“BES” Strategie per promuovere una didattica inclusiva.

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AED
Associazione Europea Disgrafie
Corso di specializzazione
La Disgrafia: Educazione e Rieducazione al gesto grafico
TESINA
“BES”
Strategie per promuovere una
didattica inclusiva.
Corsista: Adonella Vaiani.
Firenze 2014/2015
INTRODUZIONE
L’integrazione scolastica degli alunni con disabilità ha conosciuto fasi importanti nella
storia della scuola Italiana.
Iniziando dalla legge 517/1977, che ha dato avvio al processo d’integrazione scolastica, la
produzione normativa su questo tema ha avuto una vera e propria evoluzione.
Le leggi:

104/1992 (Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle
persone handicappate),

170/2010 (che ha riconosciuto la dislessia, la disortografia, la disgrafia e la
discalculia come Disturbi Specifici di Apprendimento),

il decreto ministeriale n.5669 del 12 luglio 2011 (attuativo della legge 170/2010)

la direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012, che amplia il perimetro della
riflessione sull’inclusione introducendo il concetto di Bisogni Educativi Speciali
(BES), seguita dalla relativa circolare ministeriale applicativa n. 8 del 6 marzo 2013,
hanno dato inizio, ad un difficile, ma ormai inevitabile, processo di cambiamento
dell’organizzazione della scuola italiana.
Siamo
giunti ad un punto di svolta, in cui il “vecchio” concetto d’integrazione, cioè,
consentire al “diverso” la maggior partecipazione possibile alla vita scolastica, deve
lasciare il posto al concetto di “inclusione” e cioè comporre gli ambienti educativi in modo
tale che siano adeguati alla partecipazione di tutti, ciascuno con le proprie modalità.
In ogni classe ci sono alunni che richiedono un’attenzione speciale per una varietà di
ragioni: svantaggio sociale e culturale, Disturbi Specifici di Apprendimento e/o disturbi
evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua
italiana perché appartenenti a culture diverse, quindi i Bisogni Educativi Speciali sono,
molti e diversi e una scuola che include deve essere in grado di leggerli tutti e di dare le
risposte necessarie e adeguate.
La scuola “inclusiva” deve essere quella scuola che non si limita a promuovere la
partecipazione,
l’inclusione e l’apprendimento di tutti gli allievi, a prescindere dagli
specifici bisogni educativi di ciascuno, ma deve essere anche quella che soprattutto,
coglie la presenza di BES come un’occasione di ripensamento di pratiche educative e
didattiche.
2
I BES
Storicamente la nozione di Bisogni Educativi Speciali compare per la prima volta in
Inghilterra nel Rapporto Warnock del 1978.
In questo documento è suggerita la necessità di integrare, nelle scuole della Gran
Bretagna, gli alunni considerati «diversi» attraverso l’adozione di un approccio inclusivo
basato sull’individuazione di obiettivi educativi comuni a tutti gli alunni, indipendentemente
dalle loro abilità o disabilità.
In un secondo momento, con lo Special Educational Needs and Disability Act del 2001, è
affermata la necessità di prevenire ogni forma di discriminazione riguardo all’ammissione
a scuola degli alunni con Bisogni Educativi Speciali e di promuovere la loro piena
partecipazione alla vita scolastica, coinvolgendo le famiglie.
In seguito, l’adozione a livello mondiale del Sistema ICF (International Classification of
Functioning, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità 2002-2007), ha fatto nascere una
nuova visione del concetto di salute umana, di funzionamento e di disabilità, imponendo
cambiamenti anche a livello normativo.
Il modello ICF considera la persona nella sua globalità, come un sistema complesso e
interconnesso in cui interagiscono diversi “fattori” personali e ambientali, in un’ottica di
salute e non di malattia, con l’ICF si parla di limiti alla partecipazione sociale e non più di
handicap; di disabilità che può originare anche da motivazioni contestuali ed ambientali,
considerando la globalità e la complessità dei funzionamenti delle persone.
Il modello ICF è uno strumento di classificazione e di descrizione, della salute e della
disabilità che ha lo scopo di fornire un linguaggio standard e unificato che serva da
modello di riferimento.
Fondandosi sul profilo di funzionamento e sull’analisi del contesto, il modello ICF ci
consente di individuare i Bisogni Educativi Speciali (BES) dell’alunno.
Sulla scia di questo nuovo orientamento culturale, anche in Italia, sono state emanate
leggi che introducono nell’Ordinamento Scolastico Italiano il concetto di Bisogno Educativo
Speciale e riaffidano alla scuola il ruolo di garante del successo formativo, ponendola al
centro del processo d’identificazione precoce delle difficoltà e richiedendole il compito di
lavorare in modo personalizzato e individualizzato e di intervenire in modo funzionale nel
potenziamento delle abilità e nel recupero delle difficoltà.
3
La Legge 170/2010 sui DSA, la Direttiva del 27/12/2012 e le successive Circolari e Note
Ministeriali aprono la strada ad un’attenzione particolare ai Bisogni Educativi degli allievi e
cercano di stabilire norme che tutelino i bisogni dei bambini e dei ragazzi e forniscano loro
tutti gli strumenti necessari ad affrontare il percorso scolastico e formativo nel miglior
modo possibile.
Nella Direttiva Ministeriale del 27/12/2012 i BES sono descritti come una macro-categoria
che si divide in tre grandi aree (sotto-categorie):
1. Disabilità ( ritardo cognitivo, minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali)
2. Disturbi evolutivi specifici (DSA, ADHD, Funzionamento intellettivo limite (FIL),
disturbi dell’area verbale e disturbi dell’area non verbale, disturbi della
coordinazione motoria, disprassia, disturbo dello spettro autistico lieve, disturbo
evolutivo specifico misto ecc.)
3. Svantaggio socio-economico, culturale, linguistico.
Tutti gli alunni che appartengono a queste categorie sono BES e hanno il diritto di avere
accesso a una didattica individualizzata e personalizzata, che evidenzia l’unicità di ogni
studente, con le sue peculiari caratteristiche d’apprendimento non standardizzabili e il suo
diritto ad essere accompagnato alla piena realizzazione di se stesso.
Nella Direttiva è precisato che:
“In ogni classe ci sono alunni che presentano una richiesta di speciale attenzione per una
varietà di ragioni” (D.M.27/12/2012, p. 1)
“… ogni alunno con continuità o per determinati periodi può manifestare Bisogni Educativi
Speciali o per motivi psicologici, sociali rispetto ai quali
è necessario che le scuole
offrano adeguata e personalizzata risposta” (D.M. 27/12/2012, p.2)
Questo comporta la ridefinizione del perimetro d’intervento educativo e di responsabilità di
tutta la comunità educante ed estende a tutte quelle situazioni in cui è presente un
disturbo clinicamente fondato, diagnosticabile ma non ricadente nelle previsioni della
Legge 104/92, né in quelle della Legge 170/2010, i benefici della Legge 170/2010, vale a
dire una didattica individualizzata e personalizzata, strumenti compensativi o dispensativi
e modalità di valutazione ad hoc.
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Educazione inclusiva
Il concetto di Bisogno Educativo Speciale è indissociabile dall’idea di “ Educazione
Inclusiva”.
L’Educazione Inclusiva è un processo che tiene conto della diversità dei bisogni di tutti i
soggetti per favorire partecipazione e apprendimento, ma anche per ridurre l’esclusione e
l’emarginazione e presuppone la trasformazione e la modificazione dei contenuti, degli
approcci, delle strutture, delle strategie, nella convinzione profonda che il sistema
educativo ha la responsabilità dell’educazione di tutti.
L’Educazione Inclusiva, infatti, non si limita agli alunni con disabilità o agli alunni con
bisogni educativi speciali, ma prende in carico l’insieme delle differenze, comprendendo
anche gli alunni definiti “normali”.
Non è sufficiente, quindi, preoccuparsi di definire chi sono gli alunni in situazione di BES;
importante invece è cambiare il modo di insegnare e di valutare, affinché ogni studente in
relazione alla sua condizione e alla sua manifesta difficoltà, trovi la giusta risposta.
Pertanto, occorre che gli educatori, spostino la loro prospettiva da una posizione statica ed
esterna abituata solo a constatare le difficoltà che un alunno presenta ad una posizione
più dinamica rispondendo alle necessità della persona in formazione.
Quest’azione si concretizza innalzando l’attenzione e attuando strategie che aiutino ogni
singolo alunno a raggiungere obiettivi ritenuti indispensabili per tutti ( livelli minimi attesi
per le competenze in uscita), attraverso la definizione di tempi e modi in sintonia con le
sue capacità e problematicità, a raggiungere i massimi risultati possibili nelle diverse aree,
ed infine ad esprimere al meglio le proprie potenzialità nell’ottica della costruzione di un
proprio progetto di vita.
La Normativa sui BES indica in modo chiaro le modalità che la scuola Italiana deve
adottare per perseguire l’obiettivo dell’Inclusione scolastica.
Un aspetto essenziale è la predisposizione di condizioni di accoglienza degli alunni in
ingresso che consentono di strutturare già dal momento dell’iscrizione percorsi idonei per
l’ambientamento di alunni portatori di potenziali Bisogni Educativi Speciali, è quindi
auspicabile l’adozione, a livello di singola scuola o di rete territoriale, di “protocolli
d’accoglienza” in cui dovrebbero essere evidenziati tutti gli aspetti dell’organizzazione
scolastica come: definizione di procedure e prassi condivise di carattere amministrativo e
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burocratico, definizione delle varie figure coinvolte, modalità condivise di prima
conoscenza, criteri d’inserimento nelle classi, accoglienza nelle classi, procedure
concordate con i Servizi sociosanitari territoriali e modalità concordate di progettazione
didattico-educativa personalizzata.
I docenti dovrebbero essere in grado di individuare “ precocemente” i segnali di difficoltà e
i casi sospetti di DSA attraverso l’osservazione sistematica, che permette fin dalla scuola
d’infanzia di rilevare le difficoltà, le aree critiche e i “ritardi di sviluppo”.
L’osservazione sistematica consente di individuare gli aspetti su cui intervenire con attività
didattiche mirate e specifiche di potenziamento.
L’osservazione sistematica deve essere usata dai docenti in modo intenzionale, deve
essere guidata da ipotesi formulate e deve mirare ad ottenere delle informazioni rilevanti
nel modo più accurato ed efficace possibile.
La sistematicità deve essere legata alla presenza di precisi schemi di riferimento che
permettono la classificazione e la categorizzazione dei fenomeni osservati.
Il Collegio Docenti, il Consiglio di Classe o il team docenti d’Interclasse ha il compito di
stabilire i criteri e le modalità delle attività di osservazione condotte in classe ( tempi,
cadenze, strumenti adottati, modalità di registrazione dei risultati, tempi e modalità di
condivisione ).
I risultati dell’osservazione sistematica devono costituire la base per una riflessione
condivisa tra i docenti del team o del Consiglio di Classe, che possa permettere di
individuare strategie di personalizzazione dell’apprendimento o elementi di ostacolo o
potenziamento all’azione dei docenti.
Strumenti e strategie
1. Piano Didattico Personalizzato ( PDP )
La Circolare 8/2013 sottolinea che il Consiglio di Classe e il team docenti, una volta
individuati i bisogni devono formalizzare percorsi personalizzati e individualizzati per gli
alunni, utilizzando il Piano Didattico Personalizzato ( PDP).
Il PDP, introdotto dalla Legge 170/2010 e dal D.M. 5669/2011 per gli alunni DSA, con
l’attuale Normativa può essere predisposto anche per gli alunni BES, che non presentano
certificazioni o diagnosi.
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Il PDP deve essere il risultato di una progettualità condivisa a livello di Consiglio di Classe
o Team dei docenti, perché la progettazione degli interventi da adottare riguarda tutti gli
insegnanti, l’intera comunità scolastica è chiamata ad organizzare i curricoli in funzione
dei diversi stili o delle diverse attitudini, a gestire in modo alternativo le attività d’aula, a
favorire e potenziare gli apprendimenti e ad adottare i materiali, gli strumenti compensativi,
le misure dispensative e le strategie didattiche più adeguate ai reali bisogni degli alunni.
Il PDP è uno strumento di lavoro flessibile che gli insegnanti usano in itinere e può essere
modificato ogni qualvolta sia segnalato un cambiamento nei bisogni o nelle difficoltà degli
alunni.
La Direttiva individua anche la possibilità di una progettazione più centrata sulla classe,
con l’individuazione di uno specifico piano per tutti gli alunni della classe con BES,
focalizzando l’attenzione sulle strategie inclusive.
Il PDP è lo strumento che garantisce l’applicazione delle norme previste dalle Legge
170/2010, dalla D.M. del 27/12/2012 e dalla C.M. n.8 del 06/03/2013, che contribuisce a
costruire la storia dell’alunno con BES/DSA, che lo tutela, affinché quello che vi è scritto e
concordato sia rispettato in un vero e proprio documento con una sua rintracciabilità, che
registra i progressi dell’alunno ed è utile per presentarlo ad una commissione esterna, in
sede di esame.
Il PDP deriva
dallo sforzo congiunto della scuola e della famiglia, pertanto, la
sottoscrizione di tale documento da parte del Dirigente, degli insegnanti del Consiglio di
Classe o Team docenti e dalla famiglia mostra la reciproca corresponsabilità nel percorso
educativo dell’alunno.
Nel caso in cui la famiglia non partecipi alla stesura del PDP e non intenda firmarlo, la
scuola deve acquisire agli atti la firma per presa visione e deve redigere un verbale di
presentazione.
Ogni istituzione scolastica può individuare il modello di PDP che ritiene più funzionale e
snello.
La stesura del PDP deve sempre collocarsi all'interno di un preciso Piano Annuale per
l'Inclusività (PAI).
2. Piano annuale dell’Inclusività ( PAI )
Tra le azioni strategiche per la realizzazione di una “politica dell’inclusione” nelle singole
scuole la Circolare indica l’elaborazione di una proposta di “Piano Annuale per
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l’Inclusività”, riferito a tutti gli alunni con BES, da redigere al termine di ogni anno
scolastico.
Il Piano Annuale per l’Inclusività (PAI) è un documento che riassume una serie di elementi
finalizzati a migliorare l’azione educativa della scuola, indirizzata a tutti gli alunni che la
frequentano.
Il PAI segue le indicazioni dell’Index per l’Inclusione, una raccolta d’indicatori e
metodologie che consentono di valutare il livello d’inclusività della propria comunità
scolastica.
Il PAI è elaborato dopo un’attenta lettura dei bisogni della scuola, una verifica dei progetti
attivati, un’analisi dei punti di forza e delle criticità che hanno accompagnato le azioni
d’inclusione scolastica realizzate nel corso dell’anno scolastico.
L’attenzione è posta sui bisogni educativi dei singoli alunni, sugli interventi pedagogicodidattici effettuati nelle classi nell’anno scolastico corrente e sugli obiettivi programmati per
l’anno successivo.
Il PAI va considerato come un atto interno della scuola, la cui finalità va inquadrata nei
processi di pianificazione dell’istituzione scolastica e che deve essere interpretato non
come un “piano formativo per gli alunni con bisogni educativi speciali” a integrazione del
POF (Piano dell’Offerta Formativa), ma come lo strumento per una progettazione della
propria offerta formativa in senso inclusivo.
La Nota n.1551/2013 definisce il PAI in questo modo:
“un momento di riflessione di tutta la comunità educante per realizzare la cultura
dell’inclusione, lo sfondo ed il fondamento sul quale sviluppare una didattica attenta ai
bisogni di ciascuno nel realizzare obiettivi comuni, non dunque un ulteriore adempimento
burocratico, ma come integrazione del Piano dell’Offerta Formativa, di cui è parte
sostanziale”.
La redazione del PAI, così come riportato dalla nota del 21agosto 2013 “Bisogni Educativi
Speciali”, si deve prefiggere i seguenti obiettivi:

garantire l’unitarietà dell’approccio educativo e didattico dell’istituzione scolastica;

consentire la continuità educativa e didattica anche in caso di cambiamenti dei
docenti e del dirigente scolastico;

generare una riflessione collegiale sulle modalità educative e sui metodi di
insegnamento adottati nella scuola, arrivando a scelte basate sull’efficacia dei
risultati in termini di comportamento e di apprendimento di tutti gli alunni;
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
individuare le modalità di personalizzazione risultate più efficaci in modo da
assicurarne la diffusione tra gli insegnanti della scuola e tra scuole diverse;

raccogliere i piani educativi individualizzati e i piani didattici personalizzati in
un unico contenitore digitale che ne conservi la memoria nel tempo come
elemento essenziale della documentazione del lavoro scolastico;

inquadrare ciascun percorso educativo e didattico in un quadro metodologico
condiviso e strutturato, per evitare improvvisazioni, frammentazioni e
contraddittorietà degli interventi dei singoli insegnanti;

evitare che scelte metodologiche non documentate o non scientificamente
supportate, effettuate da singoli insegnanti compromettano lo sviluppo delle
capacità degli allievi;

fornire criteri educativi condivisi con le famiglie;

permettere di fare il punto sull'efficacia degli strumenti messi in atto nell'anno
scolastico trascorso.
Il PAI deve essere redatto dal Gruppo di Lavoro per l’Inclusione (GLI), un nuovo
organismo d’Istituto, introdotto dalla Circolare, per il coordinamento delle politiche
sull’inclusione scolastica.
Il GLI è un punto d’incontro di tutti coloro che nella comunità scolastica si occupano a vario
titolo delle difficoltà di apprendimento, ora riunite nella più vasta definizione di Bisogni
Educativi Speciali.
Il GLI è presieduto dal Preside ed è composto dal gruppo d’insegnanti di sostegno, da
una rappresentanza di genitori e dei docenti curricolari, dagli assistenti all’autonomia e alla
comunicazione (nei casi di disabilità), da rappresentanti del personali ATA e delle ASL,
locali competenti.
Il GLI ha anche il compito di:

rilevare i BES, con monitoraggi e valutazioni

raccogliere e documentare gli interventi educativo-didattici

fornire consulenza e supporto ai colleghi sulle strategie e metodologie di gestione
delle classi

raccogliere e coordinare le proposte formulate dai GLH Operativi

comunicare con CTS, CTI, Servizi sociali territoriali e ASL, per attività di
formazione, tutoraggio ecc.
I CTS ( Centro Territoriale di Supporto) erano stati istituiti nell’anno 2005/2006 dagli Uffici
Regionali Scolastici e avevano il delicato ruolo di “interfaccia tra l’Amministrazione e le
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scuole, e tra le scuole stesse”, la Circolare ministeriale n.8 del 6 marzo 2013 ne ribadisce
il ruolo fondamentale di collegamento fra l’Amministrazione e le scuole rispetto ai temi
dell’inclusione.
Il CTS ( Centro Territoriale di Supporto), è un ente formato da docenti specializzati, sia
curricolari sia per il sostegno, che forniscono alle scuole una consulenza specifica sulla
didattica dell’inclusione.
Il CTS è una rete di supporto al processo d’integrazione, allo sviluppo professionale dei
docenti e alla diffusione delle “migliori pratiche”, che opera a livello provinciale; i suoi
compiti sono di informare gli insegnanti, collaboratori scolastici, genitori e alunni sulle
risorse tecnologiche disponibili e di fornire consulenza e formazione sugli ausili tecnologici,
sul loro utilizzo e sulle modalità didattiche per il loro impiego con l’alunno in classe.
Il CTI (Centro Territoriale per l’Inclusione) rappresenta una rete di scuole e l’elemento di
collegamento con Enti Locali, Servizi sanitari, associazioni, centri di ricerca e formazione,
università, per supportare le attività finalizzate all’integrazione degli alunni con Bisogni
Educativi Speciali nella gestione delle risorse umane, strumentali ed economiche al fine di
operare
nel
territorio
come
supporto
d’informazione,
scambio,
formazione,
documentazione, gestione di sussidi e attrezzature e del personale.
E’ affiancato e collabora con il CTS, operando a livello territoriale.
I compiti del CTI sono di predisporre formazioni sui temi dell’integrazione a insegnanti,
collaboratori scolastici, personale non docente, operatori sociali e sanitari, amministratori
pubblici, genitori, allievi; fornire supporto e consulenza didattico-educativa per insegnanti e
genitori; supportare iniziative per l’individuazione precoce delle difficoltà e per
sensibilizzare gli alunni; acquisire e gestire delle attrezzature e dei sussidi didattici ( in
collaborazione con il CTS).
Entrambi gli Enti stanno attuando con competenza, efficacia e passione su tutto il territorio
nazionale, azioni di supporto al personale della scuola, alle famiglie e agli studenti, al fine
di favorire l’inclusione nel percorso scolastico.
3. Docenti inclusivi
I docenti sono chiamati, in primis, ad acquisire nuove consapevolezze in ordine allo
sviluppo del pensiero ed alla sua educabilità.
E’ necessario che i docenti imparino a valorizzare il modo, o meglio, i vari modi in cui gli
alunni apprendono, modulando l’insegnamento per rapportarsi in modo efficace con tale
complessità.
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Questo vuol dire conoscere meglio le modalità di apprendimento,
poiché l’alunno
“standard” non esiste più e i docenti all’interno della classe devono far fronte ad una
pluralità di situazioni individuali che rendono impossibile “ disegnare” un alunno tipo.
La lettura dei bisogni, la condivisione di metodi e la ricerca di strategie più idonee a
rispondere a questa varietà di stili di apprendimento, sono compiti cui un docente inclusivo
non si può sottrarre.
La professionalità docente implica, infatti, la possibilità/necessità di “apprendere ad
apprendere”, in quanto la complessità e la problematicità dell’agire educativo sollecitano
una costante apertura a nuove interpretazioni dell’esperienza, a nuove e diverse modalità
operative, a nuove conoscenze e competenze, in una prospettiva di apprendimento
permanente.
Le azioni del docente inclusivo dovrebbero essere le seguenti:
•
instaurare un clima inclusivo: valutare, accettare e rispettare la diversità.
La diversità tra gli alunni è una risorsa e una ricchezza, che va valorizzata e
apprezzata
•
cercare di adattare stili d’insegnamento, materiali, tempi, tecnologie
•
promuovere un approccio cooperativo tra gli alunni
•
sostenere e sollecitare le potenzialità di tutti gli alunni facendo prevalere un’ottica
positiva nell’accostarsi alle differenze, piuttosto che una logica comparativa
•
costruire e mantenere un clima relazionale positivo come elemento imprescindibile
per consentire ad ognuno di sviluppare al meglio le proprie possibilità, aiutandolo a
divenire il 'miglior se stesso possibile' in quel momento;
•
attivare una didattica metacognitiva
•
predisporre attività trasversali alle altre discipline
•
variare strategie in itinere
•
favorire l’attivazione di reti relazionali con colleghi, famiglie, territorio, esperti.
La collaborazione e il lavoro di gruppo dovrebbero essere approcci essenziali per
tutti i docenti e momenti di confronto e valutazione della propria azione educativa.

aggiornamento
professionale
continuo;
l’insegnamento
è
una
“attività
di
apprendimento” e i docenti hanno la responsabilità del proprio apprendimento per
tutto l’arco della vita.
L’insegnante inclusivo deve essere capace di superare la tradizionale didattica trasmissiva
( lezione frontale, libro di testo da studiare, interrogazioni individuali ecc.) e orientarsi
verso una pluralità di approcci diversificati, che tengano conto di molteplici variabili quali:
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i tempi della lezione e della relazione, gli spazi, le modalità d’indagine sui contenuti della
conoscenza ( apprendimento significativo per scoperta ed elaborazione), il rispetto dei
diversi stili di apprendimento, l’utilizzo di diversi stili d’insegnamento, le diverse tipologie di
relazione e gli atteggiamenti dei docenti, i modi di aggregazione degli alunni, i mezzi, gli
strumenti e i mediatori didattici utilizzati.
4. Pratiche educative e didattiche inclusive
La Circolare Ministeriale n.8 del 6 marzo 2013 afferma che l’uso di determinate strategie di
gestione dei gruppi, la produzione di materiali adeguati e la migliore utilizzazione degli
strumenti in dotazione alla scuola possano senza dubbio consentire agli insegnanti di
coinvolgere nei percorsi formativi programmati ciascun alunno, anche quelli in situazione
di BES.
Gli insegnanti, pertanto, sono chiamati a padroneggiare nuove metodologie didattiche e a
svolgere attività significative, che coinvolgano nel lavoro di preparazione o di
adeguamento dei materiali tutti gli alunni della classe.
Le metodologie didattiche che stimolano l’approccio collaborativo tra gli alunni come:
l’apprendimento cooperativo, il peer tutoring e il peer collaboration aiutano gli insegnanti a
creare nella classe, un ambiente veramente inclusivo, nel quale tutti gli alunni sono messi
in condizione di apprendere in base alle proprie capacità; queste metodologie
rappresentano modelli educativi collaborativi volti ad attivare un processo spontaneo di
passaggio di conoscenze, emozioni ed esperienze da alcuni membri di un gruppo ad altri
membri dello stesso gruppo.
L’apprendimento cooperativo o cooperative learning permette a tutti gli alunni di crescere
e di potenziare le proprie abilità nei confronti dei materiali di studio.
In un ambiente di apprendimento cooperativo ciascun alunno è chiamato a mettere a
disposizione le proprie risorse e a fornire e a ricevere aiuti; ciascun componente del
gruppo, con le sue caratteristiche peculiari e speciali, può contribuire all’apprendimento di
tutti e ognuno può diventare risorsa e strumento compensativo per gli altri e questo
permette di creare un apprendimento paritario e realmente inclusivo.
Nelle strutture cooperative ogni alunno trova il suo spazio e si sviluppano forme di rispetto
reciproco tra gli allievi.
L’apprendimento cooperativo veicola le conoscenze, le abilità e le competenze su tutti i
componenti del gruppo e inoltre nel piccolo gruppo nessuno dei componenti si può
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sottrarre all’impegno comune e ogni allievo sperimenta le proprie potenzialità mettendosi
in gioco.
Il peer tutoring prevede un lavoro a coppie o a piccoli gruppi, in cui un allievo tutor (
esperto ) fa da insegnante a uno o più compagni; il bambino tutor guida , sostiene e aiuta
l’altro nel processo di apprendimento, è comunque essenziale che il primo sia a sua volta
guidato e supervisionato dall’insegnante.
Nella peer collaboration
gli allievi sono alla pari e hanno uguali conoscenze e
competenze, quindi il gruppo affronta e risolve il problema aiutandosi e collaborando, è
utile per facilitare la scoperta intellettuale e l’acquisizione di conoscenze di base.
Importante è anche l’uso delle tecnologie multimediali (computer, notebook per utilizzare
software specifici, LIM ).
Queste ultime permettono di accedere a una quantità infinita d’informazioni; di visualizzare
filmati o immagini; l’interazione visiva di testi o esercizi ( costruzione di testi collettivi); la
realizzazione di unità di lavoro informatizzate con possibilità di personalizzarle per il
gruppo classe e di utilizzarle in modo flessibile ( eventuale consegna agli alunni di una
copia della lezione o delle attività proposte in formato cartaceo o digitale); la possibilità di
condividere sul web, tra reti di scuole, i prodotti realizzati; favoriscono e promuovono
l’interazione lasciando spazio alla creatività degli studenti affinché realizzino ricerche o
unità di lavoro multimediali in modo autonomo, singolarmente o in piccolo gruppo;
favoriscono l’apprendimento costruttivo ed esplorativo ed infine per gli alunni con difficoltà
sono un valido strumento compensativo se sono usate sintesi vocali, videoscrittura,
mappe concettuali, schemi e tabelle.
Un’altra strategia inclusiva efficace per migliorare l’apprendimento degli studenti, con e
senza difficoltà è la didattica metacognitiva che sviluppa nell’alunno la consapevolezza di
quello che sta facendo, perché lo fa, di quando è più opportuno farlo ancora e in quali
condizioni.
La didattica metacognitiva favorisce la consapevolezza nell’alunno dei propri processi
cognitivi e il controllo esercitato su di essi.
La didattica metacognitiva facilita la conoscenza e l’uso di strategie , migliora la
prestazione nella risoluzione di problemi e nella pianificazione delle attività, sviluppa il
senso di autoefficacia, autostima e motivazione, rafforza la conoscenza delle proprie
capacità cognitive quali l’attenzione e la memoria.
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L’approccio metacognitivo stimola la convinzione che le situazioni possono essere
modificate grazie all’ausilio di strategie adeguate, di maggiore impegno, di controllo delle
azioni.
Il docente metacognitivo deve spingere il bambino alla scoperta dei propri processi
cognitivi, dei propri stili di pensiero stimolandolo a sviluppare tecniche di autoregolazione.
Il docente metacognitivo deve:

guidare l’alunno con esempi di strategie, aiuti e domande;

invitare l’alunno a ripetere ad alta voce il percorso elaborato;

chiedere all’alunno di pensare nella sua mente: avvio all’autonomia;

chiedere all’alunno di elaborare una strategia personale: avvio al consolidamento:

chiedere all’alunno di elaborare piani nuovi per risolvere altri problemi: avvio alla
generalizzazione.
Valutazione
In questa nuova ottica inclusiva della scuola, la valutazione gioca un ruolo importate e per
questo occorre dedicarvi un’attenzione particolare; poichè, a volte, le modalità di
valutazione possono arrivare a creare disuguaglianze.
Gli approcci valutativi oggi previsti dal nostro sistema scolastico possono essere di tre tipi:
normativo o comparativo, idiografico e criteriale.
Il valutazione normativa o comparativa mette a confronto la prestazione del singolo e
quella del gruppo e può essere determinata da due parametri:

standardizzato ( usa un campione standard come termine di riferimento per valutare
le risposte di qualsiasi altro soggetto, che è sottoposto a quel test )

relativo ( mette a confronto i risultati di un alunno con quelli ottenuti dal gruppo
classe e definisce la collocazione dell’alunno rispetto alla classe, o sopra o sotto ).
Questo sistema può essere utile per avere il quadro della distribuzione degli alunni in base
agli obiettivi di apprendimento, ma favorisce la competizione, che non è positiva sul piano
motivazionale per gli alunni in difficoltà.
La valutazione ideografica è basata su prove differenziate, strutturate in relazione al PEI o
al PDP degli alunni certificati o con diagnosi.
Tale valutazione compara la situazione iniziale dell’alunno e quella finale, rileva le
evoluzioni e i cambiamenti, ma rischia di staccarsi dagli standard ritenuti accettabili per
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una parte degli alunni e considera il bambino “staccato” dal contesto sociale in cui è
inserito.
La valutazione criteriale raffronta i risultati di apprendimento dei singoli alunni con dei
criteri predeterminati definiti in base alla programmazione, i criteri predefiniti ( anche sulla
base delle indicazioni nazionali che fissano traguardi periodici e finali ) sono “generali”, ma
possono trovare specificazioni personali e una strutturazione.
Ognuno di questi sistemi di valutazione scolastica presenta degli aspetti positivi e di utilità,
ma quello maggiormente inclusivo, soprattutto nell’ottica dei BES, risulta essere quello
criteriale; poiché un bambino deve essere valutato, più che rispetto ai compagni,
soprattutto in rapporto a se stesso, al prima e dopo, in base alle sue specificità e
potenzialità, alle difficoltà che manifesta, ai progressi che realizza.
Una
valutazione,
veramente,
inclusiva
deve
essere
progettata,
cioè
correlata,
criterialmente, a una programmazione didattico-educativa orientata allo sviluppo delle
competenze; deve essere personalizzata, in modo che si possa riconoscere a ciascuno il
“differenziale” di apprendimento conseguito anche in presenza di competenze disciplinari
diversificate; deve essere orientata, cioè finalizzata a orientare le scelte personali,
fornendo strumenti di autoconsapevolezza e documentazione educativa; deve essere
multifattoriale, cioè che utilizzi modalità valutative diversificate per riconoscere a tutti, in
momenti e a livelli diversi, ciò che è di tutti e a ciascuno ciò che è di ciascuno.
In sostanza non si può valutare in modo inclusivo ciò che non è stato progettato e attuato
in modo inclusivo.
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Conclusioni
L’attuazione e il rispetto delle ultime Leggi emanate, rappresentano per la scuola una
grande opportunità di cambiamento, di cui però ancora non è stato colto il significato
profondo.
I cambiamenti, si sa, fanno paura, producono ansia, ma talvolta sono necessari per
raggiungere obiettivi più importanti e significativi.
La realtà sociale così diversificata e complessa, chiede alla scuola di riformulare la propria
organizzazione, la propria progettualità e la propria metodologia didattica per rispondere a
tutti i bisogni.
La scuola deve adottare “la politica dell’inclusione” come strategia sociale, per rispondere
in modo efficace ed efficiente alla diversità, che va considerata come un valore aggiunto e
non come un fattore di disturbo.
La realizzazione di questo, comporta che tutti gli “attori” ( famiglia, scuola, territorio ) che
concorrono alla formazione degli individui collaborino insieme, adottando e condividendo
strategie e buone pratiche educative.
I docenti, soprattutto, devono cercare di superare la loro rigidità metodologica e aprirsi a
una relazione dialogica/affettiva, che garantisca
la comprensione del bisogno e
l’attuazione di risposte funzionali.
La didattica inclusiva è equa e responsabile, fa capo a tutti i docenti e non soltanto agli
insegnanti di sostegno, ed è rivolta a tutti gli alunni e non soltanto agli allievi con difficoltà.
Tutto il team degli insegnanti deve essere in grado di programmare e declinare la propria
disciplina in modo inclusivo, adottando una didattica creativa, adattiva, flessibile e il più
possibile vicina alla realtà.
Adonella Vaiani
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Bibliografia.

R. Ciambrone, G. Fusacchia - I BES. Come e cosa fare - ed. Giunti Scuola, 2014.

D. Ianes, S. Cramerotti – Alunni con BES. Bisogni educativi speciali – ed. Erickson,
2013

R. Caldin – Dispense per il Master di 1°livello “Didattica e Psicopedagogia per i
Disturbi Specifici di Apprendimento” –Università di Firenze – Facoltà di Scienze
della Formazione, 2011

I. Nicolini – Dispense corso di specializzazione A.E.D – “La Disgrafia: Educazione e
Rieducazione del gesto grafico”, Firenze 2014/15
-
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