Avvio alla riflessione pedagogica Editrice La Scuola, Brescia 2000 Cap. 1 La vita umana fra classicità e scienza L’uomo, come intero, è tale se e solo se è differente l’uno dall’altro. Ciascuno è riconoscibile per la sua “differenza specifica”, cioè per il suo essere unico nel particolare, benché ciascuno di noi, in quanto appartenente alla specie umana, sia uguale agli altri nel generale. A dimostrazione di ciò, Aristotele ricorda che nessuno riconoscerebbe Achille soltanto perché è un uomo, ma piuttosto perché è un uomo figlio di Peleo: il pelide Achille. La vita umana secondo il paradigma interpretativo di stampo evoluzionistico In principio, sulla Terra, esistono solo i fenomeni fisici e chimici più elementari Poi, iniziano a svilupparsi le forme di vita più elementari (esempi di vita vegetativa). Ad un certo punto, in alcuni di questi organismi si sviluppa un sistema nervoso: inizia la vita sensitiva Negli animali si sviluppano Nascono i primi animali: sono Dall’animale si passa all’uomo: comportamenti in risposta esseri che sanno rispondere egli è un essere dotato di mente, a pulsioni primarie e, in quelli attivamente agli stimoli razionalità e pensiero. superiori, ad emozioni primarie. sensoriali. La vita umana mette in campo la ricchezza degli stati mentali L’uomo è sicuramente vita vegetativa. L’uomo è sicuramente vita sensitiva, cioè animale. Si veda il comportamento delle sue cellule, che obbediscono ai meccanismi di tutte le altre cellule viventi. Il suo comportamento nasce in risposta a sensazioni, pulsioni, emozioni primarie. La vita umana nella ricchezza della sua attività mentale Percezione: primo livello di elaborazione cognitiva (mentale) delle dimensioni vegetative e sensitive dell’uomo Sentimenti: modo umano di vivere la dimensione vegetativa e sensitiva di ciascuno, frutto di un’ elaborazione mentale sofisticata Emozioni secondarie: si tratta di emozioni self-conscious (es. vergogna, senso di colpa, disprezzo) Pensiero: è la vita della ragione, il massimo della vita mentale, che mette la riflessione al centro del suo costituirsi. L’uomo, grazie alla sua attività mentale, supera la sua dimensione vegetativa e quella sensitiva. L’uomo è un essere dalla natura razionale, capace di pensare con intenzionalità. Che cosa rende uomo l’uomo? Non basta identificare l’umanità dell’uomo solamente con l’attività mentale riflessiva, autonoma rispetto alle altre dimensioni della vita. Fin dai primordi nell’antica Grecia, la cultura filosofica occidentale si è occupata di questo grande problema e ha approntato diverse soluzioni. L’uomo è qualificato in quanto tale perché ha un’ anima. Le soluzioni proposte al rapporto corpo-anima Dualismo antropologico: Monismo antropologico: l’anima è una sostanza spirituale del tutto separata dal corpo e di natura differente. vi è un intreccio tanto misterioso, quanto stringente ed insolubile fra anima e corpo. es. Platone: psyché (anima) vs. soma (corpo) (il corpo è la tomba dell’anima immortale) es. Cartesio: res cogitans (sostanza spirituale) vs. res extensa (sostanza materiale) es. Aristotele: psychè come principio vitale che muove il corpo es. rivelazione cristiana: resurrezione della carne e vita eterna es. S. Tommaso D’Aquino Il concetto di anima fa riferimento ad un significato che esclude ogni forma di riduzionismo spiritualistico o materialistico L’anima è nel corpo come un ragno al centro della tela (Eraclito) L’anima è dispersa nel corpo (Aristotele) Anima è sinonimo di vita umana E’ sempre tutto l’uomo che conosce (S. Tommaso) Che cosa significa ‘vita umana’ in Platone e Aristotele Platone: vita umana= armonica composizione di vita concupiscibile + vita irascibile + vita razionale Aristotele: vita umana= presenza contemporanea di una vita irrazionale (nelle sue dimensioni di vita vegetativa e di vita desiderativa) e di una vita razionale (nelle sue dimensioni di vita desiderativa e di vita razionale in senso stretto) Vita vegetativa irrazionale: processi vitali più elementari che avvengono in maniera involontaria nell’uomo, essendo frutto di reazioni funzionali (es. battito cardiaco) Vita desiderativa irrazionale: desideri (appetiti) irrazionali; per Aristotele sono determinati da una causa finale. Lettura della vita umana alla luce delle categorie avanzate da Aristotele. Vita desiderativa razionale: fa da mediatrice fra la vita irrazionale e quella razionale. E’ la parte più mobilitante dell’uomo, perché permette di instaurare una relazione fra un soggetto e un oggetto. Fa i conti con il dover-essere. Vita razionale: per Aristotele, essa rappresenta l’apogeo delle manifestazioni della vita umana, nel senso che ne è la perfezione e nel contempo la condizione. Gli studiosi moderni e contemporanei dell’inconscio considerano i desideri irrazionali come pulsioni primarie, che nascono da e per cause efficienti. I sostenitori moderni della “volontà di potenza”, che caratterizza la vita umana, parlano di conatus (Spinoza), unica volontà che inerisce ogni accadere (Nietzsche), “lotta per la vita” (Darwin). Alcune puntualizzazioni sulla vita umana dalle elaborazioni filosofiche e scientifiche moderne e contemporanee Mentre per Aristotele il fine dell’uomo è il bene, per chi sostiene una concezione deterministica del mondo e dell’uomo, il fine è piuttosto un risultato di istinti (Nietzsche) Autori come Nietzsche sostengono che la ragione umana abbia una provenienza fisio-psichico-biologica. Ci sono studiosi che sottolineano il carattere misterioso dell’origine della ragione. La tradizione ebraico-cristiana vede la razionalità come “immagine e somiglianza di Dio”. Razionalità deriva da ragione (la ratio latina, che significa “calcolo, misura”). I pensatori medievali usano la parola ratio per tradurre il logos greco, che aveva il duplice significato di “riunire insieme, raccogliere”, ma anche di “scegliere, contare, enumerare”. La cultura classica presenta il ragionare e l’uomo stesso come il risultato di due peculiari “capacità”: il “nous”, cioè l’intuizione sintetica, che consiste nel leggere dentro le cose dell’esperienza il concetto o i principi o il senso che la superano; il “logos”, cioè l’elaborazione analitica, per mezzo della dimostrazione, con rigorosi passaggi deduttivi, dei principi e dei concetti intuiti per nous oppure già acquisiti logicamente. In questo modo, si esplicita come il pensare, il ragionare vada nella direzione del “rendere chiaro” ciò che si è non distintamente avvertito nella sensazione, nell’emozione e nel sentimento. In altre parole, l’uomo, grazie all’uso della ragione, è capace di distanziarsi dall’essere reale (sensibile e particolare) a cui si riferisce il suo sentire. La ragione umana, perciò, parla del mondo, dell’altro da sé. La vita umana è un’unità? Per Aristotele, dato che gli uomini possiedono la vita razionale, dimostrano di avere la ragione del proprio essere l’uno che sono nel pensare: vivono, sentono e desiderano se pensano e vivono, sentono e desiderano per pensare. L’attività del pensiero è la forma più elevata della vita umana e il principio su cui si fonda l’unità dell’uomo. Cap. 2 Forme classiche della razionalità umana La tradizione classica parla di tre forme di razionalità, tra loro solidali e che rimandano sempre l’una all’altra EPISTÉME (o razionalità teoretica, come riflessione intenzionale che cerca di conoscere con verità ciò che c’è) PHRÓNESIS (o razionalità pratica, come riflessione intenzionale orientata all’agire bene, in situazione) TÉCHNE (o razionalità tecnica, come riflessione intenzionale orientata al fare e al costruire cose secondo regole e procedure) Il termine teoretico deriva dalla parola greca “theoria”, che ricalca il verbo “theoréo”, che significa “vedo”, “osservo”. Il verbo “theoréo” fa riferimento ad un guardare per il solo gusto di conoscere le cose come stanno. Nel mondo classico vi è contiguità fra la “theoria” e lo sguardo-spettacolo. Per esempio, Cicerone sostiene che l’atteggiamento teoretico sia simile all’accostarsi alle cose come puro spettatore. Conoscere in modo epistemico (scientifico) le cose che ci sono e che si sentono (ci sono date) nell’esperienza sensibile così come esse sono. Scoprire le cause delle cose sensibili e darne ragione intelligibile, al fine di conoscere “che cosa sono le cose, come stanno e perché”. La metafora “spettacolare” spiega i tratti distintivi della razionalità teoretica Il vedere teoretico ha la pretesa di dire , per quello che dice delle cose, la verità che non cambia mai e si regge da sola (epistemica), perché coglie, delle cose, “ciò che sempre è e non ha nascita” (l’ousia, non la genesis) e che per nessuno può e potrà mai essere diverso da come è. Per questo motivo, i Greci considerano la razionalità teoretica la forma superiore della razionalità umana, perché abbandona la“melma del corporeo e del contingente”. Metodo deduttivo (o scientifico, da Aristotele): nasce dalla deduzione sillogistica da premesse certe, per cui la scienza è una conoscenza particolare dimostrata a partire da principi generali (universali e necessari). I metodi della razionalità teoretica Metodo della riduzione al più noto (Platone, geometri euclidei): consiste nel ridurre un problema di cui non si conosce la soluzione ad un altro, che abbiamo già risolto. Si applica il già conosciuto allo sconosciuto, senza per questo escludere che esistano soluzioni alternative. Metodo dialogico-confutativo (Zenone, Platone, Aristotele): per giungere all’epistéme occorre far emergere tutte le conseguenze di una tesi, per confutare quelle che sono contraddittorie rispetto alle premesse. Si veda la struttura del dialogo socratico. Metodo induttivo (Bacone, Bayes, Laplace): l’induzione consiste in un’inferenza ampliativa, che afferma qualcosa di più e di diverso dalle premesse. In questo modo, si giunge a generalizzare ciò che si è osservato in maniera ricorrente nel particolare. Aristotele individuò nella dipendenza dall’opinione comune (endoxa), nella tendenza all’analogia, all’errore e all’imprecisione i punti deboli del fare scienza dimostrativa o confutativa. L’induzione moderna, invece, si rivela potente sul piano procedurale, ma è più aleatoria degli altri metodi nel cogliere la natura qualitativa delle cose. Infatti, al contrario dell’induzione aristotelica, non rivendica più la forza di passare dal particolare dell’esperienza all’universale dell’essenza, per cui risulta indifferente rispetto alla domanda del “che cos’è”. Forza e debolezza dei metodi della razionalità teoretica Platone si rese conto che il suo metodo dialogico-confutativo presentava il rischio di cadere in una sorta di nevrosi veritativa dagli sbocchi nichilisti. Infatti, esso non permette di cogliere “l’esistenza veramente esistente” delle cose, né “ciò che una cosa è”, ma, piuttosto, consente solamente di dire “che cosa una cosa non è”, purificando l’anima dalle opinioni ma non riempiendola di verità. Per far fronte a questi pericoli, Platone ribadì la sua famosa tesi dell’identità di teoresi e vita, così come della non separazione fra soggetto ed oggetto, perché essi sono co-implicati nel vortice di una relazione continua e progressiva. Conoscere la verità è vivere bene. La teoresi classica studia l’essere, ma in essa non esiste distinzione fra scienza e filosofia; infatti, ambedue si occupano di discorsi epistemici, studiano le cose nella loro interezza e rispondono alle domande: “che cosa è”, “come sta” e “perché” proprio in quel modo e non in un altro. Sia la filosofia sia la scienza classica fanno theoria, studiando l’essenza di ogni cosa. La differenza fra teoresi classica e teoresi moderna Nel Seicento, con l’avvento della Rivoluzione scientifica, la scienza si separa dalla filosofia ed inizia ad occuparsi di “che cos’è che fa essere quello che è” la natura, la vita, le cose, ecc. Con il metodo galileiano-cartesiano, la scienza non studia più l’essenza delle cose, ma le loro “affezioni”, perché esse sono misurabili e quantificabili. Inoltre, ci si interessa di indagare “come si presenta, come sta” una determinata cosa e “perché sta in questo modo e non in un altro”, attraverso l’uso dell’esperimento e della dimostrazione matematica. In questo modo, è possibile scoprire “come stanno universalmente e necessariamente le cose”. Colui che utilizza la razionalità pratica si pone i seguenti interrogativi: • Ciò che c’è in questo momento e che sta nel modo che sta è bene che ci sia e stia così? •Ciò che si è fatto tecnicamente non solo è bene, ma lo si è, al contempo, anche fatto bene, come si sarebbe dovuto fare? •Visto ciò che c’è, quanto accade è accaduto anche contro la nostra volontà e e le nostre azioni, oppure visto ciò che si è fatto, è bene, ora, agire in un modo o nell’altro? La razionalità pratica fa riferimento non al bene in astratto, ma al “bene per noi”, al migliore dei beni realizzabili nelle circostanze in cui siamo. Nella razionalità pratica vi sono legami ineliminabili fra bene e dovere. Lo sbocco della razionalità pratica è sempre l’azione buona, quella che dobbiamo adottare adesso, nella situazione particolare data. La phronésis, o saggezza, è la virtù dell’agire e del vivere bene, secondo la e per la buona condotta, in ogni situazione data. La phronésis coinvolge la persona nella sua integralità di corpo, passione e ragione. Il luogo in cui prende consistenza la razionalità pratica è la coscienza, che non è la coscienza empirica studiata dalla psicologia, ma la coscienza trascendentale, cioè “la coscienza di avere coscienza”, il “luogo più interno a noi”. Nel suo ri-flettersi, la coscienza trascendentale, secondo la tradizione classica, è caratterizzata da tre dimensioni che si co-implicano: libero arbitrio (il principio della scelta è costitutivo dell’uomo stesso) anamnesi (senso interiore profondo cui l’uomo può attingere per decidere ciò che deve fare) cum-scientia vera e propria (giudizio pratico) Il bene e il male sono sempre correlati alle circostanze particolari ed uniche che ci troviamo a vivere. Per questo, “intorno al bene di tutti gli esseri viventi vi sono sapienze diverse per ciascuno”, che è compito del saggio individuare. Ne consegue che l’azione morale buona o cattiva non è frutto di una deduzione logica, ma di un giudizio pratico, che scaturisce, a sua volta, dalla capacità di discernimento in situazione. Colui che è saggio lavora come un acrobata sul filo della contingenza, perché matura la sua phronésis grazie all’esperienza, cioè attraverso un allenamento continuo che trova nell’esempio e nell’esercizio la sua eccellenza (virtù). Fondamento antropologico della téchne: l’uomo nasce implume (è un essere neotenico, costitutivamente fragile), ma ha il potere di costruire strumenti che gli consentono di far fronte alle difficoltà e di sopravvivere. La parola “téchne” è di origine greca e significa, secondo Platone, “essere padroni della propria mente”. Si ricorda che Prometeo, personaggio mitico che donò le tecniche agli uomini, rubandole agli dei, giustificò tale gesto con l’intenzione di rendere gli uomini “padroni della loro mente”. Comenio, sulla scorta della tradizione classica e della mediazione di S. Tommaso, ci ricorda che la razionalità tecnica richiede tre requisiti: il modello o idea La razionalità tecnica esprime una delle forme della più generale intenzionalità della conoscenza umana. la materia La razionalità tecnica presuppone l’esistenza di una realtà plasmabile che, in sé, è inerte e passiva. gli strumenti La razionalità tecnica è intenzionale escogitazione creativa degli espedienti e del metodo per trasferire gli scopi ideati nella materia. La pre-visione controllata del futuro: la razionalità tecnica guarda al futuro, mira agli scopi (mete, bersagli), è previsionale e progettuale, è senza fine. Il fare (manualità ed operatività): la téchne è l’ars (=arte), che fa riferimento ad artus (=mano). Per S. Tommaso la mano è l’organo degli organi. Bruner parla di mente come estensione della mano. La razionalità tecnica valorizza e presuppone quattro fondamentali aspetti: La coerenza logica fra scopi, materia e mezzi: occorre utilizzare strumenti ed adottare procedure che consentano di realizzare nella materia data gli scopi previsti. Fra questi tre elementi non vi deve essere contraddizione. La retroazione (il ri-fare, il feed-back): continua e sistematica autocorrezione del percorso, intrinseca a qualsiasi attività guidata dal sapere tecnico. I Greci notarono che l’uomo può esercitare la razionalità tecnica utilizzando due metodi diversi: Il metodo calcolativo: consente di prendere le misure; prevede l’esistenza di una deduzione logica stringente fra scopi, materia e strumenti. Il metodo congetturale (o probabilistico o stocastico): si basa sull’arte di fare congetture, di ragionare per probabilità. Nella razionalità tecnica, sapere (epistéme) e potenza (dynamis) sono connessi. Sapere tecnicamente è potere, cioè far essere ciò che si è ideato e si vuole fare. La téchne “può”, cioè è volontà efficace, solo se è competente. Competenza e specializzazione vanno di pari passo. La razionalità tecnica fra scienza e potenza: In presenza di scienza, potenza e competenza, “il vero e il fatto si convertono l’uno nell’altro”, perché conosciamo veramente solo ciò che facciamo e facciamo tecnicamente solo ciò che conosciamo. La téchne pecca di hybris (=tracotanza), perché pensa di essere sovrana incontrastata nel proprio dominio, non riconoscendo i propri limiti. Si rischia di dimenticare la fragilità dell’uomo e di cadere nella dis-umanizzazione- La necessità di accompagnare sempre la razionalità tecnica con quella pratica: il fine non deve giustificare i mezzi. E’ fondamentale che l’agire tecnico sia sempre accompagnato da una sensibilità di natura etica, per evitare degenerazioni tecnicistiche che travalichino la persona. Infatti, nella razionalità pratica ci si interroga sia sulla liceità degli scopi tecnici sia su quella dei mezzi che si utilizzano, mettendo sempre al centro la persona.