W. Privitera La nascita dello spazio pubblico: la polis

W. Privitera
La nascita dello spazio pubblico: la polis
1. DAL CONCRETO ALL’ASTRATTO: LO SPAZIO PUBBLICO DIVENTA SFERA PUBBLICA
Secondo una celebre formula di Benjamin Constant, si possono distinguere due tipi di libertà: la
libertà degli antichi e la libertà dei moderni: “chiedetevi innanzitutto, Signori, che cosa intendano
oggi con la parola libertà un inglese, un francese, un abitante degli Stati Uniti d’America. Il diritto
di ciascuno di non essere sottoposto che alle leggi, di non poter essere né arrestato, né detenuto, né
messo a morte, né maltrattato in alcun modo a causa di un arbitrio di uno o più individui. Il diritto
di ciascuno di dire la sua opinione, di scegliere la sua industria e di esercitarla, di disporre della
sua proprietà e anche di abusarne; di andare e venire, senza doverne ottenere il permesso e senza
render conto delle proprie intenzioni e della propria condotta. Il diritto di ciascuno di riunirsi con
altri individui sia per conferire sui propri interessi, sia per professare il culto che egli e i suoi
associati preferiscono, sia semplicemente per occupare le sue giornate e le sue ore nel modo più
conforme alle sue inclinazioni, alle sue fantasie. Il diritto, infine, di ciascuno di influire sulla
amministrazione del governo sia nominando tutti o alcuni dei funzionari, sia mediante rimostranze,
petizioni, richieste che l’autorità sia più o meno obbligata a prendere in considerazione.
Paragonate ora a questa libertà quella degli antichi. Essa consisteva nell’esercitare
collettivamente ma direttamente molte funzioni dell’intera sovranità, nel deliberare sulla piazza
pubblica sulla guerra e sulla pace, nel concludere con gli stranieri i trattati di alleanza, nel votare
le leggi, nel pronunciare i giudizi; nell’esaminare i conti, la gestione dei magistrati, nel farli
comparire dinanzi a tutto il popolo, nel metterli sotto accusa, nel condannarli o assolverli. Ma se
questo era ciò che gli antichi chiamavano libertà, essi ritenevano compatibile con questa libertà
collettiva l’assoggettamento completo dell’individuo all’autorità dell’insieme” (B. Constant,
Discorso sulla libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni).
Questa citazione mette bene in evidenza quanto sia distante il mondo delle democrazie antiche
dal contesto delle libertà politiche moderne. Eppure, quando si parla di sfera pubblica politica, è
pressoché inevitabile il richiamo a esperienze storiche originarie in cui pubblico e privato si
costituiscono per la prima volta come sfere distinte separandosi l’una dall’altra.
La democrazia ateniese e la repubblica romana non avevano delle sfere pubbliche nel senso che
noi moderni attribuiamo al termine. Tuttavia il principio normativo fondamentale alla base delle
sfere pubbliche politiche di oggi come di ieri è lo stesso: l’uguaglianza come reciprocità. Su tale
principio si basano tutte le utopie che hanno costituito la tradizione democratica fino ad oggi.
Tale complessa relazione di continuità ma anche di forti cesure costituisce l’oggetto di questa
prima parte.
Nei prossimi capitoli ci occuperemo del passaggio dallo spazio pubblico degli antichi alla
moderna sfera pubblica, un complesso processo secolare che non potremo seguire nei dettagli e
nemmeno sarà affrontato con pretesa di completezza storica. L’obiettivo è piuttosto quello di
menzionare alcuni passaggi significativi per marcare il valore delle trasformazioni che preludono
alla nascita della sfera pubblica moderna.
La sfera pubblica, in quanto istanza di legittimazione del potere politico moderno basato sul
consenso, segna rispetto alle società precedenti una svolta importante: dall’autorità di rapporti di
fatto consolidati dalla tradizione si passa all’autorità di ciò che il pubblico dei cittadini riconosce
discorsivamente come giusto. Il passaggio dall’autorità delle consuetudini a quella delle argomenti
di legittimazione democratica si presta ad essere interpretato come passaggio dal concreto
all’astratto. Che la società si faccia più astratta si mostra in maniera ben evidente mettendo a
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confronto i primi esempi storici di democrazia con le condizioni che preparano la nascita della sfera
pubblica moderna. (…)
2. LA NASCITA DELLO SPAZIO PUBBLICO: LA POLIS
Quando ci si sforza di immaginare la prassi di un pubblico politicamente interessato ed
effettivamente sovrano nell’esercizio diretto della libertà politica, si pensa comunemente alla polis
greca o alla Roma della fase repubblicana. Queste esperienze storiche di indubbio carattere fondante
hanno influenzato profondamente il pensiero democratico, da Rousseau a Tocqueville; e anche in
tempi più recenti non hanno smesso di costituire un punto di riferimento di primaria importanza.
Hanna Arendt, ad esempio, vede nell’agire politico della democrazia ateniese il modello
insuperabile cui oggi possiamo solo sperare di approssimarci, non diversamente dalla tradizione
repubblicana che risente profondamente dell’idea di autogoverno della polis.
Il più importante aspetto che caratterizza la polis è la distinzione fra pubblico e privato. Questa
coppia, che a noi moderni appare tanto ovvia, è stata una delle conquiste più importanti del mondo
antico. Ad Atene la distinzione è operata ancora indirettamente con l’uso di termini come oikos, che
designa una sfera domestica comprendente le attività lavorative che ruotano attorno alla casa, e
agorà che indica il luogo dove ci si incontra al di fuori delle mura domestiche. A Roma invece con i
termini giuridici res publica e res privata si crea la coppia concettuale utilizzata ancora oggi.
La nascita di un criterio di distinzione costitutivo contemporaneamente sia del pubblico che del
privato, non significa tuttavia che le due sfere venissero comprese secondo i criteri in uso nel
mondo moderno. Nella Grecia antica la sfera domestica coincide sostanzialmente con la dimensione
della riproduzione della vita, faticosa e ripetitiva: “Il tratto distintivo della sfera domestica era che
in essa gli uomini vivevano insieme perché spinti dai loro bisogni e dalla loro necessità” (H.
Arendt, Vita activa, p.22). Il pubblico si configura invece come il luogo dell’emancipazione dalle
necessità della vita, l’unico ambito dove l’uomo è veramente libero. La libertà dello spazio pubblico
tuttavia non è semplicemente libertà dalla fatica. Nella polis la libertà è intesa soprattutto come
partecipazione ad una comunità di liberi e uguali: “la polis si distingueva dalla sfera domestica in
quanto si basava sull’eguaglianza di tutti i cittadini, mentre la vita familiare era il centro della più
rigida disuguaglianza […] Nella sfera domestica, dunque, non esisteva la libertà; infatti, il
capofamiglia era considerato libero solo in quanto aveva il potere di lasciare la casa e accedere
all’ambito politico, dove tutti erano eguali” (H. Arendt, Vita activa, p.24). La partecipazione alla
vita pubblica dava al cittadino il senso di una vita piena, degna di essere vissuta. Hanna Arendt
descrive l’esistenza privata ad Atene come una condizione cui mancano alcune delle cose più
importanti che la vita può dare: “vivere una vita interamente privata significa prima di tutto essere
privati di cose essenziali a una vita autenticamente umana. Essere privati della realtà che ci deriva
dall’essere visti e sentiti dagli altri, essere privati di un rapporto ‘oggettivo’ con gli altri, quello
che nasce dall’essere al tempo stesso in relazione con loro e separati da loro grazie alla
mediazione di un mondo comune di cose, privati della possibilità di acquistare qualcosa di più
duraturo della vita stessa”. (H. Arendt, Vita activa, p.44). Fare qualcosa di importante e di duraturo
per la propria città, in modo da rimanere immortale nel ricordo dei propri concittadini,
rappresentava l’aspirazione massima degli ateniesi, ed era il vero motivo per cui la dimensione
pubblica come ambito dell’agire al servizio della polis assumeva tanta rilevanza. Per sottolineare
questo specifico modo di concepire lo spazio pubblico ad Atene, si è parlato di una sfera pubblica
agonistica; uno spazio politico in cui i cittadini entravano in una sorta di competizione per godere
del prestigio riservato a chi si occupava del bene comune con maggiore abnegazione.
Per gli ateniesi quindi l’impegno in pubblico per il bene comune costituiva la vera libertà.
Questa sottolineatura della novità del pubblico come lo spazio “dove la libertà può manifestarsi”
acquista tutto il suo significato se la si rapporta con ciò che prima della polis e in larga parte delle
esperienze politiche successive rappresenta la regola: il linguaggio del potere e del comportamento
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basato sulla violenza. Anche se ha luogo in pubblico, la violenza risponde a quello che si potrebbe
chiamare un codice privato. L’uso della forza, la minaccia di sanzioni di vario tipo che è possibile
mettere in atto sono espressione di mero arbitrio, un dato bruto che non ha bisogno di legittimarsi in
alcun modo. La dimensione dello spazio pubblico apre invece la strada per una diversa modalità di
azione, che ha bisogno di essere coordinata e legittimata tramite la comunicazione. Nel pubblico la
motivazione dell’azione non può mai essere il mero arbitrio, e rinvia invece all’obbligo insito in tale
dimensione di giustificare di fronte agli altri le proprie azioni.
Questo carattere nuovo dello spazio pubblico che si afferma per la prima volta con la polis non è
sminuito dalle note limitazioni cui esso, sia in Grecia che a Roma, era sottoposto. È noto che la
genesi dei nuovi principi egualitari affermatisi nella polis è legata all’esclusione sistematica dal
discorso pubblico di schiavi, donne e meteci (di stirpe non ateniese), e rispecchia quindi un mondo
fondato sul dominio schiavistico, sessuale ed etnico esercitato dalla ristretta comunità dei cittadini
maschi adulti che soli potevano dirsi titolare del privilegio di appartenere ad una comunità di liberi
ed uguali. Tuttavia, questa idea di spazio pubblico, per quanto applicata in modo tanto selettivo,
contiene in sé la maggiore conquista cognitiva del pensiero politico antico; qualcosa che, come
afferma Dahl: l’ideale normativo dell’uguaglianza, che per le sue particolari forme definisco
principio di uguaglianza come reciprocità.
L’uguaglianza come reciprocità rappresenta il vero nucleo normativo dello spazio pubblico della
polis. In questa idea sta il motivo del fascino che tale modello non cessa di esercitare, anche ai
giorni nostri, come esempio insuperato di partecipazione democratica. Uguaglianza come
reciprocità non significa che tutti debbano essere uguali, ma che, sebbene si viva un mondo pieno di
disuguaglianze date dalla natura, dalla società e dal caso, a ciascuno uomo libero è riconosciuta pari
dignità e pari accesso alle decisioni di comune interesse. Gli sforzi compiuti nei secoli successivi
per ampliare sempre di più la cerchia di coloro che sono ammessi alla condizione di uguaglianza
come reciprocità e creare condizioni atte a consentire a tutti di esercitare effettivamente tali diritti
non sono che la logica conseguenza di questa grande conquista politica e morale i cui potenziali
sono ancora lontani dall’essere esauriti.
Il pubblico discute e decide: questo è un altro aspetto che contraddistingue il modello antico di
sfera pubblica. La polis greca, la repubblica romana, e poi, più tardi, il comune medioevale, sono
stati sempre presi a modello dai teorici della democrazia per condizioni che nelle società moderne
sono pressoché scomparse: uguali possibilità di accesso e di partecipazione al discorso pubblico e
alle sue decisioni, distinzione fluida tra oratori e ascoltatori, limitata sproporzione di risorse tra i
cittadini nello sforzo di ciascuno di acquistare visibilità e influenza. Il fascino di questi esempi di
democrazia diretta sta insomma nel fatto che il pubblico si trovava nelle condizioni di poter
esercitare effettivamente la sovranità attribuitagli.
Per questi motivi il modello antico finisce addirittura in alcuni casi per apparire come una sorta
di utopia perduta entro il degrado dell’idea di democrazia verificatasi nella modernità. (…) La
concezione del potere [di Hanna Arendt] si richiama ad una pienezza dell’agire politico presente
solo nella polis, specie se la si contrappone, come fa Arendt, ad una analisi del nostro tempo visto
come trionfo dell’animal laborans, di quell’attività lavorativa che a suo giudizio non è per l’uomo
che una mortificazione.
Le teorie che si rifanno al modello di spazio pubblico della polis o alla repubblica a Roma hanno
un limite in comune in quanto sottovalutano un aspetto di grande importanza per gli antichi, ma del
tutto improponibile in qualsiasi comunità politica moderna: la pressoché completa identificazione
tra individuo e società. Il problema di queste teorie è che l’esempio ancor oggi insuperabile di
partecipazione politica offerto dalla polis o da Roma era possibile sono grazie alla completa
identificazione di individuo e società. Una comunità cittadina numericamente ristretta, libera da
urgenze legate alla riproduzione materiale e tanto dedita alla vita politica da poter assegnare le
cariche politiche per sorteggio come quella ateniese era possibile solo a due condizioni, entrambe
oggi non più date. La prima ci appare oggi evidente in tutta la sua inaccettabilità: per essere
ammessi alla vita pubblica bisognava essere di sesso maschile, ed era inoltre necessario possedere
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degli schiavi. Questa condizione di cittadino intesa come privilegio di una categoria ristretta di
soggetti maschi adulti liberi non un elemento accidentalmente legato alla concezione della sfera
pubblica antica. È vero che il nocciolo normativo della democrazia antica – l’idea che abbiamo
chiamato uguaglianza come reciprocità che politicamente si traduce nell’autogoverno della polis ad
opera di soggetti liberi ed eguali – ha finito sul lungo periodo con l’esplicitare il suo potenziale
egualitario anche contro ogni limitazione di status e di genere. Era tuttavia la qualità stessa dello
spazio pubblico così costituito ad avere caratteristiche diverse dalla sfera pubblica come viene
intesa nella modernità, sostanzialmente per il motivo che uno spazio pubblico non aperto a tutti, con
limitazioni di accesso qualunque esse siano, è per la sensibilità moderna una condizione tanto
limitativa da farla apparire lesiva dello stesso carattere di pubblicità. (…)
Il modello antico di spazio pubblico è quindi un esempio sempre valido e forse insuperabile di
partecipazione democratica, ma nello stesso tempo la riuscita di questo modello è legata a criteri
elitari di partecipazione, e ad un quadro omogeneo della concezione del bene che finisce col
restringere drasticamente gli ambiti su cui la partecipazione democratica poteva influire. Come in
una sorta di esercito di volontari organizzato democraticamente, i cittadini della polis partecipavano
alle discussioni sulla realizzazione di questo o quell’obiettivo, ma non erano in grado di condurre
discorsi di autochiarificazione, volti a problematizzare i fini della comunità e il proprio posto in
essa. Per far ciò avrebbero dovuto riconoscere un diritto individuale alla libertà che non era ancora
sviluppato nell’antichità: “i greci, infatti, non riconoscevano l’esistenza di rivendicazioni universali
di libertà, uguaglianza e diritti, politici o umani che fossero. La libertà era un attributo della
condizione di appartenenza: non alla razza umana, ma a una città particolare”.
In effetti c’è un sostanziale accordo tra i molti autori nel considerare il modello della polis come
un mirabile esempio di partecipazione politica, ma privo di una vera dimensione dei diritti. Nella
polis la limitata libertà del cittadino è inscindibile dai legami di parentela, di vicinato e di amicizia,
o dalle relazioni di tipo commerciale che costituiscono la trama della sua vita. Il carattere
oppressivo di questi legami è riassunto bene appunto dalla caratteristica assenza di diritti
individuali. Tali diritti sono invece il vero contrassegno della sfera pubblica nell’accezione moderna
del termine, una conquista che anche storicamente ha aperto la strada a tutti gli sviluppi successivi
in termini di legittimazione democratica del potere politico.
(W. Privitera, Sfera pubblica e democratizzazione, Laterza, Bari, 2001)
ANALIZZA IL TESTO E RISPONDI ALLE DOMANDE
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
In che cosa consiste la libertà degli antichi e la libertà dei moderni per Benjamin Constant?
In che senso la sfera pubblica rappresenta l’istanza di legittimazione democratica del potere politico?
In che cosa consiste sfera privata nel mondo antico?
Che cosa si intende con l’espressione sfera pubblica agonistica, riferita al mondo antico?
Qual è il senso della partecipazione alla vita pubblica secondo Hanna Arendt?
Che ruolo svolge la comunicazione nell’agire pubblico?
Quali sono le limitazioni della sfera pubblica antica?
Qual è il principio normativo della sfera pubblica politica nel mondo antico valido anche nel mondo contemporaneo?
9. In che senso si parla di sovranità della sfera pubblica nel mondo antico?
10. Qual è il significato della identificazione tra individuo e società nel mondo antico?
11. In che senso si parla di quadro omogeneo della concezione del bene a proposito della sfera pubblica antica, a differenza
di quella moderna?
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