PRESENTAZIONE Il lavoro che il Dott. Nicastro mi

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PRESENTAZIONE
Il lavoro che il Dott. Nicastro mi ha sottoposto per questa mia presentazione,
rappresenta il significativo prodotto di dieci anni di rapporto comunicativo con una
categoria di persone alle quali sono particolarmente legato. Dalla prima volta che ho
deciso di scrivere un articolo divulgativo sugli argomenti trattati in questo volume, e
Nicastro ben li conosce, la difficoltà principale era rappresentata dal modello
comunicativo; infatti il target, per adoperare un termine alla moda, è rappresentato da
un pubblico eterogeneo: pazienti, parenti, addetti ai lavori, personale in formazione di
svariata origine. Quello che posso affermare e che Nicastro ha saputo attivare una
comunicativa corretta con ciascuno dei lettori sia attraverso il contenuto dell’articolo
che attraverso l’emozione che il tipo di argomento riesce a suscitare nell’utente. Ne è
derivata una esperienza formidabile che ha consentito a tutti noi addetti ai lavori di
continuare ad avere un rapporto comunicativo umano e non semplicemente scientifico
e/o didattico, rendendo quindi più caldo il nostro rapporto. La lettura di questa
raccolta offre l’impressione di sfogliare una sorta di corrispondenza ove però le
domande, o le richieste, o le aspettative rimangono sempre sottintese, mentre le
risposte appaiono chiare e facilmente intelligibili. Attraverso questa operazione
editoriale il Dott. Nicastro, che in questo settore è certamente il mio allievo più
riuscito, ha dimostrato di sapere sintetizzare la meritevole opera di quasi venti anni di
collaborazione.
Prof. Filippo La Torre
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RINGRAZIAMENTI
L’idea di raccogliere in un volume il dialogo decennale avuto con i pazienti portatori di
stomia è stata accolta con entusiasmo dalle persone alle quali la proponevo. Ho quindi
rivisitato tutti gli argomenti trattati; riveduti e corretti, la maggior parte sono stati
da me riscritti per completare alcuni temi che, a parer mio, sembravano incompleti o
troppo articolati in un linguaggio tecnico, difficilmente comprensibile dal pubblico al
quale si rivolgevano. Non ho modificato, se non per alcune parole, la corrispondenza
tenuta con i lettori in quanto è la parte più “vera” e “reale” di questa esperienza; ogni
lettera contiene le domande e le aspettative di ognuno dei pazienti, mette in risalto il
bisogno di assistenza e comprensione, rappresenta, spesso, il grido di allarme verso una
Sanità troppo tecnico-burocratica. Vorrei ringraziare quanti hanno permesso il
compimento di questo lavoro, primi fra tutti i Pazienti portatori di stomie che mi hanno
consentito di maturare una esperienza unica, a volte faticosa, di un contatto diretto e
continuo, facendomi vivere storie ed emozioni alle quali spero di non aver disatteso. Un
caloroso quanto dovuto Grazie va all’Editore ed al Dott. Vincenzo Marino che ha
accettato subito, con entusiasmo, la mia idea ed ha cercato in tutti i modi di motivarmi
a completarla ed infine ne ha permesso l’edizione. Grazie a tutti gli amici e colleghi,
esperti della materia, da me direttamente intervistati o stimolati a trattare un
argomento, hanno collaborato alla iniziale stesura degli articoli che sono stati inseriti
in questo testo. Un particolare ringraziamento va alla persona che mi ha guidato,
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aiutato e spronato, fin da quando ero studente in una professione felice e difficile, al
mio Maestro al quale mi legano affetto e gratitudine, al Prof. Filippo La Torre.
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CAPITOLO 1: INTRODUZIONE
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Quando inizia l’assistenza?
La domanda che compone il titolo di questo articolo, è quella che frequentemente molti pazienti
mi rivolgono. L’esperienza di questo giornale e del servizio ConvaTel, mi vede costretto a
dedicare uno spazio particolare per rispondere a questa domanda più che lecita. Dalle vostre
lettere e dalle vostre telefonate si evidenzia come molti pazienti, dopo l’intervento, non
ricevono un’assistenza specialistica adeguata e, una percentuale non esigua, è addirittura priva
di quest’assistenza. Questa situazione di fatto è avvalorata dalle numerose lettere e dalle
innumerevoli telefonate che riceviamo ed alle quali cerchiamo puntualmente di dare una
risposta. Allora, quando inizia l’assistenza al paziente stomizzato? Ancora, chi deve garantire
l’assistenza allo stomizzato? Non volendo entrare in facili polemiche, cercheremo di spiegare
semplicemente quale potrebbe essere un modello d’assistenza di base che risponda alle
esigenze del paziente.
Il paziente che deve essere sottoposto ad un intervento demolitivo, sia per patologia benigna
sia maligna, che prevede l’istituzione di una stomia, oggi, è informato prima dell’esecuzione
dell’intervento di questa eventualità. E’ logico che questa informazione è deputata al chirurgo
che dovrebbe spiegare, anche nei particolari, cosa comporta la costituzione di una stomia, dove
sarà fatta (indicandola direttamente sull’addome del paziente), il motivo e la necessità di
questo atto. Il chirurgo non dovrebbe limitarsi ad un fatto formale, ma dovrebbe instaurare un
dialogo aperto e franco, in modo da garantire al paziente una corretta informazione e acquisire
una giusta fiducia rispetto al suo operato. Unica eccezione a questo comportamento è quando
l’intervento deve essere eseguito in urgenza od in emergenza; in questo caso è auspicabile che
l’informazione sia data ai familiari del paziente che versa in condizioni critiche. Subito dopo
l’intervento è indispensabile la scelta adeguata dei presidi (placche e sacche), l’addestramento
del paziente al cambio dei sacchetti ed alla igiene dello stoma. La collaborazione tra il chirurgo
ed il personale infermieristico permetterà di ottimizzare questo delicato passaggio
assistenziale, in quanto tutte le informazioni date faranno parte del bagaglio culturale del
paziente. Al momento della dimissione, il paziente dovrebbe essere indirizzato presso un
centro d’assistenza specialistico per iniziare l’iter riabilitativo, diverso per ogni tipo di stomia.
Descritto in questo modo il tutto risulta lineare e facile, ma è la realtà quotidiana a rendere
evidente come piccoli atti e semplici azioni sono omesse o dimenticate. In molte realtà
sanitarie del nostro Paese, questo modello di comportamento è abbastanza reale, ma nella
maggioranza dei casi esso è disatteso e stravolto. Nelle situazioni più estreme il chirurgo non
ha (o non vuole avere) il tempo per poter discutere con il paziente, nel reparto non esiste
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personale formato od informato e il paziente non viene adeguatamente assistito, le
informazioni sull’igiene e sulla cura dello stoma sono sommarie o, peggio, sbagliate e la
dimissione avviene senza alcun suggerimento sul prosieguo della assistenza. Questo si evince, in
maniera disarmante, leggendo le vostre lettere ed ascoltando le vostre richieste. Non voglio
attribuire colpe o responsabilità, non voglio criminalizzare alcuna categoria professionale, ma è
necessario che tutti noi ci soffermiamo a riflettere sul nostro operato, su quanto abbiamo
fatto per migliorare l’assistenza al paziente stomizzato, su quanto abbiamo contribuito
(personalmente o in associazione) a rispondere ai bisogni reali dei pazienti. E’ indubbio che
migliaia di pazienti sentono la necessità di avere un’assistenza diversa, come è vero che i centri
esistenti in Italia riescono ad assistere meno del 10% dei pazienti portatori di stomia.Di fronte
a questa realtà mi sono sentito in dovere di pubblicare questo volume costruito sull’esperienza
decennale di ConTatto, che raggiunge quasi in maniera capillare tutti i pazienti portatori di
stomia e le loro famiglie, ed in considerazione alle vostre esigenze. Con questo spero di colmare
qualche vuoto (colpevole o involontario), sperando di comunicarvi un’informazione semplice ma
approfondita.
La Sanità Umana.
Le vicende politiche del nostro Paese degli ultimi anni, hanno offerto innumerevoli occasioni a
riflessioni, favorevoli o contrarie a seconda delle opinioni personali. Sono state proposte e
attuate riforme e controriforme su tasse, lavoro, pensioni e quant’altro ed ognuna è stata
portata avanti ascoltando e valutando i pareri delle parti sociali coinvolte come si conviene ad
una Nazione civile e democratica. C’è stata una riforma particolare che, a mio parere, è stata
determinante nella nostra vita quotidiana; mi riferisco alla Riforma della Sanità. Non voglio
entrare nel merito delle scelte del Governo e del Ministro, ma una prima riflessione che ho
fatto è stata: quali parti sociali sono state interpellate? I Medici? Allora, perché hanno
protestato tanto e non sono contenti? I Dirigenti delle Aziende sanitarie ed Ospedaliere? Loro
sono deputati al controllo della spesa ed al funzionamento, quindi sono i “burocrati” del
sistema? E i Cittadini? Nel riordino del Sistema Sanitario sono o non sono “tutti” i Cittadini, nel
momento del bisogno, ad usufruire delle prestazioni offerte dal Sistema sanitario Nazionale?
Le Regioni, le Province, i Comuni? Non sono questi gli enti periferici di controllo e di riordino?
L’apparato sanitario in Italia in verità rappresenta un “mostro” a teste multiple che in nessun
modo può essere ben amministrato e controllato. I diverbi, le contese ed i malcontenti restano
sempre ed ogni vicenda può rappresentare un evento di buona o mala sanità. Le Leggi sono fatte
per riordinare i sistemi, controllare la spesa pubblica e migliorare i servizi e le prestazioni ed in
tutti questi passaggi può accadere che un caso particolare possa sfuggire e non essere
contemplato nel comma e nei capitoli.
Discutendo di Sanità o più “crudamente” di persone malate con il diritto, in quanto cittadini, di
essere curate, comunque non deve sfuggire a nessuno il più elementare dei particolari: il
rapporto Medico-Paziente. La riforma della sanità non individua più il “Malato” ma l’Utente, cioè
colui che si rivolge alle istituzioni o all’ente per avere garantito un suo diritto, nel caso
particolare la Salute. In tal caso “l’Utente” sottoscrive un accordo ma con chi? Con L’Ospedale?
Con il Direttore Generale? Con il Medico? Con il Ministro?
Ebbene, esiste un “principio etico” che nessuna Legge può riordinare o amministrare che è il
rapporto tra Medico e Paziente, non sottoscritto e non firmato da nessuno. Il Paziente, l’Uomo,
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la Donna, il Cittadino che si rivolge liberamente al Medico confida in questo la fiducia di poter
essere curato ed il Medico ha il dovere “morale” e professionale di mettere in pratica tutte le
sue conoscenze per curare ed alleviare le sofferenze della persona. Il tutto si basa su un
rapporto umano di fiducia che da secoli contraddistingue l’Arte Sanitaria. Gli eventi purtroppo
mettono in risalto come frequentemente questo rapporto umano è violato, ma questo non deve
giustificare l’accantonamento di questo principio. Le istituzioni devono garantire a tutti i
Cittadini l’idoneità dei mezzi e delle strutture, ma a farli funzionare bene devono pur sempre
pensarci gli “Uomini”. Ognuno di noi è libero di fare le proprie scelte ma, nel caso particolare,
quando un Malato si rivolge al Medico deve sapere di poter contare su questo rapporto di
fiducia e che il Medico è tale anche perché eticamente deve rispondere alla fiducia
conferitagli.
Su queste riflessioni penso, ma forse è un’utopia, che una riforma sanitaria, indetta dai
cittadini, potrebbe iniziare proprio con i nostri comportamenti, utilizzando anche la Legge
vigente. Infatti, se il Cittadini confida nel suo diritto e dovere del rapporto diretto con il
Medico e quest’ultimo, come Medico, esercita eticamente il proprio diritto e dovere a garantire
la migliore cura per il Paziente, utilizzando le risorse messe a disposizione dalle Istituzioni
(pubbliche e private), questo porterebbe l’Uomo (Paziente e Medico) al centro del Sistema. Per
questo il paziente deve pretendere un contatto diretto con il Medico ed il Medico stesso deve
pretendere di curare direttamente, senza intermediari, il Paziente e ambedue le figure devono
liberamente denunciare l’omissione di questo diritto.
L’Ospedale, le attrezzature diagnostiche e terapeutiche, gli ambulatori, la ricerca scientifica, i
farmaci, il personale tecnico ed infermieristico, rappresentano cardini insostituibili per
l’assistenza sanitaria, ma la Cura, in quanto tale, deve essere restituita al rapporto umano e
personale diretta tra Medico e Paziente e la sua Famiglia, senza figure intermedie.
Con questo penso di interpretare, anche il pensiero di quanti desiderano una Sanità Umana,
augurando a tutti un inizio di Nuovo Millennio colmo di felicità e salute.
Il coraggio di vincere
Nei mesi scorsi ho avuto modo di conoscere Gregorio Di Paola. Questo nome, letto sull’agenda
degli appuntamenti di quel giorno non mi suggeriva niente; la Segretaria mi riferiva sarebbe
stata la prima volta che visitavo il Signor Di Paola e che era il primo paziente della giornata.
Sono convinto che anche a tutti voi che state leggendo, il nome Gregorio Di Paola non
suggerisce niente di importante. Non è un politico, né uno dello spettacolo e nemmeno un
calciatore (ho cercato di suggerire le categorie più importanti dell’Italia moderna); ma
Gregorio Di Paola ha una cosa in comune a molti di voi: è portatore di una colostomia. Niente di
speciale, un paziente unico come tutti gli altri, che avrà problemi legati alla dieta, all’irrigazione
o qualcosa di altro. Davanti a me invece si è presentato un giovanotto di 73 anni, pieno di
vitalità, con degli occhi incredibilmente pieni di curiosità e sincerità verso la vita. Alle prime
battute, mi ha ricordato che avevamo avuto un primo contatto telefonico qualche tempo prima
e che veniva dalla Sicilia (terra incredibilmente bella). Dalle prime parole, avevo avuto la
sensazione che c’era qualcosa di diverso nella storia di quest’uomo, dal suo vissuto alla sua
malattia. Invece mi sbagliavo, erano semplicemente le sue parole a rendere diverso il tutto. Una
storia di vita come quella di tanti siciliani; prima gli studi fino alla maturità liceale (fonte di
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riscatto sociale per le classi operaie), poi l’arruolamento come sottufficiale nell’Arma dei
Carabinieri con la conseguente emigrazione dalla sua Terra. La prima disavventura di salute lo
porta alle dimissioni dall’Arma. Sempre da emigrato, ma con la sua “sicilitudine” addosso,
cambia vita e in breve copre ruoli dirigenziali nella promozione commerciale di grandi aziende.
Ebbene, quanti di voi possono raccontare gli stessi sacrifici e l’impegno che hanno costruito e
stravolto la loro vita nel dopo guerra. Storie più o meno simili, forse alcune più fortunate, altre
sfortunate, ma tutte raccontano come erano belli e duri quegli anni. Nel pieno del suo successo
professionale Gregorio non riesce a resistere al richiamo che tutti noi conosciamo; ritorna nella
sua Sicilia, sicuro di arricchire con la sua esperienza molte delle potenzialità produttive della
regione; ma il lavoro non va e Gregorio comincia a viaggiare, lasciando la sua famiglia a Catania.
Ma ecco l’imprevisto, “la Malattia”, il male che ti assale e ti ferisce nella tua integrità fisica e
psicologica; Gregorio a poco più di quaranta anni e si ritrova pensionato per causa civile. Ma è a
questo punto che la storia di Gregorio Di Paola diventa “importante”, è a questo punto che il suo
racconto diventa ancora più passionale ed io lo lascio raccontare, guardando i suoi occhi vivaci e
sinceri, che tradivano il vero spirito di Gregorio: il coraggio di vincere. E lui non si ferma,
decide di vincere ancora ed il Male è sconfitto. Raccontata in questo modo sembra una storia
eroica, ma non lo è; è solo una storia vera, come quella di molti di voi; la lotta decisa contro il
“Male” non è semplice, non si esce vincitori senza le necessarie, profonde, frustranti, indicibili
“ferite” che deturpano non solo il corpo, non solo il cervello, ma prima di tutto la “dignità”
dell’essere umano. Ma Gregorio, giovane ma “invecchiato” dalla lotta, non sia abbandona e
ricomincia, si reinventa e nella sua Terra, difficile, crea una società di servizi per la grande
produzione e distribuzione commerciale. Un’altra bella battaglia che lo vede vincente, ma lui ha
un “tarlo”, anzi pensa che è giunto il momento di “cambiare vita” e finalmente coronare il sogno
di sempre. Così si iscrive all’Università, non quella per anziani, al Corso di Laurea di
Giurisprudenza; segue regolarmente le lezioni (con i suoi colleghi ventenni che gli riservano il
primo posto, per ovvi motivi di rispetto e anche perché si erano accorti che, per un uomo
dell’altro secolo, poteva essere difficoltoso seguire dagli ultimi e lontani banchi), studia e
lavora, sostiene gli esami regolarmente, senza non poche difficoltà ed infine il 30 Gennaio
2001, Gregorio Di Paola, nell’Aula Magna di Villa Cerami dell’Università di Catania, si laurea in
Giurisprudenza discutendo la tesi dal titolo “Grande distribuzione commerciale e finanziamenti
comunitari”, relatore il prof. Rosario Sapienza. Il racconto di Gregorio è lungo ed io ancora non
trovo il coraggio di interromperlo, anche perché prima o poi lui mi avrebbe dovuto “raccontare”
i suoi sintomi, il motivo vero perché era partito da Catania ed era arrivato a Roma. E finalmente
arriva al dunque: la colostomia dava qualche problema. Dopo anni di irrigazione e benessere,
lamentava un fastidio che psicologicamente lo metteva a disagio in quanto all’età di 73 anni, con
una Laurea fresca in tasca era logico che lui, Gregorio Di Paola iniziasse il suo praticantato,
presso uno studio di Catania, per diventare Avvocato esperto in Diritto Comunitario. Io spero
che i consigli che ho dato a Gregorio abbiamo avuto un buon risultato sul suo “stato di salute”,
ma credo che il racconto della sua vita (che egli mi ha autorizzato a raccontare nel modo in cui
io ritenevo di farlo), sia la terapia più efficace per molti di voi che state leggendo e voglio
terminare questo articolo “inusuale” non con le mie ma con le parole di Gregorio Di Paola: “Penso
che fermarsi, sentirsi arrivato non sia giusto. La vita deve continuare ad avere il suo corso
finché il corpo la sostiene. E Bisogna andare avanti non soltanto per sapere ancora, per
approfondire la conoscenza, ma anche per spenderla, per poterla dare”.
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CAPITOLO 2: LA RIABILITAZIONE
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Riabilitazione
Nel corso degli anni l’assistenza ai pazienti portatori di stomie si è andata evolvendo assumendo
sempre più il carattere specialistico, volto alla risoluzione non solo dei problemi prettamente
legati alla presenza della stomia, ma attraverso questo, al reinserimento nella vita sociale e
lavorativa e quindi verso le normali attività di vita quotidiana. Infatti, e’ esperienza comune per
chi legge, dopo l’intervento che porta alla costituzione di uno stoma addominale, vi e’ in molti
pazienti un totale sconforto e rifiuto della vita di relazione, legato alla presenza della stomia,
che oltre a rappresentare un motivo di grande mutilazione fisica, viene vissuta come condizione
invalidante dal punto di vista psicologico, in quanto la presenza delle feci o delle urine in un
sacchetto posto sull’addome, scatena paure legate al cattivo odore ed al senso di sporcizia.
Inoltre la presenza della stomia sulla parete addominale altera quello che è il normale schema
corporeo della persona. Infatti, lo stoma è considerato un “ano” artificiale e funzionalmente si
comporta come tale; la persona in tale condizione, si trova ad evacuare attraverso una parte
del corpo diversa da quella naturale e questo comporta non solo un’alterazione della funzione
fisiologica (mancanza del controllo dell’evacuazione), ma anche della normale configurazione del
proprio corpo (schema corporeo).
Tutti questi problemi oggi sono affrontati grazie ad una maggiore sensibilità dei Sanitari nei
confronti dei Pazienti portatori di stomie ed in base alle prime esperienze, si è compresa la
necessità di creare “terapie” di supporto che hanno costituito il fondamento di quello che è
modernamente inteso come il grande capitolo della “Riabilitazione” del paziente portatore di
stomia.
La Riabilitazione prevede l’attuazione di un insieme di procedimenti terapeutici aventi lo scopo
di condurre il paziente all’accettazione (adattamento) della stomia (nuovo stato). Il successo
della Riabilitazione è quindi misura dell’adattamento al nuovo stato, che deve essere totale
(psico-fisico); per tale motivo l’assistenza al paziente portatore di stomia è multidisciplinare,
nel senso che prevede l’intervento del chirurgo, dello psicologo medico, del dietologo medico,
dell’oncologo, dell’infermiere specialista in stomaterapia. Gli specialisti interagiscono tra loro
con l’unico scopo, finale, di portare il paziente ad uno stato di benessere tale da permettergli
una qualità di vita quale quella senza la stomia, considerando che lo stato di salute non dipende
da essa ma è legato ad altri fattori. La cura della stomia, l’igiene locale, l’uso idoneo dei
sacchetti e la loro scelta in base alle caratteristiche del soggetto, sono il primo importante
passo al quale farà seguito un corretto programma di controlli clinici generali ed oncologici
(quando necessari), ed anche l’aggiustamento dei fattori dietetici che interferiscono con un
buon funzionamento dello stoma; infine la correzione delle eventuali patologie stomali. Tutto
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questo deve essere corredato da un’attenta osservazione del quadro psicologico che cercherà
di modificare l’insorgenza di problematiche depressive od ansiose, che potrebbero portare
all’isolamento dalla vita vissuta. Idealmente e per somme righe abbiamo descritto la
Riabilitazione del paziente stomizzato, che potrà essere completata con programmi rivolti al
raggiungimento della continenza fecale, attuabili solo nei pazienti con una colostomia sinistra
ben funzionante. Su questo argomento ci dilungheremo più a lungo nei prossimi paragrafi.
Il Centro Stomizzati: il luogo della Riabilitazione
Il centro di Riabilitazione è il luogo nel quale avviene l’assistenza clinica e sociale del paziente
portatore di una stomia, in regime di ricovero, ambulatoriale e domiciliare. L’obiettivo di un
Centro di Riabilitazione è di ripristinare lo stato di benessere fisico, psichico e sociale del
paziente atomizzato fornendo un’assistenza multidisciplinare e procedure che conducano alla
riabilitazione globale, alla prevenzione di tutte le complicazioni stomali, alla cura ed al follow-up
della malattia di base ed agli aspetti burocratici. I bisogni del paziente stomizzato ai quali si
deve far fronte sono molteplici e per questo in ogni Centro devono essere coinvolti più
specialisti come l’oncologo, il gastrenterologo e l’urologo, oltre le figure di base che sono
rappresentate dal chirurgo e dall’infermiere professionale specializzato. Il compito di un
Centro di Riabilitazione è di seguire il paziente fin dal principio del suo percorso riabilitativo,
che inizia prima dell’intervento chirurgico, per fornire le giuste spiegazioni circa la patologia, il
tipo d’intervento e le sue conseguenze in maniera più chiara e semplice possibile. Sempre in
questa fase il chirurgo sceglierà insieme al paziente la “posizione” più idonea dello stoma
sull’addome. Questo momento iniziale è molto delicato per il paziente che deve essere
rassicurato e tranquillizzato, per evitare il sopraggiungere di dubbi ed incertezze. A questo
scopo spesso si propongono degli incontri con pazienti stomizzati già da qualche tempo ed ormai
correttamente educati e riabilitati, particolarmente attivi e collaboranti, al fine di permettere
lo scambio di notizie e sciogliere l’ansia e la paura che può insorgere prima dell’intervento. Lo
scopo è dimostrare, attraverso l’esperienza diretta d’altre persone, come sia possibile
ottenere un’ottima qualità di vita pur avendo una stomia. Subito dopo l’intervento, l’equipe del
Centro sarà coinvolta nell’assistenza la paziente per fornire un supporto psicologico, ma
soprattutto per iniziare l’addestramento alla gestione della stomia. Inizialmente bisognerà far
prendere al paziente confidenza con la stomia, in considerazione del nuovo “schema corporeo” e
della nuova funzione. I primi cambi del sacchetto avverranno con l’aiuto dell’infermiere, in un
ambiente tranquillo e sereno, per mostrare le regole dell’igiene dello stoma e della cura
peristomale e la metodica dei cambi. Insieme al paziente saranno scelti i presidi che rispondono
a precise esigenze tecniche e personali, che risultino sicuri dal punto di vista dell’adesività,
della silenziosità, della maneggevolezza e del confort. Di pari passi bisognerà istituire un nuovo
regime dietetico e soprattutto tranquillizzare il paziente che non si tratta di privazioni e
sacrifici che incidono negativamente sullo stile di vita. E’, infatti, utile spiegare che alcuni
piccoli cambiamenti alimentari avranno il vantaggio di non far espellere feci ed aria in grande
quantità ed in momenti e luoghi inadeguati. Questi stessi concetti saranno ribaditi al momento
della dimissione, insieme alle indicazioni d’ordine burocratico per l’approvvigionamento del
materiale presso il SSN, in modo da non costringere il paziente a rivolgersi a mille sportelli e
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segreterie prima di poter avere il proprio e giusto quantitativo di materiale. Anche questo è un
momento importante per il paziente che può venirsi a trovare in una situazione di stress e
paura poiché da ora in poi non sarà più protetto dall’ambiente ospedaliero. Sarà compito del
Centro ribadire la disponibilità per qualsiasi chiarimento, fornire appuntamenti ravvicinati per i
controlli, in tal modo rappresentando per il paziente un continuo e sicuro punto di riferimento.
Il lavoro del Centro continua nella cosiddetta “fase ambulatoriale”, durante la quale il paziente
dovrà essere messo in condizione di diventare autonomo e sicuro di sé, per arrivare al completo
reinserimento familiare, sociale e lavorativo. Questo lungo cammino di riabilitazione trova in
questo momento il punto cruciale: ogni paziente ha, infatti, i suoi problemi, i suoi tempi, il
proprio modo di reagire ed affrontare la malattia nonché il proprio modo d reagire verso la
nuova realtà. Compito di tutti gli operatori sanitari è di rapportarsi a ciascun paziente con gli
stessi principi scientifici, ma con diversi modi e tempi, in considerazione della unicità d’ogni
individuo. Accettare psicologicamente il nuovo stato è un lungo percorso che si ottiene con la
fiducia verso gli specialisti e con le continue rassicurazioni e l’evidenza degli eventi proposti.
Un importante passo verso la conquista dell’autonomia è il ripristino di una forma di continenza,
seppure in maniera passiva, ottenibile con la metodica dell’irrigazione nei pazienti con una
colostomia sinistra. Ribadendo che, laddove ci sia l’indicazione e la possibilità, l’irrigazione
rimane la più importante opportunità di rieducazione intestinale: l’autonomia, la libertà e la
sicurezza che ne conseguono sono un indubbio vantaggio.
Per i pazienti con ileostomia altrettanto importante, ma non con il significato della continenza,
è il ruolo dell’alimentazione: una corretta dieta significa ottenere delle evacuazioni diverse per
numero e caratteristiche, con un minor cambio di sacche durante la giornata e feci più solide e
potenzialmente meno irritanti.
Per i pazienti con urostomia, la perfetta gestione della stomia e della cute peristomale
rappresentano il punto più importante della riabilitazione: le urine, infatti, hanno un alto potere
irritativi e lesivo e devono essere gestite in modo ottimale per non permettere mai il loro
contatto con la cute mediante l’uso di presidi idonei e moderni.
Per ogni paziente le modalità di riabilitazione sono moltissime, spetta ai Centri ed ai singoli
professionisti trovare le singole soluzioni e stabilire il percorso che dovrà portare ad un
obiettivo comune: riconsegnare al paziente la propria dignità, l’autostima e la forza di ottenere
una piena e valida qualità di vita. Il Centro deve diventare per il paziente un luogo dove sentirsi
sicuro perché circondato da persone qualificate, competenti e soprattutto disponibili e che
sono in grado di rispondere ai bisogni e soddisfare le esigenze dando delle risposte concrete.
L'irrigazione.
Uno dei principali scopi dell’assistenza al paziente portatore di stomia è di limitare o risolvere i
disturbi (di qualunque genere), legati alla presenza delle eiezioni (fecali o urinarie), in un
sacchetto di raccolta posto sull’addome. La ricerca scientifica ha messo in atto diverse
tecniche e metodiche per il superamento di tale problema, ma solo nel paziente con colostomia
è oggi possibile, con successo, attuare dei procedimenti che permettono nella maggior parte dei
casi di risolverlo. Uno dei principali mezzi che abbiamo a disposizione per eliminare la presenza
continua di feci e gas nei sacchetti di raccolta è l’irrigazione. Questa metodica, che molti
lettori conoscono ed attuano da diversi anni, è una sorta di clistere adattato alle esigenze del
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paziente colostomizzato. L’irrigazione può essere attuata da tutti i pazienti con colostomia
sinistra terminale, autosufficienti e motivati, che non presentino patologie stomali gravi che ne
impediscono l’esatta esecuzione. Infatti, l’irrigazione deve essere eseguita dal paziente al
proprio domicilio, dopo essere stato comunque addestrato alla metodica da un infermiere
specializzato. La sua attuazione è facile e non richiede una particolare manualità, ma
consigliamo di fare la prima irrigazione sotto osservazione attenta dell’enterostomista e, se è
possibile, anche del medico. Essi dovranno spiegare al paziente nei minimi dettagli come
manipolare la stomia, le semplici attrezzature necessarie e come superare le eventuali
difficoltà che si possono verificare durante l’irrigazione. Inoltre, questo primo atto è
necessario per valutare la capacità del paziente ad eseguire la metodica in maniera corretta e
se essa è stata ben compresa; la presenza dell'enterostomista consente di eliminare eventuali
imperfezioni nella esecuzione della tecnica. I materiali utili all’esecuzione dell’irrigazione sono:
il contenitore per l’acqua, a cui è collegato un deflussore per la regolazione del flusso; il cono
che serve per introdurre l’acqua attraverso la stomia senza che la stessa fuoriesca; il
sacchetto, che si fissa intorno alla stomia, lungo e dotato di una doppia apertura alle estremità
di cui quella in alto serve per introdurre il cono sulla stomia, quella in basso per far defluire
direttamente le feci nella tazza del bagno. Questi materiali sono disponibili in kit e distribuiti
dalle varie industrie in diverse e sovrapponibili composizioni e sono a totale carico del SSN
(come tutti i presidi per le stomie). L’esecuzione dell’irrigazione inizia con il riempire d’acqua
corrente, tiepida, il contenitore apposito che sarà posizionato in alto, al di sopra della testa,
utilizzando un gancio o qualsiasi altro artificio (molti nostri pazienti fissano il contenitore con
un laccio al tubo dello scarico dell’acqua). Dopo aver rimosso l’abituale sacchetto, si pulisce la
cute peristomale e si fissa il dispositivo di svuotamento sulla parete addominale; si lubrifica il
cono e lo si introduce, gradualmente e con una lieve pressione, nello stoma in modo che l’acqua
possa defluire nel colon dopo aver aperto il deflussore. La quantità d’acqua da introdurre varia
secondo l’individualità della persona ed anche alle scuole di pensiero dei vari Centri. Riteniamo
che una buona irrigazione deve essere eseguita mediante 1,5-2 litri d’acqua, che nel primo
periodo possono essere introdotti anche ad intervalli. Alla fine dell’introduzione dell’acqua si
assiste alla fuoriuscita delle feci e dei gas che potrà essere facilitata con dei semplici
massaggi dell’addome. La metodica può essere eseguita in piedi o stando seduti sia sul water sia
su una sedia e termina quando dalla stomia uscirà solo dell’acqua residua. La durata
dell’irrigazione varia dai 15 ai 30 minuti e, con il raggiungimento dell’abitudine alla metodica,
molti pazienti riducono o utilizzano in vario modo questo tempo. Come si può comprendere
l’irrigazione è utile per controllare l’evacuazione nel senso che permette ad ogni paziente di
defecare in maniera controllata ad un intervallo regolare e variabile di tempo. Durante questo
intervallo non si avrà più la presenza di feci e gas nel sacchetto di raccolta, che potrà quindi
essere sostituito con piccole protesi di copertura simili a cerotti o anche solo con della garza,
rendendo più libero ed autonomo il paziente. L’irrigazione deve essere eseguita tutti i giorni
per i primi 15 giorni, durante i quali il paziente oltre che ad una buona pratica raggiungerà un
primo intervallo d’autonomia di 24 ore. A giudizio del Sanitario si potrà quindi passare ad
intervalli di 48 ore (irrigazione a giorni alterni) e con dei buoni consigli dietologici l’autonomia
del paziente potrà raggiungere anche le 72 ore (irrigazione due volte la settimana). Nella
nostra esperienza l’irrigazione è effettuata dal 95% dei pazienti con colostomia sinistra
terminale ed il 70% di essi ha una autonomia di 72 ore. Questi dati dimostrano come
l’irrigazione sia un valido ausilio per la piena riabilitazione del paziente che in questo modo
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raggiunge una forma di continenza a feci e gas, diventando più autonomo e libero e quindi
pronto a vivere sicuramente una migliore vita sociale, lavorativa ed affettiva.
Quando l'irrigazione fallisce.
Nel precedente paragrafo abbiamo trattato dell’irrigazione che, universalmente, è considerata
il metodo migliore per la riabilitazione del paziente colostomizzato. Esistono comunque delle
eccezioni; l’irrigazione per avere un pieno successo deve essere proposta ai pazienti che
psicologicamente e fisicamente possono attuarla; inoltre la colostomia deve avere
caratteristiche che ne permettono la facile manipolazione e non presentare patologie
importanti. Per semplificare, se il paziente con colostomia non è autosufficiente, oppure
presenta una voluminosa ernia peristomale, un prolasso o una stenosi importante della stomia,
effettuare l’irrigazione diventa difficile ed a volte impossibile. In queste condizioni, ostinarsi
ad attuare la metodica, comporta al paziente un maggiore problema anziché un effettivo
beneficio e viene a mancare il principio fondamentale della riabilitazione che è l’adattamento
del paziente ad una nuova condizione psico-fisica.
Queste limitazioni fanno sì che non tutti i pazienti possono usufruire dell’irrigazione durante il
procedimento di riabilitazione, pertanto è necessario attuare dei diversi procedimenti che
portano al medesimo obiettivo. A tal fine è bene valutare esattamente quali ostacoli
impediscono l’esatta applicazione dell’irrigazione. Nei pazienti non autosufficienti, ad esempio,
potrebbe essere utile cercare di regolarizzare la motilità intestinale in modo tale da provocare
una o due evacuazioni al giorno e adottando una adeguata dieta e l’assunzione di sostanze
emollienti le feci possono facilitare tale evenienza. Inoltre la valutazione della esatta
periodicità giornaliera delle evacuazioni (tutte le mattine, subito dopo pranzo, ecc.), potrebbe
indicare l’uso di idonee protesi di copertura, poco ingombranti e più sopportabili. Queste misure
possono essere attuate da tutti i pazienti che non vogliono fare uso dell’irrigazione e devono
essere prescritte ai pazienti con gravi patologie stomali, con il duplice scopo di raggiungere un
periodo di continenza il più lungo possibile durante la giornata e di garantire un normale
transito intestinale. Infatti, in quest’ultimo gruppo di pazienti si possono verificare episodi di
rallentato transito intestinale, con l’eventuale formazione di feci molto dure (fecalomi), che
alla fine possono dar luogo a veri episodi di sub-occlusione intestinale. Il miglior provvedimento
in questi casi è la correzione della patologia stomale, anche se questo prevede un intervento
chirurgico. La proposta di un nuovo intervento chirurgico rappresenta spesso un motivo di
sconforto per il paziente, che può indurlo ad interrompere il cammino verso la completa
riabilitazione; non ci stancheremo di ricordare che la correzione delle patologie stomali di
interesse chirurgico possono essere attuate, nella maggior parte dei presidii ospedalieri, in
regime di day hospital ed in anestesia locale: quest’ultima considerazione vuole essere un invito
diretto ai pazienti ad affrontare con serenità questa eventualità per migliorare il loro stato di
benessere. L’intervento non comporta nessuna limitazione alle normali abitudini di vita e dopo
circa 20-30 giorni, a guarigione chirurgica consolidata, si può iniziare l’irrigazione. Ma nella
nostra pratica clinica, non è raro incontrare pazienti che rifiutano l’irrigazione considerandola
una eccessiva manipolazione del proprio corpo. Inoltre, in alcuni pazienti, la metodica non è
efficace, nel senso che non garantisce la continenza e durante la giornata il paziente continua
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ad avere la fuoriuscita di feci spesso molto liquide per il ristagno dell’acqua nell’intestino. Il
rifiuto del paziente può essere superato nel tempo e con un maggior rapporto di fiducia con il
personale sanitario ma, nel paziente che non ha beneficio dall’irrigazione, è necessario attuare
delle norme in modo da garantirgli una parziale continenza durante la giornata. Innanzi tutto
bisogna considerare che dopo l’intervento l’intestino riprende le “abitudini” pre-operatorie. Un
paziente che presentava una cosiddetta “colite spastica” dopo un periodo variabile di tempo
presenterà lo stesso problema. Così la stitichezza che causava tanti problemi prima, potrà
riaffacciarsi dopo l’intervento. Queste sono situazioni che possono far fallire l’irrigazione. Il
riaffacciarsi di sintomi colitici impone l’immediata correzione della dieta, vietando l’assunzione
di alimenti fermentanti (il latte ed i latticini, i legumi), di cibi che accelerano il transito
intestinale (la verdura a foglia larga, la frutta con molte scorie, il cacao ed i suoi derivati, gli
insaccati), gli alcolici ed il caffè. Sono consigliate le tisane a base di miscela di piante officinali
aventi proprietà carminative, digestive ed antispastiche. In questo modo si tenterà di
regolarizzare la motilità intestinale e quindi di provocare evacuazioni “a tempo”. Nei pazienti
con stipsi l’atteggiamento è evidentemente diverso: si favorirà una dieta equilibrata con scorie
vegetali, l’assunzione giornaliera di almeno 2 litri di acqua, evitando gli alimenti che
fermentando provocano eccessiva produzione di gas e flatulenze. La prescrizione di sostanze
emollienti le feci e di oli non digeribili (per esempio l’olio di vaselina), diventa necessaria per
favorire il transito fecale. Una attenta valutazione di tutte queste variabili possono portare al
paziente un effettivo giovamento che nell’impossibilità di poter raggiungere una continenza
“passiva”, quale quella indotta dall’irrigazione, possono comunque avere una continenza
“controllata”, determinata da periodi di quotidiana autonomia che permetteranno un normale
svolgimento della vita lavorativa e sociale.
La Riabilitazione del paziente ileostomizzato.
Nel continuare la trattazione della “Riabilitazione”, abbiamo voluto affrontare il tema della
Riabilitazione del paziente con ileostomia, avvalendoci del contributo del Dott. Stefano
Ciarletti, Responsabile del centro stomizzati dell’Ospedale “San Camillo” di Roma. Il Dott.
Stefano Ciarletti, da molti anni presta la sua opera per l’assistenza ai pazienti con stomie
digestive e, quale valente gastrenterologo, ha rivolto particolare attenzione alla cura delle
malattie infiammatorie croniche dell’intestino e soprattutto del paziente con ileostomia.
La scelta di trattare l’argomento sotto forma di intervista è stata determinata dal fatto che
sono numerose le domande che i lettori mi rivolgono a proposito, quindi le ho raccolte, riassunte
e rivolte infine al Dott. Ciarletti, al quale oltre alla mia personale stima, vanno i ringraziamenti
della Direzione e della Redazione di Contatto.
1. Quali sono i principi della riabilitazione del paziente con ileostomia?
I principi sono essenzialmente il follow-up della malattia di base, la cura della stomia e il
coinvolgimento psico-affettivo del paziente.
2. Quali sono gli scopi?
Sicuramente prevenire le recidive, le complicanze della malattia di base e della stomia: rendere
il paziente consapevole che la nuova condizione è compatibile con una vita perfettamente
normale.
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3. Può descrivere ai nostri lettori quali sono le modificazioni dovute alla mancanza di tutto il
grosso intestino?
Innanzi tutto una maggiore difficoltà del controllo delle deiezioni rispetto ad un paziente
colostomizzato; rischio di disidratazione soprattutto nelle stagioni più calde; maggiore
frequenza di complicazioni metaboliche tra cui la calcolosi renale e colecistica.
4. Come si può evitare la formazione dei calcoli renali?
Tra gli accorgimenti più importanti da seguire devo sicuramente suggerire: bere molto; fare
uso di alcalinizzanti urinari (citrosodina); evitare cibi a base di “frattaglie”.
5. E quella dei calcoli della colecisti?
Ridurre per quanto possibile l’apporto di lipidi, soprattutto quelli di origine animale.
6. Esiste un accorgimento per evitare la continua fuoriuscita di feci liquide?
Fare uso, soprattutto prima del riposo notturno, di farmaci che possono frenare l’evacuazione,
quale la loperamide, e quindi consentire la formazione di feci più solide.
7. Il cattivo odore delle feci rappresenta un problema assillante per i pazienti con ileostomia;
può descriverci come si può attenuare o evitare?
Il cattivo odore non è una prerogativa delle feci in caso di ileostomia, bensì in caso di
colostomia. Dall’ileostomizzato fuoriescono feci che non hanno avuto un lungo contatto con la
flora intestinale. Con il tempo, la comparsa di cattivo odore, sta ad indicare che l’ileo è stato
progressivamente colonizzato da parte di una nuova flora intestinale.
8. I pazienti con ileostomia sono, nella maggioranza dei casi, giovani: quali sono i suoi
suggerimenti per mantenere nel tempo una stomia ben funzionante e come si possono prevenire
le patologie stomali come la dermatite?
E’ fondamentale che l’ileostomia sia ben confezionata: se è sufficientemente ampia e
soprattutto protrudente rispetto al piano cutaneo, le dermatiti saranno rare e il corretto uso
delle protesi consigliate dallo stomaterapista, saranno sufficienti a prevenire questa
complicanza.
9. La riabilitazione dei pazienti con stomie digestive è conosciuta a tutti noi, ed io all’esperto
voglio rivolgere una domanda sperando in una risposta sincera. Qual è la misura per valutare se
la riabilitazione è stata efficace? Ed ancora, quale può essere il livello della qualità di vita dei
pazienti?
La misura per valutare l’efficacia della riabilitazione sta proprio nella qualità di vita. Ad
esempio tra i nostri pazienti, alcuni a distanza di 5, 10 o più anni dal confezionamento
dell’ileostomia, vivono una condizione del tutto normale, sia dal punto di vista lavorativo che
familiare (hanno figli, viaggiano, praticano attività sportive).
10. Vorrei da lei un messaggio per i nostri lettori, non solo di speranza, ma di realistica
aspettativa.
Innanzi tutto fare riferimento sempre ad uno dei centri per pazienti stomizzati distribuiti in
tutto il territorio nazionale, perché è lì che è possibile insieme all’équipe sanitaria, raggiungere
sempre migliori risultati per ciò che riguarda la gestione della propria “salute”. Inoltre la
ricerca scientifica e tecnologica ci consente di ben sperare, per quanto riguarda il futuro, in
soluzioni di tecnica chirurgica e riabilitativa, tali da permettere con il tempo un migliore
controllo di questo particolare tipo di incontinenza.
Bella stagione, buoni consigli. Arriva l’estate!
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In questo periodo il dubbio che attanaglia molti pazienti portatori di stomia è: posso andare al
mare?
Il dubbio è legato non solo a motivi estetici ma, soprattutto, alla paura che “possa succedere
qualcosa” alla stomia. Infatti, molti pazienti, temono che l'esposizione al sole possa far male,
che l'acqua del mare, inquinata o no, possa essere pericolosa alla stomia, che la sabbia possa
essere portatrice di chissà quali malattie a causa dello stoma. Paure, dubbi, angosce
giustificate solo dal fatto che la stomia è vissuta come un grave handicap o come una malattia.
Vorrei brevemente ritornare sulla questione stoma-handicap. Se per handicap noi intendiamo la
mancanza di una funzione fisiologica (udito, vista, deambulazione, ecc.), anche l'essere
stomizzato significa portatore di handicap in quanto il paziente ha perso il controllo volontario
fisiologico della minzione o della defecazione (anche se queste funzioni sono conservate
attraverso vie “artificiali”).
A mio parere questa considerazione è giusta solo ai fini medico legali, assicurativi ed
assistenziali, cioè al fine del riconoscimento di una invalidità permanente, grave, alla quale lo
Stato ed il Servizio Sanitario Nazionale devono attendere. Se invece con handicap intendiamo
la incapacità dell'individuo a svolgere le normali mansioni quotidiane quali mangiare, lavorare,
cucinare, passeggiare, fare l'amore, giocare in poche parole “vivere”, lo stomizzato non è un
portatore di handicap! E per questo motivo può anche andare al mare, solo se lo desidera. Se
questa è una giustificazione morale, che spero tutti Voi accettiate, esistono indubbiamente
problemi pratici da risolvere ai quali cercheremo di dare una risposta. La prima cosa che
bisogna chiarire è che non esistono precauzioni particolari per l'esposizione al sole se non
quelle generali: proteggersi con creme solari, non restare esposti al sole per molte ore e
soprattutto nelle ore più calde, bere molta acqua durante la giornata, ecc.. Per quanto riguarda
la stomia ed i sacchetti da indossare al mare bisogna diversificare i tipi di stoma. Il paziente
con colostomia sinistra, che esegue l'irrigazione, può portare i minisacchetti di raccolta (in
commercio ne esistono una varietà enorme). Questi, come quasi la totalità di quelli prodotti,
sono resistenti al caldo ed all'acqua e quindi permettono di praticare tutte le attività da
spiaggia. Vorrei ricordare che i pazienti ben “riabilitati”, con la dieta e l'irrigazione, riescono a
non portare nessuna copertura sulla stomia o anche solo una garza. Se lo stoma è situato nella
giusta posizione sulla parete addominale (nella regione tra l'ombelico, la spina iliaca superiore
ed il pube), non esistono problemi, per i maschietti di portare i costumi da bagno tipo boxer,
mentre le signore possono sempre ricorrere al costume intero (sempre elegante!). Gli stessi
suggerimenti valgono per i pazienti con ileostomia, però per questi ultimi esiste il problema che
la fuoriuscita delle feci non può essere “programmata” come nelle colostomie. Infatti, la
fuoriuscita delle feci avviene ad intervalli brevi, le feci sono liquide e spesso abbondanti.
Questi inconvenienti possono essere superati usando dei sacchetti a pezzo unico, chiusi, di
media grandezza, in modo da contenere le eventuali eiezioni, non essere molto ingombranti e
possono essere cambiati facilmente. Quanto detto è sempre possibile attuarlo, ma questo non
sempre succede. E' necessaria una minima organizzazione e tanta volontà; certo gli ostacoli,
materiali e mentali, sono tantissimi e possono essere superati solo con un grande coraggio e una
forte dose di caparbietà e con il non sentirsi “diversi” o peggio, handicappati.
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CAPITOLO 3:
LA DIETA
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Importanza dell'alimentazione nei pazienti con stomi digestivi.
Il contenuto di molte lettere che arrivano in redazione e le domande che spesso mi sono rivolte
direttamente dai pazienti, hanno come argomento preferito la dieta, non intesa come cura
dimagrante bensì come comportamento a tavola. Infatti, anche se molti di noi hanno la
necessità di controllare il loro apporto di calorie durante la giornata, il paziente con una stomia
digestiva oltre a questo problema (se naturalmente ha qualche chilo di troppo), presenta quello
legato alla regolazione del flusso di materiale fecale dalla stomia. L'eccessivo consumo di grassi
animali, di zuccheri e d’alcool provoca danni, a volte irreversibili, a molti organi ed apparati del
nostro corpo, basti pensare all'arteriosclerosi ed al diabete. Quindi la scelta di una corretta
alimentazione rappresenta uno dei principi fondamentali per la nostra salute. Il consumo
incongruo di grassi, d’alcool e di zuccheri provoca danni ben noti a vari organi ed apparati
spesso irreversibili ed invalidanti. Ma accanto a questi problemi n’esiste un altro, spesso non
conosciuto o non trattato con adeguata attenzione e competenza. Si tratta della regolazione
della qualità delle evacuazioni nei soggetti portatori di stomie digestive. In questo numeroso
gruppo di persone il problema fondamentale, dopo la risoluzione della patologia che ha portato
alla confezione dello stoma, è l’incontinenza a feci e gas.
La continua presenza di feci e di gas maleodoranti in un sacchetto di raccolta, è oggi un
problema risolvibile o che si può controllare con una corretta alimentazione, allo scopo di
regolare la motilità intestinale e quindi di controllare il numero e la qualità delle evacuazioni
giornaliere.
A tale proposito è indispensabile ricordare come alcuni alimenti esercitano un’azione irritativa,
per stomaco e intestino, che può essere meccanica, chimica, fisiologica e termica.
L’azione irritante chimica, soprattutto a livello gastrico, è esplicata dagli estratti di carne,
dalle bevande contenenti caffeina (caffè, tè, cola), dagli alcolici. Inoltre alcuni ortaggi (aglio,
cipolla, ravanello, porro, cavolfiore, broccolo e cavolo) contengono dei composti molto irritanti,
presenti anche nei loro brodi. Gli alimenti che favoriscono la produzione di gas, come i fritti, il
latte ed i suoi derivati fermentati, i legumi, provocano un'azione irritante fisiologica con
un’accentuazione della motilità intestinale.
L’azione irritante di tipo termico può essere svolta dagli alimenti qualora questi siano ingeriti o
troppo caldi o troppo freddi, in quanto alterano la normale condizione della mucosa gastrica. Un
adeguato apporto calorico inoltre previene l’aumento ponderale (a volte eccessivo), frequente
dopo l’intervento, causa a sua volta dell’insorgenza di patologie stomali (ernia, prolasso).
In base a queste considerazioni generali, nella nostra esperienza consigliamo ai soggetti con
stomie digestive, di evitare il consumo di latte e dei suoi derivati, favorendo una moderata
assunzione dei formaggi stagionati quali il parmigiano e la caciotta; inoltre invitiamo al consumo
moderato od all'assoluto divieto delle verdure (ad eccezione delle patate e delle carote), della
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frutta fresca e secca (ad eccezione di banane, pere e mele), dei grassi animali, dei fritti e dei
soffritti, dei legumi, degli aromi e delle spezie, dell'alcool, delle bevande gasate.
E’ bene che lo stomizzato controlli l’apporto calorico, distribuendo bene i pasti durante la
giornata, evitando le abbondanti libagioni, l’eccessivo consumo di zucchero e dolci, in modo da
evitare l’aumento del peso corporeo.
Queste regole piuttosto rigide d’igiene alimentare possono essere adattate e modificate,
associandole alla personalizzazione dello schema dietetico. Infatti, ogni individuo ha esigenze
diverse legate all’attività lavorativa, a problemi strettamente d’organizzazione domestica,
all’età’, alla presenza di altre malattie associate tipo il diabete, l’ipertensione arteriosa,
l’ipercolesterolemia, l’anemia, oltre che alla preferenza di alcuni alimenti rispetto ad altri.
Nel formulare uno schema dietetico bisogna prendere in considerazione il rapporto
peso/altezza, determinando il peso forma, per la valutazione di un adeguato apporto calorico
nella dieta. Infine, diversifichiamo la dieta in base al tipo di stomia (ileo o colostomia) in
quanto diverso è l’apporto vitaminico, idrico proteico, salinico e minerale. In tal modo si
raggiunge un adeguato controllo della motilità intestinale con la riduzione del numero delle
evacuazioni durante la giornata, l’abolizione della fuoriuscita di gas maleodoranti, un maggior
periodo di continenza (fino alle 72 ore) nei colostomizzati riabilitati con la metodica irrigativa,
il mantenimento del peso forma.
Questi traguardi giustificano il sacrificio di un diverso comportamento “a tavola” in quanto
permettono una migliore gestione della stomia, una maggiore autonomia e sicurezza, un metodo
preventivo per l’insorgenza di patologie stomali.
L'alimentazione del colostomizzato
L'alimentazione del paziente portatore di colostomia sinistra suscita, ancora oggi, numerose
discussioni negli ambienti specialistici, con opinioni totalmente divergenti.
A tale proposito, sono molti gli operatori del settore che non ritengono opportuno dare
limitazioni ai propri assistiti con colostomia, sulla qualità degli alimenti. Di contro, esiste una
linea di pensiero, alla quale appartengo, che dà indicazioni precise ai pazienti sul
comportamento a tavola.
Bisogna affermare che non esistono alimenti proibiti al paziente portatore di colostomia, in
quanto tutti sono digeriti ed assimilati in maniera fisiologica, esclusi naturalmente quelli che già
prima dell'intervento determinavano individualmente problemi di intolleranza.
Questo non deve significare, secondo noi, che un’alimentazione libera sia indicata a tutti i
pazienti, al contrario.
Dalla nostra pratica clinica abbiamo osservato che i pazienti, nel post-operatorio, tendono ad
aumentare di peso, fino a forme di vera obesità (10-15 kg in più del peso forma).
Questo succede in quanto la nuova condizione, di colostomizzato, porta il paziente a limitare la
propria attività fisica, senza modificare le abitudini alimentari.
In questo particolare periodo, è necessario instaurare una dieta adeguata al consumo calorico
del paziente per evitare che l'aumento ponderale modifichi le condizioni dello stoma, e
provocare l'insorgenza di vere patologie stomali (laparocele, prolasso, ecc.).
Una delle principali esigenze del paziente, superata la fase di adattamento alla stomia, è la
riduzione delle scariche di gas e feci maleodoranti: tutto questo può essere ottenuto
osservando una dieta povera di fibre, di scorie e di alimenti fermentanti.
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Il paziente potrà consumare pane, pasta, carne, pesce, uova, prosciutto crudo, patate, carote e
con moderazione frutta fresca (pere, mele, banane), parmigiano e poche verdure.
Tutto ciò ha lo scopo di regolare l'alvo (ottenere un’evacuazione al giorno), di diminuire la
fuoriuscita di gas e quindi di diminuire il ricambio dei sacchetti.
Viva l’acqua e i carboidrati. Alimentazione e ileostomia.
Continuando a parlare del comportamento “a tavola” bisogna dire che esiste una differenza
sostanziale in base al tipo di stomia. La prima, fondamentale, differenza è tra i portatori di
ileostomia e quelli di colostomia. Infatti, salvo eccezioni, la confezione di un’ileostomia è
indicata dopo l’asportazione totale di ano, retto, e colon per patologie infiammatorie, quali la
rettocolite ulcerosa ed il morbo di Crohn, o per patologie eredo-familiari, quali la poliposi
familiare. Tutte queste malattie presentano la loro massima incidenza nell’età giovanile e le
persone che subiscono l’intervento chirurgico sono giovani adulti.
La storia clinica, comune alla maggio parte dei pazienti destinati ad interventi demolitivi ed alla
confezione dell’ileostomia, è costellata di anni di sofferenza e di indispensabili trattamenti
farmacologici massivi, in un periodo che dovrebbe essere caratterizzato dalla spensieratezza e
dal pieno vigore fisico e psicologico. La gravità dei sintomi, i prolungati trattamenti medici,
l’evoluzione stessa della malattia conducono ad un importante debilitazione fisica, ed è in
queste condizioni che spesso i pazienti devono affrontare gli interventi chirurgici, anche questi
necessari per la risoluzione della malattia. Durante la degenza in Ospedale, con l’aiuto della
Nutrizione Parenterale e con il trattamento farmacologico idoneo, i pazienti superano questa
fase critica, ma è frequente osservare alla dimissione soggetti al di sotto del peso ideale e
soprattutto deboli ed astenici. E’ opportuno in questa fase, sotto il controllo specialistico,
eseguire una dieta appropriata al fine di aumentare il potere plastico dei tessuti e le difese
immunitarie. Sono quindi suggerite diete iperproteiche, ipercaloriche e ricche di vitamine,
cercando di distribuire i pasti durante la giornata.
Bisogna comunque ricordare che nel post-operatorio coesistono altri “problemi” legali alla
presenza della ileostomia. Uno dei primi, è legato alle caratteristiche fisiopatologiche
dell’ileostomia; nei primi mesi dopo l’intervento il materiale che fuoriesce dalla stomia è ricco di
acqua e sali minerali (di solito assorbiti dal colon), ed inoltre è probabile la persistenza di uno
stato ipovitaminico (peggiorato alla mancanza della flora batterica colica). A questi problemi
“tecnici”, si aggiungono quelli strettamente psicologici legati alla “presenza” della stomia, al
ricambio frequente dei sacchetti, alla presenza delle feci all’interno di essi, ecc..
Per quanto detto l’ideale sarebbe una dieta che riducesse il fisiologico transito intestinale,
ricca di liquidi, proteine e vitamine e che producesse feci poco maleodoranti e più compatte.
Quindi i primi suggerimenti dietetici devono consigliare di bere almeno due o tre litri di liquidi
al giorno e, se necessario, aggiungere sali minerali, di evitare comunque l’assunzione di alimenti
irritanti e per tale motivo stimolanti l’evacuazione quali i brodi, le spezie, gli alimenti integrali
ricchi di crusca, gli insaccati, la frutta secca, le bevande gassate e/o contenenti caffeina, gli
ortaggi, i legumi, il latte ed i suoi derivati fermentati, il cacao ed i suoi derivati, gli alcolici ed i
super alcolici. Bisogna favorire invece il consumo di pasta, pane, formaggi stagionati (con
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moderazione), la frutta di stagione e la verdura sempre cotta (per favorirne la digeribilità) e,
se proprio gradito, bere un buon bicchiere di vino rosso a pranzo e cena.
Una volta raggiunto, gradualmente, il peso forma bisogna evitare ulteriori aumenti ponderali
(oltre i 3 - 5 kg dal peso forma), per evitare inutili ed indesiderate malattie legate all’obesità
oltre che all’insorgenza delle patologie stomali. Inoltre, con il passare del tempo, l’organismo si
adatta all’ileostomia; si ha un maggiore assorbimento di acqua e sali minerali a livello del piccolo
intestino, le feci diventano meno liquide e più compatte, inizia la prima produzione dei gas
intestinali. In questa fase, stabile e duratura, bisogna ulteriormente ridurre il consumo degli
alimenti che favoriscono la fermentazione (latte, latticini, fermentanti, legumi, alcuni tipi di
frutta come l’uva, il kiwi, gli agrumi ecc., la verdura cruda, cavoli, cavolfiori e simili ecc.),
favorendo gli alimenti a più facile assorbimento e poveri di fermentazione e scorie.
Una considerazione finale deve essere quella che tutte le diete devono essere adattate
all’individuo; le persone portatrici di ileostomia sono nella maggior parte dei casi giovani nel
pieno della loro attività. Il lavoro, lo studio, lo sport ed anche la vita sociale devono essere le
variabili da prendere in considerazione nella formulazione di una dieta, con un giusto apporto
calorico, ed anche con una varietà negli alimenti che permetta una migliore qualità di vita.
Irrigazione e dieta: come comportarsi?
Con questo interrogativo termina il capitolo dedicato alla dieta. Spero di avervi dato consigli
utili e che i miei suggerimenti non abbiano troppo sconvolto le vostre abitudini "culinarie",
scatenando sentimenti d'ira nei miei confronti. L'ultimo argomento che tratteremo potrebbe
non trovare consenzienti diversi pazienti ed operatori del settore e spero che questo possa
servire per un dialogo aperto e sincero.
L'irrigazione è una delle metodiche di continenza che possono essere attuate nei pazienti
portatori di colostomia terminale; la metodica consiste nella esecuzione di clisteri, mediante
opportune apparecchiature costruite per facilitarne l'uso nei pazienti stomizzati, che sono
eseguiti a scadenza. Lo scopo della metodica è di tenere "sgombro" di feci e di gas il colon
residuo per un periodo più lungo possibile; in tal modo durante questo intervallo il paziente non
avrà fuoriuscita di materiale colico dalla stomia e potrà adottare piccole protesi di copertura o
semplicemente una garza appoggiata sullo stoma. Il periodo di "continenza" che si raggiunge con
l'irrigazione può variare dalle 12 alle 72 ore e mediamente è di 24 ore. Questo significa che il
paziente esegue l'irrigazione variabilmente ogni giorno oppure ogni 2 o 3. E' facile
comprendere che tanto più è lungo il periodo di continenza più si è autonomi, liberi e sicuri. In
questa ottica si inserisce il ricorso ad un comportamento a tavola idoneo e consapevole. Non mi
stancherò mai di ripetere che l'atteggiamento alimentare si ripercuote direttamente sul
numero e sulle caratteristiche delle evacuazioni e che quindi l'assunzione di determinati
alimenti favorisce o meno la presenza di feci e di gas (anche maleodoranti) nell'intestino. Il
ricorso ad una dieta ricca di fibre, di aromi e di spezie provocherà la produzione di abbondante
materiale fecale, di gas ed inoltre aumenta la motilità colica e, di conseguenza, il numero delle
evacuazioni. Adottando una dieta povera di scorie questi inconvenienti possono essere superati.
Quando un paziente esegue l'irrigazione è vero che il suo colon si svuota delle feci e del gas per
un periodo di tempo che varia in rapporto alla motilità colica preesistente, ma è anche vero che
molti pazienti che sono "costretti" ad eseguire l'irrigazione ogni 24 ore possono portare il loro
periodo di continenza a 48 o, meglio, a 72 ore. Su questo obiettivo si basa la proposta di un
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consumo parsimonioso di verdure, legumi, frutta (in particolare agrumi), spezie ed aromi, latte
e latticini, formaggi fermentanti, insaccati, ponendo alla base dell'alimentazione la pasta, il
pane, il riso, le uova, la carne, il pesce; tra le verdure e gli ortaggi sono da preferire le patate e
le carote e tra la frutta banane, pere e mele. Quindi ribadisco i consigli dati in generale per
tutti i pazienti portatori di stomia con qualche "licenza a piccole voluttà" legata alla possibilità
di eseguire l'irrigazione in caso di "incidenti di percorso".
SPECIALE DIETA (posta)
Caro Direttore,
ho alcuni problemi da sottoporre alla sua esperienza, sperando di ricevere suggerimenti che mi
aiutino a risolverli.
Nell'aprile
1990
sono
stato
sottoposto
a
pan-cisto-prostrato-vesciculectomia,
appendicectomia, ed ureteroileocutaneostomia. Avevo 70 anni. Nel dicembre 1992 intervento di
uretrectomia.
Nel maggio 1991 sono stato ricoverato in urgenza per subocclusione intestinale, risoltasi
fortunatamente senza intervento. Alla dimissione i sanitari mi hanno raccomandato di escludere
dall'alimentazione tutte le verdure e gli alimenti con fibre. Siccome ho sofferto sempre di
stitichezza e temendo l'uso continuato di lassativi sono ricorso all'uso di tisane allo scopo di
tenere sgombro l'intestino. Le tisane funzionano abbastanza bene ma spesso ho dolori nella
parte bassa a sinistra della pancia (colon?). Le domando quale dovrebbe essere l'alimentazione
utile a far funzionare discretamente l'intestino? Sono fumatore (10-12 sigarette la giorno),
bevo 3 caffè al giorno, niente alcool e latte.
Un altro problema il prurito sotto la placca (uso sistema a due pezzi) e sulla pelle scoperta
vicino alla stessa. Sostituisco la placca ogni 3 giorni, ho provato a lavarmi con tutti i tipi di
sapone: neutro, alla glicerina, liquido, da bucato. Dipende dal sapone? Inoltre il foro della
placca, che applico il più alto possibile, dopo nemmeno 24 ore tende a scendere e ad appoggiarsi
praticamente sullo stoma. Non mi dà fastidio ma è corretto il comportamento della placca?
Spero di essere riuscito a spiegarmi e mi auguro che abbiate la possibilità di darmi un cortese
riscontro. Ringrazio anticipatamente e porgo i miei complimenti per la rivista che "divoro" non
appena arriva.
P. C. - Bergamo
Caro Signor P.,
i quesiti che lei pone sono chiari, però riguardo l'alimentazione non posso darle dei chiari
suggerimenti in quanto lei mi ha riferito la causa del ricovero ed i consigli dei Colleghi ma non la
diagnosi che è stata fatta, per cui presumo che le indicazioni dietologiche date dai Sanitari che
lo hanno seguito siano correlate al tipo di patologia che ha condotto al ricovero. Le tisane che
lei assume sono comunque lassativi, anche se definiti "naturali", quindi sono giustificati anche i
dolori che evocano. A tale proposito si rivolga ai Medici del Reparto dove è stato ricoverato per
maggiori chiarimenti sull'alimentazione e sulla stipsi. Resto a sua disposizione per qualsiasi
altro suggerimento e consiglio.
Il problema del prurito peristomale può essere legato a due cause principali: al contatto delle
urine sulla cute ed all'uso di detergenti non idonei. Nel suo caso penso che il foro della placca
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possa essere eccessivo e che l'urina entri in contatto con la cute irritandola; quindi ritagli il
foro in maniera da farlo combaciare a pochi millimetri dallo stoma, oppure usi della pasta
barriera. Per l'igiene della cute peristomale usi esclusivamente sapone neutro. Inoltre per una
più efficacia dell'adesività della placca asciughi bene la cute prima di fissarla. Un ultimo
consiglio è di contattare il Centro Stomizzati della sua città dove potrà trovare altre risposte
ai suoi problemi.
Spett.le Direttore,
sono un urostomizzato dal 1955 e dal giugno 1989 colostomizzato; la mia è stata una vera
odissea. Purtroppo in un’operazione chirurgica il bravo Prof. Giovanni Liaci è stato costretto ad
asportarmi il rene destro perché atrofizzato e non attivo. Per cui vivo col solo rene sinistro. Il
bravo chirurgo su menzionato opera all'Ospedale Miulli si Acquaviva delle Fonti (BA) a poco più
di 50 Km da Taranto. Anche l'operazione fatta alla fine dell'anno 1984 è stata eseguita
dall'altrettanto bravo Prof. Vincenzo Di Santo, urologo, anch'esso Sanitario presso il suddetto
Ospedale. Ho letto sul vostro giornale, tra le altre importanti notizie, l'articolo "Occhio al
Piatto" dell'esimio Dott. Attilio Nicastro e devo fare questa lieve osservazione. Non sono
d'accordo per il piatto a base di vegetali (il minestrone) che il Dott. Nicastro raccomanda il
consumo con moderazione. Ebbene devo dire che a me giova più il minestrone, anche se non è
composto di 14 verdure, che un buon piatto di spaghetti o pasta al forno. Difatti io consumo per
2 o 3 volte la settimana. Nel chiedere scuse dirette al Dott. Nicastro, invio i più cordiali saluti;
cordiali saluti alla gentile segretaria Serenella Pallotti ed a tutti i Sanitari in particolar modo ai
Sigg. Enterostomisti.
F. P. - Taranto
Non metto in dubbio che il minestrone sia un buon alimento in assoluto, ma non per tutti.
Inoltre Lei non ha specificato quali sono i giovamenti che ne trae nel consumarlo con tanta
dovizia. Io, nel particolare e nella mia esperienza, ne limito l'uso e l'abuso nei pazienti con
stomie digestive per evitare la continua e fastidiosa fuoriuscita di feci e gas, quindi per un
maggior controllo delle evacuazioni. Certo le verdure ed i legumi hanno differenti effetti sulle
differenti persone, ma in ogni caso sono alimenti che provocano un aumento della motilità
intestinale ed una fermentazione con produzione di gas. Quindi i pazienti con stomie digestive
che presentano "difficoltà" legate alla presenza continua di materiale fecale nel sacchetto di
raccolta sanno che tale evenienza può essere limitata con una dieta povera di scorie di alimenti
fermentanti e brodi; i pazienti che invece non hanno nessuna "difficoltà" legata ai "rumori ed
agli odori" possono benissimo consumare tutti gli alimenti soprattutto quelli che "giovano".
Come dire "chi la fa se l'aspetti".
Leggo con molto interesse "ConTatto" perché mi porta informazioni molto utili. Sei anni fa sono
stata operata per una diverticolite del sigma perforata e sono portatrice di una colostomia
sinistra. Sono stata operata a Bologna ed alla dimissione dalla clinica non ho avuto alcuna
assistenza e mi trovai sola e senza consigli ad affrontare psicologicamente e clinicamente i miei
problemi. Dopo 10 mesi sono stata ricoverata presso il Policlinico Universitario di Bari per
essere operata per stenosi della stomia ed anche in quest'occasione, alla dimissione, nessuno mi
ha informato sull'esistenza di una riabilitazione per imparare a convivere con una stomia.
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Eppure a Bari esiste un Centro Stomizzati, cosa che ho scoperto per caso leggendo l'opuscolo
"Un giorno ho riscoperto la vita". Ma Bari è lontana. Nel 1989 fui visitata d'urgenza a Bari
perché avevo emorragie dallo stomaco e dal retto, mi fu diagnosticata una rettocolite ulcerosa.
Dopo un anno sempre tramite lo stesso opuscolo scopro che anche a Lecce esiste un Centro di
Riabilitazione dove mi sono rivolta per iniziare la fase riabilitativa. Gli specialisti mi dissero che
era passato molto tempo dall'intervento e la riabilitazione sarebbe stata difficile, infatti,
quando smetto la metodica irrigativa, riprende la fuoriuscita delle feci 3-5 volte al giorno con
relativo cambio di sacchetti che non mi bastano mai, specialmente ora dopo la riduzione così
drastica delle forniture. I Centri Stomizzati di Bari e Lecce si trovano presso la Divisione di
Chirurgia dei rispettivi Ospedali per cui data la carenza di infermieri e medici, non c'è molto
tempo da dedicare agli stomizzati per cui vengono a mancare le informazioni, i consigli,
l'assistenza ed i controlli sono rari anche per il disagio di raggiungere tali Centri soprattutto
alla mia età. Gradirei dei consigli per questi miei problemi. Cosa fare per disciplinare la
secrezione biancastra rettale? Perché si forma tale secrezione? Contribuisce forse la
stanchezza o l'emotività? Ho assolutamente bisogno di una panciera ma lo stoma è compresso,
le feci non scendono facilmente nel sacchetto e rimangono nella zona stomale che si arrossa, mi
brucia fino al infiammarsi, anche perché le feci penetrano sotto la placca. Col buco alla panciera
il sacchetto si stacca. Come fare? vorrei dei consigli su una buona riabilitazione ai fini della
continenza perché sono stanca di cambiare sacchetto 3-5 volte al giorno.
Forse dovrei fare l'irrigazione ogni 2 giorni per sempre? Qual è il mio apporto calorico e la
dieta personalizzata? Ho 69 anni, peso 44 Kg. sono alta 154 cm, non mangio verdure, cioccolato,
non prendo caffè, niente alcool, poco latte, pochi latticini, niente frutta (solo mele e qualche
banana). A Brindisi non c'è possibilità di un Centro Stomizzati? Ringrazio sentitamente.
A.D'E. - Brindisi
Cara Signora,
passo direttamente alla risposta ai Suoi quesiti, non volendo commentare la prima parte della
Sua lettera che comunque accetto come testimonianza di vita. I commenti a quanto Le è
successo li lascio ai lettori. Per quanto riguarda le secrezioni rettali la terapia che Le è stata
consigliata è sicuramente appropriata e la loro entità non dipende dall'attività fisica bensì dalla
malattia. La metodica irrigativa è uno dei tanti sistemi di continenza che possiamo attuare nei
pazienti colostomizzati e deve essere eseguita per sempre. Con una buona alimentazione, che
Lei già segue, possiamo prolungare il periodo di continenza a 72 ore, ma probabilmente alla base
del Suo disagio c'è una cattiva informazione e convivenza sulla stomia. Se esegue l'irrigazione
come da indicazioni, Lei non ha bisogno di panciere con il buco (spesso dannose) ed eviterebbe i
disagi provocati dalle feci portando l’usuale, ma indicata, panciera post-operatoria.
Mi è difficile darLe consigli su una dieta personalizzata, in quanto per far questo occorrono
altri parametri, molti dei quali si rilevano dall'esame clinico del paziente. Brindisi è una città
bellissima e penso che sicuramente ci sarà qualche collega che in seguito a questa Sua richiesta
si prenderà l'onere di creare un Centro di Assistenza per i pazienti portatori di stomia, con la
speranza che ciò non rappresenti una falsa aspettativa per persone bisognose di assistenza.
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CAPITOLO 4: PATOLOGIE STOMALI
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Il primo passo: una ottima stomia.
Gli interventi demolitivi sul grosso intestino e sull’apparato urinario, conducono alla confezione,
al termine dell’intervento, di una derivazione intestinale o urinaria che viene definita colo, ileo
o urostomia. Ricordiamo, senza alcuna tenerezza o giustificazione, l’impostazione che il
chirurgo aveva nei confronti di questo ultimo atto chirurgico, il quale veniva tenuto così in
scarsa considerazione da essere eseguito, spesso, con trascuratezza. Inoltre, spessissimo, il
paziente non veniva adeguatamente informato, con chiarezza e nei particolari, sulla gravità
della malattia e sulla qualità ed entità dell’intervento. Il paziente veniva dimesso dall’Ospedale
con scarsi suggerimenti utili alla gestione post-operatoria dello stoma, con nessun suggerimento
riguardo la dieta e spesso con la speranza di una prossima ricostituzione della continuità con un
nuovo intervento chirurgico.
Ci accade ancora di visitare pazienti operati da noti chirurghi del passato recente, portatori di
stomie in pessimo stato o che avevano ricevuto consigli ed assistenza dopo l’intervento di
bassissimo livello.
Lo stomizzato ha iniziato ad avere rilevanza sociale in Italia da circa 25 anni, e si sono andati
modificando quindi l’approccio con il paziente, la preparazione all’intervento, la confezione dello
stoma, l’assistenza post-operatoria: e’ nata la riabilitazione. Quest’ultima entità è comunque
direttamente correlata allo stato della stomia, come dire: “buona stomia, ottima riabilitazione
ed a cattivo stoma riabilitazione difficile”.
La “qualità della vita” ha cominciato ad avere la giusta collocazione in ogni comparto della
società e non si poteva non considerare quella dipendente dalle malattie e dalle loro cure. Il
Chirurgo allora, soltanto negli ultimi anni, ha cominciato ad affrontare questo atto operatorio
con la dovuta considerazione e sono stati dettati i canoni per una giusta confezione di una
stomia.
Per evitare le frequenti patologie stomali da difetti di tecnica chirurgica, bisogna porre
particolare attenzione alla scelta della sede della stomia ed alla sua ampiezza, in quanto si
tratta delle principali caratteristiche che ne rendono praticabile una buona copertura con i
sacchetti di raccolta.
Nuova attenzione è stata posta nei confronti della continenza e, al di la delle metodiche e
tecniche passive (irrigazione e sistemi di copertura), sono state messe a punto tecniche
chirurgiche, spesso molto complesse, che rendono continente lo stoma; possiamo citare la ileo,
colo o urostomia continente con tasca di Kock, l’ileo-ano e colo-ano anastomosi, la colostomia
perineale continente con la metodica di Schmidt o con la trasposizione dei muscoli gracili, ed in
ultimo, lo sfintere anale artificiale.
Questi interventi chirurgici sono ancora, purtroppo, gravati da un elevato numero di
complicazioni o sono in fase sperimentale e vanno quindi proposti a pazienti accuratamente
selezionati e fortemente motivati.
Quanto detto brevemente ci auguriamo che abbia fatto comprendere lo sforzo che, in un breve
spazio di tempo, i chirurghi hanno compiuto per tentare di migliorare la condizione sociale di
benessere che consegue ad interventi mutilanti sull’intestino e sull’apparato urinario.
La stomia ideale. Le patologie stomali: come evitarle e come correggerle.
Il procedimento riabilitativo presso un “Centro Stomizzati” prevede un protocollo che poco
differisce da uno specialista all’altro. Dopo una chiara definizione dello stato di salute del
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paziente, si rivolge l’attenzione alla sua situazione psicologica e sociale; il paziente viene quindi
addestrato alla cura della stomia e della cute peristomale ed al corretto impiego delle protesi
di copertura. L’incontro con altri stomizzati, i colloqui con il chirurgo, con lo psicologo e con
l’infermiere specializzato, permettono al paziente di accettare il nuovo stato fisiologico e
quindi migliorare i rapporti sociali e familiari. In questa fase i pazienti con colostomia
definitiva, vengono educati alla metodica irrigativi per il raggiungimento della continenza.
Questo percorso ideale dell’iter riabilitativo e’ spesso ostacolato dalla presenza delle patologie
stomali, conseguenza di un difetto della tecnica chirurgica nel confezionamento dello stoma e
di un improprio addestramento alla cura dello stesso. Infatti le patologie stomali sono spesso il
frutto della scarsa considerazione del chirurgo verso il futuro dello stomizzato; questo si
traduce in scelte errate di tecnica chirurgica, di sede della stomia e, in ultimo, di assistenza
post-operatoria comportando un ulteriore peggioramento della qualità di vita del paziente.
L’incidenza delle patologie stomali, riportata dalle casistiche nazionali ed internazionali, e’ del
70%; questo dato giustifica l’estrema attenzione che gli operatori del Centri di riabilitazione
rivolgono verso la prevenzione ed il trattamento di tali patologie.
Brevemente e per completezza bisogna fare un cenno sulle tecniche di confezionamento della
colo e ileostomia. I requisiti di uno stoma ben confezionato rispondono ad una colostomia piana
o ad una ileostomia eversa e procedente dalla parete addominale di 2-3 cm., con un diametro
compreso tra i 2,5 e i 3 cm., che attraversa le fibre del muscolo retto dell’addome ed
e’ancorato (suturato) al peritoneo ed al piano fasciale (anche al sottocutaneo nei pazienti
obesi). La sutura tra la mucosa intestinale e la cute deve essere eseguita a punti staccati. La
sede della stomia deve essere in un triangolo posto tra l’obellico, il pube e la cresta dell’osso
iliaco (a sinistra per le colostomie, a destra per le ileostomie); inoltre deve essere distante da
pieghe cutanee e non sottostare alla cinta dei pantaloni (Figura 1).
Figura 1. Caratteristiche di una
Colostomia.
E’ necessario inoltre la conoscenza dei materiali protesici a disposizione ed addestrare il
paziente, subito nel post-operatorio, alla gestione della stomia (cambio dei sacchetti, pulizia
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della cute peristomale, ecc.), in modo da prevenire l’insorgenza di patologie stomali secondarie
ad un difetto di “stoma care”.
Le patologie stomali possono essere di interesse medico (dermatite, stormite, granulomi) o di
interesse chirurgico (malposizione, retrazione, distacco muco-cutaneo, prolasso, ischemia e
necrosi, ernia peristomale, emorragia e fistola). Tale distinzione viene fatta solo in base alla
terapia di scelta e non alla specialità sanitaria. Infatti le patologie stomali di interesse medico
vengono trattate con la terapia medica e con la scelta di materiali idonei alla protezione della
stomia, mentre le patologie di interesse chirurgico devono essere trattate con un intervento
che comunque deve essere proposto ed attuato solo ai pazienti con patologie di rilevanza tale
da compromettere una completa e stabile riabilitazione.
Nella nostra esperienza abbiamo osservato frequentemente che, proporre un nuovo intervento
per la correzione di una patologia stomale, può fare insorgere nel paziente stati ansiosi,
depressivi e di paura che portano al rifiuto dell’intervento stesso ed all’abbandono di ogni tipo
di riabilitazione. Per superare tali ostacoli, già circa 15 anni fa, abbiamo ideato un trattamento
chirurgico delle patologie stomali effettuabile in anestesia locale e con prassi ambulatoriale.
Questa tecnica chirurgica e’ proponibile per patologie stomali che non prevedono il
cambiamento di posizione dello stoma sull’addome (in questi casi e’ necessario eseguire una
anestesia generale con una degenza post-operatoria di 1 – 2 giorni).
La proposta dell’intervento in anestesia locale ed in day hospital e’ stata accettata da tutti i
pazienti a cui era possibile proporla, in quanto venivano a cadere i motivi dell’ansia e della paura.
Inoltre ha permesso loro di continuare l’iter riabilitativo con pieno successo, raggiungendo una
maggiore autonomia, sicurezza e qualità di vita.
Ernia e prolasso
L’ernia peristomale ed il prolasso della stomia sono le patologie stomali di piu’ frequente
riscontro e rappresentano le principali patologie di interesse chirurgico.
L’ernia peristomale si presenta nel 15 – 20% dei pazienti e la sua insorgenza e’ legata
essenzialmente ad una errata scelta della sede di posizionamento della stomia e, in particolare,
allorquando la breccia muscolare viene preparata eccessivamente ampia.
Il prolasso si presenta nel 10 – 15% dei pazienti e la causa principale della sua insorgenza e’
dovuta ad una inadeguata sutura della colostomia ai piani anatomici (peritoneale, fasciale,
cutaneo). Inoltre, il prolasso e’ correlato all’uso improprio di protesi inadeguate e di incongrue
,quanto irrazionali panciere “con il buco”. Vengono distinti due tipi principali di prolasso: quello
ove la mucosa intestinale protrude eccessivamente dal lume della stomia, e quello totale nel
quale anche la parete intestinale fuoriesce abbondantemente dall’orifizio cutaneo.
Frequentemente il prolasso e l’ernia sono associati.
La presenza di queste patologie e’ di ostacolo all’assistenza del paziente; difficoltosa e’
l’applicazione dei sacchetti di raccolta, difficile la pulizia della cute peristomale, impossibile
l’irrigazione. Tutto questo ostacola la riabilitazione del paziente.
La prevenzione di queste due patologie e’ legata ovviamente ad una corretta confezione della
stomia durante l’intervento principale; e’ auspicabile inoltre l’indicazione all’uso della pancera
(senza buco), ed evitare un eccessivo aumento di peso corporeo nel post-operatorio.
La risoluzione di queste patologie e’ deputata ad un intervento chirurgico la cui scelta ed entità
e’ legata alla gravità della patologia. Per le ernie di notevoli dimensioni si possono adoperare
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anche materiali sintetici per la ricostruzione della parete muscolare e fasciale. In questi casi
noi preferiamo riconfezionare la stomia in altra sede , dopo aver riparato la breccia erniaria
primitiva. Queste tecniche prevedono il ricovero e la degenza in ospedale e l’esecuzione
dell’intervento in anestesia generale. Le ernie di piccole dimensioni ed il prolasso (associati o
meno) possono essere invece trattate con una procedura ambulatoriale, da noi messa a punto ed
attuata ormai da molti anni; l’intervento infatti può essere attuato con la semplice anestesia
locale, in regime di day hospital. L’intervento deve essere accurato, rispettando tutti i tempi ed
i modi della ricostruzione della stomia, con un accurato ancoraggio ai piani (e ricostruzione di
essi in caso di ernia), per evitare la recidiva della patologia.
Dermatite e stormite
Continuando il viaggio nella costellazione delle patologie stomali è necessario soffermarci su
due patologie rilevanti: la dermatite e la stomite.
La dermatite è la patologia stomale in assoluto più frequente; infatti, essa si manifesta, in
differenti forme, in quasi tutti i pazienti con stomia. La sua insorgenza è legata
fondamentalmente a tre cause principali: l’errata scelta delle modalità e dei materiali per
l’igiene della stomia e della cute che la circonda, l’errata scelta delle protesi di raccolta, la
presenza di altre patologie stomali. Spesso, anzi nella maggior parte dei casi, al paziente non
viene insegnato, subito dopo l’intervento, come pulire la cute peristomale ed il personale
deputato all’assistenza non è addestrato a questo; quindi vengono indicate ed usate sostanze
non idonee quali disinfettanti, etere, benzina, ecc., che verranno poi impiegate dal paziente a
domicilio. Tutte queste sostanze a lungo andare provocano prima la desquamazione e poi
l’infiammazione della cute (a nessuno di noi passa per la mente di utilizzare queste sostanze per
l’igiene quotidiana del corpo!). Inoltre l’uso di un sacchetto con un foro eccessivamente grande
rispetto al diametro dello stoma, o la non perfetta adesività di esso intorno alla stomia ,
permette alle feci di giungere a contatto ed a ristagnare sulla cute peristomale, provocando
lesioni irritative che possono poi evolvere fino all’infezione. Questo e‘ quello che succede anche
in caso di altre patologie stomali quali il prolasso, l’ernia, la fistola, la suppurazione, la stenosi e
la retrazione.
La gravità della dermatite è variabile dai quadri di lieve arrossamento della cute peristomale
,fino alla comparsa di piaghe ed ulcerazioni con possibilità di superinfezione batterica e /o
micotica. In questi casi, il notevole arrossamento della cute, la trasudazione di liquido
infiammatorio, la presenza di ferite più o meno infette, non permette l’adesività dei sacchetti,
(che a volte non possono nemmeno essere utilizzati), senza contare la notevole sofferenza del
paziente che avverte, bruciore, prurito e dolore.
La dermatite può essere prevenuta e nella maggior parte dei casi evitata, con alcuni semplici
accorgimenti, quali: pulire la cute peristomale con acqua e sapone neutro utilizzando una spugna
morbida; cambiare il sacchetto solo quando è colmo; usare sacchetti con barriere protettive e
con un foro dal diametro pari a quello dello stoma; eseguire l’irrigazione ( per i pazienti con
colostomia); prevenire e/o trattare precocemente le altre patologie stomali.
Nella nostra esperienza questi accorgimenti rappresentano anche il trattamento delle
dermatiti lievi e moderate; per le forme severe, invece, prevediamo trattamenti più radicali e
specifici con l’istituzione di una terapia antibiotica ed antimicotica, generale e topica, la
sospensione dell’uso degli usuali sacchetti di raccolta, l’istituzione di una nutrizione artificiale
per via venosa.
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La stomite è l’infiammazione della mucosa stomale. La sua insorgenza può essere dovuta ad
incongrue manovre sullo stoma, a microtraumatismi, ad una alimentazione non idonea, alla
diarrea, alla recrudescenza di malattie infiammatorie intestinali (soprattutto Malattia di Crohn
e Rettocolite Ulcerativa). Anche in questo caso esistono diversi stadi di evoluzione ed i sintomi
che la distinguono sono l’edema, il facile sanguinamento, l’eccessivo arrossamento della mucosa.
La prevenzione della stomite ricalca in linee generali quella della dermatite, mentre la sua
insorgenza nei pazienti operati per patologie infiammatorie croniche intestinali necessita di un
approfondimento diagnostico, per escludere la riacutizzazione della malattia di base.
Nella nostra pratica clinica la semplice correzione dietologica, con l’eliminazione di alimenti
particolarmente irritanti per la mucosa intestinale, ha portato alla risoluzione della stomite. In
altri casi invece è stato necessario somministrare antinfiammatori, antibiotici o istituire una
nutrizione artificiale per via venosa per la risoluzione della patologia.
Stenosi e retrazione
“Le ho fatto un “buchino” piccolo piccolo, che neanche si nota!” Quanti di voi si sono sentiti dire
queste parole dopo l’intervento che ha condotto alla confezione di una stomia?
E’ proprio in questa frase che spesso si ritrova la causa di una patologia stomale di frequente
riscontro: la stenosi, ovvero l’eccessivo restringimento dell’orificio stomale.
La stenosi può determinarsi non solo a livello dell’orificio cutaneo, più superficialmente, ma
anche a livello della fascia, punto in cui l’intestino attraversa i muscoli della parete addominale.
Normalmente l’evoluzione di tale patologia stomale è graduale ed i sintomi ad essa correlati
sono a carico della evacuazione; questi possono variare dalla difficoltà nella fuoriuscita delle
feci dallo stoma (ed in tal caso le feci di normale consistenza assumono la forma “a fettuccia”
o “a palline”), alla comparsa di crisi sub-occlusive (con dolori addominali e scariche di diarrea
seguiti da periodi di stipsi), alla occlusione intestinale (dolori addominali, distensione
addominale, vomito, assenza di feci nel sacchetto).
La stenosi, inoltre, rappresenta, nel colostomizzato, un ostacolo all’attuazione dell’irrigazione,
pratica importante per il recupero della continenza e fondamentale nella riabilitazione.
La prevenzione primaria di tale patologia si esegue al momento dell’atto operatorio quando il
chirurgo esegue “lege artis” la confezione della stomia, che deve avere un diametro di almeno
2,5 cm., mentre la prevenzione secondaria è legata ad una attenta e giusta assistenza dopo
l’intervento. Infatti la sola ed attenta esplorazione digitale dello stoma mette in evidenza
l’insorgenza della stenosi e, dal primo sospetto, il paziente può essere sottoposto a semplici
dilatazioni meccaniche, utilizzando diversi presidi. Quando un paziente presenta una stenosi
stomale, con i sintomi prima descritti, e le dilatazioni meccaniche non risolvono il quadro
sintomatico o risultano particolarmente difficoltose e dolorose, è necessario affidare all’arte
del chirurgo la risoluzione del quadro.
L’intervento chirurgico, nella maggior parte dei casi, può essere effettuato in anestesia locale
ed in day hospital; l’intervento non presenta particolari difficoltà tecniche in mani esperte e,
nella nostra esperienza, non abbiamo mai osservato complicanze post-operatorie.
Osservazioni simili possono essere fatte per la retrazione, caratterizzata dall’eccessiva
introflessione della mucosa stomale nella parete addominale. Le cause che conducono alla
retrazione dello stoma dipendono da una errata condotta operatoria durante il
confezionamento dello stoma (moncone intestinale corto, distacco, ischemia del moncone), o a
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seguito di una suppurazione peristomale. La naturale evoluzione della retrazione è verso la
stenosi e la sua presenza non permette una adeguata cura dello stoma e della cute circostante,
che spesso va incontro a fenomeni di dermatite.
La retrazione è una patologia stomale di esclusiva pertinenza chirurgica e l’intervento
correttivo viene eseguito in anestesia locale senza ospedalizzazione; il successo terapeutico è
legato ad una condotta operatoria che prevede una buona liberazione dell’ansa intestinale e la
sua accurata sutura ad un orificio cutaneo con un diametro idoneo.
Suppurazione e fistole
Una patologia stomale di frequente riscontro è la suppurazione peristomale; questa non è altro
che un ascesso localizzato tra l’ansa intestinale e i tessuti che la circondano nel suo decorso
attraverso la parete addominale. Si manifesta come una zona tumefatta, con la cute
sovrastante arrossata, dolente spontaneamente e quando viene toccata. L’insorgenza della
suppurazione è spesso determinata dalla presenza di altre patologie stomali, alcune già
descritte quali la retrazione e la stenosi, il distacco muco-cutaneo, l’ischemia e la necrosi
dell’ansa stomale, oppure da una cattiva gestione e manipolazione dello stoma. Anche per questa
patologia stomale, la prevenzione si attua in sala operatoria, al momento della confezione della
stomia, ma anche con una precoce e corretta informazione del paziente riguardo l’uso di protesi
idonee e l’igiene della cute peristomale. A tale proposito è necessario che i pazienti vengano
addestrati già nel reparto di degenza alla giusta manipolazione dello stoma e vengano apposte
idonee protesi di copertura, preferibilmente a due pezzi, fino all’avvio dei procedimenti di
riabilitazione. In questo periodo la presenza dei punti di sutura sulla stomia e la non avvenuta
cicatrizzazione, permette che del materiale fecale giunga nello spazio sottocutaneo
peristomale, infettandolo, dando luogo alla produzione di un ascesso. Tardivamente, questo può
accadere in presenza di piccole ferite nella giunzione tra lo stoma e la cute.
Il trattamento di tale evenienza deve essere immediato e consiste nel drenaggio dell’ascesso e
nell’instaurazione di una adeguata terapia antibiotica. A volte la suppurazione può trovare un
drenaggio spontaneo e regredire in maniera rapida fino alla completa guarigione, in altri casi la
vastità della raccolta asessuale porta il chirurgo ad una revisione chirurgica della regione ed al
confezionamento della stomia sulla parete controlaterale dell’addome.
Spesso la suppurazione peristomale ha come conseguenza la formazione di una fistola. Le
fistole sono più frequenti nelle ileostomie in rapporto alle caratteristiche dello stoma, alla
qualità del materiale fecale che ne fuoriesce ed alla patologia di base che ha condotto
all’intervento chirurgico (nella maggior parte dei casi malattie infiammatorie croniche
intestinali).
Le fistole possono avere un percorso variabile ed in base ad esso distinguiamo fistole transstomali, quando interessano esclusivamente la mucosa stomale, fistole peristomali, quando
esiste un orificio sulla cute peristomale, fistole viscero-cutanee, quando l’orificio sulla mucosa
è posto profondamente su un’ansa intestinale al di sotto del piano peritoneale. La presenza di
una fistola si manifesta con la fuoriuscita di materiale purulento e/o fecale dall’orificio
fistoloso, materiale che può ristagnare tra la protesi e la cute, determinando l’insorgenza di
una dermatite, anche severa, o il distacco della protesi stessa con le conseguenze prevedibili.
La terapia delle fistole è solo chirurgica; per le prime due forme di fistole descritte si attua
l’escissione della fistola ed il riconfezionamento dello stoma, in anestesia locale e con prassi
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ambulatoriale; nelle fistole viscero-cutanee, se il paziente è affetto da una malattia
infiammatoria cronica del colon, si attua prima una alimentazione artificiale parenterale ed una
terapia medica specifica. L’intervento chirurgico, demolitivo e con ospedalizzazione, viene
procrastinato e preso in considerazione al fallimento dell’approccio conservativo; diversamente
se la fistola è una complicanza chirurgica o susseguente ad una suppurazione, il trattamento
chirurgico (in anestesia generale, con ospedalizzazione), che prevede una nuova laparotomia,
l’asportazione del tratto intestinale fistolizzato ed il confezionamento di una nuova stomia, è
da considerarsi il trattamento di scelta.
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CAPITOLO 5: I GUAI DOPO L’INTERVENTO
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Il dolore pelvico dopo gli interventi demolitivi del retto.
Dopo gli interventi chirurgici che prevedono la asportazione dell’ano e del retto, lo spazio
pelvico residuo va incontro a trasformazioni cicatriziali che possono evocare dolore dopo un
variabile periodo di tempo. Da sempre il dolore pelvico ha preoccupato i clinici, in quanto questo
poteva essere legato alla ripresa della malattia di base. Per questo motivo, nei controlli postoperatori, particolare importanza veniva attribuita allo studio della pelvi ed ai suoi cambiamenti
morfologici.
E’ esperienza comune di molti lettori, che i “fastidi” presenti dopo l’intervento erano legati
maggiormente alla ferita posteriore che, spesso, veniva fatta guarire gradualmente con
l’impiego di zaffi e continue, dolorose, medicazioni. Inoltre, in molti pazienti, permane la
sensazione della presenza del retto ed il bisogno di defecare per via naturale (Sindrome del
retto fantasma). Il primo problema può, a volte, essere superato con la sutura immediata della
regione perineale; la sensazione del “retto fantasma” è invece correlata direttamente
all’amputazione dell’organo ed è dovuta a problematiche psicologiche, simili a quelle presenti nei
pazienti amputati d’arto (Sindrome dell’arto fantasma). Infatti, nell’immediato post-operatorio,
i pazienti ancora non riescono pienamente a prendere coscienza della mancanza dell’organo ed
ogni tipo di stimolo nella regione, prima occupata dalla parte amputata, viene ricondotto alla
presenza dell’organo stesso. Spesso la sindrome del retto fantasma regredisce
spontaneamente, dopo l’adattamento del paziente alla presenza della stomia, ma in alcuni casi è
necessario un supporto psicologico per la risoluzione del sintomo.
In questa ottica la presenza del dolore perineale potrebbe evocare, in alcuni casi, una forma
lieve di sindrome del retto fantasma che si manifesta come la necessità di una impellenza
evacuatoria.
Questo tipo di sintomo è legato a due importanti motivi: il primo può essere la possibilità di una
recrudescenza della malattia di base; il secondo, l’eventuale presenza di processi cicatriziali, o
ascessuali, o anche grossi coaguli ematici residui non completamente riassorbiti, che imbrigliano
nel loro contesto o comprimono le terminazioni nervose, riccamente presenti in questa regione.
In caso di dolore perineale, è importante che il paziente si rivolga allo specialista che ha a sua
disposizione, a seconda dei casi, la prescrizione di esami strumentali sicuri ed affidabili quali la
Tomografia Assiale Computerizzata (TAC), la Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) e
l’ecografia al fine di discriminare la diagnosi. A tal fine, nella nostra esperienza, abbiamo
sperimentato una indagine ecografica condotta per via perineale, cioè poggiando la sonda sulla
regione dove era presente l’ano. Questo esame, se ben condotto, riesce ad essere affidabile da
un punto di vista diagnostico, ha un basso costo, è ripetibile e non e’ invasiva.
Il trattamento del dolore perineale può essere medico e chirurgico. Nel primo caso si ricorre
all’uso di farmaci antiinfiammatori ed antidolorifici. Il trattamento chirurgico è ancora molto
discusso e dibattuto. Nella nostra esperienza, abbiamo trattato chirurgicamente solo pazienti
con dolore perineale importante e persistente, o con evidenza di lesioni cicatriziali vaste ed
infiltranti. Le tecniche attuate sono state la escissione della lesione e/o la coccigectomia.
Inoltre, abbiamo ottenuto buoni risultati con l’infiltrazione anestetica della lesione e con il
drenaggio, mediante aspirazione, delle lesioni ascessuali.
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La ritenzione urinaria.
Dopo il dolore pelvico, un’altro "guaio dopo l'intervento" di frequente riscontro,a seguito della
demolizione dell'ano e del retto, e’ la ritenzione urinaria.
Questo disturbo si manifesta con la difficoltà e/o l'impossibilità a svuotare la vescica e non
sempre è accompagnato dal dolore dovuto alla distensione vescicale.
Le cause principali della ritenzione urinaria sono due: la prima è il prolungato uso del catetere
vescicale dopo l'intervento; la seconda è la lesione del nervo pudendo.
La ritenzione urinaria "da catetere" è di solito transitoria; la vescica gradualmente nel tempo
riacquista la capacità a contrarsi spontaneamente e con stimoli adeguati, fino alla
normalizzazione in due o tre giorni. A volte questo non succede, quindi è necessario sottoporre
il paziente nuovamente a cateterizzazione ed iniziare una "ginnastica" vescicale mediante la
chiusura del catetere per periodi crescenti di tempo e permettendo alla vescica di svuotarsi
solo in presenza di stimolo minzionale. Questo tipo di ginnastica serve anche a prevenire la
ritenzione urinaria e deve sempre essere eseguita quando si raggiungono e/o si superano le 48
ore di cateterizzazione vescicole, prima di rimuovere il catetere.
La ritenzione urinaria determinata da una lesione del nervo pudendo è invece di difficile
risoluzione, in quanto il danno neurologico è spesso irreversibile. Infatti, durante l'intervento
di amputazione del retto per via perineale, i rami del nervo pudendo destinati alla vescica
possono essere lesionati in modo del tutto accidentale, oppure perché è necessario ampliare i
margini di resezione dei tessuti situati intorno al retto. In questi casi si instaura il quadro della
cosiddetta "vescica neurologica" caratterizzata dalla incapacità della vescica a contrarsi anche
a volumi elevati di urina in essa contenuta.
In questa condizione i pazienti riescono ad espellere solo poche gocce di urina, nonostante la
vescica sia molto distesa; a lungo andare la distensione può coinvolgere anche gli ureteri fino
alla pelvi renale e si può giungere ad avere quadri di insufficienza renale acuta, con coma
uremico, da stasi urinaria.
E' quindi necessario rivolgere dopo l'intervento particolare attenzione ai "disturbi urinari" ed i
pazienti con una sospetta vescica neurologica, devono essere sottoposti ad un esame
urodinamico. Questo esame, di facile esecuzione, valuta la funzionalità vescicale e degli sfinteri
uretrali, permettendo di svelare la causa del disturbo. L'esatta valutazione diagnostica,
permette, a sua volta, una adeguata condotta terapeutica. Infatti, in caso di vescica
neurologica sarebbe necessario addestrare il paziente all'autocateterismo, per evitare di
sottoporlo ad un cateterizzazione permanente e definitiva, con un peggioramento della qualità
di vita.
In alcuni casi è invece possibile migliorare la funzionalità vescicale con un trattamento
farmacologico, mentre nel sesso femminile si possono facilmente attuare delle metodiche
riabilitative mediante l'elettrostimolazione, per via endovaginale, dei nervi e dei muscoli
vescicali.
Sesso a volontà.
Nell’ultimo anno abbiamo assistito ad una maniacale insistenza da parte di giornali e telegiornali
sulle ultime novità della ricerca nell’ambito della performance sessuali degli abitanti del
pianeta, comprese alcune razze animali.
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La conseguenza logica è stata che molti specialisti del settore hanno ricevuto una pressante
richiesta di assistenza da parte di molti cittadini.
Anche a noi di Contatto sono giunte diverse richieste di aiuto ed in questo articolo mi accingo a
trattare di un disturbo che frequentemente assilla i pazienti sottoposti ad interventi
demolitivi coinvolgenti il perineo e la pelvi: i disturbi della sfera sessuale.
La delicatezza dell’argomento, l’ansia e la preoccupazione che si possono determinare in ogni
lettore mi costringe ad una premessa: i disturbi della sfera sessuale che si verificano in ogni
individuo, senza esclusione di età, di sesso, di preferenze e di abitudini, nel breve e medio
termine dopo intervento, possono essere del tutto transitori e spesso si risolvono
spontaneamente.
L’assenza della libido, l’impotenza, ed il dolore durante l’atto sessuale sono la causa diretta del
trauma chirurgico che rappresenta un elemento debilitante l’integrità psichica e fisica di ogni
individuo.
Infatti, anche se la ripresa delle comuni abitudini di vita avviene dopo pochi giorni
dall’intervento, il trauma chirurgico diretto sul perineo e sulla pelvi, la durata stessa
dell’intervento e dell’anestesia, ma soprattutto “la presenza dello stoma”, rappresentano i
principali motivi affinché venga pregiudicata una regolare ripresa dell’attività sessuale e sono
soprattutto la causa della mancanza totale o parziale del desiderio.
Con questa premessa spero di aver tranquillizzato la maggior parte di voi, ma mi preme
comunicarvi che è lo “sconvolgimento psicologico” determinato dalla presenza della stomia,
sempre vissuta come elemento mutilante ed umiliante, a pregiudicare una vita sessuale fino a
quel momento del tutto normale e soddisfacente.
La sensazione di “sporco” legata alla presenza del sacchetto sull’addome e il cambiamento dello
schema corporeo rappresentano sicuramente elementi distruttivi del desiderio, ai quali vanno
aggiunti i problemi legati alla debilitazione, al calo ponderale, alla convalescenza protratta.
Sfido chiunque in queste condizioni, anche con tutta la buona volontà, a concentrarsi o a
provocare un “desiderio voluttuoso, focoso, coinvolgente”.
Questa fase di disadattamento può durare anche parecchi mesi dopo l’intervento e la capacità
di ripresa varia da individuo a individuo.
Abbiamo potuto notare che i pazienti avviati precocemente alla riabilitazione recuperano in
maniera soddisfacente l’attività sessuale in un periodo di tempo più breve rispetto ai pazienti
che non frequentano i centri specializzati e molto giova chiedere aiuto, per questi problemi, agli
specialisti.
In altri casi la persistenza dei disturbi sessuali è determinata da una lesione diretta dei nervi
del pavimento pelvico od anche ad una necessaria demolizione chirurgica estesa alla parete
posteriore della vagina.
In questi casi è necessario eseguire alcune indagini e test adeguati e svelare l’eventuale lesione
dei nervi e sempre sotto stretto controllo specialistico, dopo una corretta diagnosi si possono
adottare provvedimenti terapeutici mirati.
I pazienti con impotenza erigendi, mancanza di sensibilità vaginale, dolore al coito, possono
ormai avvalersi di un ampio ventaglio di terapie sia farmacologiche che chirurgiche; ma l’esatta
indicazione sulla scelta della terapia resta di stretta competenza specialistica ed ai pazienti
che presentano tali disturbi, persistenti ed irreversibili, il consiglio che posso dare è di
rivolgersi a specialisti seri e fidati, magari consigliati dai centri di assistenza o presenti negli
ospedali di zona, sperando comunque che quella ormai famosa pillola blu possa renderli “felici e
soddisfatti”.
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CAPITOLO 6: COSA FARE DOPO L’INTERVENTO.
FOLLOW-UP: ORDINE E CALENDARIO PER COMBATTERE E
VINCERE.
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Il follow-up del paziente colostomizzato.
Le patologie che necessitano di un intervento chirurgico con la confezione di una colostomia
sono diverse. Infatti la colostomia può essere confezionata sia per la perforazione di un
diverticolo intestinale o per la rimozione di un tumore del retto, del colon o dell’ano; in questi
estremi si trovano la maggior parte dei pazienti portatori di colostomia e per loro è necessario
continuare ad effettuare dei controlli clinici per l’esatta valutazione dello stato di salute e per
la prevenzione nell'evoluzione della malattia.
Le differenti patologie impongono controlli differenziati. Per una maggiore chiarezza
tratteremo dei controlli clinici a cui devono essere sottoposti i pazienti sottoposti ad
intervento chirurgico per neoplasie localizzate al colon, al retto ed all’ano. E’ opportuno ribadire
due importanti concetti: la durata e la qualità della vita di ogni individuo dipendono da una
corretta prevenzione e cura di ogni malattia; la diagnosi precoce è l’arma migliore che abbiamo
per sconfiggere tutte le malattie e soprattutto i tumori.
I pazienti colostomizzati, a seguito di tumori dell’ultimo tratto del grosso intestino, devono
eseguire un programma di controlli post-operatori volti allo studio delle alterazioni della
normale struttura del fegato e di tutti gli organi addominali, dei polmoni, degli organi pelvici,
delle ossa e, soprattutto, della rimanente porzione del grosso intestino. E’ opportuno ricordare
l’importanza della visita medica alla quale il paziente viene sottoposto durante le sue
frequentazioni dei centri specialistici e di riabilitazione; non solo bisogna tenere sotto
controllo la stomia, per la prevenzione delle patologie stomali, ma il Medico responsabile del
Centro di Riabilitazione deve periodicamente ascoltare gli eventuali disturbi lamentati dal
paziente, effettuare accurate visite e, quindi, procedere alla prescrizione degli esami di
laboratorio e strumentali necessari.
Come tutti i tumori, anche quelli localizzati all’intestino producono delle sostanze antigeniche
che entrano nel circolo ematico (marcatori tumorali) ed il loro dosaggio permette di valutare
l’evoluzione della malattia.
Il fegato è l’organo che più frequentemente viene colpito dalla diffusione a distanza
(metastasi) dei tumori intestinali. Le alterazioni di questo organo possono essere studiate
mediante l’Ecotomografia, indagine di larga diffusione, semplice, non dannosa e ripetibile oltre
che poco costosa. Il ricorso alla Tomografia Computerizzata (TC, popolarmente chiamata TAC))
o alla Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) è necessario per svelare le alterazioni che l’esame
ecografico non riesce a mettere in evidenza sia a livello del fegato che degli altri organi
contenuti in addome (pancreas, milza, reni, linfonodi). Anche i polmoni possono essere colpiti
da metastasi ed essi possono essere studiati facilmente, oltre che con un attenta visita,
mediante un esame radiologico tradizionale quale l’Rx Torace; nei casi di dubbia interpretazione
si potranno eseguire la Stratigrafia Polmonare o anche la TAC o la Risonanza Magnetica.
Soprattutto per i tumori localizzati al retto, si rende necessario lo studio degli organi
contenuti nella pelvi che sono la vescica, la prostata nell’uomo, la vagina, l’utero e le ovaie nella
donna ed, in entrambi i sessi, la sede dove era prima localizzato il retto e l’ano (scavo pelvico
residuo). Gli organi pelvici, essendo in stretto contatto con il retto, possono essere interessati
dalla patologia tumorale qualora questa superato la parete rettale, abbia infiltrato prima il
grasso e poi la parete esterna degli organi stessi. Anche in questo caso l’Ecotomografia
permette un approccio diretto per la diagnosi di tali evenienze e a volte con maggiore
risoluzione rispetto ad esami quali la TC e la RMN. Nella nostra esperienza abbiamo condotto i
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primi studi con l’ecografia endovaginale e poi quella transperineale per lo studio dello scavo
pelvico residuo, esami che sono entrati nella routine di follow-up di tutti i nostri pazienti.
La diffusione dei tumori colo-rettali all’apparato scheletrico non è una evenienza rara, per
questo tutti i pazienti dovrebbero essere sottoposti, almeno ogni 2 anni, ad un esame
scintigrafico dello scheletro, mentre bisogna ricorrere ai soli esami radiografici standard per
lo studio dei fenomeni dolorosi, nella maggior parte dei casi correlabili ad altre patologie
(artriti, artrosi, osteoporosi,ecc.).
Nei pazienti colostomizzati una particolare attenzione va rivolta allo studio del rimanente
tratto del grosso intestino in quanto è alta la possibilità che possa si sviluppare un secondo
tumore al colon residuo. Conoscendo l’evoluzione naturale dei tumori intestinali, che nella quasi
totalità dei casi sviluppano da una degenerazione di polipi benigni, la loro individuazione in una
fase precoce ne permette la totale rimozione senza un intervento chirurgico demolitivo, ma
semplicemente mediante l’asportazione per via endoscopica. Infatti la colonscopia è l’esame
insostituibile per l’accurato studio del colon, prima e dopo l’intervento che ha condotto alla
colostomia, e la sua attuazione dovrebbe rappresentare una consuetudine annuale per tutti i
pazienti ed anche per tutti i familiari diretti che abbiano superato i 40 anni di età. L’esame, è
oggi condotto nei centri specialistici con metodiche che attenuano il disagio per il paziente,
utilizzando inoltre moderne attrezzature che permettono di filmare o di fotografare il colon
esplorato (migliorando quindi l’attendibilità dell’esame). Nel paziente colostomizzato la
colonscopia, condotta attraverso lo stoma, risulta molto meno fastidiosa ed è facilmente
eseguibile. I pazienti che fanno uso dell’irrigazione non devono eseguire una particolare
preparazione intestinale, essendo sufficiente di norma l’esecuzione di un’irrigazione
abbondante la mattina dell’esame.
Tutti questi esami comunque devono essere eseguiti con ordine e con una precisa cadenza. Già
15 anni fa abbiamo creato un programma di follow-up più volte modificato e riordinato in base
alla attendibilità, al costo-beneficio, alla invasività. Il nostro protocollo di sorveglianza postoperatoria nei pazienti colostomizzati prevede: ogni 3 mesi l’esecuzione dei marcatori tumorali
principali (CEA, TPA, GICA o CA19.9, alfaFP), dell’ecotomografia epatica, addominale, pelvica e
transperineale; ogni 6 mesi un Rx torace ed ogni anno la TC o la RMN dell’addome e della pelvi,
la colonscopia; ogni 2 anni una scintigrafia ossea. Questo programma viene eseguito senza
interruzioni nei primi 3 anni dopo l’intervento, dai 3 ai 5 anni gli esami vengono diluiti nell’anno
senza tralasciarne alcuno. Dopo i 5 anni i pazienti eseguono annualmente il dosaggio dei
marcatori tumorali, gli esami ecografici e l’Rx torace. Il programma si basa sul concetto della
“positività” nel senso che se un esame risulta alterato e l’esame clinico (che deve essere
sempre eseguito) conferma il dubbio, il paziente verrà sottoposto immediatamente agli esami
più complessi.
Il follow-up del paziente ileostomizzato.
Quando insorge una malattia non solo è necessario curarla, ma è indispensabile eseguire
controlli per validare le terapie e valutare lo stato di salute del paziente. In questa ottica si
inquadra il follow-up (controllo successivo) del paziente portatore di ileostomia.
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Le patologie che più frequentemente necessitano di un intervento demolitivo del grosso
intestino e la confezione di una ileostomia, sono di origine infiammatoria. Tali patologie
colpiscono soprattutto persone giovani adulte e quindi si rende necessario, nel corso degli anni,
seguirne l’andamento dello stato di salute in rapporto non solo alla malattia di base ma anche
alla eventuale alterazione dovute alla mancanza di funzione del tratto intestinale asportato.
Infatti, questi pazienti vanno incontro ad una serie di modificazioni idroelettrolitiche e
metaboliche, che possono condurre principalmente a malattie calcolitiche delle vie urinarie e
delle vie biliari. La formazione di questi calcoli sono dovuti essenzialmente a meccanismi,
complessi e difficilmente semplificabili, legati alla perdita di acqua e sali minerali con le feci
ileali, ed al mancato riassorbimento dei sali biliari da parte dell’ileo terminale. Tutti i pazienti
possono osservare come le feci che fuoriescono dalla ileostomia siano molto liquide; alla iniziale,
possibile, disidratazione l’organismo risponde con un aumento della secrezione dell’aldosterone,
ormone che interviene al livello del rene determinando un risparmio di acqua e sodio. Questa
situazione comporta un cronico iperaldosteronismo, che a sua volta è causa di un aumento di
acido urico nelle urine. L’acido urico, nelle urine normali, si trova composto sotto forma di sali, e
quindi disciolto nel liquido; allorquando le urine diventano acide, come nell’ileostomizzato, l’acido
urico resta libero e tende ad agglomerarsi (precipitare) formando calcoli urinari. E’ quindi
necessario che il paziente con ileostomia beva almeno 2 litri di acqua al giorno e segua una
alimentazione adeguata alla prevenzione dell’accumulo di acido urico. In questa ottica comunque
il paziente deve essere sottoposto almeno ogni tre mesi, ad un esame delle urine (soprattutto
per verificarne l’acidità) ed alla valutazione dell’uricemia. Ogni dodici mesi, il paziente
dovrebbe eseguire una ecografia renale ed epatica. La prima indagine potrà svelare la presenza
di calcoli renali, la seconda di calcoli biliari. La formazione di calcoli biliari (della colecisti o
delle vie biliari principali), può essere determinata, in questi pazienti, da una alterazione
importante del circolo enteroepatico degli acidi e sali biliari, che tenderebbero a concentrarsi
e precipitare nelle vie biliari principali. E’ dimostrato che l’incidenza delle calcolosi urinaria e
biliare è tre volte superiore nei pazienti con ileostomia rispetto al resto della popolazione;
questo dato importante impone quindi una stretta osservazione clinica di questi pazienti che si
possono giovare di terapie mediche atte a prevenire tali evenienze.
Un altro lato importante del follow-up del paziente ileostomizzato è la prevenzione ed il
trattamento precoce della ripresa della malattia di base. I pazienti operati per morbo di Crohn
e quelli operati per colite ulcerativa con conservazione del retto dovranno eseguire dei controlli
strumentali per seguire l’andamento della malattia infiammatoria. A tale proposito
sottoponiamo i pazienti con pregressa malattia di Crohn a uno studio radiografico seriato che
indaghi dal tenue residuo almeno una volta l’anno, ed ogni 6 mesi, ai test ematochimici di
rivelazione di uno stato flogistico in atto (VES, PCR, ecc.).
I pazienti con conservazione del moncone rettale, a nostro avviso, dovrebbero eseguire ogni 612 mesi una rettoscopia di controllo, con prelievi bioptici, per la stadiazione accurata della
malattia infiammatoria.
L’attenta esecuzione dei controlli permetteranno al medico di variare, di volta in volta, la
terapia farmacologica che i pazienti assumono cronicamente e di valutare, quando possibile ed
indicato nei pazienti operati per colite ulcerativa e con conservazione del moncone rettale,
l’esecuzione di un intervento di ricanalizzazione.
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Il follow-up del paziente urostomizzato.
I pazienti sottoposti a derivazione urinaria per neoplasie localizzate alla periferia dell’apparato
urinario, dopo l’intervento, necessitano di un’assistenza continua per quanto riguarda la cura
della stomia (quando presente), che deve essere estesa verso la diagnosi precoce di una
eventuale ripresa di malattia di base o della sua diffusione a distanza. Infatti è utile ribadire il
concetto che tutte le malattie quando vengono diagnosticate precocemente possono essere, in
un alta percentuale di casi, guarite o fatte regredire. Quindi l’aspettativa di vita di tutti
dipende dal concetto che una diagnosi precoce è la migliore arma che abbiamo a disposizione
soprattutto nel campo dei tumori.
Conoscendo le vie di diffusione dei vari tipi di tumori, è oggi possibile studiare con maggiore
attenzione gli organi che per primi possono essere aggrediti dalla malattia, senza comunque
tralasciare il resto dell’organismo. I pazienti urostomizzati per malattie neoplastiche vescicoprostatiche ed uretrali devono seguire un programma di follow-up volto allo studio delle
variazioni morfologiche delle ossa (soprattutto bacino e colonna vertebrale), del fegato e del
polmone, della pelvi residua all’intervento e delle stazioni linfatiche primarie, oltre che
naturalmente della restante parte dell’apparato urinario. Ma anche dal sangue può venire una
risposta tranquillizzante sulla quiescenza della malattia: a tal fine sono utili i marcatori
tumorali che sono delle proteine antigeniche prodotte dal tumore e circolanti nel sangue.
Lo studio dello scheletro ed anche quello dei polmoni, può essere eseguito mediante uno studio
radiografico standard o con un esame stratigrafico, consigliato solo nei casi in cui l’esame
standard metta in evidenza una variazione della normale morfologia. Per lo studio dello
scheletro è comunque preferibile la scintigrafia, mentre la radiologia tradizionale è consigliata
per un primo approccio diagnostico in caso di sintomi clinici (dolori ossei, dolori articolari,
mialgie). Lo studio dell’apparato respiratorio mediante l’Rx Torace ci permette di svelare
grossolane modificazioni, il cui approfondimento è delegato ad esami più sofisticati quali la
Tomografia Computerizzata (TC) o la Risonanza Magnetica Nucleare (RMN). Il fegato e gli
organi intraddominali vengono studiati in maniera efficace e non invasiva dalla Ecotomografia
capace di dare una valutazione attendibile di tutte le modificazioni rilevabili ed anche in questo
caso TC e/o RMN, sono indagini consigliate solo per meglio comprendere ed approfondire
eventuali dubbi diagnostici. Ma proprio questi ultimi due esami devono essere prescritti nei
normali controlli dei pazienti urostomizzati, in quanto sono capaci di rilevare fini ed anche
piccole alterazioni strutturali e devono essere sempre impiegati per la discriminazione di ogni
variazione strutturale di tutti gli organi.
Tutte le indagini strumentali ed ematochimiche devono comunque essere effettuate a cadenza:
nei nostri pazienti consigliamo ogni tre mesi di eseguire gli esami meno invasivi quali i marcatori
tumorali (CEA, TPA, PSA, PAP, ecc.), l’ecografia addominale e pelvica. Ogni sei mesi i pazienti
devono eseguire un Rx Torace ed ogni anno, una Tomografia Assiale Computerizzata (TAC o TC)
o una Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) Total Body, ed una Scintigrafia Ossea. Questo
cadenzario deve essere rispettato rigorosamente nei primi due anni dopo l’intervento,
intervallo in cui vi è una maggiore possibilità di ripresa di malattia; dopo tale periodo gli
intervalli si possono prolungare e dopo i cinque anni è possibile eseguire un controllo unico
annuale fino ai dieci anni post-operatori. Questo programma è mantenuto per tutti i pazienti
che non presentano sintomi all’esame clinico ed urologico. Se vi è il sospetto clinico della
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ripresa di malattia o se uno dei parametri studiato è significativamente alterato, si sottopone il
paziente a tutte le indagini previste, per svelare la sede e l’entità della malattia. In base ai
risultati ottenuti i pazienti vengono quindi sottoposti ai trattamenti medico-chirurgici
necessari a debellare la malattia. Tutto questo deve essere eseguito con il consenso del
paziente che deve essere informato non solo della malattia ma anche sulle possibilità di
trattamento, sulle loro conseguenze e sulla loro efficacia.
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CAPITOLO 7: UROSTOMIE
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Le Urostomie
Le urostomie o derivazioni urinarie esterne rappresentano una comunicazione, diversa dalla
naturale, tra l’apparato urinario e l’esterno del corpo. Ricordiamo che l’apparato urinario è
composto dal rene, che produce l’urina, dai calici e dal bacinetto urinario, che accolgono l’urina
appena prodotta, dall’uretere che la trasporta alla vescica, il serbatoio dell’urina, e dall’uretra
che trasporta l’urina dalla vescica all’esterno. Questo schema ci aiuta a capire quando e perché
è necessario per il chirurgo confezionare una derivazione urinaria. La premessa è che in
presenza di ostacoli nel “viaggio” dell’urina bisogna trovare una via alternativa. Se ad esempio
l’ostacolo è una stenosi in operabile, si possono eseguire dei drenaggi esterni direttamente a
livello dei calici o del bacinetto renale mediante dei piccoli cateteri introdotti dall’esterno.
Questo tipo di derivazione è detta nefrostomia percutanea, in quanto essa si esegue mediante
il passaggio diretto del catetere attraverso la cute, senza l’apertura della parete
addominale.Inoltre viene spesso eseguita d’urgenza, per superare fasi delicate della malattia,
oppure può assumere un carattere definitivo quando non è proponibile altro tipo di intervento
chirurgico definitivo. In questi casi il catetere viene fissato alla cute, nella regione lombare, e
quindi viene fatto pescare direttamente in un sacchetto di raccolta per le urine. La nefrotomia
è una stomia molto delicata e necessita di particolari attenzioni per evitare che il catetere si
dislochi, che si possa avere una infezione, con gravi conseguenze (Figura 2).
Figura 2: nefrotomia percutanea
L’urostomia più frequente è l’ureterocutaneostomia che viene proposta quando il chirurgo deve
asportare completamente la vescica o quando questa perde definitivamente la sua funzione di
serbatoio e non è possibile asportarla. Esistono due tipi di ureterocutaneostomia: il primo
consiste nell’abboccamento diretto dei due ureteri, direttamente, distintamente, alla cute
della parete addominale (Figura 3); il secondo prevede che i due ureteri vengano fatti confluire
ad una ansa del piccolo intestino, che viene separata funzionalmente dal restante tratto
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Figura 3: Ureterocutaneostomia
intestinale, che viene poi anastomizzata alla cute. Il primo tipo di stomia non è frequente e
pone molti problemi di gestione della stomia in quanto l’urina entra direttamente in contatto
con la cute, provocando dermatiti, a volte con infezioni batteriche, ed inoltre è facile che vada
incontro a stenosi. Per questi motivi vengono inseriti all’interno dell’uretere dei piccoli cateteri
in modo che l’urina fuoriesca direttamente nel sacchetto di raccolta.
L’ureterocutaneostomia mediata con ansa intestinale è invece più frequente, anche se la sua
attuazione prevede maggiori tempi operatori ed anche una resezione intestinale, con
contemporanea ricostituzione della continuità intestinale stessa. In questo tipo di intervento la
stomia è rappresentata da una ansa intestinale che invece che trasportare feci, favorisce la
fuoriuscita dell’urina proveniente dagli ureteri che ad essa vengono collegati. Questo tipo di
stomia, quando eseguita “lege artis”, non pone particolari problemi di gestione in quanto l’urina
passa direttamente dallo stoma al sacchetto di raccolta, dotato di un dispositivo “antireflusso”
(per evitare che a sacchetto pieno l’urina entri in contatto con la cute) e di un rubinetto nella
parte inferiore che ne permette il facile svuotamento e la possibilità di collegarlo ad una sacca
di raccolta di più ampia capacità, utile per le ore notturne (Figura 4).
Altri tipi di derivazioni urinarie vengono eseguite direttamente a livello vescicole. Questo tipo
di urostomie, chiamate cistostomie, vengono eseguite, in urgenza, quando l’ostacolo al deflusso
di urina è a livello dell’uretra e non è possibile posizionare un catetere vescicole. Questa
condizione è frequente nei maschi a seguito dell’ingrossamento della prostata che, alle volte,
occlude completamente l’uretra, con conseguente ritenzione urinaria acuta. In questi casi si
procede direttamente alla puntura per via sovrapubica della vescica, con il posizionamento
all’interno di essa di un catetere che ne permette lo svuotamento. La cistostomia sovrapubica
ha un carattere del tutto transitorio e viene abolita con l’intervento chirurgico che porterà al
superamento dell’ostacolo.
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Figura 4: Ureterocutaneostomia mediata o
ureteroileostomia
Le derivazioni urinarie.
Intervista del Dr. Attilio Nicastro al Prof. Nicola Presutti - Primario del Reparto di Urologia
dell’Ospedale “S. Camillo” di Roma - e al Dr. Cosimo Salvatore - aiuto nel Reparto di Urologia
dell’Ospedale “S. Camillo” di Roma.
Che cosa è una derivazione urinaria?
Per una derivazione urinaria si intende il transito delle urine al di fuori delle vie escretrici
urinarie, (calici e bacinetto renali, uretere, vescica, uretra).
L’apparato urinario è costituito da un organo emuntore (rene) produttore delle urine e dalle vie
escretrici che convogliano le urine all’esterno.
Quanti tipi di derivazione esistono?
Le derivazioni urinarie si distinguono in temporanee e definitive, interne o esterne a seconda
che il tratto escretore sostituito convogli le urine direttamente all’esterno o all’interno lungo il
decorso delle vie urinarie.
Esempi di derivazioni urinarie esterne sono la nefrostomia, la pielostomia,
l’ureterocutaneostomia, la cistostomia soprapubica, l’uretrostomia esterna. Nelle derivazioni
urinarie interne un segmento delle vie escretrici viene sostituito con materiale autologo dello
stesso individuo (sostituzione dell’uretere con un’ansa intestinale detubularizzata cioè aperta
come nelle plastiche di ampliamento della vescica, sostituzione vescicale con ansa ileale o colica
detubularizzata e riconfigurata come nelle neovesciche di sostituzione dopo cistectomia,
condotto ileale o colico che sostituisce l’ultimo tratto delle vie urinarie per convogliare
direttamente all’esterno le urine dopo asportazione della vescica).
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Mentre nelle derivazioni urinarie esterne l’urina fuoriesce dalla superficie corporea in sede
diversa e deve essere raccolta da un contenitore esterno (sacchetto di raccolta), nelle
derivazioni urinarie interne viene ristabilito il transito pressoché normale e l’urina fuoriesce
all’esterno per la via naturale, dall’uretra.
Qual è la derivazione migliore?
Le indicazioni alle derivazioni urinarie sono essenzialmente l’ostruzione al transito normale
delle urine o la mancanza di un segmento delle vie urinarie per cause congenite o acquisite dopo
asportazione chirurgica. La vescica è un serbatoio che raccoglie le urine nella fase di
riempimento e le vuota all’esterno nella fase minzionale o di svuotamento. Al momento è
possibile sostituire la vescica con un segmento intestinale dello stesso soggetto, in modo da
conservare la funzione del serbatoio. Prima dell’avvento di queste nuove tecniche chirurgiche,
le urine venivano derivate all’esterno direttamente mediante abboccamento degli ureteri alla
cute (ureterocutaneostomia), indirettamente mediante un condotto intestinale ileale o colico, o
nel retto (ureterorettostomia) dal quale fuoriuscivano insieme alle feci.
Quali sono le controindicazioni?
Le controindicazioni alle derivazioni urinarie sono scarse e riguardano essenzialmente le
malattie intestinali che non consentono l’utilizzo di un segmento sano (malattie infiammatorie
intestinali croniche, diverticolosi intestinale, ecc.).
Quali complicazioni insorgono nei soggetti con derivazione urinaria?
Condizione indispensabile al buon funzionamento di una derivazione urinaria è il controllo
urologico assiduo e periodico.
Ciò vale soprattutto per le sostituzioni vescicali, le quali comportano inevitabilmente
incontinenza e ritenzione urinaria, calcolosi, squilibri metabolici, insufficienza renale, se non
vengono adeguatamente controllate.
I controlli periodici consentono un buon funzionamento di queste “neo-vesciche”. I soggetti
sottoposti a cistectomia e sostituzione vescicale per neoplasia possono condurre una vita
normale conservando la minzione per vie naturali senza la necessità di utilizzare un sacchetto
di raccolta.
Dossier urostomia.
Così come ci è stato fatto giustamente notare, da questo numero cercheremo di colmare una
carenza iniziando a trattare un problema frequente nei pazienti con urostomia, che è quello
della cura della cute peristomale.
La cute che circonda una urostomia viene facilmente a contatto con le urine. Queste per le
loro caratteristiche chimiche risultano fortemente irritanti ed il loro frequente contatto con
la cute e ristagno su di essa, possono provocare forme di infiammazione a volte molto severe,
che controindicano ed impediscono l'uso di qualsiasi tipo di presidio di raccolta.
E' quindi necessario istruire tutti i pazienti sulla corretta pulizia e protezione della cute
peristomale. Gli accorgimenti che il paziente con urostomia deve osservare non sono dissimili da
quelli degli altri pazienti con stomie digestive, ma devono essere comunque molto più attenti e
scrupolosi in rapporto alle particolari caratteristiche delle urine. Innanzitutto, la pulizia della
cute deve essere eseguita con un sapone neutro ed acqua, evitando di usare disinfettanti o
altre sostanze chimiche e, quando possibile, preferire l'uso di presìdi di copertura a due pezzi.
Bisogna ricordare che il foro della piastra adesiva dermoprottetiva non deve avere un diametro
maggiore a quello dello stoma e bisogna evitare di lasciare scoperte e non adeguatamente
49
"barrate" anche piccole imperfezioni cutanee attraverso le quali l'urina può facilmente filtrare,
distaccando la piastra dalla cute o, peggio, ristagnando tra le due interfacce.
Nel caso vi siano pieghe o cicatrici peristomali che rendono irregolare la superficie cutanea è
necessario proteggere la cute con creme e film protettivi e "barrare" e modellare la superficie
cutanea mediante paste con proprietà uguali o simili alle piastre dei presìdi.
Gli stessi accorgimenti devono essere eseguiti dai pazienti che preferiscono l'uso dei sistemi
monopezzo ai quali consigliamo comunque sempre presìdi dotati di barriera protettiva, mentre
l'insorgenza di una dermatite impone a livello di scelta protesica, secondo la nostra esperienza,
l'uso di un sistema a due pezzi, in quanto è meno traumatico e più protettivo, fino alla
guarigione della lesione.
Le Patologie stomali dell’urostomia: la dermatite.
I pazienti portatori di derivazioni urinarie esterne possono presentare differenti patologie
stomali le cui caratteristiche sono del tutto simili a quelle delle stomie digestive. Rispetto a
queste ultime le urostomie presentano una incidenza differente di patologie stomali in quanto
sono strettamente legate al tipo di stoma, ovvero alle caratteristiche dell’organo che viene
derivato all’esterno. Unica eccezione riguarda la dermatite, che anche nelle urostomie è la
patologia di più frequente riscontro. La dermatite è una lesione determinata principalmente dal
continuo contatto delle urine con la cute della parete addominale che circonda la stomia; altre
forme di dermatite sono dovute a reazioni allergiche agli adesivi delle sacche di raccolta o
all’uso improprio di disinfettanti e saponi per l’igiene della cute peristomale. La gravità della
lesione varia da piccoli arrossamenti (soprattutto determinati dallo strappo ripetuto dei
sacchetti di raccolta), alla presenza di vere e proprie ulcerazioni sulle quali è possibile la
sovrapposizione di una infezione batterica o micotica. I quadri più severi di dermatite sono
determinati dall’azione lesiva dell’urina sulla cute ed è ragionevole come questo venga
scongiurato da parte del personale assistenziale; è possibile praticare una prevenzione primaria
di questo tipo di dermatite mediante una corretta esecuzione chirurgica della stomia, evitando
di posizionare lo stoma su pieghe o cicatrici, evertendo gli ureteri o mediante la loro
esteriorizzazione con un’ansa intestinale.
Quando ci troviamo di fronte ad una dermatite conclamata bisogna innanzitutto proteggere la
cute peristomale con sistemi a due pezzi dotati di una idonea barriera di protezione ed,
eventualmente, aggiungere antibiotici in gel per la prevenzione ed il trattamento della
superinfezione batterica. In caso di micosi gravi è utile una terapia sistemica e locale
antimicotica ed in alcuni casi, è controindicato l’uso del sacchetto di raccolta. L’osservazione
immediata di una dermatite ci permette innanzitutto di prevenire la sua progressione, di
attuare una adeguata cura dello stoma, di correggere i difetti dell’igiene locale e sostituire i
sistemi di raccolta usuali al fine di una maggiore protezione cutanea. Il consiglio per tutti i
pazienti è di farsi seguire presso i Centri specializzati dove l’infermiere, specializzato in
stomaterapia, da utili consigli sulla igiene della cute peristomale (mai usare etere, alcool,
disinfettanti vari), sulla scelta del presidio di raccolta più idoneo (due pezzi con barriera,
sacchetti con sistema antireflusso, con valvola di scarico, ecc.), su quando e come cambiare la
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piastra ed il sacchetto e, nei pazienti con cateteri ureterali, in accordo con il chirurgo,
l’eventuale medicazione, il fissaggio ed il lavaggio sterile degli stessi.
Il paziente con urostomia ha necessità di un più stretto controllo clinico in quanto, per le
caratteristiche stesse degli organi esteriorizzati, è facile l’insorgenza di gravi infezioni che
dalla cute possono estendersi agli ureteri e quindi alla pelvi renali ed ai bacinetti. Tale
progressione della malattia è un evento grave e necessita di un immediato trattamento
farmacologico che se viene omesso o non praticato, può portare a quadri di pielonefriti
difficilmente trattabili e fortemente debilitanti. Per questi motivi facciamo sempre appello al
buon senso dei medici di base, del personale sanitario e dei chirurghi, ma anche a quello dei
pazienti stessi, affinché subito si affidino ai Centri specialistici dove è possibile una assistenza
adeguata e soprattutto al fine di prevenire le patologie di più frequente riscontro.
Stenosi e retrazione
Le urostomie possono essere di due tipi principali: le ueretrocutaneostomie, nelle quali gli
ureteri vengono direttamente esteriorizzati attraverso la cute; le ureteroileostomie, nelle
quali gli ureteri vengono fatti confluire su un’ansa del piccolo intestino, preventivamente
esclusa dal transito fecale, che viene quindi esteriorizzata attraverso la cute. Tutte e due i tipi
di stoma possono andare incontro a due temibili complicanze che sono la stenosi e la retrazione.
Queste due patologie stomali assumono un significato differente a seconda del tipo di stoma.
Nella ureterocutaneostomia la stenosi può essere la diretta conseguenza di un difetto di
tecnica chirurgica (orificio cutaneo troppo piccolo), oppure la conseguenza a reazioni
cicatriziali esuberanti proprie dell’individuo. La stenosi potrà poi evolvere verso la retrazione,
patologia stomale in cui lo sbocco ureterale si trova in un piano inferiore rispetto a quello della
cute peristomale. La retrazione comunque può essere anch’essa legata ad un errore di tecnica
operatoria, allorquando lo stoma venga confezionato senza una adeguata eversione mucosa,
oppure a seguito di gravi dermatiti peristomali, alla suppurazione, alla necrosi.
La stenosi dell’ireterocutaneostomia può essere prevenuta tutelando l’uretere con dei cateteri,
di adeguato calibro, che mettono in comunicazione direttamente la pelvi renale con l’esterno. I
cateteri ureterali devono essere manipolati in maniera idonea e vanno sostituiti ad intervalli
regolari per evitare la loro dislocazione e, principalmente, la loro contaminazione che potrebbe
provocare una infezione urinaria anche grave (fino alla pielonefrite). La stenosi
dell’ureterocutaneostomia può avere conseguenza diretta sulla funzionalità renale; infatti, il
mancato od ostacolato deflusso di urina fa si che queste ristagnino a monte, prima nell’uretere,
poi nella pelvi e nei calici renali che subiscono una graduale dilatazione (idronefrosi),
comprimendo il parenchima renale che si assottiglia e perde gradualmente la sua funzionalità.
Inoltre, il ristagno di urina ne facilita la contaminazione da parte di agenti infettivi che
comportano la formazione di pieliti e pielonefriti di difficile risoluzione.
La risoluzione della stenosi e della retrazione dell’ureterocutaneostomia è delegata all’impiego
dei cateteri ureterali che possono essere inseriti con un calibro gradualmente maggiore e poi
lasciati a permanenza.
La stenosi di una uretero-ileostomia è legata principalmente ad un difetto di tecnica nel
confezionamento dell’ileostomia. Infatti, questa non solo deve avere un calibro adeguato, ma
deve rispondere ai canoni dell’ileostomia funzionante e cioè protrudere dal piano cutaneo di
almeno 2 cm, la mucosa deve essere eversa su se stessa. In questo modo si evita che l’urina
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venga a diretto contatto con la cute peristomale e quindi provocare dermatiti ed ulcerazioni.
L’insorgenza di una stenosi di modica entità non comporta alcuna conseguenza importante in
quanto le urine, essendo liquide, defluiscono con facilità dall’orificio cutaneo. Se la stenosi
diventa serrata si ha in primo luogo un ristagno di urina nell’ansa ileale, che gradualmente viene
distesa determinando l’insorgenza di dolori addominali. Conseguentemente il ristagno di urina si
propaga a tutto l’apparato urinario con una idronefrosi bilaterale, che se non prontamente
trattata, può portare all’insufficienza renale. Anche in questo caso valgono le considerazioni
sulla possibilità della contaminazione batterica dell’urina, con l’aggravante che la pielonefrite
può interessare i due reni contemporaneamente. Il trattamento della stenosi
dell’ureteroileostomia dipende dal grado della stenosi; le stenosi di grado lieve e moderate
devono essere trattate mediante dilatazioni meccaniche della stomia. Le dilatazioni hanno lo
scopo di non far progredire la stenosi fino ad un grado severo; in tal caso è necessario un
intervento chirurgico che può essere condotto in mani esperte, in anestesia locale ed
ambulatorialmente.
La retrazione di una ureteroileostomia dipende da una errata tecnica chirurgica nella
confezione della stomia, oppure può essere la conseguenza di una necrosi ischemica dell’ansa
ileoale, o di una suppurazione peristomale. In tutti questi casi essa è la conseguenza diretta di
una inadeguata condotta chirurgica, o di un difetto di gestione dello stoma nell’immediato postoperatorio. In caso di retrazione l’urina entra in diretto contatto con la cute peristomale
determinando dermatiti anche severe. La prevenzione della retrazione è quindi legata alla
applicazione di una tecnica chirurgica adeguata; il suo trattamento può essere conservativo o
chirurgico. Il trattamento conservativo si avvale dell’impiego di protesi a due pezzi con la
piastra convessa, che permette di “infossare” la cute peristomale in un piano più profondo e di
far protrudere o “appianare” lo stoma; la cute peristomale deve essere ulteriormente protetta
mediante paste e creme. Quando il trattamento conservativo fallisce, approccio proponibile è
quello chirurgico che può essere condotto in anestesia locale ed in day hospital.
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CAPITOLO 8: LE VOSTRE DOMANDE
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In questo capitolo ho raccolto la corrispondenza intercorsa tra me e voi lettori nel corso degli
anni. Quanto scritto e’ reale e per motivi di “privacy” le lettere vengono firmate solo con le
iniziali di quanti hanno sentito l’esigenza di scrivere a ConTatto. Ma non tutta la corrispondenza
e’ stata riportata; molti lettori sono stati contattati direttamente, altri hanno preferito
ricevere o ho preferito dare una risposta “privata”. Sono riportate, quindi, solo le lettere che
hanno avuto una risposta attraverso la rivista ed anche in questa edizione non hanno avuto filtri
o tagli. Molti di voi si riconosceranno in queste, moltissimi troveranno le risposte (lo spero) alle
domande che non hanno mai avuto modo di rivolgere a qualcuno. Spero che questo capitolo
susciti lo stesso interesse della rubrica dalla quale trae ispirazione.
Ho 75 anni gradirei dei consigli a proposito di questi miei problemi:
1) ho continui dolori addominali (pur essendo stato operato nel giugno 1991) e, secondo le positive
risultanze rilevate dagli esami radiologici ed ecografici (e dei rassicuranti giudizi di molti
medici), i dolori non cessano; dolori più accentuati tra il colon, traverso e quello discendente, pur
usando Valpinax e mangiando molta verdura cotta;
2) il punto sinistro dello stoma è diventato come un seno;
3) dal retto esce, insubordinatamente e svariate volte al giorno, un liquido biancastro-oleoso;
cosa fare per disciplinarlo?
4) quando la sacca si riempie di molta aria, cosa fare?
5) è consigliabile usare la cinghia o le bretelle?
La prego di aiutarmi! Tanti ringraziamenti anticipati, in attesa, cordiali saluti.
V.V. (PZ)
Caro Signor V.,
rispondo ben volentieri alla sua “implorazione di aiuto”, cercando di interpretare dalle poche
righe scritte, anche se ben chiare, la sua situazione. Il primo consiglio, immediato, che posso
darle è, se può, di contattarmi personalmente (i miei recapiti può chiederli telefonando alla
Redazione) e sottopormi gli accertamenti clinici eseguiti dopo l’intervento oltre alla cartella
clinica relativa allo stesso.
Riguardo i dolori addominali che la affliggono, penso che ci sia qualcosa di sbagliato nella sua
alimentazione; possono essere dolori tipo colitico, che non hanno attinenza con l’intervento, e
quindi cominci a non mangiare verdure cotte, e crude, latte e latticini, formaggi fermentati,
agrumi, legumi, aromi e spezie. In tal modo regolerà anche la funzione intestinale e la produzione
di gas maleodoranti, evitando l’uso di farmaci e che il sacchetto di raccolta si riempia “di molta
aria”. Se questo dovesse succedere, usi sacchetti con filtro incorporato e pungendo con un ago il
filtro il problema si risolve. Non vi è alcuna indicazione riguardo all’uso di cinta o bretelle, usi il
sistema che più preferisce e porti una ventriera post-operatoria per controllare l’ernia
peristomale. Potrò darle maggiori chiarimenti, anche in rapporto alle secrezioni rettali e agli
altri problemi esposti, quando ci sentiremo o vedremo di persona. Un caro saluto.
Ho 83 anni e sono stomizzato da 26. Subito dopo l’intervento ho usato dei sacchetti semplici,
dopo mi hanno consigliato un sistema a due pezzi, placca con flangia e sacchetti, prima a fondo
chiuso, poi per praticità quelli a fondo aperto con morsetto di chiusura, perché permettono lo
svuotamento del sacchetto senza staccarlo dalla placca.
Per lo sviluppo di un prolasso non mi è più possibile applicare il sistema suddetto perché la
fuoriuscita del prolasso stacca il sacchetto dalla placca e qualche volta la placca stessa.
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Sono in attesa di ricovero ospedaliero per un intervento chirurgico onde eliminare tale
inconveniente. Di ciò non sono molto entusiasta, per ovvie ragioni, malgrado l’intervento sia
semplice.
Vi chiedo se nella produzione dei vari sistemi di raccolta vi è anche quello che contempli il mio
caso....
R. B. - Bologna
Caro Lettore,
l’unico consiglio che posso darle è di affrontare con serenità l’intervento di revisione stomale.
Oggi le tecniche chirurgiche permettono di eseguire l’intervento in anestesia locale, con poche
ore di osservazione in Day Hospital. La sua preoccupazione, giustificata, non deve essere
eccessiva ed anche se trova un sistema di raccolta idoneo (ad esempio un sistema a due pezzi di
ampio diametro), la qualità di vita che ottiene dopo l’intervento è certamente di molto superiore
a quella offerta da una patologia stomale ben “apparecchiata”.
Mi sono decisa a scrivere per rispondere alla lettera della Sig.ra V. P. P. (PI) che dice di non
poter portare la ventriera a causa dello stoma.
Un buon ortopedico può adattare la ventriera praticando un occhiello di dimensione adeguata
facendo fuoriuscire il sacchetto in modo da permetterne il cambio. ....In quanto alla riduzione
così drastica delle forniture è veramente vergognoso anche perché non tutti hanno bisogno della
stessa quantità di sacche. Io ne consumo una al giorno e con una scatola di scorta in più, nei casi
di necessità, vado avanti un anno.
....Approfitto per ringraziare la ConvaTec per avermi inviato le sacche perché per un disguido
dovuto ai nuovi tariffari e numeri del codice avevo avuto una fornitura sbagliata, così ho
telefonato al Numero Verde che hanno inserito un po’ dappertutto e hanno risolto il mio
problema con grande sollecitudine e gentilezza. Grazie ancora ......
Vi saluto con cordialità e con gratitudine per quello che fate.
E. M. R. Buccinasco (MI)
Cara Lettrice,
il suo sfogo sulla riforma del Nomenclatore Tariffario per i presidi agli stomizzati è del tutto
legittimo e lo condivido in tutto. Con Lei non sono in sintonia riguardo il consiglio sulla ventriera
con il “buco”. A mio parere, le ventriere in tal modo adattate sono soltanto dannose in quanto
favoriscono l’insorgenza di patologie stomali, primo fra tutti il prolasso. La maggior parte degli
stomizzati, se ben consigliati sulla scelta dei sacchetti di raccolta e con una buona riabilitazione
ai fini della continenza, possono portare senza eccessivi problemi, determinati dalla stomia, le
usuali ventriere post-operatorie utili nella prevenzione dei laparoceli sia sulla cicatrice mediana
che intorno allo stoma.
Sono uno urostomizzato da circa 2 mesi con metodo Briker. Utilizzo un sistema a due pezzi con
placca da 70 mm. Essendo ancora inesperto chiedo consiglio su quale sia il modo esatto di
applicarla.
Faccio presente che la placca da 70 mm riesce appena a coprire lo stoma stesso, per cui sono
costretto a cambiarla spesso in quanto mi penetrano le urine lateralmente dove si forma la piega
della pancia.
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Inoltre ho anche un grosso problema per la notte che mi rende molto nervoso per il modo in cui
sono costretto a stare in posizione supina: in altre posizioni non riesco a starci per ovvi problemi
(stoma, placca, ecc.).
Per evitare questi inconvenienti chiedo alla vostra esperienza dei buoni consigli. Saluti cordiali.
L. F. Falconara (AN)
Caro Sig. L.,
la gestione di una urostomia pone differenti problemi rispetto agli altri tipi di stomi. L’urina
tende infatti ad infiltrare facilmente i sistemi di raccolta ed essendo molto irritante provoca
una serie di lesioni alla cute intorno allo stoma.
Nel suo caso specifico il problema dell’apparecchiamento dello stoma è legato ad un eccessivo
diametro dello stoma, oltre che ad una sua malposizione sulla parete addominale. Come primo
consiglio Le propongo di utilizzare oltre ai sistemi di raccolta a due pezzi, una pasta a barriera
da applicare negli spazi lasciati dalle pieghe intorno allo stoma.
Comunque è meglio che a ciò venga istruito da un Sanitario esperto.
Ho 65 anni, e da circa 2 sono colostomizzata. Alla dimissione dall’Ospedale i medici mi hanno
detto che potevo seguire una dieta libera, secondo le mie abitudini.In circa 2 anni sono
ingrassata di circa 13 chili e spesso accuso dolori addominali, “rumori” fastidiosi, sono costretta
a cambiare il sacchetto due, tre, quattro volte al giorno e lo stesso lo ritrovo pieno di aria. A ciò
si aggiunge un eccessivo cattivo odore sia delle feci che dei gas. Posso fare qualcosa?
M.B. Livorno
Cara Signora,
non mi meraviglio che i medici dell’Ospedale Le abbiano dato quelle indicazioni alimentari. Infatti
non ci sono motivi affinché un colostomizzato cambi le sue abitudini alimentari rispetto a prima
dell’intervento salvo alcune eccezioni.
Ci sono infatti alcuni alimenti che possono determinare in alcuni individui la formazione di gas in
eccesso, ed altri che in tutti gli individui, per naturale fermentazione, provocano cattivo odore.
Inoltre la vita sedentaria ed il cambiamento delle abitudini dopo l’intervento provocano la
tendenza ad un aumento di peso, a volte anche importante, causa di alterazioni morfologiche
dello stoma.
E’ importante quindi, in questi casi, seguire una buona igiene alimentare, preferendo cibi poco
grassi, la frutta tipo pere e mele, cibi cotti a vapore, alla griglia, arrosto, passare le verdure a
purea. Inoltre Le consiglio di rivolgersi ad un Centro specialistico per iniziare la pratica
irrigativa.
Sono stato operato due anni fa di carcinoma anale con conseguente regalo di stomia sinistra. Non
ho avuto alcuna assistenza medica all’uscita dall’Ospedale, salvo da un infermiere dello stesso a
pagamento per circa un mese e poi con un certo garbo mi licenziò dicendo che non poteva
protarre oltre. Fortunatamente parlando con uno stomizzato ho potuto contattare il reparto sito
presso il padiglione “Bassi” diretto dal Dott. Ciarletti e dalla stomaterapista Battilana.
Ho così iniziato tutti i possibili momenti per la cura e le attenzioni alla stomia e alla ferita che
era rimasta aperta dove era l’ano. Ora ho dietro tutto chiuso, ma lo stoma ha subìto un prolasso
abbastanza rilevato. Faccio una cura semplice ma non basta per sopperire al danno del prolasso.
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Uscendo dall’intestino è più rilevato e appena fuori la placca si piega impedendo la fuori uscita
delle feci che poi mano a mano si appiccicano sul sacchetto e non escono più e devo cambiare la
sacca.
Ho provato anche una nuova placca, ma siccome la pelle forma delle pieghe non posso usarla; ora
uso la placca flessibile. Cosa devo fare per curare questo prolasso?
A. A.- Roma
Caro Lettore,
la situazione del suo stoma, così come descritta, è tale da richiedere un intervento chirurgico di
revisione. Qualora infatti la presenza del prolasso pregiudichi la corretta applicazione dei
sistemi di raccolta, l’esecuzione della metodica irrigativa, l’igiene della cute peristomale è
necessario affidarsi al chirurgo.
L’intervento chirurgico per la correzione di un prolasso stomale viene eseguito in anestesia
locale, anche ambulatoriamente.
Caro Direttore,
sono una Signora operata il 3 dicembre 1991 e portatrice di una colostomia.
Devo dire che attraverso la lettura degli articoli pubblicati ho trovato risposta a molti dubbi che
mi affliggono in questo periodo, anche se quando vado dall’Oncologo, ogni tre mesi, gli sottopongo
tutti i miei problemi. Dunque anche a Lei ho il piacere di esternare i miei, tanti pensieri.
Il Chirurgo che mi ha operata (a Terni) mi ha detto che se voglio può sottopormi ad un nuovo
intervento per ricostituire la continuità intestinale; ma io non me la sento di sottopormi ad
un’altra operazione, anche perché nel 1976 ho subìto un’isteroannessectomia. Sono giovane, ho
49 anni, e spero che questa mia decisione in seguito non mi procuri danni. Come si comportano la
maggior parte delle persone nella mia condizione?
Un altro dubbio è legato all’uso della panciera o guaina con il buco di stoffa, non di elastico, fatto
su misura.
Inoltre la U.S.L. di mia appartenenza autorizza la fornitura di 50 sacchetti ogni 2 mesi, mentre
io ne adopero 4 al giorno.
Vorrei sapere inoltre come posso evitare il meteorismo e la fuoriuscita dei gas in quanto prendo
4 compresse di Mylicon al giorno ed evito di mangiare molti cibi (maiale, fritti, legumi,
minestrone di verdure); quindi mi è rimasto ben poco da scegliere.
Infine mi è stato detto che con questa operazione sono diventata invalida civile: se questo fosse
vero, in che percentuale lo sarei?
Ringraziandovi anticipatamente vi prego di rispondermi.
L. - Rieti
Cara Signora L.,
dalla sua lettera innanzitutto emerge un grado elevato di ansia ed apprensione e non è difficile
che ciò possa essere all’origine del suo meteorismo. Mettendo ordine ai “problemi” che mi ha
sottoposto, inizio col dirLe che, vista la Sua giovane età, è giustificato un reintervento per
ricostituire il normale transito intestinale, mentre non è giustificata la sua paura.
Infatti, se gli esami pre-operatori sono normali, il rischio operatorio, nel suo caso, non risulta
superiore a quello delle altre persone. Questo indipendentemente dal numero di interventi
precedentemente subìti. La chiusura della colostomia è un evento che molte persone desiderano
e questo, molto spesso, non è possibile. Comunque, fin quando non decide di operarsi, il mio
consiglio è di contattare un Centro Stomizzati per avere consigli utili sulla dieta, sulla
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riabilitazione (in modo da utilizzare meno sacchetti) e sull’uso corretto della panciera e della
guaina.
Io, comunque, non consiglio l’uso della panciera con il buco in quanto può provocare il prolasso
dello stoma.
Quello che può subito fare, invece, è andare alla U.S.L. di Sua appartenenza e protestare
vivamente sulle forniture, in quanto la quantità dei sacchetti che Le dovrebbero fornire è di 60
al mese e non ogni 2 mesi. E’ vero che Lei ha diritto al riconoscimento dell’Invalidità Civile e le
percentuali relative variano, a seconda della Commissione: tra il 50 ed il 100%. Tale
riconoscimento, inoltre, determina l’esenzione dal ticket per le visite specialistiche, relative alla
sua malattia ed alla gratuità dei materiali protesici. Comunque la sua lettera insieme a tante
altre sta portando all'attenzione della Direzione di ConTatto l'eventualità della creazione di una
rubrica di consulenza medico-legale. Speriamo bene.
Egregio Dott. Attilio Nicastro,
sono una ragazza di 18 anni e sono stomizzata da tre. Nell'ultimo numero di ConTatto ho letto
con molto interesse il suo articolo sull'alimentazione nei pazienti con stomi digestivi e a tal
riguardo volevo chiederle qualche consiglio. A 15 anni mi è stato diagnosticato un Morbo di
Crohn, poi in seguito a molti esami è stato meglio identificato come retto-colite ulcerosa. Sono
stata sottoposta ad un primo intervento chirurgico e mi hanno confezionato una colostomia,
senza resezione intestinale, ma in seguito provando a ricanalizzarmi si è riattivata la malattia e
quindi mi è stato asportato tutto il colon e confezionato una ileostomia che porto ormai da due
anni.
Mentre con la colostomia mi era sufficiente cambiare il sacchetto una volta al giorno, adesso
devo cambiarlo due o tre volte. Io non ho mai seguito una dieta, anche se ho smesso di bere latte
e mangiare verdure. Vorrei, attraverso i suoi consigli, riuscire a regolarizzare il mio intestino:
molto spesso è imbarazzante soprattutto quando mi trovo fuori, non è facile trovare un posto
dove mi possa cambiare. Da un paio di mesi lavoro seguendo l'orario che va dalle 6 alle 11 che non
mi permette di avere un modo regolare nel mangiare. Volevo rivolgerle alcune domande: è
possibile solamente seguendo un'accurata dieta regolarizzare l'intestino, fino a far sì che si
svuoti una sola volta durante la giornata? Caffè ed alcolici aumentano le evacuazioni? Ho sentito
molto parlare di prolasso: cos'è e come può venire? Possedete qualche depliant che elenchi i vari
alimenti, con specificato cosa possono provocare ad un portatore di stoma? Spero che
continuerete a pubblicare questo giornale che personalmente trovo molto utile ed interessante.
L. L. - Pinerolo
Cara L.,
inizio con il tranquillizzarLa che non è nei programmi della Redazione la sospensione della
pubblicazione, anzi abbiamo appena compiuto un anno e come tutti i neonati abbiamo solo voglia di
crescere e continuare a far bene, non con la presunzione di essere gli unici, ma almeno con la
coscienza di essere utili. Detto questo rispondo ai suoi quesiti: è difficile ma non impossibile
trovare un equilibrio alimentare che possa regolarizzare l'alvo nel suo caso; vista la sua giovane
età ed il tipo di lavoro che svolge questo costerebbe un pò di sacrifici. Nel numero precedente a
questo ho trattato specificatamente il tema delle ileostomie, spero di aver esaudito con quello le
indicazioni che mi chiedeva, altrimenti per poterLa meglio aiutare aspetto un suo nuovo contatto
per darLe dei consigli più personalizzati e dedicarLe più spazio di quanto riesca a fare in questa
rubrica. Alcuni consigli li può trovare su alcuni opuscoli distribuiti dalle aziende del settore, che
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comunque contengono, a mio parere, alcune imperfezioni. Certo, caffè ed alcolici aumentano la
motilità intestinale e quindi andrebbero ridotti se non aboliti nell'uso quotidiano. Il prolasso è
un'esuberanza della mucosa stomale e la sua causa è in un difetto di tecnica operatoria oppure in
una cattiva gestione della stomia o ancora può essere legata ad un aumento di peso. Le ileostomie
vengono confezionate già "prolassate" in modo tale che le feci non vengano a contatto con la cute
peristomale, in quanto essendo molto irritanti, potrebbero provocare gravi dermatiti.
Egregio Direttore,
sono uno stomizzato da tre anni ma non entro in merito all'operazione subita e per la quale sono
ben controllato dal Centro A.I.STOM. Solamente vorrei sapere se l'ipertensione arteriosa
riscontratami dopo l'intervento può avere una correlazione con lo stesso. Ho 69 anni ed
attualmente effettuo l'irrigazione a giorni alterni: sono parsimonioso nel mangiare, non bevo
alcolici e prendo un solo caffè al giorno.
D. - Portoferraio
Caro Lettore,
mi complimento per la buona assistenza che lei riceve dal Centro A.I.STOM. Finalmente una
lettera che gratifica l'operato di chi si occupa dell'assistenza continua dei pazienti stomizzati.
Riguardo al quesito che mi porge posso solo dirle che spesso i traumi operatori svelano
alterazioni metaboliche e cardiocircolatorie che si trovano in una fase di quiescenza prima
dell'intervento. Comunque per un esatto inquadramento della sua ipertensione, le consiglio di
rivolgersi al medico del suo Centro A.I.STOM che, avendola in assistenza continua, sicuramente
le sarà di aiuto per un esatto inquadramento diagnostico e terapeutico.
Caro Direttore,
trovo molto interessante e utile leggere ConTatto che ricevo quasi come un amico col quale si può
parlare di cose delicate. Nell'ultimo numero, in risposta alla lettera di A. D'E. di Brindisi,
consigliavate su una stomia di usare una panciera post-operatoria per evitare i disguidi provocati
dalle feci.
Io sono stato operato 5 anni fa per un adenocarcinoma al retto con resezione dello stesso e
confezione di un ano preternaturale definitivo sinistro. Eseguo l'irrigazione ogni mattina ma
periodicamente devo cambiare la sacca a fine giornata. Ho sempre avuto l'intestino "facile" e in
più soffro in modo leggero di gastrite. Ho quindi provato ad usare la panciera col buco, anche
perché ho un pò di pancetta ma l'ho trovata scomoda e non mi sentivo a mio agio. A suo tempo mi
era stato detto di non usare vestiario molto attillato: mentre sono stato operato e controllato in
modo egregio, non altrettanto sono stato consigliato come comportarmi. La mia richiesta è quella
di sapere se anche io posso usare la panciera post-operatoria e cosa succederebbe se per caso vi
dovessero essere delle perdite. Ringrazio anticipatamente con gli auguri di un lavoro ricco di
soddisfazioni.
Con stima
L. R. - Padova.
Caro Signor L.,
forse la mia risposta alla Gentile Signora di Brindisi non è stata chiara: il consiglio dell'uso della
panciera post-operatoria non riguardava il controllo delle feci, bensì la prevenzione del
laparocele e del prolasso post-operatorio. L'uso della panciera è favorita dalla esatta
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applicazione dell'irrigazione, che rendendo continenti, evita disguidi legati alla presenza di feci
nel sacchetto. In questo numero è pubblicato l'articolo riguardante la dieta e l'irrigazione e
spero potrà trovarvi le risposte giuste alle sue domande ed alla difficoltà di raggiungere un
maggior periodo di continenza. Certamente, può usare la panciera post-operatoria senza nessuna
remora; se dovesse verificarsi una evacuazione improvvisa gli inconvenienti sono legati
esclusivamente alla imperfetta adesività del sacchetto sulla cute determinata dalla pressione
della panciera. Cordiali saluti ed auguri.
Caro Direttore,
La prego di perdonare se mi esprimerò in maniera poco chiara e non appropriata ma è la prima
volta che riesco ad avere il coraggio di parlarne apertamente, dopo aver letto il Vostro appello
lanciato sul N. 6/7 a frequentare il centro per colostomizzati.
Mi chiamo R. C. ho 46 anni sono (ero) molto efficiente e con tanta voglia di vivere.
Poi è successo, così senza preavviso, senza rendermene conto, grazie alla velocità e tempestività
dei medici dell’Ospedale Bassini di Cinisello: diagnosticato il male (al retto) hanno operato
facendo di tutto per salvarmi la vita. Così il 28 novembre 1991 mi ritrovai a far parte dei
colostomizzati, cosa purtroppo che non ho mai accettato. Mi trascino giorno per giorno, cercando
di non far pesare il mio malessere sulle persone che mi circondano, soprattutto a mia figlia (18
anni) e a mio marito.
Purtroppo è proprio questo il punto, lui non ha mai accettato quanto mi è capitato, non ne
parliamo quasi mai, quasi a cercare di dimenticare, ma io sola so come mi sento.
Caro Direttore vorrei sapere se esiste qualcosa che possa ridare elasticità ai tessuti ustionati e
resi doloranti dalla radio terapia. Questo ha fatto sì che i tessuti vaginali si ustionassero e
purtroppo, a nulla sono servite le creme prescrittemi dai ginecologi e medici con i quali ho preso
contatto. La realtà è che non ho più rapporti intimi con mio marito. Tutto ciò mi rende ancora di
più triste ed infelice; al punto che spesso mi trovo a chiedere, perché proprio a me?
Caro Direttore, ho vissuto tutto questo quasi come un incubo, parlandone poco con chi mi sta
vicino, e soffrendo in silenzio la mia storia. La prego, mi risponda, spero di ricevere al più presto
il prossimo numero, su cui trovo tante risposte di persone come me. Solo leggendo quelle pagine
sento di non essere sola.
La ringrazio e saluto cordialmente.
R. C. - (MI)
Cara Signora,
comprendo il suo stato che è simile a quello di tutti quei pazienti che vengono privati di una
funzione fisiologica. Voglio solo dirle che la vita va vissuta fino in fondo e che ogni intervento
volto alla sua salvaguardia è giustificato. E' vero che ci dobbiamo porre dei limiti, ma soprattutto
per le patologie da cui lei è stata colpita ormai i progressi ci permettono grandi risultati, anche
se a costo di provocare mutilazioni e "umiliazioni" quale può essere giudicata la confezione di una
colostomia. Lei è nel pieno della sua esistenza e deve trovare la forza interiore per uscire allo
scoperto e capire che la sua vita viene prima di tutto.
Gli stomizzati non rappresentano una categoria di persone, né una casta, né una associazione di
handicappati ma sono semplicemente delle persone che sono state sottoposte a cure per
malattie importanti e che hanno bisogno di una assistenza medica ed infermieristica seria,
continua ed efficace. Ne più ne meno come tutti gli individui di questo mondo. Certo, possono
avere esigenze diverse dagli altri ed altri problemi, ma a tutto questo devono e trovano una
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risposta; ecco perché la necessità dei centri specialistici di cura e riabilitazione. Io sono sicuro
che presso il Centro della sua città troverà tutte le risposte alle sue angosce e le consiglio di
portare al Centro anche suo marito e sua figlia e di farli parlare con il medico e con gli altri
pazienti. In questo modo potranno capire che non sono i soli ad avere questi problemi e come
questi si possono superare. I Centri sono aperti alle famiglie dei nostri assistiti perché, anche se
con sfumature diverse, i problemi si riflettono su ogni singolo componente, ammalato o meno.
Sono convinto che i medici e gli infermieri del Centro sapranno non solo risolvere i problemi
pratici legati alla gestione quotidiana della stomia, ma le sapranno dare la terapia per le lesioni
da radioterapia e sapranno risolvere i problemi psicologici suoi e di suo marito, per ridare
serenità e tranquillità ad una famiglia che non può essere resa infelice dal "passaggio" fugace di
una malattia.
Gent.mo Direttore,
con tanto interesse ed attenzione leggo “ConTatto”. La ringrazio del bene che fa a tutti gli
stomizzati: è segno di animo nobile e buono. Lo scrivente è un povero diavolo, padre di famiglia,
che fu sottoposto ad intervento chirurgico quattro anni fa, nel gennaio 1990, presso l’Ospedale
di Avellino ed operato per “K del sigma-retto”. Successivamente mi sottoposi a radioterapia,
sulla pelvi, con acceleratore nucleare lineare presso la Casa di Sollievo della Sofferenza di San
Giovanni Rotondo (FG). Dopo circa un anno sono stato sottoposto ad un nuovo intervento a causa
di una stenosi dell’intestino di natura attinica (conseguente alla radioterapia) con la “resezione
del sigma discendente, con associata enteropatia attinica e con confezione di ano iliaco
definitivo”, presso il Policlinico di Napoli.
Il mio problema attuale è questo: vivo in un piccolo paese del sub-appennino, lontano dai centri
per cui non ho neppure la possibilità di chiedere per essere illuminato e consigliato. Ho 68 anni e
mi riesce difficile raggiungere i Centri ospedalieri delle grandi città per avere una certa
assistenza. Vado soggetto a diarrea o stipsi a sbalzi, per un nonnulla: sono costretto perciò al
cambio di molti sacchetti che devo comprare ed integrare con quelli che mi passa la U.S.L.. Non
mangio legumi, verdure, niente latte e tutti i cibi ricchi di scorie. Premesso questo, la mia
domanda è la seguente: posso fare l’irrigazione a giorni alterni o tutte le mattine?
A. C. (FG)
Caro Sig. Antonio,
sono io a ringraziarla per le gentili parole che confortano tutti noi a continuare “l’avventura” di
ConTatto. La sua lettera mette in evidenza come è difficile organizzare una assistenza
specialistica capillare ed estesa a tutti i pazienti, ma è mia opinione che i suoi problemi
dovrebbero e potrebbero trovare risposta dalla assistenza medica di base. Dicendo questo non
voglio accusare nessuno o scatenare polemiche, ma voglio sottolineare la necessità di una
maggiore sensibilizzazione verso i problemi degli stomizzati da parte di tutti i responsabili della
Sanità, dall’Ordinamento degli Studi Universitari della Facoltà di Medicina e Chirurgia, all’Ordine
dei Medici, dalle U.S.L. al Ministero.
Premesso questo rispondo alle sue domande. Un primo consiglio è rivolto alla regolarizzazione del
suo stato diarroico, che potrebbe essere legato all’enterite attinica residua; quindi provi ad
assumere regolarmente dei fermenti lattici vivi per cercare di normalizzare la flora batterica
intestinale. Se con tale trattamento per circa due mesi non ha più episodi diarroici frequenti può
eseguire l’irrigazione. Nella mia pratica clinica faccio eseguire l’irrigazione tutti i giorni per una
settimana; se questo periodo di continenza diventa stabile, con alcuni accorgimenti dietologici
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(che Lei peraltro già segue),l’intervallo può passare a 48 ore e successivamente a 72. Comunque
nel suo caso Le consiglio di contattare un Centro di stomizzati vicino e lo frequenti almeno ogni 3
mesi, per ricevere utili risposte e fare un necessario programma di follow-up oncologico.
Egr. Direttore,
non so se questa è la strada giusta. In tutti i modi, visto che vi interessate molto di noi
stomizzati, vi prego di inserire negli S.O.S. un problema non citato ma sentito da tutti. Ciò che
più umilia molti di noi è il “sesso annullato”. Il sesso non è forse un bisogno? Esistono delle
possibilità come le protesi, ma nessuno ci informa. Qualche chirurgo, per l’impianto di tali protesi
penine, chiede una somma che non è alla portata di tutti. Che si può fare? A chi rivolgersi? Quali
sono i chirurgi Specialisti? Quali sono gli aiuti delle U.S.L.? Quali sono gli Ospedali disponibili, a
prescindere dalla residenza? Quali sono le spese reali? In che consiste l’intervento
e quali sono le indicazioni ed i rischi?
R.S. Castellammare di Stabia (NA)
Egr. Sig. Raffaele,
accolgo con piacere il suo S.O.S. in quanto il problema che solleva è molto importante. Penso che
sia utile pubblicare la Sua lettera poiché il “sesso annullato” coinvolge la maggior parte dei
pazienti stomizzati, sia uomini che donne, di tutte le età, di ogni estrazione sociale, culturale e
religiosa. E’ vero, lo stomizzato che dopo l’intervento chirurgico non può svolgere attività
sessuale, si sente maggiormente umiliato, in quanto oltre alla scomparsa di una funzione
fisiologica, quale la defecazione o la minzione, scopre un ulteriore “mutilazione”, quella sessuale
che è anch’essa una funzione fisiologica e un bisogno primario dell’individuo. Lo stesso problema,
in maniera più sfumata, era stato sollevato da altri lettori, quindi è sorta la necessità di
approfondire l’argomento su tutti i possibili “guai” che compaiono dopo l’intervento chirurgico. Mi
permetto, caro lettore, di non rispondere direttamente alle sue giuste domande, volendo lasciare
i suoi interrogativi aperti ad un dibattito fra tutti i pazienti e gli operatori del settore.
Comunque in uno dei prossimi numeri dedicheremo uno spazio adeguato al problema specifico da
Lei sollevato, che sarà affidato e curato da un esperto della materia.
Caro Direttore,
sono una Signora di 35 anni stomizzata ormai da 18, operata per poliposi intestinale al S. Orsola
di Bologna. Sto molto bene ma leggendo ConTatto, ho cominciato a sentire parlare di irrigazione
e la pregherei di delucidarmi a proposito. Avrei altri 2 quesiti: 1- la secrezione biancastra
rettale, che ho sempre avuto fin dall'operazione, è una cosa normale? 2- Unico problema, il mio
peso dai 30 Kg prima dell'operazione è arrivato agli 83 attuali (molto velocemente) e non riesco a
dimagrire: sono praticamente a dieta perenne.
Ha qualche consiglio in proposito? La ringrazio molto e le faccio i complimenti estesi a tutta la
Redazione per questo ottimo giornale.
B.F.
Cara Signora,
la ringrazio per i complimenti. Lei è stata operata al S. Orsola di Bologna dove esiste
A.I.STOM. (deputato all'assistenza dei pazienti stomizzati) al quale doveva essere
per ricevere le giuste indicazioni sulla dieta da seguire e sulla cura dello stoma.
risentito eccessivamente dei problemi, ma dai quesiti che mi porge questi esistono e
principalmente al Suo eccessivo aumento ponderale ed alla secrezione rettale.
una Centro
indirizzata
Lei non ha
sono legati
Da quanto
62
interpreto dalla Sua lettera Lei è portatrice di una ileostomia (penso che l'intervento chirurgico
a cui è stata sottoposta sia consistito nell'asportazione di tutto il colon, conservando il retto per
un'eventuale ricostruzione a distanza di tempo). I pazienti che possono eseguire l'irrigazione
sono quelli con una colostomia. Infatti i pazienti con una colostomia conservano un tratto di
grosso intestino dove giungono continuamente le feci liquide dall'ileo; nel colon le feci ristagnano
più a lungo e vengono solidificate attraverso l'assorbimento dell'acqua in esse contenuta. Invece
l'efflusso di feci (solo liquide) dall'ileo è continuo. Per queste caratteristiche nei pazienti con
colostomia l'irrigazione pulisce il colon dalle feci e dai gas per un periodo variabile di tempo,
nell'ileostomia questo non è possibile. Per quanto riguarda le secrezioni rettali, queste non sono
altro che muco prodotto dalle cellule intestinali; è necessario comunque che Lei si sottoponga ad
un controllo endoscopico per escludere la presenza di polipi nel retto, quindi periodicamente può
effettuare dei microclismi per pulire l'ampolla rettale da questi residui mucosi. Il consiglio che
comunque mi preme di darLe è di ritornare ad un peso forma ideale e prendere in considerazione
un reintervento (se le condizioni cliniche lo permettono) per la ricostituzione della continuità
intestinale. Si rivolga quindi ad un centro vicino alla Sua residenza dove potranno darLe utili
consigli sulla dieta e farLe perdere "qualche" chilo di troppo.
Sono uno stomizzato, operato nel maggio 1981, a 65 anni. L'operazione mi ha precluso rapporti
sessuali; pare che alcuni nervi siano stati lesi. Meglio così. All'inizio, con l'aiuto di validi
enterostomisti dell'Ospedale di Lucca, ho tentato l'irrigazione. Ma era troppo scomodo. Ho
preferito il sistema delle placche con flangia e sacchetti a fondo chiuso. Dopo tre mesi
dall'operazione ero già abbastanza in forze, tanto da partecipare alla (lenta) marcia Perugia Assisi di oltre 30 Km. Poi sono tornato alla montagna, da buon alpino, per percorsi anche
impegnativi. D'estate non ho rinunziato a qualche nuotata in mare. Guido un camper lungo 7 metri
per tutta Europa e Nord Africa. Continuo a viaggiare spesso, ovunque. Insomma vivo; non ho
"riscoperto la vita" ma ho continuato la vita normale ed intensa del periodo precedente
l’operazione. Non ho avuto rinunce per l’alimentazione. Un pò per volta, ma presto, ho ripreso a
mangiare normalmente, di tutto, senza esclusione; ho solo ridotto il vino. Ma il cibo è rimasto
abbondante, l'appetito normale, le pietanze ben variate tutto, tranne il pesce che aborro! Non ho
mai avuto inconvenienti seri: solo qualche volta (ormai sono quasi 13 anni) necessità di improvvisi
e urgenti cambi del sacchetto. L'unico inconveniente grave deriva dall'accentuato prolasso che si
è verificato all'addome, sì che la placca non trova più una superficie piana dove aderire. Quattro
anni or sono affrontai un'operazione chirurgica di riduzione del prolasso; ma non è servita, in
quanto il prolasso si è ripresentato subito. Ho trovato rimedio cingendo i quattro lati della placca
con cerotti adesivi che tengono fermi e più salda la placca. A volte però la placca si solleva o si
rompe presso la flangia sporgente, ove aderisce il sacchetto. Qualche volta, se non sto attento e
non pratico frequenti ricambi, le feci scivolano anziché nel sacchetto, tra la cute e la placca e
fuoriescono lateralmente. Può darsi anche che lo stoma, che esce dall'addome, è piuttosto corto,
sì che la "bocca" dell'intestino e di poco al di sopra del livello della flangia. Ho provato anche il
sistema della sacca ad un pezzo, ma non è pratico, per me. E' preferibile lasciare la placca e
cambiare il sacchetto. Vorrei tentare ancora un'operazione riduttiva del prolasso. Ma alcuni me
la descrivono come certa e positiva, altri invece mi dicono che i miei muscoli ormai sono vecchi
(ho 78 anni) e che quindi il prolasso si riverificherebbe, anche se con "rinforzi" interni
all'addome. Posso avere il vostro parere?
Grazie cordialmente.
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A. (Lucca)
Caro Signor A.,
mi permetta di pubblicare la firma con il solo nome, nonostante la Sua volontà, ma Lei è l'esempio
eclatante di quanto ormai predichiamo da anni ed anni. Trascrivo quasi integralmente la Sua
testimonianza in quanto utile per tutti i nostri lettori. Mi complimento per la Sua vitalità e voglio
solo darLe alcuni consigli riguardo l'irrigazione ed il "prolasso". Se comprendo bene, la patologia
stomale che Lei porta non è il prolasso bensì un’ernia peristomale la cui presenza non solo
determina la difficoltà di portare i sistemi di raccolta delle feci ma anche pregiudica una giusta
esecuzione dell'irrigazione.
Quest'ultima se ben condotta porta ad una autonomia di anche 72 ore e può essere eseguita in
15-20 minuti. Quindi vista la Sua prestanza psico-fisica (vecchi non si è per l'età anagrafica) Le
consiglio di tentare un nuovo intervento di riparazione dell'ernia. Le tecniche chirurgiche sono
diverse ma la decisione spetta sempre al chirurgo che sicuramente adotterà quella che reputa la
migliore soluzione del Suo caso. Resto comunque a Sua disposizione per eventuali altri
chiarimenti.
Egregio Direttore,
sono una stomizzata da 26 anni ed ho 78 anni. Sono molto ansiosa e preoccupata per lo sviluppo
di un prolasso. Desidero avere un suo consiglio. Mi può spiegare come si potrebbe svolgere? La
paura è tanta. Grazie.
A. B. Sarnico (BG)
Cara Signora A.,
il mio consiglio è di farsi visitare da uno specialista per la valutazione della gravità del prolasso.
Se questo non è di notevole entità, e se non le provoca disturbi e non impedisce l'uso dei
sacchetti di raccolta non è detto che vi sia l'indicazione all'intervento chirurgico. Anche se
questo fosse necessario, ormai sono molti i centri che attuano l'intervento in anestesia locale e
senza ricovero in ospedale: questo permette di annullare i rischi legati all'anestesia generale e
permette anche alle persone della sua età di affrontare senza paura un "piccolo" intervento che
le restituirà tanta tranquillità.
Egregio Dottor Nicastro,
sono una ragazza di 28 anni, circa sei mesi fa sono stata ricoverata e mi è stata diagnosticata
una rettocolite ulcerosa. Sono stata quindi sottoposta ad un intervento di colectomia totale con
conseguente ileostomia. I medici dicono che intendono ricanalizzarmi non appena il moncone
rettale (che mi è stato lasciato) non sarà più infiammato. Vorrei sapere se è possibile nel mio
caso la ricanalizzazione, visto che malgrado continui a curarmi facendo anche clismi ogni sera il
retto è ancora molto infiammato. Inoltre cosa avverrà dopo la ricanalizzazione, visto che non
capisco chi farà le funzioni del colon? Infine gradirei sapere con un po' di chiarezza il tipo di
alimentazione da seguire visto che ho sentito sempre pareri discordanti; ho abolito
completamente le verdure, le bevande gassate ed il caffè, bevo solo un po' di latte al mattino
perché non ho riscontrato grossi problemi.
T.G. - Sanremo
Cara lettrice,
vista la data in cui riusciamo a pubblicare la sua lettera, spero che tutti questi interrogativi
abbiano trovato una risposta valida nella quotidianità e che lei sia stata già sottoposta
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all'intervento di ricanalizzazione. Comunque rispondo ai suoi quesiti in quanto di interesse
generale. Nei casi come il suo, la ricanalizzazione è indicata ed è possibile eseguirla anche se il
retto resta interessato dalla malattia, il retto può essere ulteriormente resecato oppure è
possibile asportare solamente la mucosa. Nel primo caso la ricanalizzazione avverrebbe
congiungendo l'ileo all'ano, nel secondo caso la congiunzione (anastomosi) avverrebbe sempre tra
l'ileo ed una piccola porzione di parete rettale. I motivi che legano il chirurgo alla conservazione
del retto sono diversi: primo fra tutti, in sincerità, la maggiore difficoltà ad eseguire una
anastomosi ileo-anale, che è inoltre gravata da maggiori complicanze rispetto ad una anastomosi
ileo-rettale. Inoltre durante questo tipo di intervento viene creata una borsa (pouch) con il
tratto più distale dell'ileo, che viene poi ricongiunto all'ano o al retto, allo scopo di costituire un
serbatoio che supplisce l'ampolla rettale. Dopo l'intervento di ricanalizzazione, l'unico
inconveniente immediato è legato al numero delle evacuazioni durante la giornata che possono
essere anche 10-15 e più. Questo fenomeno è legato alle caratteristiche delle feci ileali che sono
liquide e che quindi stimolano continuamente l'evacuazione (come avviene con l'ileostomia);
gradualmente questi fenomeni regrediscono e dopo circa 3 mesi dall'intervento il numero delle
evacuazioni va regolarizzandosi e la borsa ileale comincia a funzionare come un vero e proprio
serbatoio rettale (colonizzazione dell'ileo). Quindi le feci vanno man mano solidificandosi e se si
associa una adeguata alimentazione (che lei già in parte segue), il numero delle evacuazioni al
giorno possono arrivare anche ad 1-2. A mio parere vorrei aggiungere infine, che val la pena di
sopportare tutto quello che potrà accadere dopo l'intervento di ricanalizzazione, vista anche la
giovane età dei pazienti affetti da questo tipo di malattia in quanto sicuramente permette una
migliore qualità di vita.
Caro Direttore,
ho ricevuto tempo addietro il n° 8 di ConTatto che ho letto con molto interesse perché sono
stomizzata da circa 6 mesi; l'ho trovato molto utile per i consigli che date e per la parte
riguardante la dieta più idonea. Sono spiacente di non avere i numeri precedenti. Io ho subìto
due interventi in due mesi; il primo nell'aprile 1993, al colon e con mia grande sorpresa e dolore
mi sono trovata stomizzata, delusa e demoralizzata. Il secondo intervento è stato eseguito in
giugno, per cambiare lo stoma con un altro perché il primo s'ingrossava rapidamente e non
c'erano placche e sacche che lo potevano contenere. Nel mese di luglio mi diagnosticarono una
fistola che si è risolta spontaneamente con l'uso di protesi idonee. Andava tutto bene, ma, ecco
che da un po' di tempo è sopraggiunto un altro guaio! Mi si è ingrossata la parte intorno alla
stomia e il chirurgo interpellato ha detto che si tratta di un'ernia e che al momento non
bisognava intervenire perché non dava alcun disturbo. Io intanto sono molto preoccupata e
terrorizzata e non vorrei essere più operata. Consigliatemi se c'è un diverso rimedio e come
comportarmi con la dieta e con i movimenti. Sono molto anziana e non potendo facilmente
spostarmi vorrei sapere se in Sicilia vi sono centri di assistenza. La ringrazio per l'interesse che
ha per noi infelici stomizzati.
G.G.D.R.
Cara Signora,
dal suo racconto si percepisce come l'unica cosa che lei non ha accettato è la stomia; certamente
è difficile farlo ma, la sua presenza è indice di "vitalità". Infatti quando siamo costretti ad
eseguire una amputazione di un organo, creando un deficit al paziente, noi non siamo molto
contenti ma siamo sereni che da questo atto operatorio il paziente ne trae un beneficio dal punto
di vista della qualità e della quantità di vita. Per questo ritengo sia sbagliato non spiegare al
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paziente il tipo di intervento a cui sarà sottoposto e quali sono le sue conseguenze. Comunque
bisogna pensare al presente. Da quanto mi scrive Lei è portatrice di una ernia peristomale;
questa frequente patologia stomale può essere trattata chirurgicamente. Però si può anche
evitare di far aumentare le ernie portando una panciera elastica resistente, consiglio che le do,
insieme a quello di non limitare i movimenti: anzi faccia delle belle passeggiate, molto salutari. La
dieta che Lei segue è corretta: si ricordi di limitare un po' i brodi e le verdure ed un caffè al
giorno, pressione e cuore permettendo, non si nega a nessuno. Comunque per le sue necessità si
può rivolgere al centro A.I.STOM. di Palermo che Le potrà fornire l'indirizzo del centro più
vicino a lei.
Egregio Direttore,
sono uno stomizzato, operato per la prima volta nella primavera del 1990 per carcinoma rettale e
nel 1991, una seconda volta per una flogosi attinica dell’ileo. Il grande problema che mi assilla da
sempre è il pericolo di una fuoriuscita improvvisa di materiale fecale che si infiltra tra la parte
adesiva della sacca e l’addome provocando il distacco della sacca stessa. Per fortuna mi succede
di rado (4-5 volte in un anno) ma sono oltremodo ossessionato perché potrebbe succedermi
anche quando sono fuori di casa. Il mio alvo è poco controllabile. In genere ho una prima
evacuazione, formata ed abbondante, al mattino, poi altre susseguenti di modesta entità che si
esauriscono nelle ore pomeridiane. A volte l’evacuazione avviene nelle ore notturne ed ho
abbondante formazione di gas. La provvidenziale irrigazione non è indicata al mio caso, come mi è
stato confermato dal Centro A.I.STOM. della mia città, in quanto il secondo intervento ha
portato alla demolizione del colon destro. Da allora l’alvo si è mantenuto “insubbordinato”, tanto
da impormi l’uso delle sacche a fondo aperto. Attualmente eseguo una terapia medica che serve a
sopperire al malassorbimento del mio intestino corto, mangio con molto appetito la dieta che
osservo è quella prescrittami alla dimissione dell’ospedale. Mi permetto di rivolgermi a Lei
esprimendoLe tutta la mia stima sperando di venire a conoscenza della causa di questo grave
inconveniente. Voglia gradire i miei distinti saluti.
N. B. – Mantova
Gentilissimo Signor B.,
ho preso visione della documentazione allegata alla Sua lettera ed anche in base a quanto Lei
descrive, posso dire che c’è qualcosa di sbagliato nella sua dieta. Innanzitutto a causa della
brevità del colon residuo, il suo alvo è simile a quello dei pazienti con ileostomia e di conseguenza
le feci sono semisolide o liquide, l’emissione è frequente durante la giornata ed alcune volte
violenta. La dieta che Lei segue è carente in alcune indicazioni, infatti Le consiglio di evitare il
latte ed i latticini freschi, i brodi di ogni genere, le verdure, il cioccolato ed i suoi derivati. Le
consiglio di attenersi ai consigli dati ai pazienti con ileostomia, inoltre penso che Lei possa
trovare giovamento con l’uso delle protesi a due pezzi in quanto la piastra adesiva ha una migliore
protezione della cute peristomale e ha una maggiore adesività.
Gentilissimo Direttore,
leggo con molto interesse il vostro giornale e Le scrivo per esporLe il mio problema. Ho letto
attentamente l’articolo del Prof. Filippo La Torre sulle patologie stomali ernie e prolassi, articolo
molto ben esposto e chiaro. Io sono stato operato nel 1986, sono portatore di una colostomia ed
eseguo l’irrigazione a giorni alterni. Da circa un anno mi sono accorto di una tumefazione, grossa
come una arancia, a fianco dello stoma, che non si è ingrossato ed è ben funzionante. Più volte
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sono stato controllato dal medico del Centro stomizzati dell’Ospedale S. Giovanni, che mi ha
diagnosticato l’ernia peristomale ed ha consigliato l’intervento chirurgico in quanto questa tende
al aumentare di volume. Ho 73 anni ed ho sempre portato la ventriera post-operatorio senza
buco, chiedo, è possibile che l’ernia sia stata la conseguenza di una colonscopia particolarmente
fastidiosa in quanto l’operatore rivelava una difficoltà al passaggio dello strumento?
La ringrazio vivamente, un caro saluto a tutti voi.
D.V.L. - Torino
Caro lettore,
sono molto contento dell’interesse che ConTatto suscita nei suoi “destinatari”. Il problema
dell’ernia peristomale di cui Lei è portatore è stato ben inquadrato dal collega che lo segue al
Centro stomizzati. Il trattamento chirurgico è sicuro, rapido, di facile esecuzione e si può
eseguire anche in anestesia locale; l’insorgenza dell’ernia, nonostante le giuste precauzioni da Lei
adottate, può essere determinata da tanti altri fattori, anche da manipolazioni incongrue dello
stoma, ma a questo punto è più importante risolvere il problema che andare a ricercarne le
cause.
Gent.mo Direttore,
ho ricevuto ConTatto ed ho letto tutto attentamente. Però debbo notare che per gli
urostomizzati non si dice nulla: e sì, siamo tanti. Si parla solo di stomie intestinali, eppure anche
la nostra infermità lascia poco spazio alla libertà. Nel mio caso, fra l’altro, è sparita la capacità
virile! Le operazioni gionaliere sono indispensabili. C’è qualcosa di nuovo per noi? Siamo fermi a
dieci anni addietro ed abbiamo la necessità di qualcosa che la scienza ponga a nostra
disposizione! Pensate pertanto anche a noi,... ne abbiamo necessità anche morale. Abbiamo
bisogno di aiuto e nei piccoli centri non ci sono organizzazioni specializzate disponibili.
Grazie e tanti rispettosi saluti, buon lavoro.
A. C. Castiglione delle Pescaia (GR)
Egregio Signor C.,
pubblico volentieri questa sua lettera su ConTatto in quanto trovo del tutto legittime le sue
parole. Effettivamente abbiamo dedicato poco spazio ai problemi dei pazienti con derivazioni
urinarie, ma ci eravamo già da tempo proposti uno speciale “Urostomia”, anche se, come avrà già
notato nel numero 14 abbiamo cercato di rimediare. La sua lettera viene pubblicata a conferma
della necessità di informazione in questo specifico settore. Spero che Lei possa trovare le giuste
risposte a qualcuno dei suoi problemi. Come può notare la ricerca non si è fermata e anche nel
campo delle Urostomie sono tanti i progressi sia dal punto di vista scientifico che da quello
industriale. La ringrazio per averci fatto notare la nostra mancanza (un po’ consapevole). Le
rivolgo un caloroso saluto.
Egregio Dott. Attilio Nicastro,
ho 68 anni sono stomizzato da 3 anni. Sono stato operato presso la Chirurgia Generale
dell’Ospedale Civico di Palermo per una neoplasia stenosante, del retto con occlusione intestinale
(diagnosi definitiva adenocarcinoma del retto stadio C di Dukes).
Sono stato sottoposto a 2 interventi chirurgici; dopo l’intervento sono stato sempre bene sino ad
oggi; da tre anni non ho accusato nessun tipo di sintomo. Soltanto da un po’ di tempo soffro di
prolasso che fuoriesce di circa 8 centimetri. Vorrei un consiglio da Lei: dove posso ricoverarmi
per un reintervento sulla stomia? A Roma ci sono tanti Centri, vorrei che mi indicasse dove
potrei andare; a Palermo c’è un Centro ma sono indeciso ad andarci.
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La ringrazio di vero cuore.
Lettera firmata - Palermo
Caro amico,
la ringrazio per la sua chiarezza e per i complimenti, che non vengono riportati per motivi di
“pudore” e di spazio, ma mi viene voglia di rivolgerle una domanda. Come mai un paziente così ben
seguito ed assistito, così ben informato sul suo stato di salute, desidera rivolgersi ad un altro
Centro chirurgico per una patologia di ben più irrisoria importanza? Il mio dubbio è che anche
Lei sia affetto dalla “Sindrome dell’Esterofilia”; mi creda non è poi sempre vero che l’erba del
vicino è sempre più verde. Infatti penso che a Palermo, come in tutta Italia, esiste il Centro ed il
Chirurgo (primo fra tutti quello che lo ha già sottoposto ad intervento), che può risolvere i suoi
problemi in maniera qualificata. L’unico consiglio è quindi quello di rivolgersi al Centro Stomizzati
di Palermo, evitando di affidarsi a inutili “viaggi della speranza”, dannosi per la sua salute e per la
salute dell’economia della sua bellissima Regione.
Egregio Dott. Nicastro,
mi rivolgo a Lei per chiederLe una cortese risposta sulla conoscenza delle cause, concause o
fattori preponderanti che danno luogo all’insorgere dei tumori intestinali. Rep il Policlinico S.
Orsola nel 1981, per “neoplasia del retto”, con relativa amputazione. Grazie all’encomiabile
assistenza del Centro A.I.STOM. dello stesso Policlinico, all’aiuto morale della mia famiglia, al
mio lavoro che ho ripreso dopo un breve periodo di convalescenza, nonché alla gran voglia di
vivere accompagnata dall’indispensabile grazia di Dio, mi sono abituato a convivere con i problemi
relativi alla mia situazione, all’inizio psicologicamente drammatica: nel mio intimo credevo di non
farcela. Oggi, però so, anche per merito di ConTatto, che tantissimi altri vivono il mio stesso
problema in piena normalita’, con coraggio e dignità, senza particolari complessi, sia pure con
tutti i limiti dovuti alla particolare infermità. In questi lunghi anni ho letto e ascoltato
moltissimo pur di conoscere l’origine delle neoplasie afferenti all’intestino ed in particolare della
colostomia, ma non ho mai trovato una risposta univoca. Quale la verità Dottor Nicastro? Sono
consapevole che nel campo delle patologie tumorali ed in quella che mi riguarda in particolare non
esistono certezze. Qualunque sia la sua cortese risposta un grazie di cuore, distinti saluti.
A.P. - Bologna
Gentile Lettore,
nessuno può darLe una risposta di certezza alla sua domanda. Al momento attuale abbiamo
individuato diverse cause che possono influire nell’insorgenza dei tumori intestinali, ma nessuna
di essa è riconosciuta come determinante. Negli ultimi anni sono stati individuati dei fattori
genetici ed è stata individuata una familiarità dei tumori intestinali, ma nessuna di essa è
riconosciuta come determinante. Ma tutto ancora resta nel campo delle ipotesi. Sarebbe
complesso risponderLe brevemente su tutti i fattori predisponenti ai tumori intestinali ma è
opportuno citarne alcuni quali la stipsi cronica, il basso consumo di fibre vegetali, il fumo,
l’eccessivo consumo di carne. A questi si aggiungono altri fattori, ambientali e personali, ma
vorrei approfittare della sua lettera per ricordare che i familiari diretti (genitori, figli, fratelli
e sorelle) dei pazienti già operati di tumore all’intestino rappresentano una popolazione ad alto
rischio di ammalarsi di questo tipo di tumore e quindi sarebbe opportuno che eseguissero un
accurato controllo annuale, per la diagnosi precoce delle lesioni tumorali e pre-tumorali. In
questo modo di tumore si può guarire e la qualità di vita è sensibilmente migliore.
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Egregio Direttore,
sono uno stomizzato che vive nella ignoranza delle norme che regolano la vita di questi
handicappati, trovandomi in una città ove purtroppo non esiste un centro specializzato. All’età di
60 anni sono stato operato per ben tre volte nel periodo che va dal 7 luglio al 22 ottobre 1988,
alla I Chirurgia dell’Ospedale S. Raffaele di Milano. So che mi hanno asportato 29 cm. di retto e
che sono sopravvissuto per un vero miracolo. Ho incontrato anche molte difficoltà nella giusta
scelta dei sacchetti. Dalla lettura di ConTatto ho appreso che quasi tutti i colostomizzati
praticano l’irrigazione. Poiché non me ne ha parlato nessuno mi rivolgo a Lei perché mi descriva in
che cosa consiste questa irrigazione, se posso farla anche io, quale apparecchiatura occorre e
soprattutto l’utilità che offre ai colostomizzati tale pratica. Nell’attesa di ricevere una risposta
invio cordiali saluti e vivissimi ringraziamenti.
S. V. Messina
Caro Signor S.,
spero che in questo numero di ConTatto trovi le giuste indicazioni alle sue domande. Mi perdoni
per l’estremo ritardo nella risposta ma le vostre domande sono veramente tante e questo a volte,
con nostro grande rammarico, ci impedisce di rispondere con sollecitudine ma d’altro canto ci
rende orgogliosi in quanto è indice del gradimento che gode la nostra rubrica.
Egregio Dottor Nicastro,
vorrei esporLe il problema di mio marito. Nel maggio del '94 a seguito di una occlusione
intestinale, ha subìto un intervento di derivazione intestinale con colostomia. Dopo circa una
settimana dall’intervento ha avuto una complicanza con peritonite e quindi un secondo intervento
chirurgico. Dopo 53 giorni è stato dimesso dall’Ospedale e dopo qualche mese si è completamente
rimesso, tanto che i medici gli hanno proposto l’intervento di ricanalizzazione che lui ha
accettato ed è stato eseguito nell’aprile del ‘95. Dopo l’intervento comunque ha avuto tre episodi
di dolori addominali; il medico curante ha detto che questi sono dovuti alle aderenze che si sono
formate a seguito degli interventi. Volevo domandarLe per piacere cosa sarebbe più conveniente
mangiare, perché ho sempre paura di cucinare pietanze a lui poco adatte.
M.L. - Piovene Rocchette (VI)
Cara Signora,
con estremo piacere constato che la nostra rivista continua ad interessare a persone che non
sono più stomizzate. A parte questo le suggerisco di evitare a suo marito cibi che possono
causare un eccessivo meteorismo intestinale come i legumi, il latte ed i latticini freschi. Infatti
questi alimenti provocano una eccessiva produzione di gas, distendono l’intestino e provocano
dolore che sarà maggiormente sensibile in presenza di aderenze post-operatorie. La ringrazio di
cuore di continuare a leggere le nostre pagine e le invio i miei più cordiali saluti.
Preg.mo Dottor Nicastro,
ho 76 anni e sono colostomizzato dal 27 febbraio 1992. Attraverso il Nostro periodico ConTatto,
ho appreso che qualche colostomizzato esegue periodicamente, la pratica dell’irrigazione. Io non
ho mai praticato tale irrigazione, anche perché nessuno me lo ha mai consigliato, né so in che
cosa consiste. Le feci vengono espulse naturalmente, anche se un po’ secche, porto un voluminoso
laparocele, più accentuato in corrispondenza della stomia. Mangio di tutto e, a tavola, bevo un
buon bicchiere di vino. Chiedo a Lei qualche consiglio circa la pratica dell’irrigazione, nonché
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informazioni in ordine alle sedi esistenti in Puglia di centri specializzati, ove rivolgermi per
eventuali controlli.
G.P. Racale (LE)
Caro Lettore,
è bellissima la sua frase che riporto “il Nostro periodico ConTatto”, perché in questa raccolgo il
successo ottenuto da questa testata creata e voluta proprio per Voi. Gran parte della risposta
la potrà leggere nel numero precedente di ConTatto, ma vorrei ricordarle che è preferibile
iniziare l’irrigazione in un Centro. Anche in questo numero troverà le risposte a proposito della
stitichezza, le ricordo un maggiore consumo di fibre e l’uso, sotto controllo clinico, di sostanze
emollienti, tipo il glucomannano, esistenti in commercio. Oltre al buon bicchiere di vino, a tavola,
beva anche più di un buon bicchiere di acqua per combattere l’eccessiva secchezza delle feci.
Dalla documentazione allegata leggo che lei è stato sottoposto ad un tipo di intervento
chirurgico che potrebbe prevedere un secondo intervento per eliminare la stomia, ma i dati
fornitomi sono insufficienti. Il laparocele potrebbe controindicare l’irrigazione e maggiori
delucidazioni può trovarle se si rivolge direttamente ai Centri esistenti in Puglia. Le voglio
ricordare che un suo corregionale e nostro collaboratore è il Signor Francesco Diomede che
dedica tantissimo tempo ai problemi degli stomizzati ed ha recentemente pubblicato un opuscolo
dal titolo “I Diritti dello Stomizzato”, nonché fondatore dell’Associazione Pugliese degli
Stomizzati.
Egregio Dottor Nicastro,
vorrei esporle un mio problema.Nell’anno 1987 sono stato operato per una Rettocolite Ulcerosa
con una colostomia totale e sono portatore di un ano preternaturale. Ma il mio problema è ben
altro perché la mia malattia è in fase di riattività, l’ulcerazione oramai ha portato anche
conseguenze alla vescica fistolizzandola, poi sono insorte delle fistole perianali che hanno
indotto un secondo intervento con chiusura definitiva del retto per cui non si possono più
effettuare colonscopie.
Fino ad oggi qui a Napoli non ho trovato nessuno disponibile a tale tipo di intervento,
sconsigliandomi ogni tipo di intervento e dicendomi che ho un addome intrattabile e pieno di
aderenze. Può darmi un consiglio o indicarmi qualche ospedale specializzato su questo tipo di
intervento?
L. I. - Napoli
Caro Signor I.,
le notizie che mi ha fornito sono purtroppo insufficienti e poco chiare per poterle dare una
risposta esauriente. Se le è possibile potrebbe inviare le cartelle cliniche degli interventi
effettuati in modo da potermi rendere conto di quanto è stato fatto dai medici che lo hanno
assistito fino ad oggi e quali sono i motivi che giustificano il loro rifiuto ad un ulteriore
trattamento. Una risposta più attenta di questa potrebbe trovarla nella sua bellissima Città
presso il Dipartimento Assistenziale di Chirurgia generale, Toracica e Vascolare dell’Università
“Federico II” nella divisione di Chirurgia generale e Trapianti d’organo. Una cosa posso dirle: se
un medico controindica un trattamento, devono esistere problemi seri che giustificano questa
sua decisione, che non dipendono dalla abilità personale, ma dall’attenta valutazione sul reale
beneficio che il paziente potrebbe trarne. Resto a sua disposizione per ulteriori suggerimenti.
Cordiali saluti ed auguri di buona guarigione.
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Egregio Direttore,
essendo colostomizzata vorrei far presente le difficoltà che incontro quando mi reco in vacanza
in albergo. Mi è capitato di non trovare il modo di agganciare il serbatoio dell’irrigatore, infatti,
di solito uso come supporto lo sciacquone del bagno ma molto spesso i servizi sono sprovvisti
della cassetta di scarico alla giusta altezza e quindi sono costretta a chiedere un’altra stanza.
Finora ho sempre trovato la stanza con lo sciacquone alto, anche dovendo scegliere una camera
meno confortevole, però sono sempre angosciata nel timore che non la possa trovare e vorrei
evitare l’imbarazzo di prenotare una stanza con questa caratteristica. Vorrei sapere se esiste un
apparecchio o una tecnica che mi possa aiutare a risolvere il problema. Nella speranza che
possiate aiutarmi a risolvere questo piccolo problema, v’invio i miei più cordiali saluti.
L. C. - Roma
Cara Signora,
la sua lettera, le sue parole, a mio parere possono rappresentare un aiuto per molti nostri lettori
in quanto dimostrano come sia naturale e normale vivere con una stomia senza alterare i propri
ritmi e la propria “vita”. Certo esistono delle situazioni in cui si è un po’ sacrificati, ma non per
questo bisogna rinunciare ad un viaggio, ad una vacanza, ad una cena. A mio parere lei non deve
avere timore nel pretendere alcuni confort; anche questo deve rientrare nella “normale”
quotidianità. Pensi a quante persone che viaggiano, per lavoro o per diletto, possono trovare poco
confortevoli i servizi igienici negli alberghi e non provano alcun imbarazzo o timore a cambiare
“in meglio”. Lei, come tutti i nostri lettori, non si deve fermare di fronte alle “barriere
architettoniche”. Un mio piccolo suggerimento potrebbe essere di eseguire l’irrigazione in
camera, dove sicuramente esiste un punto alto dove appendere la sacca (un chiodo dove è appeso
un quadro, la lampada a muro, utilizzare l’appendiabiti, ecc.) chiudendo in basso il manicotto di
scarico. Sicuramente non rappresenta il massimo della comodità ma può non farla rinunciare ad
una camera più bella o confortevole.
Pregiatissimo Dottor Nicastro,
sono un trentacinquenne, lettore della sua rubrica, le scrivo per chiedere dei chiarimenti ed
eventuali suggerimenti. Nel 1995 sono stato sottoposto ad intervento di proctocolectomia totale
con anastomosi ileoanale su pouch a J per poliposi familiare del colon presso il Policlinico
Universitario Umberto I° di Roma; a seguito dell’intervento sono stato portatore d’ileostomia di
protezione per circa tre mesi essendo ricanalizzato nell’ottobre 1995. A più di un anno dalla
ricanalizzazione ho circa 5-6 evacuazioni durante la giornata. Faccio presente che mi aiuto con
una pillola di loperamide al giorno; dopo circa sei mesi dalla ricanalizzazione ho sostenuto un
esame endoscopico di controllo dove mi venivano diagnosticate le emorroidi. Il mio chiedere è:
nell’arco di quanto tempo potrò normalizzarmi nelle evacuazioni giornaliere, a cosa è dovuto il
fatto che spesso ho lo stimolo ad evacuare ma non evacuo niente, anzi ho dei forti bruciori e a
volte prurito; preciso che mangio solo a pranzo. Può darmi una dieta ed indicarmi una crema o
pomata per la prevenzione del bruciore? Oltre alla loperamide esiste un altro farmaco per la
riduzione delle scariche e la formazione di feci più consistenti? Posso assumere una volta al
giorno la pillola di loperamide di continuo o devo interromperla per alcuni periodi? Nell’attesa di
una sua risposta Le invio distinti saluti.
P. A.i - Salice (ME)
Egregio Signor A.,
mi fa piacere che fra i nostri lettori esistono persone che non sono più stomizzate. Questo
significa che il nostro foglio continua ad essere un valido aiuto per molti pazienti ed a suscitare
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interesse. L’intervento da Lei subìto comporta l’asportazione totale del grosso intestino e la
continuità intestinale è garantita dall’anastomosi del piccolo intestino direttamente all’ano. La
mancanza del retto, che ha funzioni sensoriali oltre che di semplice serbatoio, è supplita dalla
costituzione di una tasca duplicando un tratto di piccolo intestino. Quest’artificio permette di
avere un serbatoio, ma le feci ileali sono liquide e quindi sollecitano in continuazione il
meccanismo della defecazione. Gradualmente la tasca (pouch) subisce delle modificazioni
(colonizzazione) acquisendo anche il potere di assorbimento dell’acqua contenuta nelle feci, che
diventano più pastose. Questa lunga premessa è per ricordarle alcuni dettagli che sicuramente i
medici le avranno spiegato. A mio parere il numero di evacuazioni riferito sono un buon risultato,
tenendo presente che le feci ileali arrivano in continuazione nella tasca. L’assunzione della
loperamide, rallentando il transito intestinale, certamente riduce il numero delle scariche ma
l’aumento della consistenza delle feci potrà avvenire solo nel tempo. Il prurito ed il bruciore
anale, sono fenomeni legati al potere irritante delle feci ileali, ricche di enzimi ancora attivi,
mentre lo stato emorroidario potrebbe dipendere dalla continua sollecitazione dell’evacuazione o
anche dal tipo di intervento stesso. Il mio consiglio è di assumere una dieta equilibrata, anche se
limiterei l’assunzione delle fibre vegetali che velocizza il transito intestinale. Due volte al giorno,
può spalmare intorno all’ano e nel primissimo tratto del canale anale, una pomata all’ossido di
zinco, al fine di ridurre il prurito ed il bruciore. La loperamide non ha controindicazioni
eccezionali e quindi può essere assunta regolarmente, in modo da aumentare la capacità a
ritardare la defecazione; in questo modo facilita il ristagno delle feci nella pouch, migliorando la
loro consistenza. Spero di essere stato esauriente ed un ultimo consiglio è di non essere
“impaziente”, nel suo caso il tempo aggiusterà molte cose.
Egregio Direttore,
sono portatrice di stomia dal 1986 ed ho 53 anni. Vorrei che la rivista Contatto mi arrivasse più
frequentemente perché abitando in una piccola cittadina sono isolata dai centri per stomizzati.
Vado raramente alle visite di controllo al Centro dell’Ospedale Molinette di Torino, dove trovo
sempre infermiere/i e medici disponibili ad aiutarmi a risolvere i miei problemi. Vorrei che il
giornale, tenesse conto anche delle persone che, come me, non possono tenersi in stretto
contatto con un Centro per essere informate ed aggiornate sulle notizie importanti scientifiche
e legislative. Mi piace leggere anche di viaggi e tempo libero, anche se io non potrò partecipare
perché oltre ad essere stomizzata sono anche in nutrizione parenterale ed ho altri problemi.
Negli anni sono arrivata ad accettare grazie all’affetto dei miei cari (soprattutto), la mia nuova
condizione. Certo il completo non controllo delle evacuazioni mi costringe a non uscire di casa se
non programmando bene brevi tragitti con persone che non mi danno soggezione e con mete che
mi permettano di essere a mio agio all’insorgere delle mie necessità. Non ho mai potuto risolvere
i disturbi ed i disagi che mi procurano la presenza di feci e gas, eliminandoli con le irrigazioni,
perché soffro di enterite postattinica; sarà difficile o impossibile arrivare a controllarle, pur
avendo una colostomia sinistra terminale? Sono abbastanza autosufficiente e molto motivata.
Potrò mai raggiungere anche io una forma di continenza che mi permetterebbe una migliore vita
affettiva e sociale? Ringrazio infinitamente tutti i medici che dedicano con passione
competenza, impegno e professionalità i loro studi ed il loro tempo a beneficio dei pazienti
portatori di stomia. Ringrazio anche le persone che, con tanta professionalità e competenza
redigono la rivista. Non lasciateci soli.
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M.P.C. Aqui Terme
Cara signora,
non crede che Contatto abbia centrato il suo obiettivo? Intanto la raggiunge a casa, la informa
(speriamo in maniera a lei soddisfacente) sia con articoli scientifici che in materia di diritti
legali ed inoltre la fa “viaggiare”. Cara signora, anche i sogni e l’immaginazione a volte ci aiutano a
superare momenti difficili. Quando è stato creato questo giornale era desiderio nostro e
dell’editore stabilire un “Contatto” diretto con i pazienti, e tutte le scelte sono state fatte per
ottenere questo risultato. Per quanto riguarda la frequenza delle edizioni le devo dire che
nonostante i notevoli sforzi di tutti noi non riusciamo, al momento, a fare di più. Contatto è stato
creato per quelle persone, che come lei, hanno la necessità di non “sentirsi abbandonati” e non si
vuole sostituire alle istituzioni ufficiali ma essere un ausilio in più nella assistenza del paziente
stomizzato. D’altronde lei stessa riferisce con quale dovizia ed amore viene assistita dal
personale del centro stomizzati che frequenta e rispondendo ai suoi ringraziamenti,
profondamente accettati, voglio solo ricordarle che il Medico e l’Infermiere che cura ed assiste
con amore, dedizione e scrupolo il paziente non fa altro che il proprio dovere ed è in questo che
tutti noi (spero di interpretare il pensiero di molti) dobbiamo trovare la gratitudine per
continuare la nostra opera. Rispondendo ai suoi quesiti di ordine sanitario, non posso che
confermarle i suoi dubbi. Al momento attuale non abbiamo molti mezzi per combattere le lesioni
infiammatorie dovute alla radioterapia. La enterite attinica oltre che di dolori è causa di diarrea
ed in questi casi l’irrigazione non solo non è efficace ai fini della continenza, ma anche
sconsigliata. Lei si potrebbe aiutare con una dieta corretta, povera di fibre e scorie, che in
qualche modo rallenta il transito intestinale e non provoca la formazione abbondante di gas. Non
essendo meglio spiegato perché Lei è in Nutrizione Parenterale mi riservo di risponderle
personalmente per ulteriori chiarimenti.
Egregio Direttore,
sono colostomizzato da dodici anni, per neoplasia del retto-sigma. Ho 78 anni. Il mio stoma,
prolassato da subito dopo l’intervento, era lungo circa 6 centimetri. Ora però raggiunge la
lunghezza di 20 centimetri. Sono stato invitato dal chirurgo a sottopormi ad ulteriore
intervento, ma poiché sono affetto da bronchite cronica, ne temo le possibili conseguenze.
Inoltre sono a conoscenza di casi simili al mio in cui nonostante l’intervento chirurgico per
ridurre il prolasso dello stoma, gli effetti non sono stati quelli sperati. Quali consigli può darmi in
merito?
N.N.N. Ragusa
Gentilissimo Signore,
l’unico consiglio è di operarsi. Oggi l’intervento può essere seguito in anestesia locale, senza
ospedalizzazione. In tal modo vengono a cadere le sue paure per la bronchite cronica. Riguardo
poi il ripresentarsi del prolasso dopo l’intervento, questo dipende dalla tecnica operatoria
adottata dal chirurgo, dall’aumento di peso, dall’uso di panciere con il buco per il sacchetto. Se
tutti questi fattori vengono rispettati e cioè corretta tecnica, buona alimentazione ed uso
corretto della panciera postoperatoria, la possibilità della recidiva del prolasso è ridotta al
minimo. Inoltre l’entità del suo prolasso certamente non l’agevola nelle normali attività quotidiane
anche a 78 anni, età che non deve però rappresentare in ogni caso un limite all’aspettativa di una
buona qualità di vita.
Mi chiamo F. L., della classe 1933, sono stato operato per un "polipo al retto" nel 1991 e
successivamente nel 1992, toccando l'ultima spiaggia, dall'équipe della Chirurgia I dell'Ospedale
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Circolo di Rho. Ho lavorato ininterrottamente per 36 anni come funzionario in Banca, sono andato
in pensione dopo il secondo intervento. Sono quindi uno stomizzato da tale data e quasi subito
sono stato avviato, dal personale sanitario specializzato, all'irrigazione con ottimi risultati;
anche se, nonostante l'evacuazione periodica (tutte le mattine), durante la giornata noto quasi
sempre fuoriuscita di feci e acqua di ristagno. Ad eccezione di questo non presento ostacoli e
problemi di nessun genere, sono autosufficiente e conduco una vita più che normale. Tuttavia non
nascondo una certa preoccupazione a causa di una voluminosa ernia peristomale che si estende
fino all'inguine e di un ernia sulla ferita mediana in vicinanza dell'ombelico. Queste non mi
disturbano se non esteticamente, anche se tento di correggerli con panciera, slip contenitivi,
canottiere elasticizzate, non mi arrecano problemi per il momento circa l'evacuazione ed altro.
Tuttavia non nascondo il timore e la paura che aumentino e peggiorino mettendo a rischio
l'attuale stato di benessere. A fatica seguo la dieta, mangio di tutto e sono un po' ingrassato,
peso circa 100 chili. Grazie a Contatto sono venuto a conoscenza dei normali provvedimenti di
correzione della patologia stomale con l'intervento chirurgico e vorrei chiedere consiglio circa
l'attuale mia situazione. Voglia cortesemente segnalarmi qualche Clinica o ente Ospedaliero,
possibilmente nella mia zona, ai quali rivolgermi. Di nuovo ringrazio e saluto.
L. F. – Lombardia
Egregio signor L.,
La ringrazio per i complimenti rivolti a tutta la Redazione di Contatto ed ai nostri collaboratori e
consulenti. Nella sua lettera descrive molto bene la sua situazione attuale; la fuoriuscita di feci
e acqua di ristagno durante la giornata, dopo l'irrigazione potrebbe essere dovuta alla presenza
dell'ernia peristomale. Infatti in molti casi succede che il colon non si svuoti completamente e
dell'acqua ristagni nelle anse intestinali coinvolte nell'ernia e che fuoriesca in un secondo
momento. Questo determina un insuccesso della irrigazione che potrebbe darle ancora una
maggiore autonomia. Certo il suo peso non agevola nemmeno un intervento chirurgico, per questo
Le consiglio di seguire una attenta dieta, di diminuire il peso corporeo ed infine in qualsiasi
Ospedale da Rho a Milano, farsi sottoporre ad intervento chirurgico di riparazione delle sue
ernie in modo da migliorare il suo aspetto estetico ma soprattutto funzionale.
Stimatissimo Dottor Nicastro,
seguo sempre con attenzione la rubrica della Posta di Contatto, poiché la ritengo di massima
utilità per noi colostomizzati. Ho 78 anni e dal 1992 ho una colostomia secondo Hartmann. Mi
rivolgo a Lei perché a periodi mi accade che la mucosa della stomia, superficialmente, mi sanguina
leggermente, come per la rottura di qualche capillare. Con la sua professionalità ed esperienza
potrebbe suggerirmi cosa fare e quale crema sia utile al bisogno? Sinora ho provveduto sempre
asciugando la parte con garza bagnata nell'acqua ossigenata. La ringrazio molto per me ed anche
per gli altri, perché sono convinta che tutti noi dobbiamo essere grati per i suoi preziosi consigli.
M. P. - Lazio
Cara signora M.,
sono io a ringraziare Lei e tutti i lettori di Contatto e mi creda, sentirsi utile a qualcuno è una
sensazione bella che riempie di significato la nostra esistenza; ma mi permetta di ribadire il
concetto che il Medico per scelta di vita deve dedicarsi ad elargire preziosi consigli, ad alleviare
la sofferenza, ad essere utile al prossimo e questo dovrebbe gratificarlo moralmente, senza la
pretesa di ulteriori "ringraziamenti". Riguardo il suo problema, il sanguinamento della mucosa
della stomia può dipendere da molte cause, quella più frequente è "l'irritazione" che subisce a
contatto con i materiali di raccolta. Questa banale infiammazione può provocare sporadici
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sanguinamenti di piccola entità, come nel suo caso, e le consiglio di non adoperare alcuna crema
ma di effettuare degli impacchi sulla mucosa con garza imbevuta di acqua fredda, per alcuni
minuti al giorno ad ogni cambio di sacchetto. Se il sanguinamento è invece imponente la causa
potrebbero essere delle varici stomali, o anche una stomite e nel qual caso le consiglio di farsi
visitare direttamente ad uno dei Centri specialistici di Roma.
Egregio Dottor Nicastro,
ho 67 anni e sono colostomizzata dal 1985. Sono stata dimessa con regolari irrigazioni, che fanno
parte della terapia. Io le chiedo un consiglio perché l'irrigazione non ha più la stessa efficacia,
ho frequenti dolori addominali e debbo chiamare il Medico per togliermi le feci che si fanno dure
come sassi, soffro tanto. Seguo molto le regole alimentari, sono molto ansiosa e per tale motivo
assumo quotidianamente dei farmaci. Le sarei grata se può consigliarmi cosa posso fare.
La saluto ed un grazie di tutto cuore.
C. S. - Toscana
Cara signora C.,
a volte può succedere che dopo molti anni di pratica l'irrigazione non ha la stessa efficacia delle
prime applicazioni; questo perché il colon si abitua a ricevere sempre la stessa quantità di acqua
oppure diventa "pigro" perché non è più stimolato fisiologicamente. Nel suo caso, anche se è da
tanto tempo che esegue l'irrigazione, penso che la stipsi ostinata di cui soffre sia dovuta anche
all'uso di farmaci necessari per calmare la sua ansia. Non potendo abbandonare i farmaci, le
consiglio di fare l'irrigazione con almeno un litro e mezzo di acqua al giorno, di aiutarsi
aumentando il consumo di frutta e verdura, di assumere prima dei pasti un cucchiaio di olio di
vaselina. Inoltre, si rechi al Centro Stomizzati dell'università di Pisa dove l'Enterostomista
potrà seguire direttamente la sua irrigazione e darle degli ottimi consigli. Ricambio il saluto di
tutto cuore.
Egregio Direttore,
sono un giovane di 31 anni affetto da circa 8 anni da una grave forma di rettocolite ulcerosa.
Dopo tentativi di cura e ripetuti ricoveri, sono stato operato nel 1995 (colectomia totale con
moncone rettale residuo di 18 cm.); l'operazione è stata eseguita in condizioni fisiche critiche
(45 Kg. di peso su 1,82 m. di altezza) ed è stata complicata da una peritonite e seguita da un
secondo intervento di urgenza e trattamento in rianimazione.
Da circa 2 anni sono quindi portatore di ileostomia, condizione alla quale mi sono adattato
abbastanza bene.
Ho ripreso peso (attualmente 72 Kg.) e conduco una vita abbastanza normale; tuttavia da circa
un anno noto piccole perdite di sangue all'ano e che dimostrano che la malattia è ancora attiva;
recentemente poi, a causa di una rettoscopia di controllo eseguita con imperizia, ho subìto una
proctorragia di discreta entità che ha richiesto un nuovo ricovero.
Ammetto che in questi due anni da portatore di ileostomia ho abbastanza trascurato la cura del
moncone rettale, però i primi clismi prescrittimi mi procuravano intensi dolori perianali e non
riuscivo a trattenerli; in questo periodo uso un cortisonico in schiuma rettale che mi dà benificio,
ma di cui non posso abusare in quanto a causa del protrarsi negli anni dell'uso dei cortisonici per
via sistemica soffro di osteoporosi.
Ora sono deciso a non trascurare più il mio stato di salute, reazione anche dovuta al fatto che i
Medici nel mio caso hanno avuto responsabilità pesantissime (per un anno non ho voluto vedere un
camice bianco).
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Per questo ho deciso di fare il punto della situazione sperando che Lei riesca a chiarire in
numerosi quesiti che mi pongo:
1) Esistono preparati cortisonici privi di effetti collaterali (ne ho sentito parlare, ma forse sono
solo voci).
2) Quali squilibri metabolici comporta la stomia (dopo l'intervento ho cominciato a soffrire di
strani pruriti, vampate e brutte eruzioni cutanee).
3) La dieta deve essere rigorosa (confesso che, dopo anni di pena, essendo il sottoscritto
golosissimo, mi sono un po' sfogato gastronomicamente).
4) Mantenendo il moncone rettale corro rischi di altro tipo (degenerazione in tumore).
5) un eventuale intervento di ricanalizzazione può essere eseguito anche tra qualche tempo o si
va incontro ad atrofia dello sfintere e/o del retto.
6) Viste le condizioni del retto non certo ottimali, consiglierebbe la sua asportazione? In questo
caso è secondo Lei doveroso tentare una ricanalizzazione mediante abboccamento dell'ileo
all'ano? A quali problemi di incontinenza andrei incontro? E' un discorso di qualità della vita:
tengo presente che con la stomia bene o male sono ritornato a vivere e l'eventualità di un
peggioramento delle mie condizioni di vita mi spaventa non poco e mi rende titubante sulla
decisione da prendere in merito alla ricanalizzazione.
7) Quali rischi di impotenza ci sono nell'affrontare l'intervento chirurgico (sia di
ricanalizzazione che di semplice asportazione del retto)?
8) A quali problemi andrei incontro avanti con gli anni nel caso decidessi di mantenere la stomia
spero di averne parecchi ancora da vivere)?
Spero di non essere stato troppo prolisso e noioso, La ringrazio dell'attenzione e spero in una
Sua risposta. Cordialmente La saluto.
S.A. – Liguria
Egregio Lettore,
decido di pubblicare integralmente la sua lettera, alla quale avevo preferito in un primo momento
dare una risposta privata, in quanto a molte delle domande trova una risposta (involuta) negli
articoli di questo numero di Contatto. Ma esiste un altro motivo che mi ha portato a questa
decisione, che consiste nel dover fare alcune considerazioni generali e particolari, oltre che
darLe, lo spero anch'io, dei giusti consigli. Il fatto che Lei abbia perso la fiducia verso i Medici è
del tutto giustificata dalla sua particolare situazione psicologica di "paziente con una grave
rettocolite ulcerosa" e non per una cattiva condotta da parte loro. Cerco di spiegarmi, da quanto
Lei ha scritto è arrivato all'intervento in condizioni veramente scadute, dopo anni di sofferenza
e terapie farmacologiche (comunque necessarie) che le hanno causato importanti effetti
collaterali, come la maggior parte dei pazienti nella Sua stessa condizione. Il procrastinare
l'intervento chirurgico è spesso determinato da motivi prettamente medici (la cui trattazione
occuperebbe i prossimi dieci numeri di Contatto), ma anche dal rifiuto del paziente (nessuno al
mondo, se non come "ultima spiaggia", accetta di buon cuore un intervento altamente invalidante
come la colectomia totale e l'ileostomia).
Affrontare un intervento chirurgico in condizioni pessime, comporta un altissimo rischio di
complicanze e spesso noi chirurghi ci troviamo nella condizione di dover fare "un intervento di
necessità" limitando il nostro campo tecnico di azione. Scrivo questo non per giustificare i "miei
colleghi", per cortesia o per protezione di casta, ma semplicemente per esperienza
professionale. Molti lettori hanno avuto identiche "avventure sanitarie", ma credetemi il nostro
è un lavoro difficile e spesso ci troviamo di fronte a delle scelte repentine sempre comunque
fatte (lo spero per tutti) con scienza e coscienza. Spesso come pazienti ci troviamo a dare dei
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giudizi su degli episodi che hanno condizionato un periodo della nostra vita, ma dobbiamo anche
considerare le difficoltà che gli altri affrontano nella risoluzione dei nostri non "facili" problemi.
Passando alla risposta dei suoi quesiti mi congratulo con Lei per il raggiungimento di un buon
peso e la dieta da seguire in grandi linee la trova descritta in questo numero. I disturbi accusati
possono essere dovuti anche alla sua golosità, ma spesso sono determinati anche dal grado di
"intossicazione" farmacologica subìta nel corso degli anni. Non esistono farmaci e tantomeno
cortisonici privi di effetti collaterali, ma quello da Lei utilizzato è quello più facilmente tollerato
e con bassi rischi (agisce localmente e solo in piccola percentuale passa in circolo). Le consiglio di
pensare seriamente ad un intervento di ricanalizzazione. La scelta razionale dovrebbe essere
quella di asportare il retto residuo e di costituire un serbatoio con l'ileo, che poi viene
agganciato all'ano. In questo modo elimina l'organo ammalato (che resterebbe tale sempre e
comunque visto il carattere cronico della malattia) con tutti i rischi connessi alla sua presenza.
Inoltre oggi si può prevedere prima dell'intervento se i suoi sfinteri sono integri o meno. Infatti,
mediante la manometria e l'ecografia si possono avere risposte precise riguardo la funzionalità e
l'integrità muscolare. Certo, il loro mancato funzionamento per lungo tempo ne determina
l'atrofia che si traduce in un deficit funzionale e quindi incontinenza, ma a questo si pone
rimedio eseguendo cicli di rieducazione funzionale degli sfinteri (mediante elettrostimolazione e
biofeedback) da eseguire prima e dopo l'intervento di ricanalizzazione. Riguardo i problemi
legati alla funzione sessuale, l'asportazione del retto può causare impotenza qualora vengano
lesionati i nervi dell'erezione. Questo succede quando bisogna allargare il campo di resezione,
come nel caso dei tumori, quindi in teoria non nel Suo caso, dove comunque il chirurgo, adotterà
tecnica di conservazione anche dell'innervazione (nervo sparing). Certo affrontare
l'asportazione del retto senza tentare la ricanalizzazione non la metterebbe al riparo delle
complicanze (che in chirurgia possono sempre avvenire), ma penso che se Lei affronta con fiducia
e coraggio questa nuova "avventura sanitaria" ne avrà senz'altro del bene. Le do questi consigli in
base alle mie conoscenze e secondo la mia coscienza, pensando che gli stessi li darei ad una
persona a me cara, perché è questo lo spirito che deve animare il medico: di agire come se l'atto
dovesse essere eseguito su quello che si ha di più caro, sempre secondo scienza e coscienza e
con una valutazione attenta di tutti i rischi, che nella nostra professione sono sempre
incombenti.
Colgo l'occasione per formulare a Lei, alla sua famiglia ed a tutti i lettori di Contatto i migliori
Auguri per un Nuovo Anno di Felicità e di serenità.
Carissimo Dottor Nicastro,
le scrivo per avere dei chiarimenti ed eventuali consigli. Ho 37 anni, nel 1995 sono stato
sottoposto ad intervento di Colectomia totale per poliposi famigliare, a tutt'oggi dopo quasi 4
anni, ho un minimo di 4 ad un massimo di 7-8 evacuazioni giornalmente, premetto che faccio solo
un pasto (pranzo).
Recentemente mi hanno diagnosticato la presenza di emorroidi e di una ragade anale, che mi
portano bruciore-dolore fastidiosi le chiedo se queste insorgenze sono del tutto normali a
seguito del mio stato fisico, oppure se ci sia bisogno di una appropriata dieta o di una specifica
pomata o altro che allievino sia il bruciore che lo stimolo che spesso insorge, infine le chiedo se
con il tempo mi normalizzerò, anche se capisco che non tornerò come prima. In attesa di una sua
graditissima ed esauriente risposta sulla nostra rivista "Contatto" le porgo distinti saluti.
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A.P. - Sicilia
Caro lettore,
la ringrazio di continuare a leggere la nostra rivista nonostante lei non sia più stomizzato, questo
significa che abbiamo lasciato un buon ricordo. Per dare una risposta completa alle sue domande
avrei bisogno di maggiori elementi riguardo il tipo di intervento a cui è stato sottoposto. Infatti,
il semplice termine di colectomia totale non mi delucida se il retto è stato totalmente asportato
e se è stato confezionato un serbatoio con l'ileo prima che esso sia stato congiunto al moncone
rettale o direttamente all'ano. Questi dettagli di tecnica sono necessari per stabilire se è
normale nel suo caso avere questo tipo di evacuazioni ed anche i problemi legati alla presenza di
emorroidi e ragade anale. Posso comunque consigliarle di rivolgersi ad uno Specialista della sua
città che potrebbe consigliare un’adeguata terapia medica e conservativa per le emorroidi e per
la ragade anale. Comunque sono a sua competa disposizione qualora lei ritenga opportuno avere un
mio diretto parere.
Egregio Dottor Nicastro,
mi rivolgo a Lei per avere un consiglio, un suggerimento, un chiarimento.
Mio marito è stato operato nell'80 (50 anni) di tumore maligno al colon.
E' quindi uno stomizzato da quasi 20 anni (irrigazione giornaliera o alterna) ha sempre lavorato
(lavora ancora). E' un commercialista. Nei primi anni siamo stati seguiti da un neurologo psicologo
(molto bravo) perché dopo l'intervento mio marito ha avuto subito problemi seri sessuali
(scomparsa erezione, erezione rarissima) dovuti pare ad ansia, depressione e più che altro ad un
fattore mentale (risultato zero).
Non ha mai fatto seri esami clinici o ricerche fisiche ed io ora mi chiedo se con questi nuovi
ritrovati della scienza è possibile fare qualcosa che non è mai stato fatto in passato, oppure
come sostiene mio marito a malincuore (anch'io ne sono convinta) alla nostra età e con tutto
questo enorme tempo trascorso tentare una terapia in merito è una utopia! Meglio lasciare tutto
come è da 20 anni!?
La prego di scusare la lungaggine e se pensa di potermi dare qualche indicazione la ringrazio di
cuore. Con stima.
P.S.: ultimamente mio marito si è sottoposto ad una serie di esami di ogni genere (escluso esami
sessuali) ed è risultato "sano come un pesce".
I.B. - Lombardia
Cara signora,
è con vero piacere che rispondo alla sua lettera per diversi motivi: il primo è che lei legge
Contatto e non è stomizzata, il secondo è che lei mette in rilievo un problema che colpisce suo
marito ma che rappresenta un punto fondamentale della felicità di una coppia consolidata e che è
ancora giovane nello spirito e nella mente. Le risposte ai suoi quesiti le trova già in parte
pubblicate in questo numero di Contatto, altre cercherò di dargliele brevemente. Ha fatto bene
a consultare un neuro-psicologo dopo l'intervento, ed era l'unico specialista a poterla aiutare
venti anni fa. Ma oggi dovrebbe consultare un andrologo o un urologo che si interessi di
disfunzioni sessuali anche perché è necessario eseguire alcuni test funzionali ed altri esami
prima che si imposti una terapia. Io penso che nel caso di suo marito esista un margine di azione,
anche se purtroppo sono passati molti anni e possono essersi verificati alcuni danni di difficile
risoluzione. Affronti con determinazione il problema, prima di tutto con suo marito, perché è
giusto trovare una soluzione, senza falsi perbenismi o altre remore, perché una vita sana prevede
anche una sana vita sessuale.
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Egregio Direttore,
Le scrivo per chiedere un parere su una cura che sto facendo per l’incontinenza. Nel 1990 e nel
1998 ho fatto una prima colonscopia durante la quale mi hanno asportato dei polipi. Prima gli
episodi di incontinenza erano sporadici ora sono un po’ più frequenti (circa una volta al mese).
Sono in cura da un Gastroeneterologo che mi ha prescritto una terapia medica e la rieducazione
con biofeedback. Se non miglioro con questa cura, l’ultima spiaggia sarà la chirurugia, alla quale io
non vorrei arrivare dato che ho avuto mio marito con colostomia. Accludo alla lettera tutti gli
accertamenti clinici effettuati. Tempo fa mi fu diagnosticato anche un colon irritabile trattato
con terapia medica che ho sospeso da molto tempo. Lei pensa che debbo riprendere questa
terapia? Per una sua più precisa valutazione devo dire che nel 1959 quando ho partorito, mi sono
lacerata fino all’ano, quindi mi hanno suturato; nel 1972 sono stata operata di istercectomia
totale seguita da cobalto e radioterapia. Chiedo scusa se mi sono dilungata, spero in una Sua
risposta. Cordialmente.
L. D. - Emilia Romagna
Cara Sig.ra,
grazie per la sua lettera. Mi occupo ormai da oltre un decennio di incontinenza fecale ed urinaria
e con piacere le rispondo anche perché tutti quelli che leggeranno capiranno che Lei non è
stomizzata e legge ConTatto e questo dimostra che il giornale comincia ad essere utile a tutte
le persone che lo leggono. Ho preso attentamente visone di tutti i referti clinici da Lei inviati ma
non riesco a capire la qualità della sua incontinenza. Infatti non è specificato, neanche dalla sua
lettera, se la perdita è di sole feci liquide, dei gas o anche di feci normoconformate. Inoltre gli
esami clinici si contraddicono, infatti da una parte la manometria non dimostra incontinenza cosa
che viene messa in risalto dalla defecografia. Insomma come sempre succede c’è molta
confusione nel determinare la causa dell’incontinenza fecale e questo perché questo è un sintomo
complesso e complicato da poter definire. Nel suo caso l’incontinenza può essere determinata sia
da quel parto del 1959 che le ha lacerato i muscoli compresi quelli anali, sia da una disfunzione di
tutto il pavimento pelvico a seguito dell’isterectomia e radioterapia del 1972, sia al suo colon
irritabile. Per chiarire molti dei dubbi che mi rimangono sul Suo caso, Le consiglio di ripetere la
manometria per definire per quanto tempo i suoi muscoli anali riescono a contrarsi e di eseguire
una ecografia anale per stabilire se questi muscoli sono integri o danneggiati. Posso dirle fin da
ora che l’intervento chirurgico nel suo caso non è proponibile, poiché la sua incontinenza non è
grave, in quanto si manifesta una volta al mese, non le pregiudica una vita normale ed infine, cosa
più importante, non ha una incontinenza da dimostrato "gravissimo" danno muscolare.
Quindi la Terapia che Lei dovrà fare è senz’altro dietetica e farmacologica per la cura del "colon
irritabile", ma soprattutto Le consiglio di eseguire la rieducazione funzionale degli sfinteri anali.
Questo tipo di rieducazione, da noi creato, ormai è accettata dalla maggior parte dei Centri che
si occupano di incontinenza fecale e si basa sulla
attuazione di fisioterapia, di
elettrostimolazione degli sfinteri e del pavimento pelvico, di biofeedback. Con questa terapia
oltre il 90 % dei pazienti guarisce dall’incontinenza. Spero di esserLe stato utile e comunque
resto a sua completa disposizione per ulteriori chiarimenti, aspettando di ricevere ulteriori Sue
notizie cliniche Le invio un affettuoso saluto.
Vi scrivo per farvi sapere che ancora non sono riuscito a trovare un medico (anche nel reparto
Urologia) che mi dia la cura adatta per evitare durante la notte di avere l’inferno di bruciore
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dalla parte sinistra dove appoggia la sacca della stomia. Ho l’età di 83 anni, nel 1992 sono stato
ricoverato nel reparto di Urologia e sottoposto ad intervento chirurgico per l’asportazione della
vescica. Nel 1994, ho subito un altro ricovero nello stesso reparto per l’insorgenza di una ernia
ed una fistola e quindi operato per deviare l’uscita dell’urina dalla destra alla sinistra, ma a
distanza di tempo mi è ricomparsa l’ernia a sinistra. Mentre dalla prima ernia non avevo nessun
sintomo, questa nuova ernia, di dimensioni maggiori alla prima, provoca bruciore, così, oggi mi
trovo a dovere sopportare, senza che nessun medico mi dia una cura. Avrei dovuto subire una
terza operazione a mi hanno detto che era impossibile data l’età. Mi piacerebbe sentire se è
successo ad altri, e se così fosse, come hanno rimediato? E’ possibile che debbo andare avanti
così fino al decesso?
Una volta la Redazione mi ha fatto parlare con una Signora addetta a ciò, ma sono come prima.
Ora non mi rimane che attendere una vostra risposta e vi dico grazie e buon proseguimento.
G. V.- Lombardia
Giorni addietro la Direzione del giornale mi ha passato questa lettera, a me non indirizzata, la
cui lettura mi ha molto colpito in quanto da essa si evince la richiesta di aiuto di una persona
anziana che "non trova nessun medico" e soprattutto "un medico che mi dia una cura". Caro
Signore non ho la presunzione di darle una cura ma vorrei darLe solo alcuni consigli. La sua è una
Città dove esiste un Centro specializzato alla assistenza dei pazienti portatori di stomie; si
rivolga con fiducia al Medico di questo Centro che saprà ascoltare e soprattutto la sottoporrà ad
una visita per poter presumere l’origine dei suoi bruciori. E’ frequente osservare nei pazienti con
urostomie, la presenza di patologie stomali come le ernie peristomali, le retrazioni, le stenosi,
che determinano il ristagno dell’urina intorno alla cute peristomale. In questi casi, l’urina
fortemente irritante, determina una dermatite, a volte complicata con una superinfezione
batterica, causa di dolore e bruciore. Dalla sua lettera non si può dedurre se Lei presenta una
dermatite o una altra patologia, ma se fosse confermata la prima ipotesi "la cura" esiste e
sicuramente esiste anche il "Medico" capace di aiutarla. Quindi si faccia visitare dal Medico del
Centro stomizzati della sua Città (la Linea Verde Le fornirà l’indirizzo), sono certo che le sue
sofferenze troveranno una giusta risoluzione. Cordiali saluti.
Ill.mo Dott. Nicastro,
dopo la lettura del suo articolo sulla riabilitazione dell’incontinenza urinaria riportata nell’ultimo
numero di ConTatto (rivista che giunge a mia madre stomizzata), ho deciso di sottoporle il mio
problema che non è di incontinenza urinaria (ma hanno detto che arriverà), ma di assenza di
stimolo alla evacuazione. Mi spiego meglio: ho 54 anni e da sempre (fin da bambina) ho sempre
avuto (meglio interpretato) stitichezza che tale non era. L’uso costante e massiccio, in età
giovanile, di prodotti contro la stipsi non mi ha dato mai benefici e regolarità, a parte l’uso
quotidiano di una tisana a base di senna da dosare a seconda della necessità, utilizzata per una
decina di anni. Solo dopo l’intervento di mia madre di 85 anni avvenuto per la presenza di polipi
intestinali e diverticolosi, sono stata sottoposta ad una colonscopia da cui risultava una colite
spastica con sigmoidite. Ho sospeso la tisana e sono ripiombata nel baratro, perché il mio
problema stipsi si ripresentava e non c’era via di soluzione. Al reparto di gastroenterologia dove
è stata operata mia madre mi è stata praticata una manometria ed una defecografia (che allego)
da cui risulta un prolasso del retto. In altre parole la mia evacuazione è subordinata all’uso di
glicerina (spesso non efficace), alla tisana che prendo un paio di volte al mese. Diversamente c’è
solo l’occlusione. Il Gastroenterologo in vero mi ha anche sottoposta ad una rieducazione con
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biofeedback (5 sedute) ma le contrazioni involontarie del mio intestino non sono state affatto
corrette (alla contrazione costante non avviene il rilasciamento); inoltre mi ha anche suggerito
una elettrofisioterapia per tonificare la muscolatura del retto che non è sviluppata. Però haimè,
questa doveva essere eseguita fuori dall’ospedale e da personale non medico. Dopo la prima
applicazione ho rinunciato. Secondo il mio Gastroenterologo se la suddetta anomalia non viene
corretta andrò incontro anche ad incontinenza urinaria di cui al momento non mi lamento. Le
confesso però che nell’esecuzione di una ginnastica che mi è stata suggerita, perdo anche urine.
La lettura dell’articolo mi ha dato un certo conforto. Perciò le ho esposto il mio caso e voglio
sapere se anche io posso giovarmi della terapia attraverso la stimolazione neuromuscolare
magnetica extracorporea e risolvere il problema prima di un aggravamento. Gradirei sapere il
costo di questo trattamento, il numero delle sedute e se potrebbe essere eseguito nella mia
città. Gradirei sapere inoltre come tratterebbe una anomalia come la mia. La ringrazio per
l’attenzione che mi dedicherà e della risposta che mi darà.
M.R.D. - Campania
Cara Gentile Signora,
il Suo caso è tipico ed emblematico. Molte giovani, soprattutto donne, soffrono di una
incoordinazione motoria a livello neuromuscolare del pavimento pelvico, per cui nel momento della
spinta per defecare l’ano, anziché rilasciarsi, resta contratto. A lungo andare questa mancanza di
coordinazione comporta sempre più eccessivi sforzi sul pavimento pelvico e di conseguenza,
provoca delle lesioni a livello neuromuscolare con conseguente indebolimento di tutto l’apparato
muscolare. Tale indebolimento peggiora con la menopausa. I primi sintomi di Incontinenza
urinaria da Lei riferiti sono diretta conseguenza di questo evento che se non adeguatamente
trattato avrà un andamento progressivo nel corso degli anni.
Questo succede, e non ha nulla a che vedere con gli spasmi del suo colon. La “colite spastica” può
comportare stipsi ma è un altro tipo di malattia. Ho preso visione delle indagini che ha eseguito
ma trovo orientamenti contrastanti nella loro lettura. Inoltre il prolasso interno, descritto nella
defecografia è diretta conseguenza dei suoi ripetuti e continui sforzi per defecare. La
manometria è poco chiara e non è ben interpretabile. Purtroppo le tisane e le erbe non sempre
sono innocue e soprattutto quelle a base di purganti possono provocare stati infiammatori
dell’intestino. Il primo consiglio che vorrei darLe è quello relativo alla rieducazione alla quale è
stata sottoposta. Il biofeedback nel suo caso è poco efficace, mentre l’elettrotimolazione è la
terapia di elezione, ma Lei ha fatto bene a rifiutarla perché non eseguita da un Medico o da un
Fisioterapista con formazione specifica. Questo tipo di terapie, per i disturbi da Lei riferiti non
sono riconosciute dal nostro Sistema Sanitario, quindi possono essere eseguite solo all’esterno
degli Ospedali e solo in alcune volenterose Cliniche Universitarie (pagando comunque un ticket
elevato). Lei potrebbe giovarsi anche dell’Extracorporeal Magnetic Innervation che ha gli stessi
benefici dell’elettrostimolazione, solo ad un livello maggiore rispetto all’innervazione del
pavimento pelvico. La terapia non ha costo, può essere effettuata in Italia “solo ed
esclusivamente” presso il Dipartimento di Colonproctologia del European Hospital in quanto è in
sperimentazione. Prima comunque deve essere da me sottoposta ad una visita preliminare, anche
questa senza costo, ed in caso eseguire alcuni ulteriori accertamenti. In caso Lei potesse essere
sottoposta a questa terapia, questa ha una durata minima di 18 sedute con una cadenza
trisettimanale.
Se questo non Le fosse possibile Le consiglio di eseguire almeno 15 sedute di elettrostimolazione
per via vaginale in un centro specializzato. Sperando di essere stato chiaro e completo nelle
risposte le faccio i miei migliori Auguri.
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Vorrei chiedere un consiglio al Dr. Nicastro. Sono sempre stata una discreta fumatrice, ma con
la forza di volontà, ho interrotto questo vizio. Ho cominciato a mangiare di tutto e soprattutto
dolci. Sono ingrassata 15 kg ed il mio addome (solo la parte della stomia) si è prolassata. Vorrei
tanto dimagrire e tornare al mio peso ideale (70 kg). Le scale mi affaticano ed il cuore ne
risente. Aiutatemi!. Tutte le diete che ho fatto non sono servite a niente. Le verdure, cotte o
crude, mi mandano in diarrea. Ho eliminato la pasta, il pane e i farinacei. Purtroppo vivo in un
paese dove non ci sono specialisti del casso e venire a Roma, non ho nessuno che mi accompagna.
Datemi una dieta che mi ristabilisca e non mi danneggi il cuore. Vi ringrazio per l’attenzione
F.M. (RI)
Cara Signora,
Lei ha fatto benissimo a smettere di fumare, anche se questo ha fatto sì di scaricare la sua
ansia sul cibo. Infatti è un luogo comune che chi smette di fumare ingrassi. Certo, se si smette
di fumare e per compensare si mangia di tutto e di più, ingrassare è facilissimo. Le conseguenze
dell’aumento di peso sono certamente evidenti e nel caso dei pazienti con stomia, insorgono
spesso patologie quali il prolasso e l’ernia peristomale. Io non posso darle una dieta specifica
(mancano troppi dati per poterlo fare), ma è anche vero che non è necessario un particolare
specialista o alchimista per poterla aiutare a dimagrire; anche il Medico di Medicina Generale
(quello che una volta veniva chiamato il Medico di Famiglia, con molto più senso di umanità),
potrebbe dale un sostanziale aiuto. Da parte mia le posso consigliare solo di diminuire la quantità
di cibo che mangia ogni giorno, di evitare i cibi grassi, di bere molta acqua durante la giornata
(consiglio valido per tutti quelli che seguono una dieta), e di iniziare una moderata attività fisica
in aggiunta a quella usuale; le lunghe passeggiate, il salire e scendere le scale più volte a giorno,
camminare con un passo lievemente più spedito, cominciano ad essere delle buone regole per
aumentare il consumo calorico e quindi gradualmente, diminuendo anche in maniera non
esasperata l’apporto di cibo, eliminare qualche chilo di troppo.
Sono un colostomizzato di 74 anni, operato nel gennaio del 1994 per un adenocarcinoma del
colon, e la mia salute è abbastanza buona. Tutte le mattine eseguo l’irrigazione e, salvo eccezioni,
finora va bene. Ogni anno faccio la colonscopia e sembra che tutto va abbastanza bene, salvo
alcuni polipi, che non risultano maligni; ma quello che mi preoccupa è il moncone rettale, lungo 27
cm, nel quale ad ogni colonscopia si notano alcuni fecalomi. Inoltre l’esame condotto attraverso
l’ano è particolarmente doloroso anche a causa di questi fecalomi. Ora Dr. Nicastro le chiedo:
perché si trovano nel moncone questi fecalomi, Perché non sono stati tolti quando sono stato
operato? Forse non è stato fatto un diligente lavoro? Con il passare del tempo possono diventare
pericolosi? Possono degenerare in una infezione?
Ora le faccio una confidenza: da circa un anno, ogni mese, con una sticella di plastica,
perfettamente liscia e ben lubrificata, entro delicatamente attraverso l’ano per circa 10 cm,
prelevo un poco di questi fecalomi. Ho notato che a volte c’è anche del sangue rosso ed anche il
dolore, della durata di 5 minuti, è sparito, almerno fino a d ora.
Un’altra domanda: perché non vengo ricanalizzato? Il Chirurgo che mi ha operato mi disse che si
poteva prendere in considerazione la ricanalizzazione dopo un anno; un altro Dottore, sempre
dello stesso Ospedale, mi disse che era meglio aspettare ancora un altro anno. Ora il nuovo
Chirurgo dell’Ospedale mi dice che non si può fare perché è passato troppo tempo (6 anni), ed
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inoltre l’operazione potrebbe avere delle complicazioni che nuocerebbero gravemente al mio
buon stato di salute.
Egregio Dottor Nicastro attendo cortesemente una sua risposta, un suo parere, alle mie
domande, anche se mi rendo conto che solo chi mi ha operato può decidere cosa fare. La
ringrazio fin d’ora, con tanta stima, la saluto cordialmente.
P.E. Bolzano
Carissimo,
è vero la decisione la può prendere solo il chirurgo che l’ha operata. Ma doveva prenderla tanto
tempo fa, infatti sono perfettamente in sintonia con il parere dell’ultimo chirurgo: è passato
tantissimo tempo dal suo intervento, ed anche se tecnicamente l’intervento di ricanalizzazione è
sempre possibile, dopo un periodo superiore ad un anno è altamente probabile che il colon che
non ha funzionato per tanto tempo, possa non funzionare più bene, con conseguenze veramente
spiacevoli per il paziente (diarrea, dolori addominali, sanguinamenti, ecc). Questo tipo di
alterazioni possono essere facilmente dimostrate eseguendo delle biopsie sul moncone residuo
(che evidenziano una flogosi cronica), e con un esame radiologico (rx clisma opaco del moncone)
che rileva la mancanza dell’elasticità del moncone rettale. Riguardo le altre domande cercherò di
risponderle brevemente. Quello che si formano all’interno del suo moncone rettale, difficilmente
possono essere un residuo di feci presenti all’atto operatorio, piuttosto questi potrebbero
essere espressione della secrezione mucosa propria del moncone rettale che, ristagnando, si
solidifica, formando delle vere e proprie concrezioni dure, ed erroneamente definite fecalomi.
La loro formazione può essere prevenuta eseguendo delle regolari irrigazioni ( una volta ogni una
o due settimane), alle quali faranno seguito l’evacuazione di queste formazioni, senza usare
asticelle o altri artifici tecnico-artigianali. La ringrazio per la stima rivoltami e ricambio
cordialmente e calorosamente i saluti.
Ho 70 anni e godo buona salute; sono stata operata quattro anni fa per occlusione intestinale
provocata da un carcinoma del colon. Non essendo il tumore asportabile, mi e’ stata praticata una
stomia. Dopo i regolamentari cicli di chemioterapia e radioterapia il tumore si e’ notevolmente
ridotto, ma circa un anno fa mi e’ sorta una voluminosa ernia peristomale che progressivamente
aumenta, causandomi gravi disturbi e costringendomi ad uno stato di quasi assoluta immobilita’.
Ho consultato vari chirurghi sulla eventualita’ di un intervento, ma hanno dato pareri diversi. In
particolare quello che mi ha operato mi ha sconsigliato un reintervento perche’ correrei “gravi
rischi”. Cosa mi puo’ consigliare per porre fine ai miei dubbi?
L.d’A. Napoli
Cara Signora
E’ difficile poter dare un giudizio definitivo senza poter esaminare direttamente le sue
condizioni cliniche. Anche se lei dice di godere ottima salute e’ pur vero che il suo stato di
malattia attuale non viene meglio specificato. Questo non toglie che l’ernia peristomale di cui e’
affetta ormai pregiudica notevolmente la sua qualita’ di vita; per poter valutare meglio i “gravi
rischi” e’ opportuno valutare il suo effettivo stato di salute (diabete, ipertensione, condizioni
cardiorespiratorie, funzionalita’ renale). Se tutti questi parametri entrano in un accettabile
grado di rischio operatorio (sempre esistente, in tutti i casi ed in tutte le condizioni), io le
consiglio di sottoporsi ad intervento di riparazione dell’ernia. Un corretto intervento seguito da
una adeguata assistenza post-operatoria, sicuramente la renderebbe piu’ autonoma e le
restituirebbe una accettabile qualita’ di vita. Spero con questo di aver almeno in parte posto fine
ai suoi dubbi Le invio i miei piu’ sinceri saluti
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Mi chiamo R. ho 31 anni ed e’ la seconda volta che mi rivolgo alla vostra redazione. La prima e’
stata un anno fa, vi ho scritto per comunicarvi un problema direi irrisorio rispetto a quello che mi
spinge oggi a riscrivervi. Nel 95 sono stata sottoposta ad intervento di proctocolectomia totale
con ileo-ana-anastomosi e tasca a J per RCU. L’intervento sembra sia andato bene. Con le cure
esatte, una corretta alimentazione e controlli regolari, non ho avuto grossi problemi evidenti,
tranne il fatto che, sin dal primo controllo endoscopico mi e’ stata diagnosticata la pauchite. La
situazione e’ peggiorata un anno fa quando mi sono accorta di avere delle “perdite anomale” dalla
vagina. Per i ginecologi nessuna preoccupazione eccessiva. Dal pap-test e’ risultata una semplice
infezione. Ho eseguito correttamente la terapia senza alcun beneficio, le perdite continuavano e
con esse aumentava la mia ansia e preoccupazione. Un giorno decisi di consultare un libro di
Medicina e scopro una triste verita’, che va oltre ad una infezione a carico della vagina e delle
tube; qui si tratta di fistola. La conferma l’ho avuta da una fistulografia di cui allego la fotocopia
del referto. Come debbo comportarmi? Le perdite continuano e sono piu’ massiccie nei giorni che
precedono il ciclo. Dalla vagina fuoriesce anche dell’aria maleodorante alla stregua di un peto. Il
gastroenterologo curante mi ha detto che per risolvere il problema dovrei essere nuovamente
operata e che l’intervento sara’ un po’ piu’ difficile e pericloso, anche per le conseguenze. Per
questo motivo spera tanto nella scoperta di qualche farmaco come alternativa ad eventuali “tagli
e ricostruzioni”. Mi ha parlato di un farmaco che da ottimi risultati nei casi di Morbo di Crohn ma
e’ controindicato in quelli di RCU con stenosi (come il mio). Ma intanto il tempo passa e le perdite
persistono. Cosa devo fare? Vivo questa esperienza di per se negativa, con molta preoccupazione
perche’ non so quale sia la soluzione migliore:l’intervento o l’attesa si un farmaco miracoloso?
Aiutatemi per favore, ho bisogno di voi. Grazie per l’attenzione.
R. (Castelbuono)
Grazie a Lei R.,
nonostante non e’ piu’ stomizzata ancora segue e legge ConTatto. Cerchero’ di esserle di aiuto,
facendo prima delle considerazioni. Innanzitutto lei, essendo stata operata, non ha piu’ la RCU.
La pauchite rappresenta una complicanza ma non e’ sinonimo di ripresa di malattia. Per tale
motivo non vedo perche’ bisogna sperare in un nuovo farmaco contro la RCU. Detto questo, in
maniera anche cruda, penso che lei non abbia alternativa all’intervento; questo non significa “tagli
e ricostruzioni” con gravi rischi e conseguenze o almeno, in prima battuta, sento di consigliarle di
mettere a riposo la J Pouch costituendo una ileostomia temporanea. In questo modo e’ possibile
che la fistola, non piu’ alimentata dal passaggio di feci e gas, possa chiudersi spontaneamente e
se questo non si avveri, durante tale periodo e’ possibile attaure terapie locali allo scopo di
chiudere il tratto fistoloso in tutta sicurezza. Dalla lettura della fistulografia, penso che vista
l’esiguita’ della fistola, la semplice esclusione del transito fecale, per un periodo di 1-2 mesi,
attraverso la pouch possa risolvere il suo problema sia a livello della fistola che della pouchite.
Questo e’ quanto le puo’ consigliare anche il chirurgo che ha esegito l’intervento di
proctocolectomia e che io le consiglio di consultare, con fiducia e serenita’, senza aspettare
“farmaci miracolosi”. La persistenza della fistola puo’ provocare seri problemi a livello
ginecologico e, considerando la sua giovane eta’, non mi sembra il caso di tergiversare e perdere
ulteriore tempo. Sperando di essere stato chiaro e di averle dato il suggerimento che
desiderava, le auguro una pronta guarigione
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Egregio Dott. Nicastro,
mi chiamo A.C. ed ho 40 anni. Il 9 gennaio 1999 mi sono recato in ospedale per essere operato di
emorroidi, ma dopo la visita mi hanno diagnisticato un tumore al retto. Per tale motivo, dopo vari
accertamenti, sono stato sottoposto ad intervento chirurgico per l’asportazione del retto; l’esito
dell’intervento e’ stata una colostomia temporanea che dopo 2 mesi andava richiusa. Al controllo
successivo, prima del secondo intervento programmato, mi e’ stata comunicata la recidiva della
malattia, per cui l’intervento subito non e’ stato solo quello della chiusura dellos toma ma anche
di una ulteriore resezione intestinale. Al momento attuale soffro qualche volta di dolori
addominali e vado spesso in bagno, ma mi accontento di come procedono le cose. Quello che le
vorrei chiedere e una cosa che non riesco a dire neanche al medico di famiglia tanto meno al
chirurgo: dal giorno dell’intervento io non riesco piu’ a fare l’amore con mia moglie. Mi e’ stato
detto che sarebbe successa questa cosa ma solo per poco tempo, ma ormai sono passati 2 anni e
sono preoccupato. Vorrei sapere se esistono delle cure affinche’ io riprenda del tutto la funzione
sessuale ed a chi potrei rivolgermi per risolvere questo problema. So di chiedere troppo, ma
potrei continuare a ricevere ConTatto; e’ molto utile, non ti fa sentire solo ed anche leggendo le
lettere delle altre persone che sono nelle mie stesse condizioni, ti fanno andare avanti con la
forza necessaria a superare queste situazioni, anche perche’ non e’ facile vivere sapendo di
avere un tumore nel proprio corpo. Vi saluto caramente con un forte abbraccio e voglio fare
tanti auguri a tutte le persone come me.
A.C. (BR)
Caro A.C.,
La ringrazio per le parole affettuose avute nei nostri confronti e le garantisco che contiuera’ a
ricevere la nostra rivista. La sua impotenza sessuale e’ un problema frequente nei pazienti che
subiscono interventi demilitivi sul retto. Esistono delle tecniche chirurgiche per evitarle e
quando comunque questo accade, spesso e’ un fatto del tutto temporaneo che si risolve in pochi
mesi. Ma due anni sembrano un po troppi. Quello che le consiglio e’ di rivolgersi ad uno specialista
urologo o andrologo che potranno studiare bene il suo caso, con dei semplici tests, e consigliarle
una giusta terapia. Oggi, chirurgia a parte, esistono nuovissimi ritrovati che possono donarle
nuovamente la sua capacita’ amatoriale, ma il problema lei lo deve affrontare senza vergogna o
senso di menomazione, ma con la determinazione e forza che ha contraddistinto il superamento
di tanti momenti difficili della sua vita. Le invio tantissimi saluti ed auguri per una pronta
guarigione
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86
CAPITOLO 9: GLI INTERVENTI CHIRURGICI
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Introduzione
In questo capitolo tratteremo un argomento difficile, ostico per chi scrive e chi legge, ma
necessario per descrivere, speriamo in modo semplice, come viene condotto un intervento
chirurgico e quali sono i motivi della scelta della confezione di una stomia. Sono molti i nostri
pazienti che parlano, giustamente, dell’intervento come un qualcosa di subito e non vissuto e
sono molti i lettori che fanno trasparire dalle loro lettere l’esigenza di una maggiore
conoscenza di quello che è stato un evento importante della loro esistenza, certamente
traumatico e doloroso. La conoscenza degli eventi porta anche ad una migliore accettazione di
essi e questo rappresenta un primo passo verso il raggiungimento di un equilibrio psico-fisico
turbato dal presentarsi della malattia. Con questa convinzione tratteremo i più importanti
interventi chirurgici ad iniziare da quello che più frequentemente è stato attuato e cioè
l’Amputazione Addomino-Perineale del Retto per neoplasia.
Amputazione Addomino - Perineale del Retto secondo Miles.
Questo termine tecnico, scritto su tutte le cartelle cliniche dei pazienti portatori di
colostomia sinistra terminale, è adottato per indicare, agli addetti ai lavori, la qualità
dell’intervento chirurgico che più prolissamente viene poi descritto in una pagine interna.
Amputazione o resezione addomino-perineale del retto significa che l’asportazione di tale
organo, colpito dalla neoplasia, è stata eseguita, di necessità, attraverso una doppia “via”. Il
retto rappresenta l’ultimo tratto del tubo digerente, seguito dall’ano; il retto ha la funzione di
contenitore delle feci, mentre l’ano quella di controllare lo svuotamento del retto stesso.
Infatti, l’ano è circondato da una struttura muscolare (sfinteri) capace di contrarsi e
rilasciarsi, rispettivamente per impedire o favorire la fuoriuscita del contenuto rettale. Il
retto è localizzato, nel nostro corpo, all’interno della pelvi che è una struttura cavitaria dove
sono localizzati anche vescica, prostata e vescichette seminali nell’uomo, utero, ovaia e vagina
nella donna. Bisogna considerare nella chirurgia dei tumori, che la loro asportazione avviene
anche con l’organo che ne è colpito; questo può essere asportato totalmente o solo in parte e
ciò dipende dalla grandezza e, nel caso specifico, dalla localizzazione della malattia. Se una
neoplasia è posta nella parte del retto più vicina all’ano ed interessa anche il grasso
circostante, l’asportazione del retto necessariamente deve essere totale ed a volte si estende
agli organi vicini (vescica, vagina, ecc.), compreso l’ano.
Il retto per essere asportato deve essere liberato da tutti i contatti con gli altri organi e
devono essere chiuse le vie sanguigne che lo nutrono. Questo viene eseguito attraverso
l’apertura dell’addome e tramite questa la liberazione dell’organo viene fatta proseguire fino
alla pelvi, in prossimità dell’ano. A questo punto il retto, con una parte del sigma (il tratto di
colon che lo precede), viene staccato dal restante tubo digerente che verrà “abboccato” alla
parete addominale e costituirà la colostomia. L’ano con gli sfinteri, per ultimo, vengono
asportati mediante una seconda incisione eseguita sulla cute che li circonda (perineo) e la
sezione viene fatta proseguire profondamente, per pochi centimetri, fino a raggiungere il retto
già liberato. Il tutto viene poi fatto uscire dalla ferita perineale, in un unico blocco. Quindi,
“addomino-perineale” significa che l’organo è stato asportato seguendo due vie di incisione
cutanea, una maggiore posta sull’addome, l’altra in periferia, sul perineo (che è la parte
terminale del nostro tronco corporeo). In questo intervento non è possibile ricostruire la
continuità del tubo digerente ed il colon residuo viene fatto uscire, nella sua estremità, dalla
cavità addominale per una via “artificiale” (stomia), per garantire il fisiologico smaltimento dei
residui alimentari (Figura 5).
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Figura 5: Amputazione Ad domino Perineale del Retto
Secondo Miles e Colostomia
La scelta della parete anteriore dell’addome quale sede della stomia, è frutto dell’esperienza
maturata nel tempo dalla chirurgia. Anche altre sedi sono state prese in considerazione nel
passato, compresa quella dove era posto naturalmente l’ano, ma la mancanza degli sfinteri
comporta la perdita continua delle feci che in questa sede non possono essere raccolte in
protesi idonee, come quelle create per le stomie addominali. Questo intervento, anche se
altamente demolitivi, ideato dal Prof. Miles agli inizi del secolo scorso, ha rappresentato un
cardine importante per la cura delle neoplasie del retto e sono moltissimi i pazienti
definitivamente guariti grazie alla sua applicazione (Figura).
L’intento della Medicina comunque non è solo quello di alleviare il dolore e di curare, ma anche
quello di rendere la vita qualitativamente migliore, ed è proprio per questo che è nata la
“Riabilitazione del Paziente Stomizzato” ed è per questo che con entusiasmo continuiamo il
nostro lavoro.
La Stomia temporanea
Abbiamo trattato argomenti che interessano tutti i pazienti portatori di stomie, siano esse
uro, ileo o colostomie. Ma esiste un’altra “categoria” di pazienti, che possiamo chiamare “non
stomizzati nel futuro”. Questa definizione, un po’ pittorica, non vuole significare che questi
pazienti non necessitano di assistenza e cura, ma solo che la stomia ha carattere transitorio,
temporaneo e, che a breve termine, verrà eliminata ripristinando la normale continuità
intestinale. Le stomie temporanee possono essere costituite per differenti motivi: prenderemo
in considerazione quelli più importanti.
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L’intervento storicamente più antico e più frequentemente praticato, è l’intervento di
Hartmann (dal nome del chirurgo che lo ha inventato). Questa operazione consiste
nell’asportazione di una sola porzione del retto e del sigma, salvando l’ano ed una piccola
porzione del retto distale (Figura 6).
Figura 6: Intervento di Hartmann con i due tempi operatori.
I motivi per cui il chirurgo decide di costituire una colostomia sinistra transitoria e quindi
interrompere momentaneamente la continuità intestinale, sono molteplici ma i principali sono
rappresentati da: una neoplasia localmente troppo avanzata, per cui si prevede l’attuazione di
una radioterapia ad alte dosi sulla zona; dalle condizioni cliniche troppo scadute del paziente, in
questo caso il protrarsi dell’intervento potrebbe mettere in pericolo la vita stessa del paziente,
per cui si preferisce rinviare questo atto operatorio quando il paziente raggiunge una
condizione di salute ottimale.
Oggi, nei moderni centri di chirurgia addominale ed oncologica, questi due motivi fondamentali
vengono a cadere, in quanto nella maggioranza dei casi è possibile verificare prima
dell’intervento il grado di invasione del tumore, attuare la radio e la chemioterapia in grado di
ridurre la massa tumorale da asportare, migliorare le condizioni cliniche del paziente
attraverso terapie farmacologiche di supporto, quindi pianificare un intervento definitivo che
preveda l’asportazione del retto ed il ripristino della continuità intestinale in un unico tempo
operatorio. Comunque non sempre è così lineare ed automatico ed è ancora possibile per il
chirurgo trovarsi di fronte alla decisione di dover attuare un intervento in due tempi.
In questi ultimi anni la maggior parte delle colostomie temporanee vengono costituite a seguito
di due grandi motivi: il primo è rappresentato dalle urgenze ed emergenze addominali, il
secondo (paradossalmente) dagli interventi demolitivi del retto con conservazione dell’ano e
della continuità intestinale. I motivi per cui è necessario intervenire in urgenza o in emergenza
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sono rappresentati dalla perforazione dell’intestino e dalla occlusione intestinale. La
perforazione dell’intestino può verificarsi per la rottura di un diverticolo intestinale, per una
ferita da arma taglio o da fuoco, a seguito di un trauma addominale con rottura del colon a
seguito di una caduta o di un incidente stradale, e tanti altri motivi. In tutte queste condizioni
le feci si disperdono nell’addome determinando una severa e grave peritonite; di solito i
pazienti giungono in ospedale in condizioni cliniche estremamente gravi (immaginiamo gli
incidenti stradali e le ferite da arma da fuoco o da taglio), per cui è necessario, emergente,
preponderante, fare in modo che le feci non si disperdano ulteriormente nell’addome, trattare i
gravi scompensi generali causati dalla peritonite e dal trauma. Quindi il primo atto da compiere
per il chirurgo è aprire l’addome del paziente, individuare il punto di rottura e costituire una
colostomia a monte di esso, senza perdere tempo prezioso nel cercare di riparare la rottura.
Quindi tratterà la peritonite con abbondanti lavaggi antibiotici, riparerà le lesioni dei vasi in
caso di gravi emorragie e dopo aver finito la sua opera, affiderà il paziente alle diligenti cure
del rianimatore, in terapia intensiva per il trattamento e la risoluzione di tutti gli altri problemi
emergenti.. In questi casi il primo compito di tutti i Medici compreso il Chirurgo è salvare la
vita dello sfortunato paziente, rimandando poi le rifiniture, quali la resezione dell’intestino
ammalato, quando le condizioni generali del paziente lo permetteranno. Anche se in alcuni casi
si potrebbe allungare il tempo operatorio per quanto è necessario ad eseguire una resezione ed
una sutura intestinale, in presenza di una peritonite il chirurgo è obbligato a fare la scelta della
stomia temporanea, in quanto in tal caso i tessuti infiammati non garantiscono una perfetta
cicatrizzazione.
Lo stesso principio deve essere attuato nelle occlusioni intestinali; in questa evenienza
patologica, i pazienti giungono in ospedale in un grave stato di squilibrio generale, dovuto alla
dispersione di acqua e sali minerali (elettroliti) che non vengono più assorbiti dall’intestino, anzi
ristagnano in esso. Anche in questo caso bisogna per prima cosa cercare di riequilibrare gli
scompensi idroelettrolitici, migliorare e sostenere la pressione arteriosa, l’attività cardiaca e
renale, quindi risolvere per prima cosa l’occlusione deviando la fuoriuscita delle feci dal corpo
attraverso una stomia posta a monte del tratto intestinale occluso. Successivamente, quando
le condizioni cliniche migliorano, il paziente potrà in sicurezza affrontare un intervento per la
risoluzione delle cause dell’occlusione.
Il secondo gruppo di motivi che comportano la costituzione di una colostomia transitoria, in
questi ultimi anni, paradossalmente rappresentano il punto estremo del perfezionamento della
tecnica nel campo della chirurgia del retto e sono la maggiore incidenza delle stomie digestive.
Infatti, le sofisticate terapie oncologiche coadiuvanti e la creazione delle suturatici
meccaniche, permettono al chirurgo di asportare il retto in prossimità dell’ano e di costituire la
continuità intestinale mediante una sutura di quest’ultimo con il colon residuo. La rottura di
questa sutura, rappresenta un evento drammatico. La difficoltà dell’intervento e la delicatezza
delle suture coinvolte, orientano il chirurgo a costituire una stomia, che chiuderà dopo poco
tempo, a protezione della propria opera e della salute del paziente (Figura7).
La proctocolectomia totale e l’ileostomia
Il termine di proctocolectomia totale indica l’asportazione di tutto il grosso intestino,
compreso il retto e l’ano e, per poter permettere la fuoriuscita del materiale fecale, si è
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Figura 7: Colostomia derivativa
costretti a costituire un “ano artificiale”, o meglio una stomia, sulla parete addominale,
utilizzando un tratto del piccolo intestino nella porzione definita ileo (Figura 8 e 9).
Figura 8: Proctocolectomia Totale
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Figura 9 : Ileostomia definitiva
Le malattie che più frequentemente danno l’indicazione alla proctocolectomia totale sono la
Rettocolite Ulcerosa (RCU) ed il Morbo di Crohn, oltre alla poliposi familiare diffusa. Le prime
due sono malattie infiammatorie croniche che vengono curate con una terapia medica per
lunghissimi periodi di tempo ed il loro trattamento chirurgico è imposto soltanto dal fallimento
totale delle cure mediche o dalla comparsa di gravi complicanze. La poliposi familiare è invece
una malattia ereditaria, con un elevato indice di trasformazione maligna degli innumerevoli
polipi presenti nel colon ed il suo trattamento è solo chirurgico.
La proctocolectomia totale è un intervento altamente demolitivi; nel corso degli anni ha trovato
sempre più indicazione in quanto sono di molto aumentati i casi di patologie infiammatorie
croniche intestinali. Questo suo aspetto è oltretutto più evidenziato dal fatto che l’intevento
coinvolge persone giovani, poiché la massima incidenza della RCU e del Morbo di Crohn è
compresa tra i 15 ed i 35 anni. Per queste sue particolari caratteristiche, nei centri di
chirurgia addominale e colonproctologica, la proctocolectomia totale trova indicazione
allorquando le complicanze e la gravità della malattia impongono al chirurgo l’asportazione
dell’ano e quindi il sacrificio degli sfinteri anali. Queste condizioni sono ad esempio dettate
dalla presenza di ascessi e di fistole multiple che originando da retto o dal colon, si aprono nella
regione perianale o perineale. In questi casi è necessario asportare in blocco ano, retto e colon
in quanto è importante non lasciare alcun esito della malattia di base. Infatti, il Morbo di Crohn
in particolare, ha nella sua evoluzione clinica la formazione di fistole che dal tratto o dai tratti
dell’intestino colpito dalla malattia, interessano altri parti di intestino, sane o malate, o altri
organi addominali quali l’omento, il pancreas, il fegato, la vescica. Non è raro che queste fistole
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guadagnino l’esterno aprendosi sulla parete addominale, o sulla regione glutea o in prossimità
dell’ano. Una considerazione da fare a tale riguardo è che oggi non dovremmo mai trovarci di
fronte a queste situazioni e che l’intervento venga proposto ed attuato molto tempo prima che
queste complicanze diventino devastanti. Ma è anche vero che il Morbo di Crohn è una
patologia, a differenza della RCU e della poliposi familiare, che non guarisce con l’intervento
chirurgico, ma può essere ritardata nella sua naturale evoluzione da terapie mediche mirate e
continue e da trattamenti chirurgici che controllano, in maniera temporanea, l’insorgere di
complicanze temibili quale l’occlusione intestinale e la progressione delle fistole.
Diversamente la RCU solo in alcuni casi può evolvere con la formazione di fistole, ma i continui
dolori addominali, la diarrea con la dispersione di proteine ed altre sostanze nutritive, il
trattamento antibiotico, antinfiammatorio e cortisonico debilitano profondamente il paziente
che subisce un imponente dimagrimento, uno stato di anemia cronica e uno stato di deferimento
di tutte le difese; è auspicabile che il trattamento chirurgico della malattia avvenga molto
tempo prima di questa sfortunata evenienza, ed in tal caso è curativo.
Per questi motivi il paziente sottoposto a proctocolectomia totale per RCU deve sottoporsi a
periodici controlli clinici non per seguire l’evolversi della malattia di base, ma per le
conseguenze metaboliche ed elettrolitiche determinate dall’assenza del colon, mentre il
paziente che ha subito lo stesso intervento per malattia di Crohn deve essere sottoposto a
periodici controlli per seguire anche l’eventuale evolversi della malattia di base.
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CAPITOLO 10: PARTE SPECIALE
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L’intervento di graciloplastica.
Al momento di questa pubblicazione mi coglie l’obbligo di ricordare il Dott. Vittorio Trancanelli,
valente Chirurgo, che ha dedicato la sua intera esistenza alla cura dei pazienti stomizzati.
Purtroppo il Dott. Trancanelli e’ venuto a mancare qualche anno fa, in giovane età, a seguito di
una lunga malattia che lo ha debilitato nel fisico ma non nella mente e nello spirito e fino
all’ultimo momento e’ stato vicino ai suoi pazienti. A me e’ venuto a mancare un caro amico, ai
pazienti di Perugia e dell’Umbria e da altre parti d’Italia, una delle migliore figure professionali
esistite negli ultimi 50 anni.
Una delle domande più frequenti e pressanti che i pazienti rivolgono è: cosa c’è di nuovo nel
campo delle stomie?
Evidente il bisogno del paziente di sapere e di aggiornarsi sui progressi tecnologici dei presidi,
e anche una sorta di rimprovero verso la ricerca medica. Rispondere non è difficile, in quanto
quotidianamente le industrie e la ricerca si adoperano per migliorare la qualità di vita dei
pazienti, ma risposte facili danno facili illusioni, e questo non è giusto. Ai congressi di chirurgia
sono molti i relatori che con entusiasmo descrivono interventi e note tecniche su come evitare
la stomia e, negli ultimi anni, su come “togliere” la stomia. Su questo ultimo punto si è aperta
una grande discussione tra i favorevoli ed i contrari. Esiste chi dice che è la risoluzione a tutte
le stomie, chi afferma che è una “bruttura” di tecnica chirurgica. Come sempre, c’è una verità
mediana. Infatti, i “veri” esperti dell’argomento (in Italia sono meno delle dita di una mano),
cercano di divulgarlo e di applicarlo ogni qualvolta “il caso lo consenta”, e non si può giudicare
una tecnica chirurgica in base ai risultati che osserviamo su pazienti anche quando “il caso non
lo consenta”.
Trattiamo questo delicato argomento con il Dott. Vittorio Trancanelli dell’Unità Organica di
Chirurgia dell’Ospedale R. Silvestrini dell’Università di Perugia. Il Dott. Trancanelli lavora con il
Prof. Ugo Mercati, Primario dell’Unità Organica che è stato uno dei primi chirurghi in Italia,
insieme al Prof. Enrico Cavina dell’Università di Pisa, a cercare di risolvere il “problema della
stomia”. Il Dott. Trancanelli sempre ha dimostrato grande equilibrio nel proporre e nel
descrivere questa entusiasmante esperienza ed è per questo, oltre che per la stima personale
verso un professionista serio ed impegnato come pochi, che ho deciso di intervistarlo sulla
graciloplastica.
Dott. Trancanelli cos’è la graciloplastica?
Il confezionamento di un neosfintere anale mediante l’impiego del muscolo gracile e da qui il
termine di graciloplastica.
Quando è indicata la graciloplastica?
Questo intervento ha ormai un suo ruolo sia nella ricostruzione sfinterica dopo l’amputazione
addomino-perineale del retto, sia nel trattamento dell’incontinenza fecale. Nel primo caso,
quando per motivi di radicalità oncologica si richiede il sacrificio dell’apparato sfinterico e
dell’ano, una ricostruzione può essere effettuata al termine dell’intervento di amputazione
(ricostruzione sincrona) o anche in un tempo successivo (ricostruzione differita) ed è
proponibile in pazienti accuratamente selezionati.
Quali sono i criteri da prendere in considerazione?
Le caratteristiche richieste sono:
- una età inferiore ai 60-65 anni;
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- buone condizioni generali;
- forte motivazione ad evitare o ad eliminare la colostomia;
- la malattia neoplastica deve essere circoscritta e con un basso grado.
Nel trattamento della incontinenza fecale le indicazioni sono rappresentate dalle gravi forme
di incontinenza secondaria a traumi, ad atresia anale o disordini neurologici in cui non sono
attuabili altri tipi di trattamento o in cui altri tipi di chirurgia abbiano fallito e l’unica
alternativa è rappresentata dal confezionamento di una colostomia addominale permanente.
Perché viene utilizzato il muscolo gracile?
Il gracile viene utilizzato perché è un muscolo lungo e sottile, situato nella porzione mediale
della coscia con l’inserzione superiore a lato della sinfisi pubica e quindi vicina al perineo ed
all’ano. Altro vantaggio è che questo muscolo presenta uno dei due peduncoli vascolari distali,
che possono essere sezionati senza comprometterne di solito la vitalità, ed un peduncolo
neurovascolare prossimale, che va conservato, che è in grado di assicurarne la vitalità e la
capacità contrattile. Salvaguardando l’inserzione superiore ed il peduncolo neurovascolare
prossimale è così possibile liberare la porzione distale del muscolo e trasferirla nel perineo per
confezionare il neosfintere. Il gracile, insieme a questi vantaggi, ha però la caratteristica di
essere costituito prevalentemente da fibre muscolari a contrazione rapida, facilmente
affaticabili, per cui risulta poco adatto ad assicurare a livello dell’ano ricostruito una pressione
basale costante in grado di assicurare la continenza.
Come è possibile superare questo problema?
Una soluzione al problema è rappresentata dalla elettromiostimolazione (EMS) continua a bassa
frequenza ottenuta con uno stimolatore impiantabile, (tecnica messa a punto dal Prof. Enrico
Cavina dell’Università di Pisa, N.d.D.). L’EMS risulta infatti in grado di incrementare nel
muscolo trasposto la quota di fibre a contrazione lenta e resistenti alla fatica, il che rende il
muscolo gracile più simile allo sfintere esterno. Questa trasformazione si verifica in 8-12
settimane. A trasformazione avvenuta, il gracile è in grado di assicurare a livello del nuovo ano,
una pressione basale costante capace di determinare la chiusura.
In questi casi come avviene la defecazione?
L’interruzione dell’EMS continua mediante un magnete esterno, interrompe la contrazione
tonica del muscolo e permette la defecazione.
Esistono problemi legati a questo tipo di tecnica?
Questa tecnica, per quanto promettente, presenta ancora alcuni inconvenienti:
- costi elevati del sistema impiantabile;
- vita relativamente breve delle batterie, e quindi la sostituzione dello stimolatore ogni 3-5
anni;
- rischio di deconnessione tra stimolatore e muscolo per usura dei cavi;
- rischio di complicanze infettive che rendono necessaria la rimozione del sistema impiantabile;
- riduzione, dopo i primi 6 mesi di EMS, della pressione massima che il neosfintere può
generare;
- riduzione della massa muscolare legata all’incremento delle fibre lente e alla riduzione delle
fibre rapide.
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Esistono altri tipi di graciloplastica?
Accanto a questa che viene definita “Graciloplastica Dinamica”, esiste anche una graciloplastica
che potremmo definire “povera”, perché non fa uso di sistemi impiantabili, cui viene dato il
nome di “Graciloplastica Riabilitata”, in quanto la continenza è legata non solo all’intervento
chirurgico, ma piuttosto all’integrazione di più fattori:
- la chirurgia (graciloplastica);
- le tecniche riabilitative (EMS discontinua, fisiokinesiterapia, biofeedback);
- le tecniche derivate dalla riabilitazione enterostomale (irrigazione);
- la dieta;
- l’eventuale uso di farmaci antidiarroici.
Quali sono gli svantaggi della Graciloplastica Riabilitata?
Gli svantaggi sono rappresentati:
- dalle basse pressioni basali ottenute a livello del nuovo ano;
- dalla necessità di un uso intensivo di tecniche riabilitative;
- dalla necessità di personale specializzato per il nursing e la riabilitazione;
- dalla necessità di irrigazioni più o meno frequenti per assicurare una continenza completa.
Ed i vantaggi?
I reali vantaggi sono:
- i bassi costi;
- la minore quota di complicanze;
- i risultati complessivamente buoni e sovrapponibili a quelli che si ottengono con la
Graciloplastica Dinamica;
- la possibilità di convertire la Graciloplastica da Riabilitata in Dinamica.
Con la Graciloplastica Riabilitata si ottengono a livello del nuovo canale anale valori pressori che
si collocano al di sotto del limite inferiore
dei valori normali, si tratta comunque di valori che tendono a mantenersi costanti nel tempo
grazie alla riabilitazione. La pressione massima sotto contrazione raggiunge invece valori
normali.
Quando è possibile eseguire la graciloplastica?
Abbiamo eseguito 26 interventi: in 6 pazienti su una colostomia perineale costituita al momento
dell’intervento demolitivo, in 20 pazienti a distanza di tempo dall’intervento di Miles.
Quali sono stati i risultati di questa vostra esperienza?
Nei 26 pazienti i risultati sono stati ottimi in 2 casi, buoni in 12 e mediocri per gli altri 12
pazienti. Non abbiamo avuto risultati cattivi che abbiano imposto il riconfezionamento della
colostomia addominale.
Quindi oltre il 50% dei pazienti raggiunge la continenza con una colostomia perineale.
Questo è un buon risultato chirurgico ma è legato solo alla accurata selezione dei pazienti da
sottoporre all’intervento.
Allora non resta che riconoscere che nonostante le numerosissime richieste avete eseguito
“solo” 26 operazioni poiché “solo” questi pazienti avevano i giusti requisiti per l’intervento. Se si
generalizza la proposta dell’intervento i risultati che si otterranno saranno disastrosi. Penso
che questo intervento debba essere attuato solo in Centri altamente qualificati, dotati di
personale medico ed infermieristico “motivato” a seguire passo per passo i pazienti, proprio
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come succede a Perugia o a Pisa che ormai hanno raggiunto la giusta esperienza e maturità per
poter garantire una assistenza valida e continua a tutti i pazienti.
La pouch ileale: l’alternativa all’ileostomia
La particolare attenzione al miglioramento della qualità di vita, ha accelerato lo sviluppo di
tecniche chirurgiche alternative alla proctocolectomia totale ed all’ileostomia definitiva, che
ricordiamo essere l’intervento eseguito nei pazienti affetti da Rettocolite Ulcerosa, Morbo di
Crohn e poliposi familiare.
La migliore comprensione delle funzioni svolte dal piccolo e dal grosso intestino, l’avvento di
nuovi farmaci, il perfezionamento delle tecniche chirurgiche, hanno condotto ad interventi di
conservazione degli sfinteri e dell’ano e a volte di tutto o di una parte del retto, rendendo
quindi possibile l’aggancio del piccolo intestino su di essi in modo da garantire l’evacuazione per
via naturale.
Alle prime applicazioni di questi interventi il problema fondamentale da risolvere era il numero
di scariche evacuative che il paziente aveva in una giornata. Infatti, le feci contenute nel
piccolo intestino sono liquide ed hanno un flusso quasi continuo. Questo determina, ovviamente,
la continua stimolazione alla evacuazione e si possono avere fino a 20 e più scariche di feci
liquide giornaliere; situazione, questa, che determina sicuramente una invalidità meno tollerata
che una ileostomia, anche perché a volte, potevano associarsi episodi di deficit della continenza
anale. Per ovviare a queste rovinose evenienze è stata proposta ed attuata la costituzione di
una “tasca” (pouch), utilizzando il tratto del piccolo intestino che doveva essere ricollegato
all’ano o al retto, in modo che potesse contenere le feci prima di essere espulse. Questa tasca
viene costituita duplicando su se stesso, una o due volte, il tratto terminale dell’ileo, le cui
pareti vengono sezionate e suturate fino a costituire un vero e proprio “serbatoio”, che viene
suturato alla parte terminale del retto o direttamente all’ano. Lo scopo è di far stazionare le
feci liquide di tipo ileale in questo serbatoio posto prima dell’ano, in modo da ridurre la
frequenza delle evacuazioni sapendo che, nel tempo, questa cosiddetta “tasca” modificherà il
proprio atteggiamento funzionale, giungendo a sostituire in parte quello del retto.
Questo artificio di tecnica chirurgica non è comunque privo di complicazioni; innanzitutto
bisogna considerare la particolare delicatezza dell’intervento e lo stato generale del paziente.
Le numerose, necessarie, suture intestinali, nell’immediato post-operatorio, in alcuni sfortunati
casi, possono subire dei distacchi (deiscenze), provocando la fuoriuscita delle feci dal canale
intestinale nell’addome e quindi determinare una peritonite più o meno estesa. In questi casi
bisogna reintervenire d’urgenza, effettuare degli abbondanti lavaggi peritoneali con soluzioni
antibiotiche e costituire una ileostomia derivativa (Figura 10), in modo che le feci non giungano
a livello della perforazione. L’ileostomia, a guarigione avvenuta, verrà chiusa per ricostituire la
continuità intestinale.
Una ulteriore considerazione riguarda le condizioni generali del paziente, che spesso giunge
all’intervento gravemente debilitato e dal cui stato le complicanze dipendono. Fra queste
ricordiamo la cattiva o mancata cicatrizzazione della parete addominale e delle suture interne;
in tali casi è necessario mantenere il paziente in nutrizione artificiale, allungando i tempi di
ricovero ed il recupero funzionale.
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Figura 10: Ileostomia derivativa
In conclusione possiamo affermare che è consolidata la scelta verso la conservazione sfinterica
anale nelle patologie benigne del colon e del retto, mentre le colectomie totali vengono
completate da anastomosi ileo-rettali o ileo-anali con la interposizione di “pouches”
Tra le opzioni dello specialista chirurgo rimangono la costituzione di una ileostomia provvisoria
a protezione delle molteplici suture intestinali e la instaurazione di una alimentazione
artificiale (NPT) più o meno protratta.
In tale maniera si riescono ad evitare, ove possibile, interventi demolitivi dei quali l’esitoè la
confezione di una ileostomia definitiva, anche in pazienti di giovane età
.
Sfintere artificiale e colostomie
Da molti anni si discute sui progressi fatti dalla ricerca chirurgica, medica e tecnologica che
attualmente permette, in una grande percentuale di casi, di evitare la costituzione di una
colostomia a seguito di un tumore localizzato al retto. A questo indubbio vantaggio, si aggiunge
quello determinato dalle terapie antitumorali, che permettono la cura di questi tumori prima e
dopo la chirurgia. Bisogna comunque precisare che, per innumerevoli motivi, non in tutti i casi è
possibile attuare questo tipo di trattamenti combinati; le precarie condizioni cliniche del
paziente, l’urgenza dell’intervento, la diffusione locale del tumore e, non per ultimo, la
mancanza o la carenza di strutture adeguate all’attuazione di queste strategie terapeutiche,
fanno sì che, anche se pur raramente, è possibile che in qualche paziente si rende impossibile la
conservazione dell’ano ed è doveroso la costituzione di una colostomia.
Se questo è al momento il panorama ottimistico sulla risoluzione di una patologia importante ed
invalidante, esso stesso non implica che la ricerca resti insensibile verso i problemi dei pazienti
portatori di colostomia. Già da qualche decennio è attuato l’intervento di graciloplastica che
consiste nell’utilizzare i muscoli interni della coscia (muscoli gracili) in sostituzione degli
100
sfinteri anali, avvolti intorno ad una colostomia costituita nella zona in cui prima c’era l’ano. La
particolarità dell’intervento, la particolare assistenza specialistica ai pazienti sottoposti a
questi interventi ha fatto sì che solo alcuni centri in Italia potessero attuare quest’intervento
che impone anche un’attenta e precisa selezione dei pazienti che ne possono beneficiare.
Abbiamo avuto modo in passato di scrivere sulla possibilità di risolvere l’incontinenza fecale
grave con l’applicazione di uno sfintere artificiale che andasse a supplire la mancata funzione
dello sfintere naturale; i primi importanti successi ottenuti con questa tecnica ha permesso, ad
alcuni di noi, di riflettere sulla possibilità di attuare questa tecnica chirurgica sui pazienti
colostomizzati (Figura 11).
Figura 11: Lo Sfintere Artificiale
In pratica si è pensato sulla possibilità di impiantare lo sfintere artificiale intorno alla stomia
che è spostata dalla parete addominale alla zona dove prima c’era l’ano; in pratica si è cercato
di applicare lo stesso principio della graciloplastica sostituendo i muscoli con lo sfintere
artificiale. Da qualche mese siamo passati dalla riflessione alla applicazione pratica su alcuni
pazienti selezionati; i risultati finora ottenuti sono ottimistici e ci impongono il proseguimento
dell’applicazione clinica. L’impianto di sfintere artificiale in pazienti portatori di colostomia,
secondo la tecnica da noi proposta, necessita in questa prima fase, di una particolare ed
attenta selezione dei pazienti da sottoporre ad intervento; in particolare, i pazienti devono
essere particolarmente motivati a sottoporsi a questo intervento in quanto esso prevede un
iter composto da almeno tre atti operatori. Il primo comporta lo spostamento della stomia dalla
parete addominale alla regione perineale; in questo primo intervento viene impiantato, nella
parte finale del colon, una prima sorta di protesi al fine di creare un alloggiamento per lo
sfintere artificiale vero e proprio, e viene costituita una nuova colostomia o ileostomia
provvisorie (Figura 12). Il secondo intervento, fatto a distanza si circa 60 giorni, prevede
l’impianto dello sfintere vero e proprio, mantenendo la stomia; dopo circa un mese lo sfintere
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Figura 12: Colostomia derivativa
sarà attivato e quindi si effettuerà il terzo intervento chirurgico che prevede l’abolizione della
stomia. Lo sfintere artificiale è costituito da un cuscinetto idraulico, che è posizionato a
qualche centimetro dalla stomia, collegato ad un serbatoio ed ad una valvola idraulica,
d’attivazione, che determina il riempimento e lo svuotamento del cuscinetto, secondo le
necessità. Infatti, il cuscinetto/sfintere è sempre gonfio e questo permette la chiusura della
stomia (in questo caso un vero ano artificiale); al momento dell’evacuazione, si dovrà premere la
valvola (posizionata nello scroto o nelle grandi labbra vaginali) che farà sgonfiare il
cuscinetto/sfintere ed aprire la stomia. Dopo circa 10 minuti, il cuscinetto/sfintere si gonfierà
automaticamente, chiudendo nuovamente la stomia. Da questa breve descrizione, è ben
comprensibile com’è necessario che il paziente sottoposto a quest’intervento deve avere un
buono stato di salute (sia fisico, sia psicologico), deve essere abile a comprendere il
meccanismo di funzionamento dello sfintere e, in ogni caso, deve aver superato il terzo anno
dalla data dell’intervento che ha portato alla costituzione della colostomia definitiva. In questa
prima fase la nostra principale preoccupazione è l’individuazione delle principali complicazioni,
la loro prevenzione e trattamento; per questo poniamo particolare cura alla selezione dei
pazienti da sottoporre all’intervento ed alla standardizzazione dei tempi operatori, in quanto
solo il superamento, passo per passo, di tutti i probabili ostacoli che si possono incontrare ci
condurrà alla applicazione dello sfintere artificiale su un grande numero di pazienti. E’
opportuno ricordare che, se si hanno complicazioni gravi, tali da far asportare lo sfintere
impiantato, questo rappresenta una grave sconfitta in primo luogo perché viene delusa una
grande aspettativa per il paziente (problema non trascurabile) ed inoltre viene vanificata una
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grande risorsa economica (dato il costo intrinseco della protesi). Il successo dell’intervento di
contro, significa il pieno raggiungimento della continenza ed una evacuazione regolare, simile a
quella “naturale”.
Il nostro obiettivo è sempre stato quello di donare una migliore qualità di vita ai pazienti
portatori di colostomia ma, nello stesso tempo, la ricerca comincia a muovere i primi pensieri
verso un impianto di sfintere artificiale al momento dell’asportazione del retto e dell’ano;
anche se quest’ultima strada è ancora tutta da esplorare, rimane la certezza (senza creare
facili entusiasmi), che nel prossimo futuro molti pazienti potranno beneficiare di una tecnica
chirurgica sicuramente efficace e risolutiva che senza presunzione possiamo affermare essere
“tutta di casa nostra”.
Chirurgia: il futuro presente.
In chirurgia addominale sono stati molti i progressi che hanno condotto ad interventi aventi lo
scopo di conservare gli sfinteri anali, mantenendo i criteri di radicalità oncologica e patologica,
al fine di migliorare la qualità di vita dei pazienti. Lo stesso si può affermare per la chirurgia
urologica, in particolare per la chirurgia delle patologie della vescica; in questo specifico campo
sono di molto aumentati gli interventi conservativi e sia la ricerca farmacologica che quella
tecnologica permettono oggi delle guarigioni un tempo impensabili. Di tutto questo ne parliamo
con il Prof. Enrico Cruciani, Primario della Divisione di Urologia dell’Ospedale Fatebenefratelli
di Roma. Il Prof. Cruciani è uno dei maggiori esperti in Italia e gode di particolare stima, oltre
che fama, sia in ambito nazionale che internazionale. Mi pregio dell’onore personale di averlo
come amico, riconoscendogli una particolare sensibilità, bontà ed attaccamento al paziente,
qualità queste non più comuni nella nostra professione, riservate solo a particolari Maestri, di
vita oltre che di arte sanitaria, categoria a cui appartiene Enrico Cruciani.
Qual è l’incidenza del carcinoma vescicale in Italia?
Il carcinoma vescicale rappresenta circa il 3% di tutte le forme neoplastiche nel nostro Paese;
ha una maggiore incidenza nel maschio che nella femmina e le città più colpite sono Trieste,
Firenze, Torino e Varese.
Quali sono le cause principali della sua insorgenza?
Tra le principali cause sicuramente troviamo il fumo di sigarette e l’esposizione a particolari
sostanze chimiche rappresentate dalle amine aromatiche. Inoltre importanza assumono i
fattori ambientali, quali lo smog e le acque clorurate, alcune malattie quali la Bilharziosi ed
anche le infezioni vescicali croniche.
Quali sono i sintomi che devono mettere in allarme?
Principalmente l’emissione di sangue con le urine (ematuria); altri sintomi sono: una eccessiva
frequenza ad urinare (pollachiuria), l’impellente bisogno di urinare (minzione imperiosa), il
dolore vescicale (tenesmo), il dolore durante la minzione (stranguria).
Come si cura il carcinoma della vescica?
Esistono diversi metodi ed approcci in base al tipo ed al grado del tumore. E’ possibile eseguire
l’asportazione del tumore mediante cistoscopia, oppure mediante una chirurgia a cielo aperto; in
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questo ultimo caso è possibile eseguire solo l’asportazione di una piccola porzione di vescica
(escissione a pastiglia), oppure di asportare una parte o tutta la vescica (cistectomia parziale o
radicale). A volte può essere proposta la sola radio-chemioterapia, che può essere associata
alla chirurgia, come pure la chemio-immunoprofilassi condotta direttamente nella vescica
mediante l’immissione dei farmaci con un catetere.
Fino a qualche anno fa l’asportazione completa della vescica comportava sempre il
confezionamento di una urostomia. Oggi si parla di cistectomia con confezionamento di una neo
vescica cosiddetta ortotopica. In che cosa consiste questo intervento?
Questa tecnica consiste nell’utilizzare un segmento di intestino (ileo, ileo-cieco, cieco-colon)
che con una particolare preparazione chirurgica (detubularizzazione), viene conformato a
serbatoio urinario sul quale vengono impiantati gli ureteri, che portano l’urina dai reni alla
“nuova vescica” e l’uretra, che consente di portare l’urina dalla “nuova vescica” all’esterno, per
via naturale. Questo arteficio permette di avere un serbatoio abbastanza capiente, con una
bassa pressione al suo interno per evitare il reflusso dell’urina verso i reni, e che permette la
continenza urinaria ed ovviamente una buona qualità di vita. In alcuni casi selezionati l’impiego
delle tecniche a salvaguardia della innervazione (Nerve Sparing), può consentire il
mantenimento della potenza sessuale.
Quando è indicato questo intervento?
Questo intervento è consigliato in quei pazienti con un carcinoma vescicale che risponde ad una
caratteristica istologica e cioè a cellule transizionali; altre caratteristiche sono la presenza di
questo tumore nella forma estesa superficiale o con una infiltrazione localizzata in particolari
zone della vescica (escludendo le infiltrazioni del collo vescicale e dell’uretra). I pazienti
devono avere una età non superiore a 70 anni, non devono avere patologie intestinali o
insufficienza renale. All’inizio questo intervento era indicato solo negli uomini, mentre oggi
viene attuato anche nelle donne con l’eventuale posizionamento di uno sfintere urinario
artificiale per garantire la continenza.
Quali sono le possibili complicanze legate a questo intervento?
Innanzitutto il distacco delle suture eseguite sull’intestino; inoltre si può verificare la rottura
della neo-vescica, una occlusione intestinale (da restringimento dell’intestino residuo), il
reflusso di urina verso i reni, il restringimento delle suture tra la neo-vescica e gli altri
condotti urinari, l’incontinenza urinaria notturna o anche diurna, il cattivo funzionamento della
neo-vescica per eccessiva produzione di muco (muco intestinale, perché la neo-vescica è un
tratto di intestino), l’insorgenza di infezioni urinarie.
Precisando che queste complicazioni non avvengono in tutti i casi, ci può descrivere i risultati
ottenuti?
Nella nostra esperienza abbiamo avuto pochissime di queste complicanze maggiori (il distacco
delle suture, l’occlusione intestinale o la rottura della neo-vescica), mentre nel 90% dei casi i
pazienti hanno una buona continenza diurna e nell’80% anche una ottima continenza notturna.
Nella maggior parte dei nostri pazienti la nuova vescica può contenere fino a 500 cc. di urina,
con una bassissima pressione vescicale.
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Possiamo quindi affermare che questo tipo di intervento rappresenti il futuro nella chirurgia
del carcinoma vescicale?
Si, nei casi in cui la conservazione della vescica non sia possibile per il fallimento di terapie
alternative compresa la radio-chemioterapia in infusione continua ed altri protocolli combinati,
ancora in fase di studio.
Esiste un altro futuro che è la prevenzione. Cosa bisogna fare per prevenire il carcinoma
vescicale?
Innanzitutto evitare l’esposizione ai fattori di rischio prima descritti, quali il fumo di sigarette,
lo smog, l’ingestione di amine aromatiche e di acqua clorurata ed evitare la cronicizzazione delle
infezioni urinarie. Inoltre bisogna cercare di diagnosticare precocemente la presenza di un
tumore della vescica. In presenza di uno dei sintomi prima descritti non bisogna limitarsi alla
assunzione di farmaci sintomatici ma occorre effettuare accertamenti diagnostici più
approfonditi quali l’esame citologico delle urine, l’ecografia e, soprattutto, consultare lo
specialista urologo.
La riabilitazione dell’incontinenza urinaria.
Visto il cambiamento editoriale di ConTatto, abbiamo deciso per alcuni numeri di abbandonare
temi specifici legati agli stomizzati e di trattare particolari problemi di salute che possono
interessare sia loro che i loro familiari e i nostri amici lettori.
Fra i temi di mia competenza che possano suscitare l’interesse di tutti anche per la vasta
incidenza nella popolazione, il primo che mi è balenato nella mente è l’incontinenza urinaria. La
perdita involontaria dell’urina è un sintomo che coinvolge circa il 31% della popolazione adulta
femminile; questa percentuale è aggiornata per difetto in quanto molte donne, per pudore,
evitano di svelare il problema al medico. A questa considerazione va aggiunta comunque quella
che, spessissimo, quando la persona vince ogni timore e svela con fiducia al proprio medico il suo
avvilente sintomo, non trova una risposta adeguata da parte dell’interlocutore; anzi spesso la
risposta è del tipo: " è l’età! è naturale! prova con il pannolino!! ecc.". Invece nei Paesi evoluti dal
punto di vista della salute e della qualità di vita, come ad esempio, al solito negli USA, su ogni
confezione dei pannolini per adulti troneggia una scritta " di incontinenza si può guarire!
Rivolgiti allo Specialista di fiducia". Non pretendiamo dal nostro Ministro della Sanità un atto
di tale temerarietà, però potremmo invitarla a sviluppare meglio i temi della qualità di vita
soprattutto in campo dell’incontinenza, sia urinaria che fecale, in quanto, "Udite! Udite!", di
incontinenza si può guarire e ciò comporta un notevole risparmio sulla spesa sanitaria in
pannoloni e pannolini, oltre che sulla assistenza diretta dei pazienti con incontinenza nei nostri
nosocomi. Cifre alla mano, sempre negli USA, all’incontinenza fecale (molto meno frequente di
quella urinaria) è legata una spesa sanitaria di 400 milioni di dollari (dati 1993), ed in Italia?
Non lo sappiamo. Però penso che se realmente affrontassimo l’argomento potremmo differire
di qualche decennio i tagli sulla salute e sulla previdenza e le riforme di vario tipo.
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L’incontinenza urinaria è più frequente nelle donne in quanto la causa scatenante è spesso il
parto per via naturale; infatti durante il passaggio del feto dall’utero in vagina e quindi
all’esterno, tutta la struttura neuromuscolare che sorregge gli organi della pelvi (il pavimento
pelvico) subisce un trauma diretto, spesso aggravato dalle lacerazioni spontanee e dal taglio
ostetrico. Quando la donna è giovane anche la sua muscolatura del pavimento pelvico ed anche
gli sfinteri da questa formati, hanno un qualche recupero funzionale, ma con il passare degli
anni e con la menopausa, lo sconvolgimento ormonale provoca una repentina perdita funzionale
del pavimento pelvico ed ecco affacciarsi i vari prolassi (vescicali, rettali, vaginali, ecc.), oltre
che l’incontinenza urinaria. Ma esistono altre cause dell’incontinenza quali gli interventi
chirurgici condotti sulla pelvi, il diabete, malattie di origine neurologica, malattie di origine
psicologica. Comunque nella donna la causa più frequente dell’incontinenza urinaria è il parto e si
manifesta soprattutto durante gli sforzi; nell’uomo sono gli interventi chirurgici sulla prostata.
La terapia dell’incontinenza urinaria può essere supportata dai farmaci, quando l’incontinenza è
dovuta a cause inerenti l’innervazione della vescica (urgenza urinaria, vescica instabile), o in
caso di cistiti o deficit ormonali. La chirurgia è proponibile quando l’incontinenza è conseguenza
di un gravissimo deficit delle strutture di sostegno degli organi pelvici, oppure quando lo
sfintere dell’uretra è completamente lesionato. Nei casi più frequenti di incontinenza urinaria
sia maschile che femminile è oggi proponibile una terapia "alternativa", basata sulla
rieducazione funzionale del pavimento pelvico. Questa tecnica di riabilitazione si avvale di
diverse metodiche quali la fisioterapia, l’elettrostimolazione funzionale, il biofeedabck.
Attraverso semplici
esercizi di fisioterapia si educa la/il paziente al controllo della
muscolatura del pavimento pelvico e quindi degli sfinteri, con conseguente aumento della forza
e della durata della contrazione. L’elettrostimolazione funzionale viene eseguita mediante delle
sonde vaginali o anali che trasmettano degli impulsi elettrici alla muscolatura del pavimento
pelvico; questi impulsi sono controllati da una complessa apparecchiatura computerizzata e il
loro scopo è di far contrarre involontariamente la muscolatura per tempi sempre crescenti. Con
l’elettrostimolazione si può fare apprendere al paziente un giusto movimento, per aumentare la
forza di chiusura dello sfintere striato dell’uretra, per inibire le contrazioni involontarie del
detrusore della vescica, per mantenere e migliorare la viscosità, l’elasticità e la estensibilità
delle fibre muscolari danneggiate o denervate. Vista la complessità della terapia e la frequente
modulazione necessaria alla sua applicazione, essa deve essere eseguita direttamente dal
medico e non da altri. Queste considerazioni valgono anche per il biofeedback, detto
condizionamento operativo. Infatti attraverso il biofeedback si cerca di educare il paziente al
giusto movimento di controllo della muscolatura del pavimento pelvico, azione questa che non
avviene normalmente attraverso la coscienza. La metodica permette, attraverso stimoli visivi
ed uditivi, di far capire al paziente quando il suo movimento è giusto o meno e quindi di portare
a livello della sua coscienza una azione prima svolta in maniera automatica, anche se sotto il
controllo delle funzioni cerebrali. Il biofeedback viene eseguito mediante delle sonde
introdotte nell’ano o nella vagina; le sonde percepiscono il movimento sotto forma di pressione o
di movimento elettromiografico e lo spediscono ad un computer che elabora i dati provenienti
dalle sonde tramutandoli in grafici di movimento ed in suoni di diversa intensità. Al giusto
movimento corrisponde un grafico ed un suono. Una volta acquisito il giusto movimento di
contrazione e di rilasciamento i pazienti vengono sottoposti a tempi crescenti di contrazione,
per aumentare la forza e la durata della contrazione volontaria necessaria al controllo della
continenza. Il protocollo da noi creato da più di un decennio, prevede l’applicazione di tutte e
tre le metodiche durante la stessa seduta. La durata della seduta raggiunge i 60 minuti e viene
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modulata in base alle caratteristiche psico-fisiche del paziente. Si devono eseguire tre sedute
a settimana ed almeno 15 sedute senza interruzione.
Chi legge ora si domanderà: ma io come potrò fare? Ecco un’anteprima. Sempre negli USA, è
stata messa a punto una nuova strumentazione che utilizza le onde magnetiche per stimolare
l’apparato neuromuscolare del pavimento pelvico. Lo stimolo parte da un magnete posto sotto
una sedia. Quindi il paziente, vestito, senza subire l’introduzione di alcuna sonda, si siede
comodamente su questa poltrona e le onde magnetiche, comandate da un computer sotto il
controllo del medico, fanno il resto. L’apparecchiatura, è in sperimentazione avanzata negli
USA e con un "pizzico di orgoglio", comunico che è in sperimentazione anche in Italia, solo a
Roma, all’European Hospital nel Dipartimento di Colonproctologia ed io sono il medico designato
alla sperimentazione.
La riabilitazione dell’incontinenza fecale.
La mancata capacità di ritardare lo svuotamento volontario del contenuto rettale, in un tempo e
in un luogo socialmente utile, viene definita Incontinenza Fecale. Questo sintomo, molto di più
della incontinenza urinaria, comporta un estremo disagio per molte
persone, che
progressivamente tendono ad isolarsi ed a rifiutare qualsiasi forma di relazione sociale,
lavorativa e familiare. Già nel precedente numero abbiamo dato alcune cifre sul costo sociale
dell’incontinenza fecale negli USA, ma statistiche più recenti riferiscono che essa è la seconda
causa di ricovero negli istituti di cura per anziani e che il 60% delle persone anziane ricoverate
nelle case di riposo è afflitta dal sintomo. Sulla popolazione adulta in generale la sua incidenza
è del 18%, ma queste sono cifre riferite sempre a studi condotti in altri Paesi mentre in Italia
non è stimabile in alcun modo quale è l’impatto sociale e sanitario dell’incontinenza fecale. Le
cause che comportano l’insorgenza della perdita involontaria di feci sono molteplici; nei pazienti
anziani sono soprattutto cause neurologiche, nella popolazione giovane adulta essa è dovuta a
lesione diretta della muscolatura anale e del pavimento pelvico a seguito di traumi o, molto
frequentemente, ad interventi chirurgici. Una altra causa è, come per l’incontinenza urinaria, il
parto per via naturale condotto con estrema difficoltà o complicato da feti molto grandi,
dall’uso del forcipe, da lacerazioni ricostruite con molte difficoltà. Inoltre durante il parto
possono verificarsi dei traumatismi a carico della innervazione del pavimento pelvico e della
muscolatura anale, che anche a distanza di anni porterà all’insorgenza dell’incontinenza fecale.
Il danno a carico dell’innervazione del pavimento pelvico e della muscolatura anale può essere
anche la diretta conseguenza del diabete. Una nuova causa di incontinenza fecale è
rappresentata, paradossalmente, dagli interventi demolitivi del retto e del colon con l’intento
della conservazione degli sfinteri anali al fine di una maggiore continenza. In molti casi,
l’asportazione del retto e della sua funzione di serbatoio comporta il continuo stimolo alla
defecazione ( i pazienti evacuano dieci e più volte al giorno) e, soprattutto nel primo periodo,
questo si accompagna ad incontinenza soprattutto di feci liquide e dei gas. In molti altri casi
l’incontinenza si manifesta a seguito della chiusura di una stomia digestiva con la costituzione
della continuità intestinale. In questo caso, quando la stomia è stata presente per un lungo
periodo di tempo, la muscolatura anale, non più sottoposta a stimoli fisiologici, va incontro ad
atrofia; al momento della ripresa delle normali funzioni quindi essa sarà in qualche modo
deficitaria e ciò comporterà l’insorgenza della incontinenza.
Una ulteriore causa di
incontinenza è rappresentata dalla diarrea; il perdurare di una diarrea con numerosissime
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scariche alvine durante l’arco della giornata, comporta la stanchezza della muscolatura
deputata alla continenza e quindi può accadere che una delle tantissime scariche non siano
perfettamente controllate.
Di fronte alla complessità delle svariate cause che portano all’incontinenza è prevedibile che la
cura di tale sintomo sia altrettanto complessa. La terapia dell’incontinenza fecale può essere
farmacologica e dietetica, chirurgica, riabilitativa. L’uso dei farmaci e di una dieta priva di
scorie è attuabile in tutte le forme di incontinenza fecale in quanto riducendo il numero delle
evacuazioni, si riducono, ovviamente, gli episodi di incontinenza. Nelle lesioni molto gravi dei
muscoli è consigliabile l’intervento chirurgico volto alla ricostituzione della apparecchiatura
sfinterica. L’assenza totale o quasi degli sfinteri anali necessita della loro sostituzione e questa
può essere fatta con l’utilizzo di altri muscoli del corpo, posti nelle vicinanze dell’ano. A tal fine
possono essere trasposti intorno all’ano sia i muscoli della coscia che i muscoli glutei. Questo
tipo di interventi sono gravati da molte complicazioni e possono essere attuati solo in alcuni
centri specialistici. Oggi è in studio l’applicazione di uno sfintere artificiale anale. Questo
sistema è stato mutuato dal suo utilizzo in urologia e si basa sullo stesso funzionamento. Una
cuffia idraulica viene avvolta intorno all’ano ed essa viene attivata e disattivata da una pompa,
di ridottissime dimensioni, che viene alloggiata in una delle grandi labbra della vagina, nella
donna, e nello scroto, nell’uomo. L’impiego dello sfintere artificiale è attuato solo in pochi centri
in Italia e prevede una accurata selezione dei pazienti. Al momento stiamo studiando il possibile
utilizzo dello sfintere artificiale nei pazienti che devono, o abbiano già subìto, l’asportazione
del retto e dell’ano e quindi necessitano o hanno una colostomia.
I pazienti con turbe neurologiche, che non possono attuare altro tipo di terapia, possono essere
sottoposti a enteroclismi cadenzati (per intenderci ad irrigazione del colon eseguita per via
anale), che portano allo svuotamento dell’intestino programmato e quindi al controllo
dell’incontinenza. In tal modo si evita il pannolone, il continuo imbrattamento e le sue dirette
conseguenze (piaghe da decubito infette, micosi, dermatiti, ecc.), inoltre si migliora la qualità
di vita del paziente oltre che l’assistenza stessa.
Quando il danno sfinterico è di modesta entità, nelle neuropatie periferiche, dopo l’abolizione
della ampolla rettale ed in molte altre cause, l’incontinenza fecale può essere trattata
mediante un procedimento riabilitativo che noi abbiamo creato circa 13 anni orsono,
denominato Rieducazione Funzionale degli Sfinteri Anali. Questo originale procedimento si
avvale della contemporanea applicazione delle tre principali metodiche di riabilitazione del
pavimento pelvico che sono la fisioterapia, l’elettrostimolazione ed il biofeedback. La
rieducazione Funzionale degli Sfinteri Anali prevede due tempi: durante il primo tempo vengono
attuate la fisioterapia e l’elettrostimolazione per 5 sedute, poi alle due si aggiunge il
biofeedback fino alla 15° seduta. Il secondo tempo prevede l’esecuzione di 6 sedute ogni 3 mesi
per un anno e durante le sedute il paziente esegue tutte e tre le metodiche. La fisioterapia ha
lo scopo di migliorare il controllo degli sfinteri anali, la cui forza contrattile viene migliorata
dalla elettrostimolazione. Quest’ultima migliora anche il trofismo, l’elasticità e la durata della
contrazione, con notevole beneficio per le fibre denervate. Il biofeedback serve per migliorare
volontariamente la forza e la durata della contrazione dei muscoli che costituiscono lo sfintere
anale. L’elettrostimolazione ed il biofeedback vengono eseguiti mediante delle sonde anali ed i
controlli sia dello stimolo elettrico che delle informazioni sulla contrazione volontaria
(biofeedback) vengono elaborati da un computer, trasformati in segnali acustici e visivi, in
modo da renderli ben comprensibili al paziente che in tal modo riesce a modulare
volontariamente i movimenti del solo sfintere muscolare. Tutto il ciclo di rieducazione ha quindi
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lo scopo di migliorare le prestazioni dello sfintere anale in termini di aumento della forza e
della durata della contrazione volontaria, in modo da controllare lo stimolo della defecazione e
ritardare l’evacuazione in un tempo ed in un luogo socialmente utili. Per la complessità delle
problematiche di fisiopatologia neuromuscolare che affronta, la Rieducazione Funzionale deve
essere attuata da Medici con esperienza in materia, da Medici Specialisti che si dedicano alla
rieducazione del pavimento pelvico e dai Terapisti della Riabilitazione (fisioterapisti) con
formazione adeguata sulle disfunzioni del pavimento pelvico e non può essere delegata al
personale infermieristico.
In base all’esperienza ed ai risultati ottenuti negli anni, possiamo affermare che, l’esatto
inquadramento della incontinenza fecale permette di razionalizzare l’indicazione terapeutica
che deve prevedere sempre l’applicazione della Rieducazione Funzionale.
La riabilitazione dell’incontinenza fecale: l’irrigazione.
Il tema che tratteremo in questo articolo rientra a pieno titolo nell’argomento dell’incontinenza
fecale, in quanto, nello specifico, il paziente con una stomia digestiva ha una incontinenza fecale
nel senso più ampio della sua definizione; infatti, soprattutto in questi pazienti, sussiste
l’incapacità di procrastinare l’evacuazione in un tempo ed in un luogo opportuno. Il primo
interrogativo che possiamo porci a questo punto è il seguente: è possibile anche in questi
pazienti una riabilitazione? La risposta, a mio parere, non è complessa o difficile ma necessita
di opportune differenziazioni in base al tipo di stomia digestiva. Dobbiamo infatti distinguere i
pazienti portatori di ileostomia da quelli con colostomia sinistra terminale. Se l’obiettivo della
riabilitazione è il controllo della incontinenza, nel paziente con ileostomia il successo
riabilitativo si ottiene limitando il numero delle evacuazioni giornaliere, cercando di sfruttare
la cronologia dei fisiologici movimenti intestinali al fine di cadenzare l’evacuazione. Questo
significa che un ottimo risultato si potrebbe ottenere, viste le caratteristiche della ileostomia,
riducendo le evacuazioni ad un minimo di tre al giorno, sfruttando il riflesso che avviene dopo
ogni pasto principale ed abbondante, definito riflesso gastro-colico. Infatti grazie a questo
naturale riflesso, ogni qualvolta lo stomaco riceve una regolare quantità di cibo, l’intestino a
valle si movimenta per svuotarsi e fare spazio al nuovo materiale in arrivo. Le feci ileali sono
comunque formate da materiale particolarmente liquido, in quanto oltre che da cibo è composto
dai succhi gastrici, biliari
e pancreatici particolarmente irritanti, secreti durante la
digestione. Un primo accorgimento da attuare in questi casi è l’attuazione di un regime
alimentare particolarmente povero di scorie e fibre in quanto queste velocizzano il transito
intestinale ed aumentano il volume fecale. Quindi, a tal fine, i pazienti dovranno favorire
l’assunzione di pane, pasta, carne, pesce, uova, patate, carote, frutta povera di fibre e semi,
verdure a foglie piccole sempre cotte. La verdura cruda, la frutta ricca di fibre, i legumi, gli
insaccati, il latte ed i suoi derivati freschi, i brodi e gli altri alimenti particolarmente irritanti,
dovrebbero essere banditi dalla dieta o assunti con moderazione durante la settimana. In
questo modo, la dieta particolarmente stipsigena favorisce un rallentamento del transito,
consente un adeguato apporto nutrizionale, ma contemporaneamente impedisce il continuo ed
abbondante efflusso di feci dalla stomia. Gli stessi accorgimenti dovrebbero attuare i pazienti
con una colostomia destra o una trasversostomia in quanto la consistenza delle feci in questi
casi di poco varia rispetto a quella delle ileostomie. Nei pazienti invece con colostomia
terminale sinistra la metodica di continenza universalmente riconosciuta più efficace è
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l’irrigazione. Questa metodica consiste nella esecuzione cadenzata di enteroclismi, mediante
una attrezzatura opportunamente adattata alle esigenze del paziente colostomizzato,
attraverso la stomia. Mediante l’irrigazione, il paziente svuota il colon dal contenuto fecale a
comando, ottenendo quindi tra una irrigazione e l’altra una continenza passiva, in quanto il colon
resta privo di feci e gas e quindi non svuota più il suo contenuto nel sacchetto di raccolta. Se a
questo si aggiunge una dieta adeguata, l’irrigazione può essere eseguita anche ogni 48-72 ore;
in questo periodo il paziente non sarà costretto al cambio dei sacchetti, anzi porterà delle
piccole protesi di copertura, di sicurezza, che servono per l’assorbimento di eventuali piccole
secrezioni mucose. In questo modo, l’obiettivo della continenza viene pienamente raggiunto ed il
paziente controllerà a suo piacimento (con qualche artificio tecnico) la sua evacuazione. Tale
semplice metodica permette al paziente di riappropriarsi, anche se in maniera artificiale, della
continenza e quindi della propria autonomia, libertà e sicurezza: il paziente sarà infatti sicuro
di poter tranquillamente eseguire tutte le attività lavorative e sociali precedenti all’intervento
perché non sarà più soggetto, se non per eventi eccezionali, ad “imprevisti” ed “incidenti” poco
piacevoli e molto imbarazzanti. E’ fondamentale educare tutti i pazienti portatori di una
colostomia terminale sinistra alla metodica dell’irrigazione: inizialmente e giustamente saranno
titubanti e dubbiosi circa la capacità di poter eseguire in maniera autonoma questi lavaggi, ma
dopo pochi giorni ed appena raggiunta la manualità, i vantaggi ottenuti saranno talmente
importanti ed evidenti che eseguiranno i lavaggi con piacere e tranquillità. La vera riabilitazione
si ottiene soltanto camminando in questa direzione, permettendo al paziente di continuare le
propria vita con la stessa qualità e stile, precedenti all’intervento, riportandolo all’interno del
suo contesto familiare, sociale e lavorativo senza sentirsi “diverso” da prima. Gli operatori
sanitari hanno quindi il dovere di ascoltare i propri pazienti, giustamente informarli,
correttamente educarli e guidarli sulla giusta via della riabilitazione fornendo loro i mezzi più
idonei per poterla pienamente e felicemente raggiungere.
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