumi, polmonite, contusione polmonare o "polmone da shock". Se la respirazione peggiora, si devono valutare i gas ematici. Ipossia ed ipercapnia indicano un'insufficienza dello scambio gassoso e della ventilazione. Quando i segni clinici peggiora33 NOTE 34 no nonostante la somministrazione di ossigeno, può essere necessario sedare l'animale e ricorrere alla ventilazione a pressione positiva, con o senza pressione positiva teleespiratoria (PEEP). Bisogna essere pronti ad effettuare una tracheostomia d'urgenza eventualmente necessaria in caso di grave ostruzione delle vie aeree superiori. 2. Colore delle mucose, tempo di riempimento capillare, frequenza cardiaca, qualità del polso. Si tratta di parametri utili per determinare se l'animale mantiene una perfusione adeguata. Nello shock ipovolemico, la stimolazione simpatica determina una vasocostrizione periferica con sbiancamento delle mucose, prolungamento del tempo di riempimento capillare, tachicardia e polso debole. Quando i segni dello shock sono evidenti, il clinico deve determinarne la causa (ipovolemico, cardiogeno o settico) e trattarla in modo aggressivo. L'insorgenza delle manifestazioni dello shock in un paziente in precedenza stabile può indicare un'emorragia interna o una continua perdita di liquidi in presenza di una fluidoterapia eccessiva. Lo shock ipovolemico viene generalmente trattato con il ripristino volumetrico mediante infusione endovenosa di soluzioni cristalloidi e/o colloidi. Per lo shock cardiogeno si impiegano agenti inotropi positivi, diuretici e vasodilatatori. Lo shock settico o endotossico richiede la somministrazione di fluidi ed antibiotici. Possono anche essere utili steroidi, antiprostaglandinici, glucosio, sostanze vasopressorie, antagonisti narcotici, chelanti del ferro ed eliminatori dei radicali liberi dell'ossigeno. 3. Ematocrito, solidi totali. In caso di perdita ematica acuta, il valore iniziale di questi parametri può essere fuorviante, perché la contrazione splenica tende a determinare un aumento dell'ematocrito. Tuttavia, man mano che il volume perso viene ripristinato questo parametro diminuisce, consentendo una valutazione più attendibile dell'emorragia. È importante monitorare la tendenza delle variazioni, soprattutto nei pazienti traumatizzati. In caso di perdita ematica acuta, si devono somministrare emazie concentrate quando l'ematocrito scende al di sotto del 20% nel cane (15% nel gatto), mentre le trasfusioni di plasma vanno prese in considerazione quando i solidi totali sono inferiori al 3,5%. Il monitoraggio di questi due parametri consente anche di valutare la disidratazione o l'iperidratazione e di controllare l'efficacia della fluidoterapia. 4. Elettrocardiogramma. Nei pazienti con aritmie o insufficienza cardiaca si raccomanda il monitoraggio con ECG continuo. Controlli periodici sono indicati nei sog- getti colpiti da shock, trauma o dilatazione-torsione dello stomaco, dal momento che si possono avere delle aritmie a distanza di 12-24 ore dall'evento iniziale. 5. Produzione di urina. In condizioni normali, è di 1-2 ml/kg/ora. Prima che ci si possa attendere una produzione urinaria normale, il paziente deve essere idratato. Tuttavia, se dopo la reidratazione e l'infusione di liquidi tale produzione è ancora assente o inferiore alla norma, si tratta di un problema da chiarire. Il catetere urinario va lavato per escludere la presenza di occlusioni. L'insufficienza renale acuta oligurica o anurica va affrontata in modo aggressivo con l'infusione di dopamina (1-3 µg/kg/min), furosemide (2 mg/kg IV) e/o mannitolo (0,5-1,0 g/kg IV). Negli animali con traumi del midollo spinale, la vescica va palpata e periodicamente svuotata mediante compressione manuale. 6. Pressione venosa centrale. Nei pazienti con affezioni cardiovascolari primarie, insufficienza renale o sepsi, può essere utile monitorare la pressione venosa centrale durante la fluidoterapia endovenosa. Attraverso il controllo della tendenza delle variazioni di questo parametro, risulta più facile per il clinico rilevare problemi di iper- o ipoidratazione e risolverli. In condizioni normali, la pressione venosa centrale varia da -1 a +5 cm di acqua. Se aumenta di più di 3 cm di acqua, o se il suo valore totale supera il limite di 8-10 cm di acqua, la fluidoterapia endovenosa va interrotta. La pressione venosa centrale va sempre misurata con l'animale nella stessa posizione (ad es., in decubito laterale sinistro con il punto 0 a livello della punta della scapola di destra, che corrisponde approssimativamente al livello dell'atrio destro). 7. Pressione sanguigna. La pressione sanguigna è un parametro importante da monitorare nei pazienti in condizioni critiche. Quella diretta può essere rilevata attraverso un catetere arterioso, un transduttore ed un oscilloscopio. L'ipertensione grave può causare danni retinici e diatesi emorragica. Il trattamento consiste di solito nel ridurre i valori pressori mediante agenti vasodilatatori. Quando la pressione sistolica scende a meno di 60 mm Hg si ha una scarsa perfusione renale, mentre per valori inferiori a 50 mm Hg viene compromessa la circolazione cerebrale. Se non è possibile disporre delle apparecchiature per il monitoraggio diretto, si può eseguire quello indiretto usando un rilevatore Doppler del flusso ematico ed un manicotto per uso pediatrico. Si rasa il pelo al di sopra dell'arteria metatarsea dorsale o ulnare e si ricopre il rilevatore di flusso con un gel per elettrodi, fissandolo poi con del nastro al NOTE 35 NOTE 36 di sopra dell'arteria. Il manicotto viene insufflato fino alla scomparsa del polso e poi sgonfiato lentamente fino ad individuare il primo e l'ultimo suono udibile, che corrispondono, rispettivamente, alla pressione sistolica ed a quella diastolica. 8. Temperatura corporea. Nei pazienti in condizioni critiche, l'ipotermia è spesso associata a scarsa perfusione o vasodilatazione periferica. Si devono rivalutare la funzione cardiaca, l'immissione di liquidi e la produzione di urina. Se il paziente è in ipotensione, bisogna evitare il riscaldamento esterno fino al ripristino del volume di liquidi, dal momento che la vasodilatazione associata al riscaldamento periferico può aggravare ulteriormente l'ipotensione. Gli animali ipertermici di solito hanno fabbisogni più elevati a causa del loro stato ipermetabolico. È importante monitorare la tendenza della temperatura corporea negli animali con febbre, per valutare l'efficacia della terapia. In generale, il trattamento del problema primario deve ridurre la temperatura corporea. Nei casi gravi, tuttavia, per far calare febbri molto elevate possono essere utili gli antiprostaglandinici. 9. Elettroliti, gas ematici. Negli animali in condizioni critiche sottoposti a fluidoterapia endovenosa si devono monitorare i livelli sierici di sodio e potassio. L'ipokalemia si osserva comunemente nei gatti con diuresi post-ostruttiva, in quelli con vomito persistente, nei pazienti diabetici trattati con insulina e nei soggetti anoressici sottoposti all'infusione di fluidi. In questi casi, di solito è necessario aggiungere del potassio alle soluzioni somministrate. L'iperkalemia è frequente negli animali con ostruzione uretrale, ipoadrenocorticismo ed insufficienza renale. Quando è associata ad anomalie cardiache, va corretta con insulina (0,5 U/kg) e glucosio (1 g/kg) o bicarbonato di sodio (1-2 mEq/kg per infusione endovenosa lenta). L'iper- e l'iponatremia possono essere associate a tremori muscolari, debolezza e stupore. Le alterazioni elettrolitiche vanno riconosciute precocemente e corrette con un'oculata fluidoterapia. I livelli dei gas ematici vanno monitorati negli animali con vomito o diarrea persistenti, shock o problemi respiratori. In caso di intervento chirurgico, le anomalie dei gas ematici e degli elettroliti vanno corrette, se possibile, prima dell'anestesia. 33° Congresso SCIVAC MEDICINA D’URGENZA E TERAPIA INTENSIVA NEI PICCOLI ANIMALI MONTECATINI TERME (PT), 21-23 MARZO 1997 Douglass K. Macintire DVM, MS, ACVIM Department of Small Animal Surgery & Medicine College of Veterinary Medicine Auburn University, AL 36849 Emergenze ematologiche (Parte prima) Venerdì, 21 marzo 1997, ore 14.30 Emergenze ematologiche (Parte seconda) Venerdì, 21 marzo 1997, ore 16.00 47 NOTE In medicina veterinaria, le emergenze ematologiche possono essere evenienze abbastanza comuni e capaci di mettere in pericolo la vita del paziente. Per diagnosticare e trattare queste condizioni, il veterinario deve avere un'idea chiara delle varie diagnosi differenziali possibili. Nel presente lavoro viene fornita una descrizione dei segni clinici, della diagnosi e del trattamento di alcune delle più comuni di queste emergenze. I. PERDITA EMATICA ACUTA A. Trauma - Gli animali che hanno subito traumi multipli vengono spesso portati alle cliniche veterinarie con segni di shock: tachicardia, polso debole, pallore delle mucose e ritardato tempo di riempimento capillare. Nei casi in cui sono presenti evidenti emorragie esterne, si devono applicare dei bendaggi compressivi per ridurre i sanguinamenti. Se l'emorragia è arteriosa, è necessario intervenire mediante sedazione del paziente e legatura del vaso, seguita da un'opportuna fluidoterapia ricostitutiva per il trattamento dello shock (60-90 ml/kg/ora di soluzioni cristalloidi con corticosteroidi per via endovenosa). In alternativa, si possono avere significative emorragie interne in corrispondenza di focolai di frattura (soprattutto pelvici) o da vari organi (in particolare, fegato, milza e reni), ma la necessità di una trasfusione di sangue non risulta sempre facilmente apprezzabile. Prima di iniziare il trattamento, bisogna effettuare la determinazione dell'ematocrito e dei solidi totali del sangue. Si tratta di una valutazione di base che, spesso, non rivela la gravità dell'emorragia, a causa della contrazione splenica e della vasocostrizione periferica, che tendono entrambe ad aumentare l'ematocrito. Negli animali con emorragia acuta, quest'ultimo è solitamente normale, mentre i solidi totali sono ridotti. Mentre l'animale è sottoposto alla terapia anti-shock, occorre effettuare il monitoraggio di questi parametri, ripetendo le misurazioni ad intervalli di 15-30 minuti. I pazienti con un'emorragia interna non arrestata non si stabilizzano con il consueto trattamento anti-shock ed in seguito alla fluidoterapia si osserva un precipitoso calo dei valori dell'ematocrito e dei solidi totali. Nella perdita ematica acuta, quando l'ematocrito scende sotto il 20% nel cane ed il 15% nel gatto, di solito è necessario effettuare una trasfusione di sangue intero, alla dose 48 di 10-20 ml/kg. In genere, in occasione della prima trasfusione non è indicata l'esecuzione della prova di emocompatibilità, che è invece raccomandata per quelle successive. In presenza di emorragie imponenti nelle cavità corporee, si può ricorrere all'autotrasfusione raccogliendo il sangue in un serbatoio e reimmettendolo in circolo attraverso un filtro a micropori. Per mantenere la pressione sanguigna in un animale in stato di shock e con un'emorragia interna, è possibile applicare un bendaggio compressivo sugli arti posteriori e sull'addome. Questa tecnica, basata sul modello dei cosiddetti "calzoni anti-shock" in uso in ambito militare, tende a determinare la deviazione del sangue verso il cuore e l'encefalo, mantenendo adeguata la pressione a questi livelli anche a fronte di emorragie imponenti. Dopo la stabilizzazione delle condizioni del paziente mediante fluidoterapia e trasfusione, il bendaggio va rimosso gradualmente, procedendo per fasi successive, per evitare la rapida caduta dei valori pressori. NOTE B. Rottura della milza - Un'altra causa comune di emorragia interna con conseguente shock e collasso è la rottura della milza. Nella maggior parte dei casi, questa lesione è associata a neoplasie dell'organo, quali emangiomi ed emangiosarcomi. Se in precedenza si sono avuti episodi emorragici subclinici, è presente un'anemia rigenerativa. Nelle emorragie acute, invece, l'anemia è di tipo non rigenerativo, dal momento che nel sangue periferico non si osservano reticolociti prima di 2-4 giorni. Una volta stabilizzate le condizioni del paziente mediante fluidi e trasfusioni, è possibile effettuare una laparotomia esplorativa seguita da splenectomia. Sfortunatamente, la maggior parte dei cani con emangiosarcoma presenta metastasi diffuse entro 4-6 mesi dalla diagnosi. Questi tumori rispondono anche male alla chemioterapia. C. Emorragie gastroenteriche - Le emorragie gastroenteriche, soprattutto quelle dovute ad ulcere gastriche sanguinanti, possono causare un'anemia pericolosa per la vita del paziente. I segni clinici possono essere rappresentati da ematemesi (con emissione di un materiale simile a fondi di caffè o di sangue rosso vivo), melena, dolore addominale più o meno intenso, debolezza e collasso. I corticosteroidi ed i farmaci antiinfiammatori non steroidei (come l'acido acetilsalicilico, il fenilbutazone, l'indometacina ed il flunixin) possono causare ulcere gastriche riducendo la pro49 NOTE duzione di muco ed aumentando la secrezione di acido. Altre cause di ulcere gastriche sono i mastocitomi, lo shock, la scarsa perfusione dell'organo, i processi settici, lo stress, le epatopatie e le affezioni renali. Il trattamento consiste nella somministrazione di agenti di blocco dei recettori H2 (ranitidina [1 mg/kg IV nel cane e 2,5 mg/kg IV nel gatto, ogni 12 ore], famotidina [0,5 mg/kg IV ogni 12 ore] o cimetidina [10 mg/kg IV nel cane e 5 mg/kg IV nel gatto, ogni 6 ore]) sino a ridurre la secrezione acida e di sucralfato (1 g/25 kg PO ogni 8 ore) per formare una barriera disaccaridica a protezione della mucosa ulcerata. Per ottenere i migliori risultati, questi farmaci non devono essere somministrati simultaneamente, ma distanziati di 12 ore. Inoltre, può essere necessario attuare una terapia di sostegno con infusione di fluidi e/o trasfusioni di sangue. Se i risultati della paracentesi addominale o del lavaggio peritoneale indicano una probabile perforazione, è indicata la laparotomia esplorativa. D. Perdite ematiche di origine parassitaria - La anchilostomiasi e le gravi infestazioni da pulci sono cause comuni di anemia pericolosa per la sopravvivenza, soprattutto nei giovani animali. In molti casi, oltre all'eliminazione dei parassiti è necessario ricorrere alla trasfusione. Negli animali molto piccoli, in cui la cateterizzazione endovenosa risulta difficile, sangue e liquidi possono essere somministrati per via intraossea. E. Epistassi - Anche l'epistassi può talvolta causare una significativa perdita ematica. Mentre si effettuano le indagini volte a identificare la causa del problema (neoplasie, traumi, corpi estranei, infezioni micotiche, parassitarie e batteriche, coagulopatie) può essere necessario adottare le misure necessarie ad arrestare la perdita di sangue. L'emorragia può di solito essere fermata con l'instillazione nel naso di gocce di fenilefrina (diluita 1:2 con NaCl) o adrenalina (diluita 1:100.000). Talvolta, è necessaria una lieve sedazione per interrompere gli sternuti e ridurre leggermente la pressione ematica. F. Avvelenamento da rodenticidi anticoagulanti L'avvelenamento da rodenticidi a base di composti cumarinici può causare un'emorragia attraverso l'inibizione dell'enzima epossido-riduttasi e la deplezione dei fattori della coagulazione vitamina K-dipendenti (II, VII, IX e X). Il 50 sanguinamento di solito non compare prima di 2-4 giorni dall'ingestione della sostanza tossica. I segni clinici sono rappresentati da emorragie esterne, debolezza, emartro, ematomi sottocutanei e sanguinamenti in cavità toracica, nel pericardio o nell'encefalo. Inizialmente, risulta alterato solo il tempo di protrombina, dal momento che il fattore VII è quello con l'emivita più breve. In seguito, si osserva anche il prolungamento del tempo di coagulazione attivata (ACT) e di quello di tromboplastina parziale (PTT). Si deve somministrare vitamina K1 (5 mg/kg) SC o IM con un ago di piccolo calibro, perché l'iniezione endovenosa può causare anafilassi. L'avvelenamento da prodotti di prima generazione (warfarin, pindone, indandione) va trattata per 7 giorni con vitamina K1 (1-3 mg/kg PO suddivisi in due somministrazioni giornaliere). L'assunzione di prodotti di seconda generazione (brodifacoum, difacinone, clorfacinone e bromadiolone) va trattata con un dosaggio più elevato (5 mg/kg suddivisi in due somministrazioni giornaliere) per 4-6 settimane. NOTE G. Trombocitopenia - I segni clinici associati alla grave trombocitopenia sono rappresentati da petecchie o ecchimosi (che risultano evidenti soprattutto nelle regioni mucocutanee, nel padiglione auricolare o nella parte ventrale dell'addome), melena, ematuria, sanguinamenti gengivali, emorragie episclerali ed epistassi. Di solito, non si hanno sanguinamenti spontanei finché il numero delle piastrine non scende al di sotto di 40.000/µl. I test della coagulazione risultano normali, ad eccezione del tempo di sanguinamento, che è prolungato. Per differenziare le varie cause di trombocitopenia è necessario effettuare l'esame del midollo osseo. La forma immunomediata della malattia è dovuta ad un'accelerazione della distruzione delle piastrine ad opera di anticorpi anti-piastrinici. Il midollo osseo di solito evidenzia un incremento numerico dei megacariociti, a meno che gli anticorpi non siano rivolti proprio contro questi elementi. I test di determinazione del fattore piastrinico 3 o di immunofluorescenza sul midollo osseo possono rilevare la presenza di anticorpi antipiastrinici. Altri esami immunologici (test di Coombs, ANA-test, preparazioni LE, fattore reumatoide) possono risultare positivi se la trombocitopenia rientra in una malattia autoimmune sistemica primaria. Il midollo osseo può apparire ipoplasico in caso di intossicazione da farmaci, erlichiosi cronica o infezione da FeLV. Anche l'infiltrazione ad opera di elementi neoplastici può determinare un calo della produzione piastrinica. 51 NOTE Nelle aree endemiche, una grave trombocitopenia può essere causata dalle rickettsiosi da zecche, come l'erlichiosi e la febbre maculosa delle Montagne Rocciose. I segni clinici sono simili a quelli presentati dai cani con trombocitopenia immunomediata, ma possono comprendere anche febbre, perdita di peso e linfoadenopatia generalizzata. Nella febbre maculosa delle Montagne Rocciose si possono osservare edema dello scroto e degli arti, conseguente ad una vasculite. È caratteristico il riscontro di anemia non rigenerativa, iperglobulinemia, ipoalbuminemia e proteinuria. In rari casi, è possibile rilevare nei leucociti del buffy coat o degli strisci di sangue capillare le morule basofile di E. canis. Più comunemente, queste malattie vengono diagnosticate in base alla positività dei test sierologici. Il trattamento della trombocitopenia immunomediata richiede la somministrazione di corticosteroidi a dosi immunodepressive (prednisolone, 2 mg/kg ogni 12 ore). Il dosaggio viene poi gradualmente ridotto a quello minimo efficace (di solito corrispondente a 0,5-1,0 mg/kg per os a giorni alterni) quando il numero delle piastrine sale a 100.000/µl, continuando le somministrazioni per 4-6 settimane. Se i corticosteroidi risultano inefficaci, è possibile integrare il protocollo terapeutico con altri agenti immunodepressori. Se nel midollo osseo sono presenti i megacariociti, la vincristina (0,01-0,25 mg/kg IV) può determinare un rapido incremento del numero delle piastrine aumentandone la frammentazione. Altri agenti utilizzabili sono la ciclofosfamide (50 mg/m2 per os una volta al giorno 3-4 giorni/settimana) e l'azatioprina (2 mg/kg per os una volta al giorno). Nei casi caratterizzati da grave anemia, sanguinamenti incontrollati o conteggio piastrinico inferiore a 2000/µl, è indicata una trasfusione di sangue intero. Il trattamento delle rickettsiosi richiede la somministrazione di tetraciclina (22 mg/kg ogni 8 ore per 14-21 giorni) o di doxiciclina (5 mg/kg IV o per os una volta al giorno per 7-10 giorni). Poiché spesso è difficile differenziare la trombocitopenia immunomediata da quella di origine infettiva prima di disporre degli esiti dei test sierologici, è possibile instaurare simultaneamente la terapia per entrambe le affezioni. H. Coagulazione intravasale disseminata (DIC) - La coagulazione intravasale disseminata è la conseguenza di 52 una causa primaria che scatena uno stato di ipercoagulabilità con formazione di microtrombi e consumo dei fattori della coagulazione e delle piastrine che, a sua volta, determina una certa tendenza ai sanguinamenti. Le condizioni associate alla DIC sono rappresentate da ipotensione, lesioni vascolari, acidosi, danno tissutale, certe neoplasie (soprattutto emangiosarcomi), colpo di calore, filariosi cardiopolmonare, shock, pancreatite acuta, gravi epatopatie ed infezioni sistemiche. I segni clinici sono costituiti da sanguinamenti in più sedi (melena, ematomi, prolungato sanguinamento nei punti di iniezione endovenosa) e formazione di petecchie. Le classiche alterazioni dei parametri di laboratorio sono l'aumento dei valori di PT e PTT ed il calo del numero delle piastrine e l'incremento dei prodotti di degradazione della fibrina. Negli strisci di sangue periferico si possono osservare degli schistociti (eritrociti frammentati). In tutti i casi, occorre identificare e, se possibile, trattare la condizione primaria. È di primaria importanza ripristinare il volume dei fluidi circolanti e correggere la scarsa perfusione, la stasi vascolare e gli squilibri elettrolitici ed acido-basici. Nelle forme di DIC iniziali, lievi o croniche (trombopenia, test della coagulazione normali) è stato dimostrato che la somministrazione di basse dosi di acido acetilsalicilico (0,5 mg/kg ogni 12 ore nel cane, 25 mg/kg due volte alla settimana nel gatto) riduce l'aggregazione piastrinica e, quindi, concorre a prevenire la cascata della coagulazione. Nella DIC acuta, il numero delle piastrine è diminuito, i test della coagulazione (ACT, PT, PTT, prodotti di degradazione del fibrinogeno) sono moderatamente aumentati e sono evidenti i segni di emorragia. È possibile somministrare dosi intermedie di eparina (cane: 500 U/kg SC ogni 8 ore; gatto: 250 U/kg SC ogni 8 ore) nel tentativo di accentuare l'attività dell'antitrombina III e ridurre la formazione di microtrombi ed il consumo dei fattori della coagulazione. Nella DIC in stadio terminale (marcato calo del numero delle piastrine e dei livelli di antitrombina III, marcato prolungamento dei test della coagulazione), clinicamente si apprezzano gravi emorragie. In questi casi, è necessario somministrare sia fattori della coagulazione che eparina. Si può iniziare ad impiegare quest'ultima in basse dosi (150-250 U/kg SC ogni 8 ore nel cane, 50-100 U/kg SC ogni 8 ore nel gatto), seguita dalla trasfusione di sangue fresco intero. L'uso dell'eparina a basso dosaggio è controverso e non privo di complicazioni. In genere, va riservato solo ai pazienti che mostrano un rapi- NOTE 53 NOTE do deterioramento od un peggioramento dei parametri di laboratorio nonostante la terapia di sostegno. La risposta favorevole alla terapia con eparina determina un aumento del numero di piastrine e dei livelli di antitrombina III e fibrinogeno, accompagnato da un miglioramento dello stato clinico. Questo tipo di trattamento va monitorato strettamente. L'ideale è riuscire a mantenere il PTT ad 1,5 volte il valore che aveva prima del trattamento, ma spesso nei pazienti con coagulazione intravasale disseminata questo parametro è difficile da monitorare, perché molti fattori concorrono a prolungarlo. La somministrazione di eparina va sospesa gradualmente, dal momento che un'interruzione improvvisa predispone il paziente alla formazione di trombi. II. ANEMIA EMOLITICA ACUTA A. Anemia emolitica autoimmune - L'anemia emolitica autoimmune può causare un'intolleranza acuta all'attività fisica, debolezza, letargia e collasso associate ad un rapido calo dell'ematocrito. Altri riscontri clinici sono rappresentati da ittero, bilirubinuria, tachicardia, soffio sistolico e splenomegalia. L'anemia è di solito rigenerativa e caratterizzata da macrocitosi, reticolocitosi e sferocitosi negli strisci di sangue periferico. In rari casi, l'anemia emolitica autoimmune può presentarsi in forma non rigenerativa, quando la crisi emolitica è così acuta da non concedere all'organismo il tempo sufficiente alla comparsa in circolo dei reticolociti, o se gli autoanticorpi sono rivolti contro le cellule staminali della linea eritroide. Il test definitivo per diagnosticare la condizione è quello di Coombs, che rileva gli anticorpi antieritrocitari. Il test non è necessario in presenza di autoagglutinazione. Quest'ultima va differenziata dalla formazione di rouleaux, che si dissolvono con l'aggiunta di soluzione fisiologica. Il riscontro di imponenti processi di autoagglutinazione ed emolisi intravascolare (evidenziata da emoglobinemia ed emoglobinuria) suggerisce una prognosi molto riservata e richiede una terapia aggressiva. La condizione viene generalmente trattata con prednisolone (1-2 mg/kg per os ogni 12 ore) fino alla stabilizzazione dell'ematocrito, dopodiché il dosaggio viene gradualmente ridotto nell'arco di 2-3 mesi. Nei casi refrattari alla terapia, o in quelli con emolisi ed autoagglutinazione gravi, è possibile somministrare ciclofosfamide (50 mg/m2 per os una volta al giorno per 4 giorni, sospendere 54 per 3 giorni e poi ripetere) e/o azatioprina (2 mg/kg per os una volta al giorno). Le trasfusioni di sangue sono da evitare, a meno che l'anemia non divenga tale da mettere in pericolo la sopravvivenza del paziente (ematocrito pari al 10-15% nel cane ed al 5-10% nel gatto). Per i pazienti che mostrano una splenomegalia e sono refrattari alla terapia immunodepressiva è stata suggerita la splenectomia, che però è controindicata a meno che non sia stata definitivamente esclusa la presenza di parassiti ematici. NOTE B. Anemie parassitarie - La babesiosi, o piroplasmosi, è una malattia del cane trasmessa da zecche, causata dai protozoi parassiti intraeritrocitari Babesia canis o Babesia gibsoni. Negli strisci di sangue periferico, questi parassiti appaiono come microorganismi basofili piriformi all'interno degli eritrociti. Il loro riscontro può essere facilitato effettuando il prelievo dal sistema capillare periferico (ad esempio, mediante punzione del padiglione auricolare con una lancetta) piuttosto che con il sangue venoso prelevato con la tecnica abituale. L'emolisi è sia intra- che extravascolare. I segni clinici sono rappresentati da anoressia, debolezza, pallore delle mucose, febbre, splenomegalia, ittero ed emoglobinuria. La presenza di anticorpi contro i parassiti o i complessi parassiti-eritrociti può determinare la positività del test di Coombs. Gli esami sierologici evidenziano un titolo positivo per babesiosi. Il trattamento consiste in un'unica iniezione intramuscolare di diminazene aceturato (7,5 mg/kg), associata a trasfusioni di sangue se l'anemia risulta pericolosa per la vita del paziente. Talvolta, per arrestare il processo emolitico immunomediato è necessaria la somministrazione di corticosteroidi, che però va sospesa non appena possibile. Nel gatto, Haemobartonella felis è una rickettsia trasmessa da zecche capace di indurre un'anemia emolitica. H. canis è raramente un agente patogeno primario nel cane, ma può causare una grave anemia emolitica secondaria a splenectomia, immunodepressione o disfunzioni spleniche. I parassiti si presentano sotto forma di microorganismi bastoncellari, coccoidi o ad anello all'interno degli eritrociti. Il trattamento consiste nella somministrazione di ossitetraciclina alla dose di 20 mg/kg per os ogni 8 ore per 3 settimane. Il riscontro di H. felis può indicare nel gatto l'esistenza di una grave affezione primaria e gli animali colpiti devono essere sottoposti ai test per la diagnosi di infezione da FeLV e FTLV. 55 NOTE 56 C. Anemie tossiche - Certi farmaci possono determinare una denaturazione dell'emoglobina, con formazione di corpi di Heinz all'interno degli eritrociti. L'emoglobina felina è particolarmente sensibile alla denaturazione ossidativa. Inseguito alla formazione dei corpi di Heinz si può avere una grave anemia emolitica. I farmaci ossidanti possono anche trasformare l'ossiemoglobina in metaemoglobina, che è incapace di trasportare l'ossigeno. Gli ossidanti noti in grado di provocare un'anemia con corpi di Heinz o una metaemoglobinemia sono rappresentati da blu di metilene, fenacetina, acetaminofene, fenazopiridina, benzocaina, propiltiouracile e cipolle. I segni clinici dell'anemia con corpi di Heinz sono compatibili con la presenza di un'emolisi: debolezza, pallore delle mucose, ittero più o meno intenso e splenomegalia. La metaemoglobinemia è caratterizzata da difficoltà respiratorie, mucose smorte e sangue di colore bruno cioccolato. La causa più comune è l'intossicazione da acetaminofene. L'anemia con corpi di Heinz viene trattata mediante terapia di sostegno, trasfusioni di sangue in caso di necessità ed allontanamento della sostanza tossica responsabile. La metaemoglobinemia richiede la somministrazione di ossigeno, acetilcisteina (soluzione al 20% - 0,7 µl/kg per os ogni 8 ore per 3-7 volte) ed acido ascorbico (30 mg/kg per os ogni 6 ore). Anche l'avvelenamento da zinco può causare emolisi acuta nel cane e nel gatto. Le più comuni cause di intossicazione segnalate nel cane sono rappresentate dall'ingestione dei bulloni di zinco delle gabbie utilizzate per il trasporto degli animali sugli aerei o di monetine contenenti questo metallo (solitamente associato al rame). I gatti possono ingerire le pomate all'ossido di zinco durante la toelettatura. I segni clinici sono compatibili con una crisi emolitica Coombs-negativa (ad es., anemia rigenerativa, ittero, emoglobinuria e collasso), ma comprendono anche manifestazioni gastroenteriche. Nei casi di anemia emolitica, lo sviluppo dell'indagine diagnostica deve prevedere anche l'esame radiografico dell'addome, perché gli oggetti di zinco sono radiopachi e, quindi, facilmente individuabili. La rimozione dei corpi estranei ed un'adeguata terapia di sostegno con trasfusioni di sangue determinano una completa guarigione. 33° Congresso SCIVAC MEDICINA D’URGENZA E TERAPIA INTENSIVA NEI PICCOLI ANIMALI MONTECATINI TERME (PT), 21-23 MARZO 1997 Douglass K. Macintire DVM, MS, ACVIM Department of Small Animal Surgery & Medicine College of Veterinary Medicine Auburn University, AL 36849 Uso pratico dell’infusione continua (CRI, Constant Rate Infusion ) Sabato, 22 marzo 1997, ore 15.00 129 NOTE Molti farmaci cardiaci e vasoattivi somministrati ai pazienti in condizioni di emergenza o critiche sono dotati di potenti effetti emodinamici. Per la rapidità dell'insorgenza della loro azione e la brevità della loro emivita, tuttavia, molti di questi agenti possono essere somministrati solo mediante infusione endovenosa continua. Con un monitoraggio ed un sistema di infusione adeguati, possono determinare un miglioramento immediato delle condizioni emodinamiche ed innalzare il livello qualitativo degli interventi di medicina d'urgenza e terapia intensiva che i veterinari sono in grado di offrire ai propri pazienti. La velocità di infusione costante (CRI) consente al clinico di mantenere continuamente la concentrazione corrispondente allo stato stazionario del farmaco, che può essere titolato in modo da ottenere l'effetto desiderato. Nonostante i molti vantaggi della CRI, pochi veterinari la usano quotidianamente nella loro pratica professionale. Ciò può essere dovuto a diverse ragioni. In primo luogo, alcuni possono essere intimiditi dai calcoli matematici da utilizzare per stabilire il dosaggio di questi farmaci, tenendo anche presente che un computo errato può avere un esito fatale. In secondo luogo, molti dei farmaci da infusione continua attualmente disponibili sono relativamente nuovi, per cui i clinici hanno scarsa dimestichezza con essi. In terzo luogo, la corretta somministrazione di questi agenti comporta idealmente l'impiego di apparecchiature specialistiche, come le pompe da infusione ed i sistemi di monitoraggio della pressione sanguigna, che mancano in molte cliniche. Nel presente lavoro si cercherà di chiarire questi dubbi e fornire alcune indicazioni pratiche per coloro che sono interessati all'impiego routinario dei farmaci da infusione continua. I. CALCOLO DEL DOSAGGIO Esistono tre formule utilizzabili per preparare rapidamente i farmaci da infusione costante. In generale, la posologia della maggior parte di questi agenti viene espressa in microgrammi, ma i farmaci disponibili si trovano in concentrazioni di milligrammi per ml. Le seguenti formule sono delle "scorciatoie" che permettono di convertire direttamente i microgrammi in milligrammi. (1.) Questa formula permette al veterinario di allestire una preparazione per un'infusione della durata di 6 ore: 130 Dosaggio del farmaco (µg/kg/min) x Peso (kg) x 0,36 = = mg necessari per 6 ore. NOTE Il veterinario può quindi scegliere il volume di fluidi da miscelare al farmaco e regolare l'infusione alla velocità più adatta al paziente. Il principale vantaggio di questa formula è la sua semplicità; il veterinario deve ricordare un unico fattore di conversione, 0,36. Esempio: in seguito ad un intervento chirurgico per la correzione di una dilatazione-torsione dello stomaco, un setter irlandese di 30 kg sviluppa una grave aritmia ventricolare. Con l'iniezione di un bolo endovenoso di 4 mg/kg di lidocaina al 2% si ripristina il normale ritmo sinusale. Si inizia quindi un'infusione continua, alla dose di 75 µg/kg/min. (75 µg) x (30 kg) x 0,36 = 810 mg. Al cane si devono somministrare 810 mg nell'arco di 6 ore. La lidocaina è disponibile in una soluzione di 20 mg/ml. Per stabilire il volume di farmaco occorrente, si effettua la divisione: 810 mg = 40,5 ml di lidocaina 20 mg/ml Questa quantità di farmaco può essere aggiunta a 250 ml di soluzione base per un totale di 250 ml + 40,5 ml = 290,5 ml. Per somministrare questo volume nell'arco di 6 ore, la velocità di infusione sarà di (290/6) 48 ml/ora. La stessa dose di lidocaina può essere somministrata attraverso una siringa a flusso continuo con l'aggiunta di soluzione fisiologica per arrivare ad un volume totale di 60 ml, da infondere alla velocità di 10 ml/ora. Le siringhe di questo tipo sono molto meno costose delle pompe da infusione, ma possono rappresentare comunque un metodo accurato per la somministrazione di farmaci a velocità costante. (2.) La seconda formula consente al clinico di convertire direttamente in mg il dosaggio espresso in µg/kg/min, a condizione di usare un volume (250 ml) ed una velocità di infusione (15 ml/ora) prefissati: Dosaggio del farmaco (µg/kg/min) x Peso (kg) = mg da aggiungere a 250 ml di soluzione base da infondere alla velocità di 15 ml/ora. 131 NOTE Esempio: Viene portato alla visita un golden retriever maschio di 5 anni (40 kg) con colpo di calore. Dopo il trattamento per lo shock e l'ipertermia, il cane appare ben idratato, ma la produzione di urina è di soli 10 ml in 3 ore. Si sospetta un'insufficienza renale acuta oligurica. Oltre alla fluidoterapia, si inizia l'infusione continua di dopamina. A basse dosi (1-3 µg/kg/min) questo agente stimola i recettori dopaminergici ed aumenta la perfusione mesenterica e renale. Si inizia con la somministrazione a velocità costante di 2 µg/kg/min di dopamina: (2 µg) (40 kg) = 80 mg da aggiungere a 250 ml a 15 ml/ora. La dopamina è disponibile in soluzione di 40 mg/ml, per cui si devono aggiungere 2 ml (80/40) a 250 ml di soluzione fisiologica di base. L'ideale è effettuare la somministrazione con una pompa di infusione, ma si può impiegare anche un set da infusione a microgocce (60 gocce/ml) regolando la velocità a 1 goccia/4 secondi (15 ml/ora). (3.) La prossima formula è piuttosto versatile, perché permette di calcolare il valore di ognuna delle variabili. (D) (P) (V) M= (D) (P) (V) I= (I) (16,67) (M) (16,67) M = mg di farmaco da aggiungere alla soluzione base D = dosaggio del farmaco in µg/kg/min P = peso in kg V = volume in ml della soluzione base I = velocità di infusione in ml/ora 16,67 = fattore di conversione Esempio: un doberman maschio di 6 anni e 28 kg di peso presenta una grave insufficienza cardiaca sinistra con edema polmonare dovuta a miocardiopatia dilatativa. Dopo il trattamento con furosemide (2 mg/kg IV) e ossigeno, il polso resta debole e la perfusione è insoddisfacente. Si decide di somministrare dobutamina, alla dose di 15 µg/kg/min, per ottenere un immediato effetto inotropo positivo. Dal momento che il cane presenta un edema polmonare, si stabilisce di utilizzare una bassa velocità di infusione (10 ml/ora). 132 NOTE (15 µg) (28 kg) (100 ml) M= = 250 mg (10) (16,67) La dobutamina è disponibile in fiale da 250 mg. Si aggiunge una fiala alla soluzione base per ottenere un volume totale di 100 ml e lo si somministra alla velocità di 10 ml/ora. Per chiarire come la formula soprariportata possa essere utilizzata per adattare il dosaggio sulla base dei segni clinici, si consideri il seguente problema. Alla dose di 15 µg/kg/min di dobutamina, il cane sviluppa una tachicardia. La posologia può essere ridotta a 10 µg/kg/min ed occorre calcolare il valore di I per determinare la velocità necessaria a somministrare il farmaco alla nuova dose, ridotta. (D) (P) (V) I= (10) (28) (100) = (M) (16,67) = 7 (250) (16,67) La velocità di infusione va quindi ridotta a 7 ml/ora. II. ATTREZZATURA Le pompe da infusione consentono ai clinici di somministrare fluidi per via endovenosa a velocità specifiche e precise. Le pompe volumetriche sono altamente accurate (di solito, + 1-2%) ed infondono i liquidi ad un volume costante e predeterminato, espresso in ml/ora. Le pompe non volumetriche non sono altrettanto accurate, perché i fluidi vengono infusi a velocità costante di caduta delle gocce, e queste hanno dimensioni variabili in relazione alla viscosità del fluido somministrato. Quindi, per un'infusione più accurata, si raccomanda l'uso delle pompe volumetriche. Le pompe da infusione esercitano una pressione positiva che supera quella venosa normale (0-0,4 psi). Quelle a bassa pressione (< 10 psi) sono più sensibili all'occlusione del flusso determinata da coaguli, errori di posizione o fuoriuscita dai vasi. Per questa ragione, i sistemi di allarme che segnalano l'occlusione si attivano più frequentemente in questo tipo di pompe. Quelle ad alta pressione (10-45 psi) non innescano gli allarmi a meno che non si raggiunga il massimo livello pressorio. L'uso di questi strumenti com133 Tabella 1 - Farmaci comunemente somministrati per infusione continua Farmaco Azioni/indicazione Dosaggio Dopamina (bassa dose) Dilatazione delle arterie renali, aumento della perfusione renale, prevenzione dell’insufficienza renale acuta 1-3 µg/kg/min Dopamina (media dose) Effetto inotropo positivo, shock cardiogeno o settico 4-6 µg/kg/min Dopamina (alta dose) Agente pressorio, promuove la vasocostrizione periferica, aumenta la pressione sanguigna 7-20 µg/kg/min Dobutamina Effetto inotropo positivo, shock cardiogeno o settico 5-40 µg/kg/min Amrinone Effetto inotropo positivo, vasodilatatore sistemico 0,75 mg/kg bolo IV (lentamente nell’arco di 3-5 min) 5-10 µg/kg/min Adrenalina Anafilassi, sostegno del cuore e della pressione sanguigna 0,1-1,0 µg/kg/min Noradrenalina Agente pressorio, sostegno di breve durata della pressione sanguigna 0,5-10 µg/kg/min Furosemide 3-8 µg/kg/min Diuretico, promuove la diuresi nell’insufficienza renale acuta oligurica Nitroprussiato Vasodilatatore, insufficienza cardiaca congestizia acuta 1-10 µg/kg/min Isoproterenolo Vasodilatatore, effetto inotropo positivo, broncodilatatore 0,1-1,0 µg/kg/min Lidocaina Anti-aritmico ventricolare 2-4 mg/gk bolo IV poi 25-80 µg/kg/min Procainamide Anti-aritmico ventricolare 10-40 µg/kg/min Verapamil Aritmie sopraventricolari, tachicardie 0,05-0,15 mg/kg IV, poi 2-10 µg/kg/min Metoclopramide Anti-emetico 1-2 mg/kg/DIE Diazepam 4-16 µg/kg/min Controllo delle crisi convulsive Mediante infusione continua si possono anche somministrare certi agenti chemioterapici ed i prodotti per nutrizione paraenterale totale e nutrizione enterale. 134 porta potenzialmente un maggior rischio di infiltrazione nei tessuti della soluzione da infondere e determina un certo ritardo nel segnalare al clinico che il farmaco non viene iniettato in vena. Probabilmente, la soluzione migliore è una pompa con un intervallo pressorio medio (6-12 psi). Molte pompe da infusione richiedono speciali deflussori che hanno un costo compreso fra 5,00 e 10,00 $ l'una. Altre pompe possono operare con i deflussori convenzionali ed hanno quindi un minor costo di gestione. Le pompe dotate di filtri di membrana non possono essere impiegate per infondere sospensioni, emulsioni, sangue o emoderivati. Molti di questi apparecchi possono essere usati per attuare in modo continuo l'alimentazione enterale, ma non è conveniente usarle perché richiedono speciali deflussori. I principali produttori di pompe da infusione sono Abbott, IMED, IVAL, Kendall McGaw, Quest Medical, 3M AVI, Travenal e Valleylab. Il costo di questi apparecchi varia da 1.000 a 3.000 $. si possono anche acquistare usati dagli ospedali. NOTE 135 33° Congresso SCIVAC MEDICINA D’URGENZA E TERAPIA INTENSIVA NEI PICCOLI ANIMALI MONTECATINI TERME (PT), 21-23 MARZO 1997 Douglass K. Macintire DVM, MS, ACVIM Department of Small Animal Surgery & Medicine College of Veterinary Medicine Auburn University, AL 36849 La medicina d’urgenza nel gatto Domenica, 23 marzo 1997, ore 11.30 175 NOTE Presentare una rassegna completa delle numerose condizioni che possono imporre un intervento medico o chirurgico nei felini esula dagli scopi del presente lavoro. Tuttavia, esistono diverse sindromi che sono peculiari del gatto e richiedono un tipo di approccio che spesso differisce da quello seguito nel cane. Verranno quindi illustrate brevemente le più comuni emergenze riscontrabili nei felini, rimandando il lettore ad altri testi per una trattazione più dettagliata dei vari argomenti. I. DIFFICOLTÀ RESPIRATORIA ACUTA I gatti che giungono all'ospedale con respirazione a bocca aperta, tachipnea, cianosi o difficoltà di respiro devono essere considerati molto instabili ed in condizioni altamente critiche. Soprattutto, devono essere stressati il meno possibile. Dopo l'iniziale valutazione della gravità del caso, l'animale va portato direttamente nel reparto di terapia e posto in una gabbia ad ossigeno. Inizialmente, non si deve tentare di ricorrere all'ossigenoterapia mediante catetere nasale o maschera, perché si tratta di procedure stressanti per il paziente. Il gatto va lasciato solo in un ambiente ricco di ossigeno (40% di O2) fino a che non inizia a rilassarsi ed a riprendersi dallo stress del viaggio fino all'ospedale. Il clinico deve osservare la respirazione del paziente dall'esterno della gabbia. Un respiro rapido e superficiale con limitata escursione del torace è caratteristico delle affezioni dello spazio pleurico, quali pneumotorace, ernia diaframmatica, emotorace, chilotorace, piotorace o versamento pleurico da altre cause (FIP, miocardiopatia, linfoma mediastinico, torsione di un lobo polmonare). L'espirazione difficoltosa con compressione addominale è invece propria dell'asma del gatto. L'inspirazione difficile si osserva in presenza di malattie del parenchima polmonare (polmonite, edema polmonare). Il respiro rumoroso è caratteristico dell'ostruzione delle vie aeree superiori. Dopo aver lasciato stabilizzare il gatto per alcuni minuti nell'ambiente ricco di ossigeno, si deve effettuare un rapido esame clinico. Bisogna prestare particolare attenzione al colore delle mucose ed al tempo di riempimento capillare, ai toni cardiaci ed ai suoni polmonari ed al polso periferico. Nei gatti con masse mediastiniche, spesso risulta impossibile effettuare la compressione della parte craniale 176 del torace, che è invece abbastanza elastica in quelli normali. Inoltre, la presenza di tali masse può determinare uno spostamento caudale o laterale del cuore. Nei gatti che presentano respirazione a bocca aperta, il riscontro di mucose cianotiche o smorte può indicare un avvelenamento da acetaminofene ed il proprietario va interrogato in proposito. Soffi cardiaci, bradicardia, tachicardia, ritmo di galoppo o altre aritmie possono indicare una miocardiopatia felina. Il polso periferico è spesso debole a causa della scarsa perfusione associata alla cardiopatia o può essere assente in caso di tromboembolismo. Oltre ad una respirazione rapida e superficiale, i gatti con versamento pleurico o pneumotorace mostrano un'attenuazione dei toni cardiaci ed un ottundimento o la scomparsa dei suoni polmonari nella parte ventrale del torace. Sfortunatamente, per stabilire la corretta terapia nei gatti con difficoltà respiratorie è quasi sempre necessario ricorrere all'esame radiografico del torace. Nei casi di sospetto versamento pleurico o pneumotorace, prima di effettuare le riprese si può tentare la toracentesi. Una volta rimossa l'aria o i fluidi presenti, le condizioni del paziente risultano più stabili, per cui l'animale può tollerare maggiormente lo stress rappresentato dall'esame radiografico. Nei gatti difficili da trattare o facilmente stressabili, può essere necessario ricorrere alla sedazione (mediante somministrazione endovenosa di 0,05-0,15 ml/kg di una miscela in parti uguali di diazepam e ketamina). La ripresa delle radiografie deve essere effettuata nel modo meno stressante possibile. La misurazione delle dimensioni del gatto e la regolazione dei parametri di esposizione dell'apparecchio devono essere effettuate preventivamente, in modo da ridurre al minimo il contenimento dell'animale. Durante la ripresa è necessario disporre dei mezzi per una somministrazione supplementare di ossigeno mediante maschera facciale. Può essere una buona idea inserire preventivamente un catetere in una vena, in modo da disporre di un accesso diretto al circolo in caso di arresto cardiaco o altre emergenze. Verranno ora elencate le più comuni condizioni capaci di determinare difficoltà di respirazione nel gatto. NOTE A. Linfoma mediastinico. Va sospettato nei gatti dispnoici in cui risulta impossibile effettuare la compressione della parte anteriore del torace e che presentano un'attenuazione dei toni cardiaci. L'esame radiografico può evidenziare il sollevamento della trachea, lo spostamento in 177 NOTE direzione posteriore del cuore ed un versamento pleurico. L'esame citologico di quest'ultimo rivela spesso la presenza di linfociti anaplastici misti ad eritrociti, cellule mesoteliali, macrofagi e neutrofili. L'iniziale stabilizzazione del paziente richiede la somministrazione di ossigeno, il riposo in gabbia e la toracentesi. Il trattamento consiste nella chemioterapia (per la quale si rimanda il lettore ai testi appropriati). B. Miocardiopatia. Va sospettata nei gatti con soffi cardiaci, ritmo di galoppo o altre aritmie. I riscontri radiografici sono rappresentati da cardiomegalia generalizzata e quadri polmonari interstiziali o alveolari, con o senza liquido pleurico. La miocardiopatia dilatativa si osserva meno comunemente di quella ipertrofica, dal momento che oggi le diete reperibili in commercio sono integrate con un'adeguata quantità di taurina. Il trattamento d'emergenza consiste in ossigenoterapia, riposo in gabbia, toracentesi e somministrazione di diuretici (furosemide, 0,5-2,2 mg/kg da una a tre volte al giorno IV). Nei gatti con insufficienza cardiaca congestizia si è dimostrato utile l'enalapril (0,25 mg/kg una volta al giorno per os). Se possibile, i gatti con miocardiopatia devono essere sottoposti all'esame ecografico del cuore, per stabilire se la condizione primaria sia di natura ipertrofica o dilatativa. Inoltre, si deve effettuare la determinazione dei livelli plasmatici di taurina e di quelli sierici di ormone tiroideo. I gatti con miocardiopatia dilatativa devono essere trattati con taurina (250-500 mg due o tre volte al giorno). In quelli colpiti dalla forma ipertrofica della malattia può essere utile la somministrazione di atenololo (6,25-12,5 mg/gatto una volta al giorno) o di diltiazem (da 1/8 ad 1/4 di una compressa da 30 mg tre volte al giorno). Oggi sono anche disponibili delle preparazioni a lento rilascio a base di diltiazem, che consentono di effettuare un'unica somministrazione giornaliera. Ciascuna capsula contiene quattro compresse da 60 mg. Al gatto si devono somministrare 1/4-1/2 compressa una volta al giorno per os. Per prevenire il tromboembolismo è stato suggerito l'uso dell'acido acetilsalicilico (25 mg/kg ogni tre giorni). C. Asma del gatto. Può essere causa di tosse, sibili, gravi difficoltà respiratorie e cianosi nei gatti colpiti. L'esame radiografico rivela un inspessimento delle pareti bronchiali con aumento del quadro interstiziale ("ciambelle" nelle immagini in proiezione ventrodorsale e "binari di tram" in quelle laterolaterali). Inoltre, il diaframma può apparire 178 appiattito con un aumento della radiotrasparenza polmonare dovuto all'intrappolamento dell'aria. Il trattamento di emergenza si basa su ossigenoterapia e somministrazione di corticosteroidi (0,2 mg/kg di desametazone sodio fosfato IV o 2-4 mg/kg di prednisone sodio succinato IV), broncodilatatori (aminofillina, 4 mg/kg IM) o terbutalina (1,25-2,5 mg due volte al giorno per os) e, nei casi gravi, adrenalina (0,5-1 ml di una diluizione 1:10.000 IM o SC). Il miglioramento si osserva di solito entro 30 minuti. Alcuni gatti vanno trattati con corticosteroidi e broncodilatatori per os per tutta la vita; in altri casi, il problema è stagionale o non ricompare dopo la sospensione graduale della terapia. NOTE II. OSTRUZIONE URETRALE L'ostruzione uretrale è la più comune emergenza osservata nei gatti maschi portati all'ospedale dell'autrice. L'anamnesi segnala comunemente disuria e frequenti tentativi di urinazione. I casi gravi presentano anche recenti episodi di vomito e vengono ricoverati in stato stuporoso o comatoso. L'esame clinico rivela una vescica dura, distesa e non svuotabile mediante compressione. È possibile rilevare un tracciato elettrocardiografico ed inserire un catetere nella vena cefalica, nonché effettuare un prelievo di sangue capillare per la determinazione di ematocrito, solidi totali, azotemia, glicemia e livelli sierici di sodio e potassio. Questi gatti sono di solito disidratati, iperazotemici, iperkalemici ed acidosici. La presenza di elevate concentrazioni di potassio è spesso associata ad aritmie, quali arresto atriale, bradicardia, tachicardia ventricolare o ritmi idioventricolari. Se presenti, le aritmie vanno trattate in modo aggressivo cercando di abbassare la kalemia con l'infusione di insulina (0,2-0,5 U/kg IV) e destrosio (0,5 g/kg in soluzione al 50% IV). Quest'ultimo (2,5-5%) va poi aggiunto ai fluidi infusi per evitare un'ipoglicemia. Per ridurre le concentrazioni di K+ quando divengono troppo elevate si può utilizzare il bicarbonato di sodio (0,5-2 mEq/kg IV, lentamente), che sposta il potassio a livello intracellulare. Tuttavia, esiste il rischio di indurre la comparsa dei segni dell'ipocalcemia poiché il bicarbonato di sodio riduce la frazione ionizzata del calcio plasmatico, che in molti gatti con ostruzione uretrale è presente in basse concentrazioni associate ad elevati livelli di fosforo. 179 NOTE 180 Probabilmente, i gatti in gravi condizioni non hanno bisogno di essere sedati per la risoluzione dell'ostruzione. Quando è necessaria la sedazione, tuttavia, l'autrice impiega un "cocktail" formata da ketamina (2-5 mg/kg), diazepam (0,1-0,3 mg/kg) ed atropina (0,0025 mg/kg) e somministrato per via endovenosa. Poiché la ketamina viene secreta in forma attiva dai reni, non va mai iniettata in alte dosi per via intramuscolare nei gatti con ostruzione. Alle basse dosi utilizzate, il farmaco garantisce un contenimento di breve durata (5-10 minuti) e sicuro. Prima di cateterizzare la vescica, si deve massaggiare delicatamente la punta del pene del gatto nel tentativo di rimuovere il tappo uretrale. Quindi, si introduce nell'uretra un catetere in polietilene da gatto maschio con l'estremità aperta (da 3,5 Fr.), dopo averlo lubrificato con un gel sterile. Una volta effettuata questa operazione, si tira caudalmente lo scroto per drizzare l'uretra durante il passaggio del catetere. Quando si raggiunge un'ostruzione, si effettua un lavaggio con soluzione fisiologica risospingendo il materiale ostruente in vescica. Se ciò risulta impossibile, si può effettuare una cistocentesi per alleviare la pressione endovescicale, che potrebbe ostacolare il flusso retrogrado. Talvolta, il passaggio del catetere è reso molto difficile da spasmi uretrali. In questi casi, si devono aggiungere 0,5 ml di lidocaina alla soluzione di lavaggio da instillare in uretra. Una volta rimossa l'ostruzione e cateterizzata la vescica, questa va lavata con soluzione fisiologica fino a che non sono più evidenti ematuria macroscopica e cristalli. Dopo la risoluzione dell'ostruzione, i gatti presentano poliuria dovuta ad una diuresi post-ostruttiva. Per reidratare il gatto e compensare le perdite urinarie, è necessaria un'elevata velocità di infusione di fluidi (60 ml/ora in un gatto di taglia media). La diuresi post-ostruttiva è comunemente associata ad ipokalemia. Bisogna monitorare i livelli di potassio, effettuando le opportune integrazioni in caso di necessità. Se il monitoraggio è impossibile, si possono aggiungere 14 mEq di KCl ad ogni litro di soluzione di Ringer lattato dopo la risoluzione dell'iperkalemia iniziale. Il catetere urinario in plastica rigida viene sostituito con uno morbido in gomma rossa (da 3,5 Fr.), che viene suturato in posizione. Il catetere permanente viene lasciato fino alla risoluzione della cristalluria e/o dell'ematuria, di solito per 24-72 ore. Durante questo periodo, si possono somministrare antibiotici a scopo profilattico per prevenire le infezioni del tratto urinario. La fluidoterapia endovenosa va ridotta gradualmente e non sospesa bruscamente, per consentire il ripristino del gradiente di concentrazione della midollare renale. Se l'ostruzione uretrale recidiva, può essere indicata l'esecuzione di esami radiografici dell'addome, con e senza mezzo di contrasto, e di indagini colturali per escludere l'esistenza di problemi primari. Se la condizione si ripresenta per tre volte o più, in genere è raccomandata l'uretrostomia perineale. NOTE III. EMERGENZE ENDOCRINE A. Ipertiroidismo. Si riscontra nei gatti anziani di 10-20 anni. L'anamnesi segnala iperattività, poliuria e polidipsia e perdita di peso accompagnate da appetito vorace. Il 10% circa dei gatti ipertiroidei è poi affetto da una forma "apatica" e presenta anoressia e depressione piuttosto che fame ed iperattività. Le principali diagnosi differenziali da escludere sono il linfosarcoma gastroenterico, il diabete mellito e l'insufficienza renale. L'esame clinico rivela spesso un nodulo tiroideo rilevabile con l'accurata palpazione della trachea con il collo in estensione. L'ipertiroidismo può causare anomalie clinicamente manifeste come tachicardia, aritmie (battiti prematuri), miocardiopatia ipertrofica ed insufficienza cardiaca congestizia. La diagnosi definitiva si fonda sul riscontro di un aumento dei livelli di ormone tiroideo (T3 > 200 mg/dl, T4 > 4,5 mg/dl). Il trattamento definitivo consiste nella rimozione chirurgica o nella distruzione con iodio radioattivo del tessuto tiroideo anomalo. Prima di tentare un'anestesia chirurgica, il gatto va sottoposto a terapia medica per stabilizzarne le funzioni cardiaca e tiroidea. Allo scopo, si somministra metimazolo (5 mg due o tre volte al giorno per os) e propranololo (2,5 mg tre volte al giorno) se sono presenti delle aritmie. Il metimazolo viene di solito impiegato tre volte al giorno per 2 settimane, trascorse le quali la posologia viene ridotta a due volte al giorno dopo il raggiungimento dello stato eutiroideo. Nei gatti trattati con questo farmaco si possono osservare delle discrasie ematiche, per cui occorre monitorare i valori dell'emogramma e del conteggio piastrinico. B. Diabete mellito. I segni clinici del diabete mellito nel gatto sono rappresentati da poliuria, polidipsia e perdita di peso. Se queste manifestazioni non vengono rilevate dal proprietario, la malattia può rapidamente progredire evol181 NOTE 182 vendosi nel diab ete chetoacidosico o iperosmolare. In questo caso compaiono vomito, disidratazione, ipotermia, stupore, coma o altre manifestazioni neurologiche. La diagnosi viene confermata dal riscontro di elevati livelli di glicemia con glicosuria, associata o meno a chetonuria. Nei gatti non diabetici si può avere un'iperglicemia transitoria (150-400 mg/dl) da stress, che però solo raramente si accompagna ad una glicosuria significativa e mai a chetonuria. Il diabete mellito complicato viene trattato con la graduale riduzione dell'iperglicemia e dell'iperosmolarità. Si somministra insulina amorfa in infusione continua alla velocità di 1-2 U/kg/24 ore (pari a 5-10 U di insulina amorfa in 250 ml lasciati defluire alla velocità di 10 ml/ora per un gatto di 4,5 kg). L'animale va reidratato nell'arco di 10-12 ore attraverso un altro deflussore, riducendo poi la velocità di infusione ad 1-2 volte i livelli di mantenimento. Dopo l'inizio della terapia si ha spesso l'insorgenza di ipokalemia, per cui occorre monitorare i livelli di K +, effettuando le necessarie integrazioni. Si deve evitare l'ipoglicemia. Quando i livelli ematici del glucosio scendono al di sotto di 250 mg/dl, la velocità di infusione dell'insulina va diminuita. In presenza di chetonemia, si deve continuare a somministrare insulina, aggiungendo però ai fluidi il 2,5% di glucosio, in modo da apportare una fonte di calorie durante la metabolizzazione dei corpi chetonici. L'infusione di insulina deve continuare sino a che questi non sono del tutto scomparsi ed il gatto ha ripreso a mangiare. A questo punto, si somministra insulina lenta o NPH (0,5 U/kg SC) e si sospende l'infusione. Alcuni gatti richiedono una somministrazione di insulina al giorno, ma si deve comunque determinare la curva glicemica nelle 24 ore, perché in molti casi il farmaco viene metabolizzato rapidamente e richiede due somministrazioni giornaliere. Tutti i gatti con diabete complicato devono essere valutati per stabilire se siano presenti o meno affezioni primarie quali infezioni o alterazioni ormonali, renali e cardiovascolari. In alcuni soggetti il diabete mellito è transitorio e, una volta eliminato lo stress primario, l'insulina non è più necessaria. Quindi, i proprietari dei gatti diabetici devono conoscere i segni clinici dell'ipoglicemia (indolenza, ottundimento mentale, incoordinazione e crisi convulsive) e richiedere immediatamente l'intervento del veterinario se questi sono gravi. IV. EMERGENZE TOSSICOLOGICHE NOTE A. Avvelenamento da esteri fosforici. È il più comune avvelenamento riscontrato nei felini presso l'ospedale dell'autrice. Di solito, è conseguente a trascuratezza dei proprietari nel trattare questi animali con un prodotto antiparassitario non approvato per l'impiego nel gatto. I segni clinici comprendono miosi, ipersalivazione, vomito, diarrea, bradicardia, tremori muscolari e convulsioni. Il trattamento consiste nella decontaminazione e nella somministrazione di farmaci. La prima si effettua con un bagno con acqua e sapone e con la somministrazione di carbone attivo per os. Le convulsioni possono essere controllate con il diazepam (2-5 mg/IV). Per il trattamento delle manifestazioni parasimpatiche si impiega l'atropina (0,1 mg/kg IV, 0,1 mg/kg IM), da ripetere in caso di necessità alla metà della dose iniziale. Se gli animali intossicati vengono portati alla visita entro le prime 24 ore dall'esposizione agli esteri fosforici, si può anche impiegare il protopam cloridrato (2-PAM, 20 mg/kg IV), che è invece controindicato nell'avvelenamento da carbammati, caratterizzato da segni clinici simili a quello da organofosforici. B. Avvelenamento da acetaminofene. Si ha quando i proprietari impiegano i propri farmaci per i loro animali. A causa della sua carenza di glucuronil-transferasi, il gatto è molto sensibile a questo tipo di avvelenamento. Una compressa da 500 mg può risultare letale. I segni clinici sono rappresentati da edema facciale, cianosi, difficoltà respiratorie, mucose smorte, sangue di colore bruno-cioccolato ed emoglobinuria. Il trattamento consiste nella somministrazione di N-acetilcisteina alla dose iniziale di 140 mg/kg IV (soluzione al 5%) da ripetere ogni 4 ore alla dose di 70 mg/kg IV o per os (soluzione al 5%) per un totale di 6 trattamenti. Vengono impiegati anche l'acido ascorbico (125 mg), somministrato più volte per combattere la metaemoglobinemia, la terapia di sostegno con ossigeno e la fluidoterapia, da continuare fino a che non si osserva una risposta favorevole. 183