L`industria della musica alla prova del Web

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Giandomenico Celata
Blowin’ in the Web
L’industria della musica alla prova del Web
ebook.it
Overview
Attraverso un quadro storico sociale dei cambiamenti dell’industria della musica nell’era
del digitale e nel connubio con le nuove tecnologie, Blowin’ in the Web analizza i nuovi
modelli di business e i vari studi svolti sul cosiddetto fenomeno della “pirateria”, studi che
tuttora non hanno raggiunto risultati condivisi per far luce sul vero motivo del declino
dell’industria discografica e la contrapposta maggiore diffusione del mercato musicale.
L’autore
Giandomenico Celata, insegna Economia dei media e dell’ICT ed è Direttore scientifico del Multimedia Lab del Centro di Ricerca CATTID (Centro per le Applicazioni della
Televisione e delle Tecniche di Istruzione a Distanza) dell’Università degli Studi di Roma
“La Sapienza”.
È autore di numerosi contributi sui temi di ricerca scientifica che attraversano il cambiamento dell’industria e del mercato dei media in funzione delle nuove tecnologie di produzione e distribuzione digitale.
Le dispense del suo corso sono disponibili gratuitamente sul web.
Blowin’in the Web - L’industria della musica alla prova del Web
di Giandomenico Celata
© 2010 Pegaso Uno srl
ISBN 9788865620021
Editor Francesca Giuliano
Progetto grafico e copertina Claudio Sinopoli (www.claudiosinopoli.com)
È vietata la distribuzione di questo ebook in qualsiasi forma, se non autorizzata dall’editore.
La copia acquistata è destinata all’uso personale e non può essere ceduta ad alcuno.
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Pegaso Uno srl
Via Crati,10
88046 Lamezia Terme
www.ebook.it
[email protected]
Sommario
La rincorsa dell’Industria della Musica
5
1.1
1.2
1.3
1.4
1.5
1.6
6
8
10
12
15
17
Doverosa premessa
Musica, economia e tecnologie L’alibi della pirateria
L’escalation digitale I cambiamenti del mercato della musica Le reazioni dell’industria
I nuovi modelli di business 19
2.1
2.2
2.3
2.4
2.5
2.6
2.7
2.8
20
21
22
24
26
27
28
29
Modelli di business emergenti
Sottoscrizione
Advertising
Partnership con i brand
Il modello 360 gradi
Crowdsourcing YouLicense: il modello di eBay applicato alla musica
Modelli di pricing: due case history
Il vero impatto della pirateria
31
3.1 I modelli di misurazione
3.2 Contributi e limiti
3.3 Fattori che ostacolano lo studio del fenomeno
32
39
42
Conclusioni
44
Fonti
48
Bibliografia
Sitografia
49
52
La rincorsa
dell’industria
della musica
1.1 Doverosa premessa
L’economia della musica, così come quella degli altri media, è sempre stata fortemente
intrecciata con l’evoluzione delle tecnologie. La comprensione di questo intreccio è decisiva per capire il mercato della musica, la sua evoluzione, le sue prospettive, dal lato
dell’offerta, della domanda e del consumo. La musica si distingue rispetto agli altri media
innanzitutto per il suo linguaggio che, per natura propria, si fa comprendere al di là dei
singoli alfabeti, rendendosi così naturalmente universale. La musica, difatti, ha una doppia valenza. Da un lato è espressione di ciascuna cultura locale, costituendo il legame e
l’identità stesse delle singole comunità. Dall’altro, esprimendo suggestioni e sensibilità
comuni agli umani ovunque siano insediati e qualunque sia la storia che li distingue, si
pone in termini globali. Questa valenza si esalta nella specificità del prodotto musicale: a
differenza di altri media è facilmente trasportabile, può superare agevolmente le barriere
geografiche e politiche ed è ubiquo. Nel senso che può prodursi e consumarsi pressoché
ovunque e nello stesso tempo. Non solo, ma la sua fruizione, a differenza di quella di
altri media, non consuma tempo. Si può sentire musica e, nella stragrande maggioranza
dei casi, svolgere nel contempo altre attività. Gli altri media, si pensi alla televisione, al
cinema, alla lettura di un libro, di una rivista, di un quotidiano, sono invece divoratori di
tempo che sottraggono, per forza di cose, ad altre utilizzazioni. Quindi, il consumo di musica non ha un costo opportunità, nel senso che non sottrae la possibilità al consumatore
di svolgere attività da cui ricavare un valore d’uso o di scambio, secondo i casi.
Questi aspetti specifici del prodotto musicale sembrano, a una lettura superficiale, renderlo fragile e inconsistente. Al contrario, hanno operato esattamente nella direzione opposta: l’hanno reso tale da permeare e accompagnare il tempo degli umani come nessun altro
media. In questo sta la sua pervasività, e quindi la sua capacità di taggare le sensibilità,
gli stati d’animo, le fasi della vita di ciascuno di noi, i diversi tempi della nostra esistenza.
Universalità, ubiquità, pervasività e intimità con ognuno di noi hanno fatto sì che, nello
svolgersi della storia dei media, i percorsi del prodotto musicale abbiano sempre indicato
le strade che gli altri prodotti media avrebbero successivamente seguito. Questa capacità
predittiva, premonitrice, così come avviene purtroppo anche per altri insegnamenti della
storia, più pesanti e gravidi di conseguenze per le vicende di tutti noi, viene usualmente
sprecata dalle altre industrie media.
Le reazioni che si colgono, ormai da tempo, nell’industria media per effetto dell’irruzione
di Internet e del web, cioè delle tecnologie digitali che più caratterizzano la nostra epoca,
ne sono un segno evidente. Invece di imparare dall’esperienza della musica ci si attarda a
inutili resistenze, a ergere fragili maginot destinate ad essere scavalcate.
La musica per prima ha affrontato i cambiamenti imposti dalla diffusione di Internet e
dalle applicazioni rese possibili dal web. La possibilità della musica di trasformarsi in bit,
la capacità di un brano di essere compresso in pochi spazi digitali e quindi la sua facile
trasportabilità su banda larga, l’hanno resa il terreno più e immediatamente fertile per
6
La rincorsa dell’industria della musica 1.1 Doverosa premessa
l’applicazione delle nuove tecnologie. Questa situazione è stata prima patita dall’industria della musica che, però, ha ormai tutte le possibilità di trovare la strada per trasformare le criticità indotte dal digitale in opportunità di mercato. E nelle sue parti decisive lo
sta facendo, in ritardo, ma lo sta facendo. Questo ha già comportato e comporterà ancora
cambiamenti negli assetti industriali, nella filiera produttiva, nei modi dell’industria di
rapportarsi con il consumatore. Perché la grande opportunità delle nuove tecnologie è
quella di dare al consumatore la possibilità di riappropriarsi della sovranità perduta e,
nello stesso tempo, di dare alle imprese la possibilità di leggere questi tracciati e interpretarli. Sovranità preziosa dal lato dei prezzi in un mercato dominato da un oligopolio
composto da quattro grandi major: Universal Music Group, Sony BMG Music Entertainment, EMI Group e Warner Music Group, che insieme detengono più del 75% del mercato
musicale mondiale. Ma anche per le industrie nel loro complesso perché aumenta il livello
di concorrenza.
In Italia la situazione, come sempre, è più semplice e complessa nello stesso tempo. L’industria discografica è composta da poco più di mille aziende che si dividono in due mercati
distinti: da un lato quello più stabile e concentrato delle quattro grandi; dall’altro quello
più concorrenziale e con un alto tasso di natalità/mortalità, delle etichette indipendenti,
che comprende imprese di varie dimensioni, alcune di significativo successo.
La discografia è un business ad alto rischio di impresa perché richiede notevoli investimenti in nuovi artisti e repertorio. Mediamente le case discografiche investono il 12-13%
del proprio fatturato in R&S. Una delle percentuali più elevate se confrontata con altri
settori industriali. Solo una piccola parte dei prodotti riscuote un successo tale da recuperare l’investimento e anche da riuscire a finanziare i mancati guadagni del resto della
produzione: secondo alcune stime, dei circa 30 mila album realizzati annualmente solo il
10% consente tale redditività.
7
1.2 Musica, economia e tecnologie
Il mercato della musica nasce con Mozart, la potenziale icona dei giovani precari di oggi,
perché sempre alla ricerca vana di un impiego fisso. Fu proprio lui, infatti, nella seconda
metà del Settecento, nel tentativo comunque di sbarcare il lunario, a inventarne la commercializzazione facendo vendere i propri spartiti a un mercante di Parigi. Musica fino
ad allora dispensata da musicisti e compositori al soldo esclusivo di principi, cardinali,
ricchi borghesi. Da uno sregolato come Mozart nasce quindi la prima embrionale forma
di definizione dei diritti musicali in un mercato la cui ampiezza, allora, dipendeva dallo
spostamento fisico dei musicisti presso le varie corti e salotti.
Da allora, dopo i passaggi decisivi della scoperta della radio da parte di Guglielmo Marconi, tra fine Ottocento e primi del Novecento, e la NBC Symphony Orchestra di Arturo
Toscanini, negli anni 1940-50, le vicende dell’economia della musica si sono sempre più
intrecciate e connotate con la tecnologia e con quelli che allora erano considerati, anche
se non con questa denominazione, “nuovi media”. Incidentalmente va notato che, in entrambi i casi, i riconoscimenti sono venuti dall’estero e non dall’Italia e che l’innovazione
ha avuto un percorso serendipico. Nel caso di Marconi, in effetti, lui voleva inventare il
telegrafo senza fili, cioè una tecnologia, si direbbe oggi, che permettesse trasmissione
e ricezione da punto a punto. Il fatto invece che il nodo di ricezione non fosse riservato
ma diffondesse la comunicazione urbi et orbi sembrò all’inizio un errore. Un magnifico,
splendido, fantastico errore che dette luogo al primo mass media dell’umanità il cui brevetto, incredibile a dirsi, ma poi non tanto, fu all’inizio rifiutato in Italia e accettato senza
problemi in Inghilterra. Di questa scappatoia si deve ringraziare la madre inglese di Guglielmo Marconi. Altrimenti sarebbe finita come per il telefono tra Meucci e Bell.
Nel caso di Toscanini si deve ringraziare, si fa per dire, il fascismo, che lo costrinse a
emigrare negli USA e gli dette l’opportunità di entrare in contatto con il network radiofonico NBC. In questo modo lui diventò una star mondiale e la musica divenne una delle
componenti essenziali dei palinsesti radiofonici. Senza lo schiaffo dato a sproposito da
uno stupido gerarchetto fascista, Toscanini se ne sarebbe rimasto tranquillamente ed
entusiasticamente a dirigere “La Scala” di Milano, il sogno della sua vita.
Da lì a poco esplose la televisione, altro nuovo e sconvolgente media per l’epoca, e in parallelo, per quanto riguarda la musica, fu un susseguirsi di innovazioni tecnologiche: dal disco
in vinile alla musicassetta, dal walkman al CD e poi al DVD, da Internet all’MP3. Quest’ultimo passaggio, per di più, è avvenuto in un arco di tempo relativamente breve che, per
forza di cose, ha messo sotto stress l’industria e l’intera catena del valore di riferimento.
Prima di arrivare all’assetto attuale, Internet, la grande rete, ha vissuto diversi passaggi:
pensata prima per fini militari, poi messa a disposizione delle università, quindi diventata
una sorta di grande biblioteca di Alessandria, oggi esprime una realtà in continuo divenire, non avendo trovato ancora una stabilizzazione di mercato e industriale. Per quanto
riguarda la musica, il peer to peer di Internet, ha reso più facile e fruibile l’ambito e le
8
La rincorsa dell’industria della musica
1.2 Musica, economia e tecnologie
occasioni di scambio di prodotti musicali. Pratica sempre avvenuta tra amici e conoscenti anche al tempo del vinile, delle cassette e del CD. Ma, nello stesso tempo, ha indicato
all’industria due occasioni da cogliere: l’opportunità della disintermediazione della catena distributiva, l’annullamento della logostica, e le porte spalancate di un mercato diventato ubiquo e globale. Che l’industria abbia poi perso tempo nel capirle è un’altra storia.
Questo scambio è poi divenuto con i social network condivisione collettiva, accompagnato
da opinioni, suggestioni, suggerimenti che coinvolgono più persone nello stesso momento,
o in breve successione. Anche in questo caso la grande rete ha ampliato l’ambito di quel
“passaparola” che è uno strumento riconosciuto di promozione nel campo dei prodotti
media che per definizione sono degli experience good, cioè dei prodotti la cui utilità si è in
grado di valutare solo dopo il consumo. Il passaparola serve a eliminare in parte il rischio
di un acquisto al buio. E il consumatore lo sa bene. Anche in questo caso l’industria ha
avuto un’indicazione di modalità di marketing capace di darle una profondità di mercato
ineguagliate. E ugualmente ha perso tempo nel capirlo.
Tutto ciò dimostra, ancora una volta, quanto le nuove tecnologie facciano crescere la sovranità del consumatore rispetto all’industria. Monopoli, oligopoli, pubblicità ingannevole, possono condurla su strade sbagliate ma, alla fine, essa trova sempre quella giusta. È
augurabile che lo faccia anche in tempi ragionevoli. Intrecci lobbistici tra decisori politici,
economici e stampa possono solo imbrigliarla, ritardarla, ma non eliminarla. Ed è comunque il consumatore più attivo e dinamico quello che esprime le tendenze verso cui si
dirigerà il mercato, come spiega bene la teoria del ciclo di vita dei prodotti. Consumatore
che ha scelto Internet per indicare il futuro della musica. L’industria che già presidiava
il settore si è attardata di fronte alla novità e ha permesso la nascita di nuovi soggetti
economico-industriali che hanno disegnato una nuova geografia del settore.
Il percorso comune di tecnologia e musica si è espresso, dal secolo scorso ad oggi, con
continuità temporale assieme a salti tecnologici, fino ad arrivare alla prepotenza e alla
forza di Internet e del web. Ogni salto ha prodotto effetti economici rilevanti: dal ruolo
determinante della ricerca e dell’innovazione, antagoniste verso le pigrizie di chi occupa già posizioni di mercato che considera consolidate e presume immobili, alla lotta tra
standard per la conquista del mercato; dai forti investimenti da parte delle imprese, con
conseguente rischio, ai costi per il consumatore legati all’adozione dei nuovi mezzi di fruizione e consumo; e così via.
9
1.3 L’alibi della pirateria
Theodore Levitt, leggendario professore di marketing a Harvard e per molti anni direttore della Harvard Business Review, recentemente scomparso, in un famoso saggio illustrò
il rapporto che spesso intercorre tra industria e innovazione tecnologica.
Subito dopo il secondo conflitto mondiale, gli USA conobbero un forte sviluppo economico e industriale, un’intensa urbanizzazione anche fuori dagli spazi consolidati, una forte
crescita del reddito pro capite. Come conseguenza naturale si svilupparono la motorizzazione di massa e le grandi compagnie aeree, si costruirono le parkway. Nello stesso tempo
le società ferroviarie che avevano connotato fino ad allora anche il paesaggio economico
e sociale del paese entrarono in una profonda crisi. Quali i motivi? Le società ferroviarie
si limitarono a operare nell’alveo dell’industria di treni senza porsi il problema di come
utilizzare il loro forte “know how” nei nuovi spazi di mercato offerti dall’accresciuta mobilità. Le loro pesanti quindi pigre e autoreferenziali gerarchie e gli interessi precostituiti
al loro interno furono la rete che le ingabbiò e che gli impedì di capire il nuovo e di partecipare al nuovo mercato della mobilità, gettandole in una profonda crisi.
Di fronte a un salto tecnologico e sociale, intendendo con quest’ultimo la direzione nuova
che prendono i consumi, ciò accade in quasi tutti i settori industriali, ed è accaduto in
tutte le epoche. Il cambiamento, lo scriveva Bertrand Russel, è una attività faticosa per
gli umani. Ciò vale anche per le loro costruzioni giuridiche ed economiche. Fanno fatica
a staccarsi da un percorso conosciuto e familiare per intraprenderne uno nuovo. Fanno
fatica ad abbandonare le sicurezze a fronte dei rischi che sempre presenta il futuro.
Questo è quello che è accaduto all’industria della musica con l’inizio del nuovo secolo.
MySpace, l’antesignano dei social network è del 2003, Facebook lo segue a ruota nel 2004,
iTunes, piattaforma di vendita on line di musica, parte nel 2003, YouTube, sito che permette la condivisione di video in gran parte clip musicali, è del 2005. Attorno si sono costruite etichette che operano solo su Internet, siti che offrono forme di finanziamento a
band e cantanti, ecc.
In presenza di questa accelerazione del cambiamento la gran parte degli editori musicali
si è comportata come i proprietari di diligenze all’apparire del treno a vapore: ha gridato
allo scandalo, lanciato allarmi, lamentato perdite economiche fantasmagoriche. Non riuscivano a vedere quanto ciò gli permettesse di avvicinarsi ai luoghi del mercato e quanto
ciò aumentasse di valore i loro terreni. Nel caso della musica si è confuso sotto l’accusa
di pirateria il racket delle copie contraffatte di CD e DVD e i ragazzini del file sharing
e dei social network. In questo modo, l’industria ha confessato una non attenta lettura
dei dati del suo stesso mercato. Difatti, la crescita del mercato della musica registrata
nel passaggio tra l’originario disco in vinile alla musicassetta e poi al CD, va suddivisa in
due componenti: la prima costituita dagli acquisti delle novità, la seconda fondata sulla
ricomposizione delle libraries personali come effetto del cambiamento di tecnologia. Il
passaggio dal giradischi al lettore di musicassette e successivamente a quello di CD ha
10
La rincorsa dell’industria della musica
1.3 L’alibi della pirateria
costituito ogni volta una bolla di mercato che ha illuso gli editori sulla dimensione del
mercato stesso. Molti editori musicali non hanno poi considerato come la collezionabilità
di supporti fisici incontri un limite nella dimensione degli spazi fisici dell’abitazione. Così
come sono stati sordi rispetto all’insoddisfazione del consumatore nell’acquisto di album
che offrivano uno o tuttalpiù due brani con appeal e il resto niente. Consumatore che ha
poi dimostrato una grande sensibilità ed elasticità rispetto al prezzo. Da ciò infatti sono
nati i grandi numeri della distribuzione di CD in edicola, allegati a riviste e quotidiani,
che hanno illuso, ma questo è un altro discorso, gli editori della carta stampata coprendo
la perdita di copie di quotidiani e riviste. Insomma, il mercato dava indicazioni precise
che i più si ostinavano a non leggere. In questa vacanza di comprensione si sono inseriti
altri operatori.
È lo straordinario caso di Apple che, come è più che noto, fino a qualche anno fa operava
esclusivamente e limitatamente nel campo dell’hardware e del software, con qualche difficoltà, per dirla eufemisticamente, compressa com’era dal monopolio Microsoft. Ebbene,
Apple nel 2000 compra dalla software house Casady & Greene un’applicazione nata per
organizzare e gestire la musica in formato MP3. Più specificatamente, in un colpo solo,
assume tutti gli sviluppatori di SoundJam MP, la sorgente di quella applicazione, e acquista il software dalla casa produttrice. Con queste premesse tecnologiche crea iTunes
ed entra così nel mercato della distribuzione musicale decisamente fuori dal suo core business. Nel 2008 supera Wall Mart, la conosciuta catena di supermarket a basso prezzo,
come venditore di musica negli USA e diventa una case history a livello mondiale. Il suo
brand si rivaluta anche nelle sue attività tradizionali, grazie anche allo standard chiuso che ha costruito sui device di iTunes. Wall Mart, se si vuole raffigurare la vicenda in
termini competitivi, gli risponde a tono e nel 2010 compra Vudu, una piattaforma leader
nella distribuzione on line di film.
11
1.4 L’escalation digitale
Tutto quanto descritto è accaduto a causa del profondo cambiamento intervenuto, in
pochissimo tempo, nel rapporto tra musica e tecnologie. Alla fine degli anni ’90 nascono
gli algoritmi di compressione MP3. Consentono di codificare un brano musicale in una
manciata di bit aprendo quindi la strada alla loro distribuzione via Internet. L’invenzione
di Napster nel 1999 permette la nascita delle reti peer to peer(1) . Il loro enorme successo in
un arco di tempo ravvicinato pone certamente problemi al diritto d’autore: lo scambio di
brani tra privati, pratica che esiste da sempre, viene infatti enormemente facilitata. Ma,
nello stesso tempo, rende esplicito il mercato potenziale che potrebbe aprirsi, caratterizzato da disintermediazione, rapporto diretto tra produttore e consumatore, dalla catena
distributiva che, per di più si fa globale. Mercato all’inizio limitato dalla bassa diffusione
della banda larga, della velocità di trasmissione e dei PC, ma rapidamente cresciuto con
il progressivo superamento di questi limiti. Mercato che si allarga potenzialmente anche
in virtù di una caratteristica che distingue la distribuzione via Internet da quella tradizionale attraverso punti di vendita fisici nel territorio. Con Internet ogni brano musicale
può rimanere in catalogo ed essere disponibile senza più la limitatezza degli spazi fisici e
dei costi dei negozi e dei magazzini e senza i vincoli della logistica.
È il fenomeno denominato della “lunga coda” dal titolo del fortunato libro di Chris Anderson che assegna allo e-shopping anche un’altra virtù. La distribuzione tradizionale concentra il mercato attorno a pochi titoli. La distribuzione Internet rende l’area dei ricavi
dei prodotti di nicchia pressoché uguale a quella degli Hit.
Napster, l’antesignano del peer to peer, il padre della distribuzione via Internet, fu bloccato dagli interessi tradizionali. Ma la tecnologia aveva tratto il dado. Napster venne chiuso
poiché, essendo basato su un sistema di server centrali, fu ritenuto responsabile delle
violazioni al copyright messe in atto dai propri utenti. Ciò non servì a impedire la nascita
di decine di altre piattaforme che aggirarono l’ostacolo sviluppandosi su un’architettura
decentralizzata. Lo stesso avverrà per l’accanimento legislativo, Francia docet, contro gli
utenti di file sharing. Tali provvedimenti risulteranno in ogni caso inefficaci per la forza
invasiva della tecnologia. Difatti, è dimostrato(2) come tale azione abbia effetto prevalentemente sugli utenti saltuari delle reti peer to peer, che hanno un’importanza marginale
in termini di quantità di materiale condiviso, ma non hanno efficacia sui cosiddetti “heavy
users”. Le azioni legali sono, oltre che inutili, dannose per l’immagine delle aziende. La
compressione dei file musicali ha fatto poi nascere nel contempo uno spazio di mercato
di assoluto rilievo per i dispositivi portatili che è arrivato a estendersi ai telefonini e che
(1) Rete di computer, strutturata in modo non gerarchico (client, server), formata da una serie di nodi
equivalenti ognuno dei quali può fungere sia da client che da server.
(2) Pollock [2006]; Buxmann et al. [2005]; Rochelandet, Le Guel [2005].
12
La rincorsa dell’industria della musica
1.4 L’escalation digitale
oggi è nella sua fase di maturità. Sul web dei social network sta crescendo una industria
musicale parallela.
Alcune piattaforme, tra cui MySpace, Facebook, YouTube e Last.fm, hanno determinato,
de facto, una rivoluzione nelle modalità di promozione discografica. Grazie all’alto tasso
di penetrazione, spesso nell’ordine di centinaia di milioni di utenti, e alla possibilità di
raggiungere un numero di ascoltatori potenzialmente infinito senza i vincoli spaziali caratteristici dei media fisici, i social network hanno dato vita al cosiddetto “marketing virale” capace di aggiornare il pubblico sulle ultime uscite, creare reti di appassionati (fandom), diffondere comunicati, messaggi e inviti a eventi. Sono soprattutto le indies che,
non disponendo di grossi budget da investire in massicce campagne pubblicitarie, cercano
di colonizzare il web creando gruppi, fan club virtuali, procacciando il maggior numero
di contatti possibili. Grazie ai bassi costi di gestione tali possibilità sono disponibili anche
per artisti indipendenti che non dispongono di budget. Cresce esponenzialmente, infatti,
il numero di band che dopo aver prodotto un album con le proprie forze decide di fare
altrettanto con la promozione.
I social network diventano anche così un terreno per i nuovi talenti, una fonte crescente
di scoperte con risultati spesso sorprendenti. Basti pensare al ruolo determinante che
hanno avuto per il successo di artisti come gli Arctic Monkeys, Lily Allen o Calvin Harris,
e a come hanno creato un nuovo business in ambito musicale i cui confini sono ancora
poco definiti e le prospettive tutte da analizzare. Grazie a essi anche le multinazionali
della musica hanno incominciano ad avventurarsi in nicchie di mercato e di generi fino a
poco tempo fa considerati di marginale importanza.
MySpace Music, un nuovo servizio di musica on line supportato dalla pubblicità (proposto
inizialmente in collaborazione con Universal Music Group, Warner Music e Sony BMG,
alle quali si è unita in un secondo momento anche la EMI) comprende più di cinque milioni di artisti tra major, indipendenti e senza contratto. Il servizio consente di ascoltare
i brani gratuitamente in streaming (solo nella prima settimana aveva già totalizzato un
miliardo di ascolti) e di acquistarli al prezzo di 79 centesimi senza protezioni che ne limitano l’uso. MySpace non vende nulla direttamente ma guadagna tramite l’affiliazione ad
Amazon. In realtà lo streaming di brani era già disponibile su MySpace prima di questo
accordo e le violazioni del copyright erano all’ordine del giorno: chiunque poteva caricare
brani su profili non ufficiali di artisti o renderli disponibili sulla propria pagina. Le case
discografiche, che avrebbero benissimo potuto citare la piattaforma, hanno deciso, intelligentemente in questo caso, di evitare una lotta che sarebbe risultata svantaggiosa per
tutti, preferendo scendere a compromessi con uno dei servizi musicali più frequentati
della rete.
Un altro elemento che ha influenzato e sta influenzando il mercato discografico in maniera significativa è la trasformazione che sta coinvolgendo la struttura stessa del World
Wide Web che, da circa sei anni a questa parte, ha incominciato a popolarsi di un nuovo
tipo di siti e servizi più dinamici, realizzati in collaborazione con gli utenti e ricchi di
contenuti generati dagli stessi. Questo stadio evolutivo è stato prontamente ribattezzato
Web 2.0(3).
Nei siti di nuova generazione nascono nuovi tipi di relazione tra produttori e consumatori, non più di tipo esclusivamente verticale. Gli utenti sono ora in grado di caricare conte-
(3) Termine coniato nel 2004 da Dale Dougherty, general manager e co-fondatore della O’Reilly Media.
13
La rincorsa dell’industria della musica
1.4 L’escalation digitale
nuti, classificarli e commentarli [Knowles, 2007]. I dati, una volta etichettati tramite una
tag(4), possono essere linkati dai motori di ricerca ad altri dati che contengono la stessa
parola chiave, inoltre, grazie a syndication technologies come gli RSS(5), è possibile iscriversi a blog e podcast(6) e aggregarsi in base a idee, gusti e interessi condivisi.
Queste caratteristiche hanno favorito la nascita e lo sviluppo di community come Pandora e Last.fm, due web radio gratuite. La prima è riservata esclusivamente agli utenti
statunitensi, in quanto le convenzioni stipulate con le major che detengono i diritti della
musica offerta in streaming(7) non hanno validità altrove, e si basa sul Music Genome
Project, ossia l’individuazione delle caratteristiche intrinseche (armonia, orchestrazione,
ritmo, arrangiamenti, strumenti utilizzati, testi) di ciascun brano dell’opera musicale di
oltre dieci mila artisti. Grazie a questo algoritmo Pandora fornisce un sistema automatizzato di raccomandazione musicale che permette di tracciare un profilo delle preferenze e
di cogliere l’essenza della musica preferita da ciascun utente a partire dagli input che questi fornisce, maggiori sono i suggerimenti più la ricerca diviene raffinata. Last.fm invece,
basata su un approccio di tipo più sociale, crea un profilo dettagliato dei gusti dell’utente
registrando le caratteristiche dei brani ascoltati attraverso il sistema di raccomandazione
musicale Audioscrobbler e riproduce i brani che potenzialmente potrebbero interessarlo,
consentendo inoltre la creazione di playlist e di stazioni radiofoniche personalizzate. Last.
fm mira alla scoperta di affinità tra utenti mettendo a confronto i loro gusti musicali e
segnalando liste di neighbours (ossia utenti con gusti affini), ordinati per grado di compatibilità, favorendo così lo scambio di opinioni e consigli.
(4) Parola chiave o breve frase che viene associata a un dato per facilitarne la ricerca e la classificazione.
(5) Formato utilizzato per rifornire gli utenti di contenuti aggiornati frequentemente.
(6) Qualsiasi tipo di file, basato sui feed RSS, messo a disposizione di chi si abbona a una trasmissione
periodica e scaricabile automaticamente da un apposito programma chiamato “aggregatore”.
(7) Flusso di dati audio/video, trasmesso da una sorgente a una o più destinazioni tramite una rete
telematica, che vengono riprodotti man mano che arrivano a destinazione.
14
1.5 I cambiamenti del mercato della musica
Quello dell’industria discografica è sempre stato un mercato complesso, costituito certamente da una moltitudine di attori con ruoli e funzioni eterogenei ma sostanzialmente
dominato da un oligopolio di pochi grandi gruppi, i cui ricavi sommavano abitudinariamente la vendita di CD e i diritti provenienti da radio e televisioni. Il digitale ha scompaginato le carte e creato nuovi prodotti (suonerie, video musicali, risponderie, accessibili
tramite download o streaming, sia attraverso computer che telefoni cellulari). E sono nati
muovi player, alle major si sono aggiunti:
•
•
•
•
i digital music stores che sostituiscono i tradizionali retailer di supporti fisici;
gli operatori di telefonia mobile;
i content provider che si occupano dell’offerta dei brani digitali;
i fornitori di servizi a valore aggiunto per la telefonia mobile (VAS)(8).
Nello stesso tempo, le reti di file sharing si sono rivelate un’opportunità per le etichette
indipendenti che dispongono così di un canale informativo aggiuntivo. Inoltre è in corso
un processo di disintermediazione di diversi anelli della catena del valore del prodotto. Da
un lato le piattaforme di distribuzione digitale danno l’opportunità agli operatori meno
forti economicamente di superare le barriere d’ingresso al mercato fisico (le cosiddette
“netlabel”), dovute alla difficoltà di creare una rete distributiva. Dall’altro sempre più
artisti decidono di distribuire le proprie opere grazie ai servizi forniti da piattaforme come
TuneCore e CD Baby. La prima si occupa ad esempio di contratti, gestione dei rapporti
con gli stores telematici, formattazione dei brani e gestione del trasferimento dei file nei
database dei distributori, ossia tutto ciò che serve per vendere un disco in rete, mentre la
seconda si occupa anche di distribuzione fisica e merchandising. Queste piattaforme non
hanno filtri all’ingresso, chiunque può caricare i propri brani per venderli dai principali
music stores, ovviamente con un tipo di promozione neanche lontanamente paragonabile
a quella dei best selling artists. Grazie a esse gli artisti hanno la possibilità di incontrare la
domanda del pubblico senza dover aspettare la sottoscrizione di un contratto discografico.
Nell’ambito della mobile music il formato prevalente è quello delle suonerie, seguito dalle
single track audio(9). Tuttavia si nota una contrazione che riguarda tutti i formati, come
si è già ricordato infatti, questo settore ha ormai raggiunto la sua fase di maturità.
A differenza del mercato italiano, il comparto della mobile music in America è ancora in
fase di crescita, tuttavia c’è un rallentamento che lascia presupporre un raggiungimento
della fase di maturità non troppo remoto.
(8) Economia della musica in Italia, Rapporto 2007, Università commerciale
(9) Brano digitale riproducibile dai telefonini.
15
La rincorsa dell’industria della musica
1.5 I cambiamenti del mercato della musica
Nonostante la continua crescita del fatturato della musica digitale il settore non è ancora
in grado di compensare pienamente il calo di ricavi dei formati fisici a livello globale, se ci
si ferma al sell out e probabilmente anche al sell in. Il problema è che con il digitale e Internet è cambiata la struttura dei costi e il peso delle singole componenti della work flow
e della catena del valore. È come se fosse nata una nuova industria: i vecchi paradigmi per
misurare costi, ricavi e organizzazione non valgono più. I confronti non possono avere più
efficacia. Si è in presenza di una configurazione completamente nuova.
16
1.6 Le reazioni dell’industria
Le grandi case discografiche hanno cercato di entrare in competizione con l’offerta digitale gratuita, cercando di dettare le proprie regole all’intero mercato. Doug Morris, amministratore delegato della Universal Music, in risposta ad iTunes, propose di includere le
sottoscrizioni musicali nel prezzo dei lettori digitali. Il servizio, che avrebbe dovuto chiamarsi TotalMusic, prevedeva la partecipazione di tutte le major, ma l’idea è stata accantonata dopo che il dipartimento di Giustizia americano ha aperto un’indagine antitrust
al riguardo. Nel 2001, invece, sono stati lanciati PressPlay, joint venture fra Universal
Music e Sony, e MusicNet, in collaborazione con RealNetworks. Anche questi digital stores però si rivelarono ben presto dei fallimenti poiché oltre a prezzi e tariffe non particolarmente invitanti contenevano esclusivamente brani protetti da DRM(10).
I DRM servono a limitare l’uso e il trasferimento di contenuti digitali, ad esempio alcuni
limitano il numero di volte che il file può essere riprodotto, masterizzato o che può essere trasferito da PC a periferica e viceversa, altri impediscono la conversione tra formati
oppure rendono problematica la portabilità dei dati nel tempo (ad esempio un brano che
non può essere più ascoltato allo scadere del periodo di sottoscrizione).
Tali protezioni possono essere facilmente aggirate, esistono moltissimi strumenti per rimuoverle, senza considerare poi la questione dell’analog hole(11). Esse quindi non costituiscono un valido strumento per la lotta alla pirateria e il loro uso in alcuni casi ha avuto
anche ripercussioni legali sulle case discografiche stesse, ad esempio nel 2005 la Sony subì
numerose querele per aver distribuito CD nei cui DRM era contenuto un rootkit(12) che
provocava malfunzionamenti del sistema operativo. I DRM ostacolano la crescita dell’industria della musica digitale poiché, limitando l’interoperabilità tra lettori di marche
diverse, confondono e fanno desistere molti potenziali clienti dall’acquisto (soprattutto
quello impulsivo) di musica, inoltre mantenere in vita il sistema che consente la riproduzione dei file protetti comporta molti costi che finiscono per ripercuotersi sugli utenti.
Le etichette indipendenti sono state le prime a capire l’importanza dell’interoperabilità e
hanno già da tempo abbandonato i DRM.
(10) Digital Rights Management è un termine generico che si riferisce a sistemi tecnologici che
consentono a titolari di diritti d’autore (e dei cosiddetti “diritti connessi”) di esercitare e amministrare
tali diritti nell’ambiente digitale, grazie alla possibilità di rendere protetti, identificabili e tracciabili tutti
gli usi in rete di materiali adeguatamente “marchiati”.
(11) Fondamentale debolezza insita in ogni sistema anticopia di Digital Rights Management, consiste nel
fatto che un segnale digitale, una volta convertito in analogico, è suscettibile di riconversione digitale in
un formato non protetto.
virus writer per tentare di occultare il più a lungo possibile la
presenza di un software malevolo sul computer preso di mira.
(12) Sistema tradizionalmente usato dai
17
La rincorsa dell’industria della musica
1.6 Le reazioni dell’industria
Il successo della Apple con iTunes che pure si appoggia ai DRM ed è compreso in un rigido standard chiuso (il formato Aac dell’iTunes Store) che funziona solo con i lettori della
Apple attiene a un’altra fattispecie. I prodotti Apple, e in particolare la filiera musicale
che fa capo ad iTunes, appartengono alla categoria dei beni posizionali e dei beni relazionali. Con questa definizione si intendono quei beni il cui valore, per il consumatore,
non è legato solo al welfare ma soprattutto al well being. Sono quei beni che permettono
al consumatore di autocollocarsi in un determinato gruppo sociale e di autoaccreditarsi
prestigio o status nel confronto gli altri. In altre parole sono dei credence goods, cioè beni
il cui valore va al di là delle loro caratteristiche e del loro valore intrinseco.
L’ideale per gli utenti sarebbe un regime di standard tecnologici aperti che permettano
di acquistare musica liberamente da qualsiasi fornitore senza doversi preoccupare del periodo di scadenza o della compatibilità con il proprio lettore. Finalmente anche le major
hanno incominciato a muoversi in questa direzione. Dal gennaio 2008 hanno incominciato a rilasciare le prime licenze per vendere brani senza DRM a Napster 2.0(13) e Amazon
e in brevissimo tempo centinaia di piattaforme hanno aderito all’iniziativa. L’alternativa
sarebbe stata di sviluppare DRM totalmente interoperabili, ma la mancanza di collaborazione da parte delle industrie tecnologiche ha costretto le quattro grandi a scegliere
questa via. Nel frattempo sono nate iniziative, come quella della Entertainment Retailers Association: con alcuni dei siti britannici di download più importanti, hanno avviato
l’adozione di un logo comune “MP3 compatible” da applicare sui lettori, ma soprattutto
per segnalare ai consumatori, nei digital music stores, che i file musicali acquistati funzioneranno su un’ampia gamma di dispositivi.
Come si può comprendere le vicende della musica al tempo del web sono in continuo divenire, è una storia che non ha ancora un finale.
(13) Dopo la chiusura la società è stata acquistata dal gruppo Roxio e rilanciata con un’offerta di musica
legale, recentemente è passata a BestBuy.
18
I nuovi modelli
di business
2.1 Modelli di business emergenti
Le major hanno finalmente preso atto dell’inesorabile declino dei supporti fisici e hanno
avviato nuove soluzioni per trovare un’alternativa valida ai vecchi assetti di mercato.
Attualmente stanno rilasciando licenze sulle varie piattaforme e in differenti formati e
stringono alleanze con partner diversi provenienti dai settori più coinvolti dal passaggio
tecnologico (telefonia, informatica, elettronica di consumo, grandi catene di retail e di fast
food) che confluiscono in questo mercato attratti dalle nuove prospettive.
Il riassetto generale delle case discografiche, grandi e no, prevede anche una progressiva
diversificazione delle fonti d’introito: viene offerta una più ampia gamma di prodotti e
inoltre viene valorizzata maggiormente l’offerta di contenuti in bundling. Il digitale non
è più un’entità separata ma viene integrato in tutti i prodotti e servizi che vengono offerti
al cliente. Una distribuzione oggi può apparire sotto forma di diversi prodotti: download,
CD, wallpaper per il cellulare, suoneria, biglietto elettronico, video musicale, servizio a
sottoscrizione. Le case discografiche hanno inoltre scoperto di poter raggiungere efficacemente vecchi e nuovi fan attraverso i social network.
Le innovazioni ovviamente non riguardano soltanto le case discografiche. Si diffonde la
tendenza da parte degli artisti di gestire per conto proprio il rapporto con i clienti, bypassando le funzioni che fino a poco tempo fa erano appannaggio esclusivo delle etichette,
grazie alla nascita di nuove piattaforme che si occupano di promozione e distribuzione da
un’ottica non più di tipo verticale. Più che un modello predominante all’orizzonte sembra
apparire una costellazione di modelli differenti e le proposte più innovative finora non
sono state di certo quelle partorite dalle major.
I download à la carte appaiono per ora il modello di business dominante, con iTunes alla
guida del settore, che dalla sua comparsa nel 2003 ha venduto più di cinque miliardi di
brani. Il servizio offre attualmente brani a 99 centesimi protetti da DRM, fatta eccezione
per quelli previsti dall’opzione iTunes Plus che ne sono privi, mentre il prezzo degli album è variabile.
Alcune piattaforme forniscono servizi aggiuntivi per rendere più appetibile la loro offerta.
Ad esempio Lala.com, disponibile per ora solo negli Stati Uniti, ha affiancato allo store
tradizionale un servizio di streaming gratuito che consente di ascoltare tutti i brani del
catalogo ed eventualmente di acquistarli in streaming. Lala inoltre si differenzia dagli
altri servizi poiché offre anche uno spazio dove poter caricare la propria musica, compresa quella “illegale”, per ascoltarla senza pericolo di ripercussioni legali, dato che ha già
siglato accordi con tutte le major e più di 175 mila etichette indipendenti.
20
2.2 Sottoscrizione
Anche se frenati negli ultimi anni dalla mancanza di interoperabilità con il lettore dominante (iPod) continuano a crescere i servizi a sottoscrizione, ad esempio Napster offre un
servizio di ascolti illimitati per 12.95 dollari al mese, così come Rhapsody (di RealNetwork) a partire da 12.99 dollari al mese. Oltre al piano di base questa piattaforma fornisce
anche il servizio Rhapsody to go che permette l’ascolto di musica in modalità portatile ma
solo su determinati dispositivi.
eMusic invece, attivo già dal 2000, offre per 10 sterline al mese un servizio di download in
formato MP3 senza DRM da un catalogo di oltre quattro milioni di brani provenienti da
27 mila etichette indipendenti, l’offerta però non è illimitata, l’utente può scaricare solo
30 brani al mese. Tale piattaforma si è specializzata su generi di nicchia poiché la mancanza di restrizioni l’aveva resa poco appetibile per le “quattro grandi”.
Il sito britannico Datz Music Lounge offre, al prezzo di 100 sterline l’anno, una chiavetta
USB e l’accesso illimitato al catalogo del sito di brani MP3 senza restrizioni ma per il momento ha raggiunto un accordo solo con EMI e Warner per cui probabilmente la tariffa è
destinata ad aumentare non appena Sony e Universal si aggiungeranno all’offerta.
Per quanto riguarda la mobile music tra i maggiori servizi c’è Comes with music lanciato
dalla Nokia in collaborazione con le quattro major e con The Orchard(14). Il servizio offre
a coloro che acquisteranno un telefonino della casa finlandese un accesso illimitato per
un anno a tutto il catalogo del music store, allo scadere del termine i clienti dovranno
decidere se rinnovare l’abbonamento o comprare le singole tracce. Intanto la Omnifone
sta già lanciando il diretto concorrente di questo servizio: Music Station Max che offrirà
sugli smartphone compatibili, oltre al traffico voce e dati, l’accesso a un archivio di 1.6
milioni di brani provenienti dai cataloghi delle quattro major, il servizio è gratuito per
il primo anno dopodiché il cliente dovrà decidere mensilmente se rinnovarlo. A questi
si aggiungerà a breve PlayNow Plus di Sony Ericsson, già lanciato con successo nei paesi del nord Europa in collaborazione con Omnifone, le quattro major e con migliaia di
case discografiche locali. Il servizio, della durata di sei mesi, prevede per 10 euro al mese
l’accesso a tutto il catalogo o 30 se si acquista anche il telefono, qualsiasi aggiornamento
effettuato sul cellulare viene automaticamente riportato sul PC e viceversa, al termine
della sottoscrizione vengono liberati 100 brani in versione DRM free mentre gli altri non
possono più essere ascoltati.
(14) Aggregatore di etichette indipendenti.
21
2.3 Advertising
Sono molte le piattaforme che finanziano in parte la propria attività con la vendita di spazi pubblicitari ma da qualche tempo sono sorte piattaforme che hanno fatto di quest’attività il proprio core business.
SpiralFrog con il suo catalogo di tre milioni di brani è ormai il più grande fornitore di
musica gratuita legale, i brani sono protetti da DRM e soggetti ad alcune restrizioni, ad
esempio non possono essere masterizzati, non possono essere ascoltati su più di due dispositivi (PC e lettore portatile) contemporaneamente e non sono compatibili con l’iPod.
Una volta iscritti per poter continuare ad ascoltare i brani bisogna accedere al sito almeno
una volta al mese.
Downlovers invece, on line dal 2007, è il più grande portale italiano di musica gratuita
con più di 250 mila utenti. Basta registrarsi per poter accedere al download durante il
quale viene trasmesso uno spot pubblicitario di 30 secondi dell’azienda partner, senza dover installare alcun software. Downlovers offre prevalentemente brani protetti da DRM
nel formato Windows Media Audio (incompatibile con iPod e Linux) ma sta rapidamente
espandendo il proprio catalogo con brani non protetti, inoltre è stata da poco inaugurata
una nuova sezione del sito chiamata Uplovers in cui le band emergenti possono caricare
la propria musica per cercare di ottenere visibilità a livello nazionale.
Deezer, con un milione di visitatori unici al giorno, è il principale sito francese di musica
gratuita in streaming. Grazie ai recenti accordi con Warner e Sony BMG la piattaforma
dispone di una libreria di oltre due milioni e mezzo di brani, ciascuno con un link per
l’acquisto sui siti partner, inoltre contiene radio organizzate per genere e un player esportabile in blog e pagine web per condividere playlist personalizzate. Deezer è inoltre una
community che permette di conoscere utenti con gli stessi gusti musicali e scoprire nuovi
artisti grazie alla funzione Smart Radio in stile Last.fm.
Altro interessante servizio musicale finanziato tramite i ricavi pubblicitari è We7, alla cui
realizzazione ha contribuito anche Peter Gabriel in qualità di socio finanziatore. Il sito
offre un servizio di streaming musicale gratuito, forte della collaborazione delle quattro
major principali e di centinaia di etichette indipendenti che partecipano al programma
The Orchard. Interi album e singoli brani scelti da un catalogo di milioni di canzoni possono essere ascoltati gratuitamente e condivisi con gli amici, mentre il download degli
MP3 è a pagamento. Per accedere ai brani, i cui primi dieci secondi contengono uno spot,
l’utente deve solo registrare un account gratuitamente, inoltre è persino prevista la possibilità, senza alcun costo aggiuntivo, di riscaricare lo stesso brano dopo un mese, questa
volta privo del messaggio pubblicitario iniziale.
Gli ideatori del sito svedese Spotify hanno invece pensato al pricing. Questa piattaforma
fornisce un servizio per l’ascolto di musica in streaming con la possibilità di condividere le proprie scelte e playlist con quelle di altri utenti, leggere le biografie degli artisti e
ascoltare le radio correlate. Oltre al servizio gratuito sponsorizzato dagli spot pubblicitari
22
I nuovi mdelli di business
2.3 Advertising
sul modello di Downlovers, la piattaforma offre altre due opzioni: la prima è l’acquisto di
un pass giornaliero per ascoltare i brani senza pubblicità, ideale per un utente saltuario,
mentre la seconda è un abbonamento mensile del costo di circa 10 euro che consente accesso illimitato e senza restrizioni. Il catalogo di Spotify è vastissimo (circa sei milioni di
brani dagli ultimi dati disponibili) ed è capace di mettere d’accordo sia il “rocker” che la
persona più “pacata” amante della musica classica. Spotify non è ancora usufruibile dagli
utenti italiani, gli unici stati supportati e geolocalizzati sono Spagna, Inghilterra, Finlandia, Norvegia e Francia. Il lancio nel nostro paese comunque non dovrebbe tardare. Ciò
che colpisce di Spotify è l’alta qualità audio dello streaming paragonabile e forse superiore
a quella di Last.fm. Ulteriore sorpresa di Spotify è lo streaming immediato dell’audio poiché “nasconde un segreto”: il servizio usa una tecnologia ibrida P2P. Non a caso il numero
degli utenti ha superato ampiamente i sei milioni (soprattutto inglesi e svedesi). Da settembre 2009 è disponibile anche Spotify Mobile, un client per iPhone/iPod Touch e per i
cellulari con sistema operativo Android, che offre la sincronizzazione tra PC e cellulare e
la modalità off line, che rende disponibili i brani musicali anche in assenza di connessione
Internet. L’applicazione è gratuita e sta agli utenti scegliere se optare per l’abbonamento
mensile o se continuare a usufruire del servizio solamente in streaming.
La piattaforma francese Jamendo si rivolge ad artisti emergenti, offrendo gratuitamente
sia l’ascolto di brani in streaming sia in download nel formato che si preferisce: tramite
HTML, la rete eDonkey o la rete BitTorrent. Basta iscriversi gratuitamente per avere
accesso anche alla community del sito. Gli artisti che pubblicano i loro lavori tramite
licenze creative commons(15) possono scegliere se farsi finanziare dagli sponsor, in questo
caso divideranno il ricavo al 50% con Jamendo, oppure decidere di adottare il modello a
donazione chiedendo un minimo di 5 euro ad album, di cui il 10% va alla piattaforma per
la commissione.
(15) Alcune licenze di diritto d’autore redatte e messe a disposizione del pubblico a partire dal 2002
dalla Creative Commons, un ente non profit statunitense. Queste licenze si ispirano al modello copyleft e
possono essere applicate a tutti i tipi di opere dell’ingegno.
23
2.4 Partnership con i brand
Un’altra tendenza che emerge dal diversificato panorama del mercato musicale contemporaneo è quella del connubio tra brand e case discografiche. Con il declino delle tradizionali forme di pubblicità su TV e radio infatti, la musica costituisce oggigiorno una grande
opportunità di raggiungere i consumatori. Marchi come Agent Provocateur e Joe Bloggs
ma anche Diesel, Yahoo!, Audi e Coca-Cola, sono divenuti consci del fatto che essa rappresenti un potente strumento comunicativo.
Ad esempio Sony BMG ha lanciato nel 2006 Musicbox, un network che offre gratuitamente una vasta libreria di video musicali, interviste ad artisti e performance live, preceduti
da brevi annunci pubblicitari di inserzionisti come AT&T, Honda, Chase, Puma, Starwood, MSN e L’Oreal.
In Gran Bretagna invece, nel 2007 la EMI, grazie a un accordo stipulato con VerveLife, ha
messo il suo catalogo a disposizione dei clienti della catena Burger King. Con determinati
ordini era associato un codice che, inserito in un apposito sito, dava diritto al download
gratuito di un brano libero da DRM, era presente inoltre un link che rimandava all’acquisto di altre tracce libere dal catalogo dell’etichetta. Nello stesso anno, sempre la EMI, in
collaborazione con 7digital, ha firmato una partnership con l’agenzia nazionale VisitBritain per promuovere la Gran Bretagna come meta turistica attraverso il suo patrimonio
musicale. Grazie a tale accordo sul sito visitbritain.com vengono ora proposti non solo
itinerari che ripercorrono i luoghi storici in cui grandi artisti come Beatles, Sex Pistols e
Pink Floyd hanno composto e tratto ispirazione per i loro lavori, ma anche itinerari legati
a festival e alla nuova scena musicale inglese, inoltre i visitatori del sito hanno la possibilità di acquistare la “colonna sonora” delle loro vacanze da un catalogo di circa 140 mila
brani.
Altro esempio è quello della Sony che, in joint venture con la società di comunicazioni Exposure, ha creato SBX, un’agenzia di comunicazione e consulenza artistica che si
occupa di gestione del marketing per il web, di assistenza per l’endorsement, il product
placement, le sincronizzazioni cinematografiche, televisive e pubblicitarie, ma anche di
concerti e attività dal vivo a livello europeo. Nell’aprile 2008, da una joint venture tra
Procter and Gamble e Island Def Jam Music Group è nata una nuova etichetta hip-hop,
la Tag Records, il cui lancio fa parte dell’iniziativa, da parte del brand TAG (una linea
di body spray), di coltivare un legame con la comunità urbana attraverso lo sviluppo di
programmi che forniscono opportunità per gli aspiranti nuovi artisti.
Ma non sono soltanto le label a intraprendere simili percorsi. Dalle grandi superstar ai
gruppi emergenti, sempre più musicisti stanno rivolgendo la loro attenzione al frangente
pubblicitario e alle sponsorizzazioni per massimizzare i profitti e ottenere una vasta esposizione. Ad esempio la G-Star RAW, una compagnia di abbigliamento tedesca, ha prodotto
l’ultimo disco degli Hypnotic Brass Ensemble; la band inglese Ben’s Brother ha ottenuto
un discreto successo negli Stati Uniti da quando un loro brano, Stuttering, è divenuto la
24
I nuovi mdelli di business
2.4 Partnership con i brand
colonna sonora dello spot delle gomme da masticare Dentyne Ice; mentre il duo inglese
Groove Armada, dopo aver abbandonato la Sony BMG, ha firmato un accordo con la Bacardi che prevede, oltre al rilascio di un album tramite l’etichetta del brand e la vendita
della musica attraverso tutte le piattaforme digitali senza perdere la proprietà dei diritti
discografici, l’esibizione esclusiva in una serie di eventi sponsorizzati. In cambio la Bacardi potrà usare le ultime tracce del gruppo nelle sue campagne pubblicitarie.
Tuttavia, sebbene il connubio tra marchi in cerca di credibilità e artisti in cerca di guadagni e notorietà possa sembrare perfetto, ci sono buone probabilità che contratti di questo
tipo rimangano pochi e distanti tra di loro. I brand infatti, che posseggono un notevole
potere mediatico e budget riservati al marketing sicuramente maggiori di quelli decrescenti delle case discografiche, cercano di associare il loro nome ad artisti di successo per
attrarre nuovi clienti e costruire fedeltà al brand. Sono poche le compagnie che rischierebbero nell’affidare la propria immagine ad artisti emergenti considerando i danni che
comporterebbe l’essere associati a un fallimento commerciale.
25
2.5 Il modello 360 gradi
Al giorno d’oggi il valore generato da un artista non risiede più interamente nella musica
in sé che, come abbiamo visto, può essere fruita da una moltitudine crescente di piattaforme a un costo ridotto rispetto al passato se non addirittura nullo. Alla luce di tale
tendenza le case discografiche cercano comprensibilmente di immettersi in quelle attività
che fino a pochi anni fa non erano di loro competenza proponendo alle band più promettenti contratti a 360 gradi. In questo tipo di contratti, il primo dei quali fu siglato nel 2002
dalla EMI con Robbie Williams, la musica non è altro che uno strumento di marketing per
attrarre i consumatori verso altri tipi di prodotti, essi permettono alle label di ottenere
una porzione dei profitti generati dalle performance live degli artisti, dal merchandising,
dall’endorsement, ecc. Ad esempio la popstar Madonna ha firmato lo scorso anno, con
l’agenzia promoter di concerti Live Nation, un contratto per 120 milioni di dollari. Il tipico contratto a 360 gradi prevede che all’etichetta discografica spetti:
•
il 90-95% delle vendite dei dischi;
•
il 10% degli introiti delle performance live;
•
il 10% degli introiti del merchandising.
In cambio esse si impegnano a promuovere gli artisti per un maggior periodo di tempo
cercando di sviluppare attivamente nuove opportunità per essi. Ad esempio i membri dei
Paramore, una band americana, si dicono soddisfatti del loro contratto con la Atlantic
Records poiché ricevono tutto il supporto di cui hanno bisogno e si sentono sollevati dalla
pressione di dover continuamente produrre hit. Grazie a questa nuova tipologia di contratti le etichette non dovranno più focalizzarsi esclusivamente sugli artisti in grado di
vendere grandi quantità di dischi, ma anche su quelli che riescono a firmare importanti
contratti di endorsement e su quelli, come ad esempio i Grateful Dead che, pur non vendendo una mole impressionante di dischi, riescono ad attrarre un gran numero di fan alle
proprie esibizioni live e a vendere merchandising in abbondanza.
La diffusione dei contratti a 360 gradi mostra come le industrie discografiche siano interessate alla differenziazione dei loro business per incrementare le opportunità trasversalmente su più mercati. Questo approccio olistico è in grado di creare una base di fan
altamente fidelizzati ma, prevedibilmente, ha generato non poco scetticismo tra gli artisti
e i manager che vedrebbero sacrificata una parte consistente dei loro guadagni, il loro
sospetto è che l’industria discografica stia cercando di far pesare su di loro il proprio fallimento nell’adattarsi alle nuove esigenze del mercato.
I contratti a 360 gradi sono potenzialmente molto redditizi per quanto riguarda il marketing ma in effetti, a meno che l’etichetta non offra dei benefici addizionali tangibili, potrebbe essere svantaggioso per un artista firmarne uno, anche perché è legittimo dubitare
che riescano a realizzare le loro promesse entrando in settori per loro nuovi.
26
2.6 Crowdsourcing
Artisti e gruppi emergenti cercano a loro volta di ottenere visibilità tramite canali alternativi come ad esempio il crowdsourcing. Questo termine (crowd + outsourcing) definisce
un modello di business in cui un’azienda richiede lo sviluppo di un prodotto o di un servizio a un gruppo di persone non già organizzate in un team. Una delle prime piattaforme
ad applicare questo concetto all’industria discografica è stata ArtistShare, che dal 2003
consentì ai fan di finanziare le registrazioni dei loro artisti preferiti in cambio della partecipazione al processo creativo.
Con il passare del tempo le piattaforme basate su questo modello di business sono aumentate, ad esempio nel 2006 è nato Sellaband, un sito tedesco che unisce le esigenze di
musicisti in cerca di una produzione professionale con quelle di appassionati disposti a finanziare ciò in cui credono. Il sito è strutturato in profili sui quali ogni band carica la propria musica per cercare di attrarre l’attenzione del maggior numero possibile di believers,
ossia i finanziatori. Ciascuno di essi può acquistare una o più delle 5 mila partecipazioni
(al prezzo di 10 dollari ciascuna) necessarie al raggiungimento del budget richiesto alla
realizzazione di una registrazione professionale (è prevista anche la possibilità di dirottare la propria quota su un altro soggetto nel caso che l’investimento iniziale si rivelasse
sbagliato). Una volta conclusa questa fase l’artista può entrare finalmente in studio, le
tracce registrate verranno quindi distribuite on line gratis, con l’ausilio della pubblicità
e gli introiti derivanti da quest’operazione, verranno ripartiti tra Sellaband, gli artisti e
tutti gli investitori, proporzionalmente alla quota sottoscritta in partenza.
Molto simile è il meccanismo alla base della piattaforma inglese Slicethepie: la band si
iscrive al sito e mette on line tre brani che vengono votati dagli utenti, ogni voto equivale
a 25 centesimi di sterlina recuperati. In seguito 20 band vengono selezionate, da talent
scout scelti tra gli utenti, per partecipare alla fase di finanziamento denominata “showcase”, durante la quale avranno due settimane di tempo per recuperare le 15 mila sterline
necessarie alla produzione dell’album. Su ogni album venduto in rete l’artista guadagna
il 37.5%, Slicethepie il 25% mentre il restante 37.5% va alla piattaforma distributrice.
Parallelamente a questo meccanismo però in Slicethepie c’è un mercato di trader che
vendono, comprano e si scambiano azioni per poter partecipare ai dividendi fruttati dalle
vendite degli album. Più aumenta il valore del gruppo più sale il valore delle azioni acquistate, inoltre le band possono offrire ai trader, per attirarne l’attenzione, percentuali sul
merchandising, sul ricavato dei concerti e sulle vendite dei dischi. Anche in questo caso,
come in Sellaband, l’autore mantiene tutti i diritti di copyright.
27
2.7 YouLicense: il modello di eBay
applicato alla musica
YouLicense è una piattaforma che unisce le esigenze di artisti e detentori di copyright che
desiderano promuovere la propria musica con quelle di pubblicitari, agenzie di eventi,
sviluppatori di videogame, registi, e chiunque altro sia in cerca di licenze musicali a un
prezzo accessibile. Gli artisti e i detentori del copyright possono offrire i propri lavori
gratuitamente, pagando una commissione del 9% quando le transazioni vanno a buon
fine oppure possono pagare una tariffa flat (30 dollari per gli individui e 60 per le organizzazioni) per offrire una quantità illimitata di musica per un periodo di sei mesi senza
dover pagare commissioni aggiuntive. I potenziali clienti cercano la musica adatta con un
motore di ricerca che prevede diversi parametri, una volta trovato il brano adatto fanno
un’offerta comprensiva di una descrizione dei loro propositi (il prezzo per la licenza di
un brano parte da un base di 20 dollari), il proprietario dei diritti riceve una mail e può
decidere se accettare, negoziare o rifiutare. Una volta che ci si è accordati sul prezzo (vengono contrattati individualmente soprattutto i diritti di sincronizzazione dato che non c’è
una quota prestabilita) e sulle condizioni, il denaro viene trasferito e YouLicense genera
un contratto con i termini dell’accordo facendo risparmiare a entrambe le parti considerevoli cifre in spese legali, a firma avvenuta viene generato un link per il download del
brano. Tutte le licenze sono non esclusive, nel senso che l’artista non perde i suoi diritti
sul brano. Questo modello, come quello di eBay, massimizza l’efficienza del mercato ed
elimina gli intermediari del processo ma soprattutto monetizza un flusso che altrimenti
sarebbe rimasto al di fuori del mercato. Infatti oltre a pubblicitari, registi, operatori telefonici, anche etichette discografiche come la DashGo e la RevolverRecords hanno creato
un profilo su YouLicense poiché questa piattaforma gli permette di raggiungere la long
tail del mercato delle licenze, inoltre tra i clienti di YouLicense ci sono studenti di scuole
di cinema che non dispongono certo di enormi budget, ma anche persone comuni che in
molti casi sono disposte a pagare 20-30 dollari la colonna sonora delle proprie vacanze per
non avere responsabilità legali.
28
2.8 Modelli di pricing: due case history
Si è già visto come un numero crescente di artisti emergenti scelga, in molto casi, di entrare nel business discografico senza il supporto di una vera e propria casa discografica. Di
recente si è verificata la tendenza opposta: alcune band all’apice del loro successo hanno
deciso di recidere i rapporti con le proprie etichette ritenendo di non avere ormai più bisogno delle loro prestazioni e hanno sperimentato un modello di pricing flessibile simile
a quello adottato da servizi musicali di nuova generazione come Amie Street, dove i brani
sono inizialmente disponibili gratuitamente e in seguito vengono venduti a un prezzo proporzionale al numero dei download da parte degli utenti.
La band inglese Radiohead ad esempio, dopo aver troncato i rapporti con la EMI, ha deciso
di distribuire in modo alquanto singolare il suo ultimo lavoro. L’album, intitolato In Rainbows, è stato pubblicato il 10 ottobre 2007 esclusivamente on line all’indirizzo inrainbows.
com, l’utente poteva decidere il prezzo o addirittura scegliere di scaricarlo gratuitamente.
Tale sistema era già stato sperimentato in passato ma mai da un gruppo di fama mondiale.
L’iniziativa ha riscosso immediatamente un enorme successo tanto che, nonostante l’opzione “pay what you want”, il giorno della sua uscita l’album è stato scaricato ugualmente
400 mila volte dai siti di file sharing.
Progressione dei download dell’album In Rainbows dei Radiohead nei primi 15 giorni di disponibilità sul web.
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I nuovi mdelli di business
2.8 Modelli di pricing: due case history
Quando il 3 dicembre uscì nella versione discbox (In Rainbows più un CD di bonus track e
due dischi in vinile al prezzo di 57 euro) l’album è continuato ad andare a ruba vendendo
complessivamente 3 milioni di copie, di cui 1.75 milioni solo del formato fisico. L’operazione ha consentito inoltre la vendita di 1.2 milioni di biglietti per il tour e nel frattempo
In Rainbows è stato ascoltato 17 milioni di volte solo su Last.fm.
In maniera molto simile la band statunitense dei Nine Inch Nails ha deciso di pubblicare
in rete Ghosts I-IV, un quadruplo disco di 36 canzoni ottenibile in cinque diverse modalità:
• download gratuito dei primi nove brani dell’album sotto forma di MP3 ad alta qualità;
• download a 5 dollari dell’intero album più il booklet in PDF e alcuni contenuti extra;
• acquisto a 10 dollari dell’intero album su due compact disc (chi sceglieva questa
opzione poteva automaticamente scaricare gratis anche l’intero album in formato
digitale);
• acquisto dell’intero album in edizione deluxe comprensiva di due Compact Disc, un
DVD contenente tutte le canzoni in multitraccia (per chi volesse effettuare dei remix), un disco blu-ray con l’album ad altissima definizione, una serie di diapositive
che ne accompagnano l’ascolto e un libro illustrato di 48 pagine a 75 dollari. Anche
in questo caso era previsto il download gratuito e l’album digitale;
• acquisto della super edizione deluxe a 300 dollari, oltre a tutto ciò contenuto nella
versione deluxe includeva anche quattro album in vinile e una raccolta di stampe
d’arte a tema. Ne erano disponibili solo 2.500 copie numerate e firmate dal leader
della band.
Nei primi giorni il sito che ospitava l’operazione è andato in tilt a causa dell’alto numero
di download e l’edizione da 300 dollari è andata sold out in meno di due giorni generando un ricavo istantaneo di 750 mila dollari. Gli esperimenti sono andati dunque a buon
fine, entrambe le band hanno bypassato molti costi di promozione, guadagnando così una
fetta maggiore degli introiti. Oltre all’immediato successo commerciale esse hanno anche
ottenuto la possibilità di monetizzare il flusso di visitatori attraverso altri modelli di business (pubblicità, merchandising, biglietti di concerti e edizioni limitate degli album), a
ulteriore dimostrazione del fatto che la musica registrata sta diventando sempre più uno
strumento promozionale per altre fonti d’introito, inoltre, grazie a un’offerta vasta e differenziata, hanno saputo catturare, per quanto bassa essa sia, la domanda per le versioni
costose degli album. Un fattore determinante, oltre alla notevole risonanza mediatica
dovuta all’originalità della trovata, è stata la popolarità ex-ante (per usare le parole di
Blackburn) degli artisti in questione, una band sconosciuta avrebbe sicuramente ottenuto risultati ben diversi.
30
Il vero impatto
della pirateria
3.1 I modelli di misurazione
La cosiddetta pirateria del peer to peer o file sharing, come si è già visto nel primo capitolo, è stata indubbiamente uno dei fattori che più ha influito sul mutamento del mercato
discografico ma di cui la reale portata non è stata ancora quantificata con certezza. Negli
ultimi dieci anni infatti, gli studi sul rapporto tra il file sharing e l’andamento delle vendite dei supporti fisici si sono protratti senza giungere a un esito condiviso, la comunità
accademica risulta ancora scissa in due correnti prevalenti: da un lato quelli che sostengono la tesi che la pirateria abbia contribuito, in maniera più o meno significativa, al declino
delle vendite dei supporti fisici, come ad esempio Blackburn, Michel, Liebowitz, mentre
dall’altro, studiosi come Oberholzer e Strumpf, Boorstin e Hong hanno escluso l’esistenza
di un simile rapporto causale, sostenendo addirittura, in alcuni casi, che il download di
musica protetta da diritto d’autore incentivi la vendita dei supporti fisici. Questa varietà
di posizioni è del resto comprensibile data la complessità dell’oggetto di studio. La carenza di dati certi, la quantità di reti P2P e la difficoltà nel monitorarle, l’influenza di fattori
esterni e la difficoltà nell’elaborare un tasso di sostituzione tra album scaricati e acquisti
mancati attendibile, sono solo alcuni dei fattori che ostacolano un’analisi oggettiva del
file sharing.
Uno dei primi tentativi empirici di dimostrare l’effetto di sostituzione della musica illegale sulle vendite di dischi fu quello preparato nella battaglia legale contro Napster da
Nielsen SoundScan (società che tuttora detiene il monopolio sull’informazione essendo
la sola a tracciare le vendite al dettaglio) che sviluppò un sistema informatico in grado di
raccogliere i dati in più di 18 mila punti vendita(16) sparsi su tutto il territorio statunitense. SoundScan comparò, mediante il metodo “difference in difference”, i dati del primo trimestre per gli anni 1997, 1998, 1999 (quando Napster non era ancora disponibile) e per il
2000, catalogando i punti vendita in tre categorie: quelli nel raggio di un miglio da college
o università qualsiasi, quelli entro un miglio di distanza dalle 40 università maggiormente cablate e quelli vicino le università in cui, dopo il primo trimestre del 2000, Napster era
stato proibito. Tra il primo trimestre 1999 e il primo trimestre 2000 le vendite a livello
nazionale erano aumentate del 6.6%, vicino le università erano diminuite del 2.6%, vicino
le università maggiormente cablate erano diminuite del 6.2% e nei pressi delle università
in cui Napster era stato proibito erano diminuite dell’8.1%. Al di là dell’evidenza immediata però i risultati di questa ricerca posero alcuni interrogativi. Come notato da Fader
[2000] infatti, le vendite nei pressi delle università, in controtendenza rispetto al resto
della nazione, erano già in declino dal 1998, quando Napster non era ancora disponibile.
In un lavoro successivo Zentner [2003] ha studiato l’effetto del download sulle vendite di
dischi mettendo in relazione l’accesso a Internet con l’acquisto di musica. Egli ha utiliz-
(16) Negozi di dischi, centri commerciali, Internet Music Store, concerti e vendite per corrispondenza.
32
Il vero impatto della pirateria
3.1 I modelli di misurazione
zato i dati di vendita IFPI per 71 paesi nel periodo 1997-2002, e una cross section sull’uso
di Internet svolta in Europa nell’ottobre 2001 su un campione di 15 mila persone fornita
dall’International Telecommunication Union (ITU), un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite che si occupa di definire gli standard nelle telecomunicazioni e nell’uso delle
onde radio. L’autore, utilizzando il metodo della regressione lineare, ha riscontrato una
correlazione negativa tra l’uso della banda larga e l’acquisto di musica concludendo che la
pirateria riduce del 30% la probabilità di acquistare musica legalmente. Quindi, dato che
il 15% della popolazione scarica file musicali, che i downloaders hanno una probabilità
doppia di acquistare musica rispetto ai non downloaders, e che, sempre secondo le sue
assunzioni, i downloaders e i non downloaders acquistano la medesima quantità di unità,
giunge ad affermare che in assenza della pirateria le vendite di dischi nel 2002 sarebbero
state maggiori del 7.8%.
Per misurare l’impatto del file sharing sulle vendite di dischi Oberholzer e Strumpf
[2004], invece, mettono in correlazione i dati sul download forniti da due server del sistema P2P OpenNap con i dati forniti da Nielsen SoundScan, per un periodo di 17 settimane.
Nel tentativo di eliminare la correlazione di base tra download e vendite, che altrimenti
porterebbe a errori di valutazione, svolgono un’analisi preventiva servendosi di variabili
come ad esempio la lunghezza della traccia (che influenza le dimensioni del file e la velocità del download ma è costante nel tempo e varia tra gli album), la congestione della
rete e lo spostamento esogeno nell’offerta di album (che variano nel tempo e influenzano
tutti gli album allo stesso modo). Essi giungono alla conclusione che l’effetto sulle vendite è statisticamente indistinguibile da zero e che tale evidenza è plausibile dato che le
industrie del software, del cinema e dei videogame stanno continuando a crescere nonostante anch’esse siano vittime del file sharing. Secondo i due autori le motivazioni reali
del declino nelle vendite degli album possono essere rintracciate in altri fattori, come ad
esempio: la riduzione dell’offerta di album, la crescente competizione di altre forme di intrattenimento (progressi nella grafica dei videogiochi e diminuzione del prezzo dei DVD),
una riduzione nella varietà di musica e una probabile reazione dei consumatori contro
le tattiche dell’industria discografica. Essi sottolineano inoltre il fatto che simili declini
si registrarono anche alla fine degli anni ’70 e nei primi anni ’80 e che le vendite elevate
degli anni ’90 potrebbero essere state sovrastimate a causa dell’effetto di sostituzione del
CD sugli altri formati. È l’effetto bolla come ci si è permessi di definire nel primo capitolo.
Per misurare l’effetto della pirateria sulle vendite di CD Peitz e Waelbroeck [2004] usano
una cross section riguardante il periodo 1998-2002, mettendo in correlazione i dati sulla
vendita di musica dell’IFPI World Report 2003 per i 16 paesi che rappresentano insieme
più del 90% del mercato mondiale, con i dati sul download della IPSOS REID, un istituto
che si occupa di ricerche di mercato. I due studiosi tentano un esame più approfondito di
alcuni dei fattori additati da Liebowitz [2003] come potenziali cause alternative del declino dei download, tra cui il peso dei redditi e dell’ambiente economico e la sostituzione con
altri media e altre forme di intrattenimento. Per i primi due adottano come indicatore il
Prodotto Interno Lordo, mentre per il terzo si servono dei dati sulla penetrazione di DVD
e di lettori musicali digitali nelle famiglie. Essi riscontrano un effetto positivo del reddito
(misurato in crescita del PIL) sulle vendite di musica e un effetto negativo dei dispositivi
digitali. Anche la penetrazione di banda larga ha un effetto negativo ma meno evidente
della variabile download poiché a essa, oltre al downloading, sono associate un gran numero di attività come ad esempio: l’ascolto di radio in streaming, la creazione di contenuti
on line, l’acquisto di prodotti da stores telematici, il browsing, ecc. Essi concludono affer33
Il vero impatto della pirateria
3.1 I modelli di misurazione
mando che il download possa aver causato una riduzione delle vendite del 20% a livello
globale nel periodo considerato.
Blackburn [2004] invece, mette in correlazione i dati forniti da Nielsen SoundScan, rilevati in 14 mila punti vendita sparsi su tutto il territorio statunitense, con i dati sul
download di BigChampagne, una compagnia privata specializzata in statistiche dei media, la quale aveva tracciato le attività sui cinque maggiori network di file sharing(17) da
settembre 2002 a settembre 2003. Inizialmente il risultato non si discosta molto dalle
conclusioni di Oberholzer e Strumpf [2004], egli non riscontra infatti nessuna correlazione significativa tra il file sharing e le vendite di dischi. In seguito però, partendo dal
presupposto che i costi e i benefici del file sharing non possono essere considerati allo
stesso modo per tutti gli artisti, costruisce un indice della popolarità, servendosi delle
classifiche settimanali Billboard Top 200 dal 1992 al 2002, in relazione al quale stimare
l’effetto del fenomeno. I risultati così ottenuti mettono in risalto un effetto distributivo
del file sharing. Gli artisti più famosi, per i quali prevale l’effetto sostituzione, sono maggiormente danneggiati dal fenomeno del file sharing, mentre per gli artisti “emergenti”
prevale un’esternalità positiva di rete che Blackburn definisce “effetto penetrazione”. È
vero quindi che l’effetto medio su tutti gli artisti è essenzialmente nullo e che le vendite
degli artisti meno conosciuti stanno aumentando grazie al file sharing, tuttavia l’impatto
complessivo sull’industria discografica non può che essere negativo visto che si basa quasi
esclusivamente sulle vendite dei dischi degli artisti più noti.
Boorstin [2004], servendosi di un modello a effetti fissi, combina i dati sulle caratteristiche della popolazione della Current Population Survey (CPS)(18) dell’ufficio per il censimento statunitense, con i dati sulle vendite di CD forniti da Nielsen SoundScan per gli
anni 1998, 2000, 2001. La sua ricerca mostra come a differenti gruppi demografici corrispondano diversi modi di servirsi del file sharing, infatti per il gruppo dai 15 ai 24 anni
d’età l’effetto di Internet è correlato negativamente con le vendite di dischi mostrando
come per i giovani prevalga l’effetto sostituzione, come aveva del resto riscontrato anche
Liebowitz [2003], mentre per gli adulti sembra prevalere l’effetto sampling visto che sia
per il gruppo da 25 a 44 che per quello da 45 in poi la correlazione risulta positiva. Dato
che i gruppi d’età più avanzati rappresentano la proporzione maggiore della popolazione
egli conclude sostenendo che il file sharing non è la causa del recente declino dell’industria discografica e che il suo effetto complessivo sulle vendite è positivo.
Per quantificare i cambiamenti nella spesa delle famiglie per la musica registrata Hong
[2004] usa i dati della Consumer Expenditure Survey del dipartimento americano per le
Statistiche sul lavoro (BLS), che contiene informazioni dettagliate su spesa e dati demografici. Egli tenta di quantificare i cambiamenti attribuibili a Napster usando tre approcci
differenti. In un primo momento quantifica l’effetto direttamente, servendosi del metodo
“difference in difference”, e considera le famiglie con l’accesso a Internet come gruppo
sperimentale e quelle che ne sono prive come gruppo di controllo, dopo aver sottratto le
variazioni dovute all’effetto del tempo trova che la spesa trimestrale della famiglia media
statunitense è diminuita di 2.46 dollari a causa dell’uso di Internet e, probabilmente, di
(17) In quel periodo erano: Kazaa, Grokster, eDonkey, iMesh e Overnet.
(18) Le interviste per il CPS vengono condotte mensilmente su un campione di 50 mila famiglie,
l’obbiettivo principale è quello di fornire dati sulla forza lavoro ma include anche domande sull’uso di
Internet e del computer.
34
Il vero impatto della pirateria
3.1 I modelli di misurazione
Napster, e mostra che ciò ha influito per il 33% sul declino totale delle vendite di dischi
nel 2000. In secondo luogo, calcolando l’elasticità incrociata della domanda di altri beni
d’intrattenimento da parte delle famiglie, afferma che i cambiamenti nei prezzi di questi
ultimi hanno pesato nel 2000 per il 37% del crollo delle vendite di dischi. Infine raggruppando la popolazione per fasce d’età scopre che gli adulti hanno comprato un maggior
numero di dischi negli anni ’90, probabilmente per aggiornare le loro collezioni di LP. Tale
fenomeno, che egli chiama “effetto di transizione”, avrebbe causato un anomalo aumento
delle vendite e un conseguente calo del 44.7%, solo nel periodo 1999-2000. Questi ultimi
due metodi mostrano come il metodo “difference in difference” possa essere influenzato
da fattori esterni e, per questo, non riuscire a cogliere appieno in che misura il file sharing
abbia influenzato le variazioni nella spesa per la musica registrata delle famiglie, inoltre
più dell’80% del declino delle vendite di dischi può essere spiegato con fattori che non
hanno nulla a che fare con Napster.
Michel [2006] adotta un approccio molto simile a quello di Hong [2004]. Anch’egli, servendosi dei dati estrapolati dalla Consumer Expediture Survey, mette in relazione il possesso del computer, con la spesa per l’acquisto di musica, nel periodo 1998-2003, utilizzando il metodo “difference in difference” per comparare sia il gruppo sperimentale (ossia
le famiglie che possiedono un computer) che il gruppo di controllo (le famiglie che non
ne possiedono uno) prima e dopo un dato evento (l’avvento di Napster). Egli giunge alla
conclusione che il file sharing potrebbe aver causato un declino del 13% nell’acquisto di
dischi da parte degli utenti. Anche qui, come in Hong [2004], l’aspetto di maggiore interesse riguarda la sua strategia di identificazione del fenomeno, è difficile fidarsi di stime
che dipendono dall’assunzione che le differenze negli acquisti tra possessori di computer
e no, possa essere attribuita interamente al file sharing, proprio perché il possesso di un
computer può essere associato a innumerevoli altre caratteristiche e attività.
In un lavoro successivo Liebowitz [2006] mette in relazione il file sharing con le vendite di
dischi per 99 città statunitensi, prendendo in considerazione il periodo dal 1998 al 2003.
Anch’egli, come Boorstin [2004] estrapola i dati sul consumo di Internet dalla Current
Population Survey (CPS) e adopera i dati sulle vendite di CD forniti da Nielsen Soundscan. Avendo scelto la penetrazione di Internet come indicatore del file sharing, compie
un’analisi preliminare per verificare eventuali effetti di questa caratteristica indipendenti dal file sharing e afferma che nel periodo in considerazione l’effetto generico di Internet
ha causato un declino nelle vendite di circa 7-13%. Nonostante questa distinzione, conclude che la riduzione delle vendite dovute al file sharing è maggiore del declino rilevato
dalle statistiche ufficiali e che senza il file sharing il mercato discografico sarebbe addirittura cresciuto. Come ulteriore verifica di tali risultati ripete l’analisi per diversi generi
musicali riscontrando le perdite maggiori in generi come rock, alternative, rap e R&B che
per motivi demografici hanno più affinità con il file sharing, e perdite più contenute per
generi come classica e jazz.
Anche Andersen e Frenz [2007], in uno studio commissionato da Industry Canada(19),
mettono in relazione il fenomeno del file sharing con le vendite di musica, basandosi su
un’inchiesta svolta telefonicamente dalla Decima Research(20) nel 2005 su un campione di
(19) Dipartimento del governo canadese che si occupa di sviluppo economico, investimenti, innovazione e
R&S.
(20) Società canadese che si occupa di ricerche di mercato e opinione pubblica.
35
Il vero impatto della pirateria
3.1 I modelli di misurazione
circa due mila cittadini canadesi. La scelta di servirsi di interviste è dovuta al fatto che,
a loro avviso, nessuna statistica ufficiale coglie la vera domanda e il vero prezzo, data la
frammentazione del mercato discografico (on line, seconda mano, edicole, negozi tradizionali). Esse adottano il metodo della regressione lineare considerando come variabile
dipendente il numero di CD acquistati, inoltre suddividono l’effetto del P2P in “effetto
sostituzione” ed “effetto sampling”, il quale a sua volta viene suddiviso in “segmentazione del mercato” (coloro che scaricano perché non vogliono l’intero album) e “creazione
del mercato” (coloro che vogliono ascoltare i brani prima di acquistarli). In nessuno dei
casi riscontrano una qualsiasi correlazione statisticamente significativa con il numero
di CD acquistati in Canada nel 2005. Dai dati emerge inoltre una correlazione negativa
tra la risposta “album troppo costoso” e l’acquisto di CD sebbene la correlazione con il
reddito dei rispondenti non indichi nessun rapporto di causalità. Tale evidenza le spinge
ad affermare che le persone abbiano differenti elasticità individuali, anche nella stessa
categoria di prezzi, inoltre, in contraddizione con molti studi precedenti, altri beni d’intrattenimento come DVD, videogame, biglietti cinematografici e concerti non sarebbero
in competizione con l’acquisto dei CD, al contrario, coloro che spendono di più per tali
beni acquistano anche un maggior numero di dischi. Secondo i loro risultati i download
illegali funzionerebbero da traino per l’acquisto dei CD in una misura quantificabile in
0.44 CD in più all’anno per ogni download mensile.
In uno studio pubblicato dall’Institute for Policy Innovation, un ente non profit statunitense che si occupa di politiche pubbliche, Siwek [2007] quantifica l’effetto a cascata che
la pirateria musicale avrebbe provocato sull’economia statunitense nel 2005. Lo studioso
parte dal presupposto che le perdite causate in termini di ricavi e profitti rappresentano
solo una frazione dell’impatto complessivo del fenomeno sull’economia. Oltre al danno
arrecato ai detentori dei diritti di proprietà intellettuale e gli introiti persi da distributori
e rivenditori, infatti, bisogna considerare che i cambiamenti nell’offerta e nella domanda
delle industrie del comparto discografico influenzano l’offerta e la domanda delle industrie connesse.
36
Il vero impatto della pirateria
3.1 I modelli di misurazione
Ricavi persi
dall’indusria a
causa della pirateria
globale
Potenziali ricavi
ottenuti in assenza
della pirateria
Aumento di
produzione
discografica
Incremento degli
acquisti di altri beni e
servizi da parte delle
altre industrie
Incremento degli
acquisti di altri beni e
servizi da parte delle
industrie di 2° livello
Incremento di
occupazione ed
entrate nel settore
discografico
Incremento di
occupazione ed
entrate per le altre
industrie
L’albero dei ricavi persi di Siwek.
37
Il vero impatto della pirateria
3.1 I modelli di misurazione
Inoltre egli considera il peso di tali perdite in termini di posti di lavoro persi e di mancate
entrate fiscali.
Poteziali ricavi
provenienti in
assenza di pirateria
Tasse di produzione
pagate dalle società
discografiche
Aumento di
produzione
discografica
Incremento degli
acquisti di beni
e servizi da altre
industrie
Incremento degli
acquisti di beni e
servizi da parte delle
industrie di 2° livello
Tasse sul reddito
pagate dalle industrie
di 2° livello
Imposte sul reddito
pagate dalle società
discografiche
Incremento di
occupazione ed
entrate nel settore
discografico
Incremento di
occupazione ed
entrate per le altre
industrie
Tasse sul reddito
pagate da altre
industrie
Incremento di
imposte sul reddito
pagate dagli impiegati
Incremento di imposte
sul reddito pagate dagli
impiegati nel settore
L’albero dei potenziali ricavi di Siwek.
La parte più interessante di questo lavoro, ai nostri fini, è quella in cui Siwek compie una
stima dei danni causati dalla pirateria fisica, partendo dalle cifre del Global Recording
Industry in Numbers 2006 pubblicato dall’IFPI. Il risultato a cui arriva misura le perdite
dirette dell’industria discografica mondiale nel 2005 pari a più di sei miliardi di dollari.
38
3.2 Contributi e limiti
Gli studi fin qui descritti sono tra i più autorevoli in materia e contribuiscono in modo
determinante al dibattito sui reali effetti della pirateria. Nonostante l’eterogeneità delle conclusioni, grazie a essi si delinea un panorama che permette di individuare gli
aspetti che necessitano di un ulteriore approfondimento e i punti deboli che la ricerca
futura dovrà superare al fine di ottenere una descrizione del fenomeno sempre più aderente alla realtà.
Blackburn [2004], ad esempio, mostra come quasi tutte le analisi trascurino un presupposto fondamentale, ignorano cioè il fatto che i costi e i benefici del file sharing
non possono essere considerati univocamente per tutti gli artisti e che a determinare
l’influenza positiva o negativa del file sharing è la notorietà dell’artista. Egli mostra
che per il 75% di essi il file sharing causa un aumento nelle vendite e che solo per il
restante 25%, costituito dai più famosi, prevale l’effetto sostituzione. Boorstin [2004]
invece sottolinea l’importanza del fattore demografico, egli mette in evidenza come per
le fasce più giovani prevalga l’effetto sostituzione mentre gli utenti in età più avanzata
si servono del file sharing prevalentemente come strumento di esplorazione dei contenuti musicali. Questo aspetto è stato successivamente preso in considerazione anche da
Liebowitz [2006] che ha misurato l’incidenza del fattore demografico indirettamente,
attraverso i generi musicali, giungendo alle stesse conclusioni del suo predecessore. Sia
Oberholzer e Strumpf [2004] che Hong [2004] mettono in evidenza un altro elemento
che troppo spesso viene trascurato nel dibattito sul file sharing. I primi parlano di “effetto sostituzione” mentre il secondo di “effetto di transizione” ma entrambi gli studi
si riferiscono a quello che più comunemente viene definito “effetto collezionabilità” (o
“effetto library”). Dopo l’introduzione del CD infatti, vi fu un’esplosione delle vendite
in gran parte dovuta a coloro che intendevano rimpiazzare le collezioni di cassette o LP
con il nuovo formato, per cui una parte del declino delle vendite è sicuramente dovuto
anche alla fine di questo effetto.
Un altro elemento fondamentale che emerge è il ruolo ambiguo che la concorrenza degli altri beni d’intrattenimento ha avuto sul declino delle vendite di dischi. Liebowitz
[2003] aveva già indagato sull’incidenza dei prezzi dei beni sostituti senza però rilevare
alcun effetto significativo, ma i lavori successivi di Oberholzer e Strumpf [2004] e Hong
[2004] presentano risultati che contraddicono le sue conclusioni. I primi affermano che
la crescente competizione di videogiochi e DVD è una delle cause del declino, mentre
Hong sostiene che la domanda di tali beni d’intrattenimento è responsabile per il 37%
del declino delle vendite, infine, Andersen e Frenz [2007] trovano che l’acquisto di altri
beni d’intrattenimento è correlato positivamente con l’acquisto di CD. Ancora una volta la varietà di posizioni induce a riflettere sulla necessità di approfondire un aspetto
cruciale per la comprensione del fenomeno.
Ciascuno di questi studi presenta tuttavia alcuni punti deboli. Zentner [2003] ad esem39
Il vero impatto della pirateria
3.2 Contributi e limiti
pio, nel suo studio ha considerato il download come una variabile binaria, e questo non
gli ha permesso di cogliere appieno l’intensità del fenomeno. Egli inoltre presumeva che
i downloaders avessero in media il doppio di probabilità di acquistare musica rispetto
ai non downloaders, ma non considerava che tale propensione potesse essere correlata
positivamente con il downloading (il cosiddetto sampling), se ciò fosse vero sarebbe
stato un errore moltiplicare la riduzione delle vendite, dovuta al downloading, con la
propensione dei downloaders ad acquistare poiché avrebbe indotto a sovrastimare le
perdite dovute al fenomeno [Pollock, 2006].
Per l’originalità dei suoi risultati, lo studio di Oberholzer e Strumpf [2004] ha suscitato
un grande dibattito. Liebowitz [2007] lo ha criticato dettagliatamente, mentre il direttore della divisione ricerche dell’IFPI, Keith Jopling, ne ha sottolineato la debolezza
di metodologia visto che gli autori hanno scelto come periodo di riferimento l’ultimo
trimestre dell’anno, periodo in cui le vendite sono influenzate dalle festività natalizie.
Altro punto debole di questo studio risiede nel metodo usato per stimare l’effetto del
download sulle vendite legali: Oberholzer e Strumpf registrano i cambiamenti in modo
simultaneo (che effetto ha avuto il download in una determinata settimana sulle vendite di quella stessa settimana) ma ciò risulta azzardato, viceversa è molto più plausibile
ritenere che l’eventuale sostituzione sia distribuita nel corso tempo. Infine, essi accostano la pirateria musicale a quella dei videogame e dei software ma tale similitudine è
fuorviante in quanto nel primo caso le società produttrici, al di là della perdita economica immediata, ricevono benefici dalla massiccia diffusione dei loro prodotti, come ad
esempio un aumento della propensione all’acquisto di console, nel secondo caso invece,
i produttori di software in maniera simile, giovano di una maggiore attrattiva sui consumatori dovuta alle esternalità positive di rete che si creano grazie alla diffusione su
vasta scala dei loro prodotti grazie alle reti P2P.
Molti di questi studi spesso sono incentrati sulla correlazione tra due fenomeni (le vendite di dischi e la penetrazione di banda larga; le vendite di dischi e l’uso di Internet
o il numero di brani scaricati; il possesso del computer e la spesa per la musica), ma
tali correlazioni non sono perfettamente in grado di cogliere l’entità del fenomeno. Ad
esempio il numero di brani scaricati [Oberholzer e Strumpf, 2004; Peitz e Waelbroeck,
2004; Blackburn, 2004], che in apparenza sembrerebbe l’indicatore più adeguato alla
descrizione della pirateria, non dice in realtà molto su di essa poiché non esiste ancora
un tasso di sostituzione realistico tra brani scaricati e mancati acquisti. Viene infatti
troppo spesso ignorata la possibilità del sampling, ossia che molti ascoltino precedentemente i brani prima di decidere quali acquistare, e questo espone gli studi che adottano questo metodo al rischio di errori di interpretazione dei dati. Anche l’accesso a
Internet [Boorstin, 2004; Hong, 2004; Liebowitz, 2006] e la penetrazione di banda larga
[Zentner, 2003], non sembrano indicatori affidabili dato che, come sottolineato anche
da Peitz e Waelbroeck [2004], adottare la penetrazione di banda larga come indicatore
del file sharing è fuorviante poiché a essa sono riconducibili una miriade di attività che
hanno a che fare con il budget time dell’utente e questo influenza la relazione che si sta
cercando di evidenziare. Un discorso analogo sarebbe valido anche nel caso in cui l’indicatore prescelto fosse il possesso del computer [Michel, 2006].
Un altro elemento che occorre evidenziare è la questione delle fonti. Nonostante non
appaia nessun andamento prevalente nel rapporto tra fonti e risultati, non si può fare
a meno di notare come nessuno degli studi che sostiene la neutralità o il contributo
positivo della pirateria nei confronti dell’industria discografica si serva dei dati IFPI
40
Il vero impatto della pirateria
3.2 Contributi e limiti
e che, studi come quelli di Michel [2006], basato sulla Consumer Expenditure Survey
del dipartimento americano per le Statistiche sul lavoro, o di Blackburn [2004], basato
su dati Nielsen SoundScan, pur conferendo un ruolo negativo alla pirateria presentano
risultati molto meno drastici di quelli dei colleghi che hanno fatto uso dei dati della
Federazione Internazionale dell’Industria Fonografica. Questa circostanza non stupisce più di tanto, è comprensibile infatti che gli istituti ufficiali tendano a elaborare e
presentare i dati nella maniera più congeniale alle proprie posizioni [Liebowitz, 2003],
come ad esempio la RIAA che, per calcolare le perdite complessive dovute alla pirateria,
usa il prezzo medio e non l’effettivo prezzo di transazione [Hong, 2004]. Questo discorso
è valido anche per lo studio di Siwek [2007] in cui si afferma che la pirateria (sia fisica
che digitale) ha causato 5.33 miliardi di dollari di perdite ai distributori statunitensi
e 1.04 miliardi di dollari ai rivenditori al dettaglio, il che equivarrebbe a mancati guadagni rispettivamente del 38.9% e del 19.9% del fatturato del 2005, risultati che tutto
sommato non distano eccessivamente da quelli degli altri studi analizzati. Il problema
è che, per quanto riguarda la stima delle perdite dovute alla pirateria digitale, il tasso
di sostituzione preso in prestito da Peitz e Waelbroeck [2004] viene applicato in modo
errato, i due studiosi sostenevano infatti che la riduzione causata dai download fosse del
20% nell’arco di quattro anni mentre Siwek lo applica rispetto a un solo anno. Seguendo
questo ragionamento i risultati di Siwek sarebbero stati ben diversi.
Nonostante il report di Siwek sia stato pubblicato da un istituto indipendente come
l’IPI, Siwek è noto per le sue precedenti collaborazioni con l’IIPA, la WIPO(21) e la NBC
Universal. Con ciò non si intende affermare che l’inesattezza appena descritta sia stata
intenzionale, ma soltanto che troppo spesso l’oggettività degli studi risente dell’ambiente in cui si opera.
Occorre però riflettere anche sulle scelte metodologiche di studi come quello di Andersen e Frenz [2007] le quali, come abbiamo visto, hanno svolto la loro ricerca sulla base
di interviste telefoniche svolte dalla Decima Research. Il problema è che agli intervistati
venivano poste domande dirette, oltre che sulla spesa per la musica registrata, anche
sulla quantità di musica registrata scaricata dalla rete, e per questo è legittimo sospettare che gli utenti non siano stati del tutto sinceri visto che comunque il file sharing
costituisce ancora un reato.
(21) Rispettivamente: International Intellectual Property Alliance e World Intellectual Property
Organization.
41
3.3 Fattori che ostacolano
lo studio del fenomeno
Abbiamo constatato l’esistenza di un divario tra i risultati dei vari studi che si sono occupati di pirateria che vede da un lato quelli che affermano la totale estraneità del fenomeno al
declino delle vendite dei supporti fisici [Oberholzer e Strumpf, 2004] o addirittura un suo
contributo positivo a tali vendite [Boorstin, 2004; Andersen e Frenz, 2007], mentre dall’altro
quelli che sostengono che rispetto a tale declino la responsabilità della pirateria sia, in maniera più o meno intensa, preponderante [Zentner, 2003; Peitz e Waelbroeck, 2004; Siwek,
2007]. In base agli elementi emersi dalla ricognizione della letteratura si può affermare che
entrambe le posizioni siano irrealistiche, certamente il fenomeno esiste e ha avuto un certo
peso nel determinare il calo delle vendite dei supporti fisici, ma tale ruolo non è stato così
rilevante come la maggior parte degli studi tende ad asserire. L’equazione tra il fenomeno
della cosiddetta “pirateria” e il declino delle vendite è fondamentalmente errata. La pirateria è stata soltanto il capro espiatorio utilizzato per spiegare un effetto dovuto a una serie di
fattori concomitanti, legati anch’essi all’avvento del digitale, che non sono stati sufficientemente tenuti in considerazione. Tra questi c’è sicuramente ad esempio la concorrenza degli
altri beni d’intrattenimento. Si è già annotato come la domanda per film in DVD, e oggi ormai
in streaming video, videogame, software, contenuti per mobile, ecc., continui a crescere e ciò
non può che influenzare la domanda di musica registrata, sia da un punto di vista monetario
(sono beni sostituti) che da un punto di vista di budget time. È sempre necessario ricordare
che i media consumano tempo. È vero che la musica è esente da questo vincolo ma non verso
prodotti che la incorporano come quelli sopra indicati.
Un altro elemento che è stato preso troppo poco in considerazione è il fatto che il file sharing, insieme a piattaforme di nuova generazione come Last.fm o MySpace, ha cambiato le
modalità di approccio alla musica. Grazie a esso infatti le persone sono ora in grado di ascoltare in anteprima i contenuti che sono intenzionati ad acquistare e, dato che la musica è un
bene d’esperienza il cui valore viene rivelato al consumatore solo dopo essere stata esperita,
i consumatori sono ora in grado di valutare meglio l’acquisto [Peitz e Waelbroeck, 2004; Liebowitz, 2006], e ovviamente ciò non può che incidere sul volume delle vendite.
Un altro fattore, anch’esso legato al digitale, è il ritorno del formato singolo. Grazie ai servizi
di download sia legali che no, le persone sono ora in grado di acquistare à la carte esclusivamente i brani a cui sono interessati, per cui ci si allontana sempre più dal formato album,
il quale altro non era che una tecnica di bundling escogitata dalle aziende discografiche per
utilizzare al meglio la disposizione a spendere dei vari tipi di consumatori. L’offerta, suo malgrado, è stata costretta a aderire più fedelmente alla domanda dei consumatori e anche ciò ha
inciso sui volumi delle vendite. Anche il fenomeno di ricomposizione delle librerie ha oscurato
la vera entità del fenomeno pirateria. La grande mole di brani circolanti nelle reti P2P veniva
associata automaticamente al declino delle vendite senza considerare il fatto che, come era
già avvenuto in precedenza con il passaggio dal vinile al CD, gli utenti stavano solo duplicando contenuti dei quali erano già in possesso soltanto per averli su un supporto aggiuntivo.
42
Titolo
Measuring the Effect of
Music Downloads on Music
Purchases
The Effect of File-sharing on
Records Sales: An Empirical
Analysis
The effect on Internet Piracy
on Music Sales:Cross-section
Evidence
On-line Piracy and recorded
Music Sales
Music Sales in the Age of File
Sharing
The Effect of Napster on
Recorded Music Sales:
Evidence from the Consumer
Expenditure Survey
The Impact of Digital File
Sharing on the Music Industry
Testing File Sharing Impact
by Examining Record Sales in
Cities
The Impact of Music
Downloads and P2P File
Sharing on the Purchase of
Music: A study for Industry
Canada
The true Cost of Sound
Recording Piracy to the U.S.
Economy
Autore
Zentner
Oberholzer e
Strumpf
Peitz e
Waelbroeck
Blackburn
Boorstin
Hong
Michel
Liebowitz
Andesen e
Frenz
Siwek
Anno
2003
2004
2004
2004
2004
2004
2006
2006
2007
2007
Le perdite dovute alla pirateria nel
2005 ammontano a 6,374 miliardi
di dollari
Per ogni album scaricato
mensilmente aumenta la
propensione all’acquisto di 0,44 CD
all’anno
La riduzione delle vendite dovuta al
file sharing è maggiore del declino
rilevato dalle statistiche ufficiali,
senza il file sharing il mercato
discografico sarebbe cresciuto
Il file sharing potrebbe aver causato
un declino del 13% nell’acquisto di
dischi
Più dell’80% del declino delle
vendite di dischi può essere spiegato
con fattori che non hanno nulla a
che fare con Napster
Il file sharing non è la causa del
recente declino dell’industria
discografica ed ha complessivamente
un effetto positivo sulle vendite
Effetto distributivo del file sharing
I download illegali, dal 1998 al 2002,
hanno causato a livello globale una
riduzione delle vendite legali del
20%
I download illegali non influenzano
le vendite
La pirateria riduce del 30% la
probabilità di acquistare musica
legalmente
Principali Risultati
Global Recording Industry in
Numbers 2006 della IFPI
Ente/ istituto
University of Chicago,
Department of
Economics, Graduate
School of Business
Social Science
research Network
Topic in Economic
Analisys & Policy
Discussion Paper
No. 03-18
Thesis for the A.B.
Degree
Job Market Paper
Policy Report 188
Insitute for Policy
Innovation
Industry Canada
University of Texas at
Dallas, Department of
Finance & Managerial
Economics
Berkeley Electronic
Press
Stanford Institute
for Economic Policy
Research
Princeton University,
Department of
Economics
Harvard University
Review of Economic The Society for
Research on
Economic Research
on Copyright issues
Copyright issues,
2004
The Journal of
political economy
Journal of Law and University of
Economics, 2006
Chicago. Law School
Tratto da:
Interviste telefoniche su un
www.ic.gc.ca
campione di 2.100 rispondenti svolte
da Decima Research
Dati sull’uso di internet estrapolati
dalla Current Population Survey •
Dati sulle vendite forniti da Nielsen
Soundscan
Dati della Consumer Expenditure
Survey del dipartimento americano
per le statistiche sul lavoro (BLS)
Dati della Consumer Expenditure
Survey del dipartimento americano
per le statistiche sul lavoro (BLS)
Dati sull’uso di internet estrapolati
dalla Current Population Survey •
Dati sulle vendite forniti da Nielsen
Soundscan
Dati sulle vendite forniti da Nielsen
Soundscan • Dati sul download
forniti da BigChampagne •
Classifiche settimanali “Billboard
top 200” dal 1992 al 2002
Dati sul download della IPSOSREID • Dati sulle vendite
estrapolati dall’IFPI World Report
2003
Dati sul download forniti da
OpenNap • Dati sulle vendite
forniti da Nielsen Soundscan
Dati di vendita IFPI • Dati sull’uso
di internet dell’International
Telecommunication Union
Fonti
Il vero impatto della pirateria
3.3 Fattori che ostacolano lo studio del fenomeno
Tavola sinottica delle analisi di settore.
43
Conclusioni
L’avvento delle nuove tecnologie di compressione dei bit e di rete ha modificato i presupposti su cui era basato il mercato discografico prima del digitale e di Internet. Grazie
all’introduzione degli algoritmi di compressione i costi marginali di distribuzione tendono ad azzerarsi con la crescita del mercato (economie di scala dal lato della domanda).
Come per il software, infatti, il costo di una copia digitale di un brano tendenzialmente si
avvicina allo zero. Inoltre la crescita della penetrazione di Internet e di banda larga, e la
diffusione delle reti P2P hanno accelerato tale processo.
La digitalizzazione tende a modificare i rapporti di forza tra major e indies. Il mercato
sta sperimentando un processo che si potrebbe definire di maggiore concorrenza dovuto
al fatto che le barriere d’ingresso al mercato tendendo a ridursi favoriscono una maggiore concorrenza tra grandi e piccole etichette. Il file sharing, inoltre, ha generato anche
una sorta di “redistribuzione dei ricavi” poiché mantiene naturalmente l’appeal degli
artisti più noti ma agevola il sopravvenire anche di quelli emergenti [Blackburn, 2004]
che, grazie a esso, dispongono di un canale diretto per far conoscere i propri prodotti. Infine il digitale ha certamente contribuito a un cambiamento nell’importanza dei diversi
canali di distribuzione, mettendo in difficoltà i tradizionali rivenditori al dettaglio, e ha
permesso la diffusione di un tipo di distribuzione capace di offrire sia i prodotti hit, che quelli più di nicchia: è l’effetto della ormai famosa “long tail” di Chris Anderson, illustrata in un articolo dell’ottobre 2004 su Wired Magazine.
Contemporaneamente le vendite di supporti fisici hanno registrato un calo senza precedenti, con perdite del 40% tra il 2002 e il 2007, quando il fenomeno ha incominciato a manifestarsi e che continua ancora oggi, che solo in parte è stato compensato dall’aumento
delle vendite di musica in formato digitale. A tal proposito si deve però tener conto che a
fronte di una riduzione dei ricavi c’è una forte riduzione dei costi nella filiera distributiva e commerciale che cambia nei fondamentali la lettura del livello e della struttura dei
margini operativi delle imprese. Per proteggere il loro core business le case discografiche
hanno adottato differenti strategie, dalle cause contro i servizi di download e contro gli
utenti di tali servizi, di cui fanno parte le campagne antipirateria, a soluzioni tecniche
per prevenire il ripping(22) dei CD, dalle campagne informative alle pressioni lobbistiche
per leggi sul copyright più restrittive. Ma tali provvedimenti si sono rivelati inadeguati
di fronte alla forza della tecnologia e all’assenza di un’offerta digitale da parte delle case
discografiche.
La situazione sta cambiando e, difatti, in quest’ottica, sono incominciati a nascere nuovi modelli di business: servizi a sottoscrizione, piattaforme supportate dalla pubblicità,
sodalizi con i social network e partnership con i brand. Inoltre, l’offerta stessa delle im-
(22) Operazione che consente di convertire le tracce audio di un Compact Disc in file digitali.
44
Conclusioni
prese, che provano a interpretare questo nuovo mercato e le tendenze del consumo, si sta
ampliando: la musica da product core sta diventando il veicolo su cui promuovere merchandising, biglietti per concerti, copie fisiche di edizioni limitate, ecc. Le case discografiche tendono a diventare sempre più impresarie dell’artista invece che semplici produttori
e distributori di CD: aumentano infatti gli investimenti in compagnie specializzate in
management artistico, marketing, tour management e web networking.
Nel vuoto di comprensione delle nuove direzioni prese dal consumo da parte delle case
discografiche, lo spazio nella distribuzione digitale di contenuti musicali è stato occupato
dai nuovi aggregatori: iTunes, un’applicazione sviluppata e distribuita dalla Apple, ha
guidato questa tendenza continuando a segnare risultati che non si fa in tempo a registrarli che già sono superati. Ovviamente anche in questo caso varranno le leggi del ciclo
di vita del prodotto. Ma quando alla forte crescita attuale si sostituirà la fase della maturità, legge inesorabile dell’economia, arriverà anche quella di una maggiore concentrazione
di mercato da cui sarà difficile scalzare la web company di Cupertino, Silicon Valley, California. Ci vorrà una grande idea innovativa e una grande forza economica per superare la
soglia d’ingresso nel settore.
La lezione della musica, che le case discografiche stanno vivendo nelle loro fibre, è servita
in qualche modo all’audiovisivo. Tre tra i quattro maggiori network e produttori televisivi
made in USA, hanno messo in piedi Hulu che distribuisce serie televisive via web. Alcune grandi catene distributive hanno preso atto della crisi irreversibile dei grandi numeri
del mercato dei supporti fisici e sono entrate nella distribuzione digitale: Vudu, uno dei
leader di mercato dello streaming video, è stato recentemente acquistato da WalMart (la
più grande e diffusa rete di grandi magazzini USA). Best Buy (il più grande rivenditore
al dettaglio di elettronica di consumo negli Stati Uniti) ha acquistato CinemaNow, una
piattaforma tecnologica molto simile al servizio offerto da Netflix che, da postalmarket di
DVD, si è trasferito sul web. Hulu nel frattempo ha intrapreso la strada del direct to TV.
Con il nuovo servizio Hulu Plus (che prevede un abbonamento di 9.99 dollari al mese)
sarà possibile fruire i video del nobile aggregatore direttamente sullo schermo televisivo
attraverso televisori e blu-ray/DVD player internet enabled(23). Il servizio sarà disponibile
entro l’estate 2010 su televisori e lettori Samsung, entro il 2011 su device Sony, inclusa la
PS3, nella nuova XBox 360, ma anche, nella sua versione mobile, su Iphone, Ipod Touch
e Ipad.
I molti studi realizzati nel tentativo di cogliere il reale effetto della cosiddetta “pirateria”
sulle vendite di musica registrata, come abbiamo visto, ancora non hanno raggiunto risultati condivisi. Esiste un divario tra coloro che sostengono che il declino dell’industria
discografica sia attribuibile interamente al download illegale e coloro che ritengono che
quest’ultimo sia stato ininfluente o abbia addirittura favorito la vendita di dischi. Dopo
aver preso in esame i differenti modelli di misurazione del fenomeno si può affermare con
ragionevole certezza che entrambe le posizioni non rispecchiano pienamente la realtà: la
cosiddetta “pirateria” ha sicuramente influito negativamente sulle vendite ma non fino
al punto da poter essere interamente considerata la causa del recente declino. Ciascuno
degli studi analizzati, come è stato illustrato nel capitolo precedente, ha contribuito a
evidenziare un aspetto cruciale per una migliore comprensione del fenomeno, ad esempio
(23) Questi device sono dotati di connettività internet (ethernet o wi-fi) e permettono la fruizione di
contenuti dalla rete attraverso applicazioni ad hoc.
45
Conclusioni
l’influenza della notorietà degli artisti, l’importanza del fattore demografico [Boorstin,
2004], l’incidenza dell’“effetto library” [Oberholzer e Strumpf, 2004; Hong, 2004] e della
concorrenza degli altri beni d’intrattenimento. Allo stesso tempo però è possibile riscontrare che ciascun modello presenta delle debolezze che ne impediscono una precisa raffigurazione, ad esempio l’utilizzo di variabili binarie [Zentner, 2003], la scelta del periodo
di riferimento [Oberholzer e Strumpf, 2004], la scelta di indicatori non del tutto adeguati
e l’utilizzo di dati provenienti da fonti poco neutrali.
Certamente il mercato discografico sta attraversando una fase difficile, ma lo stesso non
si può dire del mercato della musica in generale. La maggior diffusione di musica ha
generato delle esternalità positive di rete, nel senso che l’aumento di consumo musicale
da parte di una porzione della popolazione porta ad aumentare la disposizione a pagare
per gli altri consumatori [Blackburn, 2004]. Già Mortimer e Sorensen [2005] avevano
mostrato come le vendite di biglietti per concerti fossero aumentate drasticamente dopo
la comparsa del file sharing, ma anche quelle di merchandising, videogiochi come Guitar
Hero e persino quelle di strumenti musicali [Economia della musica in Italia, Rapporto
2007 e 2008] continuano a crescere. La pirateria quindi espande la base di utenti che
potenzialmente è più disposta a spendere per beni complementari e inoltre, da qualche
tempo a questa parte, ha iniziato a rivelarsi utile. In passato Gopal et altri [2005] avevano
dimostrato come le attività di P2P potessero essere impiegate per predire le performance
di mercato di un dato album, di recente MediaDefender ha messo in pratica questi insegnamenti servendosi del file sharing per decidere quale singolo di Nicole Scherzinger
scegliere, mentre The Music Factory(24) si basa sul numero di brani scaricati per scegliere
i video da mandare in onda.
Come si è visto il mercato della musica, tutt’altro che in crisi, sta “semplicemente” subendo una profonda trasformazione che ne sconvolge gli assetti precedenti e consolidati.
Sta all’industria comprendere il movimento e adeguarsi al nuovo. Non sta anche qui il
bello del mercato? Non si è sempre detto che chi innova, chi è capace di interpretare le
tendenze del consumo acquisisce un vantaggio competitivo? Ebbene Internet è la nuova
straordinaria bussola per capire un mercato sempre più trainato dalla sovranità e dalle
scelte del consumatore.
Carpe Diem, questa più che famosa e controversa frase latina, tratta dalle Odi di Orazio,
letteralmente si traduce con “Cogli il giorno”, come ricorda velocemente Wikipedia a chi,
come chi scrive, ha dimenticato il liceo. Grazie a un famoso film di Peter Weir con Robin
Williams può essere resa con “Cogli l’attimo fuggente”. I più scrupolosi e conservatori la
completano con il suo seguito: “quam minimum credula postero” che si traduce con “Confidando il meno possibile nel domani”. Ma è il domani atteso e scontato quello su cui non
si deve confidare, il domani che l’innovazione tecnologica inesorabilmente scompagina.
Ecco allora che Carpe Diem Industry potrebbero definirsi quelle imprese che non si fanno
intorpidire dai risultati consolidati ma si rimodulano su quanto l’innovazione gli offre.
Certamente è una attività rischiosa, ma senza rischio non c’è impresa. È di nuovo il bello
del mercato.
Che fine faranno i CD e gli album? Per quanto le loro vendite possano continuare a diminuire, il supporto fisico non morirà mai dato che conferisce al prodotto un appeal garantito da elementi aggiuntivi come i booklet con i testi delle canzoni, contenuti artistici e
(24) Canale musicale tedesco appartenente a MTV.
46
Conclusioni
informazioni sulla band, a cui spesso gli appassionati non vogliono rinunciare [Liebowitz,
2005]. Il loro mercato si riproporzionerà su di un consumo più fandomico. Allo stesso
modo, il consumo sul web tende a dirigersi più sullo streaming che sul downloading. In
altre parole il nuovo consumo tende meno alla collezionabilità rispetto al passato.
Ciò che sta accadendo alla musica su supporto fisico vs quella on the web, in misura minore o maggiore, sta già avvenendo per i DVD vs lo streaming video, per i libri e la stampa vs
i lettori digitali, per le pellicole cinematografiche vs i driver e la distribuzione via satellite,
per i rullini per fotografie vs le card e così via per l’intera industria media.
Ciò che è inutile è la caccia alle streghe della cosiddetta “antipirateria”, prima che nascano i professionisti dell’antipirateria, se riferita al file sharing. Si rischierà di vederli in
giro a gestire budget che potrebbero essere meglio indirizzati.
Ciò che è inutile è la questua verso altri pezzi della filiera: le gabelle chieste sulle telecomunicazioni, quelle già ottenute sui supporti hardware e di registrazione, e così via.
Quando non sono controproducenti, come l’aumento del costo dei diritti preteso da alcune
case discografiche anche sul web che, se ottenute, quanto più mascherano l’esigenza del
cambiamento nel breve periodo, tanto più uccidono chi tarda a capirlo e interpretarlo.
47
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52
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