LA VERGINITÁ PER IL REGNO
MADRE PIERINA SCARMIGNAN
“Per loro io consacro me stesso”
“Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità… per loro io
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consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità”.
Gesù prega per i suoi, chiede al Padre di consacrarli, di santificarli nella verità, di “metterli da parte” perché appartengano
a Lui.
Gesù non solo prega, ma “consacra se stesso” per i suoi. Si dà in dono, totalmente.
La sua oblazione (“consacrazione”) implica la sua morte per noi, quale consegna totale di sé per amore.
Il sacrificio sulla Croce è compimento di sé nel dono, muore perché altri abbiano la vita.
La religiosa, attraverso il voto di castità, consegna se stessa a Cristo, che per lei è morto e risorto, per appartenergli
totalmente.
Vive quindi la sua consacrazione nell’offerta totale di se stessa a Dio, quale partecipazione all’offerta che Cristo fa al
Padre per i suoi.
L’accento sulla totalità ci aiuta ad intuire come nel dono di sé, nel mettersi da parte per qualcuno, nell’appartenergli
siano coinvolte tutte le dimensioni della persona: corpo, cuore, mente, volontà, intelligenza, sentimenti…
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Nulla può rimanere escluso, proprio perché “quell’amore di Dio versato dallo Spirito nei nostri cuori” si esprime e si
estende, raggiungendo il mondo, attraverso quello che noi siamo.
I nostri pensieri, progetti, intuizioni devono avere Cristo stesso come riferimento costante ed ultimo; i nostri affetti illuminati
e purificati, orientati e custoditi nell’amore per Lui; il nostro corpo (sensi, sessualità, salute, malattia…) spazio che rivela la
bellezza della persona inabitata dallo Spirito e donata per amore.
Inoltre la sottolineatura dell’offerta “nel sacrificio” ci ricorda che la nostra consacrazione è nel Cristo pasquale, che la
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pienezza del dono di sé passa attraverso la morte per amore: il chicco di grano vive perché dà la vita morendo.
La verginità come pienezza di amore
“Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che
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erano nel mondo, li amò sino alla fine”.
Tutto è sotto il segno dell’amore.
Quello di Gesù è un amore che abbraccia tutti e per sempre, i suoi di ieri e di oggi, il passato e il futuro.
Amò fino all’estremo dell’amore, per cui ciascuna di noi può dire: “il mio Signore ha dato la vita per me”.
Compiendo il gesto della lavanda dei piedi, espressione suprema dell’amore che salva, Gesù ha voluto rivelarci il suo
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volto di Salvatore: pur essendo Dio, si fa servo affinché il servo diventi partecipe della vita divina.
È un gesto che inserisce il discepolo nella comunione con Cristo, che lo rende partecipe della sua Pasqua, lo fa vivere
accolto definitivamente nell’Amore e lo rende capace di amore per Dio e i fratelli.
Nella partecipazione alla Pasqua di Cristo noi viviamo la “pienezza dell’amore”. In comunione con Lui “poter fare come
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Lui ha fatto: lavarsi i piedi gli uni gli altri”.
Dall’esperienza dell’amore nasce la possibilità di una carità che, partecipe di quella di Cristo, diventa fraternità e
maternità nello Spirito. Diventa amore adulto che si esprime nel servizio ecclesiale.
La verginità: “icona” dell’apertura al dono di Dio
“Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita che vivo nella
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carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me”.
La "verginità per il Regno" è Dono dall’Alto.
“La santità della Chiesa è favorita in modo speciale dai molteplici consigli che il Signore nel Vangelo propone
all’osservanza dei suoi discepoli. Tra essi eccelle il prezioso dono della grazia divina, dato dal Padre ad alcuni, di
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consacrarsi più facilmente e senza divisione del cuore a Dio solo nella verginità”.
È Dio che ci fa comprendere, apprezzare e scegliere la castità per il Regno dei cieli.
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“È suo il primato dell’amore. (…) Se ‘noi amiamo’ è ‘perché Egli ci ha amato per primo’.
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Allora possiamo dire con Paolo: “Cristo mi ha amato e ha dato la sua vita per me” .
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Gv 17, 16-19
Cfr Rom 5, 5
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Cfr Gv 12, 24
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Gv 13, 1
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Cfr Fil 2, 6 ss; Ef. 2, 4 ss
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Cfr Gv 13, 14-15
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Gal 2, 20
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LG 42
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Ripartire da Cristo, 22
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Gal 2, 20
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Guardare alla verginità come dono di grazia che viene a noi gratuitamente, ci spinge ad aderire al Signore crescendo
nella contemplazione di Lui e nell’apprezzamento del suo dono.
Nel cammino di sequela, custodire un cuore che contempla e che apprezza ci rende donne capaci di scoprire, nella
trama delle relazioni e delle vicende quotidiane, il rivelarsi dell’amore del Signore, il suo chinarsi su di noi.
Ci rende donne capaci di lasciarsi affascinare dal suo modo di fare storia con noi (la sua Provvidenza) e di conservare
un cuore grato perché la gratitudine sia la molla del nostro desiderio di "preoccuparsi delle cose del Signore e cercare
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di piacergli".
Donne capaci di intuire la grandezza e bellezza del dono della verginità consacrata, di celebrarlo nella riconoscenza al
Signore; di vivere “nella pratica gioiosa della castità perfetta, quale testimonianza della potenza dell’amore di Dio nella
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fragilità della condizione umana” .
Una contemplazione:
Intesa come il tenere lo sguardo fisso su di Lui, creduto ed amato quale fonte e fine dell’esistenza. A Lui far
convergere tutta la nostra vita nelle sue multiformi manifestazioni. A Lui riferire scelte e decisioni, progetti e azioni.
Che si traduce in tempi ed occasioni privilegiati di preghiera: siamo donne e sappiamo che l'amore per crescere ha
bisogno di tempo, di precedenza, di manifestazione, di gratuità.
È la fedeltà dell'incontro nella Parola, nella Liturgia, nel silenzio orante, nei Sacramenti, che ci custodisce nel Signore.
Un apprezzamento che:
• Nasce dalla consapevolezza di essere oggetto di un dono di grazia che trasfigura la nostra vita e ci fa capaci di amore
per Dio e per i fratelli.
• Si esprime nella comunione di vita con Cristo. Comunione vissuta nella condivisione di pensieri e sentimenti, nella
condivisione della sua stessa vita e missione.
• Rende possibile il distacco dalle cose, dalle soddisfazioni e compensazioni immediate, dalla fruizione egoistica delle
relazioni, dalla realizzazione di sé secondo criteri soggettivi, da ciò che è "altro" rispetto al Signore e quindi
incompatibili con il dono della verginità consacrata.
E’ l’apprezzamento del cuore per il dono ricevuto che favorisce la libertà interiore che ci fa dire con S. Paolo: "Tutto
ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù... per il quale ho lasciato perdere
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tutte queste cose... al fine di guadagnare Cristo..." .
La femminilità “realizzata” nel conformarsi a Cristo
“… hi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; (…) la donna non
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sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito…”.
Nel dinamismo “dal dono ricevuto al dono di sé a Dio” ogni donna consacrata realizza la sua femminilità: ama gli altri
con l’amore e in forza dell’amore che ha ricevuto.
Nell’accoglienza della vita che le è versata nel cuore, si realizza in lei, giorno dopo giorno, una reale appartenenza
reciproca con il Signore: dai gesti, dalle parole, dallo sguardo…traspare che lei è tutta intenta ad occuparsi delle cose
del Signore…e non di se stessa.
“La donna, chiamata fin dal ‘principio’, ad essere amata e ad amare, trova nella vocazione alla verginità, anzitutto, il
Cristo come Redentore che ‘amò sino alla fine’ per mezzo del dono totale di sé, ed essa risponde a questo dono con
un dono sincero di tutta la sua vita. Ella si dona, dunque, allo Sposo divino, e questa sua donazione personale tende
all’unione, che ha un carattere propriamente spirituale: meditante l’azione dello Spirito Santo diventa un solo spirito
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con Cristo-Sposo”.
La verginità consacrata è infatti la nostra modalità di appartenere a Dio in Cristo. È proprio perché apparteniamo a Colui
che amiamo che possiamo donarci ai fratelli.
Non scegliamo primariamente una vita di verginità consacrata per fare qualcosa, ma per appartenere al Signore e da
questo rapporto far scaturire la missione.
Questa appartenenza al Signore diventa segno sacramentale nel modo di vivere e gestire la nostra persona. Il nostro
corpo, la nostra mente, i nostri atteggiamenti devono diventare trasparenza di Colui che ci abita.
Sappiamo che in questo percorso lo Spirito Santo opera in noi il ricostruirsi della donna nuova che, uscita dalle acque
del Battesimo, è partecipe della Pasqua di Cristo.
Lo Spirito, che è la reciprocità di amore del Padre e del Figlio, che è lo "Spirito dello Sposo", opera continuamente in
noi la configurazione a Cristo Gesù, riversando in noi la stessa vita di Cristo.
È per lo Spirito, che noi possiamo amare: assumere in noi gli stessi sentimenti di Cristo, partecipare alla sua missione
e avere in noi quella "sete" di salvezza per l’umanità che Lo “divorava” sulla croce.
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1Cor 7, 32
VC 88
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Fil 3, 8…
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1Cor 7, 32.34
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Cfr 1Cor. 6, 17; M D 20
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Amate da sempre e rese capaci di amare: questa è la realtà che dà pienezza alla nostra femminilità. “L’amore sponsale
comporta sempre una singolare disponibilità ad essere riversato su quanti si trovano nel raggio della sua azione. (…)
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Nella verginità questa disponibilità è aperta a tutti gli uomini, abbracciati dall’amore di Cristo-Sposo”.
La nostra femminilità raggiunge così la sua pienezza di espressione "nel dono totale di sé a Dio e ai fratelli, a imitazione
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del Salvatore che, per amore dell'uomo, si è fatto servo".
La fraternità - maternità come “cura dell’altro”
“La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno,
gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore. Siate
lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi
nell’ospitalità. Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella
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gioia, piangete con quelli che sono nel pianto”.
Quando per la potenza dello Spirito, la vita divina è riversata in noi, l’appartenenza a Cristo si fa contemporaneamente
appartenenza fraterna alle sorelle e ai fratelli.
Dall’essere in Cristo nasce la vera maternità e fraternità.
L’amore che ci lega a Cristo ci fa madri e sorelle. E' in Cristo che noi troviamo non solo il Bene che non ci sarà tolto in
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eterno , ma il fondamento e la modalità della maternità spirituale.
Madri di una fecondità misteriosa, non sempre visibile, ma reale, frutto dell'azione dello Spirito e, nello stesso tempo,
proporzionata alla nostra disponibilità e alla nostra apertura alla grazia.
E poiché è nella natura dell'amore l'espandersi e il diffondersi, gli ambiti quotidiani del suo dilatarsi sono la comunità e
la missione.
Amare le nostre sorelle con cuore di sorella e di madre è fare spazio dentro di noi a tutte e a ciascuna “fino ad
assumersi le loro debolezze, i loro problemi, le loro difficoltà.
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In una parola: fino a donare noi stesse” ; è costruire relazioni fraterne il più possibile libere e gratuite; è fare “insieme”
la volontà del Padre. Proprio questo “insieme” vissuto nell’obbedienza possiede una forza di testimonianza profetica.
Amare gli uomini e le donne con cuore di madre, perché Cristo li ha generati alla vita della grazia col sacrificio sulla
Croce, è rivelare, attraverso gesti e parole d’amore, il volto del Padre.
Gesti e parole di amore, di tenerezza e di accoglienza che si traducono nel prendersi cura dell'altro, nel vivere in
comunione con gli altri, nel promuovere la libertà e la responsabilità di tanti giovani che si aprono alla vita.
“A me piace pensare che Dio ha creato la donna perché tutti noi avessimo una madre…che ci insegna ad accarezzare,
ad amare con tenerezza e che fa del mondo una cosa bella…” (Papa Francesco, omelia in Santa Marta, 9 febbraio
2017).
Gesti e parole di amore che, nell’attuale cultura, dove le relazioni sono spesso ridotte a gioco e consumo, possono
testimoniare la potenza dell’amore capace di liberare le relazioni rendendole profonde e universali, fedeli e
disinteressate. “Sì, in Cristo è possibile amare Dio con tutto il cuore, ponendolo al di sopra di ogni altro amore, e amare
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così, con la libertà di Dio, ogni creatura!”.
Prendersi cura dell'altro è quindi, anche oggi, avere l'attenzione educativa ed amorevole alla persona; un'attenzione
vigile, tenace, sapiente; un'attenzione fatta di rispetto e di senso della misura, ma anche schietta ed esigente nella
concretezza delle proposte, colma di piacevolezza e di ottimismo, ma anche realista e forte.
Fare tutto questo da sorella e da madre, è vivere la “verginità per il Regno”, lasciando che essa definisca la nostra
persona nel dono di sé al servizio della vita dei fratelli e sorelle.
“La donna, infatti, non può ritrovare se stessa se non donando l’amore agli altri”. La sua forza morale e spirituale è
legata alla consapevolezza che “Dio le affida in modo speciale l’uomo, l’essere umano” (…) proprio a motivo della sua
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femminilità”.
Il rapporto uomo-donna…nell’umanità redenta
La fraternità, la maternità, la comunione di cui parliamo sono possibili solo perché la nostra umanità è umanità redenta
da Cristo.
Nella nostra umanità redenta trova il suo posto anche il rapporto uomo-donna.
Il punto di partenza, allora, è Cristo.
Guardiamo a Cristo e alla nostra esperienza di peccatrici-salvate, di essere donne e uomini frantumati, ma toccati dal
suo amore, trasfigurati da questo amore e resi così luoghi e strumenti di comunione.
Toccati da Cristo, come abbiamo già detto, si impara a toccare gli altri, i fratelli e le sorelle, con amore…a toccare la
materia con amore…senza sedurre e senza distruggere, senza dominare e senza manipolare…ma lasciando che ogni
relazione sia nello Spirito Santo, lasciando che lui sia sempre il “terzo” nei nostri rapporti di fraternità, di amicizia, di
amore.
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MD 21
VC 26
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Rom 12, 9-15
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Cfr Lc 10, 42
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VFC 21
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VC 88
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MD 30
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L’uomo e la donna, dice Papa Francesco, non sono uguali, non sono uno superiore all’altro, no. Soltanto che l’uomo non
porta armonia: è lei che porta quella armonia che ci insegna ad accarezzare, ad amare con tenerezza e che fa del
mondo una cosa bella”.
Il rapporto uomo-donna nella Chiesa è rapporto di vita, è incontrarsi nello Spirito Santo.
Questo è possibile perché Cristo ci ha salvati, ci ha assunti tutti e ha assunto tutto di noi nel suo corpo. Allora se io sono
nel corpo di Cristo e anche tu sei nel corpo di Cristo, quando vedo te tu mi ricordi Cristo. E il nostro stare in relazione non
si fonda né su me né su te, ma su Cristo.
Nel cammino di dialogo, di integrazione, di reciprocità, di amicizia, di comunione, di fraternità lo Spirito ci rende possibile
un modo di pensare simbolico: dentro un volto ne vediamo un altro, nel volto di un uomo e di una donna vediamo il volto
del Figlio, vediamo il fratello, vediamo la sorella, vediamo quello che vede Dio quando ci guarda: un figlio amato, redento,
perdonato, salvato…
Da una mentalità simbolica scaturisce anche uno sguardo simbolico che ci fa vedere la Presenza di Cristo ovunque. E
scaturisce anche una sensibilità simbolica: un suono, una voce, un grido…un sapore, una stretta di mano, un bacio, un
abbraccio…diventano una finestra che si apre su una Presenza.
Allora i nostri volti sono un simbolo e le nostre relazioni nella Chiesa possono essere un pezzetto di cielo che si apre
sulla terra per mostrarci la luce dell’oro della vita compiuta.
(Ad esempio: Pietro in Gesù di Nazareth vede il Figlio del Dio Vivente (Mt 16,13 e Mc 8,27-28).
Nel pane e nel vino eucaristico il credente vede il Corpo e il Sangue di Cristo. Mentre “i discepoli non si erano accorti che
era Gesù...Giovanni dice: è il Signore! Nell’immagine del pesce i primi cristiani vedevano la presenza di Gesù. Nella
pecora perduta e che Cristo porta sulle spalle vedo l’umanità perduta, cercata e redenta da Cristo. In una chiesa di
mattoni si vede la Chiesa corpo di Cristo. In una tavola ben preparata vedo la bellezza e l’amore e la cura di una
sorella…In uno sguardo luminoso una carezza di Dio per me…).
Allora i gesti, i modi di fare, di parlare, di camminare, di gesticolare…di un uomo o di una donna possono essere una
vera memoria di Dio.
Quando sperimentiamo tutto questo come bellezza, sperimentiamo sintonia, sperimentiamo di essere uniti all’altro, di
essere inclusi nella sua esistenza, partecipi del suo modo di essere e di fare.
Sperimentiamo una comunione che va ben oltre il sesso e il sesso non caratterizzerà questa relazione.
Nella nostra vita ci possono essere anche relazioni di grande amore, di profonda amicizia nelle quali la componente
affettiva è forte, ma queste relazioni, vissute in Cristo, non ci distoglieranno da Lui, anzi ci faranno sentire maggiormente
uniti a Lui proprio perché se vedo l’altro bello è perché la vera Luce lo ha penetrato e lo rivela a me.
Tuttavia ben sappiamo che l’unità tra le persone si realizza sempre al modo pasquale e con l’esercizio della rinuncia e
del congedo: rifiutando l’uso dell’altro per me, imparando ad offrire; ad offrire la persona concreta, la persona con la
quale sento una relazione che sta coinvolgendo troppo, offrendo la relazione nell’Eucarestia perché offrendo si da’, ci si
libera e si è così liberi.
Quindi, ogni qualvolta si vuole trattenere per sé, si vuole possedere per sé, si offre perché l’unità tra le persone si
realizza come sacrificio.
La logica non è: “Io ti amo, ossia ho bisogno di te”, ma “ti amo e quindi ti offro sull’altare del sacrificio Eucaristico”.
E anche quando le persone sono spiacevoli, troppo moleste, scomode…l’uomo e la donna maturi sanno che la vita in
Cristo è così: pasquale.
Sanno che l’unione in Cristo avviene sempre in modo pasquale, al modo del sacrificio.
Allora si gareggia nel servizio l’uno verso l’altro, liberi da pensieri passionali gli uni verso gli altri…perché questo è il
modo per dirsi e donarsi amore, da adulti (a volte...le nostre relazioni sono, invece, da adolescenti o da signorine o da
suocere…).
La vita che è venuta dentro di noi, va vissuta nel dono di sé, nell’offerta di sé, al modo di Cristo, ed esce all’esterno in
gesti di carità.
Se così, nella Chiesa ci sarà un continuo “travaso”, uno nell’altro, di servizio, di cura reciproca con le sfumature tipiche
del femminile e del maschile.
Concludendo…
Allora quando il voto di castità è fecondo?
Quando testimonia che l’uomo trova il suo compimento nell’incontro con il volto di Dio; quando testimonia che l’uomo non
trova il suo compimento se non in Dio.
Quando testimonia che la fecondità della vita non è solo carnale, ma è essenzialmente nello Spirito; che l’incontro tra
uomo e donna va ben oltre l’aspetto carnale e si realizza in Cristo; che è possibile vivere da fratelli e sorelle nell’amore
reciproco e nell’amicizia...perchè è il “Terzo” che crea la comunione.
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