6. La gestione del patrimonio ecclesiastico

CAPITOLO 6 – GLI ENTI ECCLESIASTICI
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6. La gestione del patrimonio ecclesiastico
Parlare di gestione del patrimonio vaticano ci obbliga a trattare singolarmente ed in via del tutto preliminare lo IOR (Istituto di Opere Religiose)
Creato il 27 giugno del 1942 da Papa Pio XII, è un istituto con personalità
giuridica, nato con lo scopo di provvedere alla custodia e all’amministrazione
dei beni mobili ed immobili trasferiti o affidati all’Istituto medesimo da persone fisiche o giuridiche e destinati ad opere di religione o di carità.
La sua sede è nello Stato della Città del Vaticano e competente per le controversie ad esso attinenti è il foro dello Stato della Città del Vaticano.
I suoi organi sono:
1) La Commissione Cardinalizia, composta di cinque Cardinali nominati
per cinque anni dal Sommo Pontefice e confermabili. Essa vigila sulla fedeltà dell’Istituto alle norme statutarie secondo le modalità previste dallo
Statuto
2) Il Prelato nominato dalla Commissione Cardinalizia, segue l’attività dell’Istituto, partecipa in qualità, di Segretario alle adunanze della Commissione
stessa e assiste alle riunioni del Consiglio di Sovrintendenza.
3) Il Consiglio di Sovrintendenza. Il Consiglio di Sovrintendenza è responsabile dell’amministrazione e gestione dell’Istituto nonché della vigilanza e supervisione delle sue attività sul piano finanziario, economico ed
operativo. È nominato dalla Commissione Cardinalizia ed è composto da
cinque membri, che durano in carica cinque anni e possono essere confermati.
4) La Direzione. La Direzione è formata dal Direttore Generale e dal ViceDirettore, nominati dal Consiglio di Sovrintendenza con l’approvazione
della Commissione Cardinalizia. La Direzione è responsabile di tutta l’attività operativa dell’Istituto e ne risponde al Consiglio di Sovrintendenza.
5) I Revisori. Il Consiglio di Sovrintendenza nomina, per una durata non
superiore a tre anni, tre Revisori di particolare competenza amministrativa
e contabile. Essi possono essere rinnovati. I Revisori rispondono direttamente del loro operato al Consiglio di Sovrintendenza.
Prima di rassegnare le proprie dimissioni Papa Benedetto XVI ha accolto
l’orientamento della Commissione Cardinalizia ed ha eletto alla presidenza
dello IOR Ernst von Freyberg.
L’importanza dello IOR per la nostra disamina è chiara alla luce dello scopo che lo stesso persegue.
Ad esso è demandato il compito di corrispondere le offerte dei credenti
e di tutti coloro che nel mondo intendono corrispondere beni nei confronti
della Chiesa.
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Compendio di Diritto Ecclesiastico
È importante capire quindi, come il controllo della Santa Sede nella gestione di tali patrimoni sia diretto e assoluto.
Viene così a rappresentarsi un potere di gestione economica pienamente
appartenente alla Santa Sede nell’esercizio delle sue funzioni di governo.
7. I beni patrimoniali ecclesiastici
L’art. 831 del Codice Civile ci chiarisce nell’immediato i contorni giuridici della materia: “I beni degli enti ecclesiastici sono soggetti alle norme del presente
codice, in quanto non è diversamente disposto dalle leggi speciali che li riguardano.
Gli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto cattolico, anche se appartengono
a privati, non possono essere sottratti alla loro destinazione neppure per effetto di alienazione, fino a che la destinazione stessa non sia cessata in conformità delle leggi che
li riguardano”.
Il primo comma in particolare chiarisce che, anche per i beni ecclesiastici
si applica la disciplina prevista per tutti gli altri istituti simili previsti nel codice.
A titolo di esempio in tema di servitù citiamo una sentenza della Corte
di Cassazione civile sez. II del 21 luglio 2009 n. 16961, con la quale viene
stabilito che come è configurabile l’acquisto a titolo originario in favore degli
enti ecclesiastici, allo stesso modo deve ritenersi che la natura di detti enti non
osti al possibile acquisto per usucapione, da parte di terzi, di diritti
su beni di loro proprietà. (In questo giudizio, la Corte ha respinto quanto
eccepito dal ricorrente riguardante l’impossibilità di acquisire per usucapione
una servitù di passaggio su un terreno il cui fondo servente per alcuni anni
era stato di proprietà di un ente ecclesiastico, in quanto proprio questo periodo doveva essere decurtato dai venti necessari all’usucapione. Eccezione
ampiamente superata dalla Suprema Corte in applicazione del principio prima
esposto).
Ed anche sulle limitazioni all’esercizio del diritto di proprietà su tali beni
evidenziamo un’ulteriore sentenza della Corte di Cassazione Civile sez. II 31
gennaio 2006 n. 2166 nella quale veniva stabilito che qualora sia in discussione la legittimità da parte della Chiesa e degli enti ecclesiastici dell’uso “iure
privatorum” di beni soggetti al regime giuridico dell’art. 831 c.c. e alle norme
del codice civile - in quanto non diversamente disposto dalle leggi speciali che
li riguardano - la Chiesa e le sue istituzioni sono tenute all’osservanza, al pari
degli altri soggetti giuridici, delle norme di relazione e quindi alle limitazioni
del diritto di proprietà, fra le quali rientrano quelle previste dall’art. 844 c.c.
essendo esse inidonee a dare luogo a quelle compressioni della libertà religiosa
e delle connesse alte finalità che la norma concordataria di cui all’art. 2 l. n.
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121 del 1985, in ottemperanza al dettato costituzionale, ha inteso tutelare, non
avendo lo Stato rinunciato alla tutela di beni giuridici primari garantiti dalla
Costituzione (art. 42 e 32), quali il diritto di proprietà e quello alla salute. (Il
caso riguardava le immissioni sonore provenienti da un campo giochi di una
parrocchia, per le quali è stato ritenuto corretto applicare l’art. 844 c.c.).
Al secondo comma viene messa in rilievo la particolarità del bene ecclesiastico, intenso come edificio di culto cattolico, il quale, anche se appartenente
ad un privato non può essere sottratto alla sua destinazione d’uso.
Viene cosi riconosciuto in capo ad un soggetto privato un regime alternativo rispetto alla disciplina ordinaria.
Anche le Amministrazioni Comunali sono tenute ad elargire un onere per
la manutenzione delle Chiese presenti sul loro territorio, come anche per i
cimiteri.
Tutti i beni mobili ecclesiastici non possono essere soggetti a pignoramento.
È doveroso nel contesto del presente paragrafo, trattare seppur brevemente
dell’annosa questione approdata anche in sede comunitaria relativa all’Imposta
Municipale Propria (c.d. IMU).
La diatriba con l’Europa parte da un precedente regime di esenzione rispetto ad un’altra tassa sugli immobili, la c.d. ICI (Imposta Comunale sugli
Immobili), in merito alla quale tutti gli enti ecclesiastici erano esentati dal
pagamento.
La Commissione Europea che aveva ammonito la linea di governo privilegiata riservata ai beni della Chiesa, accolse successivamente con favore l’ingresso dell’I.M.U. ritenendo giusta e conforme alla politica ed alla
normativa comunitaria la scelta del governo italiano di tassare gli enti che
svolgono attività commerciali, lasciando esenti solo quelli senza alcun fine
di lucro, cosi come espresso in un comunicato stampa della Commissione
Europea del 19 dicembre 2012 dove veniva specificato che: “l’Italia ha adottato una nuova normativa sulla tassazione dei beni immobili. A decorrere dal 1°
gennaio 2012 l’ICI è stata sostituita dall’imposta municipale propria (IMU). La
Commissione ha riscontrato che l’IMU è conforme alle norme dell’UE in materia di
aiuti di Stato, in quanto limita chiaramente l’esenzione agli immobili in cui enti non
commerciali svolgono attività non economiche. Inoltre, la nuova normativa prevede
una serie di requisiti che gli enti non commerciali devono soddisfare per escludere
che le attività svolte siano di natura economica. Queste salvaguardie garantiscono
che le esenzioni dal versamento dell’IMU concesse agli enti non commerciali non
comportino aiuti di Stato”.
Allo stato attuale quindi, lo Stato Italiano applicherà l’IMU agli istituti
religiosi solo in presenza di finalità «commerciali».
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Compendio di Diritto Ecclesiastico
Con la Legge n.147 del 27/12/2013 “c.d. Legge di Stabilità 2014” è
stata istituita la c.d. IUC (Imposta Unica Comunale), entrata in vigore l’1
gennaio 2014, che ricomprende l’IMU, relativa alla componente patrimoniale, la TASI, tassa annuale sui servizi indivisibili le cui aliquote sono decise
dai comuni; la TARI, la nuova tassa sui rifiuti che ha sostituito la TARES e
la TARSU.
Gli Enti Ecclesiastici continuano a mantenere un regime di esenzione dal
pagamento della nuova imposta per l’IMU, la TASI e la TARI così come per
il 2013.
Rimane saldo il principio cardine secondo il quale l’esenzione per gli edifici di culto opera nel solo caso in cui gli stessi conducano attività non
a fini commerciali.
Sono esenti gli immobili parrocchiali utilizzati direttamente per attività
pastorali, enti ecclesiastici utilizzati totalmente per attività dirette all’esercizio
del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana e pertanto case religiose,
monasteri, seminari, episcopi, uffici di curia, e tutte gli immobili dove si svolgono attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali,
ricreative e sportive sempre a fini non commerciali.
8. Le entrate pubbliche e private
Il sostentamento della Chiesa si realizza attraverso entrate di natura pubblica o privata.
Per quanto concerne le imposte obbligatorie la Chiesa attualmente impone solo due tipi di tributi, il cattedratico ai sensi del canone 1263 e il
seminaristico canone 264.
Il Cattedratico è una tassa vaticana imposta direttamente dal vescovo, il
quale, previa audizione del consiglio per gli affari economici e del consiglio
presbiterale, può imporre alle persone giuridiche pubbliche soggette al suo
governo un contributo non eccessivo e proporzionato ai loro redditi, per le
necessità della diocesi. Nei confronti delle altre persone fisiche e giuridiche
gli è soltanto consentito, in caso di grave necessità e alle stesse condizioni,
d’imporre una tassa straordinaria e moderata; salve le leggi e le consuetudini
particolari che gli attribuiscano maggiori diritti.
Il Seminaristico riconosce al Vescovo il diritto di imporre nella diocesi
un tributo, per provvedere alle necessità del seminario. Sono soggette al tributo per il seminario tutte le persone giuridiche ecclesiastiche, anche private che
hanno sede in diocesi, a meno che non si sostengano solo di elemosine oppure
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non abbiano un collegio di studenti o di docenti finalizzato a promuovere il
bene comune della Chiesa; tale tributo deve essere generale, proporzionato ai
redditi di coloro che vi sono soggetti e determinato secondo le necessità del
seminario.
Le altre tasse sono quelle giudiziarie, destinate ai tribunali ecclesiastici; i
proventi casuali (battesimi, matrimoni, funerali, messe in suffragio); volontaria
giurisdizione (onorificenze, indulti, dispense)
Vi è poi il c.d. 8 per mille introdotto con la Legge 222/85 che all’art.47
stabiliva: “A decorrere dall’anno finanziario 1990 una quota pari all’otto per mille
dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, liquidata dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali, è destinata, in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario
a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della
Chiesa Cattolica.
Le destinazioni di cui al comma precedente vengono stabilite sulla base delle scelte
espresse dai contribuenti in sede di dichiarazione annuale dei redditi. In caso di scelte
non espresse da parte dei contribuenti, la destinazione si stabilisce in proporzione alle
scelte espresse”.
E all’art. 48: “Le quote di cui all’articolo 47, secondo comma, sono utilizzate:
dallo Stato per interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza
ai rifugiati, conservazione di beni culturali; dalla Chiesa cattolica per esigenze di culto
della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività
nazionale o di paesi del terzo mondo”.
Per fini di completezza è opportuno segnalare una sentenza T.A.R.Toscana
Firenze sez. III 04 ottobre 2004 n. 4082 che, proprio alla luce delle disposizioni normative appena citate chiariva che per quanto attiene ai rapporti con
la Chiesa cattolica, l’art. 5 l. n. 121 del 1985 dispone che “l’autorità civile”
tiene conto delle esigenze religiose per quanto concerne la costruzione di
nuovi edifici di culto, ma non fissa un obbligo di finanziamento. Il sistema di
finanziamento dell’edilizia di culto è oggi confluito nel nuovo sistema finanziario di cui all’art. 47 l. n. 222 del 1985 e cioè nella quota dell’8 per mille
dell’i.r.pe.f. liquidata sulla base delle dichiarazioni annuali dei contribuenti.
In base ad un elenco stilato dall’Agenzia delle Entrate e riportato sul proprio sito è possibile destinare una quota pari all’8 per mille del gettito Irpef:
– allo Stato (a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario)
– alla Chiesa Cattolica (a scopi di carattere religioso o caritativo)
– all’Unione italiana delle Chiese Cristiane Avventiste del 7° giorno (per
interventi sociali, assistenziali, umanitari e culturali in Italia e all’estero sia
direttamente sia attraverso un ente appositamente costituito)
– alle Assemblee di Dio in Italia (per interventi sociali e umanitari anche a
favore dei Paesi del terzo mondo)
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– alla Chiesa Valdese, Unione delle Chiese Metodiste e Valdesi (a scopi di
carattere sociale, assistenziale, umanitario o culturale)
– alla Chiesa Evangelica Luterana in Italia (per interventi sociali, assistenziali,
umanitari o culturali in Italia e all’estero, direttamente o attraverso le Comunità ad essa collegate)
– all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (per la tutela degli interessi
religiosi degli Ebrei in Italia, per la promozione della conservazione delle
tradizioni e dei beni culturali ebraici, con particolare riguardo alle attività culturali, alla salvaguardia del patrimonio storico, artistico e culturale,
nonché a interventi sociali e umanitari in particolare volti alla tutela delle
minoranze, contro il razzismo e l’antisemitismo)
– alla Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia ed Esarcato per l’Europa Meridionale (per il mantenimento dei ministri di culto, la realizzazione e manutenzione degli edifici di culto e di monasteri, scopi filantropici, assistenziali,
scientifici e culturali da realizzarsi anche in paesi esteri)
– alla Chiesa apostolica in Italia (per interventi sociali, culturali ed umanitari,
anche a favore di altri Paesi esteri)
– all’Unione Cristana Evangelica Battista d’Italia (per interventi sociali, assistenziali, umanitari e culturali in Italia e all’estero)
– all’Unione Buddhista Italiana (per interventi culturali, sociali ed umanitari anche a favore di altri paesi, nonché assistenziali e di sostegno al
culto)
– all’Unione Induista Italiana (per sostentamento dei ministri di culto,
esigenze di culto e attività di religione o di culto, nonché interventi
culturali, sociali, umanitari ed assistenziali eventualmente pure a favore
di altri Paesi).
Si può scegliere una sola istituzione.
La ripartizione dei fondi destinati alle diverse istituzioni avviene in proporzione alle scelte espresse.
Se il contribuente non firma, e quindi non indica la propria scelta, l’8 per
mille dell’Irpef viene comunque attribuito, sempre in maniera proporzionale
alle scelte espresse, alle istituzioni indicate nel modello. Tuttavia, la quota non
attribuita, proporzionalmente spettante alle Assemblee di Dio in Italia, è devoluta alla gestione statale.
9. Entrate di diritto privato
Una prima forma di entrate che non porta con se alcun carattere impositivo sono le offerte effettuate dai fedeli in modo libero e volontario, le c.d.
oblazioni, deducili ex art. 46 L.222/85.
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Una norma realizzata dal legislatore italiano anche al fine di incentivare i
fedeli ad aumentare le quantità di offerte.
Quindi una legge tipicamente italiana realizzata per un precipuo interesse
Vaticano.
Le pie fondazioni sono un altro strumento attraverso il quale si possono
devolvere beni temporali alla Chiesa così come stabilito dal canone 1303: “In
diritto vanno sotto il nome di fondazioni pie:
1) le pie fondazioni autonome, cioè la massa di beni destinati ai fini di cui al can.
114, §2, ed eretti in persona giuridica dall’autorità ecclesiastica competente;
2) le pie fondazioni non autonome, cioè i beni temporali comunque devoluti ad
una persona giuridica pubblica, con l’onere per un ampio spazio di tempo da determinarsi dal diritto particolare, della celebrazione di Messe o di altre specifiche funzioni
ecclesiastiche o altrimenti per conseguire le finalità di cui al can. 114, §2, in ragione dei
redditi annui.
I beni della pia fondazione non autonoma, se furono affidati ad una persona giuridica soggetta al Vescovo diocesano, trascorso il tempo, devono essere destinati all’istituto
di cui al can. 1274, §1, a meno che il fondatore non abbia espressamente manifestato
una volontà diversa; altrimenti passano alla stessa persona giuridica”.
Chiunque è in grado di disporre liberamente dei propri beni, può lasciarli
per cause pie sia con atto tra vivi sia con atto valevole in caso di morte.
Nelle disposizioni valevoli in caso di morte a favore della Chiesa si
osservano le formalità del diritto civile; e se queste sono state omesse, gli
eredi devono essere ammoniti circa il loro obbligo di adempiere la volontà
del testatore.
Le volontà dei fedeli che donano o lasciano i propri averi per cause pie sia
con atto tra vivi sia con atto valevole in caso di morte, una volta legittimamente accettate devono essere adempiute, anche circa il modo dell’amministrazione e dell’erogazione dei beni.
L’Ordinario è l’esecutore di tutte le pie volontà, valevoli sia in caso di
morte sia tra vivi.
In forza di questo diritto l’Ordinario ha il potere di vigilare affinché le
pie volontà siano adempiute, e gli altri esecutori, terminato il loro compito,
devono rendergliene conto.
Le clausole contrarie a questo diritto dell’Ordinario, annesse alle ultime
volontà, si considerano come non apposte.
Chi riceve fiduciariamente dei beni per cause pie sia con atto tra vivi sia
con testamento, deve informarne l’Ordinario, indicandogli tutti i beni anzidetti sia mobili che immobili con gli oneri annessi.
L’Ordinario deve esigere che i beni fiduciari siano collocati al sicuro e vigilare sull’esecuzione della pia volontà.
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I beni fiduciari affidati a un membro di un istituto religioso o di una società di vita apostolica, se sono stati devoluti al luogo o alla diocesi o ai loro
abitanti oppure a favore di cause pie, restano sotto la gestione dell’Ordinario
del luogo.
Ed infine le disposizioni in favore dell’anima ex art. 629 cod. civ. già
ampiamente trattate nei capitoli precedenti.
10.Le associazioni pubbliche di fedeli
L’attento esame sulla struttura e il funzionamento degli Enti Ecclesiastici ha
dimostrato come, il fine di culto possa giustificare la nascita di forme associazionistiche anche riconosciute dall’ordinamento giuridico statale.
È altresì opportuno prendere in considerazione anche altre forme di associazioni previste nell’ambito della religione Cattolica, come le associazioni
pubbliche di fedeli.
Partiamo da un dato primario, secondo il quale l’autorità competente ad
erigere associazioni pubbliche è la Santa Sede per le associazioni universali e
internazionali.
Per le associazioni nazionali, quelle cioè che sono destinate mediante l’erezione stessa, ad esercitare la loro attività in tutta una nazione, è competente la
Conferenza Episcopale nell’ambito del proprio territorio.
Il Vescovo diocesano lo è nell’ambito del suo territorio per le associazioni
diocesane, tuttavia sono eccettuate le associazioni per le quali il diritto di erezione è riservato ad altri per il privilegio apostolico.
Per erigere validamente nella diocesi un’associazione o una sua sezione, anche se ciò avviene in forza di un privilegio apostolico, si richiede il consenso
scritto del Vescovo diocesano.
Tuttavia il consenso del Vescovo diocesano per l’erezione di una casa di
un istituto religioso vale anche per l’erezione, presso la stessa casa o presso la
chiesa annessa, di una associazione propria di quell’istituto.
Un’associazione pubblica, come pure una confederazione di associazioni
pubbliche, per lo stesso decreto con cui viene eretta dall’autorità ecclesiastica
competente, è costituita quale persona giuridica e riceve, per quanto è richiesto, la missione per i fini che essa si propone di conseguire in nome della
Chiesa.
Gli statuti di ogni associazione pubblica, la loro revisione e il loro cambiamento necessitano dell’approvazione dell’autorità ecclesiastica cui compete
erigere l’associazione.
Le associazioni pubbliche sono dirette a norma degli statuti, però sotto
la superiore direzione dell’autorità ecclesiastica. Non può essere validamente
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accolto nelle associazioni pubbliche chi ha abbandonato la fede cattolica, chi
si è allontanato dalla comunione ecclesiastica o chi ha subito una scomunica
inflitta o dichiarata.
Coloro che, dopo essere stati legittimamente associati, vengono a trovarsi in
una delle circostanze appena indicate, previa ammonizione nei loro confronti,
vengono esplusi dall’associazione in base alle norme contenute negli statuti.
Se non si prevede altro negli statuti, spetta all’autorità ecclesiastica confermare il moderatore dell’associazione pubblica eletto dalla stessa, istituire colui
che è stato presentato, oppure nominarlo secondo diritto.
La stessa autorità ecclesiastica poi nomina il cappellano o l’assistente ecclesiastico, dopo aver sentito, se risulta opportuno, gli officiali maggiori dell’associazione.
Le norme appena descritte valgono anche per le associazioni erette da
membri di istituti religiosi in forza di un privilegio apostolico, al di fuori delle
proprie chiese o delle proprie case; nelle associazioni poi erette da membri di
istituti religiosi presso la propria chiesa o presso la propria casa, la nomina o
la conferma del moderatore e del cappellano spetta al superiore dell’istituto.
Nelle associazioni non clericali, i laici possono ricoprire l’incarico di
moderatore, ruolo che non può essere attribuito al cappellano o all’assistente
ecclesiastico, salvo che non siano gli stessi statuti a disporre diversamente.
Nelle associazioni pubbliche di fedeli finalizzate direttamente all’esercizio
dell’apostolato, il ruolo di moderatore non può essere assunto da chi occupa
compiti direttivi nei partiti politici.
In circostanze speciali, se lo richiedono gravi motivi, l’autorità ecclesiastica può designare un commissario che in suo nome diriga temporaneamente
l’associazione.
Il moderatore di un’associazione pubblica può essere rimosso, per giusta
causa, da chi lo ha nominato o confermato, in ogni caso garantendo allo stesso
il diritto al contraddittorio.
Un’associazione pubblica eretta legittimamente, a meno che non sia disposto in modo diverso, a norma degli statuti amministra i beni che possiede, sotto
l’alta direzione dell’autorità ecclesiastica, alla quale ogni anno deve rendere
conto dell’amministrazione espletata.
Deve inoltre presentare alla medesima autorità un fedele rendiconto della
distribuzione delle offerte e delle elemosine raccolte.
11.Gli istituti di vita consacrata
Gli istituti di vita consacrata, sono eretti dalla competente autorità della
Chiesa, e ne fanno parte i fedeli che mediante voti, o altri vincoli sacri a se-
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Compendio di Diritto Ecclesiastico
conda delle leggi proprie degli istituti, professano di volere osservare i consigli
evangelici di castità, di povertà e di obbedienza e finalizzano il loro operato
alla carità.
Spetta alla competente autorità della Chiesa interpretare i consigli evangelici, regolarne la prassi con leggi, costituirne forme stabili di vita mediante
l’approvazione canonica e parimenti, per quanto le compete, curare che gli
istituti crescano e si sviluppino secondo lo spirito dei fondatori e le tipiche
tradizioni cristiane.
I Vescovi diocesani possono, ciascuno nel proprio territorio, erigere con
formale decreto istituti di vita consacrata, purché sia stata preventivamente
consultata la Sede Apostolica.
L’aggregazione di un istituto di vita consacrata ad un altro è riservata all’autorità competente dell’istituto aggregante, salva sempre l’autonomia canonica
dell’istituto aggregato.
Spetta all’autorità competente dell’istituto a norma delle costituzioni dividere l’istituto stesso in parti, erigerne di nuove, fondere quelle già costituite o
circoscriverle in modo diverso.
Sono riservate unicamente alla Sede Apostolica le fusioni e le unioni di
istituti di vita consacrata, come anche il costituire confederazioni e federazioni.
Le modifiche negli istituti di vita consacrata, che riguardino elementi già
approvati dalla Sede Apostolica, non si possono effettuare senza il suo consenso.
Sopprimere un istituto spetta unicamente alla Sede Apostolica, alla quale
compete pure disporre dei beni temporali relativi.
Spetta invece all’autorità competente dell’istituto la soppressione di parti
dello stesso.
È riconosciuta ai singoli istituti un’autonomia di governo, mediante la quale possano valersi nella Chiesa di una propria disciplina e conservare integro il
proprio patrimonio, è compito degli Ordinari dei luoghi conservare e tutelare
tale autonomia.
Ogni istituto di vita consacrata deve avere un proprio codice fondamentale
dove devono essere riportate le norme fondamentali relative al governo dell’istituto e alla disciplina dei membri, alla loro incorporazione e formazione, e
anche l’oggetto proprio dei sacri vincoli.
Tale codice è approvato dalla competente autorità della Chiesa e soltanto
con il suo consenso può essere modificato.
In esso devono coesistere gli elementi giuridici e spirituali, tutte le altre
norme stabilite dall’autorità competente dell’istituto sono opportunamente
raccolte in altri codici e possono essere modificate e adattate convenientemente secondo le esigenze dei luoghi e dei tempi.
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Lo stato di vita consacrata, per sua natura, non è né clericale né laicale,
in quanto l’istituto clericale è quello che, secondo il progetto inteso dal fondatore, è governato da chierici, assume l’esercizio dell’ordine sacro e come tale
viene riconosciuto dall’autorità della Chiesa.
L’istituto laicale è quello che, riconosciuto come tale dalla Chiesa stessa, in
forza della sua natura, dell’indole e del fine, ha un compito specifico determinato dal fondatore o in base ad una legittima tradizione.
L’isituto di vita consacrata è invece di diritto pontificio se è stato eretto
oppure approvato con decreto formale dalla Sede Apostolica; di diritto diocesano invece se eretto dal Vescovo diocesano non ha ottenuto dalla Sede
Apostolica il decreto di approvazione.
Tutti gli istituti di vita consacrata, in quanto dediti in modo speciale al
servizio di Dio e di tutta la Chiesa, sono per un titolo peculiare soggetti alla
suprema autorità della Chiesa stessa.
I singoli membri sono tenuti ad obbedire al Sommo Pontefice, come loro
supremo Superiore, anche in forza del vincolo sacro di obbedienza.
Per meglio provvedere al bene degli istituti e alle necessità dell’apostolato
il Sommo Pontefice, in ragione del suo primato sulla Chiesa universale, può
esimere gli istituti di vita consacrata dal governo degli Ordinari del luogo e
sottoporli soltanto alla propria autorità, o ad altra autorità ecclesiastica.
Perché sia più efficacemente favorita la comunione degli istituti con la
Sede Apostolica, ogni Moderatore supremo trasmette alla medesima, nel modo
e nel tempo da questa fissati, una breve relazione sullo stato e sulla vita del
proprio istituto.
I Moderatori di ogni istituto provvedono a far conoscere i documenti della
Santa Sede riguardanti i membri loro affidati, e ne curano l’osservanza.
Gli istituti di diritto pontificio sono soggetti in quanto al regime interno,
in modo immediato ed esclusivo alla potestà della Sede Apostolica, rimanendo
sotto la speciale cura del Vescovo diocesano.
Spetta al Vescovo della sede principale approvare le condizioni e confermare le modifiche in esse legittimamente apportate, escluse le statuizioni operate
dalla Sede Apostolica; inoltre è di sua competenza trattare gli affari di maggiore rilievo riguardanti l’intero istituto, quando superano l’ambito di potestà
dell’autorità interna non senza però avere consultato gli altri Vescovi diocesani,
qualora l’istituto fosse esteso in più diocesi. Il Vescovo diocesano può concedere dispense dalle costituzioni in casi particolari.
In un istituto di vita consacrata può essere ammesso ogni cattolico che
abbia retta intenzione, che sia in possesso delle qualità richieste, e non sia vincolato da impedimento alcuno, nessuno può essere ammesso senza adeguata
preparazione.