identificazione di geni espressi in modo differenziale in cellule

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FERRARA
Facoltà di Farmacia
Dipartimento di Biochimica e Biologia Molecolare
Corso di laurea in Biotecnologie Farmaceutiche
IDENTIFICAZIONE DI GENI ESPRESSI IN MODO
DIFFERENZIALE IN CELLULE STAMINALI UMANE
TRATTATE CON "SMALL MOLECULES":
ANALISI PER RT–PCR
I Relatore
Laureando
Prof. Roberto Gambari
Alessandro Polini
II Relatore
D.ssa Nicoletta Bianchi
Anno Accademico
2003-2004
INDICE
INTRODUZIONE................................................................................................................3
1. Il differenziamento cellulare eritroide...................................................................................................... 3
2. Espressione differenziale di emoglobine umane durante lo sviluppo....................................................... 5
3. Patologie del sistema emopoietico e fenotipo HPFH............................................................................. 10
4. Strategie terapeutiche nella cura della β-talassemia. ............................................................................ 14
5. Tecniche impiegate per testare l’attività di molecole eritro-differenzianti: colture di
precursori eritroidi umani. .................................................................................................................... 18
6. “Real-time quantitative RT-PCR”: una metodologia per la quantificazione di acidi nucleici. ............. 21
SCOPO DELLA TESI .......................................................................................................25
MATERIALI E METODI.................................................................................................26
1. Colture di precursori eritroidi ottenuti da sangue periferico di soggetti umani. ................................... 26
2. Estrazione di RNA totale. ....................................................................................................................... 28
3. Reazione di retro-trascrizione per la produzione di cDNA da RNA di cellule indotte e non
con composti potenzialmente in grado di modulare l’espressione dei geni per le γ-globine................. 28
4. PCR-quantitativa.................................................................................................................................... 29
RISULTATI........................................................................................................................31
1. Composti derivati dall’acido butirrico impiegati come potenziali induttori per la produzione
di mRNA di globine embrio-fetali. ......................................................................................................... 31
2. Verifica dell’attività di induttore eritro-differenziante dell’acido butirrico nel trattamento di
precursori eritroidi umani coltivati in vitro: quantificazione di mRNA per le γ-globine
mediante PCR quantitativa.................................................................................................................... 33
3. Quantificazione dell’accumulo di mRNA per le γ-globine in seguito al trattamento con una
small molecule, il composto 4174.......................................................................................................... 36
4. Saggio dell’attività biologica di small molecules su colture di precursori eritroidi umani per
l’individuazione di molecole sempre più efficaci................................................................................... 37
5. Analisi della riproducibilità degli effetti delle small molecules sull’induzione di mRNA per
le γ-globine, saggiandone l’attività su precursori eritroidi derivati dallo stesso donatore,
ma prelevati a distanza di tempo. .......................................................................................................... 40
CONCLUSIONE ................................................................................................................42
BIBLIOGRAFIA................................................................................................................45
2
INTRODUZIONE
1. Il differenziamento cellulare eritroide.
Il differenziamento cellulare è quel processo proprio di ciascun tessuto che, liberato
dalla necessità di provvedere alle attività di base necessarie per il mantenimento delle
proprie cellule, si specializza nello svolgimento di determinate funzioni, raggiungendo
un grado di efficienza e di sofisticazione che è negato alle cellule degli organismi
unicellulari. Il processo di differenziazione può essere visto come una graduale
specializzazione suddivisibile in tre tappe sostanziali. Nella fase iniziale le cellule
totipotenti (zigote e primi blastomeri) sono capaci di dare origine a tutti gli istotipi
cellulari, e quindi a tutti i tessuti dell’individuo adulto. Nel corso delle prime fasi dello
sviluppo le cellule totipotenti si differenziano nelle cellule multipotenti dei tre foglietti
embrionali (ectoderma, mesoderma, endoderma). Nella fase intermedia le cellule di
ciascun foglietto si differenziano in cellule pluripotenti o staminali. Un esempio di
cellule staminali è rappresentato dalle cellule emopoietiche del midollo osseo, di origine
mesodermica, capaci di differenziarsi in eritrociti, granulociti, linfociti e piastrine.
Infine, nella fase terminale le cellule pluripotenti si differenziano in cellule terminali
unipotenti, in grado di originare un solo istotipo cellulare. Le prime due fasi hanno
luogo solo durante lo sviluppo embrionale e fetale, mentre la fase terminale (da cellule
staminali a unipotenti) prosegue, se non in tutti i tessuti, anche nell’organismo adulto.
Man mano che una cellula passa da totipotente a multipotente, a pluripotente e ad
unipotente, la gamma di tipi cellulari differenziati cui essa può dare origine si restringe.
Alla base del differenziamento c'è una particolare programmazione dell'attività
genica, responsabile della conservazione di questa "specializzazione", che mantiene
repressa la sintesi di geni che non sono specifici di quel determinato tipo cellulare ed
invece attivata la sintesi di altri geni. Il nucleo non è il solo responsabile di questa
programmazione: infatti, le cellule dei vari tessuti in un organismo hanno tutte un DNA
identico. La diversa regolazione dell'attività genetica che si attua nei vari tipi cellulari
dipende da segnali chimici che giungono al nucleo dal citoplasma, oppure, sempre
mediati dal citoplasma, anche da cellule circostanti o dall'ambiente esterno alla cellula.
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Segnali chimici analoghi sono prodotti anche nel corso della vita della cellula
eucariotica, i cui complessi cicli vitali sono programmati correttamente da molecole
specifiche sintetizzate in particolari momenti e che inducono il nucleo a iniziare una
nuova fase di attività. Le interazioni nucleo-citoplasmatiche sono quindi alla base sia
del differenziamento, sia della normale attività di una cellula nel corso del suo ciclo
vitale. Il mantenimento di questo stato differenziato è il risultato di un continuo dialogo
tra ogni cellula ed il resto dell'organismo, mediato da sostanze chimiche capaci di
svolgere un'azione regolatrice anche a distanza: infatti, si può dimostrare come sia
possibile ripristinare lo stato di totipotenza di un nucleo di una cellula differenziata,
inserendolo in un citoplasma di una cellula embrionale, quindi privandolo dell'ambiente
in grado di sollecitarlo verso un ruolo definito (1).
Nell'ambito d'interesse specifico relativo al differenziamento eritroide, o
eritropoiesi, questo processo riguarda la produzione di elementi figurati del sangue a
partire dal quarto mese di vita fetale ed avviene per la maggior parte nel fegato e nella
milza; nelle fasi successive della crescita la principale sede di produzione diventa il
midollo osseo ed infine, con l’infanzia, una sola parte di questo: il midollo osseo rosso
di alcune ossa, come quelle della calotta cranica, della pelvi, delle coste, dello sterno,
delle vertebre e dei capi delle ossa lunghe.
I tipi differenti di cellule del sangue derivano tutti da una comune cellula
progenitrice pluripotente di origine mesenchimale che, per effetto di molteplici stimoli,
ancora oggetto di studio, si differenzia verso la produzione di cellule progenitrici dei
linfociti o di cellule staminali mieloidi pluripotenti. Queste cellule staminali pluripotenti
a seguito di divisioni cellulari generano cellule che possono differenziare ulteriormente.
Così dai mieloblasti hanno origine i granulociti, dagli eritroblasti derivano i reticolociti
e quindi gli eritrociti, dai megacariociti si formano, infine, le piastrine. Gli eritroblasti
durante questa evoluzione perdono progressivamente massa nucleare, aumentano il
proprio volume citoplasmatico e sono già in grado di sintetizzare emoglobina, proteina
capace di legare l’ossigeno in maniera reversibile, diventando poi eritrociti nel torrente
circolatorio dove terminano la maturazione.
L’eritrocita non è una cellula in senso stretto in quanto priva di organelli cellulari,
ma ha caratteristiche tali da esser capace di trasportare grandi quantità di gas, ossigeno e
CO2. Ha un favorevole rapporto superficie/volume per la diffusione di tali gas, avendo
un diametro di circa 8 µm ed uno spessore massimo di 2 µm.
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Per completare l’intero processo ematopoietico è richiesta la presenza di fattori
ematopoietici di crescita (HGFs), comprendenti molecole ad azione sia stimolatoria che
inibitoria prodotte da una vasta gamma di cellule. Altri fattori importanti di cui è
richiesta la presenza sono: l’eritropoietina, la vitamina B12, l’acido folico, la
disponibilità di ferro e la presenza di alcuni oligo-elementi come il rame, il cobalto e il
nichel. Le cellule precursori degli eritrociti, quando si dividono, diventano sempre più
sensibili all’eritropoietina, ormone polipeptidico prodotto dal rene e dal fegato in
risposta al bisogno di globuli rossi, che ne stimola la produzione provocando la
divisione fino alla completa maturazione delle cellule precursori. Un adeguato apporto
di vitamina B12 e acido folico, indispensabili per la sintesi del DNA, è fondamentale per
una corretta differenziazione e maturazione delle cellule staminali.
2. Espressione differenziale di emoglobine umane durante lo sviluppo.
L’emoglobina rappresenta la proteina più importante tra i costituenti dei globuli
rossi, la cui funzione biologica è quella di trasportare l’ossigeno dai polmoni ai tessuti
attraverso il circolo sanguigno. Essa ha una struttura globulare costituita da quattro
catene polipeptidiche e quattro gruppi prostetici eme. Delle quattro catene globiniche
due sono catene “di tipo alfa” (zeta ed alfa), mentre le altre due sono “di tipo beta”
(epsilon, gamma, beta e delta); nell’adulto è prevalente l’HbA, formata da due catene α
di 141 residui e da due catene β di 146 aminoacidi, che si associano tra loro a formare
una struttura tetraedrica, come è riportato in Fig.1. Le catene α e β contengono diversi
segmenti ad α–elica separati tra loro da ripiegamenti; le interazioni tra le due catene α e
le due catene β sono in prevalenza a livello di residui idrofobici, ma esistono anche
interazioni ioniche che coinvolgono i residui carbossi–terminali delle quattro subunità.
In ogni catena polipeptidica, posizionato all’interno di una tasca idrofobica, si trova
il gruppo eme, che in tale posizione stabilisce dei legami idrofobici con l’interno ed
eteropolari con la superficie della molecola. Il gruppo eme è costituito da una complessa
struttura organica ad anello, la protoporfirina, alla quale è legato in posizione centrale
un atomo di ferro nello stato di ossidazione ferroso (Fe2+). L’atomo di ferro presenta sei
legami di coordinazione, quattro dei quali sono posizionati nel piano della porfirina ed
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impiegati all’interno del piano, mentre gli altri due sono perpendicolari al piano ed
associano l’eme al polipeptide stabilendo un contatto con l’azoto imidazolico di due
residui di istidina in posizione frontale rispetto all’eme stesso. L’equilibrio che si viene
a formare tra l’eme e la parte proteica è influenzato dalla presenza di ossigeno; infatti,
essendo l’ossigeno elettronegativo, tende a legare l’atomo di ferro rompendo uno dei
due legami di coordinazione con l’istidina. Ne consegue che nell’ossiemoglobina il
ferro è legato ad una sola molecola di istidina della catena polipeptidica e ad una
molecola di ossigeno, mantenendo costante la sua valenza allo stato ferroso.
Fig. 1. Rappresentazione schematica di una molecola di HbA. I dischi
neri rappresentano i gruppi prostetici. (Figura tratta dal CD informativo The
Thal World, per gentile concessione di Università degli Studi di Ferrara ed
Azienda USL Ferrara).
La struttura quaternaria dell’emoglobina è responsabile della sua affinità per
l’ossigeno, che diventa maggiore per le diverse subunità, man mano che l’ossigeno si
lega ai gruppi prostetici: il legame della prima molecola di ossigeno favorisce i legami
di nuove molecole di ossigeno alle altre subunità. Il movimento delle catene proteiche
sono essenziali per la cattura ed il rilascio di ossigeno, permettendo al gruppo eme di
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assumere uno stato rilassato che favorisce il legame dell’ossigeno alla subunità
adiacente.
Durante le varie fasi di sviluppo di un individuo sono identificabili diverse forme di
emoglobina riassunte in Fig.2. È possibile, infatti, distinguere la produzione di tre
emoglobine embrionali nei primi mesi di gravidanza (Hb Gower 1 ζ2ε2, Hb Gower 2
α2ε2 e Hb Portland ζ2γ2), un’emoglobina fetale (HbF α2Gγ2 e α2Aγ2) la cui produzione
continua anche dopo la nascita andando a costituire per i primi sei mesi di vita il 5% di
tutta l’emoglobina, per poi arrivare a valori inferiori all’1% durante i primi due anni di
vita; infine, nell’uomo adulto si trovano due tipi di emoglobine (HbA α2β2 e HbA2 α2δ2)
la cui produzione comincia appena prima della nascita.
Fig. 2. Differenti tipi di emoglobina nell’uomo. Le tre emoglobine
embrionali vengono prodotte nei primi mesi di gravidanza, al termine dei quali
vengono sostituite dall’emoglobina fetale, che a sua volta è sostituita dalle
emoglobine adulte nei primi mesi di vita dopo la nascita. (Figura tratta dal CD
informativo The Thal World, per gentile concessione di Università degli Studi
di Ferrara ed Azienda USL Ferrara).
Rispetto all’emoglobina di tipo adulto, l’HbF presenta un’affinità maggiore per
l’ossigeno: questo permette un efficiente trasferimento di ossigeno dal sangue materno a
quello fetale attraverso la placenta. La differente espressione nel tempo, dal
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concepimento alla vita adulta, delle diverse catene globiniche nell’uomo è rappresentata
in Fig.3 ed è dipendente dall’attivazione e dallo spegnimento di differenti geni
globinici, attraverso processi di metilazione e demetilazione che ne caratterizzano lo
switch. I clusters genici per le globine ε, γ, δ e β si trovano sul cromosoma 11, mentre
quelli per le globine ζ e α si trovano sul cromosoma 16, come riportato in Fig.4. Nel
cromosoma 11 sono rappresentati anche gli pseudo–geni ψβ2 e ψβ1, mentre nel
cromosoma 16 è presente lo pseudo–gene ψα1. Per le catene di tipo γ va specificata
l’esistenza di due tipi diversi, che differiscono tra loro per la sostituzione di una glicina
con un’alanina in posizione 136 della catena peptidica e rispettivamente denominate
catene globiniche
catene Gγ e Aγ.
prima della nascita
nascita
dopo la nascita
Fig. 3. Espressione nel tempo delle catene globiniche umane. Le catene
globiniche umane sono espresse in percentuale di emoglobina sul totale (figura
tratta da: Olivieri NF. The β–Thalassemias. Medical Progress, 341, 99-109,
1999).
Durante il periodo embrionale sono attivi i geni responsabili della sintesi di Hb
Gower e Hb Portland, la cui espressione diminuisce progressivamente dopo le due
prime settimane di gestazione. L’espressione del gene ζ diminuisce man mano che
aumenta l’espressione del gene per la globina α, mentre le globine ε sono sostituite dalle
globine γ. Dopo la nascita, la sintesi delle globine γ diminuisce sempre più, fino ad
essere completamente sostituita dalle globine β intorno al quarto anno d’età. In realtà
una piccola percentuale di HbF viene espressa ancora durante la vita adulta ed i suoi
livelli possono variare anche di dieci volte sotto l’influenza di fattori quali l’età, il sesso
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o peculiarità genomiche, ad esempio mutazioni puntiformi nelle sequenze di DNA
all’interno del cluster β o nei geni ad esso correlati.
A
Locus Control Region
ψβ2
ε
Gγ
Aγ
ψβ1
δ
β
cromosoma 11 (p15.5)
B
HS-Region
ζ
ψζ
ψα1 α2 α1
cromosoma 16 (p13.3)
Fig. 4. Organizzazione dei clusters dei geni per le globine di tipo β (A)
e di tipo α (B), posizionati rispettivamente sul cromosoma 11 e sul
cromosoma 16. (Figura tratta dal CD informativo The Thal World, per gentile
concessione di Università degli Studi di Ferrara ed Azienda USL Ferrara).
I geni β-globinici umani (ε, γG, γA, δ e β) sono raggruppati in un dominio di 70 kb
localizzato sul cromosoma 11. L’espressione dei geni β–globinici è regolata da una
regione, di circa 25 kb, contenente una serie di siti ipersensibili alla DNasi I (5’HS),
riconosciuti da quattro fattori eritrospecifici (5’HS1-4), e uno riconosciuto da un fattore
ubiquitario (5’HS5); tale regione è collocata tra 6 e 18 kb a monte del gene per le ε–
globine ed è chiamata Locus Control Region (LCR). L’LCR svolge due ruoli
importanti: 1) costituisce una regione cromosomica “aperta”, ovvero più accessibile ai
fattori di regolazione, e 2) contiene delle porzioni ad attività fortemente enhancer,
responsabili dell’elevata espressione genica, differenziata temporalmente durante lo
sviluppo embrio–fetale dei diversi geni globinici. Ciascun promotore dei singoli geni βglobinici sembra agire in sinergismo con l’LCR per controllarne l’espressione nel
tempo, determinando il silenziamento progressivo di alcune catene a favore di altre (2).
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3. Patologie del sistema emopoietico e fenotipo HPFH.
Alcune delle principali alterazioni ereditarie del sistema emopoietico umano sono
state a lungo indagate e caratterizzate: le emoglobinopatie, in cui le anomali catene
globiniche prodotte sono caratterizzate da variazioni a livello della sequenza
aminoacidica, e le talassemie, caratterizzate da una minore od assente produzione di
catene globiniche.
La più diffusa tra le emoglobinopatie è senza dubbio l’anemia falciforme, causa
ancora oggi di morte. La denominazione deriva dalla presenza di globuli rossi a falce,
una forma che essi assumono in condizioni di bassa concentrazione d’ossigeno. I
globuli rossi sono, inoltre, più fragili e la loro rottura porta ad un’anemia che rende il
paziente più suscettibile ad infezioni e malattie. Gli individui omozigoti per questa
mutazione non sono in grado di raggiungere l’età adulta, o la raggiungono gravemente
debilitati; gli individui eterozigoti, essendo ancora in grado di produrre Hb wild type,
presentano disturbi molto più lievi, vivono meglio e più a lungo. La causa della malattia
risulta essere una mutazione per cui un residuo di acido glutammico, carico quindi
negativamente, in posizione 6 della catena β viene sostituito da una valina, un
aminoacido neutro. Essendo la valina idrofobica, in stati di assenza di ossigeno si
dispone inserendosi nella tasca idrofobica di un altro tetramero determinando la
polimerizzazione delle catene β, che tendono ad aggregarsi in lunghe strutture
bastoncellari deformando l’eritrocita.
Diversamente, le sindromi talassemiche presentano un disturbo a livello
quantitativo e non qualitativo delle catene polipeptidiche; la denominazione beta-, alfa-,
delta-talassemia indica il tipo di catena la cui sintesi è deficitaria o soppressa. Alcune
cause che determinano l’insorgenza della talassemia possono essere: la sostituzione di
un codone codificante per un aminoacido con un codone di terminazione, determinando
un’interruzione prematura della trascrizione; un difetto a livello della maturazione o del
trasporto dell’mRNA dal nucleo al citoplasma, per cui il trascritto può essere degradato
all’interno del nucleo oppure, se la mutazione interessa regioni interne ad introni
localizzate lontano dal normale punto di separazione introne–esone, possono formarsi
nuovi siti di splicing, causando la produzione di mRNA sia normali che alterati; infine,
una delezione genica, come riportato in Fig.5.
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ε
ψβ2
Gγ Aγ
δ
β
3’
5’
Talassemia β
Talassemia β
Hb Lepore
Talassemia β0
Talassemia δβ
HPFH
Talassemia γ
Fig. 5. Delezioni geniche responsabili del fenotipo talassemico. Questo
tipo di delezioni possono interessare un’area genica più o meno vasta. In alcuni
casi possono invece provocare la riattivazione dei geni globinici di tipo gamma
(come nel fenotipo HPFH). (Figura tratta dal CD informativo The Thal World,
per gentile concessione di Università degli Studi di Ferrara ed Azienda USL
Ferrara).
La α-talassemia, rara tra le razze bianche, è la più diffusa nel Medio–Estremo
Oriente e tra i neri africani d’America. Tale patologia interessa l’alterazione di uno o
più geni α, dal momento che un individuo diploide possiede un totale di quattro copie
del gene, due per ciascun cromosoma 16. L’anemia sarà perciò asintomatica o leggera
quando il soggetto presenta rispettivamente tre o due geni totalmente integri,
diversamente la mancanza di tutti e quattro i geni α porta all’insorgere di una patologia
detta idrope fetale, che determina la morte del feto ancor prima del passaggio allo stato
embrionale. Si possiedono ancora poche informazioni sulla distribuzione della δ–
talassemia, di difficile diagnosi e poco nota.
La β–talassemia è la più diffusa tra le emoglobinopatie in Italia, con epicentri
soprattutto nell’aria del Delta Padano, in Sardegna e in Sicilia. Tale patologia viene
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classificata in due categorie a seconda del grado in cui si manifesta la mancata
produzione di globine β: β0–talassemia, quando vi è la totale assenza di sintesi di βglobine; β+-talassemia, caratterizzata da una ridotta sintesi di β-globine negli omozigoti.
Esperimenti di sequenziamento dei geni per le globine β hanno permesso di
evidenziare più di 38 diverse mutazioni causanti la malattia, molte delle quali
rappresentate da mutazioni puntiformi. Le più comuni alterazioni, riportate in Fig.6,
riguardano: a) la regione promotrice del processo di trascrizione, le mutazioni in questa
regione si traducono in una ridotta trascrizione genica, responsabile dell’insorgere di
una β+-talassemia; b) regioni esoniche, dove la modificazione di un singolo nucleotide
può portare alla formazione di un codone detto di “stop”, che interrompe
prematuramente la traduzione dell’mRNA globinico, generando frammenti non
funzionanti di β–globina, provocando una β0-talassemia; c) regioni nelle quali le
mutazioni possono determinare un alterato processamento del trascritto primario, che
viene degradato all’interno del nucleo, portando ad una β0–talassemia; possono
verificarsi anche mutazioni a carico di introni localizzati lontano dal normale punto di
separazione introne–esone, ma coinvolti nella formazione di nuovi punti di splicing e,
nel caso in cui questi presentino anche normali siti di splicing, si può avere la
produzione di mRNA sia corretti che alterati; tale alterazione determina l’insorgenza di
una forma di β+-talassemia.
Il soggetto affetto da β–talassemia si trova in uno stato di anemia cronica dovuta,
oltre che alla mancata o ridotta sintesi di β-globine, anche al fatto che le catene α
vengono normalmente prodotte, ma non trovando un’equivalente concentrazione di
catene β alle quali associarsi risultano in eccesso; questo sbilanciamento porta alla
precipitazione intramidollare delle catene α danneggiando i precursori del globulo rosso.
Si verifica così un’eritropoiesi inefficace, causa dell’anemia cronica. Non tutte le catene
α in eccesso precipitano, molte si associano alle catene γ originando molecole di HbF,
pertanto questa condizione può alleviare la gravità della malattia nel paziente.
La sintesi di emoglobina fetale è normalmente ridotta a meno dello 0,6%
dell’emoglobina totale nell’adulto, poiché è limitata progressivamente ad una
sottopopolazione eritrocitaria detta F-cells, che nell’85% degli individui adulti sani
raggiunge un valore variabile dallo 0,3% al 4,4% (3). In alcuni soggetti affetti da β–
talassemia che presentano un’anormale espressione dei geni γ-globinici, questo
fenomeno determina un incremento nel livello di HbF, che aumenta fino al 2,5–20 %;
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tale aumento presenta una correlazione con la condizione fenotipica HPFH (High
Persistence of Fetal Hemoglobin), in cui l’incremento di HbF arriva a livelli anche
superiori del 30% (4). La condizione clinica HPFH si manifesta in un’espressione dei
geni γ-globinici attivi durante lo sviluppo fetale, che continua nell’adulto, quando
l’espressione dovrebbe invece essere repressa. I pazienti che manifestano un fenotipo
HPFH presentano un miglioramento del quadro clinico, grazie alla riattivazione dei geni
γ-globinici, dove gli aumentati livelli di HbF sono in grado di supplire, almeno in parte,
alla carenza di HbA nelle sindromi talassemiche.
Pertanto, oggetto di indagine è l’identificazione e la caratterizzazione di composti
naturali, chimici od altri tipi di biomolecole capaci di indurre il differenziamento
eritroide e la produzione di emoglobine embrio–fetali, nel tentativo di riattivare i geni
γ–globinici endogeni.
Fig. 6. Rappresentazione schematica del gene per la β globina. Nella
figura sono anche indicati i principali siti nei quali sono state localizzate
mutazioni note responsabili di β-talassemie.
Le alterazioni geniche che portano ad incrementati livelli di HbF sono a tutt’oggi
oggetto di studio, tuttavia sono state individuate due tipologie. Per il fenotipo HPFH di
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tipo deletion sono state proposte tre cause: 1) la delezione di sequenze regolative nel
cluster genico per le β–globine, implicate nella modulazione sia positiva sia negativa,
che produce un fenotipo che deriva dalla funzione delle sequenze regolative restanti; 2)
una delezione che giustappone elementi enhancers in 3’ e normalmente localizzati a
valle del gene β, in prossimità dei geni γ, incrementandone l’espressione; 3) una
delezione che determina la continuità tra la regione di controllo del locus LCR ed i geni
γ, normalmente in stato quiescente.
Il fenotipo di tipo non deletion deriva, invece, da una mutazione puntiforme
riguardante porzioni geniche a livello del promotore per le γ-globine, contenenti siti di
legame per fattori trascrizionali, ubiquitari e/o eritro–specifici. Tali mutazioni
comportano alterazioni nel riconoscimento da parte di fattori attivatori e quindi un
aumento dell’espressione gene–specifica, oppure una minore attività per fattori
repressori, responsabili dell’inibizione trascrizionale.
4. Strategie terapeutiche nella cura della β-talassemia.
Il trattamento più comunemente impiegato nelle diverse forme di talassemia
prevede la trasfusione di sangue, indispensabile per fornire al paziente un carico di
globuli rossi sani ricchi in emoglobina normale perfettamente capace di trasportare
ossigeno ai tessuti. Le trasfusioni consentono anche di ridurre l’espandersi del midollo
osseo e quindi le alterazioni ossee e di limitare l’attività della milza. Le trasfusioni,
però, introducono nell’organismo grosse quantità di ferro, presente nell’eme. Questa
condizione determina un fenomeno di tossicità per organi e tessuti, soprattutto a carico
del cuore e del fegato, ed è la principale causa di morte nei pazienti trattati con cicli
trasfusionali. Pertanto i pazienti talassemici sono trattati con una terapia chelante al fine
di rimuovere l’eccesso di ferro; tale terapia risulta purtroppo difficile e dolorosa da
affrontare, tanto da spingere numerosi pazienti ad abbandonarla.
Un’alternativa è rappresentata dal trapianto di midollo osseo, che permette un’alta
percentuale di guarigione qualora i pazienti arrivino rapidamente ed in buone condizioni
cliniche al trapianto. Per questa strategia è necessario disporre di un donatore di midollo
perfettamente compatibile per evitare fenomeni di rigetto. Poiché per impiantare un
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nuovo midollo è necessario distruggere prima quello del ricevente, eliminandone quindi
anche i globuli bianchi, il paziente in questa fase è sottoposto ad alti rischi di infezioni,
anche gravi.
Diversi sono gli approcci sperimentali attualmente in fase di studio. Uno di questi
riguarda la terapia genica. Grazie all’ingegneria genetica si potrebbe “inserire” un gene
β-globinico normale in pazienti affetti da talassemia, sostituendo le funzioni del gene
“malato” con quelle del gene “sano” opportunamente inserito nei precursori eritroidi del
paziente.
I
problemi
di
questa
terapia
sperimentale
riguardano
soprattutto
l’identificazione delle sequenze necessarie per avere un’espressione elevata e stabile del
gene e lo sviluppo di vettori più efficaci e sicuri per la sua veicolazione all’interno
dell'organismo (4).
Oltre alla terapia genica, una strategia terapeutica per portare il paziente
talassemico alla produzione di emoglobina è quella di “riattivare” il gene che codifica
per la globina γ e, di conseguenza, permettere la produzione di HbF (α2 γ2). Se si
potesse controllare lo switch globinico γ–β, agendo su una specie di interruttore
molecolare, si assicurerebbe al paziente talassemico una quantità di emoglobina fetale
tale da consentirgli condizioni di vita pressoché normali (4, 5).
Diversi composti sono stati testati come agenti induttori del differenziamento
eritroide; tra questi troviamo l’idrossiurea (HU). Il suo meccanismo d’azione risulta
ancora poco chiaro (5). L’HU si è dimostrata essere in grado di produrre: a) un aumento
nei livelli di HbF; b) ma anche un aumento di dimensione delle cellule eritroidi; c) un
incremento del contenuto cellulare di Hb; d) un’inibizione a livello della proliferazione
cellulare, che provoca un accumulo di cellule nella fase S. Tutti questi effetti sono dosee tempo-dipendenti. L’HU agisce sulla produzione di HbF in seguito ad azione diretta
sui precursori eritroidi tardivi, coinvolti nella produzione di Hb (6).
Uno studio ha dimostrato che l’acido butirrico (la cui struttura chimica, sottoforma
di sale di sodio, è riportata in Fig.7) è un potente induttore del differenziamento
eritroide su colture cellulari (7). In questo lavoro sono stati testati anche diversi
analoghi e metaboliti dell’acido butirrico; si è osservato che queste molecole devono
avere determinate caratteristiche strutturali per essere attivi come composti eritrodifferenzianti. Per esempio lo scheletro carbonilico dell’acido non deve essere più lungo
di quattro atomi di carbonio, in caso contrario la molecola risulterà inattiva.
15
+
Na
Fig. 7. Struttura chimica del butirrato di sodio. Questo composto
costituisce una molecola di riferimento per il disegno di analoghi strutturali
potenziali induttori del differenziamento eritroide.
E’ stato osservato un ritardo dello switch β-γ in neonati figli di madri diabetiche,
nelle quali si è riscontrato un alto livello ematico di acido α–amino–n–butirrico (8).
Questo studio ha portato ad indagare lo switch β-globinico in un altro tipo di
mammifero, l’ovino. L’acido butirrico è stato iniettato nel feto di ovino in utero durante
il normale periodo di switch dei geni β-globinici; in tre feti su quattro trattati in questo
modo, si è osservato un ritardo dell’orologio biologico per lo scambio dei geni betaglobinici (9).
Studi ulteriori hanno dimostrato che l’acido butirrico ed alcuni suoi derivati
possono aumentare l’espressione di γ–globine in vitro ed in vivo: il butirrato è stato
utilizzato in un trial clinico di breve periodo dove è riuscito ad aumentare l’espressione
di geni globinici fetali dal 6% al 45% in pazienti talassemici, rispetto a pazienti non
trattati, anche la popolazione di reticolociti F è raddoppiata (10).
In un progetto più recente il butirrato è stato testato in regime ad intermittenza:
oltre che diminuire gli effetti tossici, questo tipo di somministrazione ha riscontrato un
aumento dell’emoglobina totale sia nei pazienti affetti da β-talassemia, sia in quelli
colpiti da anemia falciforme (11, 12).
E’ stato, inoltre, dimostrato che l’isobutirramide, un derivato butirrico,
somministrato oralmente può ridurre il numero di trasfusioni necessarie in alcuni
individui
omozigoti
β-talassemici,
e
quindi
anche
l’accumulo
di
ferro;
contemporaneamente si è verificato un aumento dei livelli di HbF dal 3,1% al 6% e di
eritropoietina (13).
Un altro composto interessante è il sodiofenilacetato (NaPA) e il precursore
sodiofenilbutirrato (NaPB) la cui somministrazione ha riportato un incremento
16
dell’espressione di mRNA per le γ-globine di due o tre volte, rispetto alla quantità
prodotta in condizioni basali, nei pazienti che hanno risposto in maniera positiva alla
terapia con butirrati. In questi soggetti è stato riscontrato un incremento dal 15 al 50%
nella sintesi di proteina globinica γ. Studi di footprinting con DNasi I effettuati in vivo
su eritroblasti umani, ottenuti da pazienti affetti da β-talassemia ed anemia falciforme
che hanno risposto alla terapia con il butirrato, sono stati condotti analizzando quattro
regioni del promotore per le γ-globine designate per la sensibilità al butirrato (BRE-G14). Studi di mobilità elettroforetica utilizzando queste sequenze hanno permesso la
scoperta di due nuove proteine eritro-specifiche (BRE-G1 e BRE-G2) e una di tipo
ubiquitario, αCP2, presenti solo nei pazienti che hanno risposto alla terapia con il
butirrato e che potrebbero essere implicate nell’espressione dei geni per le γ-globine
(14). Recentemente questi composti si sono dimostrati capaci di incrementare la
produzione di HbF in esperimenti in vitro su precursori eritroidi derivati da individui
normali e pazienti affetti da anemia falciforme o β-talassemia (15).
L’uso terapeutico di questi composti in qualità di induttori dell’espressione genica
di γ-globine e del differenziamento cellulare, può avere delle limitazioni: spesso sono
necessarie alte dosi, che possono dare fenomeni di tossicità soprattutto a livello
cerebrale (16).
I composti oggetto d’interesse in questa tesi sono dei derivati dell’acido butirrico,
studiati al fine di trovare nuove molecole che avessero una migliore o uguale capacità di
indurre il differenziamento eritroide e la produzione di emoglobina fetale in vitro.
Alcuni di questi composti sono stati brevettati, mentre altri sono dei loro derivati (17). I
composti brevettati sono dei derivati dell’acido valerico (o acido pentanoico) tra cui
l’acido isovalerico, l’acido 4-pentinoico e l’acido metil-tio-acetico e loro sali accettati
fisiologicamente. Questi composti stimolano la produzione di γ-globine con differenti
cinetiche rispetto l’acido butirrico generando un’induzione più sostenuta. Non sono
inoltre tossici a concentrazioni in cui l’acido butirrico risulta tossico per le cellule. I
composti attivi del brevetto potrebbero essere somministrati per: 1) migliorare patologie
come l’anemia falciforme e la β-talassemia; 2) prevenire o migliorare la malaria; 3)
stimolare la differenziazione cellulare, per esempio in cellule tumorali.
17
5. Tecniche impiegate per testare l’attività di molecole eritrodifferenzianti: colture di precursori eritroidi umani.
Per testare l'efficacia di molecole in grado di riattivare la produzione di HbF è
necessario allestire saggi in vitro in grado di simulare le condizioni fisiologiche umane.
I modelli sperimentali più promettenti in tal senso sono due: saggio di attività
luciferasica e colture cellulari.
Il saggio di attività luciferasica è una tecnica di biologia molecolare che solo negli
ultimi anni è stata applicata per la rivelazione di attività da parte di induttori
farmacologici di emoglobina fetale (18). E’ un metodo rapido e semplice che si serve di
un costrutto genico in grado di codificare per due diversi geni reporter per la luciferasi,
renilla e firefly. I due geni sono posti rispettivamente sotto il controllo di una porzione
del promotore della β-globina e di una regione del promotore della γ-globina. Il
costrutto in questione viene, quindi, trasfettato in cellule riceventi e dopo un
determinato periodo di tempo si misura l’attività genica tramite saggio enzimatico:
l’espressione del gene per la renella-luciferasi rispecchia l’espressione del gene per la
β-globina, mentre l’espressione del gene per la firefly-luciferasi valuta l’espressione del
gene per la γ-globina. Questo metodo è estremamente rapido e sensibile per entrambi i
geni (18).
Le colture cellulari comprendono sia linee cellulari umane di origine eritroide
stabilizzate, sia colture cellulari primarie di precursori eritroidi, dove le cellule sono
ottenute da donatori sani, od eventualmente da pazienti affetti da talassemia.
Le linee cellulari umane erythroid-like, come K562, HEL e UT-7, derivano da
cellule provenienti da pazienti con diverse forme di leucemia mieloide (19, 20, 21).
Queste cellule sono state adattate a crescere in coltura e in alcuni casi stabilizzate. Le
K562 crescono come cellule in sospensione, singole e indifferenziate, con bassa
produzione di Hb (19). Quando vengono stimolate da diversi agenti possono rispondere
in pochi giorni con un incremento significativo nella produzione di Hb e con altri
marcatori specifici del differenziamento eritroide. Così la linea cellulare K562 può
essere stimolata da agenti come emina, 5-azacitidina, HU, butirrati e/o altre molecole
per la produzione di emoglobina di tipo embrionale e fetale. Queste linee cellulari
costituiscono sistemi sperimentali estremamente utili, grazie alla loro origine leucemica
18
umana e al fatto di essere state ben caratterizzate; inoltre, poiché di origine tumorale,
sono facilmente coltivabili in vitro, in quanto in continua proliferazione, rappresentando
anche un sistema relativamente poco dispendioso. Tuttavia, vi è una limitazione al loro
utilizzo: queste linee cellulari sono usate soprattutto nei saggi preliminari e nello
screening iniziale, quando deve essere analizzata la potenziale attività eritrodifferenziante di un numero elevato di molecole; inoltre, esse non riproducono tutti gli
aspetti dell’eritropoiesi. Primo, non solo le cellule K562 sono insensibili
all’eritropoietina e non producono Hb adulta, secondo, la loro stimolazione incrementa
la produzione delle emoglobine sintetizzate già a livelli basali quando non stimolate:
non si ha quindi una riattivazione genica da uno stato completamente inattivo. Infine,
molecole risultate potenziali agenti induttori del differenziamento eritroide in queste
linee tumorali non sono state capaci di riprodurre risultati analoghi in colture di cellule
staminali umane, che rappresentano un modello cellulare più fisiologico (22).
Le colture di precursori eritroidi possono essere effettuate utilizzando sia terreni
semi-solidi, nei quali formano cloni cellulari, sia terreni liquidi, dove crescono come
cellule singole o clusters in sospensione (Fig.8). In entrambi i terreni l’EPO è essenziale
per il differenziamento cellulare. Nel caso della coltura in fase liquida, questa si svolge
in due fasi: una prima fase EPO-indipendente, in cui le cellule del sangue periferico
sono messe in coltura con una combinazione di altri fattori di crescita, dove i
progenitori eritroidi proliferano e differenziano in progenitori CFUe (Colony Forming
Unit erythroid); nella seconda fase al terreno viene addizionata EPO, le cellule
continuano a proliferare e a maturare in normoblasti ortocromatici ed eritrociti
enucleati. Nella fase EPO-indipendente le cellule mononucleate da sangue periferico
vengono isolate mediante una centrifugazione in gradiente di densità con FicollHypaque, o Lympholyte-H, e messe in coltura in terreno addizionato con citochine
umane ricombinanti, fattori stimolanti colonie di granulociti e macrofagi (GM-CSF),
interleuchina-6 (IL-6) e stem cell factor (SCF). Queste citochine possono essere
rimpiazzate dall’utilizzo di terreno condizionato da colture di linee cellulari di
carcinoma umano, come le 5637 derivate da carcinoma alla vescica. Questo terreno
condizionato contiene una varietà di fattori di crescita, ma non l’EPO. I linfociti
possono essere rimossi dalla coltura, separandoli con l'impiego di biglie magnetiche
associate ad anticorpi specifici, oppure addizionando ciclosporina A. Dopo una
settimana di incubazione le cellule necessitano di EPO per continuare il processo di
19
differenziamento e proliferazione. In questo step le colture contengono cellule in
adesione (soprattutto macrofagi) e cellule in sospensione (soprattutto linfociti). Queste
ultime vengono prelevate, lavate e rimesse in coltura con nuovo medium addizionato di
EPO. In assenza di citochine necessarie per la loro proliferazione le cellule non-eritroidi
arrestano il loro sviluppo. I progenitori eritroidi proliferano e differenziano in precursori
eritroidi, proeritroblasti, che possono essere eventualmente isolati con gradiente di
Percoll e rimessi nello stesso terreno. I proeritroblasti continuano a moltiplicare
formando clusters e poi larghi aggregati che possono raggiungere le centinaia di cellule.
Durante il differenziamento queste cellule accumulano Hb. La coltura può essere
protratta in queste condizioni per circa due settimane.
sistema di coltura liquida
fase I
-EPO
7 giorni
fase II
+EPO
giorni 0-5
giorni 6-10
giorni 11-15
Fig. 8. Rappresentazione schematica di un sistema di coltura liquida
in due fasi. Le cellule rimangono in coltura per 14 giorni, in cui proliferano e
differenziano in normoblasti ortocromatici che producono emoglobina (figura
tratta da: Pope SH et al. Two-phase liquid culture system models normal
human adult erythropoiesis at the molecular level. The European Journal of
Haematology, 64, 292-303, 2000).
I precursori eritroidi coltivati nelle condizioni sopra riportate derivano da sangue
periferico, facilmente disponibile e prelevabile da donatori sani; esso rappresenta una
20
sorgente di progenitori eritroidi omogenea, mentre quelli presenti nel midollo osseo si
trovano a vari livelli di sviluppo.
Questo sistema di coltura liquida in due fasi riproduce molti aspetti dell’eritropoiesi
come l'espressione degli mRNA globinici, gli antigeni cellulari di superficie, la cinetica
del ciclo cellulare, il metabolismo del ferro e della ferritina.
Questi sistemi di coltura possono essere utilizzati per testare l'attività eritrodifferenziante di molecole proposte come potenziali induttori di emoglobine embriofetali; in tal caso i composti sono generalmente aggiunti alla coltura durante la seconda
fase, tra il quarto e l’ottavo giorno. Poiché le cellule crescono in sospensione possono
essere prelevati a diversi intervalli di tempo campioni cellulari, per valutarne le
caratteristiche. Ad esempio, il contenuto di emoglobina può essere analizzato con
diverse metodologie, come la denaturazione alcalina, la colorazione con benzidina
attivata con acqua ossigenata, la cromatografia liquida ad alte prestazioni (HPLC) o
l’analisi mediante FACS, che prevede l'utilizzo di anticorpi fluorescenti e diretti contro i
differenti tipi di globine in modo specifico (22). Invece, la quantificazione di mRNA
può essere valutata per RT-PCR, utilizzando sofisticati Thermal Cyclers.
6. “Real-time quantitative RT-PCR”: una metodologia per la
quantificazione di acidi nucleici.
Lo sviluppo di una metodologia come la reazione di polimerizzazione a catena
(PCR), impiegata per l'amplificazione e l’analisi degli acidi nucleici, ha rivoluzionato la
genetica e la biologia molecolare. L’applicazione di questa tecnica associata con lo
sviluppo di raffinate strumentazioni ha permesso di migliorare la sensibilità di questo
sistema d'indagine. Associando l’amplificazione di frammenti di DNA o cDNA con la
rilevazione di fluorescenza è stato possibile quantificare in modo assoluto anche
quantità minime di acidi nucleici presenti nei campioni sottoposti ad indagine. Nel caso
la quantificazione sia mirata a valutare l’espressione di specifici geni e quindi i rispettivi
mRNA, tale tecnica oltrepassa di gran lunga le potenzialità applicative della comune
tecnica del Northern Blotting.
21
L’ RT-PCR quantitativa presenta numerosi aspetti vantaggiosi, come la capacità di
poter analizzare un elevato numero di campioni utilizzando sofisticati Thermal Cyclers;
nel momento in cui sia necessario eseguire una reazione di retro-trascrizione prima della
PCR, per la produzione di cDNA a partire da RNA come templato, sia la reversione che
l’amplificazione vera e propria possono venir eseguite anche in unico passaggio (o in
più passaggi) sul Thermal Cycler. Questa strumentazione consente peraltro di ottenere
una visione in tempo reale durante ciascun ciclo di amplificazione, ovvero un grafico da
cui si può ricavare l’incremento di fluorescenza sviluppato da ciascun campione ad ogni
singolo ciclo.
Per eseguire la reazione sono indispensabili: un enzima, due primers ed una sonda
oligonucleotidica, che riconosce una sequenza compresa tra i due primers e dotata di
particolari caratteristiche. L’enzima impiegato è una DNA polimerasi prodotta dal
batterio Thermus aquaticus, avente la capacità di resistere ad elevate temperature e
dotata anche di attività esonucleasica 5’-3’. Anche i due primers, reverse e forward,
devono soddisfare determinate caratteristiche: 1) uno dei due primers deve essere
posizionato in prossimità della regione 5’ riconosciuta dalla sonda e molto vicino ad
essa; 2) entrambi i primers non devono sovrapporsi alla sequenza con la quale
ibridizzerà la sonda; 3) i primi cinque nucleotidi nella regione 3’ non devono contenere
più di quattro basi G e/o C. Per quanto riguarda la sonda, la sua sequenza
oligonucleotidica deve essere compresa nel templato bersaglio in analisi, e deve
ibridizzare col cDNA. La sonda è in genere costituita da un singolo filamento di DNA e
presenta nell’estremità 5’ un gruppo cromogeno FAM (6-carbossi-fluoresceina),
chiamato anche reporter, legato in maniera covalente, mentre all’estremità 3’ è
posizionato un gruppo quencher detto TAMRA (6-carbossi-N,N,N’,N’-tetrametilrodamina). Prima che la reazione di PCR inizi, il gruppo FAM non emette fluorescenza,
in quanto trovandosi i gruppi reporter e quencher vicini tra loro si equilibrano, quindi
non si ha l’emissione di fluorescenza da parte del sistema. Col procedere della reazione
di polimerizzazione l’attività esonucleasica della DNA polimerasi provoca la rimozione
del gruppo reporter dalla sonda, che viene degradata dopo essere stata incontrata
durante la fase di estensione dal primer lungo il filamento di DNA; i due gruppi
cromogeni a questo punto non sono più vicini tra loro, il quencher non è più in grado di
assorbire l’emissione del reporter, quindi il sistema di rilevazione osserverà un aumento
della fluorescenza. Ad ogni ciclo verrà registrato un incremento della fluorescenza,
22
poiché sempre maggiore sarà il numero di molecole di sonda ibridizzate al DNA
templato che vengono rimosse ed idrolizzate dall’enzima.
Questa strategia permette una visione in tempo reale dell’amplificazione durante i
vari cicli di reazione; inoltre, la selettività della sonda, che ibridizza col DNA o cDNA
bersaglio, permette la rilevazione esclusivamente dei prodotti di PCR amplificati in
modo specifico.
Per effettuare l’amplificazione genica è stato utilizzato il sistema ABI Prism 7700
Sequence Detector, costituito da: un Thermal Cycler, ABI Prism 7700, all’interno del
quale sono posizionate le reazioni in una piastra termica; un computer ed un software
(Sequence Detector Application Program versione 1.7) che gestisce la strumentazione e
l’analisi dei dati. I parametri di tempo e temperatura ai quali far avvenire i vari steps di
amplificazione e il numero di cicli da effettuare sono i seguenti: gli step 1 e 2 (2 min a
50°C e poi 10 min a 95°C) permettono l’attivazione delle proprietà esonucleasiche
dell’enzima, che si attiva contemporaneamente in tutti i pozzetti contenenti le reazioni
di polimerizzazione; lo step 3 (15 sec a 90°C e 1 min a 60°C, ripetuti per 40 cicli
successivi), che costituisce gli stadi di PCR vera e propria, cioè la denaturazione a 90°C,
l'appaiamento dei primers e l'estensione del filamento di DNA che avvengono alla
stessa temperatura di 60°C.
Il sistema ABI Prism 7700 è dotato di una ”camera a dispositivo di carica
accoppiata”, che permette di misurare lo spettro di emissione della fluorescenza in un
intervallo da 500 a 650 nanometri. Ogni reazione è controllata per rilevare il segnale in
modo sequenziale per 25 msec, con un monitoraggio continuo durante l’amplificazione
al termine della quale ogni campione viene riesaminato per 8,5 sec. Durante
l’amplificazione la variazione di fluorescenza emessa dal gruppo quencher è minima
rispetto al gruppo reporter; per questo motivo essa viene utilizzata come riferimento
interno, per ottenere in modo automatico la normalizzazione dell’emissione del gruppo
reporter.
Un’informazione utile che si può ricavare da tale grafico è il valore del ciclo
Threshold, detto CT o ciclo “soglia”. Tale valore rappresenta il ciclo al quale è possibile
registrare il primo apprezzabile aumento di intensità nella fluorescenza emessa, non
coperta dal segnale di background; esso viene considerato nella fase esponenziale della
reazione di PCR il più lontano possibile dal plateau, che rappresenta la fase di
saturazione della reazione di amplificazione. Tutti i campioni sono confrontati
23
valutando i loro rispettivi CT, relativi all’intensità di fluorescenza emessa presa come
“soglia” per quell’analisi.
La quantificazione dei campioni presi in esame può seguire diverse strategie, come
il confronto con una retta di taratura dove lo standard è rappresentato, ad esempio, da
un plasmide contenente il cDNA per il trascritto d’interesse opportunamente diluito.
Tuttavia, con questo sistema non sono esclusi errori di valutazione dovuti alla presenza
di fattori di inibizione o di degradazione nei campioni da analizzare, oppure errori
dovuti all’operatore. La quantificazione di cDNA provenienti da campioni diversi è più
attendibile se viene considerato un gene di riferimento interno al sistema rendendo così
minimo l’errore sperimentale.
Tale strategia è utilizzata anche quando si desidera ottenere una quantificazione
“relativa”, basata sulla differenza tra i livelli di espressione di un gene bersaglio in
campioni differenti, e valutato rispetto ad un gene di riferimento ugualmente espresso in
tutti i campioni analizzati. I geni utilizzati come riferimento, espressi in modo
costitutivo in tutti i campioni, possono essere ad esempio i geni per la β-actina, la
gliceraldeide 3-fosfato-deidrogenasi (GAPDH), la β2-microglobulina ed ancora il gene
per l’rRNA 18S. L’analisi di tipo quantitativo viene effettuata eseguendo una serie di
reazioni ciascuna contenente diverse quantità di cDNA dello stesso campione. La
differenza tra il CT del gene bersaglio ed il CT del gene di riferimento, ∆CT, deve
rimanere costante o al massimo variare di valori inferiori all’unità per tutti i punti della
scalare di diluizione. Il valore di CT è inversamente proporzionale alla concentrazione
del templato in analisi; pertanto, all’aumentare della concentrazione di cDNA bersaglio,
il ciclo “soglia” diminuisce: la sonda ha una maggiore quantità di substrato sul quale
ibridizzare, quindi una volta attivata la polimerasi ed il gruppo reporter viene liberato,
si produce un valore di fluorescenza superiore al rumore di fondo che viene recepito dal
sistema in tempi più brevi rispetto a campioni contenenti quantità di cDNA inferiori.
Per quantificare un trascritto in campioni che lo esprimono a diversi livelli, viene
calcolata la differenza tra i valori di ∆CT di ciascun campione in analisi ed il ∆CT del
campione usato come standard di riferimento, ottenendo il ∆∆CT. Un’elaborata
espressione matematica, infine, considera il ∆∆CT come esponente negativo (2-∆∆CT) e
permette di valutare quante volte un determinato DNA o cDNA templato è espresso in
un campione rispetto ad uno di controllo (23, 24).
24
SCOPO DELLA TESI
Il lavoro svolto nell’ambito di questa tesi ha previsto lo screening di una serie di
analoghi strutturali di sintesi dell’acido butirrico con l’obbiettivo di ricercare se tra
queste molecole qualcuna fosse in grado di attivare in vitro l’espressione dei geni per le
γ-globine, normalmente espressi durante la vita fetale e quasi del tutto silenti
nell’individuo adulto. L’identificazione di molecole in grado d’indurre la produzione di
γ-globine potrebbe risultare decisiva nel tentativo di incrementare la produzione di HbF,
mimando il fenotipo HPFH (High Persistence of Fetal Hemoglobin) e migliorando il
quadro clinico di individui affetti da emoglobinopatie, come la β-talassemia ed altre
patologie emopoietiche, rendendoli più indipendenti dal regime trasfusionale.
L’aumento dell’espressione di mRNA per le γ-globine è stato valutato utilizzando
una sonda cromogenica gene-specifica, per l’allestimento di una reazione di
polimerizzazione a catena (PCR) di tipo quantitativo, ed uno strumento per la
rilevazione della fluorescenza, l’ABI Prism 7700. Con questo sistema è possibile
effettuare un’analisi di tipo quantitativo in tempo reale, anche su minime quantità di
bersaglio genico presente nel campione in analisi.
Una condizione necessaria per ottenere dei composti che, oltre ad essere efficaci
nell’indurre un notevole accumulo di mRNA per le γ-globine, possano essere proposti
come agenti terapeutici, è che siano dotati di una bassa attività antiproliferativa sulle
cellule di derivazione umana. Lo studio di una classe di molecole a basso peso
molecolare potrebbe risultare interessante per lo sviluppo di nuovi agenti farmacologici,
facilmente veicolabili attraverso la membrana plasmatica cellulare ed utilizzabili nella
cura di emoglobinopatie.
25
MATERIALI E METODI
1. Colture di precursori eritroidi ottenuti da sangue periferico di
soggetti umani.
La coltura in vitro di cellule staminali da sangue periferico si svolge in due fasi in
terreno liquido che prevedono diversi passaggi. Il punto di partenza è il buffy-coat, parte
corpuscolata del sangue, derivante da una sacca di sangue prelevata dopo consenso
informato da un donatore sano. Il buffy-coat ha un volume di 35 ml che vengono diluiti
1:2 con PBS 1x (Buffer salino-fosfato) a temperatura ambiente. Il PBS 1x viene
preparato per diluizione con H2O distillata a partire da PBS 10x, che consiste in una
soluzione di NaCl 2 M, KCl 27 mM, Na2PO4 0,1 M, KH2PO4 18 mM, in H2O distillata
e sterilizzata per filtrazione con filtri di acetato di cellulosa aventi pori del diametro di
0,22 µm, e conservata a 4°C. Il campione diluito viene suddiviso in aliquote da 40 ml,
sottoposte a centrifugazione per gradiente di densità su Lympholyte-H (NycogradeTM
polysucrose 400 e sodium diatrizoate, Celbio, Milano, Italy): si crea un gradiente di
destrano ed altre sostanze per favorire la separazione delle parti corpuscolate del
sangue. La centrifugazione genera quattro strati ben distinti, dall’alto verso il basso:
siero; un anello biancastro contenente linfociti, fibroblasti, macrofagi e precursori
eritroidi; una parte torbida contenente Lympholyte con cellule non separate; un fondo
rosso costituito dagli eritrociti. L’anello biancastro viene prelevato, sottoposto a diversi
lavaggi con PBS 1x e trasferito in terreno di fase I così composto: terreno α-MEM (αminimal essential medium, Sigma-Aldrich, St.Louis, Missouri, USA), preparato a
partire da una polvere e diluito con acqua distillata, sali per bilanciare il pH ed una
soluzione di PEN-STREP (penicillina 50 U/litro e streptomicina 50 mg/litro di terreno,
Sigma-Aldrich, St.Louis, Missouri, USA); FCS al 10% (Foetal Calf Serum, GIBCO,
BRL, Life Technologies, Milano, Italy), dopo averlo scongelato e sterilizzato per
filtrazione; medium condizionato (CM) al 10%, ottenuto da colture cellulari di
carcinoma di vescica (cellule 5637), ricco di fattori di crescita ematopoietici eccetto
l’EPO e separato dalle cellule stesse per filtrazione; ciclosporina A (Sigma-Aldrich,
St.Louis, Missouri, USA) 1 µg/ml di terreno, preparata da ciclosporina diluita in etanolo
26
assoluto e PBS 1x nel rapporto di 1:1. La coltura viene poi incubata a 37°C, in
atmosfera umidificata ed al 5% di CO2. E’ importante osservare ogni giorno al
microscopio le cellule per verificare la vitalità cellulare e l’assenza di contaminazioni.
Dopo 5-7 giorni di coltura in questo terreno di fase I, le cellule non aderenti
vengono recuperate, lavate e ricoltivate in un terreno fresco di fase II composto da:
terreno α-MEM; FCS al 30%; albumina di siero bovino deionizzata (BSA, SigmaAldrich, St.Louis, Missouri, USA) al 10%, sciolta in α-MEM; β-mercapto etanolo (βME, Sigma-Aldrich, St.Louis, Missouri, USA) 0,01 mM, preparato da una soluzione di
partenza 100 mM diluita con H2O sterile; desametasone (Sigma-Aldrich, St.Louis,
Missouri, USA) 0,001 mM, preparato da una soluzione di partenza 6,4 mM diluita in
metanolo sterile (questo composto è in grado di stimolare la linea eritroide);
glutammina (Glu) 2 mM (Sigma-Aldrich, St.Louis, Missouri, USA); eritropoietina
umana (EPO) (Tebu-bio, Magenta, MI, Italy) 1 U/ml; Stem Cell Factor (SCF,
PeproTech EC Ltd, London, England) 10 ng/ml, solubilizzato in acido acetico 10 mM.
Alcuni di questi componenti (BSA, β-ME, desametasone, Glu) sono stati sterilizzati
filtrandoli con filtrini da 0,22 µm e conservati al buio a -20°C. L’EPO e l’SCF, essendo
fattori proteici, devono essere conservati a -80°C per evitarne la degradazione.
L’incubazione in questa fase dura da 4 a 6 giorni. E’ importante osservare ogni giorno
al microscopio le cellule per verificarne la vitalità, l’assenza di contaminazioni, ma
soprattutto la formazione di gruppi o “cloni” di cellule nel supernatante. Solo se ci sono
tali agglomerati cellulari di proeritrociti si può proseguire col trattamento con le
molecole in analisi. Talvolta si possono avere pochi e/o piccoli agglomerati cellulari
dopo i 4-6 giorni canonici della fase II, in quanto si ha una crescita più lenta, in tal caso
si può prolungare la fase II per altri 4-5 giorni per avere una sufficiente proliferazione
delle colonie e successivamente proseguire col trattamento. Al termine di ogni fase si
contano le cellule utilizzando il Coulter Counter Z1 (Coulter Electronics Limited,
Luton, Beds, England).
Al termine della fase II vengono aggiunti i composti alle concentrazioni opportune,
quindi vengono riposte le cellule nell’incubatore per altri 4-5 giorni, al termine dei quali
si procede con l’estrazione dell’RNA.
27
2. Estrazione di RNA totale.
Le analisi mediante RT-PCR quantitativa dei geni bersaglio, la cui espressione
poteva essere modulata con le molecole eritro-differenzianti oggetto di studio, sono
state condotte sull’RNA totale citoplasmatico estratto dalle cellule trattate e non trattate.
Al termine della fase II le cellule vengono contate al Coulter Counter Z1 e
centrifugate per 10 min a 1200 rpm, separate dal surnatante e risospese in 1 ml di
TRIzol per 5-10x106 cellule (Total RNA Isolation Reagent, Celbio, Milano, Italy). I
campioni vengono incubati per 5 min a temperatura ambiente, si aggiungono 200 µl di
cloroformio per ogni ml di TRIzol utilizzato e si agita energicamente per 15 sec. Segue
una centrifugata a 12000 rpm per 15 min a 4°C per estrarre la fase acquosa, alla quale
vengono aggiunti 500 µl di isopropanolo per ml iniziale di TRIzol. Si incubano i
campioni per 10 min a temperatura ambiente, segue un’altra centrifuga per 15 min a
12000 rpm a 4°C. Il supernatante viene eliminato e al pellet viene aggiunto 1 ml di
etanolo al 75% per ml di TRIzol, i campioni sono quindi conservati a -20°C.
3. Reazione di retro-trascrizione per la produzione di cDNA da RNA di
cellule indotte e non con composti potenzialmente in grado di
modulare l’espressione dei geni per le γ-globine.
Prima di poter quantificare l’mRNA specifico per i geni γ-globinici mediante PCR
quantitativa è necessario effettuare una reazione di retro-trascrizione. Dai campioni si
elimina l’etanolo, dopo una centrifugata di 20 min a 12000 rpm a 4°C, poi i pellet sono
essiccati in centrifuga sottovuoto (Speedvac) per 5 min. I campioni sono quindi
risospesi in H2O trattata con dietilpirocarbonato (DEPC) 0,1% in modo da disattivare
eventuali RNasi presenti.
Si effettua successivamente la lettura allo spettrofotometro dei campioni ad una
lunghezza d’onda di 260 nm. L’unità di lettura dello strumento è l’OD (optical density).
L’equazione per ricavare la concentrazione è µg/ml=ODx40xDIL, dove OD è il valore
letto dallo strumento, 40 è il coefficiente di correzione per la lettura dell’RNA allo
spettrofotometro (secondo la legge di Lambert–Beer) e DIL è il coefficiente di
28
diluizione dell’RNA nella cuvetta. Per verificare il grado di contaminazione proteica
bisogna valutare il rapporto tra le assorbanze a 260 nm ed a 280 nm, che deve risultare
intorno a 1,8: se il valore è inferiore, si è avuta una contaminazione proteica, se
superiore, una contaminazione organica.
Successivamente viene valutata anche l’integrità dell’RNA, analizzandolo
caricando 1 µg di ogni campione in un gel d’agarosio all’1%, contenente etidio bromuro
10 µg/ml in tampone TAE 1x (da TAE 50x=2 M Tris-HCl, 0,05 M EDTA pH=8,0 e
5,71% acido acetico al 99,8%). Dopo questo saggio è utile eseguire una PCR
direttamente sull’RNA, per verificare che non vi sia la presenza di contaminazioni da
DNA; in tal caso si deve procedere al trattamento dei campioni con DNasi I, prima della
retro-trascrizione.
Come substrato per la produzione di cDNA a singolo filamento è stato utilizzato 1
µg di RNA totale citoplasmatico: questa rappresenta la quantità massima utilizzabile per
avere una retro-trascrizione efficace e quantitativa, nella quale tutto l’RNA viene retrotrascritto in cDNA. L’RNA è stato inizialmente incubato per 10 min a temperatura
ambiente con 1 µl di inibitore dell’RNasi 10 U/µl e con oligonucleotidi d’innesco della
reazione di polimerizzazione, rappresentati da esameri random alla concentrazione 2,5
µM; questi oligonucleotidi hanno una temperatura di melting piuttosto bassa, per cui in
queste condizioni si legano all’RNA. Le fasi successive prevedono 30 min a 48°C e 5
min a 100°C in tampone contenente MgCl2 5,5 mM, dNTPs 500 µM, RT-Buffer 1x
(TaqMan RT Buffer 10x, Applera Italia, Applied Biosystems, Monza, Italy) e 1,25 U
dell’enzima MultiScribe Reserve Transcriptase. Terminata la reazione, l’amplificato è
stato aliquotato e conservato a -80°C.
4. PCR-quantitativa.
I campioni di cDNA sono stati amplificati in duplici reazioni per ottenere un valore
medio significativo per la quantificazione. Il gene bersaglio è rappresentato dall’mRNA
per le globine di tipo γ. Le reazioni sono state eseguite a partire da una serie di
diluizioni scalari di cDNA ottenuto da colture cellulari utilizzate come controllo e non
trattate (standard). Nel volume finale di reazione (25 µl) sono contenuti: TaqMan
29
Universal PCR Master Mix 1x (Applera Italia, Applied Biosystems, Monza, Italy); la
coppia di primers forward e reverse, utilizzati alla concentrazione finale di 300 nM; la
sonda TaqMan impiegata alla concentrazione finale di 200 nM. La TaqMan Universal
PCR Master Mix contiene: l’enzima AmpliTaq Gold DNA Polimerasi; l’enzima
AmpErase Uracil–N glicosilasi, che degrada sequenze contenenti uracile al posto di
timina, lasciando intatto il filamento originario di templato, ed è attiva nel primo step
della reazione (quando la temperatura è di 50°C) eliminando tutte le molecole
contaminanti che possono essere presenti nella piastra o nei puntali, a 95°C si inattiva
irreversibilmente; i desossinucleotidi trifosfato (dNTPs), con il dUTP che sostituisce il
dTTP; MgCl2 1 mM; il cromoforo “Rox”, che serve come riferimento sul quale lo
strumento normalizza i dati ed è utile soprattutto ad annullare gli eventuali errori di
volume effettuati durante le operazioni svolte dall’operatore stesso.
Le sequenze ed i primers utilizzati per la quantificazione dell’mRNA specifico per
le γ-globine umane sono riportati nella Tabella 1.
Tabella 1. Sequenze degli oligonucleotidi impiegati nelle reazioni di
PCR quantitativa.
primer forward gamma-globine
primer reverse gamma-globine
sonda gamma-globine
5’-TGGCAAGAAGGTGCTGACTTC-3’
5’-TCACTCAGCTGGGCAAAGC-3’
5’-FAM-TGGGAGATGCCATAAAGCACCTGC-TAMRA-3’
Sugli stessi campioni sono state effettuate in parallelo le reazioni di amplificazione
per la gliceraldeide-3-fosfato-deidrogenasi (GAPDH), usato come gene di riferimento;
la sonda e i primers specifici sono contenuti nel kit human GAPDH (Applera Italia,
Applied Biosystems, Monza, Italy), dove la sonda è stata marcata in 5’ col cromogeno
VIC (una molecola cromogenica sotto segreto brevettale) e al 3’ col TAMRA.
Tutte le reazioni di PCR quantitativa sono state eseguite in doppia serie ed alcune
reazioni sono state condotte in assenza di cDNA, come controlli negativi.
L’amplificazione è stata eseguita su Thermal Cycler ABI Prism 7700 utilizzando piastre
di plastica ottica da 96 pozzetti MicroAmp Optical (Applera Italia, Applied Biosystems,
Monza, Italy), effettuando due cicli iniziali necessari per l’attivazione della funzione
esonucleasica 5’-3’ della polimerasi (50°C per 2 min e 95°C per 10 min), mentre i
successivi 40 cicli sono stati costituiti da una fase di denaturazione a 95°C per 15 sec ed
una fase a 60°C per 1 min, nella quale avviene sia l’appaiamento dei primers e della
sonda sia l’estensione del filamento di DNA.
30
RISULTATI
1. Composti derivati dall’acido butirrico impiegati come potenziali
induttori per la produzione di mRNA di globine embrio-fetali.
Le molecole oggetto delle indagini effettuate nel corso dello sviluppo di questa tesi
sono il risultato di uno studio complesso realizzato dal gruppo di ricerca del Prof.
Roberto Gambari sull’attività eritro-differenziante di small molecules. Uno dei composti
di riferimento in questo progetto è stato l’acido butirrico, una molecola molto semplice
in quanto composta da uno scheletro a quattro atomi di carbonio, della quale è riportata
in letteratura la capacità di ritardare lo switch globinico γ-β seguita dall’induzione sia in
vitro che in vivo della produzione di HbF (7, 8, 9, 10, 11, 12). Nonostante sia stata
dimostrata la sua attività come induttore del differenziamento eritroide, è necessaria una
somministrazione di questo composto ad alte dosi per ottenere l’effetto desiderato,
inducendo d’altro canto un’elevata tossicità, che si manifesta soprattutto a livello
cerebrale (16). Questo è uno dei motivo che ha orientato la ricerca verso il disegno e la
sintesi di nuove molecole a basso peso molecolare, nel tentativo non solo di ridurre la
tossicità di questo composto, ma anche di potenziarne le caratteristiche di induttore.
Pertanto, la struttura dell’acido butirrico, riportata in Fig.7 in forma salificata, è stata
modificata per produrre nuovi analoghi o derivati.
Le strutture chimiche degli analoghi sintetizzati ed oggetto di studio sono riportate
in Fig.9, sottoforma di sali di sodio; passerò ora a descriverne le caratteristiche
principali. Una small molecule è rappresentata dal composto 5049 (4,4,4-trifluorobutirrato); in questo derivato il gruppo metilico terminale è stato sostituito con tre atomi
di fluoro, originando una molecola trifluorata sul carbonio terminale. Per quanto
riguarda il composto il 5047 (2-butenoato), in questo caso la struttura chimica è molto
simile al butirrato, dove l’unica modificazione è stata l’inserimento di un doppio legame
tra il carbonio 2 e il carbonio 3, per creare un 2-butenoato.
31
F
Na+
O-
F
F
O
Struttura del composto 5049 (4,4,4-trifluoro-butirrato di sodio)
O
Na+
CH3
O-
Struttura del composto 5047 (2-butenoato di sodio)
O
O-
Na+
Struttura del composto 4174 (ciclopropancarbossilato di sodio)
Na+
OO
Struttura del composto 5043 (ciclopropilacetato di sodio)
O
OO
O-
Na+
Struttura del composto 5048 (ciclopropan-1,1-dicarbossilato di sodio)
Fig. 9. Struttura chimica di molecole strutturalmente analoghe o
derivate del butirrato di sodio. Sono riportate le strutture dei vari composti in
esame, dei quali è stata valutata l’attività come potenziali induttori di
emoglobine fetali, tra queste anche la molecola per la quale è stata osservata
una simile attività ed oggetto di brevetto (4,4,4-trifluoro-butirrato di sodio)
(17).
32
Nell’analogo 4174 (ciclopropancarbossilato) lo scheletro di atomi di carbonio
risulta in parte ciclizzato a formare un ciclopropano, mentre la porzione acida della
molecola è lasciata invariata. Il derivato 5043 (ciclopropilacetato) è costituito da cinque
atomi di carbonio, molto simile al 4174, rispetto al quale è stato inserito un atomo di
carbonio nello scheletro carbonilico che collega la porzione acida e la porzione ciclica
della molecola. Infine, il composto 5048 (ciclopropandicarbossilato) è una molecola a 5
atomi di carbonio, analoga al 4174, ma simmetrica: presenta due funzioni acide
distanziate da un ciclopropano a tre atomi di carbonio a formare un dicarbossilato.
L’attività di questa serie di small molecules è stata quindi saggiata in un modello
cellulare che riproducesse il più possibile le condizioni fisiologiche umane: la coltura di
precursori eritroidi, rappresentati da cellule staminali adulte ottenute da sangue
periferico.
2. Verifica dell’attività di induttore eritro-differenziante dell’acido
butirrico nel trattamento di precursori eritroidi umani coltivati in
vitro: quantificazione di mRNA per le γ-globine mediante PCR
quantitativa.
E’ noto dalla letteratura che il trattamento con l’acido butirrico è in grado di
aumentare i livelli di HbF sia in modelli sperimentali, che nell’umano (7, 8, 9). Poiché i
composti oggetto di questa tesi costituiscono un gruppo di molecole a basso peso
molecolare derivati dalla struttura chimica dell’acido butirrico, è stato inizialmente
verificato se nel nostro modello sperimentale rappresentato da cellule staminali adulte in
coltura, l’attività di induttore di HbF dell’acido butirrico fosse mantenuta. Questa
capacità eritro-differenziante è stata valutata analizzando l’accumulo di mRNA
specifico per le γ-globine mediante RT-PCR quantitativa secondo la metodica descritta
in “Materiali e Metodi”.
Gli effetti dell’acido butirrico, sottoforma di sale di sodio, sono stati saggiati in
colture in vitro di precursori eritroidi umani, utilizzando un protocollo che ha previsto
l’impiego di terreno liquido e che si sviluppa in due fasi. Le cellule mononucleate sono
state isolate da un buffy-coat di 35 ml, ottenuto da sangue periferico di donatore sano,
33
previo consenso informato, quindi poste in coltura in un terreno non contenente
eritropoietina, per un periodo della durata di 5-7 giorni. Nella seconda fase di coltura il
terreno è stato rinnovato ed addizionato con fattori stimolanti e selettivi per la
proliferazione cellulare verso la linea eritroide. In questa fase dal 4° al 6° giorno le
cellule iniziano a produrre emoglobina anche se a livelli bassi. Al termine di questa fase
è stato eseguito un trattamento per 4 giorni (senza rinnovare il terreno) con i composti
presi in esame, somministrando differenti concentrazioni, al fine di saggiarne l’attività
biologica come induttori dei geni globinici embrio-fetali, identificando anche dosaggi
che non fossero associati a citotossicità. Tali effetti sono stati confrontati con quelli
prodotti dalla somministrazione di mitramicina 50 nM, rappresentante il controllo
positivo d’induzione (25), mentre quello negativo è costituito da cellule non trattate. La
mitramicina è in grado di legare selettivamente sequenze di DNA ricche in G/C nella
genesi di complessi col DNA molto instabili; questo comporterebbe minori alterazioni a
livello genomico rispetto ad altre DNA binding-drugs che formano, invece, complessi
stabili (26). E’ stato dimostrato, in uno studio condotto su colture di precursori eritroidi
provenienti da 9 pazienti β-talassemici, che la mitramicina ha aumentato i livelli di HbF
in tutti i casi, senza generare fenomeni di elevata tossicità; mentre l’idrossiurea è
risultata inefficace in due casi e sensibilmente citotossica in tutti i casi analizzati (25).
Alla fine del trattamento, nel quale l’acido butirrico è stato usato alla
concentrazione finale di 1,5 e 2 mM (27), è stato estratto l’RNA totale con la metodica
del TRIzol, saggiato su gel d’agarosio all’1%, per valutare possibili degradazioni, ed è
stato quantificato allo spettrofotometro. Successivamente è stata eseguita una reazione
di retro-trascrizione per ottenere il cDNA relativo a ciascun campione trattato, a partire
da 1 µg di RNA. Il cDNA derivato dalle cellule non trattate è stato diluito in serie
scalare, per ottenere una curva standard indispensabile per quantificare il cDNA
bersaglio eventualmente indotto e rappresentato dall’mRNA per le γ-globine. Per
ciascun campione è stata eseguita una reazione di real-time PCR quantitativa,
amplificando sia i trascritti relativi all’mRNA per le γ-globine umane, sia per il gene di
riferimento interno GAPDH. Nella Fig.10 sono riportate in A, le curve di
amplificazione del gene per la GAPDH, che come si può osservare è egualmente
espressa nei campioni qui riportati, ovvero il controllo non trattato (in blu), il campione
trattato con acido butirrico 1,5 mM (verde) ed il controllo positivo di induzione trattato
con mitramicina (giallo). In B, si possono osservare le curve di amplificazione relative
34
al gene per le γ-globine; nel campione trattato con acido butirrico 1,5 mM il gene
bersaglio è maggiormente espresso (curva gialla) rispetto al controllo non trattato (curva
verde), infatti la curva compare prima nei cicli di reazione e presenta un CT più basso,
mentre quello trattato con mitramicina (in rosso), il controllo positivo di induzione,
presenta un’induzione ancora maggiore.
A
∆Rn
Amplificazione di mRNA per la GAPDH
cicli
Amplificazione di mRNA per le γ-globine
∆Rn
B
cicli
Fig. 10. Spettrogrammi relativi alle reazioni di PCR quantitativa
effettuate sui precursori eritroidi trattati e non con l’acido butirrico. In A
sono riportate le curve di amplificazione per il gene di riferimento della
GAPDH, mentre in B quelle per il gene bersaglio delle γ-globine.
I risultati ottenuti sono riportati anche in tabella 2 e dimostrano un accumulo di
mRNA specifico per le γ-globine, valutato essere 4,23 volte superiore rispetto al
campione di controllo non trattato, quando l’acido butirrico è stato somministrato alla
35
concentrazione di 1,5 mM. Alla concentrazione di 2 mM il valore è inferiore, dal
momento che provoca una maggiore citotossicità cellulare. La mitramicina determina
un effetto ancora superiore rispetto all’acido butirrico, pari a 14,32 volte; infatti questa
molecola risulta a tutt’oggi uno dei più potenti agenti induttori in vitro (25).
Tabella 2. Saggi per la valutazione dell’attività eritro-differenziante
dell’acido butirrico. Gli effetti dell’acido butirrico su questa coltura di
precursori eritroidi sono stati comparati a quelli indotti dal trattamento con
mitramicina, utilizzata come controllo positivo d’induzione.
composto
mRNA
γ−globinico/controllo
acido butirrico
1,5 mM
acido butirrico 2
mM
mitramicina
50 nM
4,23
1,65
14,32
3. Quantificazione dell’accumulo di mRNA per le γ-globine in seguito
al trattamento con una small molecule, il composto 4174.
Dopo aver confermato la capacità esercitata dall’acido butirrico di indurre
l’espressione dei geni umani per l’HbF, è stata inizialmente presa in considerazione una
molecola fra gli analoghi strutturali dell’acido butirrico. Questo composto è il 4174
(ciclopropancarbossilato), la cui struttura chimica è riportata in Fig.9.
L’attività di questa molecola è stata testata su 9 colture di precursori eritroidi
ottenute dal sangue periferico di differenti donatori. Come controllo positivo
d’induzione sono state utilizzate la mitramicina e/o l’idrossiurea, noti essere potenti
induttori del differenziamento eritroide (6, 25). Il composto 4174 ha determinato un
aumento di mRNA per le γ-globine superiore al controllo non trattato nel 88,9% dei casi
analizzati, con un’induzione media pari a 5,45±2,69 volte rispetto al controllo negativo.
I dati sono stati estrapolati dai risultati riportati in tabella 3.
36
Tabella 3. Riepilogo dei risultati ottenuti somministrando il composto
4174. Le colture sono state eseguite isolando i precursori eritroidi da 9 donatori
diversi, sulle quali è stato saggiato il composto 4174 alla concentrazione di 5 o
7 mM; la mitramicina è stata invece somministrata a 25-30 nM e l’idrossiurea a
100-125 µM, concentrazioni queste molto simili al valore di IC50,
(concentrazione alla quale viene inibita la proliferazione cellulare solo del
50%).
compos
to
4174
4174
4174
4174
4174
4174
4174
4174
4174
concentrazione
5 mM
7 mM
7 mM
7 mM
7 mM
7 mM
7 mM
7 mM
7 mM
mRNA
γ−globinico/
controllo
4,43
4,06
3,63
6,17
11,79
4,33
0,84
5,24
3,97
induzione con
mitramicina
induzione con
idrossiurea
n°
donatore
nd
nd
18,57
29,65
42,52
18,38
2,08
11,63
11,47
0,12
2,30
0,59
nd
nd
nd
nd
nd
nd
1
2
3
4
5
6
7
8
9
Nel donatore 1 il composto 4174 è risultato avere una buona attività di induzione di
mRNA per le γ-globine, mentre il trattamento con idrossiurea è stato inefficace; anche
nel donatore 2, il 4174 ha avuto un’efficienza maggiore rispetto all’idrossiurea. Questo
dato lascia presupporre che la molecola in questione potrebbe essere efficace anche
laddove la somministrazione di idrossiurea non lo fosse.
Solamente sul donatore 7 il composto 4174 non ha determinato nessun incremento
di mRNA per le γ-globine.
4. Saggio dell’attività biologica di small molecules su colture di
precursori eritroidi umani per l’individuazione di molecole sempre più
efficaci.
Gli effetti del derivato 4174, che si è dimostrato in grado di incrementare
l’espressione dei geni per le γ-globine nel modello cellulare utilizzato, sono stati
confrontati con quelli prodotti dal trattamento con le altre molecole da saggiare: i
composti 5049, 5047, 5043 e 5048. I composti presi in esame sono stati somministrati a
differenti concentrazioni, al fine di saggiarne l’attività biologica come induttori
37
dell’espressione dei geni globinici embrio-fetali, nel tentativo di individuare anche
dosaggi che non inducessero un’eccessiva tossicità cellulare. Inizialmente è stata usata
una scalare di concentrazioni per ciascun composto, con l’obiettivo di definire quella
ottimale: le concentrazioni erano comprese in un range da 1 a 10 mM ed utilizzate nel
trattamento su uno stesso donatore (dati non riportati).
Un esempio nel quale viene considerata l’inibizione della proliferazione cellulare
in seguito alla somministrazione delle molecole in esame è riportato in Fig.11. In figura,
è possibile osservare che alle concentrazioni ottimali considerate per ciascuna molecola,
i relativi valori di proliferazione cellulare, anche nel caso dei campioni tratti con i
derivati 5043, 5048 e 4174, sono del tutto comparabili con quelli riportati per il
controllo non trattato.
cell/ml
3.000.000
2.500.000
5049 7 mM
2.000.000
5047 1 mM
4174 7 mM
1.500.000
5043 5,6 mM
1.000.000
5048 5 mM
controllo
500.000
0
1° trattamento
4° trattamento
giorni
Fig. 11. Effetti sulla proliferazione cellulare delle small molecules.
Sono riportate le rette di proliferazione cellulare, dove si può osservare che il
numero di cell/ml, alle concentrazioni usate per ciascun composto, è simile ai
valori di proliferazione cellulare osservati nel controllo e valutati al termine del
periodo di trattamento.
In questi saggi è stato osservato che tutti i composti si sono dimostrati attivi
nell’indurre un accumulo di mRNA per le γ-globine nelle colture in vitro di precursori
eritroidi (risultati non riportati).
In una seconda serie di esperimenti sono stati allestiti dei trattamenti con le
molecole in analisi, somministrate alle concentrazioni ottimali sullo stesso donatore,
con l’obiettivo di confrontarne le potenzialità d’induzione. In questo set di esperimenti
38
la mitramicina (30 nM) ha costituito il controllo positivo (25); quello negativo è
rappresentato sempre dalle cellule non trattate. L’accumulo di mRNA specifico per le γglobine è stato misurato mediante RT-PCR quantitativa nei campioni trattati ed espresso
come incremento rispetto al controllo non trattato. I trattamenti sono stati effettuati su
due donatori ed i risultati sono riportati nelle tabelle 4 e 5.
Tabella 4. Trattamento con small molecules sul donatore 10. I diversi
composti sono stati testati sui precursori eritroidi derivati dallo stesso donatore
per confrontarne l’attività. L’induttore positivo del differenziamento eritroide
al quale far riferimento è la mitramicina, usata alla concentrazione di 30 nM,
che ha prodotto un incremento di mRNA per le γ-globine di 4,15 volte
superiore rispetto al controllo non trattato.
composto
concentrazione
mRNA
γ−globinico/controllo
5049
5047
4174
5043
5048
7 mM
1 mM
7 mM
5,6 mM
5 mM
16,45
2,71
3,12
3,94
1,33
Tabella 5. Trattamento con small molecules sul donatore 11. I diversi
composti sono stati testati sui precursori eritroidi derivati dallo stesso donatore
per confrontarne l’attività. L’induttore positivo del differenziamento eritroide
al quale far riferimento è la mitramicina, usata alla concentrazione di 30 nM,
che ha prodotto un incremento di mRNA per le γ-globine di 6,41 volte
superiore rispetto al controllo non trattato.
composto
concentrazione
mRNA
γ−globinico/controllo
5049
5047
4174
5043
5048
7 mM
1 mM
7 mM
5,6 mM
5 mM
5,31
1,16
1,31
3,78
5,66
Tutte le molecole considerate inducono un accumulo di mRNA per le γ-globine,
anche se il derivato 5047 è il meno attivo tra gli analoghi considerati.
Il composto 5048 è risultato un buon induttore, ma solo su uno dei due donatori,
effetto questo che potrebbe dipendere da una differente sensibilità del donatore stesso
alla molecola in analisi; così come osservato per il composto.
39
Il 5043 è il composto del quale sono stati meglio riprodotti gli effetti: quest’attività
potrebbe essere attribuita anche ad una maggiore stabilità della molecola.
Il composto 5049 è risultato il migliore nell’indurre un accumulo di mRNA
specifico per le globine di tipo gamma, che sul donatore 10 è addirittura superiore agli
effetti ottenuti col trattamento con mitramicina.
Analizzando i due esperimenti nel complesso è possibile dedurre che l'induzione
potrebbe dipendere anche dalla sensibilità del donatore al composto (come osservato per
i derivati 5048 e 4174, entrambi attivi o non attivi in relazione al donatore in esame).
Rilevante è, inoltre, il risultato ottenuto con la somministrazione del composto
5049 alle colture cellulari, che ha prodotto effetti migliori o paragonabili al trattamento
con mitramicina.
5. Analisi della riproducibilità degli effetti delle small molecules
sull’induzione di mRNA per le γ-globine, saggiandone l’attività su
precursori eritroidi derivati dallo stesso donatore, ma prelevati a
distanza di tempo.
Con l’obiettivo di confermare le potenzialità di induttori del differenziamento
eritroide e riprodurne gli effetti sull’espressione di mRNA specifico anche a distanza di
tempo, dopo sei mesi è stato rintracciato il donatore 10 e rivalutata l'attività eritrodifferenziante delle molecole 5049-5047-4174-5043-5048. Infatti, i precursori eritroidi
sono stati isolati dal sangue periferico del donatore 10, ottenuto con un prelievo
successivo e ritrattati con le stesse modalità e concentrazioni dei rispettivi derivati. I
risultati sono riportati in tabella 6.
Paragonando i dati ottenuti a distanza di sei mesi si può osservare che anche in
questo caso il 5047 è la molecola meno efficace; per il composto 5048 è stata osservata
una buona attività nell’indurre un accumulo del trascritto γ-globinico, riproducendo
tuttavia un valore che risulta variare nei diversi esperimenti condotti, mentre il
composto 4174 mantiene un risultato abbastanza costante nel grado di induzione del
messaggero specifico.
40
Tabella 6. Trattamento con small molecules sui precursori eritroidi
del donatore 10, riprelevati a distanza di sei mesi. I diversi composti sono
stati testati sui precursori eritroidi derivati dallo stesso donatore per
confrontarne l’attività.
composto
concentrazione
mRNA
γ−globinico/controllo
5049
5047
4174
5043
5048
7 mM
1 mM
7 mM
5,6 mM
5 mM
11,71
1,44
2,69
12,82
7,26
Gli analoghi 5049 e 5043 anche in questo caso si sono dimostrati i più interessanti
come potenziali induttori del differenziamento eritroide.
41
CONCLUSIONE
Negli ultimi anni lo sviluppo di nuove tecnologie e strumentazioni sempre più
sofisticate hanno permesso lo sviluppo di strategie innovative mirate alla progettazione
di nuove terapie, basate sulla modulazione dell’espressione di geni bersaglio, ed hanno
anche consentito di comprendere meglio i meccanismi molecolari alla base della
regolazione della trascrizione genica.
Secondo questa linea di ricerca, numerosi laboratori si sono interessati alla cura di
determinate patologie attraverso lo studio e la progettazione di molecole capaci di
modulare l’espressione dei geni responsabili dell’insorgenza della malattia.
La modulazione dell’espressione genica con molecole biologicamente attive
potrebbe trovare applicazioni nella riattivazione dei geni per le γ-globine, nello sviluppo
di potenziali agenti terapeutici per la cura di patologie del sistema ematopoietico, come
la β-talassemia. Trattamenti con composti in grado di riattivare l’espressione dei geni γglobinici endogeni assumono notevole interesse dal momento che è stato riscontrato un
notevole miglioramento del quadro clinico in pazienti affetti da patologie emopoietiche
e presentanti un fenotipo HPFH, nei quali è stato osservato che un aumento di
emoglobina fetale anche inferiore al 30% era sufficiente per apportare un beneficio
clinico (3).
Tra i composti in grado di riattivare l’espressione dei geni γ-globinici endogeni un
discreto interesse ha suscitato l’acido butirrico: una piccola molecola, composta da
quattro atomi di carbonio lineari, che è stata impiegata in trials clinici su pazienti affetti
da β-talassemia (10, 11, 12). Una volta confermate le potenzialità dell’acido butirrico si
sono cercati suoi analoghi in grado di aumentarne l’efficacia e limitarne gli effetti
tossici dovuti alle alte dosi di somministrazione (13, 14, 15, 16).
Con queste finalita’ è stata indagata l’attività delle molecole 5049, 5047, 4174,
5043, 5048. In questo studio si è cercato di quantificare l’incremento nell’accumulo di
mRNA per le γ-globine in precursori eritroidi umani, per i quali è stato utilizzato un
sistema di coltura liquida divisa in due fasi. Dopo il trattamento con questi composti è
stato estratto l’mRNA totale e retro-trascritto in cDNA. Per la quantificazione
dell’mRNA dei geni γ-globinici è stata utilizzata la tecnica dell’RT-PCR quantitativa,
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essendo la tecnologia maggiormente all’avanguardia per effettuare questo tipo di
analisi.
La prima parte del progetto ha previsto l’impiego dell’acido butirrico in queste
colture cellulari primarie, che ha confermato la sua attività di induttore di globine
embrio-fetali e ha prodotto un incremento di trascritto per le γ-globine di 4,23 volte
superiore rispetto al controllo non trattato.
Dopo aver verificato le proprietà di questa molecola, si è cercato di capire se
piccole modificazioni strutturali originassero molecole caratterizzate da una attività
biologica uguale od eventualmente più elevata dell’acido butirrico. La prima molecola
presa in considerazione è stata il composto 4174 (ciclopropancarbossilato). In questo
caso, le variazioni apportate alla struttura dell’acido butirrico hanno generato un
composto che produceva analoghi effetti, presentando un accumulo di mRNA per le γglobine pari a 5,45±2,69 volte rispetto al controllo. Questo risultato è stato riprodotto
con una percentuale dell’88,9% dei casi. Inoltre, questa molecola si è dimostrata
efficace in un caso in cui il controllo positivo, l’idrossiurea, non ha indotto accumulo di
mRNA per le γ-globine: questo dato lascia presupporre che la molecola in questione
potrebbe essere efficace anche laddove la somministrazione di idrossiurea risultasse
inefficace.
Sulla base di questi risultati è stato ampliato lo studio sulle altre small molecules in
analisi, molecole che differiscono dall’acido butirrico per piccole variazioni strutturali:
5049, 5047, 5043, 5048. Per prima cosa si è verificata la loro citotossicità, effettuando
studi di proliferazione cellulare che hanno dato dei buoni risultati: la concentrazione alla
quale questi composti producono effetti eritro-differenzianti è inferiore alla loro IC50.
Successivamente sono stati allestiti esperimenti utilizzando le molecole alle
concentrazioni individuate come ottimali sullo stesso donatore. Tutte le molecole
considerate hanno prodotto un accumulo di RNA per le γ-globine, ma il derivato 5047
(2-butenoato) è risultato il meno attivo. Il 5048 (ciclopropandicarbossilato) potrebbe
essere un buon induttore, anche se i risultati non sono stati riproducibili, a differenza del
5043 (ciclopropilacetato), i cui effetti si sono dimostrati invece costanti, eventi questi
che potrebbero forse essere correlati anche alla stabilità delle molecole. Il composto
5049 (4,4,4-trifluoro-butirrato) è risultato il migliore e sul donatore 10 ha dato risultati
addirittura superiori alla mitramicina.
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Un esperimento conclusivo ha avuto l’obiettivo di testare la riproducibilità dei
risultati ottenuti: è stato ripetuto un esperimento sui precursori eritroidi derivati dal
medesimo donatore, ma prelevati a distanza di sei mesi. Anche in questo caso il 5047 è
risultato la molecola meno efficace, mentre gli analoghi 5049 e 5043 si sono dimostrati
nuovamente i più interessanti come potenziali induttori del differenziamento eritroide.
Sulla base dei dati ottenuti si può considerare che le cellule ottenute da donatori
diversi non rispondono allo stesso modo al trattamento con una determinata molecola.
Pertanto, nel futuro potrebbe essere ipotizzabile la realizzazione di terapie individuali,
dove l’efficacia di induttori del differenziamento eritroide potrebbe essere pre-testata
sulle cellule derivate del soggetto affetto da una determinata emoglobinopatia.
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