Editoriali Crisi strutturale Economia Salvare la Grecia Il prezzo (e l’Europa) e il valore di Pasquale Ferrara di Luigino Bruni Ancora oggi capita di sentire qualche cittadino greco dire: «Vado in Europa», per ri- In quasi tutti gli aeroporti del mondo, c’è un servizio Internet a pagamento. A Zurigo ferirsi ad un suo prossimo viaggio in Italia, Francia, Germania. Eppure, la Grecia non solo è in Europa, è Europa, non tanto per la sua appartenenza all’Unione europea e all’euro, ma anche per esserne stata, in un certo senso, l’antico crogiolo culturale e persino politico. A distanza di venticinque secoli, la Grecia rischia paradossalmente di essere la prima crepa nell’edificio europeo, capace di innescare il “disfacimento dell’Europa”. In questi ultimi mesi ha preso corpo l’ipotesi non più di un’Europa a due o più velocità, ma di un’Europa a bassa velocità, se si deve giudicare dai tempi di reazione dei governi europei all’annunciata catastrofe finanziaria greca. Tuttavia sembra improbabile che la Grecia venga lasciata completamente a sé stessa, perché una cosa sono i fallimenti delle banche, un’altra i fallimenti dei governi. E infatti l’Eurozona si è detta disponibile – anche se con ritardo – a prestare, se necessario, un gruzzolo di miliardi di euro ad Atene. Caso chiuso? No di certo. Come la crisi finanziaria mondiale ha lasciato ancora irrisolto il nodo della regolazione dei mercati per evitare la speculazione selvaggia, così la crisi “sovrana” europea (non si tratta infatti solo della Grecia; hanno seri problemi anche Irlanda, Portogallo e Spagna) ha lasciato irrisolto il nodo della governance economica comune europea. Perché di questo in fondo si tratta, ancora una volta: della rinuncia alla difesa miope degli interessi e delle “virtù” nazionali per mettere a fattor comune le potenzialità di un rilancio economico, sociale, finanziario ed etico di un continente che sempre di più rischia di apparire auto-referenziale rispetto alle grandi aree emergenti del mondo. Il rischio vero per l’Europa non è tanto un clamoroso collasso politico, prima che ancora finanziario; il vero pericolo si annida in un’atrofia progettuale derivante dall’assenza di una vera leadership politica. Se, come ha detto Jean-Claude Trichet, «il fallimento della Grecia non è nemmeno da considerare», vorremmo che qualcuno ci rassicurasse che non lo è nemmeno, a medio termine, il fallimento del progetto politico europeo. con un euro si avevano 4 minuti di connessione: le postazioni erano quasi tutte libere. Pochi giorni fa, a Porto, ho trovato in aeroporto un servizio Internet gratuito: ho fatto più di un’ora di fila per poi desistere, poiché chi occupava una postazione non la mollava più. Forse un costo un po’ più basso a Zurigo e uno maggiore di zero a Porto avrebbero migliorato l’efficienza di entrambi i sistemi. Prezzi troppo alti o troppo bassi sono entrambi dei problemi. Un prezzo del petrolio per decenni troppo basso non ha solo accelerato l’esaurimento di giacimenti, ma ha anche rallentato la ricerca di energie alternative. Il prezzo di un bene, quando i mercati sono concorrenziali, dovrebbe esprimere la sua scarsità economica e sociale; ma ci sono beni come il petrolio (e in generale l’ambiente) dove, per poter far sì che i loro prezzi esprimano la vera scarsità, dovremmo includere anche la disponibilità di quel bene per le future generazioni. Venendo poi ai prezzi troppo alti, non riesco ancora a trovare un collega economista che mi dia una giustificazione teorica degli stipendi milionari dei manager. Sono convinto che se pagassimo i dirigenti, privati e pubblici, sulla base della scarsità e del valore del loro contributo all’azienda e alla società, potremmo ridurre i costi di beni, polizze e bollette che lievitano anche a causa delle rendite che i membri di questi club esclusivi si auto-assegnano. Stipendi più bassi favorirebbero poi la coesione e l’armonia sociale, che sono sempre messe in crisi da forti diseguaglianze. Sono convinto che anche nel campo dei manager occorre sviluppare le ricerche sulle “fonti alternative”; ma, anche qui, finché gli stipendi dei dirigenti delle grandi imprese e dell’amministrazione pubblica resteranno così scandalosamente alti, sarà arduo per l’economia sociale e civile attrarre i migliori giovani dirigenti. Per fortuna, però, conosco tanti giovani che, pur avendo ottime alternative, scelgono di impegnare i loro anni migliori in Ong, in imprese sociali e civili, dove si trovano quelle “energie alternative” da cui dipenderà la sostenibilità economica sociale e spirituale dei prossimi anni. 12 Città Nuova - n. 9 - 2010