Le principali malattie fungine del castagno

Le principali malattie fungine del castagno
In Toscana il castagno è ampiamente diffuso, estendendosi dalle aree mediterranee fino
alle quote più alte dell’Appennino e dell’Amiata. Grazie alla possibilità di essere coltivato a
ceduo o ad alto fusto ha costituito per secoli una importante risorsa economica per il
mondo rurale e montano. Nonostante la sua vigoria il castagno ha attraversato negli ultimi
decenni un periodo di crisi dovuto all’abbandono della montagna e all’azione di gravi
patologie che hanno determinato una notevole riduzione delle superfici coltivate.
Castagneto da frutto coltivato
Le principali malattie fungine di rami e fusti
Cancro della corteccia
La malattia è causata dal fungo ascomicete Cryphonectria parasitica (Murr.) Barr.
identificato un tempo come Endothia parasitica (And. & And.). L’agente patogeno, di origine
asiatica, è giunto in Europa negli anni trenta dal nord America tramite materiale infetto, e
ha causato nel recente passato danni tali da far temere per la sopravvivenza del castagno
nel nostro ambiente.
Il parassita penetra nella corteccia dei rami e dei giovani fusti attraverso ferite e provoca
cancri che possono estendersi fino a circondarli completamente. La corteccia degli organi
colpiti assume una colorazione scura, appare depressa con profonde fessurazioni, e
sollevandola si osservano i caratteristici “ventagli” di color bianco-crema costituiti dal
micelio parassita.
La diffusione del patogeno avviene attraverso i conidi, di origine agamica, e le ascospore di
derivazione sessuata. Attorno alla parte necrotizzata si sviluppano le fruttificazioni del
fungo (picnidi) riconoscibili come piccole pustole (circa 1 mm) giallo-aranciate emergenti
dalla corteccia morta. Dai picnidi, che si sviluppano durante i periodi umidi e con
temperatura mite, vengono emessi i conidi (di 3,5 μm di lunghezza), inglobati in gocce
mucillaginose o riuniti in cirri. In condizioni favorevoli di temperatura e umidità il fungo può
continuare il suo ciclo anche nelle cortecce di fusti e rami morti tagliati ed accumulati in
cataste. Le ascospore vengono prodotte durante l’inverno dai periteci che si sviluppano sui
tessuti corticali infetti.
Alla dispersione dei conidi e delle ascospore concorrono vari agenti: insetti, acari, lumache
e uccelli, che si imbrattano e trasportano cirri e mucillaggini. Anche l’acqua piovana
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contribuisce alla diffusione dell’inoculo disperdendolo sulle piante verso il basso. L’uomo
può diventare vettore della malattia veicolando porzioni di piante infette o utilizzando
utensili contaminati.
Dopo la fase iniziale di forte espansione e di grave mortalità, la virulenza della malattia è
lentamente regredita permettendo la ripresa dei castagneti. Ceppi di C. parasitica sono
risultati contaminati da una particella virale (ds-RNA presente nel citoplasma del micelio)
che ne ha attenuato la virulenza. Il fenomeno dell’ipovirulenza, studiato inizialmente in Italia
ed in Francia (BIRAGHI, 1956; GRENTE E SAURET, 1969; BONIFACIO E TURCHETTI, 1973),
riguarda pressoché tutti i castagneti della penisola.
I ceppi ipo-virulenti sono caratterizzati da una minore aggressività: il loro micelio non uccide
il cambio, a differenza di quanto accadde in caso di infezione da ceppi virulenti,
permettendo ai tessuti della pianta di reagire con la produzione di calli e barriere di
sughero. L’ipovirulenza, e dunque il ds-RNA, oltre a diffondersi naturalmente con i conidi,
può essere trasmessa attraverso le anastomosi tra ife di miceli compatibili, anche
aggressivi, che possono venire in contatto. Ad oggi sul territorio toscano è stato rilevato
che l’ipovirulenza è predominante pur mantenendosi la presenza degli isolati più
aggressivi.
Tipologie di cancri
Allo stato attuale nei castagneti della Toscana si possono trovare differenti tipologie di
cancro:
1 - Cancri normali
Vengono così definiti quelli causati da ceppi virulenti del patogeno. Si caratterizzano per la
morte della parte del fusto o ramo sovrastante l’infezione, oltre alla produzione di rami
epicormici alla base del cancro. Si osservano arrossamenti, imbrunimenti e depressioni
della corteccia infetta, profonde fessurazioni e abbondante produzione di picnidi rossoaranciati. Sotto la corteccia necrotizzata si sviluppano estesi e profondi ventagli di micelio.
2 - Cancri anormali
Sono prodotti da ceppi ipovirulenti e si distinguono in cancri cicatrizzanti e cicatrizzati. Si
differenziano dai precedenti per un evidente ingrossamento dell’area infetta, non portano a
morte il fusto o ramo infetto, e non provocano l’emissione di rami epicormici. I cancri
cicatrizzanti presentano arrossamenti e fessurazioni nell’area infetta, oltre a un sviluppo
superficiale del micelio fungino, talvolta organizzato in piccoli ventagli, nei tessuti corticali.
La produzione di picnidi è inferiore rispetto a quella dei cancri normali. Il processo di
cicatrizzazione costituisce la reazione della pianta all’infezione che espelle verso l’esterno
gli strati di corteccia morta. La fase più avanzata di tale reazione produce i cancri
cicatrizzati, nei quali il micelio presenta ridotta vitalità, alta superficialità, e assenza di
picnidi. Spesso una evidente area nerastra indica l’avvenuta completa espulsione del
micelio parassita.
3 - Cancri intermedi
Questi cancri presentano una sintomatologia intermedia tra i cancri normali e quelli
anormali. Pur essendo presenti rami epicormici alla base del cancro, la parte superiore del
fusto resta viva. Si osservano rigonfiamenti, arrossamenti, fessurazioni, e numerosi picnidi
vengono prodotti anche in presenza di evidenti processi di cicatrizzazione. L’evoluzione di
questi cancri è vincolata alla vitalità del fusto o ramo colpito: possono evolvere in cancri
cicatrizzati se il fusto o ramo infetto è vigoroso, in caso contrario ne accelerano la morte.
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A: cancro normale B: cancro cicatrizzante
C: cancro cicatrizzato
D: cancro intermedio
Valutazione dei danni
La valutazione dell’impatto della malattia sui castagneti è di primaria importanza: occorre
saper riconoscere i danni attuali da quelli verificatesi negli anni precedenti. E’ frequente
osservare nei castagneti grosse branche secche completamente prive di corteccia, risultato
di intensi attacchi risalenti a periodi anteriori ed ancora sugli alberi per mancanza di
potature; esse conferiscono un aspetto degradato al popolamento e fanno sembrare gli
attacchi di C. parasitica ben più gravi di quanto in realtà siano. Le infezioni attuali, invece,
si riconoscono per la presenza di rami e rametti morti con ancora le foglie secche
attaccate.
Danni da cancro vecchi
Danni da cancro attuali
Lotta contro il cancro del castagno
Le osservazioni compiute ormai da decenni, in differenti comprensori forestali italiani ed
europei, hanno messo in evidenza che la lotta contro il cancro del castagno può essere
attuata favorendo il processo naturale della diffusione dei ceppi ipovirulenti per assicurare
la sopravvivenza e la capacità produttiva dei castagneti. La principale azione da
intraprendere a tale scopo è quella di eliminare fusti e rami uccisi dalla malattia, avendo
cura di lasciare intatte le branche infette da cancri cicatrizzanti e cicatrizzati come fonte di
inoculo ipovirulento del patogeno. In caso di gravi danni recenti è possibile procedere ad
inoculazioni artificiali combinate con ceppi ipovirulenti selezionati e capaci di produrre
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cancri cicatrizzanti per supportare la diffusione naturale dell’ipovirulenza; tali interventi
richiedono comunque una certa dose di competenze tecniche e di conoscenza della
situazione ambientale.
La difesa degli innesti
Le ferite causate dagli innesti sono particolarmente suscettibili alle infezioni fungine. È in
questo ambito che il cancro si dimostra particolarmente dannoso: sia gli isolati virulenti che
quelli ipovirulenti di C. parasitica possono far fallire gli innesti. Per questo motivo è molto
importante che vengano scelti soggetti sani, e che si effettui il taglio con la massima
precisione e con attrezzi puliti. Il punto di innesto deve essere protetto con mastici
cicatrizzanti (quelli biologici sono consigliabili), e si deve cercare di contenere lo sviluppo
dei getti per evitare scosciamenti e lesioni che possono favorire gli attacchi del parassita.
Occorre tenere presente che il patogeno infetta con minore facilità innesti ben protetti e
ferite limitate. Pertanto sarebbero da preferire, compatibilmente con le esigenze colturali,
innesti su soggetti di piccole dimensioni, che prevedono ferite di ampiezza modesta, come
quelli a spacco pieno, doppio spacco inglese, a zufolo o a gemma.
Innesto con evidente attacco di cancro
Innesto attecchito e protetto dal
mastice biologico
Malattie dell’apparato radicale
Mal dell’inchiostro
Il castagno, generalmente considerato pianta assai rustica, appare particolarmente
suscettibile agli attacchi dei parassiti fungini nell’ apparato radicale. I danni più gravi sono
causati da Oomiceti del genere Phytophthora: Phytophthora cambivora (Petri) Buism., P.
cinnamomi Rand, P. citricola Sawada, e P. cactorum (Leb. & Cohn) Schröt., che provocano
il cosiddetto “mal dell’inchiostro”. Questa malattia diffusasi in Europa alla fine del ottocento,
colpisce l’apparato radicale delle piante ed è presente nei luoghi in cui il terreno, per la
giacitura, il contenuto di argilla o la presenza di acqua di ruscellamento, trattiene una certa
quantità di umidità durante il periodo primaverile-estivo, permettendo così la diffusione dei
propaguli del microrganismo (zoospore flagellate). Fino alla comparsa del cancro corticale,
questa patologia è stata considerata la principale causa di danno dei castagneti.
Attualmente il mal dell’inchiostro desta ancora una certa preoccupazione, specialmente se
si tratta di castagneti recuperati dopo un abbandono di un certo numero di anni e nel caso
della conversione dei cedui in castagneti da frutto.
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La presenza del mal dell’inchiostro non è facile da diagnosticare, e si manifesta con necrosi
sulla corteccia caratteristiche per la forma a fiamma o a diagramma e dalla fuoriuscita di
liquido nerastro alla base del fusto. Nei casi più gravi, scortecciando le piante infette, si
percepisce un forte odore di tannino. Altri sintomi della malattia sono deperimento,
riduzione della crescita e ingiallimento progressivo della chioma con disseccamento degli
apici dei rami. Le foglie, di dimensioni ridotte, cadono precocemente (anche un mese
prima), i rami trattengono a lungo i ricci che non arrivano a maturazione. La malattia è
evidente sui polloni che muoiono rapidamente sulle ceppaie infette, ancor prima della
ripresa vegetativa primaverile. La progressione della malattia è in stretta dipendenza con la
vigoria e l’età delle piante, ma può variare anche in relazione alla virulenza del patogeno.
Nei casi peggiori le ceppaie muoiono in una o due stagioni vegetative. Attualmente la
malattia è presente nelle principali aree castanicole della Toscana.
Necrosi a fiamma tipica del mal dell’inchiostro
Sintomi da mal dell’inchiostro: microfillia,
ingiallimenti fogliari, piccoli ricci alla
sommità della chioma
Lotta contro il mal dell’inchiostro
La lotta in pieno campo contro le Phytophthorae spp. risulta molto difficile da realizzare, e
per poter conseguire qualche risultato è necessario agire in modo integrato con interventi di
tipo colturale e biologico. In generale questi funghi appaiono particolarmente sensibili alle
basse temperature. A questo proposito è stato rilevato che inverni miti non ostacolano il
patogeno, ma anzi se accompagnati da scarse cure o da parziale abbandono del
castagneto, favoriscono la diffusione del mal dell’inchiostro. Le metodiche di lotta in questo
caso sono basate su interventi colturali volti alla rimozione dei ristagni di umidità e al
risanamento dei suoli. Altra caratteristica delle Phytophthorae spp. è che mal sopportano la
concorrenza di altri miceti del suolo. In questo caso gli interventi di lotta, di tipo colturalebiologico, consistono per lo più nella ripresa di tecniche colturali del passato dimostratesi
ancora oggi estremamente attuali ed efficaci. Si è notato, infatti, che laddove i castagneti
erano sottoposti a pascolo, l’apporto di sostanza organica favoriva la microflora non
patogena del suolo, stimolava la concorrenza fra organismi e il contenimento della malattia.
Da prove eseguite in varie località del Mugello, anche con il contributo tecnico di questa
Agenzia, si è potuto rilevare che somministrando alle piante letame ben maturo, pollina o
concimi biologici (NP + K pellettato), durante la ripresa vegetativa, si è ottenuta una buona
risposta degli alberi trattati, anche di quelli sintomatici, che hanno cominciato a ricostituire
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le loro chiome, dimostrando così la ritrovata vitalità dovuta all’apporto di sostanze nutritive,
all’effetto stimolante del concime sulla microflora e al miglioramento della struttura del
terreno. L’impiego si concimi organici, in dosi variabili (da 100-150 kg/pianta di letame; 1030 kg/pianta di pollina; 5-10 kg/pianta di concime biologico), sono compatibili con i
protocolli di coltivazione per le aziende in regime biologico o integrato ed ammessi dal
Disciplinare di produzione integrata di castagno da frutto della Toscana. Interventi di tipo
chimico sono realizzabili, soltanto in vivaio.
Marciume radicale
Occasionalmente su castagno possono intervenire anche altri patogeni responsabili di
danno, tra i quali merita di essere ricordato il marciume radicale da Armillaria mellea (Vahl.)
Quél. fungo basidiomicete che produce fruttificazioni eduli (chiodini, famigliole). Si tratta di
un parassita che colonizza solitamente le piante debilitate da infezioni dovute ad altri
patogeni come C. parasitica o P. cambivora. L’attacco si manifesta con sofferenza e morte
della pianta. La presenza del fungo si osserva scortecciando il fusto alla base dove appare
la presenza di un feltro cotonoso che risale dal basso nel tessuto sottocorticale. Tale feltro
con il tempo tende a scurire per lasciare il posto alla formazione di rizomorfe nerastre che
si diffondono nel terreno. La lotta contro questo, come per altri, parassiti di debolezza,
consiste essenzialmente nell’applicare le norme di buona pratica colturale, rimuovendo
tutte le cause di sofferenza delle piante, come quelle dovute a concorrenza per la luce e
per l’acqua, ed eliminando tutte le fonti di inoculo dovute a ramaglia, polloni, residui e
vegetali morti eventualmente presenti nel castagneto (TURCHETTI et al., 2003).
Lavoro a cura di Elena Addario , Tullio Turchetti
Le foto sono state eseguite dagli Autori e con la collaborazione di Eleonora Casini
Istituto Protezione Piante - CNR
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