LE PRINCIPALI MALATTIE DEL CASTAGNO NELLA PROVINCIA DI TORINO E CRITERI DI LOTTA Tullio Turchetti Istituto per la Protezione delle Piante CNR Firenze La coltivazione del castagno nella Provincia di Torino, come nel resto del Piemonte, vanta antiche origini e tradizioni secolari tali da suscitare ampi riconoscimenti per la qualità delle produzioni di marroni e castagne. In questi anni si sta verificando in Piemonte come nel resto d’Italia, dopo la drastica riduzione degli anni 50, un forte rilancio della castanicoltura dovuto ad un aumento della domanda del mercato per i frutti, ad un maggiore interesse per il legname, alla valenza turistico paesaggistica dei migliori impianti e alla generale attenuazione dei danni da Cryphonectria parasitica, l’agente del cancro della corteccia. La situazione fitosanitaria è migliorata negli impianti, ma agli operatori del settore, che non possono trascurare l’impatto delle malattie, necessitano indicazioni di ordine fitosanitario per una corretta e sostenibile gestione dei castagneti, in considerazione della molteplicità delle situazioni stazionali ed ecologiche in cui essi vegetano. In questo contesto alcuni Enti pubblici: l’Istituto per la Protezione delle Piante (IPP) del CNR, il Dipartimento di Valorizzazione e Protezione delle Piante (DiVaPRA) dell’Università di Torino, la Direzione Sviluppo Agricoltura della Regione Piemonte, hanno operato per monitorare gli effetti delle principali fitopatie in vari impianti del Piemonte. Nella provincia di Torino l’IPP ha espletato indagini nella Valle di Susa (in corso da tempo) e nella Val Pellice, mentre la Valle di Lanzo verrà considerata successivamente data la scarsa richiesta di interventi. I criteri seguiti in questa prima fase hanno preso in considerazione il tipo di soprassuolo castanile, le caratteristiche stazionali ed in riferimento alle due patologie più gravi che affliggono i castagneti: il "cancro della corteccia" ed il "mal dell’inchiostro", si è proceduto ad osservazioni di carattere fitosanitario per individuare, relativamente ai soprassuoli visitati, le situazioni di maggior sofferenza. Il mal dell’inchiostro La valutazione dei danni da "mal dell’inchiostro" è basata sull’individuazione di piante sintomatiche, e sulla loro localizzazione nei comprensori, allo scopo di seguirne l’evoluzione nel tempo in funzione delle condizioni edafiche e climatiche. La presenza del "mal dell’inchiostro" è risultata sporadica nella Valle di Susa ed interessa alcuni castagneti ubicati in condizioni di elevata umidità, comunque localizzati alle quote comprese tra i 650 e 850 m slm, invece nella Valle Pellice sono segnalati numerosi focolai sparsi nel comprensorio ed il loro numero aumenta ogni anno, analogamente a quanto avviene in Toscana, specialmente nel Mugello (FI), Garfagnana (LU) e Casentino (AR). Il "mal dell’inchiostro" può manifestarsi all’interno di un castagneto iniziando da piante isolate o da gruppi di piante, che sono caratterizzati da giacitura ed esposizioni variabili a seconda della stazione. Generalmente l’infezione è correlata ad elevati livelli di umidità e a ristagni idrici in corrispondenza di vallecole o di fondovalle e castagni sofferenti e morti sono stati trovati in queste condizioni stazionali; moltissime piante con evidenti attacchi della malattia erano però sulla sommità di colline o di monti o sui loro fianchi, anche in pendenze accentuate, in situazioni svincolate da problemi di ristagno idrico. Sono stati rilevati castagni sintomatici in prossimità di strade infraboschive, dove gli attacchi potrebbero essere stati favoriti dai ristagni idrici che si formano nelle canalette di sgrondo adiacenti la carreggiata, ma il mal dell’inchiostro è stato osservato anche su piante viventi all’interno del bosco e ben distanti da strade e sentieri e addirittura in zone prive di viabilità. Grossi alberi secolari e anche giovani castagni vengono danneggiati ed uccisi dalla malattia. La malattia tende a manifestare un andamento veloce causando rapidamente la morte dell’ospite (nell’arco di uno - due anni) oppure può determinare una prolungata sofferenza della pianta colpita che si conclude con la sua morte nel giro di due - tre anni. Questo differente corso della malattia può essere dovuto alle condizioni degli apparati radicali: l’azione devastante del parassita in presenza di apparati radicali ben sviluppati e vigorosi sembra trovare difficoltà maggiore di quella che incontra con radici deboli e sofferenti. Non può essere esclusa l’influenza delle condizioni ambientali sull’andamento e sulla diffusione della malattia. Riguardo alle condizioni climatiche, inverni non molto freddi e con precipitazioni meno intense nel periodo invernale e primaverile potrebbero favorire le infezioni e il decorso letale del mal dell’inchiostro. La diminuzione della piovosità invernale, riscontrata a partire dalla metà degli anni ‘80 in Toscana potrebbe indurre durante la ripresa vegetativa in primavera stress idrici capaci di causare sofferenza per gli alberi e l’aumento delle manifestazioni patologiche. Dai campioni di radici infette prelevate in Piemonte, Toscana ed in altre regioni è stata isolata la Phytophthora cambivora anche associata ad altre Phytophthorae. E’ un potenziale pericolo la presenza nei vivai di P. cinnamomi che potrebbe diffondersi nei castagneti con la messa a dimora di semenzali innestati infetti. Gli effetti di questa epidemia potrebbero essere davvero devastanti. Il mal dell’inchiostro è presente nei castagneti da frutto coltivati, in quelli abbandonati, nei boschi misti e nei cedui. Ne consegue che gli interventi dovranno essere programmati in funzione del soprassuolo infetto. E’ chiaro che nei castagneti da frutto l’obiettivo primario è di limitare quanto più possibile i danni causati dalla malattia. La lotta chimica appare difficilmente prospettabile per la difficoltà di somministrare i prodotti in bosco, inoltre non va trascurata la naturalità che caratterizza i castagneti e i loro prodotti, costituendo un punto di forza per l’immagine commerciale. Un altro metodo di lotta che potrebbe essere efficace, specie per i nuovi impianti, si fonda sulle varietà di Castanea sativa resistenti che però sono state scarsamente individuate, in mancanza di tale materiale possono cautamente supplire come portainnesti alcune cultivar di ibridi eurogiapponesi proposte come resistenti, ma presupposto fondamentale è la loro compatibilità con le nostre varietà più pregiate di "marroni". La difesa biologica offre interessanti opportunità purché integrate con interventi selvicolturali e pratiche agronomiche che potrebbero migliorare la situazione fitosanitaria. Gli interventi volti a facilitare lo smaltimento delle acque e ad eliminare i ristagni idrici giovano alle piante, perché arieggiando il terreno attivano maggiormente la microflora presente. In Toscana nel Mugello, da qualche anno, si stanno somministrando concimi con ottimi risultati e specialmente con concimazioni organiche: piante gravemente compromesse dalla malattia non solo si sono riprese, ma sono tornate a produrre marroni di buona pezzatura, dimostrando la validità delle metodiche di controllo legate al miglioramento delle condizioni edafiche. Nei vivai, che debbono produrre piante indenni dalla malattia, potrebbero essere effettuati trattamenti chimici preventivi e curativi. E’ comunque fondamentale controllare il materiale di propagazione proveniente dai vivai per limitare la diffusione della P. cinnamomi, parassita ancor più pericoloso per l’elevata polifagia. Il cancro della corteccia Gli effetti del cancro della corteccia sono stati valutati in base alla presenza sulle chiome di branche e rami secchi con foglie morte ancora attaccate, sintomi inequivocabili di recenti infezioni degli isolati più dannosi di C. parasitica. Al contrario l’assenza di disseccamenti su rami infetti testimonia la presenza di cancri cicatrizzanti e cicatrizzati e soprattutto la predominanza dell’ipovirulenza nei castagneti. La valutazione dei danni è basilare per rilevare il livello di gravità della malattia e programmare gli interventi. Negli impianti visitati nella Valle di Susa e nella Val Pellice è stata costatata la dilagante presenza del cancro della corteccia. Sulle chiome dei castagni non sono stati rilevati estesi e recenti attacchi mortali della malattia, anzi la maggior parte di essi si trova in buone condizioni vegetative per la diffusa presenza di cancri cicatrizzanti e cicatrizzati prodotti dagli isolati ipovirulenti di C. parasitica. Anche nei castagneti da frutto parzialmente coltivati in cui si effettua la sola ripulitura del sottobosco per facilitare la raccolta delle castagne si sono rilevati, sui rami e sulle branche dei castagni, numerosi cancri cicatrizzati e cicatrizzanti che non determinavano alcuna sofferenza. Questa situazione favorevole ha incoraggiato gli operatori del settore ad effettuare le necessarie cure colturali e in molti casi essi procedono al recupero degli impianti semi-abbandonati. I cedui visitati nelle Valli presentavano un’età superiore ai 20 anni ed elevata densità dei polloni sulle ceppaie per la mancanza dei necessari tagli di diradamento: questa condizione competitiva favorisce la diffusione del cancro della corteccia. I polloni dominanti presentavano un buon sviluppo e le chiome non manifestavano alcun sintomo di sofferenza. Effettuando all’interno del bosco osservazioni approfondite si rilevava una notevole quantità di cancri da C. parasitica con più del 90% dei polloni infetti. L’elevata presenza di cancri cicatrizzanti e cicatrizzati, originati dagli isolati ipovirulenti del parassita ha permesso a molti polloni (classe diametrica compresa tra 15-20 cm e oltre) di vegetare in buone condizioni pur presentando oltre 7 - 8 cancri cicatrizzati o cicatrizzanti sul fusto. Sono stati osservati cancri intermedi che spesso mostravano evidenti calli di cicatrizzazione. Sporadici disseccamenti apparivano talvolta su polloni dominati. In conclusione, i castagneti da frutto e i cedui visitati nelle Valli piemontesi sono risultati fortemente infestati dalla C. parasitica. La massiccia presenza di cancri su branche, rami e polloni è indice della notevole capacità infettiva di questo parassita che, nell’arco di sessanta anni circa, si è così adattato ed insediato nei nostri castagneti da costituire ormai un componente di questi ecosistemi. In Piemonte, come nel resto dell’Italia, è molto raro osservare selve castanili indenni dal cancro. L’andamento epidemico della malattia nelle Valli visitate, come nel resto del nostro Paese, è progressivo, ma non sembra determinare danni di particolare gravità per la diffusa presenza di cancri cicatrizzati e cicatrizzanti, generalmente predominanti. Certamente l’andamento e l’evoluzione del processo epidemico ancora in corso è influenzato da vari fattori, fra i quali la predominanza dell’una o dell’altra tipologia di cancri: l’attuale prevalenza dell’ipovirulenza, ha ridotto i danni causati dalla malattia. E’ pur vero che nel corso delle indagini di laboratorio si sono rinvenute nuove linee del patogeno a dimostrazione della sua continua capacità evolutiva. Comunque l’ipovirulenza è predominante in quasi tutti i castagneti visitati nelle e dai cancri prelevati sono stati ottenuti isolati ipovirulenti bianchi dei quali ben l’80% contiene nel micelio il ds- RNA che appare così largamente diffuso nei castagneti. Nell’ambito delle interazioni ospite – parassita la reazione dell’ospite, espressione della sua vigoria è determinate tant’è che soggetti dominati o deboli, comunque destinati a soccombere, vengono facilmente uccisi dalle infezioni. Certamente agli occhi dei castanicoltori queste mortalità appaiono come il risultato esclusivo dell’attività del parassita con conseguenti preoccupazioni. Ne deriva la necessità di effettuare gli interventi colturali più idonei alla gestione dei castagneti e quelli volti al recupero degli impianti che appaiono basilari per il contenimento dei danni. L’eliminazione con le potature di branche e rami disseccati con ancora le foglie attaccate e la loro successiva distruzione permetteranno di limitare la diffusione dei ceppi più dannosi del parassita. Nella Val Susa i castanicoltori, impiegando mastici contenenti additivi biologici per la difesa del punto d’inserzione delle marze sul soggetto, hanno eseguito con buoni risultati innesti a doppio spacco inglese, a gemma, a zufolo e a corona. La sperimentazione e la divulgazione delle tecniche per la difesa biologica degli innesti costituiscono un ulteriore contributo per il recupero ed il miglioramento degli impianti. Le indagini hanno permesso di individuare, caratterizzare e selezionare ceppi ipovirulenti capaci di produrre infezioni e cancri simili a quelli naturali. Le prove effettuate in bosco e seguite dai castanicoltori hanno avuto anche valore dimostrativo permettendo agli operatori del settore il riconoscimento delle infezioni cicatrizzate e cicatrizzanti e di constatare la validità degli interventi proposti e basati sul rilascio negli impianti di queste infezioni per assicurare il predominio dell’ipovirulenza. E’ evidente che ai castanicoltori ed ai potatori debbono essere illustrate le differenti tipologie di cancro per riconoscerle e per poter poi intervenire correttamente. Nel caso di interventi di recupero o di miglioramento di soprassuoli castanili fortemente danneggiati e degradati dal cancro, la possibilità di effettuare inoculazioni artificiali con isolati ipovirulenti selezionati e capaci di diffondersi fornisce incoraggianti prospettive per il controllo biologico della malattia. Appare evidente l’importanza di un’intensa attività divulgativa per illustrare alle maestranze, alle organizzazioni di categoria, ai tecnici ed agli operatori del settore i criteri e le indicazioni per una corretta gestione degli impianti sotto il profilo fitosanitario. Sarà così possibile trasferire a livello operativo quei criteri, acquisiti nell’ambito di ricerche pluriennali, che contribuiranno a valorizzare le capacità produttive della castanicoltura e a potenziare lo sviluppo sostenibile dell’economia dei territori montani.