fenomenologia e/o metafisica? - Istituto Superiore di Scienze

“FENOMENOLOGIA E/O METAFISICA?”
La proposta di K. Wojtyła
Bibliografia:
- BELLO A. A., Introduzione alla fenomenologia, Aracne Ed., Roma 2009;
- ID., Edmund Husserl. Pensare Dio – Credere in Dio, ed. Messaggero, Padova 2005;
- ID., Edith Stein o dell’armonia, Edizioni Studium, Roma 2009;
- GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna ‘lo creò’. Catechesi sull’amore umano, Città Nuova Editrice –
Libreria Editrice Vaticana, Roma 19923 (in sigla: WA);
- INGARDEN R., Il problema della persona umana – Profilo filosofico di Edith Stein, in: “Il nuovo
Areopago”, n. 1, 1987;
- MANGANARO P., Verso l’altro. L’esperienza mistica tra interiorità e trascendenza, Città Nuova, Roma
2002;
- ID., Filosofia della mistica. Per una pratica non-egologica della ragione, Lateran University Press,
Città del Vaticano 2008;
- MONDIN G. B., Introduzione alla filosofia, Massimo, Milano 19874:
- ROVIGHI VANNI S., Elementi di filosofia. Metafisica, vol. I-II, La Scuola, Brescia, 1964;
- STEIN E., Essere finito e essere eterno: per una elevazione al senso dell’essere, trad. Luciana Vigone,
presentazione di A. A. Bello, Città Nuova, Roma 19994;
- ID., La fenomenologia di Husserl e la filosofia di san Tommaso d’Aquino. Tentativo di confronto, in:
Id., La ricerca della verità. Dalla fenomenologia alla filosofia cristiana, a cura di A. A. Bello, Città
Nuova, Roma 19993;
- WOJTYLA K., Tutte le opere letterarie. Poesie, drammi e scritti sul teatro, Bompiani, Milano 2005 (in
sigla: WL);
- ID., Metafisica della persona. Tutte le opere filosofiche e saggi integrativi, G. Reale – T. Styczen
(edd.), Bompiani, Milano 2003 (in sigla: WF).
Per i riferimenti alla filosofia di Karol Wojtyła, cfr. in particolare lo studio:
- CUMERLATO V., Per una metafisica della corporeità. Analisi dialettico-procedurale degli scritti
filosofici e di alcune encicliche di Karol Wojtyła, estratto dalla tesi di Dottorato in Teologia
Dogmatica, Luciano Editore, Napoli 20101.
1. Introduzione
La riflessione che presento è il risultato di una serie di conferenze sui problemi della metafisica di
impostazione tomista tenute a Roma, nella università del Laterano, tra il marzo e il maggio 2011, con la
moderazione del prof. Mario Pangallo, docente della Cattedra san Tommaso. Le varie tematiche affrontate,
hanno aperto innumerevoli prospettive di indagine: alcune di facile approccio; altre, invece,
necessiterebbero di una applicazione a lungo termine per garantire una sufficiente dimestichezza
nell’argomentazione. Le numerose relazioni, infatti, regalano un senso di meraviglia ma anche di
smarrimento, relativamente alle problematiche relative alla metafisica nel corso della storia della filosofia2.
In merito a ciò, ho ritenuto più percorribile un itinerario che presenti, da un lato, una novità; dall’altro una
certa conoscenza degli argomenti da affrontare. La relazione di Angela Ales Bello3 - docente emerito di
Filosofia contemporanea, nonché esperto a livello internazionale di fenomenologia - mi ha illuminato sulla
possibilità di un elaborare uno scritto più prossimo ai miei interessi specifici, ma non per questo
1
Le opere del Wojtyła sono riportate in sigla così come nell’elaborato per la discussione di dottorato.
In particolare, le relazioni più specialistiche – come quella del professor Basti sulla ontologia formale – tendono,
inizialmente, a scoraggiare l’avventuriero sprovveduto. In un secondo tempo, una volta acquisita dimestichezza con il
metodo e la finalità del corso, diventa comprensibile lo scopo anche di queste lezioni.
3
Relazione tenuta il 10 marzo 2011, dal titolo: Fenomenologia e metafisica.
2
1
semplicistico4, in cui si potesse affrontare un argomento del tutto nuovo – l’approccio fenomenologico di
matrice husserliana –, ed uno già affrontato – la problematica metafisica in genere.
La relazione di Ales Bello, in realtà, non ha risposto al quesito posto in merito alla possibilità di far
interagire fenomenologia e metafisica; quesito di cui, con l’ausilio della genialità del pensiero del Wojtyła,
mi farò carico con questo contributo. La professoressa, infatti, ha esposto in maniera generale la novità e
proponibilità del metodo fenomenologico; ma quale rapporto ci sia tra il metodo fenomenologico e la
metafisica5, è una domanda ancora rimasta in un certo senso irrisolta. Lo stesso problema è stato per me,
negli anni addietro, un nodoso problema da affrontare, nonostante – come già ho accennato – non avessi
mai conosciuto la fenomenologia in maniera diretta6, cioè attraverso la lettura diretta delle opere del suo
ideatore. Questa è la ragione del mio interessamento per gli scritti di filosofia di Karol Wojtyła. Egli avviava
la sua carriera accademica proprio con uno studio sulla possibilità di affiancare l’etica di Scheler alla
proposta della morale cristiana; il tentativo, quindi, di correlare un approccio fenomenologico al problema
morale e quello classico-deduttivistico dell’etica cattolica della prima metà del secolo scorso. Su questo
argomento mi sono già esposto con un breve contributo, presentando la sintesi ragionata della tesi mia di
Dottorato in teologia, con una particolare attenzione alla tematica della corporeità. La passione che mi
spingeva a leggere gli scritti del Wojtyła era motivata proprio dalla commistione, in lui, di una matrice
tomista7 ed una fenomenologica8 (paradossalmente, né l’una, né l’altra nel senso pieno), nella ricerca di
una nuova via per giungere alla verità eterna: la verità della fede9. Non sono in grado di giudicare se il
tentativo dell’Autore sia riuscito in merito alla problematica appena citata10, ma posso sostenere che il
percorso da lui tracciato è affascinante. L’intervento della professoressa Bello, quindi, all’interno di un
corso di metafisica, mi ha risvegliato l’interesse per un ulteriore approfondimento.
Prima di leggere il Wojtyla, conoscevo il metodo fenomenologico in alcune sue parziali applicazioni.
Dopo aver letto le sue opere, tuttavia, posso assicurare di non averne conosciuto che una versione! Il
motivo è semplice: il Wojtyła veste abiti di vario genere – fa sue molte prospettive, anche differenti –,
segue molte piste di ricerca, ma non cambia la sua struttura del suo intelletto, la modalità particolare del
suo procedere! Egli non è un filosofo accademico, ma un uomo accecato dalla verità11, formato secondo le
categorie proprie della scuola tomista, simpatizzante per il metodo fenomenologico conosciuto tramite la
4
Ho seguito il corso tenuto dalla professoressa Ales Bello sul metodo fenomenologico che personalmente non
conoscevo a fondo, ma soltanto nella reinterpretazione del primo Scheler e, in seguito, di Karol Wojtyła.
5
Nella relazione tenuta giovedì 7 aprile sul tema: Metafisica ed ontologie immanentistiche, padre Lluis Clavell –
docente di filosofia all’Università Gregoriana, introduceva l’argomento con un aneddoto simpatico su un immaginario
incontro tra Tommaso e Husserl. Quest’ultimo veniva interrogato dal domenicano sulla possibilità di comprendere e
spiegare il mondo a partire dalla coscienza. Domanda legittima, risposta – per Lluis Clavell – scontata: a partire dalla
sola coscienza non si può uscire da un rigido immanentismo! Pur ricercando entrambi un sapere rigoroso, la filosofia
realista di Tommaso è la sola ad avere l’aspettativa e gli strumenti per elaborare una metafisica, un sapere della
totalità. Della stessa opinione sembra essere anche il professore Mario Pangallo, moderatore delle conferenze,
direttore della Cattedra san Tommaso.
6
Ho avuto modo di approfondire il metodo fenomenologico soltanto attraverso alcune opere di Scheler, ma non
direttamente con la lettura di Husserl.
7
Dovuta ai suoi studi di teologia a Cracovia e, soprattutto, al corso di laurea tenuto all’Angelicum (1946-1948).
8
La fenomenologia di Karol Wojtyła è del tutto particolare. Si può dimostrare che gli elementi del metodo
fenomenologico sono presenti in lui prima dello studio degli scritti di Scheler. Basta considerare la sua tesi di dottorato
in teologia sul concetto di esperienza in san Giovanni della Croce
9
Nel Wojtyła tutta la ricerca intellettuale è anche ricerca interiore, tentativo riuscito – per lo meno nella sua persona –
di autenticazione della fede.
10
La domanda che mi premeva, nel corso della stesura, era: qual tipo di approccio antropologico (relativo soprattutto
alla studio della corporeità) propone il Wojtyła nel corso dello sviluppo del suo pensiero?
11
È da intendersi per verità l’onestà intellettuale della sua ricerca, non i risultati ottenuti. Più volte l’Autore è entrato
in merito a questa distinzione nei suoi scritti di filosofia.
2
lettura di Scheler, interessato al personalismo della metà novecento. In lui si avverte chiaramente
l’esigenza di convergere in unum, nonché l’urgenza di un radicale rinnovamento della metafisica. Prova ne è
il fatto che in Fides et ratio (n°74) egli ribadisca proprio questa esigenza, citando, tra i filosofi, esponenti di
differenti correnti di pensiero12.
Come conciliare, dunque, metafisica e fenomenologia? È possibile?13 Una prima risposta ce la regala
Edith Stein la quale, soprattutto dopo la sua conversione al cattolicesimo, ha cercato di trovare – nel limite
delle sue possibilità – tutti i possibili agganci tra il suo maestro e il pensiero tomista che ella stava
approfondendo con interesse. La mistica tedesca afferma: “Non è affatto facile, quando si proviene dal
mondo speculativo di Edmund Husserl, trovare una via che conduca a quello di san Tommaso. Nel legame
con Brentano si può, forse, scoprire una certa correlazione tra i due”14.
La fenomenologa manifesta, chiaramente, il suo imbarazzo, da un verso; dall’altro, il tentativo rivela la
profonda estimazione per entrambi gli esponenti del pensiero, ritenuti pionieri di egual calibro.
Emblematico è il fatto che, anche nei suoi scritti successivi, il legame tra Husserl e Tommaso non verrà
prevalentemente affrontato sul piano dei contenuti del pensiero, ma su altri versanti: ora l’interesse per la
fede, ora il rigore ‘scientifico’ (il rigore della ricerca filosofica), ora altre suggestioni, ma sempre parziali
rispetto alla totalità del pensiero. Mai, comunque, i due filosofi sono messi in dialogo15 per quel che in
realtà hanno prodotto.
Stando al testo citato, un primo legame tra Husserl e Tommaso è rintracciabile nella persona che ha
guadagnato il matematico tedesco alla filosofia: Franz Brentano, sacerdote, filosofo, psicologo ante
litteram. Formato alla filosofia tomista, egli aveva trasmesso al giovane Husserl la possibilità di una filosofia
non estetizzante, ma rigorosa; una filosofia non emotiva, ma scientifica! Questo, però, non basta a fondare
un’ipotesi. C’è, per la Stein, qualcosa di più profondo: si tratta della passione per una verità che non
tramonta. Entrambi i filosofi – Tommaso e Husserl – sono persuasi che, se la verità è unica, esiste un unico
modo di avvicinarla: è la filosofia eterna. Cito: “Philosophia perennis (…), la intendo come lo spirito
dell’autentico filosofare, che vive in ogni vero filosofo, cioè in colui che un’interna necessità spinge
irresistibilmente a rintracciare il logos o la ratio (secondo la traduzione di san Tommaso) di questo mondo.
Il filosofo che nasce con tale vocazione porta con sé al mondo questo spirito di ricerca in potenza, per usare
un termine tomista. La potenza si realizza nell’atto quando egli si imbatte in un filosofo maturo, un
maestro”16. Questo, con molta probabilità, potrebbe essere un secondo aggancio con cui mettere in
collegamento la fenomenologia di Husserl e Tommaso. Entrambi hanno cercato la verità: con strumenti
diversi, con interlocutori diversi, con risultati diversi, ma con la stessa passione. È chiaro che la
fenomenologa tributa al proprio maestro un grande merito, accostandolo a Tommaso; è chiaro, inoltre, che
né l’una – la Stein – tanto meno l’altro – Husserl – avevano una conoscenza approfondita della filosofia
12
Edith Stein è tra questi. Essa è posta, come esponente della filosofia fenomenologica, tra i grandi filosofi. Cfr. FR §
74.
13
Segno che, probabilmente, il rapporto tra fenomenologia e ontologia crea ancora un po’ di imbarazzo. Non è,
inoltre, da confondere la prospettiva ontologica classica (aristotelico-tomista) con l’approccio ontologico
heideggeriano, il quale sviluppa le istanze del metodo husserliano secondo una sensibilità del tutto personale,
maturata nello studio di alcune prospettive della filosofia medievale (soprattutto grazie ai suoi studi su Duns Scoto).
14
E. Stein, La fenomenologia di Husserl, op. cit., 314-315.
15
Mi sembrano ovvie le ragioni. Mentre l’Aquinate elabora un pensiero coerente ed omogeneo, espresso in maniera
sistematica, Husserl non offre questa facilità di approccio. È, inoltre, legittimo il sospetto che né la Stein, né – a
maggior ragione Husserl – conoscevano correttamente e profondamente il pensiero dell’Aquinate.
16
Id., 316. Più avanti continua: “Anche Husserl, nonostante l’originalità del suo procedimento, ha avuto i suoi maestri.
Alcuni di essi sono stati chiaramente indicati da lui stesso (…); altri hanno esercitato la loro influenza su di lui
attraverso canali nascosti (…): fra questi deve essere annoverato anche Tommaso. Dunque, in un punto particolare si
deve constatare una completa coincidenza fra i due: nell’instaurazione di una filosofia come scienza rigorosa, secondo
l’espressione usata da Husserl”, 316.
3
medievale! Certo è che in entrambi ella vede la stessa passione per la verità17, e questa non può che essere
universale, assoluta, metafisica. Cito ancora: “Una comprensione razionale del mondo, cioè una metafisica
– e in questa direzione si rivolge certamente in ultima analisi ogni filosofia in modo nascosto o palese –, può
essere raggiunta soltanto attraverso la ragione naturale e soprannaturale insieme (con il fatto che si è persa
la consapevolezza di questo legame, si spiega il carattere astruso di tute le moderne metafisiche e per
conseguenza l’avversione per la metafisica di troppi pensatori moderni). La valorizzazione filosofica delle
verità di fede, è, d’altra parte, compito della ragione naturale, sebbene ancora sotto la guida metodica di
quella soprannaturale”18.
Per avviare il discorso e sostenere la problematica aperta, occorre rispondere a due domande e
concludere con una riflessione propositiva:
- la prima domanda riguarda la natura della metafisica;
- la seconda, quella del metodo fenomenologico.
- in ultimo, farò un’ipotesi sulla possibilità di una correlazione tra i due.
Alla domanda prima darò una risposta veloce; alla seconda, invece, dedicherò qualche riga in più.
L’intento è quello di tematizzare una possibile relazione tra le due discipline attraverso le suggestioni della
Stein e, in seguito, quelle del Wojtyła19.
2. Cos’è la metafisica
Metafisica, dal nome dei libri che Aristotele scrisse dopo la fisica, è la scienza che esplora le cause
prime e i primi principi; è il sapere delle origini supreme della realtà e del pensiero: non in ambito
cronologico, né eziologico o scientifico, ma filosofico. È, dunque, la ricerca del senso ordinato20. Variamente
definita, la metafisica esprime l’esigenza dell’uomo di scoprire le ragioni supreme della realtà, secondo la
capacità naturale dell’uomo stesso di esercitare, oltre alla conoscenza dei sensi, quella intellettiva, ovvero
della possibilità che egli ha di indurre dagli enti concreti l’esistenza, la natura, le proprietà dell’essere.
L’indagine verte sull’essere dell’ente21, ovvero sul fatto che qualcosa esiste e non qualcos’altro;
l’oggetto formale, tuttavia, è la stessa possibilità di essere: l’essere in quanto tale22. Questo non è mai
accessibile direttamente ed immediatamente: sempre velato, viene raggiunto e compreso per analogiam,
attraverso la mediazione degli enti particolari. Questo concetto di metafisica è quanto Etienne Gilson pone
a fondamento del suo realismo epistemologico23. Dalla domanda su che cosa è l’essere dell’ente, dunque, si
arriva alla domanda sull’essere. La metafisica, quindi, è l’indagine sull’essere dell’ente, o sull’ente in quanto
essere.
Gian Battista Mondin afferma: “A mio avviso, l’indagine metafisica, per essere seria, feconda e
concreta, esige l’uso di tre metodi: quello fenomenologico, quello induttivo e quello deduttivo. I primi due
servono ad assicurarle una solida base nel concreto, mentre il terzo va incontro all’esigenza della metafisica
di offrire una visione sistematica del reale”24. Egli ammette, in questo modo, che una cosa è la disciplina
17
Cosa che emerge copiosa anche dagli scritti del Wojtyła.
Id., 321.
19
Le mie riflessioni sul Wojtyła, rielaborate a partire dal lavoro di ricerca per il dottorato, verranno poste in appendice.
Sono una modesta proposta di integrazione tra la filosofia tomista e la ‘sensibilità’ fenomenologica.
20
Il senso che segue un ordo: è il principio di causalità.
21
S. Tommaso, nel Commento alla metafisica di Aristotele, IV, lectio IV, n. 1998, afferma: “Primo in intellectu nostro
cadit ens”.
22
Cfr. G. B. Mondin, op. cit., 99ss.
23
Cfr. Etienne Gilson, Il realismo. Metodo della filosofia, Leonardo da Vinci, Roma 2008.
24
G. B. Mondin, op. cit., 94.
18
4
filosofica – la metafisica, per l’appunto; altro è il metodo utilizzato per elaborarla. In questo contesto, la
fenomenologia si distingue come metodo, cioè come una modalità particolare di attenzione al dato:
- al fenomeno nel mondo in cui si manifesta;
- al soggetto, nella modalità in cui percepisce ed esperisce il movimento trascendentale.
La metafisica non esclude, quindi, alcun tipo di approccio al problema, a meno che il metodo utilizzato
non sia in contraddizione con l’oggetto della stessa. Su questo è opportuno soffermarci a questo punto.
3. Cosa è la fenomenologia
Per rispondere alla domanda sulla natura del metodo fenomenologico, mi sono avvalso del testo
Introduzione alla fenomenologia di Angela Ales Bello25. È il risultato di alcune conferenze tenute dalla
professoressa nelle università brasiliane sul tema della fenomenologia husserliana e della sua scuola26. Nel
testo, il metodo può essere sintetizzato in due binomi: realismo fenomenologico, da un lato – ovvero la
considerazione filosofica dell’oggetto per come si manifesta all’osservatore; realismo trascendentale, cioè
lo studio del soggetto che percepisce e delle sue dinamiche interiori di conservazione, elaborazione,
comunicazione del vissuto27. Il metodo, quindi, può essere schematizzato in due tappe:
1. riduzione eidetica. È possibile per l’uomo capire il senso delle cose28? Se è possibile, in che cosa
consiste? Dall’analisi dei propri movimenti intenzionali, l’osservatore giunge in questo modo a
ridurre l’oggetto ad un’idea (lontana dall’idealismo del secolo precedente), ovvero alla sua essenza.
L’esasperazione di questo metodo produce, purtroppo, la sospensione completa dalla fatticità
dell’oggetto, a vantaggio della sua idealità. Ecco che, nel metodo fenomenologico, entra di principio
ciò che in realtà dovrebbe essere soltanto un elemento tra i tanti: l’epoché. Tramite la sospensione
di giudizio sull’esistenza del fenomeno, il filosofo fenomenologo ha come fine l’individuazione della
sua essenza29. Volendo sintetizzare tutto con uno schema, avremo che:
- Soggetto → al fenomeno per via di percezione → alla ricerca del senso, prescindendo dalla sua
esistenza concreta (come se il senso non fosse parte dell’esistenza, o l’esistenza non dovesse avere
senso per essere autentica);
2. la seconda tappa sposta l’oggetto di indagine. Analizzando l’essenza del fenomeno, il soggetto
scopre di essere fenomeno a se stesso. Nella modalità intenzionale di apertura al mondo, quindi,
viene evidenziata una struttura trascendentale. In altre parole, il soggetto – individuando il senso
dei fenomeni –, scopre che anch’egli ha un senso! È ciò che Husserl chiama riduzione
25
A. A. Bello, Fenomenologia, op. cit.
Ales Bello si è fatta carico di un compito molto arduo: descrivere in maniera chiara ed esaustiva il metodo
fenomenologico. È risaputo, infatti, che Husserl ha lasciato migliaia di manoscritti di vario genere, che i suoi discepoli
dovevano ordinare e redigere. Per queste ragioni, non esiste una introduzione alla fenomenologia scritta da Husserl
stesso. Cfr. le trascrizioni della Stein, confluite nel secondo testo di Husserl: Idee per un fenomenologia pura e di una
filosofia fenomenologica II, trad. di Anna Maria Pezzella, Città Nuova, Roma 2001.
27
È l’analisi della percezione, dell’astrazione, della memorizzazione, del linguaggio.
28
È strano che, prima della domanda sulla possibilità di comprendere il senso delle cose, non ci si domandi se ci sia un
senso, e quindi se esista – al di là della percezione del soggetto – un senso oggettivo. Il realismo tomista non
permetterebbe questo tipo di approccio, perché il senso (la ricerca metafisica, in altri termini) viene dalla osservazione
induttiva delle cose stesse.
29
Contestualizzata nel contesto di polemica con le scienze empiriche, questa scelta metodologica ha senso e
plausibilità. È chiaro che, come anzidetto, estrapolare l’eidos da un fenomeno prescindendo dalla sua esistenza è
semplicemente assurdo!
26
5
trascendentale, ovvero essenzializzazione del soggetto esperiente30. Si tratta dell’analisi dell’essere
umano31 il quale, pur essendo aperto all’essenza delle idee, vive in realtà la relazione con il mondo
e con se stesso nella sua coscienza. Mentre il soggetto percepisce l’oggetto, si percepisce come
percipiente, cioè come contenuto di una istanza altra che non è da lui, ma in/di lui: la coscienza, per
l’appunto! Anche qui, schematizzando, potremo avere che:
a. con l’atto percettivo, il soggetto si apre a sé come fenomeno in quanto l’oggetto percepito
svela la dinamica trascendentale del percipiente. Quindi:
- soggetto → tramite l’atto percettivo → vs coscienza del soggetto;
b. l’uomo si scopre come coscienza → c’è qualcosa in me che mi avvolge ma dal di dentro, una
profondità in cui tutto il mio vivere è spiegato = si tratta della scoperta della coscienza, eidos
dell’essere umano!
- gli atti percettivi generano dei vissuti interiori = erlebnisse (vivencias), che non sono contenuti
oggettivi (quantità di informazioni), ma soggettivi (qualità di informazioni).
In sintesi, il metodo della fenomenologia approda alla coscienza del soggetto come vero oggetto di
conoscenza, nel quale i fenomeni trascendentali (compreso il soggetto stesso) vengono esperiti come
vissuto, cioè un vivere dentro che non è psichico soltanto ma inerisce il piano del senso. Ales Bello, a tal
proposito, afferma: “Abbiamo un primo livello di coscienza, che è quello degli atti percettivi, e un secondo
livello di coscienza, che è quello degli atti riflessivi”32;
3. riduzione eidetica, riduzione trascendentale, terzo step: qualificazione dell’uomo come corporeità
vivente! Tramite la percezione – veicolo comune del movimento intenzionale del primo e secondo
stadio – Husserl scopre l’essenza dell’uomo come coscienza che vive la propria soggettività in
maniera somatica, psichica e spirituale allo stesso tempo. È quanto egli chiama: corpo vivente
(Leib), in opposizione al corpo somatico (körper) dell’indagine scientifica.
Dall’analisi dei vissuti, quindi, Husserl deduce una particolare antropologia:
corpo = produce atti corporei (sensibilità, istintività)
uomo
→
psiche = produce atti psichici (reazioni, emozioni)
spirito33 = produce atti spirituali (riflessioni, valutazioni, decisioni, senso).
Nella coscienza, convergono tutti questi fattori. Essa non è un luogo specifico; non è di carattere
psichico o spirituale, soltanto; non si limita alla consapevolezza o alla presenza del soggetto a se stesso.
Essa è il punto di convergenza delle operazioni umane, l’habitat naturale dell’io/individuo e si essenzializza
in una soggettività puntiforme (io puro).
Tra i vissuti di coscienza (Husserl parlava di un flusso di vissuti; la Stein, con un’altra immagine,
parlava di grappoli di vissuti), uno ha un valore del tutto particolare per la qualificazione dello specifico
umano: l’empatia o enteropatia (einfühlung). Letteralmente, l’empatia è un ‘sentire dentro’, il “cogliere che
l’altro è qualcuno”34. L’empatia è l’atto conoscitivo attraverso il quale il soggetto distingue in sé il vissuto di
un altro, ovvero scopre l’altro attraverso la percezione del suo vissuto; è un sentire in sé qualcosa di
personale ma non originario (perché originato da un altro). Ales Bello afferma: “Entropatia vuol dire che
sento l’esistenza di un altro essere umano come me; è pertanto una sensazione immediata di
30
Questo secondo passaggio ha regalato alla fenomenologia la triste etichetta di una filosofia chiusa nel soggetto. A
rigor di termini, non è così. Ciò che fa problema è, a mio avviso, l’assunto metodologico della presa di distanza dalla
esistenza concreta, cioè dal sano e ragionevole realismo classico.
31
Essere non in senso ontologico, ma come coscienza.
32
A. A. Bello, Introduzione alla fenomenologia, op. cit., 25.
33
La questione dell’anima Husserl la pone tra lo psichico e lo spirituale.
34
A. A. Bello, Introduzione alla fenomenologia, op. cit., 44.
6
somiglianza”35. Con l’entropatia/empatia, Husserl definisce la struttura intersoggettiva della coscienza e
fonda l’intersoggettività umana sul piano fenomenologico. Da un lato, quindi, egli sembra escludere –
attraverso la riduzione trascendentale e l’epoché – l’esistenza concreta dell’alterità e del mondo esterno;
dall’altro, egli recupera il tutto individuando, nella coscienza intenzionale, una struttura onticamente
intersoggettiva36.
Un’ultima annotazione. Nonostante non facesse espressamente riferimento a Dio dal punto di vista
confessionale durante le sue lezioni, Husserl riteneva che il problema religioso fosse centrale nella ricerca
filosofica. Dallo studio dei vissuti, Husserl ipotizzava uno sviluppo teleologico del mondo, una sorta di
evoluzione permanente intesa come creazione continua. Questo perché nell’uomo egli trovava traccia di
una coscienza illimitata che potesse giustificare e reggere il flusso continuo di vissuti. Si tratterebbe, quindi,
di una coscienza di coscienza – una coscienza illimitata. In questo modo, egli sembra riprendere il tema
delle vie di san Tommaso37. In che modo, ora, si possono riprendere alcuni elementi del primo e secondo
approccio e metterli in dialogo? Il altri termini, è possibile una relazione tra la metafisica (in particolare
quella tomista) e la fenomenologia? A mio parere, la risposta è negativa. Si tratta, infatti, di due discipline di
diverso livello: la prima relativa al senso globale; la seconda al metodo indagine. Tra le due, però, è
possibile una fecondissima collaborazione. Su questi punto alcuni spunti della Stein possono essere di aiuto.
4. Metafisica e fenomenologia in Edith Stein
Se Gian Battista Mondin, introducendo la metafisica, ammette anche l’approccio fenomenologico per
una sua elaborazione, non è detto che la fenomenologia produca di per sé una metafisica38. Qui, a mio
avviso, poggia tutta l’argomentazione sulla possibilità di intrecciare metafisica e fenomenologia: la prima
può servirsi della seconda; la seconda, invece, non conduce necessariamente alla prima, ma può produrre
molteplici modelli di significato. Probabilmente si potrebbe sostenere il contrario: la fenomenologia,
escludendo metodologicamente l’esserci dell’ente, si preclude ogni speculazione metafisica! Volendo
abbozzare, quindi, un confronto tra metafisica e fenomenologia, mi dovrò limitare ad alcune suggestioni in
cui la Stein mette in relazione l’insegnamento e il metodo del suo maestro con la filosofia tomista.
È possibile, quindi, fare un confronto tra Tommaso e Husserl e formulare, sotto questo profilo, una
risposta alla domanda sul rapporto tra fenomenologia e metafisica? Se si interrogano i discepoli di Husserl,
la risposta è possibile. Il maestro, infatti, non lasciava opere complete se non attraverso l’ausilio dei suoi
discepoli. Inoltre, considerando gli esiti della sua scuola e le differenti sfumature di pensiero che i vari
esponenti hanno seguito (basti considerare Martin Heidegger, Edith Stein, Hedwig Conrad Martius, Gerda
Walther, Max Scheler stesso), ritengo che la Stein sia la più qualificata ad un tale compito. In seguito alla
sua conversione, infatti, ella si rese conto dell’esistenza di un filone di pensiero in cui il rapporto tra filosofia
35
Id., 45.
Su questo presupposto poggiano anche tutte le riflessioni di Husserl sulle diverse modalità di associazione, quali:
a. Massa = insieme di persone senza forma/intenzionalità specifica propria;
b. Comunità = insieme di persone con responsabilità reciproche;
c. Società = tipologia di aggregazione per una finalità comune, contingente, convenzionale;
d. Popolo = comunità fondata su in principio etnico → valore spirituale di aggregazione;
e. Stato = società di leggi impersonali → società di diritto.
37
Patrizia Manganaro, riprendendo la riflessione di Ales Bello (cfr. A. A. Bello, Edmund Husserl. Pensare Dio – Credere
in Dio, ed. Messaggero, Padova 2005), parla espressamente di cinque vie della fenomenologia di Husserl, “con le quali
il procedimento razionale giunge a Dio –: la via oggettiva; la via soggettiva; la via intersoggettiva; la via hyletica; la via
etica”, in: Patrizia Manganaro, Filosofia della mistica, op. cit., 134.
38
In che modo, invece, e se sia possibile una fenomenologia aperta alla metafisica, me ne occuperò – per sommi capi
– introducendo il Wojtyła.
36
7
e teologia era ancora impostato secondo i canoni medievali: si trattava della philosophia perennis39, cui ho
fatto cenno in precedenza. Su questo piano sembra doversi porre una prima riflessione sulla relazione tra
metafisica ed fenomenologia, e in particolare tra Tommaso e Husserl. Ecco alcuni aspetti, tratti
dall’antologia di scritti steiniani, elaborata da Ales Bello40.
a. Nel 1929 Stein scrive un testo dal titolo: La fenomenologia di Husserl e la filosofia di san Tommaso
d’Aquino. Tentativo di un confronto. In questo testo, ella raccoglie le linee di fondo che le sembrano
presenti in Tommaso e Husserl. Per la Stein, il ruolo della filosofia secondo Husserl e secondo
Tommaso è analogo: la costruzione di una scienza rigorosa41 (e quindi di una philosophia perennis).
La fenomenologa scrive: “La fenomenologia procede come se in linea di principio non ci fossero
confini per la nostra ragione. Certamente si concede che il compito della ricerca fenomenologica sia
senza fine (…), ma essa si mette direttamente in cammino verso la sua meta, cioè la piena verità” 42.
Più avanti continua: “Husserl e Tommaso sono profondamente convinti che il logos agisce in tutto
ciò che esiste e che la nostra conoscenza è in grado di scoprire progressivamente una parte e
ancora una parte di questo logos”43. Uguale sembra essere l’intento, totalmente diverso il mezzo.
Per la Stein, Husserl si ferma alla ragione naturale; san Tommaso, invece, prosegue sulla via della
ragione soprannaturale 44 . Convertita al cattolicesimo e fermamente persuasa della sua
ragionevolezza ella non condivideva l’opinione del suo maestro, secondo il quale tutte le opere di
ordine filosofico del medioevo fossero in realtà opere di teologia mascherate; anzi, nel testo
incalza, tacciando il suo maestro di pensiero egocentrico. Cito: “La verità prima, il principio e
criterio di tutta la verità è Dio stesso. Questo è per Tommaso il primo assioma filosofico, se si vuole
così denominarlo. Ogni verità, della quale possiamo impadronirci, deriva da Dio”45. In questo modo,
per la Stein Tommaso ha dato un contributo del tutto essenziale alla filosofia; non di meno,
tuttavia, il suo maestro. Entrambi si sono dedicati alla ricerca di un sapere rigoroso che non fosse
destinato a finire. Non era, in altro modo, questa la pretesa di Husserl di affiancare alle scienze
esatte un sapere rigoroso?
b. Secondo aspetto. Se c’è una somiglianza tra i due46, quali le differenze? La Stein afferma: “Mentre
Husserl (…) metteva fra parentesi la attualità (…) muovendosi sul piano della possibilità, Tommaso
voleva determinare l’essenza di questo mondo e, dunque, la posizione dell’esistenza fattuale per lui
fu sempre valida (…) 47 . Husserl doveva combattere con l’assolutizzazione della conoscenza
scientifica e con le debolezze dello storicismo (…); ma anche Tommaso ammetteva la validità della
39
Di quale filone di pensiero di tratta, dunque? Scrive Ales Bello: “Tale filone passava attraverso l’abate Raphael
Walzer o il gesuita Erich Przywara, sostenitori della sua conversione dal punto di vista intellettuale, i quali erano stati
formati nei seminari secondo la tradizione del pensiero cattolico rimasta legata, anche nell’età moderna e in quella
contemporanea, alla circolarità tra filosofia e teologia”, in: A. A. Bello, Edith Stein o dell’armonia, op. cit., 100.
40
Cfr. A. A. Bello, Edith Stein, op. cit.
41
Il rigore husserliano si contrappone all’esattezza delle scienze fisico-matematiche. Egli aveva come interlocutore lo
scientismo militante. Ben diversa era la situazione culturale e le esigenze filosofiche al tempo di Tommaso.
42
Edith Stein, La fenomenologia di Husserl e la filosofia di san Tommaso d’Aquino, op. cit., 104, , in: La ricerca della
3
verità. Dalla fenomenologia alla filosofia cristiana, A. A. Bello (ed.), Città Nuova, Roma 1999 .
43
Id., 317.
44
Cito: “Entrambi non hanno mai dubitato del potere della ragione (…). La ragione, però, non ha mai avuto per lui altro
significato che quello di ragione naturale, mentre per Tommaso è valida, a proposito di essa, la distinzione fra naturale
e soprannaturale. Husserl obietterebbe certamente, dicendo che ciò che egli intende per ragione si trova al di là della
contrapposizione fra ‘naturale’ e ‘soprannaturale’”, in: Id., 317.
45
Id., 105.
46
Più che somiglianza sul piano filosofico – cosa che mio avviso non sussiste – si potrebbe trattare di comune intento.
47
Qui, a mio parere, c’è la spiegazione del perché Tommaso abbia prodotto una metafisica e Husserl no.
8
sfera eidetica, quella che Husserl considera oggetto dell’ontologia, distinguendo, inoltre,
un’ontologia materiale ed una formale”48. Altri due punti di accordo, dunque: da un lato, sul piano
epistemologico, la conoscenza che viene astratta dai dati dei sensi; dall’altro, la formalizzazione
della medesima (sfera eidetica). Non mi sembrano, tuttavia, motivazioni sufficienti a sostenere una
reale comunanza di pensiero tra i due. Di conseguenza, se l’epistemologia tomista garantisce una
metafisica, quella di Husserl sembrerebbe non necessitarla49.
c. Terzo aspetto: l’influenza della fede nel contesto della ricerca filosofica. Il confronto tra Tommaso
ed Husserl, è elaborato dalla Stein anche a partire dal contributo originale che l’opzione di fede
inserisce nel percorso teoretico e filosofico. Per la mistica tedesca, la fede è fermento, alimento,
stimolo per la ragione. In merito, ella afferma: “La fede ha per la filosofia un doppio significato. La
filosofia vuole la verità nella più ampia estensione possibile e che dia la maggiore certezza possibile.
Se la fede rende accessibili verità, che non sono raggiungibili per altra via, allora la filosofia non può
rinunciare a questa verità di fede senza abbandonare, per l’appunto, la sua esigenza universale di
verità e inoltre senza correre il rischio che si insinui anche la falsità nell’insieme di conoscenze che
le rimane, perché nella connessione organica di tutta la verità può capitare che ciascuna singola
parte sia vista in una falsa prospettiva, se sono recisi i legami con il tutto. Perciò si deve concludere
che c’è una dipendenza materiale della filosofia dalla fede”50.
Un’ultima suggestione, tratta dal testo Essere finito e essere eterno. Anche in quel testo la Stein
procede ad un confronto tra Husserl e Tommaso, ribadendo l’intimo legame tra fede e ragione, filosofia e
teologia. Secondo la Stein, tra le due c’è una dipendenza “materiale e formale”51. La sua conversione al
cristianesimo, avvenuta con il battesimo il giorno di capodanno del 1922, è stravolgente per profondità e
convinzione. In una personalità così esigente dal punto di vista intellettuale, non poteva non concernere
anche il pensiero. Per la Stein, dunque, non solo non si può dare separazione tra pensiero e fede, ma
neppure tra l’approccio fenomenologico e la prospettiva tomista. Ales Bello annota: “All’Autrice sembra
che tale posizione52 sia in effetti coerente con la prospettiva di san Tommaso e, come nel saggio sopra
citato, si ripresenta il confronto con la fenomenologia husserliana, non per una esigenza puramente
culturale, ma per fare i conti con la propria formazione filosofica (…). Ella rimane sostanzialmente aderente
all’idea di Husserl, secondo la quale la filosofia in quanto sapere radicale è scienza nel senso etimologico del
termine, ma non condivide più la sua fiducia in una assoluta autonomia della ragione53, pur riconoscendo
che per il suo maestro la conquista della verità non è né automatica, né garantita, che la verità stessa, in
quanto idea regolativa, è disposta all’infinito”54. L’avvicinamento della Stein alla filosofia tomista, inoltre,
48
Id., 78.
Il Wojtyła fece il percorso inverso: dalla ontologia tomista al metodo fenomenologico. Per questo la sua proposta di
integrazione mi sembra più rigorosa.
50
Id., 320
51
E. Stein, Essere finito e essere eterno, op. cit., 11.
52
Quella della fenomenologia.
53
Il pensiero di Tommaso è chiaro in merito. In La summa teologica, a cura dei domenicani italiani, I, q. 1, a. 1
leggiamo: “Niente impedisce che delle stesse cose delle quali tratta la filosofia con i suoi lumi di ragione naturale, tratti
anche un’altra scienza che proceda alla luce della Rivelazione”. Per l’Aquinate, quindi, la necessità della rivelazione per
lo studio e la conoscenza della verità non ha lo stesso valore che per la Stein.
54
E. Stein, Essere finito, op. cit., 12. Il concetto è sostenuto anche da Ingarden, in una conferenza a Cracovia nel 1968,
durante la quale sosteneva: “In filosofia non è lecito accettare nulla di cui, una volta attuata l’analisi, non attingiamo
l’assoluta evidenza”, in: R. Ingarden, Il problema della persona umana – Profilo filosofico di Edith Stein, in: “Il nuovo
Areopago”, n. 1, 1987, pag. 29. L’influenza di Ingarden nel contesto della filosofia polacca è stato, probabilmente, uno
dei modi con cui anche il Wojtyla è venuto a conoscenza del metodo fenomenologico.
49
9
nasconde una certa simpatia per le questioni riguardanti l’ente55. Tuttavia, Bello sostiene che “l’adesione
alla posizione di Tommaso trova un limite, proprio in riferimento alla questione dell’essenza come era già
accaduto nel confronti di Husserl (…). Ciò consente di comprendere come l’una prospettiva venga
interpretata e completata alla luce dell’altra: se Husserl non riconosce i diritti del momento individualeesistenziale, san Tommaso non riconosce sufficientemente il ruolo dell’essenzialità; per tale ragione è
necessaria una revisione sia del tema dell’essere che di quello dell’essenza”56.
In conclusione, fede e ragione, ricerca filosofica e teologica sembrano dover percorrere lo stesso
binario dell’autenticità intellettuale. Questa è la testimonianza della Stein, nel confronto tra Tommaso e
Husserl. Le argomentazioni da lei addotte sono deboli, forte e coraggioso l’intento. Non c’è una reale analisi
dei contenuti dei due sistemi di pensiero, nonostante la profonda estimazione per entrambi. Non rimane
che concludere che tra fenomenologia e metafisica non è per ora percorribile la strada del confronto. Tra
un metodo ed una disciplina organica non è possibile, infatti, elaborare in maniera comparata i risultati
della ricerca. È, invece, possibile – e in alcuni casi auspicabile, come vedremo – un affascinante intreccio,
una fruttuosa interazione. Il Wojtyła mi sembra essere un esempio – forse l’unico, di un approccio di tal
genere.
5. La proposta di Karol Wojtyła57
La conclusione della riflessione sulla relazione tra metafisica e fenomenologia conduce ad affermare
che il metodo fenomenologico può essere di aiuto alla metafisica. Questa, tuttavia, senza il contributo del
metodo stesso, non cesserebbe di essere tale. Che cosa possa dare la fenomenologia di suo specifico alla
metafisica è, quindi, la questione di cui voglio occuparmi ora, in maniera del tutto personale, attraverso una
rielaborazione dello studio fatto da me medesimo sulla filosofia di Karol Joseph Wojtyła e sul rapporto che
egli ebbe con il metodo fenomenologico, in particolare nel lungo confronto con Max Scheler sul rapporto
tra dovere morale e coscienza morale. Dai suoi scritti emerge una personalità poliedrica, non facilmente
inquadrabile in un modello di pensiero. Per questo motivo il Reale, nell’introduzione all’opera omnia degli
scritti di filosofia del Wojtyła, parlava di un particolare ‘personalismo wojtyłiano’58.
La mia esposizione cercherà di dimostrare come, nel modello di pensiero del filosofo polacco, la
fenomenologia porti naturalmente ad una metafisica – anzi, la esige –, analizzando in particolare il
passaggio da un vissuto amoroso al valore metafisico dell’atto di amare. Il percorso sintetico che seguirò si
prefigge di risolvere delucidare tre aspetti:
a. analisi del contesto culturale della Polonia degli anni ’50 e dell’evoluzione del giovane Wojtyła;
b. rapporto tra Wojtyla e Scheler;
c. esempio di applicazione del metodo fenomenologico per lo sviluppo di una metafisica.
5.1 Contesto culturale della Polonia negli anni ’50 ed evoluzione intellettuale del Wojtyła
Il contesto culturale, politico e sociale della Polonia negli anni ’50 può essere di aiuto per comprendere
soprattutto il clima interiore che doveva accompagnare il Wojtyła durante i suoi primi anni di
55
Cfr. l’utilizzo di De ente et essentia di Tommaso in Essere finito e essere eterno.
E. Stein, Essere finito, op. cit., 25.
57
L’argomento del paragrafo è largamente trattato nella mia tesi di Dottorato in teologia dogmatica. In questo
frangente, a me interessa soltanto riprendere il legame tra Wojtyła, il metodo fenomenologico e la metafisica. Quanto
sia presente, poi, la struttura argomentativa di Persona ed atto – opus magnum del Wojtyła – in Fides et ratio, è
dimostrato nella tesi medesima, parte quarta. Cfr. Cumerlato Vittorio, op. cit., 237-324.
58
Cfr. G. Reale, Introduzione, in: K. Wojtyła, Metafisica della persona, op. cit, I-CXXXIV.
56
10
insegnamento. Nel 195459 l’università Jagellonica (già chiusa nel 1942 in seguito all’invasione nazista, poi
ripristinata dal governo socialista) vedeva tra i suoi luminari il domenicano Feliks Bednarski e il professore
Jerzy Kalinowski, entrambi legati alla scuola logica di Leopoli e di Varsavia. La tendenza filosofica era a
favore dell’impostazione scolastica di Tommaso d’Aquino. L’etica, quindi, veniva fondata a partire dal fine
ultimo, secondo una logica di deduzione che il Wojtyła faticava a comprendere60, ma che in seguito avrebbe
ripreso a grandi linee nei termini di riduzione61. Stava prendendo piede in quegli anni la necessità di una
forma radicale di revisione della metodologia nell’etica, in corrispondenza al clima culturale dell’Occidente
in netto rifiuto delle formule classiche e provocato dalle nuove ed impensate situazioni di confronto
intellettuale dettate sia dalla condizione politica che dal clima culturale e ideologico. Lo studio del Wojtyła
su Max Scheler rappresenta già, in quel contesto, un elemento di discontinuità rispetto al suo ambiente.
Nonostante siano numerosissimi i rimandi impliciti alla filosofia tomista nelle sue opere62, egli rappresenta
un elemento di evoluzione nell’ambiente accademico polacco. Nelle sue opere, infatti, emerge a più riprese
una novità metodologica e di sensibilità culturali, immediatamente riconducibili alla fenomenologia
scheleriana ma non assimilabili ad essa in maniera semplice e scontata. In particolare, per il Wojtyła il
dovere morale non deve più essere in funzione del fine ultimo dell’uomo, quasi mosso dall’esterno, ma in
funzione della perfezione dell’atto stesso! L’esperienza del bene, inoltre, deve essere incondizionata, scissa
dalla logica suadente e pericolosa del premio/castigo, nonché libera dalle maglie della metafisica classica
che subordinava l’etica all’ontologia.
La rottura con i suoi studi precedenti non può trascurare un continuo confronto con la filosofia tomista.
Rimane, infatti, una tacita ma evidente estimazione per l’opera dell’Aquinate, non tanto in maniera
esplicita nei testi quanto nei presupposti di ricerca e nella procedura di ragionamento. Non è mio intento
studiare le opere dell’Autore sotto questo profilo, né andare a sviscerare eventuali rimandi o cercare
confronti. Permane, comunque, secondo il Wojtyła, la tendenza del dottore angelico a considerare l’atto
morale in relazione al fine, in corrispondenza con la sua prospettiva teleologica. La presa di distanza critica
da Tommaso, quindi, non manca. Secondo il Wojtyła, infatti, all’Aquinate sembra mancare un fatto
antropologico costitutivo nel compimento dell’atto, ovvero il legame tra l’atto compiuto e il soggetto
agente. Nell’atto morale, insomma, è necessario parlare di auto-teleologia, ovvero evidenziare il nesso che
intercorre tra il bene/male morale e l’atto stesso. In Tommaso, in particolare, “manca la specificità del bene
morale, caratterizzato dalla gratuità [e non, quindi, dal finalismo] e del dovere morale, caratterizzato dalla
categoricità [e non per deduzione da una metafisica]. Da dove nasce questa mancanza? Non nasce, forse,
dal fatto che San Tommaso ha cercato di dedurre questa specificità dal rapporto fra l’atto e il fine ultimo,
che opera in quanto appetibile?”63. L’etica che ne viene fuori è, dunque, qualcosa di specifico e di
59
Prendo come punto di riferimento il 1954 perché per il Wojtyła è l’anno del conseguimento della libera docenza
universitaria. Per le informazioni sul contesto culturale polacco del dopoguerra: cf. T. Styczeń, Karol Wojtyła: un
filosofo della morale agli occhi del suo discepolo, in: WF, CVII ss. Dello stesso Autore è di notevole importanza anche:
Comprendere l’uomo. La visione antropologica di Karol Wojtyła, PUL, Roma 2005.
60
Il primo interessamento del Wojtyła – potremmo dire primo ed ultimo, con vari risvolti – è stata la problematica
morale, studiata sul versante antropologico. Le sue opere, infatti, offrono tutte un approccio etico-antropologico.
61
Cf. Introduzione di Carlo Caffarra a: Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò, in: WA, 5-24. Anche Giovanni Reale
approfondisce l’argomento in: G. Reale, Karol Wojtyła, op. cit., 37ss.
62
La posizione filosofica del Wojtyła è stata spesso interpretata come un tentativo di riabilitazione della filosofia
tomista. Non sono di questo parere per svariate ragioni, riconducibili al fatto che egli ebbe una formazione
accademica desueta e frammentaria, e che l’incontro con il tomismo ebbe luogo più durante il periodo di
specializzazione a Roma (1946-1948) che negli studi teologici primari. Cf. J. Kwintny, L’uomo del secolo. L’ultimo
2
profeta, Piemme, Casale Monferrato 2004 , 73ss.
63
WF, CXIII.
11
originario, e non può essere dedotta da nessuna teoria: è per il fatto d’essere così a partire dall’esperienza
del soggetto. Allo studioso di etica rimane, quindi, il compito di esplicitarla.
5.2 Confronto tra il Wojtyła e Max Scheler
L’avvicinamento del Wojtyła alla fenomenologia tedesca è avvenuto a Cracovia attraverso la figura di
Roman Ingarden, discepolo di Edmund Husserl. Quest’ultimo prevedeva un ritorno alle ‘cose stesse’ nel
loro darsi fenomenico che riducesse all’essenziale i dati della coscienza, per poi ricavare lo statuto
ontologico dei fenomeni descritti a partire dalla dinamica intenzionale del soggetto stesso. Contrariamente
alla posizione essenzialista di Husserl, Ingarden – e con lui la scuola di Cracovia – rimaneva ancorato ad un
rigido realismo. Fu questa, evidentemente, la porta attraverso cui Wojtyła poté incontrare la metodologia
fenomenologica di matrice tedesca e trovare in essa un fecondo interlocutore per la sua ricerca etica,
nonché uno stimolo per la sua maturazione intellettuale.
L’evoluzione del pensiero del Wojtyła evidenzia in lui una incontestabile propensione per la riflessione
etica. Dal 1949 viene richiamato a Cracovia, per dedicarsi alla cura della formazione morale della gioventù
studentesca. Essendo tornato dagli studi romani il luglio precedente, fa le sue prime esperienze pastorali
presso la parrocchia di Niegowić presso Gdów. In seguito comincia a lavorare attivamente nella parrocchia
di San Floriano proprio in favore degli studenti universitari e dei lavoratori della sanità, riscuotendo felici
successi ed intessendo amicizie che lo accompagnarono tutta la vita. Dal 1951 l’arcivescovo Eugeniusz
Baziak – del quale dal 1958 Wojtyła diventa ausiliare per la diocesi di Cracovia – lo mette in aspettativa per
prepararsi all’esame di abilitazione per la libera docenza universitaria in previsione di un suo futuro
impegno nell’ambito accademico, per la formazione dei candidati al sacerdozio. Dall’autunno 1953, infatti,
comincia ad insegnare ‘Etica sociale cattolica’ presso la Facoltà Teologica dell’Università Jagellonica. Il 3
dicembre successivo il Wojtyła sostiene la discussione per la libera docenza, con approvazione della tesi
titolata: Valutazioni sulla possibilità di costruire l’etica cristiana sulle basi del sistema di Max Scheler.
Nell’analisi dell’opera di Scheler, da un lato emerge con chiarezza come ci siano notevoli punti di
vicinanza tra lui e il Wojtyła, in ragione della comune sensibilità per la dinamica interiore dell’esperienza
morale; dall’altro, una notevole divergenza in ragione dei presupposti metafisici che li rendono
decisamente discordi64. Rimane sempre, tuttavia, una sorta di omogeneità nell’istanza di fondo che ha
generato la ricerca per entrambi, nonostante siano approdati a conclusioni differenti. Sia Scheler che
Wojtyła, infatti, in opposizione al formalismo morale kantiano, cercano una fondazione dell’agire morale a
partire dall’esperienza vissuta e sperimentabile, ed una normatività del dovere morale evidente alla
coscienza a tal punto da edulcorare nel primo, rafforzare nel secondo, l’atto volontario di sequela-adesione
al valore morale. Rifiutano entrambi, inoltre, l’interpretazione del dovere che si pone al di là dell’esigenza
interiore di autenticità, violando la spontaneità del soggetto.
Max Scheler non è studiato da Karol Wojtyła in tutti i suoi aspetti filosofici e teoretici, ma solo su
quanto concerne la sua opposizione all’etica formale di Kant65. Egli, infatti, rifiuta l’imperativo morale e
64
Le conclusioni del pensiero del Wojtyła e di Scheler – ovvero il naturale sfociare della fenomenologia nella
metafisica – sono comuni. Leggiamo in L’amore fa vedere: “La gnoseologia scheleriana si connota in senso
chiaramente metafisico. Il sapere è partecipazione all’essere. Lo stesso metodo fenomenologico è assunto da Scheler
quale nuova via verso la metafisica”, in: op. cit., pag. 32. L’Autore continua: “Religione e metafisica tendono dunque
ad una identica realtà (…). In virtù della identità reale dell’oggetto e della non contraddittorietà dei contenuti dello
spirito umano, sapere religioso e sapere metafisico possono fecondamente integrarsi, senza perdere la rispettiva
specificità. Soltanto la metafisica e la religione insieme danno una rappresentazione (inadeguata) dell’eterno”, in:
idem, pag. 134-135. Questo è quanto Scheler chiamava sistema di conformità.
65
Questa ingenuità giustifica, in un certo senso, il grossolano errore di interpretazione della filosofia di Scheler da
parte del Wojtyła. Quanto allo studio che sto conducendo, il mio interesse non verte tanto sulla correttezza dell’analisi
wojtyłiana quanto sul procedimento e sullo sviluppo del suo pensiero.
12
riabilita l’esperienza morale nella sua essenziale fenomenicità, senza pretese idealistico-formali. Si pone in
questo modo decisamente in difesa della normatività dell’esperienza e non di un principio morale assoluto.
Le norme morali, infatti, non possono nascere da un processo logico di generalizzazione – come era vero
per Kant -, ma devono darsi nell’esperienza emozionale stessa del soggetto che la vive. L’etica, di
conseguenza, non può essere in alcun modo normativa senza prima essere stata empirica; e lo è nella
misura in cui la dimensione emozionale del soggetto tende ad essa. Scheler, in questo modo, difendendo
l’empiricità dell’etica e contestando la sua normatività, apre al Wojtyła la possibilità feconda di un
confronto con l’etica finalistica di Tommaso e il dovere kantiano.
5.3 Metafisica o trans-fenomenicità?
Nel testo Amore e responsabilità, al termine dell’analisi dei vissuti di amore, il Wojtyła si interroga sulla
possibilità di definire l’amore da un punto di vista metafisico; egli si propone, in altri termini, di dire
completamente il senso dell’amore, integrandolo in una antropologia metafisica omogenea.
In ragione di ciò, ritengo che nel contesto uniforme del suo pensiero, personalismo, metafisica della
persona o trans-fenomenicità soggettiva siano termini di per sé equivalenti. La loro distinzione si pone solo
in merito a particolari angolature che l’Autore intende sottolineare, oppure a motivo di una più chiara
esposizione del pensiero a confronto con impostazioni analoghe per la terminologia, ma non equivalenti nei
contenuti.
A. Per metafisica egli intende la natura dell’uomo nel senso essenziale, cioè la verità dell’uomo come
trascendenza. La metafisica della persona66, in questo modo, indica la natura essenzialmente
personale del soggetto e allo stesso tempo metafisica (trascendente). In “La persona: soggetto e
comunità”67, il Wojtyła chiarisce la sua posizione: “L’uomo è per natura persona. È per natura che
gli compete anche la soggettività propria della persona”68.
B. Allo stesso modo, il personalismo wojtyłiano – al di là di quanto il termine genericamente intende
indicare (in particolare il personalismo a cavallo tra la prima e la seconda metà del secolo XX) si
riferisce al fatto che la persona (nel suo significato metafisico) è quanto di più concreto si possa
pensare: soggetto (il subjectum) e/o persona sembrano così coincidere, nella misura in cui al primo
si conferisce un valore di potenzialità, alla seconda invece di attualità compiuta. Parlare di
personalismo significa inserire il pensiero del filosofo polacco nel solco dell’esperienza e, quindi,
della ricerca fenomenologica, senza tuttavia tralasciare la dimensione oggettiva dei risultati
ottenuti. Per questa ragione, la particolare posizione è stata chiamata da Giovanni Reale
personalismo realista69, ad indicare la differenza non lieve con i personalismi di altra impostazione.
L’attributo, infatti, intende sottolineare l’impostazione oggettivistica della persona
nell’unicità/indicibilità del soggetto70.
66
Di per sé il concetto è stridente per il bisticcio di parole. Se persona e ontologia, infatti, sono concetti
filosoficamente compatibili, non lo sono del tutto gli analoghi personalismo e metafisica.
67
Cf. WF, 1329-1387.
68
WF, 1339.
69
Nella introduzione alla edizione italiana dei testi del Wojtyła, il Reale afferma: “Desidero solo affermare che la realtà
e la verità trascendono il fattuale e l’empirico, e voglio rivendicare la capacità che l’uomo possiede di conoscere questa
dimensione trascendente e metafisica in modo vero e certo, benché imperfetto e analogico […]. La metafisica non va
vista in alternativa all’antropologia, giacché è proprio la metafisica che consente di dare fondamento al concetto di
dignità della persona in forza della sua condizione spirituale”, in: WF, XXVII.
70
Cf. WF, 1318: “Chi scrive è convinto che questa linea di demarcazione tra l’approccio soggettivistico (idealistico) e
quello oggettivistico (realistico) in antropologia e in etica debba venir meno e di fatto si stia annullando in
conseguenza di una esperienza dell’uomo che per forza di cose ci affranca dalla coscienza pura come soggetto pensato
e fondato ‘a priori’ e ci introduce nell’esistenza concretissima dell’uomo, ossia nella realtà del soggetto cosciente”.
13
C. La definizione che a mio parere rende maggiormente la posizione del Wojtyła (si tratta di una sorta
di estremo equilibrio instabile fatto di perduranti oscillazioni tra oggettivismo e soggettivismo) è
quella di trans-fenomenicità soggettiva. La trans-fenomenicità allude alla natura metafisica della
persona, come afferma chiaramente il filosofo polacco in un contributo successivo: “Questo è
appunto il contenuto del concetto di suppositum. Tale concetto serve ad affermare la soggettività
dell’uomo in senso metafisico. Quando diciamo ‘metafisico’ intendiamo dire non tanto ‘extrafenomenico’, quanto trans-fenomenico. Infatti, attraverso i ‘fenomeni’, che nell’esperienza
concorrono a formare la totalità dell’uomo come colui che esiste e agisce, noi scorgiamo […] il
soggetto di questo esistere e di questo agire”71. Dire extrafenomenico significa riporre la natura
metafisica della persona (e dunque la sua oggettività) al di qua dell’esperienza, come presupposto
nello studio della persona. Il metafisico, invece, è per lui trans-fenomenico: si pone realmente
come presupposto, ma al di là dell’esperienza, quasi a-priori sintetico (analogamente alla
terminologia kantiana). La natura metafisica della persona è il frutto dell’astrazione a partire dal
naturale processo di trascendenza del soggetto per opera della conoscenza e del desiderio. Il
subjectum (oppure il suppositum72, ciò che si pone a fondamento, caricato di una valenza metafisica
come anzidetto) è sì la soggettività dell’uomo, ma in senso metafisico, così come emerge
chiaramente dallo studio dei suoi atti. Per trans-fenomenicità soggettiva, quindi, si intende la
soggettività concreta del singolo che per natura è persona, cioè corrisponde in fieri ad una verità
oggettiva. Questo mi sembra il motivo per cui anche la partecipazione (la variante della relazione
nel pensiero dell’Autore) si lega ad una dinamica di trascendenza73 dal punto di vista del soggetto,
mentre – in ordine alla persona – è parte della natura metafisica.
D. In conformità a quanto detto, l’amore secondo il Wojtyła può essere definito a partire da una transfenomenicità soggettiva. Il percorso di trascendenza della persona si pone, sul piano dell’amore,
come un passaggio graduale dalla intenzionalità soggettiva delle dinamiche biologiche all’atto
umano come scelta di senso da conferire nella libera auto-determinazione, secondo la verità
oggettiva della persona: dall’amore carnale secondo una spontaneità naturale (non ancora
personale, ovvero l’amore che tende alla felicità nei termini di godimento) all’amore spirituale (di
trascendenza), secondo una spontaneità educata al valore (cioè all’amore corporeo in cui le
dinamiche biologiche sono sottomesse ed orientate alla norma personalistica). L’amore è dunque la
persona, e la persona si dice solamente nell’amore. Esso è quella dinamica soggettiva (relativa alla
decisione e alla libertà personale) di realizzazione della verità dell’amore a partire dalla esperienza
personale (la trans-fenomenicità) che scopre nell’uomo la naturale tensione al proprio
trascendimento. Un tale modello di amore, non mira a rompere la incommuncabilitas della
persona, ma a superarla. La persona, infatti, è per il Wojtyła incomunicabile74 (cioè non dicibile, ma
dicentesi) essenzialmente per due motivi.
71
WF, 1335.
Come ho già affermato in precedenza, è difficile definire in maniera netta e decisa i termini del Wojtyła, soprattutto
se utilizzati a distanza di anni. In questo contributo, il significato di suppositum sembra essere del tutto analogo al
precedente subjectum. Non è, comunque, necessario ai fini della mia ricerca andare oltre nella specificazione. Del
suppositum, in particolare, il Wojtyła afferma: “La scoperta del suppositum, ossia della soggettività dell’uomo in senso
metafisico, contiene in sé ad un tempo anche l’idea fondamentale del rapporto tra l’esistere e l’agire”, in: WF, 1336.
73
Cf. WF, 1381.
74
Cf. WF, 1323ss. In un altro passo, l’Autore sostiene: “La persona non può, come una cosa, essere proprietà di altri”,
in: WF, 553.
72
14
1. In primo luogo per il fatto che la natura (nel senso biologico) non si oppone al dono ma si pone,
rispetto a lui, su di un altro piano75. Essa tende all’usufrutto/possesso dei valori dell’altro. Il
dono/possesso, in realtà, sono di per sé valutazioni morali relative ad un principio di bene che
non ineriscono per nulla alla dinamica naturale, del tutto aliena a qualsiasi finalismo etico.
2. In secondo luogo, per il fatto che la natura metafisica, proponendo un ordine sovra-utilitario
della persona76, non può essere a disposizione del soggetto il quale, pur possedendosi e
determinandosi, non può decidere da sé della propria verità, cioè non dispone dell’oggettività
della propria persona che si apre alla partecipazione con gli altri.
Solo l’amore personalistico, quindi, rende la persona capace di superare la propria struttura di
incomunicabilità con il dono, attraverso la dinamica sponsale della reciprocità77. Nel dono, infatti, la
persona non supera se stessa violando la propria natura, ma consegnandosi. Essa si fa dono nella
propria auto-appartenenza, nella propria non-comunicabilità. In questo modo, non è la persona a
rendersi comunicabile, ma è il dono ad esprimerla pienamente. La natura oggettiva dell’amore (il
suo valore metafisico e trans-fenomenico) conduce così all’oggettività della natura sponsale
dell’amore e, quindi, della persona.
In questo modo, viene superato definitivamente sia l’apriorismo emozionalista78 della impostazione
filosofica scheleriana (ovvero l’amore inteso come trasporto in senso intenzionale, evidenza emotiva che
esclude l’oggettività di una valutazione di ragione e la scelta della volontà), sia l’etica della pura
obbligazione79 di matrice kantiana (fondata essenzialmente sulla evidenza di ragione, ma non sulla verità
esperienziale e pratica della persona), con la quale più volte l’Autore era venuto a confronto. Per il Wojtyła,
l’amore si pone come dovere radicato nella natura dell’uomo, la cui imperatività proviene dalla natura
metafisica della persona. La sponsalità esprime, così, il valore pienamente personalistico dell’amore.
6. Conclusione
La proposta del Wojtyła, accennata in una delle sue suggestive prospettive, è un tentativo ardito di
utilizzo del metodo fenomenologico nella costruzione di una metafisica rigorosa. Nel testo Persona e atto il
Wojtyła continua la sua analisi partendo dall’operatività dell’uomo; nelle catechesi sull’amore umano –
pronunciate i mercoledì tra il 1979 e il 1984 – invece, egli applica il metodo fenomenologico alla lettura dei
primi capitoli del Genesi e di altri passi della Scrittura, al fine di far emergere dai testi rivelati una
antropologia metafisica. Ultimo riferimento, la lettera enciclica Fides et ratio (1998): in essa non solo viene
ribadita la necessità della filosofia e in particolare della metafisica, ma viene anche nominata la
fenomenologa Edith Stein tra i grandi della filosofia (n°74).
Ritengo che non ci sia stato, finora, uno studio esaustivo dell’argomento Wojtyła in ambito
filosofico. Forse un approccio di questo genere potrebbe far ricredere sull’utilizzo metodo fenomenologico,
ed allo stesso tempo delineare con fermezza l’originalità della metafisica tra le discipline filosofiche.
75
Cf. WF, 553: “La natura della persona si oppone al dono di sé. Infatti, nell’ordine della natura, non si può parlare di
dono di una persona ad un’altra, soprattutto nel senso fisico della parola”.
76
Cf. WF, 645. L’Autore parla anche di inalienabilità e inviolabilità oggettive della persona.
77
Cf. WF, 585: “L’amore sponsale differisce radicalmente da tutte le altre forme e manifestazioni dell’amore”.
78
Cf. WF, 1429. Sembra quasi che tutta l’analisi e la riflessione del Wojtyła sull’emozionalismo di Max Scheler funga da
preparazione alla sua teoria sull’amore.
79
Cf. WF, 1430.
15