Introduzione alla linguistica germanica

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INTRODUZIONE ALLA LINGUISTICA GERMANICA
Il concetto di “germanico”.
1. L’indoeuropeo
La maggior parte delle lingue dell’attuale Europa appartengono alla famiglia indoeuropea, che comprende
anche molte lingue dell’Asia. A loro volta, le lingue indoeuropee si possono distinguere in sottofamiglie, tra le
quali possiamo ricordare, semplificando: il ceppo romanzo,1 derivato dal latino (italiano, spagnolo,
portoghese, francese e rumeno), il ceppo celtico (irlandese, gallese, il dialetto della Bretagna, e il dialetto della
Scozia), il ceppo germanico (inglese, tedesco, olandese, fiammingo, Afrikaans, svedese, norvegese, danese,
islandese e faroese), il ceppo ellenico (greco), l’albanese, il ceppo baltico (lituano e lettone), il ceppo slavo
(russo, ucraino, polacco, ceco, serbo-croato e bulgaro), l’armeno, e infine il ceppo indo-iranico (hindi,
gujerati, persiano e curdo). Tra le lingue europee, non fanno parte della famiglia indoeuropea il finnico, il
lappone, l’ungherese e il turco - tutte lingue appartenenti alla famiglia ugro-finnica - e il basco, di origine
oscura (così come l’ormai estinto etrusco).
2. La comparazione linguistica
Per stabilire che due lingue sono imparentate tra loro non basta scoprire l’esistenza di un certo numero di
parole simili e che hanno lo stesso significato, in quanto tali somiglianze possono spesso essere spiegate in
termini di prestito linguistico (es. ingl. government, franc. gouvernement; ingl. street, ital. strada, etc.). Due o
più lingue possono dirsi geneticamente imparentate quando è possibile individuare delle regole fonologiche
regolari che permettano di derivare ognuna delle lingue imparentate da una lingua originaria comune
(Akmajan).
Si considerino, per esempio, le seguenti serie di parole:2
sanscrito
latino
gotico
pá u “bestiame”
pecū “bestiame”
faihu “bestiame”
sanscrito
latino
gotico
pit “padre”
pater “padre”
fadar “padre”
sanscrito
latino
gotico
pād “piede”
pēs, pedis “piede”
fōtus “piede”
Si noterà che tutte le volte che in sanscrito e latino abbiamo p, in gotico abbiamo f. E gli esempi si potrebbero
moltiplicare (lat. plēnus / got. fulls “pieno”; lat. piscis / got. fisks “pesce”, etc.). Siamo in presenza, dunque, di
regole fonologiche regolari, che ci permettono di considerare le lingue in questione come geneticamente
imparentate, cioè derivanti da una lingua originaria comune, in questo caso l’indoeuropeo, che possiamo
ricostruire mediante la comparazione linguistica. Si consideri, infatti, il primo esempio, cioè la parola
In realtà questo ceppo deriverebbe dal cosiddetto “italico”, che comprendeva, insieme al latino, lingue quali
osco, umbro e falisco, che non sono sopravvissute.
2
Il sanscrito è un’antica lingua letteraria dell’India. Si oppone al vedico, la lingua dei testi sacri. Le prime
attestazioni risalgono al 1000 a.C. circa. Il gotico è una lingua germanica estinta; si è scelto di usarla qui in
quanto è la lingua germanica più conservativa.
1
indoeuropea per “animale lanuto, bestiame”, e successivamente “ricchezza, denaro”:
sanscrito
latino
lituano
gotico
pá u “bestiame”
pecū
pẽkus
faihu
Dall’analisi di queste 4 forme, tutte appartenenti a ceppi distinti (indo-iranico, italico, baltico e germanico), e
applicando una serie di regole di cui si avvale la comparazione linguistica (legge della maggioranza, legge
dell’esito più probabile, etc) possiamo ricostruire la forma indoeuropea *pe u.3 L’asterisco posto davanti alla
parola ricostruita sta proprio ad indicare che si tratta di una forma ricostruita, e quindi non attestata. Non
abbiamo, infatti, attestazioni, cioè documenti scritti, in indoeuropeo, e nemmeno in germanico. Quindi tutte le
forme indoeuropee e germaniche che incontreremo avranno un asterisco davanti.
In questo modo, grazie agli studi dei Neogrammatici (seconda metà del XIX secolo), che svilupparono e
applicarono il metodo comparativo, si sono individuate una serie di corrispondenze tra le varie lingue
indoeuropee (ma lo stesso vale per il germanico) che sono regolate da leggi fonetiche precise e, secondo i
Neogrammatici, ineccepibili.
Sempre nella seconda metà dell’800, August Schleicher formulò la teoria dello Stammbaum, considerando
l’indoeuropeo come il tronco di un albero genealogico linguistico dal quale si dipartono, differenziandosi
sempre di più, le lingue figlie:
Più tardi Johannes Schmidt rappresentò le relazioni tra le varie lingue indoeuropee secondo la “teoria delle
onde” come cerchi che si intersecano tra di loro rappresentando le caratteristiche comuni di certe lingue tra
loro confinanti:
3
La sibilante del sanscrito ci indica che si tratta di (palatale) e non k (velare). Le occlusive palatali, infatti,
sono divenute delle velari nelle cosiddette lingue centum (tra cui latino e germanico), e delle sibilanti nelle
lingue satem (tra cui il sanscrito). ‘Centum’ e ‘satem’ sono le forme, rispettivamente, in latino e in avestico (=
antico iranico) della parola indoeuropea * tóm “cento”.
Entrambe le schematizzazioni sopra citate si presentano inadeguate a rappresentare le relazioni tra le lingue
della famiglia indoeuropea, in particolare, lo Stammbaum di Schleicher non tiene conto della diffusione di
certi fenomeni linguistici (isoglosse) che accomunano lingue che egli pone su rami differenti, in quanto non
analizza i rapporti tra le lingue derivanti dalla storia dei loro contatti nello spazio e nel tempo; mentre la teoria
delle onde, nonostante rappresenti graficamente fatti geografici corretti, interpreta i fenomeni comuni solo
come esito dei rapporti tra lingue a contatto, e non tiene in considerazione l'origine delle lingue in questione.
3. Il germanico
Come abbiamo visto nell’esempio della comparazione linguistica, il gotico, rispetto alle altre lingue
indoeuropee, si caratterizza per il fatto di presentare la fricativa sorda f là dove le altre lingue hanno
l’occlusiva sorda p:
sanscrito
latino
lituano
gotico
pá u “bestiame”
pecū “bestiame”
pẽkus “bestiame”
faihu “bestiame”
Si tratta, infatti, di una delle principali caratteristiche delle lingue germaniche, probabilmente la caratteristica
che ha permesso ai primi studiosi di considerare tali lingue come un gruppo a sè stante, e va sotto il nome di
“Prima mutazione consonantica” o “legge di Grimm” (dal nome dello studioso che l’ha sistematizzata). Tale
mutazione (o rotazione che dir si voglia) interessa le consonanti occlusive indoeuropee, che, nel passaggio
dall’indoeuropeo al germanico, si trasformano nel modo di articolazione (e talvolta nel coefficiente di
sonorità/sordità), mantenendo il più possibile inalterato il luogo di articolazione, in tre passaggi (o “atti”)
distinti, nella maniera seguente:
1) Le occlusive sorde ie (p, t, k)4 diventano delle fricative sorde: f, þ, h
Esempi:
p>f
t>þ
k>h
ie *piskie * ertie *pe u
>
>
>
got. fisks “pesce”
(lat. piscis)
got. wairþan “divenire” (lat. vertere)
got. faihu “bestiame”
(lat. pecū)
2) Le occlusive sonore aspirate (bh, dh, gh) diventano delle fricative sonore:5 , đ,
Esempi:
bh >
dh > đ
gh >
ie *bhrātēr
ie *bhendhie *steigh-
>
>
>
got. brōþar “fratello”
got. bindan “legare”
got. steigan “salire”
(scr. bhr tar)
(scr. bándhati “egli lega”)
(scr. stighn ti “egli sale”)
3) Le occlusive sonore (b, d, g) diventano delle occlusive sorde: p, t, k
Esempi:
4
b>p
d>t
g>k
ie *dheubie *edonom
ie *egom
>
>
>
got. diups “profondo”
got. itan “mangiare”
got. ik “io”
(lit. dubùs)
(lat. edere)
(lat. ego)
In realtà bisognerebbe includere anche (palatale) e kw (labiovelare), ma si preferisce semplificare per
ragioni di chiarezza. Lo stesso dicasi per le occlusive sonore. In germanico, comunque, le occlusive palati
confluiscono nelle velari (vedi nota 3).
5
Tali fricative sonore, che si indicano con un taglietto nel tratto ascendente o discendente, diventano
occlusive se iniziali di parola, oppure se seguono una nasale, o ancora se sono geminate (cioè doppie). Es.
ie. * bhendhonom > germ. *bindanan > got. bindan. In gotico tale passaggio non è immediatamente visibile
poichè le fricative sonore si indicano col grafema dell’occlusiva corrispondente.
Esistono delle eccezioni al primo atto,6 cioè quello che riguarda le occlusive sorde indoeuropee: queste non
mutano se sono precedute dalla sibilante s: cfr. ie *piskos > got. fisks, dove ie *-sk- rimane invariato in gotico.
Inoltre, nei nessi consonantici (cioè allorquando si hanno due occlusive sorde contigue), muta solo la prima
consonante: cfr. ie *kaptos “preso” (> lat. captus) che diventa in got. hafts, dove è mutato solo il primo
fonema del nesso -pt- (p > f), mentre il secondo (t) è rimasto invariato. L’eccezione più importante è
comunque costituita dalla Legge di Verner, per la quale “le occlusive sorde indoeuropee diventano delle
fricative sonore (anzichè sorde) quando si trovano in ambiente sonoro e non sono precedute dall’accento.”
Entrambe le condizioni devono essere soddisfatte. Si prenda la parola ie. *pət r “padre” (lat. pater, gr. πατήρ).
In tale parola -t- si trova in ambiente sonoro (in quanto è tra due vocali)7 e non è preceduta dall’accento
(questo infatti cade sulla e che segue). Avremo quindi:
ie *pət r > got.*fadar (dove d indica in realtà la fricativa sonora đ)8
Le lingue che presentano la I mutazione consonanatica sono: gotico, anglosassone, antico frisone, antico
sassone, antico basso francone, antico alto tedesco e antico nordico:
ie*
ie*
pe u
pisk-
>
>
got.
ags.
afris.
as.
aat.
an.
faihu
feoh
fiā
fehu
fihu
fē
got.
ags.
afris.
as.
aat.
an.
fisks
fisc
fisk
fisk
fisk
fiskr
 ingl. mod. fee “tassa” 9
 ted. mod. Vieh “bestiame”
 ingl. mod. fish “pesce”
 ted. mod. Fisch “pesce”
Queste costituiscono, appunto, le lingue germaniche, dette così in quanto discendenti dal germanico (allo
stesso modo in cui l’italiano e il francese discendono dal latino). Il germanico, così come l’indoeuropeo, è una
lingua ricostruita tramite la comparazione linguistica, in quanto non ne possediamo attestazioni dirette. Il
metodo è essenzialmente lo stesso che viene adoperato per ricostruire l’indoeuropeo, solo che in questo caso
si parte dalle lingue germaniche attestate. Si prendano, per esempio, le parole per “bocca” nelle varie lingue
germaniche:
got. munþs
an. munnr
ags. mūþ
aat. munt
Da queste forme è possibile ricostruire la radice germanica *munþ-, a cui poi dovremo aggiungere il suffisso
tematico (in questo caso -a-) e la desinenza (in questo caso -z). Una parola, infatti, è formata da tema e
desinenza, dove il tema è a sua volta formato dalla radice (il morfema base che contiene un tratto semantico) e
In realtà non è certo in che ordine si siano verificati questi tre passaggi, o “atti”.
Una consonante si dice in ambiente sonoro quando è tra due vocali o tra una vocale e una liquida o nasale.
8
Si confrontino anche ags. fæder, as. fadar e an. faðir.
9
Il termine inglese moderno fee viene dall’anglonormanno, che a sua volta deriva dall’antico francese, poichè
in epoca medievale il termine germanico si diffonde in area romanza, col significato di ricchezza.
6
7
dal suffisso tematico:
germ. *munþaz = munþa- (tema, formato da radice munþ- + suff. tematico -a-) + -z (desinenza)
radice:
suff. tematico:
tema:
desinenza:
munþ-amunþa-z
4. Il sostrato
Per quanto riguarda l’origine del germanico, si tende a fare riferimento alla “teoria del sostrato”, secondo la
quale un certo numero di fenomeni fonetici di una lingua si possono spiegare alla luce dei contatti fra le
popolazioni insediatesi su un nuovo territorio e quelle che vi si trovavano in precedenza. La lingua delle
popolazioni già stanziate su quel territorio, e gli influssi di tale lingua su quella delle nuove popolazioni
costituirebbero il sostrato, mentre la lingua delle nuove popolazioni costituirebbe il superstrato. Va detto,
comunque, che ben poco si sa delle lingue che costituirebbero il sostrato, per cui in genere ci si deve limitare a
formulare delle ipotesi.
Nel caso del germanico, secondo gli studiosi, intorno al III/II millennio a.C., alcune popolazioni indoeuropee
(superstrato) si sarebbero stabilite nella zona dell’attuale Danimarca e Svezia meridionale (cerchia nordica),
entrando in contatto con le popolazioni che già vi risiedevano (sostrato), dette popolazioni megalitiche per via
dei megaliti, cioè delle grosse costruzioni in pietra che usavano per i loro riti funerari. Dal punto di vista
archeologico, si è notata, in questa zona e in quel periodo, infatti, la sostituzione di tali riti con l’inumazione
in tombe singole a tumulo (caratteristica degli indoeuropei), accompagnata dalla presenza di asce da guerra e
ceramica con decorazione a cordicelle (anche queste assoociate agli indoeuropei), segno che una nuova
popolazione indeuropea era venuta a soppiantare quella precedente.10
5. Come si raggruppano le lingue germaniche
Il differenziarsi delle varie lingue germaniche dal ‘germanico comune’ sarebbe avvenuto a causa delle
vicende storiche e geografiche delle varie popolazioni germaniche, che si staccarono dalla zona originaria,
migrando verso altri territori, in tempi e in direzioni diverse.
Alla luce delle caratteristiche delle singole lingue, tuttavia, è possibile distinguerle in tre gruppi principali,
secondo uno schema che risale allo Stammbaum di Schleicher:
1. germanico orientale, che comprende solo il gotico (ormai estinto);
2. germanico occidentale, che comprende anglosassone (da cui deriva l’inglese moderno), antico
frisone (da cui deriva il frisone moderno), antico sassone (da cui deriva il Plattdeutsch, un dialetto
dell’attuale Germania settentrionale), antico basso francone (da cui derivano l’olandese moderno, il
fiammingo e l’Afrikaans), e antico alto tedesco (da cui deriva il tedesco moderno);
3. germanico settentrionale, che comprende l’antico nordico (da cui derivano le moderne lingue
scandinave: islandese, faroese, danese, svedese e norvegese).
Per quanto riguarda l’origine degli indoeuropei, invece, vi sono varie teorie. Le due più accreditate sono
quelle di Marija Gimbutas, che collega la civiltà indoeuropea alla cultura dei Kurgan (tumuli funerari), e ne
situa la nascita in una zona a nord del mar Nero, intorno al V millennio a.C., e quella di Colin Renfrew, che
collega la civiltà indoeuropea alla pratica dell’agricoltura, e ne situa la nascita in una zona della Turchia
orientale, intorno al 7000 a.C.
10
Tale distinzione, per quanto valida e comunemente accettata, ha tuttavia dei limiti, in quanto non rende conto
di tutti i fenomeni che legano tra di loro alcune lingue germaniche, e gli studiosi moderni tendono ad
esaminare tali lingue anche sulla base delle isoglosse che si riscontrano tra le varie lingue, a volte in contrasto
con la tripartizione descritta, anche se a volte un fenomeno comune a due lingue potrebbe essere sorto
autonomamente nelle due lingue, senza un necessario contatto e successiva diffusione tra esse (in questo caso
si parla di “poligenesi”).
All’interno della compagine del germanico occidentale inoltre, si sono riscontrati dei sottogruppi, e in
particolare un certo numero di isoglosse che accomunano ags, afr. e as. Tali lingue costituiscono dunque una
sottounità, che va sotto il nome di “lingue del Mare del Nord”, o “lingue Ingevoni”, riprendendo una
denominazione di Tacito. Nel secondo capitolo della Germania, infatti, lo scrittore latino (I sec. d.C.)
distingue i Germani (occidentali) in tre gruppi:
1. Ingevoni (stanziati sulle coste del Mare del Nord)
2. Erminoni (stanziati lungo l’Elba)
3. Istevoni (stanziati tra il Reno e la Weser)
Rifacendosi alla distinzione di Tacito, Maurer (1952) distingue i Germani in cinque gruppi fondamentali:
1. Germani del Nord (Nordgermanen)  an.
2. Germani stanziati tra Oder e Vistola (Ostgermanen)  got.
3. Germani del Mare del Nord (Nordseegermanen, gli Ingevoni di Tacito)  ags., afr. e as.
4. Germani dell’Elba (Elbgermanen, gli Erminoni di Tacito)  alemanno e bavarese (aat.)
5. Germani tra Weser e Reno (Weser-Rheingermanen, gli Istevoni di Tacito)  dialetti franconi (aat.)
Tale suddivisione è utile in quanto rende conto di alcune delle differenze che si riscontrano in area tedesca.
6. Altre caratteristiche del germanico
Oltre alla I mutazione consonantica, le lingue germaniche condividono altre isoglosse che le caratterizzano
come gruppo linguistico a sè stante. Tra le principali ricordiamo:










L’accento;
La sistematizzazione del sistema apofonico verbale in sette classi;
I verbi deboli;
I verbi preterito-presenti;
L’evoluzione del vocalismo;
L’evoluzione delle sonanti;
La declinazione debole dei sostantivi;
La riduzione dei casi da 7 a 4;
La riduzione di modi e tempi verbali;
Il lessico;
6.1. L’accento
In indoeuropeo l’accento era libero e musicale; in germanico diviene intensivo e si fissa sulla sillaba radicale.
Si parla quindi di lingua rizotonica. Il fissarsi dell’accento sulla sillaba radicale causerà l’indebolimento delle
sillabe finali, favorendo in tal modo la progressiva trasformazione della lingua da sintetica ad analitica, specie
per quanto riguarda l’inglese. Il sistema flessivo si conserva invece nel tedesco moderno.
6.2. I verbi forti e l’apofonia
I verbi indoeuropei formavano il passato con l’ausilio di tre elementi:
1. speciali desinenze;
2. raddoppiamento;
3. apofonia.
Il raddoppiamento consiste nella ripetizione della prima consonante della radice seguita da e:
lat.
lat.
gr.
gr.
canō “canto”
pario “genero”
λείπω “lascio”
πείθω “persuado”
cecinī “cantai”
peperi “generai”
λέλοιπα “lasciai”
πέποιθα “persuasi”
L’apofonia è l’alternarsi regolare di determinate vocali in parole etimologicamente connesse (es. lat. tegere
“coprire”, toga “toga”). I verbi indoeuropei utilizzavano e (al grado normale o allungato) al presente e o (al
grado normale o allungato) al passato.
Tutti e tre questi elementi si sono conservati in ario e in greco. Il germanico potenzia l’apofonia, nel modo
descritto qui di seguito, ma perde il raddoppiamento, di cui abbiamo dei resti solo in gotico:
ags.
got.
lǽte “lascio”
lēta “lascio”
lēt “lasciai”
laílōt “lasciai”
Si distinguono due tipi di apofonia:
1) apofonia qualitativa (in cui cambia la qualità della vocale in questione: e oppure o);
2) apofonia quantitativa (in cui muta la quantità della vocale in questione: breve, lunga, ridotta o assente).
I due tipi di apofonia possono coesistere nella stessa serie vocalica. Così, per esempio, l’indoeuropeo e alterna
con o per apofonia qualitativa; ma nello stesso tempo, sulla base dell’apofonia quantitativa, la vocale e o o
può essere eliminata totalmente o allungata in ē e ō. Per tale via si costituiscono determinate serie apofoniche,
in ciascuna delle quali sono da distinguere tre gradi:



il grado normale (e, o)
il grado zero (assenza della vocale)
il grado allungato (ē, ō)
Le vocali che stanno in rapporto apofonico possono anche apparire accompagnate da liquide, nasali e
semivocali, sicché risultano dittonghi. Al grado zero resta, in tal caso, rispettivamente la liquida, la nasale o la
semivocale.
Nella grammatica germanica si è giunti a fissare sette serie apofoniche, secondo le possibilità che ricorrono
nella formazione dei tempi del verbo forte. Tuttavia, le alternanze apofoniche sistemate in queste serie non
sono limitate al verbo forte: esse sono nel verbo semplicemente più visibili che altrove.
Il vocalismo radicale del verbo forte si articolava, in ciascuna delle sette classi, in quattro gradi apofonici
diversi, ciascuno indicante una differente forma verbale, e cioè:
1) infinito e presente
2) I e III persona del preterito singolare
3) II persona del pret. sing. e preterito plurale
4) participio passato
Anche se, in linea teorica, dovremmo avere un vocalismo differente per ognuna delle quattro forme verbali, a
volte alcune delle forme coincidono tra loro, in genere a causa dei fenomeni di evoluzione vocalica. Sempre a
causa dei fenomeni evolutivi del vocalismo, le serie apofoniche indoeuropee non sono più riconoscibili - o
quasi - in anglosassone. Per esempio, il vocalismo della prima classe apofonica era, in indoeuropeo:
ei
oi
i
i
infinito o presente
I e III pers. sing. del preterito
II pers. sing. del pret. e pret. plurale
participio preterito
Dove tra ei e oi vi era apof. qualitativa e tra ei/oi e i apof. quantitativa (ei, oi = grado normale; i = grado zero).
Poiché nel passaggio dall’indoeuropeo al germanico ei > ī e oi > ai, in germanico ricostruiremo:
ī
ai
i
i
infinito o presente
I e III pers. sing. del preterito
II pers. sing. del pret. e pret. plurale
participio preterito
E poiché, ancora, in anglosassone ai > ā, le quattro forme, per quanto riguarda l’anglosassone, saranno:
ī
ā
i
i
infinito o presente
I e III pers. sing. del preterito
II pers. sing. del pret. e pret. plurale
participio preterito
Esempio:
“cavalcare”
“cavalcai”
“cavalcammo”
“cavalcato”
IE
* reidh-onom
* roidh-a
* ridh-me
* ridh-onos
germ.
* rīđ-anan
* raiđ
* riđ-um
* riđ-anaz
rīd-an
rād
rid-on
rid-en
ags.
ingl.
ride
rode
-ridd-en
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------aat.
rīt-an
reit
rit-um
gi-rit-an
ted.
reit-en
ritt
--
ge-ritt-en
Come si vede, tali verbi sopravvivono, con le loro caratteristiche, sia in inglese che nel tedsco moderno, dove
vengono detti, rispettivamente, “irregolari” e “forti”. Ulteriori esempi, in inglese e tedesco:
ingl.
ted.
give
geben
gave
gab
given
gegeben
ingl.
ted.
sing
singen
sang
sang
sung
gesungen
ingl.
ted.
swim
schwimmen
swam
schwamm
swum
geschwommen
ingl.
ted.
drink
trinken
drank
trank
drunk
getrunken
6.3. I verbi deboli
Oltre ai verbi forti, ereditati dall’indoeuropeo, il germanico si crea una serie di verbi nuovi, derivati da
sostantivi o verbi già esistenti, che formano il preterito mediante un suffisso in dentale.11 Tali verbi
sopravvivono sia in inglese che in tedesco, dove costituiscono, rispettivamente, i verbi cosiddetti “regolari” e
“deboli”:
11
ingl.
ted.
hear
hören
heard
gehört
ingl.
ted.
dream
träumen
dreamt
geträumt
ingl.
ted.
have
haben
had
gehabt
ingl.
ted.
wish
wünschen
wished
gewünscht
Il greco forma un preterito con suffisso -k-; il latino con -v-: lat. fleō “piango”, flēvī “piansi”.
6.4. I verbi preterito-presenti
Oltre ai verbi deboli il germanico si crea una serie di verbi che sono ricavati da verbi indoeuropei preesistenti,
derivandoli dal grado del preterito. Dal verbo ie. * eid- / oid- “vedere” (> germ. *wītan / wait) si forma, ad
esempio, il verbo “sapere”, dalla forma del preterito, per la conseguenza di tipo logico-semantico “ho visto”
 “so”. Il nuovo verbo avrà, dunque, al presente, delle forme (ags. wāt “so”, aat. weiz “so”) che utilizzano il
grado apofonico del passato (ie *oi > germ. *ai > ags. ā, aat. ei). Per tale ragione sono detti “preteritopresenti”. Tali verbi avranno variazione apofonica tra le forme del presente singolare e quelle del presente
plurale (ags. wāt “so” / witon “sappiamo”, aat. weiz “so” / wizzum “sappiamo”). Per formare il passato,
inoltre, dovranno anch’essi utilizzare il suffisso in dentale (ags. wisse, aat. wissa “seppi” < germ. *wissōn <
*wittōn < *witđōn). Vengono quindi detti anche “misti” poichè presentano sia l’apofonia (caratteristica dei
verbi forti) che il suffisso in dentale (caratteristica dei verbi deboli). Nel ted. mod. questo verbo si è
conservato (er weiß “sa” / er wußte “seppe”), ma è andato perduto in inglese. In entrambe le lingue si
conservano, tuttavia, una manciata di verbi preterito-presenti generalmente noti come “modali”. Essi
presentano sia l’apofonia che il suffisso in dentale al passato:
ingl.
ted.
can
kann
could
konnte
ingl.
ted.
may
mag
might
mochte
ingl.
ted.
shall
soll
should
sollte
6.5. Il vocalismo
L’indoeuropeo aveva sei vocali brevi (ă, ĕ, ĭ, ŏ, ŭ, ə), cinque vocali lunghe (ā, ē, ī, ō, ū) e sei dittonghi (ei, oi,
ai, eu, ou, au). Nel passaggio dall’ie al germ. si verifica un sincretismo in seguito ai seguenti cambiamenti:
ie. *ŏ
ie. *ə
ie. *ā
ie. *oi
ie. *ou
ie. *ei
>
>
>
>
>
>
germ. *ă
germ. *ă
germ. *ō
germ. *ai
germ. *au
germ. * ī
6.6. Le sonanti
Le sonanti sono delle consonanti che funzionano come se costituissero un’intera sillaba. Ne sono esempi l in
ted. Esel o ingl. bottle, o m in ingl. bottom. In indoeuropeo esistevano quattro sonanti, liquide e nasali. Tali
sonanti nel passaggio dall’indoeuropeo al germanico sviluppano una u immediatamente precedente:
ie. *
ie. *
ie. *
ie. *
>
>
>
>
germ. *ul
germ. *ur
germ. *um
germ. *un
Esempio: ie. *p nós “pieno” (lat. plēnus) > germ. *fulnaz > *fullaz > ags. full > ingl. full
> aat. foll > ted. voll
6.7. La declinazione debole degli aggettivi
L’indoeuropeo era una lingua sintetica, i cui sostantivi e aggettivi (maschili, femminili e neutri) flettevano
secondo varie declinazioni. Il germanico conserva tali flessioni. Un’innovazione germanica è però una
declinazione debole (con tema in –n) per tutti gli aggettivi, con carattere individualizzante (cioè usata in
congiunzione con l’articolo determinativo o col pronome dimostrativo):
ags. se goda man “l’uomo buono”
ags. an god man “un uomo buono”
Tale declinazione debole si è conservata nel tedesco:
ted. der junge Mann “l’uomo giovane”
ted. ein junger Mann “un uomo giovane”
6.8. La riduzione dei casi
Nella flessione nominale e aggettivale indoeuropea si contavano otto casi:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
nominativo
accusativo
vocativo
genitivo
dativo
ablativo
strumentale
locativo
[soggetto]
[oggetto]
[invocazione]
[appartenenza e interesse]
[scopo, punto di arrivo]
[punto di partenza, origine]
[compagnia, mezzo, causa]
[posizione nello spazio e nel tempo]
Il germanico riduce i casi da otto a quattro: nominativo, genitivo, dativo e accusativo.12
6.9. La riduzione di modi e tempi verbali
L’indoeuropeo presentava due diatesi verbali (attivo e medio-passivo) e cinque modi (indicativo, imperativo,
congiuntivo, ottativo e ingiuntivo). Non è chiaro quanti tempi verbali ci fossero: alcune lingue ie ne hanno sei,
ma non è certo che siano tutti ereditati dall’indoeuropeo.
Anche in questo ambito in germanico si verifica un sincretismo: vi è una sola diatesi (attivo),13 tre
modi (indicativo, imperativo e ottativo), e solo due tempi (presente e passato). Il futuro è reso col presente o,
più tardi, con forme perifrastiche (es. volere + infinito)
6.10. Il lessico
Anche il lessico, in buona sostanza, caratterizza le lingue germaniche come gruppo lingustico a sè stante. Le
lingue germaniche, infatti, condividono una serie di parole non riconducibili a radici ie, quali per esempio le
parole per “mano” (ags. hand > ingl. hand, aat hant > ted. Hand, an. h nd, got. handus) o “mare” (ags sae >
ingl. sea, aat seo > ted. See, an. sjór, got. saiwa “palude”). Esse utilizzano, inoltre, per la formazione di nuove
parole, dei suffissi germanici che non si riscontrano nelle altre lingue ie., ad es. germ. *-līka (ingl. -ly, ted.
Il voc. confluisce nel nominativo; lo strumentale e il locativo confluiscono nel dativo; L’ablativo confluisce
in parte nel dat. e in parte nel gen. Simili riduzioni avvengono nelle altre lingue ie, per esempio in greco
strum. e loc. confluiscono nel dat., mentre l’abl. finisce nel gen.; in latino lo strum. e il loc. confluiscono
nell’ablativo.
13
Resti di coniugazione medio-passiva si conservano in gotico.
12
-lich), con cui vengono formati aggettivi e avverbi (es. ingl. friendly, lovely; ted. lächerlich, köstlich), oppure
il suffisso germ. *-ingō/-ungō (ingl. -ing, ted. -ung) con cui si formano per lo più sostantivi astratti femminili
(es. ingl. wedding, morning; ted. Richtung, Wohnung).
7. La Seconda mutazione consonantica
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