La contraddizione hegeliana tra dialettica qualità

Enrico Grassi
La contraddizione hegeliana tra dialettica qualità-quantità e
dialettica della libertà
[Hegel dedica tutto il primo libro della Logica al nesso dialettico qualità-quantità, ove
la quantità assume un ruolo decisivo per la formazione e per il passaggio da una realtà
naturale ad un’altra. Non ci sarebbe divenire se non ci fosse cambiamento quantitativo,
crescita o decrescita degli elementi di un organismo. L'incidenza degli accumuli quantitativi
viene fatta valere programmaticamente per tutti i fenomeni naturali. La ritroviamo, invece, in
modo improprio, a proposito dei liberi fenomeni spirituali, ove, secondo l’autore, non
dovrebbe giocare alcun ruolo. Sappiamo infatti che l'analisi quantitativa perde ogni funzione
con il passaggio dalla natura meccanica al soggetto, ove compare lo spirito libero. Si viene a
creare, in tal modo, una doppia logica, una per la natura ed una per lo spirito, ma senza
riuscire a tenere ben separati i due campi, con invasioni reciproche inopportune]
1) I due modi della misura
Nella Fenomenologia Hegel sottolinea l'unicità del reale, sebbene la
distingua in due momenti, l'Essere e l'Essenza, ovvero il momento
dell'esteriorità e il momento della "natura interna della cosa". L'interno,
l'essenza (il concetto), passa immediatamente "nell'esteriorità o nell'esserci",
e, viceversa, l'esserci si restituisce all'essenza. La realtà quindi è l'unità
circolare di due momenti, di due aspetti, tali che ciascuno si realizzi nell'altro.
Similmente Hegel intende la logica come esposizione delle strutture
concettuali che si trovano oggettivate nella natura e nello spirito. La scienza
del concetto è una, e quindi una è la razionalità che vive in essa, uno il
modulo di nascita, sviluppo e morte di ogni concreta realtà, perché uno è il
"formatore interno" (inner Bildner). "La logica...è la scienza formale...della
Natura e dello Spirito". Queste scienze
"conservano il logico ossia il concetto per formatore interno...Questa forma assoluta
ha in lei stessa il suo contenuto e realtà" (1).
Tuttavia subito si nota che Hegel rimarca molto di più il momento della
differenza e dell'inferiorità della natura - e delle scienze relative - rispetto allo
spirito che non il momento dell'unità. Infatti
"il divenire dell'esserci come esserci, è diverso dal divenire dell'essenza" e "la
conoscenza matematica presenta nel conoscere come tale soltanto il divenire dell'esserci",
mentre la conoscenza filosofica "contiene entrambi i tipi del divenire" e "unifica (vereinigt)
anche entrambi questi movimenti particolari" (2).
La matematica quindi (ma anche le scienze della natura) per un verso è
adeguata a conoscere una delle due sfere simmetriche e complementari della
realtà, per un altro
"Nel conoscere matematico la considerazione è un operare che, per la cosa, vien da
fuori; ne segue quindi che la cosa vera viene alterata...il contenuto è falso (falsch)".
[La] "deficienza del contenuto della matematica...è quindi così fatta, da suscitare
disprezzo (verschmähen muss) da parte della filosofia".
L'errore della matematica avrebbe origine dal fatto che
1 - Scienza della logica, Laterza, 1968, p. 669. (Lasson, Band IV, S. 231).
2 - Fenomenologia dello spirito, La Nuova Italia, 1960, I, p. 33. (II, S. 28).
1
"fine o concetto della matematica è la grandezza. Ma questa è appunto la relazione
inessenziale e aconcettuale (unwesentliche, begrifflose Verhältnis)". Il conoscere matematico
"procede in superficie" (3).
In sostanza Hegel vuol dire che la filosofia, in quanto considera la vita,
l’intero, ovvero i due aspetti della cosa insieme, è vera conoscenza, mentre la
matematica, in quanto conosce solo l'aspetto quantitativo, è una conoscenza
astratta ed alterata o falsa. Si può notare che il discorso oscilla tra il ritenere
falsa la conoscenza matematica e il ritenerla parziale, o di primo livello, non
riuscendo a superare l'ambiguità tra una sfera dell'essere intesa come
manifestazione del Logos e la stessa sfera intesa come deviazione da esso,
come caduta o allontanamento. Nel primo caso la conoscenza dei rapporti
quantitativi non può che essere positiva, per quanto parziale, nel secondo si
riduce a falsità. In sintesi, l'alternativa è tra un concetto di matematica che
conosce solo un aspetto delle cose, il "divenire dell'esserci", e una
matematica che mistifica la cosa, risultandone "alterata" o "falsa". La
posizione di Hegel è resa ancora più complessa dal fatto di ritenere la
matematica, e più in generale le scienze naturali, in evoluzione verso il
concetto filosofico. Essa infatti sarebbe giunta alle soglie della filosofia con il
dibattito sull'infinito (4). Anche la fisica, in particolare con Galilei e Keplero, si
sarebbe approssimata al concetto, nel tentativo di assegnare "determinazioni
quantitative" ai dati osservati. Il suo limite consisterebbe nel non avere
individuato le leggi quantitative direttamente nella qualità, per via analitica,
essendo possibile scoprire le leggi numeriche della natura inorganica
direttamente nel concetto qualitativo della cosa, senza bisogno dell'empiria
(5). In sostanza, sarebbe possibile trasformare la scienza in filosofia, e, nel
caso delle scienze più basse, in matematica. Ma questa è una terza posizione
rispetto alle prime due già analizzate, nel senso che la scienza vi compare
come una conoscenza valida, sebbene empirica, che ha bisogno soltanto di
svincolarsi dal limite della percezione. Ci sarebbe in tal modo anche un
momento pitagorico nel pensiero di Hegel.
L’autore dedica tutto il primo libro della Logica al nesso dialettico
qualità-quantità, ove la quantità assume un ruolo decisivo per la formazione e
per il passaggio da un concreto ad un altro. Non ci sarebbe divenire se non ci
fosse cambiamento quantitativo, crescita o decrescita negli elementi
dell'organismo. Ma l'incidenza degli accumuli quantitativi viene fatta valere
essenzialmente per alcuni fenomeni naturali, e solo in senso generico per i
fenomeni spirituali, venendosi a creare in tal modo una sorta di doppia logica,
in cui alcune categorie valgono solo per le scienze della natura, ma non più, o
assai meno, per le scienze dello spirito. L'analisi quantitativa perde
importanza via via che si passa dalla Meccanica alla Fisica all'Organica, ove
compare l'individualità.
"Meno che mai poi un vero e proprio libero sviluppo della misura ha luogo nel regno
dello spirito".
Anche in questo ambito tuttavia Hegel nota che vi può essere un nesso
tra fattori qualitativi e quantitativi, come ad esempio tra tipi di Costituzione e
ampiezza dello Stato (relativamente alla popolazione e al territorio) o tra
quantità numerica degli individui che si dedicano alle diverse professioni in
una determinata società civile e rapporti reciproci tra le classi.
3 - Ivi, 34-5. (S. 28-29).
4 - Questa tesi è sostenuta da A. Moretto, Hegel e la matematica dell'infinito, Verifiche, 1984.
Similmente J. N. Findlay in Hegel oggi, ISEDI, 1972, p. 53. (Hegel, a re-examination, Allen-Unwin,
1958).
5 - Logica, p. 384. (III, S. 354).
2
"Ma questo non dà né leggi, né vere e proprie forme di misura (Aber dies gibt weder Gesetze
von Massen noch eigentümliche Formen desselben)" (6).
Ovvero è impossibile per i fenomeni spirituali istituire un nesso esatto
tra numeri e caratteristiche. Hegel quindi non pensa che sia soltanto più
difficile stabilire il rapporto tra quantità e qualità per i fenomeni relativi alla vita
dello spirito, bensì che ciò sia impossibile, mancando una regola oggettiva. In
sostanza, ritiene che in ogni sfera del reale si crei un nesso tra enti e fattori
quantitativi che li caratterizzano, con la differenza tuttavia che, se per gli enti
naturali questo nesso è determinabile, non è altrettanto possibile per gli altri
enti, ove pure i fattori quantitativi giocano un ruolo, avendosi nel primo caso
una regola, ma non nel secondo. Hegel giunge a riconoscere che
"Nel campo morale...ha luogo lo stesso passaggio del quantitativo nel qualitativo, e
diverse qualità paiono fondarsi sopra una diversità di grandezza. Vi è un più e un meno, per
cui si oltrepassa la misura della leggerezza e vien fuori qualcosa di affatto diverso, il reato,
per cui il diritto passa nell'ingiustizia, la virtù nel vizio" (7).
L'ispirazione platonico-aristotelica, relativamente al concetto di misura,
è quindi testimoniata dallo stesso Hegel. Il medesimo criterio vale per il
rapporto tra Costituzione e numero dei cittadini.
"Lo Stato ha una misura d'ampiezza, spinto oltre la quale, non potendosi più
contenere, si spezza in se stesso, con quella medesima costituzione che in circostanze
diverse aveva prodotto la sua felicità e la sua forza" (8).
Si è venuta a creare in tal modo una sorta di logica, la cui prima parte
vale
essenzialmente
per
le
scienze
meccaniche,
ma
solo
approssimativamente per le altre, infatti il nesso tra Costituzione e
popolazione è rilevabile ma non formalizzabile, mancando "vere e proprie
forme di misura". Hegel quindi oscilla tra una sottolineatura della validità
universale del nesso qualità-quantità, ed una sottovalutazione, o meglio una
svalutazione di tale nesso per le realizzazioni dello spirito; come a dire che
dell'intero impianto logico una prima parte vale per le scienze meccanicomatematiche e una seconda per le scienze dello spirito, salvo poi ritrovare,
ma in modo attenuato, la libertà nella natura e la quantità nello spirito, senza
che esse tuttavia siano in grado di caratterizzare pienamente quelle realtà,
secondo un piano che sembra molto schellinghiano. L'unità logica, l'inner
Bildner quindi, non è statica ma dinamica, in sviluppo, con un approdo che
non riesce ad evitare le difficoltà del dualismo di tipo spinoziano.
Le differenze interpretative hanno la loro origine proprio nelle
incertezze di Hegel. De Ruggiero offre una soluzione moderata, dicendo che
"Più generalmente, si avverte che nei diversi gradi della realtà naturale la possibilità
d'istituire un'esatta misura è diversa. È massima nella meccanica e nella fisica...decresce
nello stadio degli organismi animati dove c'è un gioco più complesso delle parti tra loro e col
tutto; è minima nell'ordine delle cose spirituali" (9).
Per Hegel, a mio parere, non è tanto una questione di più e di meno,
dato che per lui in ogni concreto si trova una corrispondenza di qualitativo e
6 - Ivi, p. 371. (S. 342).
7 - Ivi, p. 414. (S. 384). Con il termine qualità Hegel intende ogni tipo di realizzazione sia nel campo
della natura che dello spirito, come ad esempio l’acqua, gli animali, lo Stato, la costituzione.
8 - Ivi.
9 - G. de Ruggiero, Storia della filosofia, Laterza, Bari 1963, VIII, p. 138.
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quantitativo, ovvero una misura, quanto piuttosto di regolarità formalizzabile.
Anche nelle faccende dello spirito, vuol dire il filosofo, vi è sempre una
misura, una origine per accumulo, ma non è possibile stabilire il punto nodale
in cui avviene il passaggio. Né poteva fare diversamente, dovendo mantenere
in qualche modo una visione unitaria della realtà, almeno formalmente. La
difficoltà per l'interprete sta nel decidere se per Hegel ciò avviene per nostra
ignoranza o per pregio della realtà spirituale. Findlay, non cogliendo la
sfumatura, sottolinea la perfetta identità della misura nei due campi opposti
(natura e spirito) (10). Al contrario Fleischmann, riconoscendo il ruolo
universale della misura in Hegel, ne distingue nei suoi scritti due tipi, il primo,
di carattere matematico, adeguato ai fenomeni meccanici, l'altro, non
matematico, anche se quantitativo, adeguato ai fenomeni superiori.
Fleischmann osserva a tal proposito che non vi potrà mai essere un nesso
matematico tra reato e anni di carcere, come rimarrà sempre vago il concetto
di "giusto mezzo" nel campo della morale (11). Mi sembra comunque che sia
sfuggito ai critici citati che la vera differenza vada cercata tra una misura
regolare, ripetitiva e quindi formalizzabile ed un'altra irregolare o libera e
pertanto non formalizzabile. Entrambe in sostanza sono identicamente
quantitative, ma con la differenza che una dà luogo a rapporti ripetitivi e l'altra
no. In un campo la misura è resa necessaria dalla meccanicità, nell'altro, si
potrebbe forse dire, è resa libera dallo spirito. Hegel a rigore avrebbe dovuto
distinguere, tra una determinanza rigorosa e senza eccezioni della misura nel
mondo della natura, e una dominanza della scelta nel mondo dell'uomo,
donde la possibilità di molteplici processi dialettici, ma secondo una
provenienza quantitativa unitaria. Ciò intende Marx quando, considerando il
pensiero come diretta manifestazione della materia, estende a tutta la realtà
la funzione trasformatrice della quantità, pur rendendosi conto che il pensiero
"libero" assume una sua specificità dominante rispetto al mondo meccanico,
dove la mente comanda sulla natura, pur senza determinarla. In Hegel invece
il divenire nella sfera della meccanicità è controllato dalla regola rigida della
quantità, mentre nelle sfere superiori, ove la complessità è maggiore, esso è
determinato a volte ancora dalla legge della quantità, anche se priva di
regola, altre volte dalla trasformazione di fattori non quantitativi, come
possono essere le intenzioni umane o i cambiamenti di equilibri tra le parti di
un sistema.
Il metodo hegeliano si presenta in forma scissa, fino al punto di
dedicare alla regola della quantità una parte cospicua della Logica, per poi
limitarne la validità piena solo ad un settore del reale, pur senza eliminarlo
dall'altro. Validità piena, specifica, nel primo settore; validità generica,
approssimativa, nel secondo.
È pur vero che per Hegel la realtà si sviluppa, crescendo su se stessa,
ma non fino a mettere capo ad un dualismo sostanziale tra i fattori iniziali e
quelli finali. La continuità ontologica impone la continuità di metodo, donde la
necessità di una logica unitaria; al tempo stesso lo sviluppo della realtà su se
stessa impone una diversificazione delle regole di funzionamento dei settori
più sviluppati rispetto a quelli meno sviluppati, anche se non fino a
stravolgerne il modulo. È su questa diversità che Hegel si è impaniato, per
mantenere la continuità e caratterizzare simultaneamente la discontinuità,
ricadendo nelle aporie di ogni dualismo nella continuità, alla maniera di
Spinoza, di Leibniz, di Schelling, che non riuscirono a spiegare il nesso tra
meccanicità e libertà, tra monadi percettive e appercettive, tra natura e spirito.
La regola della quantità non può perdere la sua funzione se la realtà è una,
primitiva o evoluta che sia. Potrà passare da procedure immediate, come
nella sfera della meccanica o della chimica (metodo quantitativo semplice o
10 - J. N. Findlay, cit., p. 189.
11 - E. Fleischmann, La logica di Hegel, Einaudi, Torino 1975, p. 94-5. (La science universelle ou La
logique de Hegel, Plon, 1968).
4
lineare), a procedure più mediate, più nascoste, più difficili da individuare,
come nelle sfere della psicologia, della politica, dell'economia, ma non fino a
perdere il suo ruolo di mediatrice del divenire (metodo quantitativo
complesso). È questo passaggio che Hegel non ha saputo o potuto compiere,
quello cioè di rendere immanenti meccanicità e libertà, per essersi ancorato
ad un concetto di libertà che, se pure nuovo per molti aspetti, è ancora
radicato nella visione tradizionale dello spirito.
Sorprende quindi vedere introdurre nelle ultime pagine della logica del
concetto, ovvero nella sfera della compiuta organicità, il principio della libertà
e della finalità, come poi si ritrova nelle opere storiche. Un grande interprete di
Hegel rilevava questo slittamento metodologico nel modo seguente:
“Hegel pour décrire la vie de l’esprit et particulièrement la vie des peuples dans
l’histoire se servira au début des métaphores organiques, mais il y substituera
progressivement une dialectique qui s’adapte mieux au devenir spirituel” (12).
Kant fondava il sapere scientifico su strutture quali-quantitative e loro
relazioni, da intendersi come limiti della conoscenza umana, aprendo con ciò
la polemica antimetafisica, culminante nella Dialettica, ove veniva stabilita, tra
le altre cose, l’improponibilità di una qualsiasi fondazione di una teoria della
libertà, il cui recupero nella sfera pratica esibisce in piena luce la difficoltà del
filosofo nella elaborazione del concetto di libertà. Kant quindi restaura la
vecchia metafisica, ma con una slittamento di piano, che gli serve a non
riprodurre il dualismo entro la medesima forma del sapere. Che si tratti di un
escamotage è possibile (13), tuttavia mostra la sofferta consapevolezza
rispetto alla difficoltà. Hegel fichtianamente ha ricercato con spirito di sistema
l’unità del sapere, riuscendo solo formalmente a superare i rischi delle
separazioni, ricreando di fatto un dualismo entro un apparente monismo.
2) Storiografia hegeliana
Leggendo le opere storiche di Hegel si possono verificare le ambiguità
del suo metodo.
La storia viene intesa come una catena di anelli collegati fra loro, come
serie continua, ma al tempo stesso come luogo ove spuntano le
"caratteristiche naturali dei popoli", fattori immediati ed autonomi e quindi
inderivabili da altro, dovuti al fatto che lo Spirito "assegna alla cieca", senza
alcun motivo, ad un popolo anziché ad un altro connotazioni spirituali, che
fungono da base per lo sviluppo del nuovo universale storico. Lo Spirito si
incarna senza preavviso, facendo sorgere all'improvviso, ad esempio nel
popolo tedesco, le "bandiere" della libertà, della fedeltà, dello Stato (14). Non
viene tuttavia spiegato nel testo perché "i popoli germanici hanno il compito
(die Aufgabe) di recare alla luce..." il regno della libertà (15). Si susseguono
affermazioni del tipo "Ad un popolo spetta un momento" (16), vi è una "natura
dell'occidente europeo (der Natur des europäischen Westens)" (17), un
"destino dell'Italia". E ancora "Il compito del medioevo (Die Aufgabe des
Mittelalters) era quello di aiutare la legge di libertà a diventare reale"
attraverso il popolo tedesco (18); l'unità imperiale carolingia doveva infrangersi
12 - J. Hyppolite, Introduction à la philosophie de l’histoire de Hegel, Marcel Riviere, 1948, p. 22.
13 - C. Lacorte, Kant. Ancora un episodio dell’alleanza di religione e filosofia, Argalìa, 1969, p. 42.
14 - Filosofia della storia, IV, p. 35-37. (IX, 785, ove si legge "Der Zusammenhang ist hier der der Treue;
sie ist das zweiter Panier der Germanen, wie die Freiheit das erste war").
15 - Ivi, p. 51. (S. 797).
16 - Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Bari 1954, § 347. (VI, "Dem Volke, dem solches Moment
als natürliches Prinzip zukommt").
17 - Lezioni sulla filosofia della storia, La Nuova Italia, Firenze 1967, IV, p. 59. (IX, S. 804).
18 - Ivi, p. 66. (S. 809).
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perché "non era conforme alla natura dell'Occidente europeo", essendo
sostenuta solo dalla forza di un individuo, "dall'arbitrio soggettivo", e non dallo
spirito di un popolo. Questa "infinita menzogna" doveva scatenare "la
reazione della contraddizione (die Reaktion aus dem Widerspruch an
unendlichen Lüge)" tra lo spirito particolare delle singole nazioni e "il dominio
universale dell'impero franco" (19). È impossibile applicare a questi concetti la
regola della quantità, neppure quella "complessa", essendo di fronte a
fenomeni senza accumulo quantitativo preventivo.
In realtà Hegel alterna questa spiegazione con un'altra molto più laica,
come quando dice che la sparizione della splendida amministrazione statale
di Carlo Magno, determinò
"l'universale bisogno di protezione degli individui (die allgemeine Schutzbedürftigkeit
der Individuen)" ( 20). "Come conseguenza (insofolge) di tale stato di cose sorse un sistema di
protezione (Schutzsystem)" (21).
Nelle stesse pagine quindi il filosofo oscilla tra la spiegazione
spiritualistico-arbitraria, la vocazione dei popoli, e quella fondata sulla logica
stessa delle cose, mossa dall'universale bisogno, con un processo "lento e
pieno di contraddizioni" (22), in qualche modo più materialistica e quantitativa.
Nel trattare il culto di Jehova della religione ebraica, Hegel sostiene che
esso deriva dalla famiglia, che ne è la sostanza. Attraverso la schiavitù gli
ebrei passarono dallo stato nomade allo stato agricolo, diventando popolo e
innalzando un tempio in Gerusalemme, che dovettero dividere quando il
popolo si divise. La storia della religione ebraica risulta in tal modo seguire la
storia dei figli di Israele (23). Similmente nacque il feudalesimo. Con la
dissoluzione del potere imperiale, gli individui, "spinti dal bisogno", ovvero
nella condizione di precario isolamento, approdarono al "sentimento di unione
e socievolezza". Nacque in tal modo l'asservimento di un individuo ad altro
individuo, con grande profitto dei potenti. "Questa è l'origine (Ursprung) del
sistema feudale" (24). Così pure il valore militare ebbe origine dal fatto che
ognuno doveva difendersi personalmente da tutti gli altri. Le città libere
sorsero come reazione alle violenze feudali; e i primi segni di libertà nelle
associazioni, nelle leghe, nei patti tra individui, nacquero come reazione alla
servitù feudale (25).
L'ambiguità tra le due tipologie storiografiche raggiunge la sua forma
più evidente nella Filosofia del diritto, ove Hegel, incrociando i due metodi,
arriva a sostenere che, per assicurare e consolidare l'appagamento dei
bisogni, furono necessari agricoltura, matrimonio, Stato, proprietà, che non
sono altro che aspetti
"del come la razionalità, assoluto scopo finale (der absolute Endzweck), si fa valere in
questa materia" ( 26).
L'agricoltura e le altre istituzioni connesse finiscono per avere, come
nello Stato di Platone, una doppia matrice, la prima mondana, incentrata sul
bisogno, l'altra razionale, fondata "sull'assoluto scopo finale". Per raggiungere
il suo intento Hegel avrebbe dovuto mostrare l'identità del processo sia a
19 - Ivi, p. 60. (S. 804).
20 - Ivi, p. 66. (S. 810).
21 - Ivi, p. 67. (S. 811).
22 - Ivi, p. 51. (S. 797). L. Colletti, tra i tanti, aveva notato queste ambiguità hegeliane sulla storia in Il
marxismo e la "Filosofia della storia" di Hegel. Sta in Incidenza di Hegel, a cura di F. Tessitore, Morano
Editore, 1970.
23 - Ivi, II, p. 225. (IX, S. 458).
24 - Ivi, IV, p. 67. (IX, S. 811).
25 - Ivi, p. 104-5. (S. 842).
26 - Filosofia del diritto, § 203. (VI).
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partire dalla regola della quantità che da quella della libertà, facendo scaturire
le nuove qualità (agricoltura, matrimonio, Stato, proprietà) da qualità
precedenti, attraverso il meccanismo della misura, salvo poi dover dimostrare
che tutto ciò non sarebbe potuto accadere senza un piano dello Spirito del
Mondo. Avrebbe dovuto mostrare ad esempio come l'agricoltura dovesse
nascere da incrementi demografici considerevoli, e quindi da nuovi bisogni, e
da decrementi nei depositi alimentari spontanei del territorio e, al tempo
stesso, rendere credibile che tutto ciò fosse implicito nel piano della
razionalità. Solo in questo modo la logica sarebbe "una" logica, per quanto
criticabile nei contenuti. Da questo punto di vista Schelling è stato più rigoroso
di Hegel, cercando di mantenere una continuità maggiore fra le epoche dello
sviluppo.
Hegel in sostanza ci fornisce qua e là alcuni spunti di critica
materialistico-quantitativa, spunti che, per dirla alla Marx, fanno pensare ad
un suo cripto-materialismo, ma sono frequenti tanto quanto quelli improntati al
criterio della spontaneità.
3) I modi del passare
Alla radicale ambiguità tra regola della quantità e regola della finalità o
libertà si aggiunge l'ambiguità fra i vari modelli di transizione nell’ ambito della
stessa spiritualità.
In questa sfera Hegel fa entrare in gioco in primo luogo la funzione
della "limitazione (beschränkter Art)" (27), che interviene ogni volta che una
categoria non si è ancora pienamente realizzata, ponendo in contraddizione
la particolarità con l'universalità, l'atto con la potenza, come quando osserva
che mancava alla piena "attualizzazione sensibile" della Chiesa l'unico resto
particolare di Cristo, il Sepolcro, il "questo", l'assoluto incarnato. Proprio il
fallimento della Crociata dimostrò che lo spirito andava cercato nella
soggettività e non nel sensibile (28). Dopo aver riconosciuto che il "questo"
sensibile non si trovava nella Chiesa, l'uomo si rivolse al mondo attraverso il
lavoro, in un sereno rapporto con esso. Il mondo diventò il "questo", ovvero lo
spirito incarnato. L’insuccesso della Crociata quindi ricacciò l’uomo in ciò che
gli sta più vicino, nelle sue attività pratiche, nei mestieri, nel commercio (29),
ove ebbe la possibilità di trovare una nuova libertà da realizzare (30), di
impianto non più feudale, attraverso la proprietà privata, le classi sociali, la
scienza, la monarchia, i funzionari come sue nuove manifestazioni (31). È in
questo contesto che appare l’importante osservazione sulla multimodalità
della storia
"i trapassi storici avvengono in parecchi (mehrere) modi contemporaneamente, ma
prevale sempre un modo o l'altro" (32).
Lo spirito ha cercato nella Chiesa la realizzazione oggettiva, "ma l'ha
trovata infine in modo tale, da escludere la chiesa. La chiesa però è rimasta"
(33). Questo è un caso di superamento per limitazione con conservazione
reale di ciò che è superato, assai diverso dal superamento con
annientamento o con trasformazione, come si può avere nel passaggio dalla
poliarchia feudale alla monarchia, dalla servitù (di cui la Chiesa è stata
27 - Filosofia della storia, IV, p. 109. (IX, S. 846).
28 - Ivi, p. 113-4. (S. 849-50).
29 - Ivi, p. 119. (S. 854).
30 - Ivi, p. 122). (S. 857).
31 - Ivi, pp.123-27. (S. 858-61).
32 - Ivi, p. 127. (S. 861).
33 - Ivi, p. 135. (S. 868).
7
strumento, ponendo l'animo e il corpo fuori di sé, in proprietà altrui) alla
libertà.
In altri contesti Hegel fa intervenire diversi moduli dialettici, come
quando scrive che i cristiani di Spagna diventarono liberi, confrontandosi
militarmente con la libera e indipendente cavalleria saracena (34). In alcuni
casi quindi il passaggio, il superamento, la presa di coscienza, avviene in virtù
di un fallimento, che spinge verso fini superiori, in altri in virtù di una lotta, di
uno scontro-incontro, con chi già possiede un livello superiore di coscienza,
per assimilazione dell'inferiore al superiore, per omologazione.
La contraddizione e il superamento possono avvenire anche con altre
modalità, come nel caso in cui il pensiero diventa forza rivoluzionaria quando
l'altro polo è violenza, come è accaduto in Francia, in Italia, in Spagna.
"La rivoluzione interviene nei paesi romanici, là, invece, ove regna la libertà della
chiesa evangelica, c'è tranquillità. I protestanti hanno infatti compiuto la loro rivoluzione con la
Riforma" (35).
La rivoluzione francese fu violenta perché non fu intrapresa dal
governo. Ciò sta a significare che per Hegel il passaggio da un'epoca all'altra
può avvenire per rivoluzione o per riforme, con o senza rotture traumatiche. I
popoli rivoluzionari sono quelli cattolici (36), avendo essi separato il momento
religioso e sacro da quello mondano della legge, non sentendo questa come
assoluta e obbligatoria. I protestanti, unificando sacro e profano, vivendo con
spirito religioso il mondano, hanno raggiunto la rettitudine (Rechtschaffenheit),
esorcizzando la rivoluzione(37).
4) Multimodalità della storia
Hegel utilizza, come esplicitamente dichiara, molti (mehrere) moduli
dialettici, sia per la sfera meccanico-quantitativa che per quella spirituale, che
possono essere in modo approssimativo e incompleto così schematizzati:
a) per reazione (il feudalesimo come reazione alla cessazione della
protezione imperiale);
b) per limitazione (superamento del limite particolare per portare a
compimento la categoria: dalla potenza all'atto);
c) per fallimento (il fallimento della Crociata mondanizza lo spirito);
d) per autonegazione (l'affermazione mondana della Chiesa
rappresenta al tempo stesso la sua corruzione);
e) per assimilazione (i cristiani diventano liberi per contatto con chi già
lo è).
La storia si presenta quindi, in particolare nelle pagine della Filosofia
della storia, ora come varia incarnazione del Weltgeist nel suo arbitrario
divenire, ora come esito dei meccanismi nati dal bisogno, ora come
realizzazione della dialettica ben più laica della quantità del territorio e della
popolazione, come prevalentemente avviene negli esempi della Scienza della
logica, lasciando all'interpretazione del lettore la decisione se l'incremento
demografico sia nel piano dello spirito o se lo spirito non sia altro che una
metafora della dialettica degli andamenti demografici.
Marx è molto più rigoroso nell'evitare la doppia logica, della fisica e
della storia, certamente favorito dal suo integrale materialismo. Ciò non gli ha
34 - Ivi, p. 114. (S. 850).
35 - Ivi, p. 203 e 213. (S. 925 e 933).
36 - Ivi, p. 204. (S. 925).
37 - Ivi, p. 186. (S. 910).
8
impedito tuttavia di ricadere nella molteplicità dei modelli quantitativi,
ereditando la mancanza di chiarezza e di univocità del "maestro".
Hegel ha creato una logica dei fenomeni materiali ed una dei fenomeni
spirituali, sperando invano di includere dialetticamente la prima nella seconda.
Non bastando ciò, ha distinto all'interno di ciascuna di queste due logiche una
considerevole moltitudine di moduli diversi. Le difficoltà, sebbene attenuate, si
sono ripresentate in Marx sia nelle dinamiche della transizione, che nella
definizione del ruolo della soggettività rispetto ai fenomeni storici, i quali
dovrebbero avere un andamento non dissimile da quelli "ineluttabili di un
processo naturale" (Mit der Notwendigkeit eines Naturprozesses) (38).
Vico è più coerente di Hegel nella ricostruzione dei processi di sviluppo
della storia umana a partire dall'“aureo" principio del verum-factum e dai
crescenti bisogni degli uomini. La Provvidenza di Vico utilizza i bisogni
materiali umani in modo radicale, facendo trionfare i suoi fini direttamente
dalla logica immanente alle passioni umane. Il progetto divino è intrinseco alla
reazione istintiva dell'uomo basata sul senso comune, sul comune modo di
reagire degli uomini di fronte alle esigenze della loro vita. Lo spirito in Hegel si
serve delle passioni umane, ma in senso esteriore e accidentale, non
riuscendo a far scaturire l'Impero romano dagli egoismi di Cesare, né l'Europa
liberale da quelli di Napoleone (39). In Vico le passioni e le risposte ai bisogni
agiscono in modo materiale-quantitativo più rigoroso. Dal volere per sé, al
volere per la moglie e per i figli, al volere per la tribù, e poi per la città, per lo
Stato, per l'intera umanità il processo è cumulativo, nel senso che ogni
condizione raggiunta conduce inevitabilmente a desiderare la successiva. La
penuria di cibo conduce allo stanziamento e all'agricoltura, la necessità della
cooperazione per aumentare la produzione porta alla famiglia. Più in generale
si potrebbe dire che le insufficienze che si determinano in uno stadio
spingano verso quello superiore, con una perfetta aderenza tra bisogni e
risultati, come nella vichiana "dialettica servo-padrone" a proposito della
nascita dello Stato (40).
5) Ancora sulle ambiguità hegeliane
Nella Logica Hegel dice a chiare note che il "passare... ha luogo
soltanto nella sfera dell'essere" (41), ove una qualità trapassa in altra
attraverso l'accumulo quantitativo. Ma proprio questo genere di
considerazioni, se non occasionalmente, viene a mancare nelle opere
storiche, ove pure si può trovare una precisa consapevolezza della lacuna,
come in questo passo:
"La natura della scienza speculativa ho svolto ampiamente nella mia Scienza della
Logica; in questo compendio è stata perciò aggiunta, soltanto qua e là, qualche dilucidazione
sul procedimento e sul metodo. Per la natura concreta, e in sé così varia, dell'argomento, è
stato per vero tralasciato di mostrare e mettere in rilievo, in tutte e in ciascuna particolarità, il
concatenamento logico" (42).
38 - Il capitale, Editori Riuniti, 1974, I, 7°, 826. (MEW, 23, S. 791).
39 - È solo parzialmente convincente la tesi di J. d'Hondt in Hegel philosophe de l'histoire vivante, PUF,
1966, ove nel capitolo "Le cours du monde" e in particolare nel paragrafo "La forza delle cose" insiste
sull'interpretazione immanentistica dell'astuzia della ragione. Diversa è l'interpretazione di S.A. Bankov
in Logisce Grundlage der Geschichte ("Hegel-Jahrbuch", 1968-9), ove non concede nulla alla tesi dello
Hegel "materialista", facendo muovere la storia unicamente dallo Spirito universale e libero. Anche
Lenin vede nella filosofia della storia di Hegel uno scarso contributo alla concezione del materialismo
storico. Scrive infatti nei Quaderni filosofici (Opere, Editori Riuniti, 1969, vol. 38, p. 315): "In generale la
filosofia della storia ci dà molto, molto poco....Qui soprattutto Hegel è invecchiato e antiquato".
40 - G. Vico, Principi di scienza nuova, Ricciardi, 1953, sez. V.
41 - Logica, p. 685. (IV, 244).
42 - Filosofia del diritto, p.4-5. (VI, S. 4).
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Vi è quindi un concatenamento tra le categorie storiche del diritto che
manca nell'opera specifica, ma che si può ricavare dalla Logica.
"L'evoluzione implica il processo graduale...questa necessità, con la serie necessaria
delle pure e astratte determinazioni del concetto, viene conosciuta nella logica." (43).
Hegel è consapevole che il fondamento di ogni nesso storico non può
che essere nella Logica, ma è anche consapevole che il libro del "passare",
del divenire, sia il primo, il libro dell'essere, della quantità come funzione di
trasformazione. Nei libri storici si comporta come se volesse illustrarci in fila le
grandi categorie che si sono succedute nella storia, tralasciando
consapevolmente di dirci come è avvenuto il passaggio. Viene il sospetto che
a Berlino, ove scrisse le più importanti opere storiche, non volesse indugiare
sui compromettenti meccanismi quantitativi, troppo laici per il ruolo pubblico
che ricopriva, preferendo sempre rinviare genericamente alla Logica.
Anche nei Frammenti di studi storici ritorna la regola della quantità,
laddove si legge che in una piccola repubblica come Atene è possibile che
Pericle dica che gli uomini come lui siano gli autori della grandezza della città.
In una repubblica più grande ogni singolo, anche grande, è dominato dalla
totalità (44). Nell'undicesimo frammento è scritto che la ricchezza dei singoli,
quando diventa sproporzionata, rovina le repubbliche e distrugge la libertà
(45). Infine nel quattordicesimo frammento Hegel afferma, riprendendo il
concetto del quarto, che gli uomini, nei grandi Stati, agiscono sempre come
parti, non avendo la percezione dell'intero (46).
Marx, nel suo radicale materialismo, ha potuto portarsi dietro, fino alla
conclusione della ricostruzione dell'intero organismo "capitale", il fattore
"incremento", perché il suo universale non è altro che l'insieme di tutte le
realtà individuali quali-quantitative (47).
43 - Filosofia della storia, I, p. 171. (VIII, S. 148).
44 - G. F. W. Hegel, Il dominio della politica, a cura di Merker, Editori Riuniti, Roma 1980, p. 111. (I
Frammenti si trovano in appendice a K.Rosenkranz, G. W. F. Hegel's Leben, Supplement zu Hegel's
Werken, Berlin, 1844, S. 515-32).
45 - Ivi, p. 112.
46 - Ivi, p. 113.
47 - Ho affrontato questo argomento nel mio libro L'"esposizione dialettica" nel Capitale di Marx,
Basilicata, 1976.
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