Enrico Grassi La contraddizione hegeliana tra dialettica qualità-quantità e dialettica della libertà [Hegel dedica tutto il primo libro della Logica al nesso dialettico qualità-quantità, ove la quantità assume un ruolo decisivo per la formazione e per il passaggio da una realtà naturale ad un’altra. Non ci sarebbe divenire se non ci fosse cambiamento quantitativo, crescita o decrescita degli elementi di un organismo. L'incidenza degli accumuli quantitativi viene fatta valere programmaticamente per tutti i fenomeni naturali. La ritroviamo, invece, in modo improprio, a proposito dei liberi fenomeni spirituali, ove, secondo l’autore, non dovrebbe giocare alcun ruolo. Sappiamo infatti che l'analisi quantitativa perde ogni funzione con il passaggio dalla natura meccanica al soggetto, ove compare lo spirito libero. Si viene a creare, in tal modo, una doppia logica, una per la natura ed una per lo spirito, ma senza riuscire a tenere ben separati i due campi, con invasioni reciproche inopportune] 1) I due modi della misura Nella Fenomenologia Hegel sottolinea l'unicità del reale, sebbene la distingua in due momenti, l'Essere e l'Essenza, ovvero il momento dell'esteriorità e il momento della "natura interna della cosa". L'interno, l'essenza (il concetto), passa immediatamente "nell'esteriorità o nell'esserci", e, viceversa, l'esserci si restituisce all'essenza. La realtà quindi è l'unità circolare di due momenti, di due aspetti, tali che ciascuno si realizzi nell'altro. Similmente Hegel intende la logica come esposizione delle strutture concettuali che si trovano oggettivate nella natura e nello spirito. La scienza del concetto è una, e quindi una è la razionalità che vive in essa, uno il modulo di nascita, sviluppo e morte di ogni concreta realtà, perché uno è il "formatore interno" (inner Bildner). "La logica...è la scienza formale...della Natura e dello Spirito". Queste scienze "conservano il logico ossia il concetto per formatore interno...Questa forma assoluta ha in lei stessa il suo contenuto e realtà" (1). Tuttavia subito si nota che Hegel rimarca molto di più il momento della differenza e dell'inferiorità della natura - e delle scienze relative - rispetto allo spirito che non il momento dell'unità. Infatti "il divenire dell'esserci come esserci, è diverso dal divenire dell'essenza" e "la conoscenza matematica presenta nel conoscere come tale soltanto il divenire dell'esserci", mentre la conoscenza filosofica "contiene entrambi i tipi del divenire" e "unifica (vereinigt) anche entrambi questi movimenti particolari" (2). La matematica quindi (ma anche le scienze della natura) per un verso è adeguata a conoscere una delle due sfere simmetriche e complementari della realtà, per un altro "Nel conoscere matematico la considerazione è un operare che, per la cosa, vien da fuori; ne segue quindi che la cosa vera viene alterata...il contenuto è falso (falsch)". [La] "deficienza del contenuto della matematica...è quindi così fatta, da suscitare disprezzo (verschmähen muss) da parte della filosofia". L'errore della matematica avrebbe origine dal fatto che 1 - Scienza della logica, Laterza, 1968, p. 669. (Lasson, Band IV, S. 231). 2 - Fenomenologia dello spirito, La Nuova Italia, 1960, I, p. 33. (II, S. 28). 1 "fine o concetto della matematica è la grandezza. Ma questa è appunto la relazione inessenziale e aconcettuale (unwesentliche, begrifflose Verhältnis)". Il conoscere matematico "procede in superficie" (3). In sostanza Hegel vuol dire che la filosofia, in quanto considera la vita, l’intero, ovvero i due aspetti della cosa insieme, è vera conoscenza, mentre la matematica, in quanto conosce solo l'aspetto quantitativo, è una conoscenza astratta ed alterata o falsa. Si può notare che il discorso oscilla tra il ritenere falsa la conoscenza matematica e il ritenerla parziale, o di primo livello, non riuscendo a superare l'ambiguità tra una sfera dell'essere intesa come manifestazione del Logos e la stessa sfera intesa come deviazione da esso, come caduta o allontanamento. Nel primo caso la conoscenza dei rapporti quantitativi non può che essere positiva, per quanto parziale, nel secondo si riduce a falsità. In sintesi, l'alternativa è tra un concetto di matematica che conosce solo un aspetto delle cose, il "divenire dell'esserci", e una matematica che mistifica la cosa, risultandone "alterata" o "falsa". La posizione di Hegel è resa ancora più complessa dal fatto di ritenere la matematica, e più in generale le scienze naturali, in evoluzione verso il concetto filosofico. Essa infatti sarebbe giunta alle soglie della filosofia con il dibattito sull'infinito (4). Anche la fisica, in particolare con Galilei e Keplero, si sarebbe approssimata al concetto, nel tentativo di assegnare "determinazioni quantitative" ai dati osservati. Il suo limite consisterebbe nel non avere individuato le leggi quantitative direttamente nella qualità, per via analitica, essendo possibile scoprire le leggi numeriche della natura inorganica direttamente nel concetto qualitativo della cosa, senza bisogno dell'empiria (5). In sostanza, sarebbe possibile trasformare la scienza in filosofia, e, nel caso delle scienze più basse, in matematica. Ma questa è una terza posizione rispetto alle prime due già analizzate, nel senso che la scienza vi compare come una conoscenza valida, sebbene empirica, che ha bisogno soltanto di svincolarsi dal limite della percezione. Ci sarebbe in tal modo anche un momento pitagorico nel pensiero di Hegel. L’autore dedica tutto il primo libro della Logica al nesso dialettico qualità-quantità, ove la quantità assume un ruolo decisivo per la formazione e per il passaggio da un concreto ad un altro. Non ci sarebbe divenire se non ci fosse cambiamento quantitativo, crescita o decrescita negli elementi dell'organismo. Ma l'incidenza degli accumuli quantitativi viene fatta valere essenzialmente per alcuni fenomeni naturali, e solo in senso generico per i fenomeni spirituali, venendosi a creare in tal modo una sorta di doppia logica, in cui alcune categorie valgono solo per le scienze della natura, ma non più, o assai meno, per le scienze dello spirito. L'analisi quantitativa perde importanza via via che si passa dalla Meccanica alla Fisica all'Organica, ove compare l'individualità. "Meno che mai poi un vero e proprio libero sviluppo della misura ha luogo nel regno dello spirito". Anche in questo ambito tuttavia Hegel nota che vi può essere un nesso tra fattori qualitativi e quantitativi, come ad esempio tra tipi di Costituzione e ampiezza dello Stato (relativamente alla popolazione e al territorio) o tra quantità numerica degli individui che si dedicano alle diverse professioni in una determinata società civile e rapporti reciproci tra le classi. 3 - Ivi, 34-5. (S. 28-29). 4 - Questa tesi è sostenuta da A. Moretto, Hegel e la matematica dell'infinito, Verifiche, 1984. Similmente J. N. Findlay in Hegel oggi, ISEDI, 1972, p. 53. (Hegel, a re-examination, Allen-Unwin, 1958). 5 - Logica, p. 384. (III, S. 354). 2 "Ma questo non dà né leggi, né vere e proprie forme di misura (Aber dies gibt weder Gesetze von Massen noch eigentümliche Formen desselben)" (6). Ovvero è impossibile per i fenomeni spirituali istituire un nesso esatto tra numeri e caratteristiche. Hegel quindi non pensa che sia soltanto più difficile stabilire il rapporto tra quantità e qualità per i fenomeni relativi alla vita dello spirito, bensì che ciò sia impossibile, mancando una regola oggettiva. In sostanza, ritiene che in ogni sfera del reale si crei un nesso tra enti e fattori quantitativi che li caratterizzano, con la differenza tuttavia che, se per gli enti naturali questo nesso è determinabile, non è altrettanto possibile per gli altri enti, ove pure i fattori quantitativi giocano un ruolo, avendosi nel primo caso una regola, ma non nel secondo. Hegel giunge a riconoscere che "Nel campo morale...ha luogo lo stesso passaggio del quantitativo nel qualitativo, e diverse qualità paiono fondarsi sopra una diversità di grandezza. Vi è un più e un meno, per cui si oltrepassa la misura della leggerezza e vien fuori qualcosa di affatto diverso, il reato, per cui il diritto passa nell'ingiustizia, la virtù nel vizio" (7). L'ispirazione platonico-aristotelica, relativamente al concetto di misura, è quindi testimoniata dallo stesso Hegel. Il medesimo criterio vale per il rapporto tra Costituzione e numero dei cittadini. "Lo Stato ha una misura d'ampiezza, spinto oltre la quale, non potendosi più contenere, si spezza in se stesso, con quella medesima costituzione che in circostanze diverse aveva prodotto la sua felicità e la sua forza" (8). Si è venuta a creare in tal modo una sorta di logica, la cui prima parte vale essenzialmente per le scienze meccaniche, ma solo approssimativamente per le altre, infatti il nesso tra Costituzione e popolazione è rilevabile ma non formalizzabile, mancando "vere e proprie forme di misura". Hegel quindi oscilla tra una sottolineatura della validità universale del nesso qualità-quantità, ed una sottovalutazione, o meglio una svalutazione di tale nesso per le realizzazioni dello spirito; come a dire che dell'intero impianto logico una prima parte vale per le scienze meccanicomatematiche e una seconda per le scienze dello spirito, salvo poi ritrovare, ma in modo attenuato, la libertà nella natura e la quantità nello spirito, senza che esse tuttavia siano in grado di caratterizzare pienamente quelle realtà, secondo un piano che sembra molto schellinghiano. L'unità logica, l'inner Bildner quindi, non è statica ma dinamica, in sviluppo, con un approdo che non riesce ad evitare le difficoltà del dualismo di tipo spinoziano. Le differenze interpretative hanno la loro origine proprio nelle incertezze di Hegel. De Ruggiero offre una soluzione moderata, dicendo che "Più generalmente, si avverte che nei diversi gradi della realtà naturale la possibilità d'istituire un'esatta misura è diversa. È massima nella meccanica e nella fisica...decresce nello stadio degli organismi animati dove c'è un gioco più complesso delle parti tra loro e col tutto; è minima nell'ordine delle cose spirituali" (9). Per Hegel, a mio parere, non è tanto una questione di più e di meno, dato che per lui in ogni concreto si trova una corrispondenza di qualitativo e 6 - Ivi, p. 371. (S. 342). 7 - Ivi, p. 414. (S. 384). Con il termine qualità Hegel intende ogni tipo di realizzazione sia nel campo della natura che dello spirito, come ad esempio l’acqua, gli animali, lo Stato, la costituzione. 8 - Ivi. 9 - G. de Ruggiero, Storia della filosofia, Laterza, Bari 1963, VIII, p. 138. 3 quantitativo, ovvero una misura, quanto piuttosto di regolarità formalizzabile. Anche nelle faccende dello spirito, vuol dire il filosofo, vi è sempre una misura, una origine per accumulo, ma non è possibile stabilire il punto nodale in cui avviene il passaggio. Né poteva fare diversamente, dovendo mantenere in qualche modo una visione unitaria della realtà, almeno formalmente. La difficoltà per l'interprete sta nel decidere se per Hegel ciò avviene per nostra ignoranza o per pregio della realtà spirituale. Findlay, non cogliendo la sfumatura, sottolinea la perfetta identità della misura nei due campi opposti (natura e spirito) (10). Al contrario Fleischmann, riconoscendo il ruolo universale della misura in Hegel, ne distingue nei suoi scritti due tipi, il primo, di carattere matematico, adeguato ai fenomeni meccanici, l'altro, non matematico, anche se quantitativo, adeguato ai fenomeni superiori. Fleischmann osserva a tal proposito che non vi potrà mai essere un nesso matematico tra reato e anni di carcere, come rimarrà sempre vago il concetto di "giusto mezzo" nel campo della morale (11). Mi sembra comunque che sia sfuggito ai critici citati che la vera differenza vada cercata tra una misura regolare, ripetitiva e quindi formalizzabile ed un'altra irregolare o libera e pertanto non formalizzabile. Entrambe in sostanza sono identicamente quantitative, ma con la differenza che una dà luogo a rapporti ripetitivi e l'altra no. In un campo la misura è resa necessaria dalla meccanicità, nell'altro, si potrebbe forse dire, è resa libera dallo spirito. Hegel a rigore avrebbe dovuto distinguere, tra una determinanza rigorosa e senza eccezioni della misura nel mondo della natura, e una dominanza della scelta nel mondo dell'uomo, donde la possibilità di molteplici processi dialettici, ma secondo una provenienza quantitativa unitaria. Ciò intende Marx quando, considerando il pensiero come diretta manifestazione della materia, estende a tutta la realtà la funzione trasformatrice della quantità, pur rendendosi conto che il pensiero "libero" assume una sua specificità dominante rispetto al mondo meccanico, dove la mente comanda sulla natura, pur senza determinarla. In Hegel invece il divenire nella sfera della meccanicità è controllato dalla regola rigida della quantità, mentre nelle sfere superiori, ove la complessità è maggiore, esso è determinato a volte ancora dalla legge della quantità, anche se priva di regola, altre volte dalla trasformazione di fattori non quantitativi, come possono essere le intenzioni umane o i cambiamenti di equilibri tra le parti di un sistema. Il metodo hegeliano si presenta in forma scissa, fino al punto di dedicare alla regola della quantità una parte cospicua della Logica, per poi limitarne la validità piena solo ad un settore del reale, pur senza eliminarlo dall'altro. Validità piena, specifica, nel primo settore; validità generica, approssimativa, nel secondo. È pur vero che per Hegel la realtà si sviluppa, crescendo su se stessa, ma non fino a mettere capo ad un dualismo sostanziale tra i fattori iniziali e quelli finali. La continuità ontologica impone la continuità di metodo, donde la necessità di una logica unitaria; al tempo stesso lo sviluppo della realtà su se stessa impone una diversificazione delle regole di funzionamento dei settori più sviluppati rispetto a quelli meno sviluppati, anche se non fino a stravolgerne il modulo. È su questa diversità che Hegel si è impaniato, per mantenere la continuità e caratterizzare simultaneamente la discontinuità, ricadendo nelle aporie di ogni dualismo nella continuità, alla maniera di Spinoza, di Leibniz, di Schelling, che non riuscirono a spiegare il nesso tra meccanicità e libertà, tra monadi percettive e appercettive, tra natura e spirito. La regola della quantità non può perdere la sua funzione se la realtà è una, primitiva o evoluta che sia. Potrà passare da procedure immediate, come nella sfera della meccanica o della chimica (metodo quantitativo semplice o 10 - J. N. Findlay, cit., p. 189. 11 - E. Fleischmann, La logica di Hegel, Einaudi, Torino 1975, p. 94-5. (La science universelle ou La logique de Hegel, Plon, 1968). 4 lineare), a procedure più mediate, più nascoste, più difficili da individuare, come nelle sfere della psicologia, della politica, dell'economia, ma non fino a perdere il suo ruolo di mediatrice del divenire (metodo quantitativo complesso). È questo passaggio che Hegel non ha saputo o potuto compiere, quello cioè di rendere immanenti meccanicità e libertà, per essersi ancorato ad un concetto di libertà che, se pure nuovo per molti aspetti, è ancora radicato nella visione tradizionale dello spirito. Sorprende quindi vedere introdurre nelle ultime pagine della logica del concetto, ovvero nella sfera della compiuta organicità, il principio della libertà e della finalità, come poi si ritrova nelle opere storiche. Un grande interprete di Hegel rilevava questo slittamento metodologico nel modo seguente: “Hegel pour décrire la vie de l’esprit et particulièrement la vie des peuples dans l’histoire se servira au début des métaphores organiques, mais il y substituera progressivement une dialectique qui s’adapte mieux au devenir spirituel” (12). Kant fondava il sapere scientifico su strutture quali-quantitative e loro relazioni, da intendersi come limiti della conoscenza umana, aprendo con ciò la polemica antimetafisica, culminante nella Dialettica, ove veniva stabilita, tra le altre cose, l’improponibilità di una qualsiasi fondazione di una teoria della libertà, il cui recupero nella sfera pratica esibisce in piena luce la difficoltà del filosofo nella elaborazione del concetto di libertà. Kant quindi restaura la vecchia metafisica, ma con una slittamento di piano, che gli serve a non riprodurre il dualismo entro la medesima forma del sapere. Che si tratti di un escamotage è possibile (13), tuttavia mostra la sofferta consapevolezza rispetto alla difficoltà. Hegel fichtianamente ha ricercato con spirito di sistema l’unità del sapere, riuscendo solo formalmente a superare i rischi delle separazioni, ricreando di fatto un dualismo entro un apparente monismo. 2) Storiografia hegeliana Leggendo le opere storiche di Hegel si possono verificare le ambiguità del suo metodo. La storia viene intesa come una catena di anelli collegati fra loro, come serie continua, ma al tempo stesso come luogo ove spuntano le "caratteristiche naturali dei popoli", fattori immediati ed autonomi e quindi inderivabili da altro, dovuti al fatto che lo Spirito "assegna alla cieca", senza alcun motivo, ad un popolo anziché ad un altro connotazioni spirituali, che fungono da base per lo sviluppo del nuovo universale storico. Lo Spirito si incarna senza preavviso, facendo sorgere all'improvviso, ad esempio nel popolo tedesco, le "bandiere" della libertà, della fedeltà, dello Stato (14). Non viene tuttavia spiegato nel testo perché "i popoli germanici hanno il compito (die Aufgabe) di recare alla luce..." il regno della libertà (15). Si susseguono affermazioni del tipo "Ad un popolo spetta un momento" (16), vi è una "natura dell'occidente europeo (der Natur des europäischen Westens)" (17), un "destino dell'Italia". E ancora "Il compito del medioevo (Die Aufgabe des Mittelalters) era quello di aiutare la legge di libertà a diventare reale" attraverso il popolo tedesco (18); l'unità imperiale carolingia doveva infrangersi 12 - J. Hyppolite, Introduction à la philosophie de l’histoire de Hegel, Marcel Riviere, 1948, p. 22. 13 - C. Lacorte, Kant. Ancora un episodio dell’alleanza di religione e filosofia, Argalìa, 1969, p. 42. 14 - Filosofia della storia, IV, p. 35-37. (IX, 785, ove si legge "Der Zusammenhang ist hier der der Treue; sie ist das zweiter Panier der Germanen, wie die Freiheit das erste war"). 15 - Ivi, p. 51. (S. 797). 16 - Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Bari 1954, § 347. (VI, "Dem Volke, dem solches Moment als natürliches Prinzip zukommt"). 17 - Lezioni sulla filosofia della storia, La Nuova Italia, Firenze 1967, IV, p. 59. (IX, S. 804). 18 - Ivi, p. 66. (S. 809). 5 perché "non era conforme alla natura dell'Occidente europeo", essendo sostenuta solo dalla forza di un individuo, "dall'arbitrio soggettivo", e non dallo spirito di un popolo. Questa "infinita menzogna" doveva scatenare "la reazione della contraddizione (die Reaktion aus dem Widerspruch an unendlichen Lüge)" tra lo spirito particolare delle singole nazioni e "il dominio universale dell'impero franco" (19). È impossibile applicare a questi concetti la regola della quantità, neppure quella "complessa", essendo di fronte a fenomeni senza accumulo quantitativo preventivo. In realtà Hegel alterna questa spiegazione con un'altra molto più laica, come quando dice che la sparizione della splendida amministrazione statale di Carlo Magno, determinò "l'universale bisogno di protezione degli individui (die allgemeine Schutzbedürftigkeit der Individuen)" ( 20). "Come conseguenza (insofolge) di tale stato di cose sorse un sistema di protezione (Schutzsystem)" (21). Nelle stesse pagine quindi il filosofo oscilla tra la spiegazione spiritualistico-arbitraria, la vocazione dei popoli, e quella fondata sulla logica stessa delle cose, mossa dall'universale bisogno, con un processo "lento e pieno di contraddizioni" (22), in qualche modo più materialistica e quantitativa. Nel trattare il culto di Jehova della religione ebraica, Hegel sostiene che esso deriva dalla famiglia, che ne è la sostanza. Attraverso la schiavitù gli ebrei passarono dallo stato nomade allo stato agricolo, diventando popolo e innalzando un tempio in Gerusalemme, che dovettero dividere quando il popolo si divise. La storia della religione ebraica risulta in tal modo seguire la storia dei figli di Israele (23). Similmente nacque il feudalesimo. Con la dissoluzione del potere imperiale, gli individui, "spinti dal bisogno", ovvero nella condizione di precario isolamento, approdarono al "sentimento di unione e socievolezza". Nacque in tal modo l'asservimento di un individuo ad altro individuo, con grande profitto dei potenti. "Questa è l'origine (Ursprung) del sistema feudale" (24). Così pure il valore militare ebbe origine dal fatto che ognuno doveva difendersi personalmente da tutti gli altri. Le città libere sorsero come reazione alle violenze feudali; e i primi segni di libertà nelle associazioni, nelle leghe, nei patti tra individui, nacquero come reazione alla servitù feudale (25). L'ambiguità tra le due tipologie storiografiche raggiunge la sua forma più evidente nella Filosofia del diritto, ove Hegel, incrociando i due metodi, arriva a sostenere che, per assicurare e consolidare l'appagamento dei bisogni, furono necessari agricoltura, matrimonio, Stato, proprietà, che non sono altro che aspetti "del come la razionalità, assoluto scopo finale (der absolute Endzweck), si fa valere in questa materia" ( 26). L'agricoltura e le altre istituzioni connesse finiscono per avere, come nello Stato di Platone, una doppia matrice, la prima mondana, incentrata sul bisogno, l'altra razionale, fondata "sull'assoluto scopo finale". Per raggiungere il suo intento Hegel avrebbe dovuto mostrare l'identità del processo sia a 19 - Ivi, p. 60. (S. 804). 20 - Ivi, p. 66. (S. 810). 21 - Ivi, p. 67. (S. 811). 22 - Ivi, p. 51. (S. 797). L. Colletti, tra i tanti, aveva notato queste ambiguità hegeliane sulla storia in Il marxismo e la "Filosofia della storia" di Hegel. Sta in Incidenza di Hegel, a cura di F. Tessitore, Morano Editore, 1970. 23 - Ivi, II, p. 225. (IX, S. 458). 24 - Ivi, IV, p. 67. (IX, S. 811). 25 - Ivi, p. 104-5. (S. 842). 26 - Filosofia del diritto, § 203. (VI). 6 partire dalla regola della quantità che da quella della libertà, facendo scaturire le nuove qualità (agricoltura, matrimonio, Stato, proprietà) da qualità precedenti, attraverso il meccanismo della misura, salvo poi dover dimostrare che tutto ciò non sarebbe potuto accadere senza un piano dello Spirito del Mondo. Avrebbe dovuto mostrare ad esempio come l'agricoltura dovesse nascere da incrementi demografici considerevoli, e quindi da nuovi bisogni, e da decrementi nei depositi alimentari spontanei del territorio e, al tempo stesso, rendere credibile che tutto ciò fosse implicito nel piano della razionalità. Solo in questo modo la logica sarebbe "una" logica, per quanto criticabile nei contenuti. Da questo punto di vista Schelling è stato più rigoroso di Hegel, cercando di mantenere una continuità maggiore fra le epoche dello sviluppo. Hegel in sostanza ci fornisce qua e là alcuni spunti di critica materialistico-quantitativa, spunti che, per dirla alla Marx, fanno pensare ad un suo cripto-materialismo, ma sono frequenti tanto quanto quelli improntati al criterio della spontaneità. 3) I modi del passare Alla radicale ambiguità tra regola della quantità e regola della finalità o libertà si aggiunge l'ambiguità fra i vari modelli di transizione nell’ ambito della stessa spiritualità. In questa sfera Hegel fa entrare in gioco in primo luogo la funzione della "limitazione (beschränkter Art)" (27), che interviene ogni volta che una categoria non si è ancora pienamente realizzata, ponendo in contraddizione la particolarità con l'universalità, l'atto con la potenza, come quando osserva che mancava alla piena "attualizzazione sensibile" della Chiesa l'unico resto particolare di Cristo, il Sepolcro, il "questo", l'assoluto incarnato. Proprio il fallimento della Crociata dimostrò che lo spirito andava cercato nella soggettività e non nel sensibile (28). Dopo aver riconosciuto che il "questo" sensibile non si trovava nella Chiesa, l'uomo si rivolse al mondo attraverso il lavoro, in un sereno rapporto con esso. Il mondo diventò il "questo", ovvero lo spirito incarnato. L’insuccesso della Crociata quindi ricacciò l’uomo in ciò che gli sta più vicino, nelle sue attività pratiche, nei mestieri, nel commercio (29), ove ebbe la possibilità di trovare una nuova libertà da realizzare (30), di impianto non più feudale, attraverso la proprietà privata, le classi sociali, la scienza, la monarchia, i funzionari come sue nuove manifestazioni (31). È in questo contesto che appare l’importante osservazione sulla multimodalità della storia "i trapassi storici avvengono in parecchi (mehrere) modi contemporaneamente, ma prevale sempre un modo o l'altro" (32). Lo spirito ha cercato nella Chiesa la realizzazione oggettiva, "ma l'ha trovata infine in modo tale, da escludere la chiesa. La chiesa però è rimasta" (33). Questo è un caso di superamento per limitazione con conservazione reale di ciò che è superato, assai diverso dal superamento con annientamento o con trasformazione, come si può avere nel passaggio dalla poliarchia feudale alla monarchia, dalla servitù (di cui la Chiesa è stata 27 - Filosofia della storia, IV, p. 109. (IX, S. 846). 28 - Ivi, p. 113-4. (S. 849-50). 29 - Ivi, p. 119. (S. 854). 30 - Ivi, p. 122). (S. 857). 31 - Ivi, pp.123-27. (S. 858-61). 32 - Ivi, p. 127. (S. 861). 33 - Ivi, p. 135. (S. 868). 7 strumento, ponendo l'animo e il corpo fuori di sé, in proprietà altrui) alla libertà. In altri contesti Hegel fa intervenire diversi moduli dialettici, come quando scrive che i cristiani di Spagna diventarono liberi, confrontandosi militarmente con la libera e indipendente cavalleria saracena (34). In alcuni casi quindi il passaggio, il superamento, la presa di coscienza, avviene in virtù di un fallimento, che spinge verso fini superiori, in altri in virtù di una lotta, di uno scontro-incontro, con chi già possiede un livello superiore di coscienza, per assimilazione dell'inferiore al superiore, per omologazione. La contraddizione e il superamento possono avvenire anche con altre modalità, come nel caso in cui il pensiero diventa forza rivoluzionaria quando l'altro polo è violenza, come è accaduto in Francia, in Italia, in Spagna. "La rivoluzione interviene nei paesi romanici, là, invece, ove regna la libertà della chiesa evangelica, c'è tranquillità. I protestanti hanno infatti compiuto la loro rivoluzione con la Riforma" (35). La rivoluzione francese fu violenta perché non fu intrapresa dal governo. Ciò sta a significare che per Hegel il passaggio da un'epoca all'altra può avvenire per rivoluzione o per riforme, con o senza rotture traumatiche. I popoli rivoluzionari sono quelli cattolici (36), avendo essi separato il momento religioso e sacro da quello mondano della legge, non sentendo questa come assoluta e obbligatoria. I protestanti, unificando sacro e profano, vivendo con spirito religioso il mondano, hanno raggiunto la rettitudine (Rechtschaffenheit), esorcizzando la rivoluzione(37). 4) Multimodalità della storia Hegel utilizza, come esplicitamente dichiara, molti (mehrere) moduli dialettici, sia per la sfera meccanico-quantitativa che per quella spirituale, che possono essere in modo approssimativo e incompleto così schematizzati: a) per reazione (il feudalesimo come reazione alla cessazione della protezione imperiale); b) per limitazione (superamento del limite particolare per portare a compimento la categoria: dalla potenza all'atto); c) per fallimento (il fallimento della Crociata mondanizza lo spirito); d) per autonegazione (l'affermazione mondana della Chiesa rappresenta al tempo stesso la sua corruzione); e) per assimilazione (i cristiani diventano liberi per contatto con chi già lo è). La storia si presenta quindi, in particolare nelle pagine della Filosofia della storia, ora come varia incarnazione del Weltgeist nel suo arbitrario divenire, ora come esito dei meccanismi nati dal bisogno, ora come realizzazione della dialettica ben più laica della quantità del territorio e della popolazione, come prevalentemente avviene negli esempi della Scienza della logica, lasciando all'interpretazione del lettore la decisione se l'incremento demografico sia nel piano dello spirito o se lo spirito non sia altro che una metafora della dialettica degli andamenti demografici. Marx è molto più rigoroso nell'evitare la doppia logica, della fisica e della storia, certamente favorito dal suo integrale materialismo. Ciò non gli ha 34 - Ivi, p. 114. (S. 850). 35 - Ivi, p. 203 e 213. (S. 925 e 933). 36 - Ivi, p. 204. (S. 925). 37 - Ivi, p. 186. (S. 910). 8 impedito tuttavia di ricadere nella molteplicità dei modelli quantitativi, ereditando la mancanza di chiarezza e di univocità del "maestro". Hegel ha creato una logica dei fenomeni materiali ed una dei fenomeni spirituali, sperando invano di includere dialetticamente la prima nella seconda. Non bastando ciò, ha distinto all'interno di ciascuna di queste due logiche una considerevole moltitudine di moduli diversi. Le difficoltà, sebbene attenuate, si sono ripresentate in Marx sia nelle dinamiche della transizione, che nella definizione del ruolo della soggettività rispetto ai fenomeni storici, i quali dovrebbero avere un andamento non dissimile da quelli "ineluttabili di un processo naturale" (Mit der Notwendigkeit eines Naturprozesses) (38). Vico è più coerente di Hegel nella ricostruzione dei processi di sviluppo della storia umana a partire dall'“aureo" principio del verum-factum e dai crescenti bisogni degli uomini. La Provvidenza di Vico utilizza i bisogni materiali umani in modo radicale, facendo trionfare i suoi fini direttamente dalla logica immanente alle passioni umane. Il progetto divino è intrinseco alla reazione istintiva dell'uomo basata sul senso comune, sul comune modo di reagire degli uomini di fronte alle esigenze della loro vita. Lo spirito in Hegel si serve delle passioni umane, ma in senso esteriore e accidentale, non riuscendo a far scaturire l'Impero romano dagli egoismi di Cesare, né l'Europa liberale da quelli di Napoleone (39). In Vico le passioni e le risposte ai bisogni agiscono in modo materiale-quantitativo più rigoroso. Dal volere per sé, al volere per la moglie e per i figli, al volere per la tribù, e poi per la città, per lo Stato, per l'intera umanità il processo è cumulativo, nel senso che ogni condizione raggiunta conduce inevitabilmente a desiderare la successiva. La penuria di cibo conduce allo stanziamento e all'agricoltura, la necessità della cooperazione per aumentare la produzione porta alla famiglia. Più in generale si potrebbe dire che le insufficienze che si determinano in uno stadio spingano verso quello superiore, con una perfetta aderenza tra bisogni e risultati, come nella vichiana "dialettica servo-padrone" a proposito della nascita dello Stato (40). 5) Ancora sulle ambiguità hegeliane Nella Logica Hegel dice a chiare note che il "passare... ha luogo soltanto nella sfera dell'essere" (41), ove una qualità trapassa in altra attraverso l'accumulo quantitativo. Ma proprio questo genere di considerazioni, se non occasionalmente, viene a mancare nelle opere storiche, ove pure si può trovare una precisa consapevolezza della lacuna, come in questo passo: "La natura della scienza speculativa ho svolto ampiamente nella mia Scienza della Logica; in questo compendio è stata perciò aggiunta, soltanto qua e là, qualche dilucidazione sul procedimento e sul metodo. Per la natura concreta, e in sé così varia, dell'argomento, è stato per vero tralasciato di mostrare e mettere in rilievo, in tutte e in ciascuna particolarità, il concatenamento logico" (42). 38 - Il capitale, Editori Riuniti, 1974, I, 7°, 826. (MEW, 23, S. 791). 39 - È solo parzialmente convincente la tesi di J. d'Hondt in Hegel philosophe de l'histoire vivante, PUF, 1966, ove nel capitolo "Le cours du monde" e in particolare nel paragrafo "La forza delle cose" insiste sull'interpretazione immanentistica dell'astuzia della ragione. Diversa è l'interpretazione di S.A. Bankov in Logisce Grundlage der Geschichte ("Hegel-Jahrbuch", 1968-9), ove non concede nulla alla tesi dello Hegel "materialista", facendo muovere la storia unicamente dallo Spirito universale e libero. Anche Lenin vede nella filosofia della storia di Hegel uno scarso contributo alla concezione del materialismo storico. Scrive infatti nei Quaderni filosofici (Opere, Editori Riuniti, 1969, vol. 38, p. 315): "In generale la filosofia della storia ci dà molto, molto poco....Qui soprattutto Hegel è invecchiato e antiquato". 40 - G. Vico, Principi di scienza nuova, Ricciardi, 1953, sez. V. 41 - Logica, p. 685. (IV, 244). 42 - Filosofia del diritto, p.4-5. (VI, S. 4). 9 Vi è quindi un concatenamento tra le categorie storiche del diritto che manca nell'opera specifica, ma che si può ricavare dalla Logica. "L'evoluzione implica il processo graduale...questa necessità, con la serie necessaria delle pure e astratte determinazioni del concetto, viene conosciuta nella logica." (43). Hegel è consapevole che il fondamento di ogni nesso storico non può che essere nella Logica, ma è anche consapevole che il libro del "passare", del divenire, sia il primo, il libro dell'essere, della quantità come funzione di trasformazione. Nei libri storici si comporta come se volesse illustrarci in fila le grandi categorie che si sono succedute nella storia, tralasciando consapevolmente di dirci come è avvenuto il passaggio. Viene il sospetto che a Berlino, ove scrisse le più importanti opere storiche, non volesse indugiare sui compromettenti meccanismi quantitativi, troppo laici per il ruolo pubblico che ricopriva, preferendo sempre rinviare genericamente alla Logica. Anche nei Frammenti di studi storici ritorna la regola della quantità, laddove si legge che in una piccola repubblica come Atene è possibile che Pericle dica che gli uomini come lui siano gli autori della grandezza della città. In una repubblica più grande ogni singolo, anche grande, è dominato dalla totalità (44). Nell'undicesimo frammento è scritto che la ricchezza dei singoli, quando diventa sproporzionata, rovina le repubbliche e distrugge la libertà (45). Infine nel quattordicesimo frammento Hegel afferma, riprendendo il concetto del quarto, che gli uomini, nei grandi Stati, agiscono sempre come parti, non avendo la percezione dell'intero (46). Marx, nel suo radicale materialismo, ha potuto portarsi dietro, fino alla conclusione della ricostruzione dell'intero organismo "capitale", il fattore "incremento", perché il suo universale non è altro che l'insieme di tutte le realtà individuali quali-quantitative (47). 43 - Filosofia della storia, I, p. 171. (VIII, S. 148). 44 - G. F. W. Hegel, Il dominio della politica, a cura di Merker, Editori Riuniti, Roma 1980, p. 111. (I Frammenti si trovano in appendice a K.Rosenkranz, G. W. F. Hegel's Leben, Supplement zu Hegel's Werken, Berlin, 1844, S. 515-32). 45 - Ivi, p. 112. 46 - Ivi, p. 113. 47 - Ho affrontato questo argomento nel mio libro L'"esposizione dialettica" nel Capitale di Marx, Basilicata, 1976. 10