Intervista a P. Carlo Casalone SJ Superiore dei gesuiti italiani, in occasione dell'elezione di Papa Francesco Come la Compagnia ha accolto la notizia del nuovo papa francesco? Sicuramente con grande emozione e anche con stupore. Soprattutto perché da più di duecento anni non veniva aletto un Papa di un ordine religioso, e poi perché questo ordine religioso questa volta è la Compagnia di Gesù. Ci ha stupito con molto piacere anche il numero di persone che ci hanno manifestato la loro gioia ed entusiasmo collegando questa elezione alle nostre attività anche in Italia. Perché non c'è mai stato un gesuita eletto Papa nella storia? Il ruolo della Compagnia nella Chiesa è sempre stato più orientato a svolgere un compito di tipo formativo che non quello di ricevere incarichi diretti di governo all'interno della Chiesa. Possiamo citare come esempio la presenza nel conclave di più della metà dei cardinali che hanno studiato in una delle nostre istituzioni come la Gregoriana, il Pontificio Istituto Biblico e il Pontificio Istituto Orientale. In che cosa consiste la formazione che offrite? E' tipico delle pedagogia ignaziana la centralità della persona e il tentativo di favorire al massimo l'espressione delle capacità e delle doti che ciascuno porta dentro di sé, centrandosi più sugli interrogativi che sono il motore della conoscenza piuttosto che sulle risposte. Forse da qui viene la battuta che "un gesuita risponde a una domanda con un'altra domanda". Fino a pochi giorni fa il mondo sembrava non sapesse dell'esistenza dei gesuiti. Chi sono in realtà i gesuiti? I gesuiti sono persone comuni che hanno fatto un'esperienza personale della salvezza di Dio e che hanno progressivamente imparato a riconoscerlo all'opera nella loro vita e storia a partire da quell'esperienza particolare che sono gli esercizi ignaziani che sono il fulcro della nostra spiritualità. Quanti siete in Italia e cosa fate ? In Italia siamo circa 500 e siamo impegnati in diversi ambiti di attività: quello più famoso, per cui la Compagnia è più nota, è l'attività intellettuale con dei centri universitari, delle riviste, dei centri culturali, ma siamo anche coinvolti nella formazione e nella educazione dei giovani, e con dei centri di azione sociale, che sono collegati in rete e svolgono sia degli interventi diretti a favore di situazioni di povertà di diversa natura, sia un lavoro di riflessione sui fenomeni della società. Ignazio sintetizzava in una formula l'attività dei gesuiti nei termini di “aiutare le anime”. Per noi oggi questo significa porre un'attenzione privilegiata alla coscienza e alla sua maturazione, perché siamo convinti che solo attraverso una trasformazione interiore è possibile promuovere una qualità di relazioni interpersonali più matura e una convivenza sociale più armonica. Possiamo sintetizzare il nostro modo di azione in tre verbi: partecipare, discernere, accompagnare. Partecipare significa stare all'interno dei processi che si svolgono nella società e nella Chiesa. Discernere significa distinguere quello che lo Spirito sta già operando in queste situazioni e rispondere a quello che viene chiesto specificamente a noi, con le nostre caratteristiche e le nostre capacità. Accompagnare significa favorire lo sviluppo di ciascuno a partire dal punto in cui si trova. Sin dall'inizio, il Papa sta insistendo molto sulla povertà. Cosa significa per i gesuiti la povertà? Povertà significa anzitutto un ben preciso stile di vita personale. Ignazio di Loyola insisteva nel dire che l'amore si manifesta nei gesti, nelle azioni, nei comportamenti che non nelle parole e nei discorsi. Inoltre la povertà è un modo per partecipare alla vita delle persone che si trovano in condizione di maggior fragilità assumendone anche il punto di vista, la prospettiva, sul mondo e sulla storia in modo tale da elaborare una comprensione della giustizia che sia situata. Infine la povertà è un vero e proprio luogo di esperienza di Dio, perché il Signore Gesù si è fatto povero per condividere fino in fondo la condizione degli uomini. Quali tratti di ignazianità si intravvedono in Papa Francesco? Il primo che ha colpito è stata la sua sensibilità per la contemplazione. Il fatto che abbia chiesto un momento di silenzio durante il primo indirizzo che ha rivolto alla folla, appena dopo la sua elezione, ha fatto vedere come è dal silenzio, dalla contemplazione che emerge ogni parola, ogni azione che abbia un significato profondo. Il secondo è la centralità della figura di Gesù Cristo, che ha ripetuto nella omelia che ha fatto ai cardinali il giorno dopo le elezioni, la sua sensibilità, per il dialogo con la cultura e con le diverse confessioni religiose. Lo spunto su una nuova comprensione della universalità, che è una categoria fondamentale e stabile della Chiesa come anche della missione della Compagnia di Gesù, laddove si è definito un Papa che viene dai confini del mondo, sottolineando questo nuovo rapporto che si sta creando negli equilibri internazionali e nel nostro pianeta tra continenti emergenti e continenti che storicamente sono stati centrali per la Chiesa. Come la provenienza ignaziana di Papa Francesco potrebbe contribuire al bene della Chiesa? Innanzitutto favorendo un'attitudine al discernimento, come capacità di distinguere la voce dello Spirito all'interno delle molte voci che abitano la società, la chiesa e il cuore di ogni uomo. Secondo sollecitando la Chiesa a farsi più vicina alla vita vissuta della gente, ascoltando le domande che toccano ciascuno in concreto. Terzo evidenziando l'aspetto propositivo dell'etica come attuazione del bene e non un'etica fatta di proibizioni e di divieti.