Meditazione e trascendenza dell'io Intervista a Laura Boggio Gilot 1) Riguardo al tema dell'io, che nella vita va sviluppato, nel contesto meditativo si parla frequentemente della necessità di trascenderlo. Questo tema è difficile e cruciale: come comprenderlo? Il modello transpersonale della personalità e dello sviluppo evidenzia che esistono inesplorate potenzialità nelle miniere dell'inconscio umano e che solo una piccola parte è attualizzata nello stato di coscienza e di identità dell'io ordinario. Quest'ultimo, comprendendo porzioni del corpo e della mente, peraltro deformate dalle componenti psicologiche della personalità, è solo una parte del Sé, che racchiude come un seme di un fiore, l'interezza di corpo-mente-anima e Spirito. In questo spettro allargato della dimensione umana, lo stato dell'adattamento alla realtà sociale, previsto da Freud come paradigmatico dell'età adulta dell'io, è fondamentale per la vita individuale ed è solo una fase di un arco ben più ampio dello sviluppo, che comprende la fioritura di virtù e di capacità di creatività e di intelligenza intuitiva: e nel percorso transpersonale la coscienza si allarga verso la comprensione delle connessioni tra la vita individuale e quella universale, ricongiungendo la vita umana al Sacro che ne è origine e base. Da tale excursus sulla crescita umana sino alla realizzazione del Sé, appare chiaro che la maturità psicologica può continuare assai oltre la nostra arbitraria definizione di normalità e che per la persona convenzionalmente considerata sana è possibile un livello più completo e soddisfacente di vita, ove i limiti della personalità sono trascesi. Il vero destino dell'essere umano non è quello di permanere nell'io, seppur adattato alla realtà e di esistere in una condizione di fragilità e ignoranza, separato dall'universo e dal suo principio, ma è quello di riconoscersi come una goccia di un grande oceano, parte indistruttibile e indivisibile di una grande vita, animato come essa stessa da una intelligenza insondabile e sempre amorosamente operante. Perciò il destino ultimo è, dopo averlo sviluppato, includerlo e trascenderlo, ovvero andare al di là dei confini dell'io. 2) In un suo saggio sul tema della meditazione nella psicologia, lei si chiedeva il perché, se possiede così profonde riserve di potenzialità, l'essere umano viva in uno stato di inconsapevole alienazione; perché si condanna a soffrire di un'esistenza vissuta nel terrore della morte, della malattia, della povertà, della solitudine e, infine, essendo interrelato all'umanità che lo circonda, perché distrugge i suoi fratelli e la terra in cui vive. Che risposte sente di dare adesso a queste domande di senso? Pagina 1 di 6 La tradizione meditativa asiatica offre una risposta che suona assai convincente a questo strano paradosso della sofferta normalità. Essa si riferisce alla presenza di un difetto percettivo presente nella coscienza personale e dovuto all'identificazione con una autorappresentazione, a cui si dà il nome di “io”, e nella quale ci si confina e ci si definisce, separandosi da tutto ciò che è oltre i suoi limiti. Mentre l'io, quale senso dell'identità confinata nel corpo, esiste in relazione a un superiore terreno dinamico aperto all'Infinito, è proprio il confine creato dalle sue assunzioni a renderlo ignorante della sua matrice e a condannarlo nell'angustia dei suoi limiti. Nella tradizione meditativa asiatica, da cui il concetto di identificazione trae la sua origine, lo stato dell'io separato dal tutto corrisponde ad una condizione o ignoranza metafisica (avidya). La cecità percettiva delineata dalla sapienza tradizionale condiziona a un modo infantile di comprendere e agire, che non rende giustizia alla dignità della persona umana e la condanna a una mancanza di libertà e di creatività che rende monotona e insignificante l'esistenza. Lo stato di separazione e di relativa sofferenza dell'io è in parte conosciuto dalla psicologia: la psicoanalisi parla di un io separato da un inconscio rimosso, dove sono state rinchiuse non solo le memorie dolorose, ma anche le forze degli affetti e del pensiero dimenticato. Secondo Jung, l'io è separato dall'ombra, che è l'aspetto della personalità inaccettato e rifiutato perché debole e difettoso, ma è anche separato da quelle forme mitiche e principiali, presenti nelle eredità ancestrali dell'umanità, che sono chiamate “archetipi”. Oltre le accezioni della psicologia, la tradizione meditativa sottolinea che l'io è separato non solo dalle memorie dimenticate e dagli archetipi collettivi, ma è anche separato dalla realtà spirituale che sostanzia il Sé e l'universo. Nei casi migliori, l'io è un abitatore di uno spazio in cui sono presenti sentimenti e pensieri condizionati, spesso è un burattino adattato alla società da cui dipende per esistere e di cui ha paura. Nei casi peggiori l'io è frammentato in parti divise che si comportano come subpersonalità che tra di loro si ignorano e lottano: in questo caso, nei suoi confini abita una velenosità psicologica fatta di paura, risentimento, invidia, insicurezza, che qualifica la sua infelicità. Quando è considerato sano, l'io è una piccola parte di un tutto che lo trascende, quando è considerato malato, l'io è spaccato in aspetti contraddittori e la sua vita equivale a una città in guerra, ove regnano minaccia e violenza. In entrambi i casi, sia nell'io considerato normale che in quello malato, è presente una chiusura egocentrica che nasce dall'illusione di essere divisi dal resto, illusione che alimenta l'importanza personale, a cui si collegano i principali veleni della mente, che sono l'orgoglio e l'avidità. Questa condizione è testimoniata nei sistemi meditativi e può essere superata attraverso dottrine e tecniche che espandono la consapevolezza e la percezione e sono parte di un'arte millenaria, costituente il cuore della saggezza tradizionale. 3) Lo psicologo transpersonale si occupa dunque in modo consistente del tema della trascendenza dell'io? Il tema della trascendenza dalla dolorosa e ordinaria normalità è uno degli argomenti centrali della ricerca transpersonale ma è anche uno dei temi più facilmente oggetto di confusione. Proprio per chiarirlo, ho scritto il libro “Il cammino dello sviluppo integrale”. Pagina 2 di 6 Come realizzare l'indipendenza dai bisogni e dai desideri egocentrici, la perfetta calma mentale e la sapiente equanimità, testimoniata dalla tradizione meditativa, è il fondamentale interesse dello psicologo transpersonale. Cruciale è il tema dell'io. Se è vero che l'io, quale livello mediano di un arco evolutivo, rappresenta uno stato di coesività più sano e strutturato dello stato preegoico, e pertanto da questo punto di vista è una meta da raggiungere, dalla prospettiva transpersonale quella stessa meta è un limite da varcare. Trascendere la condizione egoica, quando essa è stata raggiunta e metabolizzata, è lo scopo della piena maturità e il fine di una integrale psicologia evolutiva. A tal fine, le conoscenze scientifiche non bastano, è necessario integrare nel modello epistemologico i sistemi sapienziali e meditativi di sviluppo dell'identità e della coscienza, che da millenni hanno accesso alle vie sublimi dell'anima umana e ne testimoniano la realizzazione nel sentimento, nel pensiero e nell'azione. Premessa del cammino meditativo è la ferma convinzione che noi siamo più di quanto pensiamo; il nostro vero essere è nascosto nelle fitte nebbie di un pensiero deformato da oggetti illusori, e la meditazione è il modo per superare e traghettare questo inferno limaccioso della mente per approdare al paradiso dell'anima. 4) Nei suoi insegnamenti cosa trasmette soprattutto la meditazione? Attraverso la meditazione, scopriamo che ciò che crediamo di essere è solo una arbitraria auto-immagine costruita dal rapporto col mondo esteriore, povera di intelligenza e di forza: il cammino interiore ci aiuta a riconoscere che questa arbitraria e limitata maschera che chiamiamo personalità non rende giustizia all'infinita natura dell'anima dell'uomo. La meditazione insegna che noi possediamo nel profondo di noi stessi, nel santuario dell'anima, l'essenza di ogni saggezza e quell'infinito amore che tutto include e tutto pervade, eppure non ne abbiamo consapevolezza e non ne godiamo la felicità; causa di tutto ciò è l'essere perduto in quella convulsa ridda di sentimenti e pensieri agenti intorno a un senso dell'individualità separato che si percepisce riduttivamente come debole e bisognosa di possessi. Come sottolinea la tradizione sapienziale, la prigionia della possessività esteriore condanna l'io all'esilio dalla sua vera casa interiore e l'imprigiona nella dimensione di forme cangianti e non garanti di sicurezza. Compito della meditazione è il distacco da questa illusoria e debole immagine personale, perché la coscienza possa attingere alla verità dell'anima: trascendere l'io e conoscere la beatitudine e l'infinita coscienza del Sé, attraverso un cammino interiore che libera la coscienza dagli ostacoli che la velano, è considerato lo scopo dell'umana ricerca. 5) Su quali assunti si basa questa disciplina e dove conduce? La sacralità della vita e il diritto alla felicità dell'unione con ciò che è perfetto e immortale, è un assunto della tradizione meditativa, che riconosce una profonda dignità all'esistenza umana e rivela un compito della vita che trascende i ruoli finiti e ordinari della personalità temporale. Su questa base la meditazione rappresenta un sentiero che guida dallo stato Pagina 3 di 6 di ignoranza e sofferenza in cui si trova l'individualità egocentrica, verso uno stato di sempre maggiore chiarezza percettiva, significato e benessere, in cui si maturano le potenzialità interiori e si scopre la verità trascendente, sino alla partecipazione consapevole al mistero dell'Essere indiviso. Viaggiando nella profondità dei processi psichici, attraverso i reami del corpo e del pensiero, la meditazione sconfina nel reame dell'anima e da lì si libra nell'esperienza spirituale ultima della coscienza senza confini. Superata la barriera dell'io, la meditazione diventa una chiave per svelare il mistero dell'esistenza, attraverso il risveglio di quell'occhio intuitivo che penetra nell'essenza della Realtà. Quale sentiero dello sviluppo della coscienza che varca l'io e ha come meta il Sé, la meditazione è la porta per aprire le potenzialità transpersonali e le nostre capacità di amare, di essere liberi, creativi e felici. L'uomo ha sempre lottato per la libertà e la felicità ma non l'ha mai trovata fuori di sé: solo i sentieri meditativi ne parlano come la meta della ricerca interiore. Secondo la testimonianza sapienziale, scoprendo il potenziale interiore che è nel seme del Sé, si scopre che la perfezione divina è presente nel profondo del cuore di tutti gli esseri e la felicità è il risultato del riassorbimento nella sua compiutezza. 6) Immagino che in questo cammino di realizzazione dell'incontro con il Sé vi siano delle tappe intermedie; le potrebbe descrivere? Prima di realizzare l'incontro con il Sé, la meditazione si pone come una disciplina che passa per la costante consapevolezza delle cose fuori di noi e dentro di noi: cercando il contatto con l'archetipo della saggezza, la pratica meditativa rende sempre più consapevoli di ciò che accade nello spazio interiore. Aprendo la via a più profondi livelli di recettività e consapevolezza, la meditazione porta a conoscere le forze interiori, insegnando a riconoscere gli ostacoli alla percezione realistica e a superarli, la meditazione consente di vedere la mente nel suo funzionamento cosciente e inconscio. Come primo risultato, la meditazione produce un controllo sulle emozioni e sul pensiero; come immediata conseguenza, dona una maggiore efficienza nell'esistenza e propone modalità per vivere con più forza, attenzione e significato. Attraverso pratiche introspettive, la meditazione fa cogliere la natura più profonda degli oggetti interni e successivamente fa penetrare nel cuore stesso di colui che medita. Imparando a osservare dentro, scopriamo che le difficoltà sono solo nell'osservato e che l'osservatore è una entità libera e felice: questa esperienza aiuta a sviluppare la fede. La convinzione di voler seguire un percorso meditativo è rinforzata dalla consapevolezza matura che qualunque oggetto di desiderio e qualunque conquista e possesso egocentrico è un obiettivo vano e inconsistente, perché sottoposto all'usura del tempo: è la volontà di verità, associata al riconoscimento della vanità dei possessi transitori, che spinge il meditante a varcare il muro dell'io. Pagina 4 di 6 7) Qual è il contributo dell'investigazione delle tradizioni meditative asiatiche allo studio della coscienza? L'investigazione delle tradizioni meditative asiatiche ha portato un profondo contributo allo studio della coscienza e delle metodologie atte a favorirne lo sviluppo verso stati di chiarezza percettiva superiore alla normalità. 1 Come sottolinea Roger Walsh : “quando gli storici si volgeranno indietro verso il XX secolo essi concluderanno che il più importante progresso della psicologia occidentale non è relativo alla scoperta di nuove forme di conoscenza, ma al riconoscimento della verità dell'antica saggezza. Dall'antica saggezza emerge che la normalità è in realtà una psicopatologia ordinaria e che noi siamo schiavi della nostra mente e inconsapevoli della nostra inconsapevolezza, immersi in una sorta di trance che pensiamo reale e che non è altro che il risultato di quel filmato della mente con cui ci identifichiamo, separandoci dal più ampio contesto di verità e realtà. Questa trance viene scoperta nel corso della meditazione, allorché la consapevolezza, attraverso il training meditativo, si dilata oltre il pensiero e ne scopre la limitatezza, la distorsione e il velamento proiettivo. Le tradizioni meditative asiatiche sostengono indistintamente che attraverso training mentali è possibile raggiungere stati di benessere psicologico e di coscienza al di là di quelli descritti nella psicologia occidentale, così come profonde intuizioni sulla natura del Sé, della coscienza e della realtà. 8) A cosa sono associati questi stati di benessere psicologico e di coscienza e dove conducono? Tali stati di coscienza varcano i confini della personalità ordinaria e sono associati a specifiche funzioni e capacità come l'intuizione supercosciente, la calma mentale, l'equanimità e a qualità spirituali come la comprensione e la gioia. Tali stati superiori testimoniano che attraverso l'attualizzazione di possibilità che sono patrimonio dell'inconscio umano è possibile sviluppare la sensibilità percettiva e la chiarezza mentale: i processi affettivi e cognitivi possono svilupparsi ben oltre i limiti della norma, e così svelare un senso dell'identità, un'immagine dell'uomo e della realtà, assai più ampio, perfetto e armonioso di quello che appaia nelle condizioni normali. Dalla prospettiva degli stati transpersonali di coscienza, la condizione ordinaria della coscienza di veglia appare costretta e distorta, corrispondente a una condizione di ignoranza percettiva (avidya) che produce illusorietà (maya). La tradizione meditativa asiatica sottolinea come nello stato ordinario, tutt'altro che normale e funzionale, si usino strumenti cognitivi inferiori che riguardano i sensi e la mente più elementare; per usare gli strumenti superiori che si riferiscono all'intelletto intuitivo e ai poteri della coscienza, occorre sottrarre gli organi sensoriali e percettivi agli stimoli del mondo inferiore e distaccare la coscienza dalle forme della mente concettuale e dai contenuti psicologici in essa contenuti, riorientandola verso la trascendente sorgente 1 Walsh R., The Art of Transcendence, in Journal of Transpersonal Psychology 1993. Pagina 5 di 6 interiore. Le tecniche della meditazione hanno lo scopo di estrarre la consapevolezza dalla tirannia della mente che condiziona la vita umana nei limiti di una debolezza che non le spetta come destino. I molteplici stati di coscienza transpersonali ottenuti con la meditazione, richiedono lo sviluppo di poteri di concentrazione, autosservazione e purificazione nonché l'astrazione dal coinvolgimento centrato sull'attività della parola, del pensiero e dei sensi. Sia nella tradizione induista che in quella buddhista, il cammino meditativo porta a realizzare la trascendenza dall'io e dalle sue ordinarie limitazioni concettuali e formali, sino a realizzare il silenzio mentale, precondizione della percezione trascendente: tale itinerario ha come fattore intrinseco e imprescindibile la trasformazione di tutti i comportamenti non etici e un disciplinato lavoro interiore. Pagina 6 di 6