La crisi economica della Grecia Tutto iniziò nell’autunno 2009 quando il primo ministro greco George Papandreou affermò che i governi precedenti avevano falsificato i dati di bilancio dei conti pubblici per permettere alla Grecia di entrare nell’euro nel 2001, denunciando così il rischio di bancarotta del paese. Il 2 maggio 2010 l’Unione Europa e il Fondo Monetario Internazionale approvarono un prestito di 110 miliardi di euro per garantire il salvataggio della Grecia. La situazione nel paese non migliorò: 6 miliardi di tagli alla spesa pubblica, un piano di privatizzazioni e un tasso di disoccupazione al 15,9%. Si diffuse così la possibilità di un’uscita della Grecia dall’euro. Nel settembre 2011 arrivarono in Grecia i rappresentanti della Commissione Europea, della Banca Centrale Europea e del Fondo Monetario Internazionale, la troika, per analizzare i conti pubblici greci in vista di un secondo piano di aiuti. Fu così che George Papandreou propose di sottoporre a referendum il piano di salvataggio, ma le minacce dell’Europa gli impose un passo indietro. Fu varato un secondo prestito da 130 miliardi ma la situazione interna al paese rimaneva critica: nel corso del 2012 si registrava un forte flusso migratorio di laureati verso Australia, Russia, Iran e Cina. Il nuovo governo, guidato da Lucas Papademos, decise così di tagliare oltre 15.000 dipendenti pubblici e l’ennesimo piano di austerity. Tutto questo mentre in piazza Syntagma, ad Atene, si concentravano la proteste dei greci. Nel maggio e nel giugno 2012, mentre il paese si preparava per le elezioni anticipate, l’agenzia finanziaria Fitch sosteneva inevitabile l’uscita della Grecia dall’euro. Il nuovo primo ministro Antonis Samaras confermò la politica di austerità con una riduzione del debito pubblico di oltre 30 miliardi. Dopo anni di recensione, alla fine del 2014, il PIL greco crebbe dello 0,7%. Ma la situazione politica e sociale intanto risultava precipitata visto l’aumento della disoccupazione (oltre il 20%) e la forte crescita della povertà in Grecia. Nel gennaio 2015 si formò un nuovo governo, guidato da Alexis Tsipras, che decise di negoziare con la troika il pagamento del debito: i risultati però vennero definiti umilianti. Nel giugno 2015 fu così organizzato un referendum sulle proposte. La vittoria andò al fronte del no con il 62% dei voti. Ma nonostante la bocciatura per l’austerità e il possibile ritorno alla dracma in Grecia, nel luglio 2015, Tsipras raggiunse un’intesa senza compromettere gli accordi con i creditori internazionali. La Grecia deve alla troika oltre 45 miliardi di euro; l’economia risulta bloccata: con la spesa pubblica troppo alta e poca competitività.