Donne dell’Islam Giuliana Cacciapuoti* I luoghi comuni sono la forma più facile, soprattutto per i mezzi di informazione come televisione e giornali, per rappresentare culture e società poco conosciute o delle quali interessa dare solo una descrizione superficiale e di maniera. E’ quello che regolarmente accade quando si parla di mondo musulmano, e in particolare di donne dell’area dei paesi arabo-musulmani. Come molto diversificato per ragioni storiche politiche e anche religiose è oggi il mondo musulmano, così il mondo delle donne di cultura araba o musulmana è una costellazione di pensieri, atteggiamenti , risposte e scelte alle sfide e ai problemi che le società musulmane devono oggi affrontare. Se il riferimento non solo religioso, ma culturale, alla radice delle società arabe o islamiche è il Corano, questo sottolinea l’eguaglianza spirituale degli uomini e delle donne: la Sura 33:35 recita,”In verità i dati e le date a Dio, i credenti e le credenti, i devoti e le devote, i sinceri e le sincere, i pazienti e le pazienti, gli umili e le umili, i donatori di elemosine e le donatrici, i digiunanti e le digiunanti, i casti e le caste, gli oranti e le oranti spesso, a tutti Iddio ha preparato perdono e misericordia immensa” è però altrettanto vero che la società islamica dalle sue origini ha sempre mostrato un carattere antropocentrico, e se ancora oggi nel vasto territorio della “dar al-Islam” sopravvivono usanze totalmente ad esso avverso, come l’usanza del matrimonio forzato, della segregazione totale del burqa e delle mutilazioni genitali, è il caso di fare un breve excursus storico per tratteggiare alcuni aspetti che dalle origini fin quasi ai nostri giorni caratterizzano aspetti cruciali della vita delle donne musulmane. A seguire un percorso cronologico modellato sulle vicende femminili dall’ inizio della rivelazione fino alla morte del Profeta Muhammad i primi passi della vita dell’Islam registrano un ruolo nuovo per le donne musulmane: se l’epoca preislamica riservava alle donne una sorte avversa, fino alla soppressione alla nascita delle neonate femmine, l’Islam condanna queste pratiche , ma contemporaneamente in virtù della necessità di proteggere e distinguere le credenti e appartenenti alla nuova comunità prendono avvio quelle tradizioni che codificate nel tempo porranno confini alla libertà individuale delle musulmane. Le mogli del Profeta Muhammad vengono celate alla vista di altri uomini, e ha inizio la separazione degli spazi domestici frequentati solo da uomini o da donne, così come le donne della giovane comunità musulmana si riconoscono perché usano velarsi, e quindi distinguersi con questo simbolo dalle non musulmane. Essere velate ossia mutahjibat diviene così segnale dell’appartenenza religiosa e sociale al nascente Islam, sposandosi a volte usanze locali ben più drastiche, se ricordiamo che il velo islamico non copre mai il viso, ma piuttosto il capo delle donne. Con l’epoca Protoislamica, la separazione oltre all’allontanamneto delle donne dalla vita pubblica diventa, almeno nelle classi agiate più evidente: All’epoca del Profeta vivente una delle donne della sua famiglia ‘Umm Waraka si ricorda dirigesse la preghiera, mentre con i suoi primi successori si sancisce che l’imam, il riferimento della preghiera nella moschea può essere solo un uomo. L’epoca del califfato omayyade e dei successivo califfato abbasside, se vede l’espandersi dell’impero arabo-islamico fino ai massimi confini, e l’affermazione dei primati in tutti i campi del sapere allora conosciuto, per le donne musulmane si segna una fase ben differente. Il formarsi del pensiero islamico ortodosso nella scienza del fiqh della filosofia delle scienze religiose e teoretiche esclude le donne sia come protagoniste che come soggetti attivi del sapere. La voce e il riconoscimento della capacità speculativa femminile ci viene tramandata dalle opere di voci dissonanti dell’ Islam non ortodosso di Sufi e Qarmati come nel caso di Ibn al -‘Arabi da Cordova, e dalla mistica Rab’ia al ‘Adawiyya, che ristabiliscono un diritto di espressione e partecipazione all’universo femminile all’interno dell’Islam. La disgregazione dell’impero abbasside e mutamenti sociali aprono qualche nuova possibilità : in età mamelucca in Egitto,pe rle donne di classi agiate , l’istituto del waqf , ossia donazioni a favore di parenti per il mantenimento di istituzioni caritatevoli, dota le donne di una autonomia economica, esse diventano amministratrici di questi fondi fino a gestire patrimoni e possedimenti propri. Nel contempo al Cairo vivono donne colte , e la vita sociale che conducono scandita da alcune occasioni religiose come le visite ai cenotafi non luoghi tristi, ma occasioni d’incontro gioa e canti , la partenza dal Cairo del Mahmal, il drappo che ricopre: la Kaaba alla Mecca durante il pellegrinaggio, permettono di iniziare ad esercitare una vita propria e meno obbligata, anche se soggetta a disapprovazione dai censori musulmani . L’ accostarsi all’Islam come pratica ascetica, anche con la fondazione di ribat, che accolgono le categorie di donne più deboli , vedove orfane, divorziate e l’adesione al celibato, sono mezzi che insinuano, e per questo non approvati dall’Islam , che deplora chi non adempie al matrimonio, una possibilità di sottrarsi all’incombente dominio maschile. L’epoca del colonialismo pone la questione della donna islamica e musulmana in termini ancora più contraddittori per le donne musulmane stesse. Il colonialismo, antifemminista in patria, si avvale della critica alla condizione femminile nell’Islam per decretarne agli occhi occidentali la manifesta inferiorità. E’ però in questo periodo che il movimento delle donne egiziane in particolare, assume carattere proprio. Dal diritto di voto alla rivendicazione del diritto all’istruzione alla conoscenza e al protagonismo politico e sociale le femministe arabe si fanno avanti. Oggi si dibatte molto sul reale problema dell’uso del velo, usato nel passato colonialista anche in senso antislamico, oppure simbolo di una purezza tradizionalista che non si può francamante sostenere . E’ anche vero che oggi le donne musulmane a seconda della nazione di residenza devono affrontare percorsi di affermazione personale politica e sociale molto differenti. Tunisia, Algeria, Palestina Arabia Saudita e Iraq, solo per citare alcuni stati simbolo del mondo arabo islamico, collocano il lavoro e la presenza femminile ciascuno in luoghi e ruoli diversi, e le risposte che le donne arabe e musulmane in questi diversi paesi devono trovare per raggiungere la loro crescita e affermazione politica e sociale sono necessariamente diverse l’una dall’altra. La dipendenza dalla parentela maschile in tema di statuto personale , ossia la dipendenza da un membro maschile della famiglia per ottenere un passaporto o votare, battaglia che impegna le donne algerine o marocchine , non impedisce a tutte loro di avere una voce rilevante nelle odierne società maghrebine, dove il loro contributo alla vita culturale politica e lavorativa dei loro paesi è ben evidente, a differenza delle invisibili donne saudite, che il wahabismo, nasconde sotto i veli e alle quali impedisce perfino di guidare un’automobile. Eppure anche in Arabia Saudita una parte della società si avvale dell’abilità economica e imprenditoriale educate dall’e.learning a gestire capitali e imprese. La recente guerra contro l’Iraq si auspica non costringerà le colte e indipendenti irachene a dover fare i conti con i tentativi da parte dei tradizionalisti di restituire loro un higab islamico estraneo oramai alla società irachena contemporanea, e simbolo di una semplificazione di rapporti in senso negativo con l’oppositore occidentale, tra fondamentalisti di segno opposto che soffoca qualsiasi tentativo legittimo e concreto di costruire tra Islam e Occidente un dialogo tra democrazie ciascuna rispettosa delle differenze di genere e di pensiero. Le vicende della martoriata nazione palestinese segnano in questo senso una tappa da rifiutare: con la radicalizzazione del conflitto con Israele l’unico punto di accordo tra le diverse fazioni palestinesi è stato l’affievolimento del ruolo politico decisionale delle donne palestinesi. Eppure ancora occorre sottolineare che nonostante l’evidente mancanza di diritti e riconoscimenti nel mondo arabo-islamico per le donne , rilevante è il loro ruolo all’interno delle loro società. Lo sforzo che occorre l’occidente tutto ma anche i movimenti delle donne occidentali è guardare alle donne musulmane con il rispetto per le differenze. Non è facile affermarlo, ma si è detto di come la condizione della donna islamica è stata usata dall’occidente, maschile soprattutto, che in patria negava i diritti alle donne occidentali, proprio in chiave colonialista e anti-islamica , come simbolo dell’arretratezza di quella civiltà e quasi a fomentare un’ostilità nei loro confronti. Eppure proprio la società musulmana, ha saputo riconoscere e riferire alle donne opportunità che solo dopo lungo tempo le donne occidentali hanno fatto propri. Il diritto all’istruzione allo studio e alla conoscenza, ne è simbolo. Un famoso Hadith, detto attribuito al Profeta Muhammad, raccomanda di ricercare sempre la conoscenza, fosse pure in luoghi lontani come la Cina, fa crescere sempre di più nel mondo arabo e musulmano le donne professioniste, letterate, artiste e intellettuali. Dalle prime femministe egiziane dell’inizio del secolo scorso, alle fini narratrici siriane e libanesi, alle prose impegnate a sostenere l’affermazione delle donne nel contemporaneo, si tratti delle egiziane Hu’da Sharawi o dell’islamista Zainab al Ghazali, delle lucide e militanti cairote Alifa Rifaat, André Chedid o la storica militante Nawal as-Saadawi, o le colte analisi storico-politiche della marocchina Fatima Mernissi, la prosa coinvolgente di Assia Djerbar o l’impeto politico di Khalida Messaoudi, tutte le intellettuali e non solo , hanno come denominatore comune un aspetto fondamentale: discutono criticano e analizzano la loro cultura d’origine e alla quale fanno riferimento, l’Islam. È loro ben chiaro che se da una parte rifiutano ogni forma di misoginia e androcentrismo, non considerano che la loro condizione migliorerà adottando cultura abbigliamento e valori dell’occidente. Non c’è contraddizione infatti tra essere musulmane e avere i propri diritti. E’ una religione ed è una cultura , ma l’Islam non significa accettare la schiavitù o accettare l’oppressione. Essere musulmane, essere cittadine essere uguali agli uomini, ossia vivere la democrazia non è in contraddizione con l’Islam.Il cliché occidentale implica la mancanza di democrazia e l’oppressione e l’essere antidemocratici per il fatto stesso di essere musulmani. E’il gioco degli intergralisti, essere musulmani non implica automaticamente dover accettare disuguaglianza e oppressione. L’identità musulmana non disturba l’uguaglianza e la democrazia. Questa la strada intrapresa, tariqah o metodo con il quale anche l’occidente dovrà rifarsi, perché in ogni caso “ciascuna cultura ha bisogno di un confronto critico con le altre, affinché il meglio di sé possa essere messo in luce, e proposto come qualcosa di desiderabile in prospettiva interculturale”.(1) 1) T.N. Madan ”Anthropology as Cultural Reaffirmation” • • *Giuliana Cacciapuoti, È attualmente consulente per intercultura e immigrazione presso Assessorato Istruzione Formazione Lavoro della regione Campania