Le donne dei Paesi della Shari`a - Digilander

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2. Le donne dei Paesi della Shari’a: condizioni sociali e personali
Fra tutte le questioni poste dalla trasformazione in atto nelle società
musulmane, una delle più difficili da trattare è quella del ruolo delle
donne. Importanti cambiamenti stanno verificandosi nella concezione
dell’identità maschile e femminile, nei ruoli familiari, nei rapporti fra i
due sessi e nel posto che le donne occupano nella vita pubblica.
Ma la nostra comprensione dei ruoli delle donne, della famiglia e, in
particolare, dei fattori soggettivi è ancora estremamente limitata e i
termini dei problemi sono oscurati da un dibattito appassionato, che si fa
spesso ideologico. Per chi osserva le cose dall’esterno è difficile
prescindere dai propri valori nell’esaminare le concezioni della dignità,
della sicurezza e dell’amore che prevalgono nelle società musulmane.
Sui piani ideologico e teorico e, in particolar modo, su quello del
comportamento, le società musulmane mediorientali tracciavano una
distinzione piuttosto netta fra i ruoli maschili e quelli femminili: La sfera
pubblica era riservata quasi esclusivamente agli uomini, mentre la
famiglia e l’economia domestica erano il dominio delle donne. Benché
queste fossero impiegate comunemente nelle attività artigianali, agricole
e pastorali, la donna ideale della classe media si teneva lontana dal
mercato, dal bazar, dalla politica e dalla vita sociale in comune con gli
uomini. Al di fuori dello stretto ambito familiare, di regola le donne
erano segregate dagli uomini. Le società premoderne si attenevano
inoltre al principio che le donne fossero sottoposte agli uomini e
dovessero loro deferenza.
Il predominio degli uomini era sancito con forza dalle strutture
giuridiche e sociali. Di solito i matrimoni venivano combinati dalle
famiglie e la responsabilità del benessere della sposa ricadeva in ultima
istanza sui familiari maschi che ne avevano la tutela.
Di regola la sposa si trasferiva nella casa del marito e viveva con i
parenti di lui. Le leggi, come pure le circostanze, accordavano agli
uomini un notevole potere sulle donne; secondo la legge musulmana
l’uomo aveva maggiori possibilità di chiedere il divorzio rispetto alla
donna e, in caso di divorzio, i figli oltre una certa età seguivano il padre
e la sua famiglia. Minacciare la rottura del matrimonio, disciplinare e
controllare la prole era più facile per gli uomini.
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Secondo la legge musulmana le donne godevano di importanti diritti
economici, ma spesso le consuetudini sociali riducevano le loro
opportunità di accumulare o ereditare proprietà.
Per altro la legge musulmana sulle successioni veniva violata
frequentemente nella pratica: poteva accadere, ad esempio, che le
famiglie non consentissero alle donne di ereditare la loro quota legale di
proprietà del marito o degli altri parenti.
Anche il mondo ideologico e concettuale delle società mediorientali
premoderne richiedeva e legittimava il predominio maschile.
Secondo le ideologie prevalenti gli uomini, fisicamente più forti, più
intelligenti e più portati all’azione, dovevano guidare le donne, più
propense a cedere alle proprie emozioni. Le donne venivano associate
alle forze indisciplinate della natura; gli uomini, all’ordine imposto dalla
cultura. Naturalmente il potere maschile doveva venire esercitato in
modo benevolo e protettivo. Questo atteggiamento di fondo veniva
rafforzato dalla credenza che l’onore di un uomo, della sua famiglia e
della sua gente dipendesse dal comportamento onorevole delle donne:
per effetto di questi atteggiamenti, agli occhi degli uomini la sessualità
delle donne appariva come l’aspetto essenziale della femminilità.
Sebbene, dall’esterno, gli uomini appaiono dominanti, le donne non
possono essere considerate una classe oppressa; esse non si vedevano
come una collettività dagli interessi contrapposti a quelli degli uomini,
ma, con ogni probabilità, ritenevano di svolgere un ruolo prezioso,
legittimo e importante nella vita familiare e sociale, un ruolo differente
ma complementare rispetto a quello degli uomini.
Di solito il velo viene preso come segno del dominio degli uomini sulle
donne, ma in realtà simboleggia la complessità del loro rapporto. Velare
il volto non era, e non è, un’usanza universale delle donne mediorientali
e musulmane: molto comune nelle città e nella classe media, ma non fra
le donne lavoratrici, contadine o nomadi, in certi casi l’uso del velo è
stato di fatto stimolato dalla mobilità sociale verso l’alto e
dall’urbanizzazione.
Il velo per giunta ha un significato sociale ambiguo: viene comunemente
inteso come uno scudo che protegge le donne dagli uomini e la società
dalla tentazione muliebre, ma nell’occultare il volto femminile alla vista
degli uomini, crea anche un alone di mistero e attrazione e dà alle donne
libertà di movimento.
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Velare il volto ha dunque un significato ambiguo, in cui la purezza si
mescola alla passione, l’autonomia alla subordinazione, la dipendenza
all’indipendenza.
Nessun paese arabo ha seguito l’esempio della Turchia né ha eliminato
del tutto la legge religiosa musulmana dal campo del diritto civile (la
Turchia è il paese che più si accosta al mondo europeo). Però, in alcuni
paesi il sistema giuridico si fonda ancora sulla shari’a, in altri la legge
laica si combina con quella religiosa. Invece di scartare la shari’a a
vantaggio di sistemi giuridici stranieri, i paesi arabi la reinterpretano in
modo da adattarla alle esigenze contemporanee.
La maggior parte degli stati mediorientali ha stabilito per legge un’età
matrimoniale minima, per impedire i matrimoni fra fanciulli e ridurre il
potere dei genitori. Taluni paesi, fra i quali la Tunisia, richiedono per la
validità del matrimonio il consenso di entrambi i promessi sposi, ma in
Marocco un tutore può ancora decidere per conto della donna. La
poligamia è stata limitata, ma solo la Turchia, la Tunisia e alcuni stati
non islamici quali Israele e l’Unione Sovietica la proibiscono alle loro
popolazioni musulmane; il Marocco e il Libano non hanno posto dei
limiti diretti alla poligamia, ma le donne possono inserire delle clausole
restrittive nei contratti matrimoniali. Si sono modificate le norme sul
divorzio in modo da accrescere il potere delle donne e la maggior parte
dei paesi ha ridotto la libertà di ripudiare la moglie. In molti casi la
facoltà discrezionale di divorziare è stata tolta agli uomini da leggi che
richiedono una sentenza di scioglimento del matrimonio, ma solo l’Iran
(prima della rivoluzione) e lo Yemen del Sud hanno bandito
completamente il ripudio unilaterale.
Gli stati mediorientali hanno quindi promulgato nuovi codici di leggi che
regolano i rapporti familiari e hanno aperto la strada all’istruzione e
all’occupazione delle donne; inoltre favoriscono le aspettative di
uguaglianza concedendo alla donne il diritto di voto, l’abbandono del
velo e promuovendo l’integrazione sociale ed economica delle donne.
Lo stato moderno ha non solo cambiato la posizione giuridica delle
donne, ma, intervenendo nei campi dell’educazione, della sanità e
dell’assistenza sociale, ha usurpato dei ruoli tradizionalmente riservati
alla famiglia.
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Le donne sono divenute clienti del settore pubblico e alcune importanti
mansioni, un tempo incombenza dei membri maschi della famiglia,
vengono oggi espletate da pubblici dipendenti.
Le donne hanno sempre più a che fare con uomini che entrano in
rapporto con loro non come parenti ma in quanto datori di lavoro,
insegnanti, burocrati e colleghi.
Parallelamente al processo di formazione dello stato, lo sviluppo
economico, l’urbanizzazione e le moderne organizzazioni burocratiche e
industriali hanno contribuito a smembrare le famiglie tradizionali, hanno
favorito la formazione delle famiglie nucleari e l’inserimento delle donne
fra le forze di lavoro, con la conseguenza che nelle scuole, negli ospedali
e nei posti di lavoro esse creano nuovi rapporti extrafamiliari, basati
sulle particolarità dei ruoli e su contatti amichevoli e non sessuali con gli
uomini.
Le donne inserite nei ruoli moderni aggiungono nuove forme di socialità
a quelle femminili tradizionali, dedicano meno tempo alle faccende
domestiche e constatano che la parentela perde d’importanza per la loro
vita. Queste donne, a loro volta, divengono portatrici di nuove idee per il
resto della società.
Nel tempo stesso i mezzi di comunicazione di massa generano nuovi
valori, gusti, mode, manie e, soprattutto, diffondono la conoscenza degli
stili di vita occidentali: le donne mediorientali e musulmane cominciano
ad apprezzare l’autonomia individuale, la libertà di scelta nel
matrimonio, l’indipendenza familiare e la propria realizzazione mediante
l’amore e il lavoro.
Nei paesi arabi è stata introdotta l’istruzione obbligatoria sia per i maschi
sia per le femmine, ma queste ultime sono ancora arretrate rispetto agli
uomini in fatto di istruzione e di alfabetizzazione. Sono ancora in molti a
pensare che l’istruzione delle ragazze vada a scapito del lavoro
domestico e della cura dei figli o che guasti il morale di una ragazza e le
sue possibilità di fare un buon matrimonio.
Si levano anche forti obiezioni contro le scuole miste, ma quelle
femminili sono numericamente insufficienti. Tuttavia in certi paesi, quali
il Sudan, l’Iraq e l’Egitto, la proporzione di studentesse presenti nelle
scuole superiori è molto alta, benché l’élite delle donne istruite non sia
che un’esigua minoranza della popolazione femminile complessiva.
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Sebbene l’occupazione femminile si sia accresciuta considerevolmente,
sembra che nei paesi arabi la presenza delle donne fra le forze di lavoro
sia minore che in altri paesi sottosviluppati, come quelli latinoamericani. Solitamente le donne sono presenti nelle professioni
scientifiche e tecniche, specialmente nelle scuole, negli ospedali,
nell’agricoltura e nell’industria a domicilio.
In generale gli atteggiamenti familiari e sociali e la scarsa istruzione
continuano a frenare l’inserimento delle donne fra le forze di lavoro.
Nei paesi dell’Oriente arabo anche le usanze familiari vanno cambiando,
ma in misura limitata.
L’impulso proviene non tanto dallo sviluppo economico e industriale,
quanto dalle influenze culturali occidentali, dalla diffusione di
concezioni ugualitarie e dalle aspirazioni nazionalistiche a una maggior
partecipazione delle donne alla vita sociale.
In Libano, in Giordania e in altri paesi arabi il peso della famiglia estesa,
un tempo il modello ideale, si è molto ridotto. I matrimoni combinati dai
genitori sono divenuti molto più rari e le figlie vengono consultate più
frequentemente; l’età matrimoniale delle donne aumenta. Eppure persiste
una forte preferenza per l’endogamia e per i matrimoni fra cugini o
vicini di villaggio.
Anche una volta ridotte al nucleo minimo, le famiglie mantengono forti
legami sociali e di vicinato con la famiglia estesa. La poligamia è in
declino, ma è ancora praticata nelle aree rurali e fra le classi agiate.
In generale gli ostacoli che si oppongono al cambiamento sono enormi.
E’ lo status femminile tradizionale a fare da freno: infatti l’istruzione
limitata, l’analfabetismo, la dipendenza economica, la mancanza di
opportunità di lavoro, la segregazione sociale e l’ostilità dei maschi
verso la partecipazione sociale o politica delle donne contrastano le
tendenze in atto.
Fra i principali ostacoli che si oppongono al cambiamento sono i valori
culturali che vengono instillati negli uomini e nelle donne sia
dall’infanzia; in quasi tutte le società mediorientali le tradizionali
concezioni della superiorità dell’uomo e dell’onore familiare sono
ancora forti.
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Ne consegue che i valori femminili più alti enfatizzano il dono della
fertilità e della maternità e inculcano nelle donne l’aspettativa di
scurezza, di protezione e stima da parte della famiglia, valori che
possono effettivamente offrire gratificazioni affettive e sociali.
Profondamente radicata nelle culture mediorientali è inoltre la paura
della sessualità incontrollata.
Tutti questi atteggiamenti giocano a favore delle forze politiche ed
economiche che frenano il cambiamento.
La situazione attuale è quindi caratterizzata da tendenze contrastanti.
Non vi sono modelli generalmente accettati dei ruoli femminili nella
società né valori universalmente riconosciuti che legittimino qualche
sistema di comportamento; pertanto il cambiamento genera dubbi,
ansietà e conflitti.
Vi è conflitto fra le generazioni per il diritto di scegliersi il marito; fra
suocera e nuora per il ruolo di referente di figli e mariti; fra uomini e
donne per le scelte relative all’istruzione e al lavoro.
In molti paesi gli uomini si trovano oppressi economicamente e
socialmente, spesso umiliati dall’essere politicamente impotenti nelle
loro stesse società, e cercano un compenso nel potere sulle donne,
proprio mentre queste affermano il loro diritto a una maggiore
partecipazione alla vita pubblica.
In questa situazione d’incertezza gli insegnamenti dell’Islam acquistano
un’importanza fondamentale. Il dibattito di fondo coinvolge gli interpreti
tradizionalisti e modernisti del Corano e i critici più radicali che si
richiamano al femminismo, divisi fra loro sulle questioni della
poligamia, del velo, dei diritti economici delle donne, dei diritti di
successione e dell’occupazione.
I tradizionalisti sostengono che i testi coranici hanno natura normativa ed
enunciano leggi valide per l’eternità, secondo le quali il posto della
donna è la casa e non la vita pubblica, ed essa deve subordinarsi
all’uomo per salvaguardare il suo pudore.
Sono soprattutto i movimenti neomusulmani a far propri questi valori.
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I modernisti argomentano che quanto il Corano afferma circa lo status
delle donne nella famiglia deve essere considerato alla stregua di
precetto etico e non di norma di legge; il Corano si riferisce a un tempo e
a un luogo dati e i mutamenti che intervengono nelle condizioni sociali
nel corso della storia rendono necessario apportarvi degli adattamenti.
I modernisti ritengono che il Corano vada a sostegno dell’integrazione
delle donne nella società, ora che questa è divenuta indispensabile per
l’adempimento delle funzioni familiari.
Le critiche femministe alle posizioni musulmane muovono da più punti
di vista fra i quali vi è un consenso pressoché unanime sulla tesi che la
segregazione e la subordinazione femminile sono almeno in parte
prodotto
dell’autorità
patriarcale,
dell’organizzazione
della
consanguineità secondo dettami maschili e classisti, benché si ammetta
che sotto questo aspetto le società mediorientali non differiscono molto
da quelle europee mediterranee o latino-americane.
Molte femministe criticano l’Islam in quanto rafforza questa
subordinazione, frutto del clima morale e sociale creato dal Corano, dalla
legge islamica e dagli atteggiamenti propagati dagli ulama; l’Islam vuole
che gli uomini esercitino la propria autorità sulle donne perché la
sessualità incontrollata è percepita come una minaccia e perché le donne
sono potenzialmente in grado di creare un sistema di legami che si
porrebbe come un’alternativa alla sottomissione dell’uomo a Dio.
Infatti l’istanza suprema dell’Islam è che l’essere umano si sottometta a
Dio e rifugga da qualsiasi esperienza politica, artistica o amorosa che
interferisca con quel supremo dovere religioso; sotto questo aspetto
l’Islam è quindi intrinsecamente ostile all’uguaglianza della donna e alla
pienezza del suo rapporto d’amore con l’uomo.
Inoltre la concezione islamica dell’uomo schiavo o servitore di Dio,
l’umile e silenzioso devoto, è divenuta a sua volta il modello dei rapporti
fra l’uomo e la donna.
Alcune femministe sostengono invece che in teoria l’Islam è favorevole
alla donna: esse ritengono che l’Islam delle origini abbia migliorato la
posizione della donna nella società araba e che le cause della sua
subordinazione e segregazione vadano cercate non già nell’Islam bensì
nelle condizioni storiche delle società mediorientali.
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Altre fautrici dell’Islam sottolineano che l’Islam inculca e difende un
livello elevato di morale sessuale e coniugale, offre protezione e
sicurezza alle donne e garantisce loro molti diritti personali e
patrimoniali.
Storicamente l’Islam ha avuto, e ha tuttora, l’effetto di elevare e rendere
più civili i rapporti fra gli uomini e le donne nelle società mediorientali.
Il dibattito sulle donne è fortemente politicizzato e tutte le posizioni
riflettono delle piattaforme politiche, ideologiche e religiose; è divenuto
il terreno su cui si misurano i grandi dilemmi che investono le società
musulmane contemporanee: laicizzazione o Islam? Potere statale o
autonomia locale? Occidentalizzazione o autenticità culturale? 2
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STORIA DELLA SOCIETA’ ISLAMICHE - III. I popoli musulmani di Ira M. LAPIDUS Biblioteca Einaudi.
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