Sermone “L`esempio dell` umiltà di Cristo” Filippesi 2:5

Sermone “L’esempio dell’ umiltà di Cristo”
Filippesi 2:5-11
5Abbiate
in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù,
quale, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio;
7ma spogliò se stesso,
assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana,
8umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e alla morte di croce.
9Per questo Dio l'ha esaltato
e gli ha dato il nome
che è al di sopra di ogni altro nome;
10perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra;
11e ogni lingua proclami
che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.
6il
Ebrei 5:7-10
5Nello
stesso modo
Cristo non si attribuì la gloria di sommo sacerdote, ma gliela conferì colui che gli disse:
Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato.
6Come in un altro passo dice:
Tu sei sacerdote per sempre, alla maniera di Melchìsedek.
7Proprio per questo nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui
che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà; 8pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle
cose che patì 9e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, 10essendo stato
proclamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di Melchìsedek.
Le nostre colpe sono state espiate da Gesù Cristo.
Noi peccatori crediamo in Lui e siamo liberati dal potere del peccato. La
nostra fiducia si riposa in ciò che ha fatto e lo riconosciamo.
Cristo si è formato in noi: Cristo è in noi, e abbiamo la sua mente.
“I nostri reciproci rapporti sono fondati dal fatto che siamo uniti a Cristo
(Filp. 2,5). Il gesto supremo di ubbidienza di Cristo è stampato sul legno
della croce e sconvolge ogni attesa, ogni intelligenza. Il Cristo in croce è
per noi il simbolo dell’ubbidienza, e in essa racchiude il sacrificio, il
culmine del gesto dell’obbedienza. “stoltezza per i pagani e scandalo per i
giudei”(1 Cor . 1,23).
La croce racconta l’abbassarsi di Dio verso l’umanità che tramite suo figlio
a preso per mano gli uomini e li ha riportati alla loro originaria dignità (il
riacquisire l’immagine originaria degli uomini senza peccato: maschio e
femmina). Dio che ha tanto amato il mondo, si è fatto carne nella persona
di Gesù il Cristo(Gv. 3,16) e ha donato la sua vita perché ha voluto che
tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della Verità.
E’ nostro dovere essere grati a Dio per il sacrificio che Cristo ha fatto per
noi, gli rendiamo tutti gli onori che si merita e in ogni lingua proclamiamo
che Gesù Cristo è il Signore. Per rendere grazie al merito di Cristo
ricordiamo che tutto ciò che siamo, tutto ciò che abbiamo è di Dio e senza
di Lui non possiamo fare nulla e al confronto suo non siamo niente se non
siamo amati da Lui. Riconoscere la grazia in Gesù Cristo è il fatto che ci
ha fatto conoscere Dio e ci ha svelato la sua verità: realtà di vita.
Non bisogna cercare di ricevere l’omaggio ad es. le gratificazioni i
complimenti dai nostri simili ma dobbiamo e possiamo cercare la lode da
Dio (Giov. 5,44). Chi vuol vantarsi si vanti per quel che ha fatto il Signore
( ICor. 1,31). Le regole nostre per vivere sono nella misura di Cristo.
Noi sappiamo di essere chiamati figli di Dio e che lo Spirito opera con
potenza nei nostri cuori; sappiamo anche che la provvidenza di Dio
indirizza tutti i nostri sentieri cosicché ogni cosa sia fatta (coopera)
secondo la volontà del Padre Nostro che è nei cieli.
Per poter essere degni di essere chiamati figli di Dio e avere la possibilità
di chiamarlo “Abba” affidiamoci all’ esempio di umiltà di Cristo che è
venuto tra noi come nostro fratello per portarci una vita nuova e svelare
ciò che era nascosto.
L’ eterno figlio di Dio prese forma di servo nonostante in terra potesse
avere tutte le lodi e gli onori (Fil. 2,7) e ha scelto la via dell’umiltà e
dell’obbedienza per rivelare al mondo l’essere e l’ amore del Padre.
La risposta di Gesù Cristo per la volontà di Dio è stata determinante per
la sorte di tutti gli uomini.
Davanti alla croce ci fermiamo con umile devozione; ricordiamo il
sacrificio per imparare a vivere nella verità e nell’amore in modo da
poter essere sempre più simili a Cristo(modello o esempio dell’umanità)
Efesini 4,15. Imitare Cristo vuol dire esaudire la volontà di Dio con
l’intera nostra disposizione dell’anima per diventare uno strumento a sua
totale disposizione.
“Oh! Signore fai di noi quello che vuoi”.
Illuminati dalla luce dello Spirito Santo formiamo un sodalizio eterogeneo
di persone che si impegnano per una causa comune : quella di Cristo, che
è fatta di amore, giustizia e verità .
Lavorando e pregando assieme ai nostri fratelli portiamo avanti
l’eredità di amore che Dio ci ha donato; questo amore diventa la vera
solidarietà per l’intera umanità da condividere in comunione con la
persona di Cristo. Un requisito assolutamente necessario per riconoscere
il compito che Dio ci ha assegnato come missionari è l’umiltà.
L’umiltà ci fa riconoscere le nostre colpe; ci fa giudicare con un metro
formato a propria misura ; ci fa rendere disponibili per cambiare noi
stessi e nella possibilità che sappiamo e possiamo viviamo in serenità con
gli altri, senza essere superiori e presuntuosi.
La superbia ci fa commettere molti errori perché non ammettiamo le
nostre lampanti mancanze e ci ostiniamo a non chiedere aiuto perché ci
sentiamo perfetti.
L’umiltà invece ci fa capire i nostri limiti così siamo disposti a metterci
nelle mani di Dio, riconosciamo che “siamo opere sue” viviamo della
remissione delle nostre colpe in Cristo Gesù, e facciamo nella vita quelle
opere buone che Egli ha preparato fin da principio.(Ef. 2,10)
Il dolore fisico mette a dura prova le nostre buone opere e la condotta per
raggiungere la santificazione intesa come perfezione. L’Apostolo Paolo era
afflitto da un dolore che lo tormentava e dice ai Corinzi : Tre volte ho
supplicato il Signore di liberarmi da questa sofferenza ma egli mi ha
risposto “la mia grazia ti basta” “la mia potenza si manifesta in tutta la
sua forza proprio quando uno è debole”
Il travaglio interiore dell’Apostolo Paolo o quello che appariva dal suo
comportamento non si trattava di peccato; non poteva vantarsi di questa
debolezza se fosse stata l’ira o l’orgoglio, infatti si intende dalle parole che
la spina nella carne di cui soffriva era di natura fisica.
Con quel dolore in alcuni momenti egli ha provato debolezza nel suo
spirito, ma questa condizione svantaggiata(sfavorita )diventò per lui la
sua forza. Continuò a lavorare e faticare anche in quello stato di
sofferenza e dice: <<mi rallegro della debolezza, perché quando sono
debole allora sono veramente forte>>(II Cor. 12,7-10)
L’Apostolo Paolo che con umiltà ha accettato la sua sofferenza ci
insegna che essere in Cristo, è anche incontrarlo attraverso la croce(della
sua sofferenza o del patimento).
Se mettiamo al primo posto Cristo riusciamo o riusciremo a sopportare le
nostre miserie e quelle dei nostri fratelli” portare i pesi gli uni degli altri
per adempiere la legge di Cristo”.( Galati 6,2)
La capacità di carico per sopportare la propria croce e poter anche
sostenere gli altri non è uguale per tutti.
A proposito di questo, mi viene in mente quello che dice una mia amica
che la sua maestra di catechesi ogni volta che doveva spiegare la diversità
di capacità di ogni persona come poteva rendersi utile agli altri diceva:
“alcuni di noi somigliano a delle barchette che possono trasportare due o
tre persone a carico minimo e non possono allontanarsi troppo dalla costa.
Alcuni sono barconi portano quindici o venti persone e compiono viaggi
lunghi.”
Per finire altri sono come navi o come un grande transatlantico in grado
di ospitare cento o mille passeggeri, possono sopportare il carico di rari
tesori e possono viaggiare in giro per tutto il mondo.
Se è vero che Cristo ci chiama ad agire, se l’amore ci dà qualche conforto,
se lo Spirito Santo ci unisce, se è vero che tra noi c’è affetto e
comprensione … Allora facciamo come dice l’apostolo Paolo :
per amare bisogna avere molta umiltà e un’ intima rettitudine che
colpisce il profondo della nostra anima (viscere) dimostrando la nostra
misericordia per realizzare ogni atto di giustizia.
L’amore non addebita il male, crede ogni cosa, sopporta ogni cosa, spera
ogni cosa.
L’amore non è capace di offendere o addolorare volontariamente nessuno.
Chiunque provi amore per il genere umano fa del bene a tutti senza
parzialità, senza ipocrisie, pieno di misericordia e buone opere.
Le persone che vivono nell’amore creano la pace intorno a sé sono come
seminatori che raccolgono nella pace il loro frutto: una vita giusta. (Giac,.
3/16,18)
Accogliamoci dunque gli uni e gli altri, così come Cristo ha accolto noi, per
la Gloria d’Iddio (Rom 15,7).
Amen.