Marco Barlotti Appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE per il Corso di Laurea quadriennale in Scienze Naturali Vers. 7.1 Anno Accademico 2000-2001 AVVERTENZA Tutti i diritti di questa pubblicazione sono dell’autore. È consentita la riproduzione integrale di questa pubblicazione a titolo gratuito. È altresì consentita a titolo gratuito l’utilizzazione di parti di questa pubblicazione in altra opera all’inderogabile condizione che ne venga citata la provenienza e che della nuova opera nella sua interezza vengano consentite la riproduzione integrale a titolo gratuito e l’utilizzazione di parti a queste stesse condizioni. L’uso di questa pubblicazione in quasiasi forma comporta l’accettazione integrale e senza riserve di quanto sopra. In copertina un disegno originale (© Disney) di Keno Don Rosa. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - Prefazione alla vers. 7.1 - Pag. I PERCHÉ QUESTI APPUNTI, E COME USARLI (Prefazione alla vers. 7.1) Questi appunti nascono come supporto alle lezioni che ho tenuto per l’insegnamento di “Istituzioni di Matematiche” per il Corso di Laurea quadriennale in Scienze Naturali presso la Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali all’Università di Firenze. Penso che tale insegnamento debba proporsi essenzialmente tre scopi: fornire una preparazione di base nella materia a livello universitario; presentare i concetti matematici fondamentali mantenendo un “punto di vista superiore” rispetto alla Scuola Secondaria; mettere i futuri laureati nelle condizioni di usare alcuni specifici strumenti di calcolo. Questa impostazione comporta una certa ampiezza nell’arco degli argomenti trattati e, di conseguenza, la rinuncia allo sviluppo di procedimenti avanzati di calcolo. Sono però convinto che una buona preparazione di base metta in condizione di apprendere, se necessario, tecniche specialistiche; mentre, d’altro lato, la padronanza di molti strumenti di calcolo non garantisce di per sé una corretta visione della materia. Nell’usare questi appunti, lo studente deve tenere presente che, per la loro stessa natura di testo scritto, essi non sono la stessa cosa delle lezioni tenute in aula. Ad esempio, la trattazione è talvolta più formale (e quindi più “pesante”) rispetto a quanto consente l’immediatezza dell’esposizione orale, dove ci si può “lasciare andare” all’uso di qualche notazione non del tutto ortodossa. Inoltre, rispetto al programma effettivamente svolto a lezione, questi appunti comprendono alcuni argomenti e varie dimostrazioni in più (1) ma molti esercizi in meno (e quelli riportati non sono, in generale, svolti). Le parti in più vogliono consentire allo studente interessato qualche approfondimento e servire comunque come riferimento per eventuali consultazioni future. Alla carenza di esercizi dedicati alla Geometria e all’Analisi Matematica il lettore può ovviare utilizzando qualcuno degli appositi testi reperibili in commercio (si veda anche, al termine della bibliografia posta dopo questa introduzione, l’elenco dei libri consigliati). Dovrebbero invece essere sufficienti per un’adeguata preparazione sull’argomento gli esercizi sui sistemi lineari riportati nel capitolo 20, fra l’altro in buona parte svolti nei dettagli. Si noti che alcuni degli esercizi proposti sono contrassegnati con un asterisco fra parentesi quadre ([*]): si tratta di esercizi “di approfondimento", generalmente più difficili degli altri, che non è necessario saper risolvere per superare l’esame, anche con un buon voto. Molti studenti affrontano questo corso di lezioni col timore di possedere una preparazione insufficiente a causa del tipo di Scuola Secondaria frequentato o per altri motivi. Raramente tale timore è giustificato: infatti, sia a causa del carattere “istituzionale" di questo corso sia per i criteri con cui esso viene impostato, i prerequisiti richiesti sono minimi; per tranquillizzare il lettore è comunque opportuno precisarli. 1Per la preparazione all’esame lo studente è invitato a fare riferimento al programmma consuntivo del corso, depositato presso la segreteria del Dipartimento di Matematica per le Decisioni e disponibile su Internet all’URL http://www.dmd.unifi.it/marcobar/Istituzioni/ProgrammaVecchio.html oppure http://marcobar.outducks.org/Istituzioni/ProgrammaVecchio.html Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - Prefazione alla vers. 7.1 - Pag. II NOZIONI SUPPOSTE NOTE DAGLI STUDI PRECEDENTI L’insieme dei numeri naturali, l’insieme ™ dei numeri interi relativi, l’insieme dei numeri razionali; le operazioni di “somma" e “prodotto", la relazione di “minore o uguale", sottrazione, divisione, divisione euclidea, elevamento a potenza in , in ™ e in ; principali proprietà di tali operazioni e relazioni. La scomposizione in fattori primi dei numeri naturali; massimo comun divisore e minimo comune multiplo. L’insieme ‘ dei numeri reali verrà introdotto durante il corso; tuttavia, a quel punto sarà data per acquisita una certa capacità di calcolo con i numeri reali, e in particolare con i radicali. Polinomi, prodotti notevoli di polinomi e alcuni casi di scomposizione di polinomi; teorema di Ruffini. Equazioni algebriche; risoluzione delle equazioni algebriche di 1! e 2! grado; risoluzione di quelle equazioni algebriche di grado superiore al 2! che possono essere affrontate mediante la scomposizione dei polinomi e il teorema di Ruffini. Disequazioni intere e fratte di 1! e 2! grado. Disequazioni di grado superiore al 2! che possono essere affrontate mediante la scomposizione dei polinomi e il teorema di Ruffini. Nozioni essenziali di geometria piana (possibilmente con riferimento, direttamente o indirettamente, ai classici assiomi di Hilbert): rette, angoli, triangoli, poligoni regolari, circonferenze e cerchi. Segmenti commensurabili; misura dei segmenti commensurabili con l’unità di misura fissata. Le isometrie del piano. Trigonometria piana: definizione delle funzioni sin, cos, tg, cotg; le due relazioni fondamentali: sin(!Ñ sin# Ð!Ñ cos# Ð!Ñ œ 1, tgÐ!Ñ œ cos (!Ñ ; le “formule di addizione" per sin e cos; il “teorema dei seni" e il “teorema del coseno". I fatti essenziali sulle isometrie del piano e le nozioni utili di trigonometria piana sono comunque riportati in appendice a questi appunti. È inevitabile la presenza in questi appunti di errori materiali; inoltre, per quanto mi sia sforzato di conciliare il rigore con la chiarezza, alcuni brani del testo possono risultare poco comprensibili. Sarò grato a tutti coloro, e specialmente agli studenti, che vorranno segnalarmi qualunque problema, dai più banali errori di stompa alle oscurità nell’esposizione. Firenze, 7.7.2007 Marco Barlotti BIBLIOGRAFIA [1] G. C. Barozzi, C. Corradi Matematica Generale per le scienze economiche il Mulino, Milano (1997). [2] G. C. Barozzi, C. Corradi Matematica Generale per le scienze economiche: Esercizi il Mulino, MI (1998). [3] G. Choquet L’enseignement de la Géométrie Hermann, Paris (1964). [4] G. Devoto, G. C. Oli Il dizionario della lingua italiana Le Monnier, Firenze (1990). [5] E. Giusti Esercizi e complementi di analisi matematica Bollati Boringhieri, Torino (1991). [6] P. R. Halmos Naive set theory Van Nostrand, Princeton NJ (1966). [7] P. R. Halmos Teoria elementare degli insiemi Feltrinelli, Milano (1970). [8] D. Hilbert Fondamenti della Geometria Feltrinelli, Milano (1970). [9] P. Marcellini, C. Sbordone Esercitazioni di Matematica Liguori, Napoli (1988). [10] G. Peano Aritmetica generale e algebra elementare Paravia, Torino (1902). [11] G. Prodi Istituzioni di Matematica McGraw Hill, Milano (1994). [12] R. Scozzafava Matematica di base Masson, Milano (1992). [13] R. Scozzafava La probabilità soggettiva e le sue applicazioni Masson, Milano (1993). [14] A. Spinelli, L. Scaglianti Guida all’esame di Matematica generale CEDAM, Padova (1984). A chi preferisca studiare su altri libri, segnalo come abbastanza omogenei al programma che svolgo (in ordine decrescente di omogeneità) [11], [12] e [1]. Fra i libri di esercizi che conosco, credo di poter consigliare (in ordine crescente di difficoltà) [14], [2], [9] e [5]. Per approfondimenti, sono ottimi testi [7], [8] e [13]. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 1 1.- INTRODUZIONE 1.1 - L’impostazione assiomatica. Ogni teoria matematica si sviluppa mediante definizioni e teoremi su cui poggiano a cascata altre definizioni e altri teoremi. Ogni definizione spiega il significato di una parola, o di un gruppo di parole, mediante altre parole. Ma è possibile definire tutte le parole? O, forse, alcuni termini matematici possono essere definiti con vocaboli “non tecnici”, cioè del tutto estranei alla teoria in esposizione, che quindi non hanno bisogno di spiegazione? La risposta è negativa per entrambe le domande. Esempio 1.1.1 Si chiama dizionario della lingua italiana una raccolta di parole e locuzioni della lingua italiana (generalmente disposte in ordine alfabetico) per ciascuna delle quali è fornita una spiegazione del significato. Tale spiegazione è data usando soltanto parole della lingua italiana. Nella edizione 1990 de “Il dizionario della lingua italiana” di Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli ([4]) leggiamo: UOMO ³ L’individuo di sesso maschile della specie umana. UMANO ³ Proprio dell’ uomo, in quanto rappresentante della specie. Questo non è soddisfacente: infatti il lettore non può comprendere la spiegazione del sostantivo “UOMO” se non conosce il significato dell’aggettivo “UMANO”; e non può comprendere la spiegazione dell’aggettivo “UMANO” se non conosce il significato del sostantivo “UOMO”. Esempio 1.1.2 La più antica opera oggi conosciuta in cui la geometria viene trattata non come un sistema di regole pratiche e nozioni empiriche ma come una “scienza razionale” è costituita dagli “Elementi” di Euclide (matematico vissuto in Grecia nel III secolo a. C.). La teoria sviluppata da Euclide costituisce ancor oggi uno strumento semplice e efficace per descrivere la realtà fisica Ð1Ñ attorno a noi e per studiare fenomeni di varia natura. Dovendo riferirsi a certi enti su cui costruire la geometria, Euclide ritenne necessario aprire la sua opera con una serie di “definizioni”, ad esempio: - Un punto è ciò che non ha parti. - Una linea è una lunghezza senza larghezza. - Una superficie è ciò che ha solo lunghezza e larghezza, ma non spessore. Oggi queste “definizioni” non ci sembrano utilizzabili per sopportare il peso di una teoria. Non si comprende infatti come si possa spiegare che cos’è un “punto” mediante la nozione di “parte” senza poi precisare che cosa significhi “parte”; né come si possano definire “linea” e “superficie” mediante le parole “lunghezza”, “larghezza” e “spessore” senza che queste vengano a loro volta definite. Lo sviluppo (nel diciannovesimo secolo) della critica ai fondamenti della matematica (e in particolare della geometria euclidea) ha condotto a stabilire che una trattazione razionale e rigorosa deve procedere assiomaticamente: ciò significa che alla base della teoria non si deve porre un sistema di definizioni; si assegnano invece certe parole (dette concetti primitivi) e le regole precise (dette assiomi, o postulati) con le quali tali parole verranno utilizzate. In tal modo anziché definire gli enti fondamentali ci si limita a descrivere le relazioni logiche che intercorrono fra essi. 1 almeno in prima approssimazione. Le descrizioni quantistico-relativistiche utilizzano una geometria “diversa”, detta appunto “non euclidea”. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 2 1.2 - La teoria degli insiemi. La teoria degli insiemi può essere utilizzata per una costruzione organica e coerente di tutta la Matematica. Essa si è venuta sviluppando a partire dalla seconda metà del diciannovesimo secolo grazie ai lavori di (fra gli altri) Georg Cantor (1845 1918), Friedrich Ludwig Gotilds Frige (1848 1925) e Bertrand Russel (1872 1970), ed ha trovato una sistemazione ormai classica ad opera di Ernst Friedrich Ferdinand Zermelo (1871 1953) e Adolf Abraham Fraenkel (1891 1965). Una rigorosa impostazione assiomatica (cfr. 1.1) esula certamente dalle nostre possibilità Ð2Ñ. Noi utilizzeremo tuttavia il linguaggio degli insiemi; pur non formalizzandole esplicitamente, cercheremo di stabilire “regole del gioco” chiare e precise che ci consentano di utilizzare le parole “primitive” (insieme, elemento, appartiene, ...) senza cadere in formalismi esasperati ma evitando imprecisioni che possano poi dar luogo a contraddizioni logiche. Useremo dunque la parola “insieme” per indicare un ente completamente caratterizzato dagli elementi che ad esso appartengono. Per sgombrare il campo da possibili fraintendimenti, chiariamo subito che - si usa il termine “elemento” per indicare ciò che “appartiene” ad un “insieme”, senza che ciò prefiguri due mondi distinti, quello degli “elementi” e quello degli “insiemi”: anzi, gli elementi di un insieme possono benissimo essere essi stessi insiemi; - poiché un insieme resta completamente caratterizzato dai propri elementi, si conviene in particolare che: due insiemi sono lo stesso insieme (si dice anche che coincidono) se e solo se hanno gli stessi elementi. 1.3 - Prime notazioni sugli insiemi. Siano A, B insiemi. Se a è un elemento di A (ciò si esprime anche dicendo che a appartiene ad A), scriveremo a − A. Se ogni elemento di A è anche elemento di B, diremo che A è un sottoinsieme di B (oppure che è incluso, o contenuto in B) e scriveremo A § B. Se A § B e B § A, cioè se A e B hanno gli stessi elementi, A e B sono lo stesso insieme e scriveremo AœB (osserviamo qui esplicitamente che intenderemo sempre l’uguaglianza nel senso “leibniziano” di identità). In generale, se si deve provare che A œ B, il procedimento migliore è appunto quello di mostrare che A § B e B § A. Le scritture y B, A Á B a  A, A § indicano la negazione rispettivamente di a − A, A § B e A œ B (cioè significano rispettivamente: a non è un elemento di A, A non è un sottoinsieme di B, A e B non sono lo stesso insieme; quest’ultimo fatto si esprime anche dicendo che A e B sono diversi o distinti). Se A § B e A Á B (ciò si esprime dicendo che A è incluso propriamente in B, oppure che A è un sottoinsieme proprio di B), scriveremo anche A§ Á B. 2 Il lettore interessato può consultare utilmente [6], se necessario nella traduzione italiana [7] . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 3 1.4 - Gli assiomi di Hilbert per la geometria piana. Abbiamo ricordato in 1.1 la particolare attenzione che fu rivolta nel diciannovesimo secolo ai fondamenti della geometria euclidea. In seguito a ciò sono state proposte varie costruzioni assiomatiche di tale geometria; noi faremo riferimento all’opera “Grundlagen der Geometrie” di David Hilbert (1862-1943). Esula naturalmente dalle nostre possibilità uno studio diretto dei concetti primitivi e degli assiomi fissati da Hilbert; ci riserviamo però di richiamarli in qualche occasione (si può consultare [8] ) . Ci farà comodo pensare al piano euclideo come a un insieme di punti nel quale vengono individuati particolari sottoinsiemi detti rette, segmenti, ecc. . In questo contesto, la nozione di incidenza fra il punto A e la retta r corrisponde all’appartenenza dell’elemento A al sottoinsieme r del piano (con la notazione introdotta in 1.3: A − r). Alla nozione di retta come particolare sottoinsieme del piano faremo riferimento in 1.6, 1.8 e 1.9 per “rappresentare” altri insiemi (il senso di questa espressione potrà essere precisato solo in 4.4.4). A tale scopo, supporremo fissati una retta r e due punti di essa: O (origine) e U (punto unità); il segmento OU sarà la nostra unità di misura . Supponiamo note dallo studio della geometria effettuato nella Scuola Secondaria Superiore le nozioni di commensurabilità e di misura rispetto a OU dei segmenti commensurabili con OU (tale misura è in generale un numero razionale, cfr. 1.9) . 1.5 - Gli assiomi di Peano per i numeri naturali. Vediamo un esempio particolarmente semplice e nello stesso tempo profondo: la costruzione assiomatica proposta dal matematico italiano Giuseppe Peano (1858 1932) per i numeri naturali. Riportiamo, con qualche irrilevante aggiornamento nei termini (3), la formulazione di [10] ; la prima esposizione del sistema di assiomi è in un lavoro scientifico pubblicato nel 1891 . I concetti primitivi sono indicati con la locuzione “numero naturale” e le parole “zero”, “successivo”, “insieme” e “appartiene”. Gli assiomi sono i seguenti: ÐP1Ñ Zero è un numero naturale. ÐP2Ñ Ogni numero naturale ha un successivo, che è anch’esso un numero naturale. ÐP3Ñ Sia A un insieme di numeri naturali. Supponiamo che zero appartenga ad A e che per ogni numero naturale che appartiene ad A anche il suo successivo appartenga ad A; allora ogni numero naturale appartiene ad A. ÐP4Ñ Se due numeri naturali hanno lo stesso successivo, essi sono lo stesso numero. ÐP5Ñ Zero non è il successivo di alcun numero naturale. Questi concetti primitivi e questi assiomi sono sufficienti per definire tutte le usuali nozioni relative ai numeri naturali e per dimostrarne le proprietà. Ad esempio, si definisce il numero “uno” come il successivo di zero; il numero “due” come il successivo di “uno”; il risultato della somma 7 8 come il successivo del successivo del successivo... (8 volte) di 7 ; il risultato del prodotto 7 † 8 come il risultato della somma di 8 numeri tutti uguali a 7 ; ecc. ecc.. L’assioma (P3) è detto anche principio di induzione. Esso fornisce il sostegno teorico a un’importante tecnica di dimostrazione, detta appunto dimostrazione per induzione, sulla quale torneremo in 2.5. 1.6 - Ancora sull’insieme dei numeri naturali. Abbiamo visto in 1.5 un sistema di assiomi per l’insieme dei numeri naturali, che indichiamo con . Supporremo note dagli studi precedenti le informazioni essenziali su tale insieme; non preciseremo qui dunque che cosa si intende con le parole “somma”, “prodotto”, “minore”, ecc. Ricordiamo però esplicitamente la seguente importante proprietà di : 3 Ad naturale”. esempio, Peano scrive “classe” anziché “insieme”, e scrive “numero” tout-court anziché “numero Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 4 Osservazione 1.6.6 Comunque presi due numeri naturali +, , con b Á 0, restano univocamente determinati due numeri naturali ; , < tali che + œ ,; < e <,. Essi si dicono rispettivamente quoziente e resto della divisione euclidea di + per , . Per rappresentare sulla retta (come accennato in 1.4) un numero naturale 8, si procede come segue. Si considera un segmento ON di misura 8 , avente il primo estremo nell’origine O e il secondo estremo nella semiretta individuata da O contenente U ; il secondo estremo del segmento ON è il punto della retta che “rappresenta” il numero 8. Siano fissati un insieme A di numeri e uno o più simboli (generalmente, lettere di qualche alfabeto: x, y, a, b, *, á ) . Ricordiamo che si dice equazione algebrica in A nell’incognita x un’uguaglianza fra due polinomi (a coefficienti in A , nella indeterminata x) della quale ci si chiede per quali valori di x scelti in A sia verificata; gli elementi di A che sostituiti a x verificano l’uguaglianza si dicono le soluzioni in A dell’equazione data. (Analogamente si definiscono le equazioni algebriche in più incognite x, y, a, b, *, á : si veda, ad es., 20.1 . Si estende anche la nozione di equazione considerando espressioni più complesse dei polinomi, eÎo insiemi A i cui elementi non sono numeri: in questo caso però non si parla di equazione “algebrica” ma si usa un altro opportuno aggettivo) . Risolvere un’equazione in A significa trovarne le soluzioni. Siano + , , − . In generale, l’equazione x + œ , nell’incognita x non ha soluzioni in . 1.7 - La notazione posizionale in base “dieci” e in altre basi. Come “si chiamano” i numeri naturali? Come si indicano, oltre che col loro nome? In base agli assiomi di Peano (sez. 1.5) , c’è un numero che si chiama “zero”; inoltre, ogni numero ha un successivo, e questo ci permette di assegnare nomi ad altri numeri: si decide così di chiamare “uno” il successivo di “zero”, “due” il successivo di “uno”, ecc. ecc. . Questi nomi dipendono dalla lingua che si usa: “zero”, “uno”, “due” sono nomi di numeri nella lingua italiana ma non nella lingua tedesca o in altre lingue. Per superare le barriere linguistiche, ma anche per poter utilizzare efficaci algoritmi di calcolo, è comodo indicare i numeri naturali con opportuni simboli grafici: è ad esempio pressoché universale l’uso dei simboli “0” e “1” per indicare rispettivamente i numeri “zero” e “uno” . In questa sezione descriviamo la cosiddetta notazione posizionale per i numeri naturali: si tratta di una convenzione (straordinariamente efficace per lo sviluppo di algoritmi di calcolo) che dipende da un numero naturale , fissato, detto base, e consente di esprimere qualsiasi numero naturale mediante l’uso (eventualmente ripetuto) di al più , simboli. La più diffusa, e comunque quella adottata ovunque in questi appunti, è la notazione posizionale in base “dieci”, chiamata anche notazione decimale ; ma nel mondo scientifico sono talvolta utilizzate altre notazioni posizionali: quella in base “due” (detta anche binaria), e quella in base “sedici” (detta anche esadecimale) . Teorema 1.7.1 Sia , un numero naturale maggiore di 1 . Ogni numero naturale diverso da 0 si scrive in uno e un solo modo nella forma -5 , 5 -5" , 5" á -" , -! dove 0 Ÿ -3 , e -5 Á 0 . Dimostrazione - Omettiamo la dimostrazione di questo teorema. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 5 Sia , un numero naturale maggiore di 1 . Sia 8 un numero naturale, e sia 8 œ ! -3 , 3 con 0 Ÿ -3 , 5 3œ! (cfr. teor. 1.7.1) . I numeri -! , -" , á , -5 si dicono le cifre della rappresentazione di 8 in base , . Per scrivere effettivamente i numeri naturali si scelgono innanzitutto dei simboli grafici per indicare quelli minori di , . è convenzione ormai diffusa utilizzare i simboli 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, A, B, C, D, E, F per indicare, nell’ordine, i numeri naturali da “zero” a “quindici” (di questi, come si è già detto, si usano solo i primi , ) . Se è 8 œ ! -3 , 3 con 0 Ÿ -3 , , la notazione posizionale in base , di 8 consiste nello scrivere in 5 3œ! sequenza i simboli che rappresentano (nell’ordine) le cifre -5 , -5" , á , -" , -! . Se 8 è diverso da “zero”, si scelgono inoltre -5 , á , -! in modo che sia -5 Á 0 ; mentre, come si è già detto, il numero “zero” si indica col simbolo 0. Nel seguito, salvo esplicito diverso avviso, faremo sempre riferimento alla notazione posizionale in base dieci. Esempio 1.7.2 Sia , ³ “dieci”. Si ha “quattromilacinquecentosei” œ “quattro” † , “></” “cinque” † , “.?/” “zero” † , “sei” ; pertanto “quattro”, “cinque”, “zero” e “sei” sono (nell’ordine) le cifre della rappresentazione in base “dieci” di “quattromilacinquecentosei”, che quindi in tale base si indica appunto con la scrittura “4506” . Sia , ³ “due”. Si ha “quattromilacinquecentosei” œ œ “uno” † , “.9.3-3” “zero” † , “?8.3-3” “zero” † , “.3/-3” “zero” † , “89@/” “uno” † , “9>>9” “uno” † , “=/>>/” “zero” † , “=/3” “zero” † , “-38;?/” “uno” † , “;?+>><9” “uno” † , “></” “zero” † , “.?/” “uno” † , “zero” ; pertanto “uno”, “zero”, “zero”, “zero”, “uno”, “uno”, “zero”, “zero”, “uno”, “uno”, “zero”, “uno” e “zero” sono (nell’ordine) le cifre della rappresentazione in base “due” di “quattromilacinquecentosei”, che quindi in tale base si indica appunto con la scrittura “1000110011010” . Sia , ³ “otto”. Si ha “quattromilacinquecentosei” œ “uno” † , “;?+>><9” “zero” † , “></” “sei” † , “.?/” “tre” † , “due” ; pertanto “uno”, “zero”, “sei”, “tre” e “due” sono (nell’ordine) le cifre della rappresentazione in base “otto” di “quattromilacinquecentosei”, che quindi in tale base si indica appunto con la scrittura “10632” . Sia , ³ “sedici”. Si ha “quattromilacinquecentosei” œ “uno” † , “></” “uno” † , “.?/” “nove” † , “dieci” ; pertanto “uno”, “uno”, “nove” e “dieci” sono (nell’ordine) le cifre della rappresentazione in base 16 di “quattromilacinquecentosei”, che quindi in tale base si indica appunto con la scrittura “119A” . Esempio 1.7.3 Sia , œ “dieci”. Allora: “nove” si scrive 9 ; “dieci” si scrive 10 ; “trentuno” si scrive 31 ; “trentasette” si scrive 37 . Sia , œ “due”. Allora: “nove” si scrive 1001 ; “dieci” si scrive 1010 ; “trentuno” si scrive 11111 ; “trentasette” si scrive 100101 . Sia , œ “otto”. Allora: “nove” si scrive 11 ; “dieci” si scrive 12 ; “trentuno” si scrive 37 ; “trentasette” si scrive 45 . Sia , œ “sedici”. Allora: “nove” si scrive 9 ; “dieci” si scrive A ; “trentuno” si scrive 1F ; “trentasette” si scrive 25 . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 6 1.8 - L’insieme ™ dei numeri interi. Si indica con ™ l’insieme dei numeri interi (á , -3, -2, -1, 0, +1, +2, +3, á ) . Come già per , supponiamo note dagli studi precedenti le informazioni essenziali su ™ e non precisiamo che cosa si intende con le parole “somma”, “prodotto”, “minore”, ecc.. Ricordiamo solo che gli interi diversi da 0 si distinguono in positivi (quelli maggiori di 0 , che si identificano con i numeri naturali maggiori di 0) e negativi (quelli minori di 0). L’insieme dei numeri interi positivi si indica con ™ ; è usuale identificare (e anche noi lo faremo) ™ Ö0× con . L’insieme dei numeri interi negativi si indica con ™ . Osservazione 1.8.1 Si estende all’insieme ™ la nozione di divisione euclidea ricordata in 1.6.6 : comunque presi due numeri interi +, , con , Á 0, restano univocamente determinati due numeri interi ; , < (detti rispettivamente quoziente e resto) tali che + œ ,; < e 0Ÿ< ±,±. Esercizio 1.8.2 Si determinino quoziente e resto della divisione euclidea di 18 per 5, della divisione euclidea di 18 per 5 e della divisione euclidea di 18 per 5. Ricordiamo anche la nozione di “valore assoluto” per i numeri interi. Sia D − ™ ; si dice valore assoluto di D , e si indica con ± D ± , il numero naturale così definito: ± D ± œ D se D 0, ± D ± œ D se D 0. I numeri interi si rappresentano sulla retta con gli stessi punti che rappresentano i numeri naturali e con i loro simmetrici rispetto all’origine. La notazione posizionale in qualsiasi base (cfr. sez. 1.7) si estende a ™ rappresentando il numero intero D con gli stessi simboli che indicano ± D ± preceduti dal segno “ ” (che però usualmente si omette) se D è positivo oppure dal segno “ ” se D è negativo. Per ogni scelta dei numeri interi + e , , l’equazione x + œ , nell’incognita x ha soluzioni in ™ . In generale, però, l’equazione +x œ , (con + , , − ™ e + Á 0) nell’incognita x non ha soluzioni in ™ . 1.9 - L’insieme dei numeri razionali. Si indica con l’insieme dei numeri razionali, rappresentabili come è noto nella forma 7 8 con 7, 8 7 numeri interi. Si noti che è opportuno distinguere fra la frazione 8 e il numero razionale che tale frazione rappresenta (ciò sarà precisato meglio in 6.3.6) ; ricordiamo inoltre che ogni numero razionale si può rappresentare con infinite frazioni (4). Come già per e ™, supponiamo note dagli studi precedenti le informazioni essenziali su e non precisiamo che cosa si intende con le parole “somma”, “prodotto”, “minore”, ecc.. Ricordiamo solo quanto segue. Un numero razionale si dice positivo se è maggiore di 0, negativo se è minore di 0. L’insieme dei numeri razionali positivi si indica con ; quello dei numeri razionali negativi si indica con . Il sottoinsieme di costituito dai numeri rappresentabili nella forma 81 , con 8 − ™, si identifica usualmente con ™, e anche noi lo faremo. Con questa convenzione, e quella analoga introdotta in 1.8, si ha dunque § ™ § . frazione 7 8 si dice ridotta ai minimi termini se il massimo comun divisore fra 7 e 8 è 1 (ossia se, come anche si dice, 7 e 8 sono primi fra loro) . Ogni numero razionale si rappresenta in uno e un solo modo con una frazione ridotta ai minimi termini il cui denominatore sia positivo. 4 La Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 7 Il numero razionale 7 8 (con 7, 8 − ™) si rappresenta sulla retta (come accennato in 1.4) col secondo estremo del segmento di misura ±7± ±8± che ha il primo estremo nell’origine O e giace nella semiretta individuata da O contenente U (se 7 0) oppure nella semiretta opposta (se 7 8 8 0). Si noti che i punti così individuati al 7 variare di 8 sono “densi”, nel senso che fra due di essi c’è sempre un altro punto che corrisponde a un numero razionale (questo concetto verrà precisato in 5.4). Si estende anche all’insieme la nozione di “valore assoluto”. Sia B − ; si dice valore assoluto di B, e si indica con ± B ± , il numero razionale (non negativo) così definito: ± B ± œ B se B 0, ± B ± œ B se B 0. Per ogni scelta di + e , in , hanno soluzioni in sia l’equazione x + œ , (nell’incognita x) che (purché sia + Á 0) l’equazione +x œ , (nell’incognita x) . Però, in generale, se 8 − e + − , l’equazione x8 œ + (nell’incognita x) non ha soluzioni in : Teorema 1.9.1 L’equazione B# œ 2 non ha soluzione in . Dimostrazione - Supponiamo per assurdo (si veda la sez. 2.4 più avanti) che esista un numero razionale B tale che B# œ 2. 7# # # Posto B œ 7 8 con 7, 8 − ™ÏÖ0}, sarà 8# œ 2 e dunque 7 œ 28 . Osserviamo che nella scomposizione in fattori primi del quadrato di qualsiasi numero intero ogni fattore primo compare sempre con esponente pari: infatti se : compare con esponente 5 nella scomposizione in fattori primi di +, allora : compare con esponente 25 in quella di +# . Consideriamo ora la scomposizione in fattori primi di 8# : in essa, per quanto appena osservato, il fattore “2” compare con esponente pari. Dunque il fattore “2” compare con esponente dispari nella scomposizione in fattori primi di 28# , ossia di 7# ; e ciò è assurdo, di nuovo per quanto si è osservato sopra (si ricordi che la scomposizione in fattori primi di un numero intero è unica). 1.10 - Approssimazioni. Siano + , , numeri e sia - un numero razionale positivo. Si dice che + è un valore approssimato per difetto di , a meno di - se 0 Ÿ ,+ Ÿ -. Si dice che + è un valore approssimato per eccesso di , a meno di - se 0 Ÿ +, Ÿ -. Si dice che + è un valore approssimato di , a meno di - se k+ , k Ÿ - . In tutti questi casi, si dice che approssimando , con + si commette un errore non superiore a - . Esempio 1.10.1 Il numero 32 è un valore approssimato per difetto di Infatti 0 417 13 32 1 10 , 417 13 a meno di 417 13 essendo 1 10 . 32 œ 417 13 416 13 œ 1 13 2 200 œ 1 100 . Esempio 1.10.2 Il numero 2 è una valore approssimato per eccesso di Infatti 0 2 632 317 1 100 , essendo 2 632 317 632 317 a meno di 1 100 . 634 317 632 317 œ œ 2 317 . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 8 Osservazione 1.10.3 Nel dare la definizione di “valore approssimato” abbiamo parlato genericamente di “numero” senza precisare se naturale, intero, razionale o (chissà) altro. In effetti, l’uso più importante di questa nozione si ha quando elementi di un dato insieme di numeri si approssimano con elementi di un altro, più “maneggevole”, insieme di numeri: i numeri razionali con i numeri interi (esempi 1.10.1 e 1.10.2) ; i numeri razionali con i “numeri decimali limitati” (che verranno introdotti nella sez. 1.11) ; i “numeri reali” (che verranno introdotti nella sez. 10.1) con i numeri razionali. 1.11 - Lo “sviluppo decimale” dei numeri razionali. Abbiamo già ricordato che ogni numero razionale si può rappresentare con (infinite) frazioni. Questo metodo è il più naturale in base alla definizione di (per la quale rimandiamo ancora a 6.3.6) ma non consente 38 in generale di confrontare “a colpo d’occhio” due numeri razionali (qual è più grande fra 111 e 29 85 ?) . Per 5 6 ovviare a questo problema si fa ricorso al cosiddetto sviluppo ( ) decimale ( ) che descriviamo in questa sezione. Esercizio 1.11.1 38 111 Qual è più grande fra numero razionale) . e 29 85 ? (È immediato perché? che tali frazioni non rappresentano lo stesso Esercizio [*] 1.11.2 Siano date le frazioni + , e . con + 0, , 0, - 0 e . 0 . Si dimostri che + , . se e soltanto se +. ,- . Possiamo limitare la nostra discussione ai numeri razionali positivi, convenendo semplicemente di associare ad ogni numero razionale negativo lo stesso sviluppo decimale del suo opposto preceduto però dal segno “”. Se -" , -# , á , -5 sono cifre (cfr. 1.7) , e 8 è un numero naturale (scritto mediante la notazione posizionale in base 10, cfr. ancora 1.7), con la scrittura 8,-" -# á -5 conveniamo di indicare il numero razionale -" -# -3 -5 < ³ 8 10 10 # á 103 á 105 . Si dice che 8,-" -# á -5 è lo sviluppo decimale (limitato, o anche finito) di < ; si dice anche che < ammette lo sviluppo decimale (limitato, o anche finito) 8,-" -# á -5 ; si scrive < œ 8,-" -# á -5 . Esempio 1.11.3 1551 La scrittura 0,3102 indica il numero razionale 3102 10% ossia 5000 . La scrittura 0,71 indica il numero razionale 71 83 ossia 100 . La scrittura 0,415 indica il numero razionale 415 10$ ossia 200 . 71 10# 5 Poiché il corrispondente termine inglese è expansion, si sta diffondendo in Italiano la “traduzione pigra” espansione come sinonimo del termine classico sviluppo. 6 L' aggettivo “decimale” fa riferimento all' adozione della base “dieci” per la scrittura dei numeri (cfr. 1.7) . Naturalmente, i numeri razionali ammettono sviluppi in qualunque base , 1 , e tali sviluppi possono essere descritti come in questa sezione sostituendo , al numero “dieci” in tutte le definizioni e considerazioni (con cautela particolare per il teorema 1.11.17 e, ancor più, per l' esercizio 1.11.6) . Si veda anche l' osservazione 1.11.7 . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 9 Esercizio [*] 1.11.4 Si dimostri che il numero razionale 3 7 non ammette alcuno sviluppo decimale limitato. Un numero razionale che ammette uno sviluppo decimale limitato si dice un numero decimale limitato (o, anche, numero decimale finito). Esempio 1.11.5 Il numero razionale 37 40 è un numero decimale limitato. Infatti 37 40 œ 37 2$ †5 œ 37†5# 10$ œ 0,925 . Esercizio [*] 1.11.6 Sia ! un numero razionale, e sia +, la frazione ridotta ai minimi termini (col denominatore positivo) che rappresenta ! . Si dimostri che ! è un numero decimale limitato se e soltanto se , è della forma 23 † 54 con 3, 4 − . Osservazione 1.11.7 La nozione di “numero decimale limitato” è legata strettamente (come dice il nome stesso) alla scelta della base “dieci”. Ad esempio, il numero razionale 23 non è un numero decimale limitato ma, in base 12, può essere scritto come 0,8 e dunque è un “numero duodecimale limitato” ; d’altro lato, 15 non può essere scritto in base 12 nella forma 8,-" -# á -5 e dunque non è un “numero duodecimale limitato”. Sia ora -" , -# , á , -5 , á una successione (7) di cifre, e sia 8 un numero naturale (scritto mediante la notazione posizionale in base 10, cfr. sempre 1.7). Diciamo che tale successione e il numero naturale 8 individuano lo sviluppo decimale (illimitato) del numero razionale ! sse (8) per ogni numero intero positivo 5 il numero decimale limitato 8,-" -# á -5 è una approssimazione per difetto di ! a meno di 1015 , ossia sse (1.11.F1) per ogni numero intero positivo 5 , 0 Ÿ ! 8,-" -# á -5 Ÿ 1015 . In tal caso, con notazione estremamente vaga si scrive ! œ 8,-" -# á -5 á ; si dice anche che 8,-" -# á -5 á è lo sviluppo decimale (illimitato) di !, e che ! ammette lo sviluppo decimale (illimitato) 8,-" -# á -5 á . Siano +" , +# , á , +2 , :" , :# , á , :5 cifre. Con la notazione 8,+" +# á +2 Ð:" :# á :5 Ñ o anche, talvolta, 8,+" +# á +2 :" :# á :5 si indica lo sviluppo decimale illimitato individuato dalla successione in cui, dopo le cifre +" , +# , á , +2 (che compaiono in questo ordine e una sola volta), si ripetono infinite volte e sempre in questo ordine le cifre :" , :# , á , :5 . Un tale sviluppo decimale illimitato si dice periodico ; le cifre +" , +# , á , +2 si dicono cifre dell’antiperiodo (e il numero naturale che in base 10 ammette la rappresentazione +" +# á +2 si dice antiperiodo) ; il numero naturale 2 si dice lunghezza dell’antiperiodo; le cifre :" , :# , á , :5 si dicono cifre del periodo (e il numero naturale che in base 10 ammette la rappresentazione :" :# á :5 si dice periodo) ; il numero naturale 5 si diche lunghezza del periodo. 7 La definizione di successione sarà data in 4.8 . Per ora, sarà sufficiente pensare a una successione di cifre come a una “lista infinita” di cifre. 8 useremo l' abbreviazione “sse” per “se e solo se”. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 10 Esempio 1.11.8 Con la notazione 5,10232(314) si indica lo sviluppo decimale illimitato 5,10232314314314314314314314314314314314314314314314á di periodo 314 e antiperiodo 10232 . Ogni numero decimale limitato 8,-" -# á -5 8,-" -# á -5 Ð0Ñ di periodo 0 e antiperiodo -" -# á -5 . ammette lo sviluppo decimale illimitato periodico Si noti anche che, per definizione: se il numero naturale 8 e la successione di cifre -" , -# , á , -5 , á individuano il numero razionale ! , allora il numero naturale 0 e la stessa successione di cifre -" , -# , á , -5 , á individuano il numero razionale ! 8 che è compreso fra 0 e 1. Con la notazione che abbiamo introdotto: se ! œ 8,-" -# á -5 á , allora ! 8 œ 0,-" -# á -5 á e 0 Ÿ ! Ÿ 1 . Questa osservazione ci consentirà, quando opportuno, di limitare la nostra attenzione ai numeri razionali compresi fra 0 e 1. Teorema 1.11.9 Ogni sviluppo decimale rappresenta al più un numero razionale. Dimostrazione - Procediamo per assurdo (si veda la sez. 2.4 più avanti), e supponiamo che la successione di cifre -" , -# , á , -5 , á (assieme al numero naturale 8) rappresenti due numeri razionali distinti ! e " con (tanto per fissare le idee) ! " . Scelto 5 − in modo che sia ! " 1015 (a tale scopo basta prendere 5 in modo che sia 105 !1" ) deve essere F1 ! 8,-" -# á -5 1015 e ! 8,-" -# á -5 1 105 , ossia 0 " 8,-" -# á -5 , ossia " 8,-" -# á -5 . Sommando membro a membro le F1 e F2 si ottiene che ! " 1015 assurdo per come si è scelto 5 . F2 Notiamo che sviluppi decimali diversi possono invece rappresentare uno stesso numero razionale: ad esempio, 0,5 (o, se si preferisce, 0,5Ð0Ñ) e 0,4Ð9Ñ sono sviluppi decimali diversi dello stesso numero razionale 12 . Questo fatto sarà precisato col teorema 1.11.17. Teorema 1.11.10 Ogni numero razionale ammette uno sviluppo decimale periodico. Dimostrazione - Come si è già osservato, possiamo limitarci a considerare il generico numero razionale compreso fra 0 e 1 ; lo rappresentiamo con una frazione +, con 0 + , . Costruiamo, a partire da + e , , uno sviluppo decimale che dimostreremo essere periodico e rappresentare proprio +, . Detti -" e <" rispettivamente il quoziente e il resto della divisione euclidea di 10+ per , (cfr. l’osservazione 1.6.6), siano successivamente -# e <# rispettivamente quoziente e resto della divisione euclidea di 10<" per , ; -$ e <$ rispettivamente quoziente e resto della divisione euclidea di 10<# per , ; á á -3 e <3 rispettivamente quoziente e resto della divisione euclidea di 10<3" per , ; á á Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 11 Si ha dunque 10+ œ -" , <" 10<" œ -# , <# F1 F2 0 Ÿ <" , ; 0 Ÿ <# , ; con con á á con á á 10<3 œ -3 , <3 0 Ÿ <3 , ; e così via. Essendo +, <" , <# , á , <3 , á minori di , , ciascun -3 è minore di 10 (da -3 10 e , <3 0 seguirebbe -3 , 10<3 ) . Lo sviluppo decimale 0,-" -# -$ á -3 á è uno sviluppo periodico. Infatti, gli <3 (dovendo essere numeri interi compresi fra 0 e , 1) sono al più in numero di , ; si verifica dunque uno dei due casi seguenti: i resti <" , <# , á , <, sono tutti distinti, cosicchè uno di essi è 0 e lo sviluppo 0,-" -# -$ á -3 á risulta addirittura limitato; oppure, <3 œ <4 per 1 Ÿ 3 4 Ÿ , , e in questo caso la sequenza dei resti da <3 a <4" si ripete continuamente sempre nello stesso ordine, e così avviene per i quozienti da -3 a -4" : lo sviluppo 0,-" -# -$ á -3 á risulta dunque periodico, e la lunghezza del periodo è al più , 1 Ð 9Ñ . + , Resta da dimostrare che œ 0,-" -# -$ á -3 á . + , Consideriamo in primo luogo il numero + , 0,-" œ + , ed è ora chiaro (poiché <" , ) che Consideriamo ora il numero 0Ÿ + , 0,-" . Poiché per la F1 è 10+ œ -" , <" , -" 10 10+-" , 10, œ + , 0,-" <" 10, œ 1 10 œ 1 10 † si ha <" , . 0,-" -# . Poiché dalle F1 e F2 si ricava che 100+ œ 10-" , -# , <# , si ha + , 0,-" -# œ + , e dunque (ancora perché <# , ) 10-" -# 100 0Ÿ + , œ 100+10-" ,-# , 100, 0,-" -# Procedendo allo stesso modo si conclude che + , 1 100 œ <# 100, œ 1 100 † <# , . œ 0,-" -# -$ á -3 á . (Questa dimostrazione può essere resa più rigorosa procedendo per induzione, cfr. più avanti 2.5 e l’esercizio 2.5.5). Esempi Si ha: 1.11.11 3 20 1.11.12 1 7 œ 0,Ð142857Ñ ; 1.11.13 2 7 œ 0,Ð285714Ñ ; 1.11.14 16 325 1.11.15 5 11 œ 0,Ð45Ñ ; 1.11.16 4 17 œ 0,Ð2352941176470588Ñ ; œ 0,15 ; œ 0,04Ð923076Ñ ; che +, sia ridotta ai minimi termini e che , non sia divisibile né per 2 né per 5. Non è difficile dimostrare che la lunghezza del periodo è il più piccolo numero 5 per il quale 105 1 è divisibile per , ; per un teorema di Fermat, tale 5 è un divisore di , 1 . 9 Supponiamo Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 12 Teorema 1.11.17 Se il numero razionale ! ammette due sviluppi decimali distinti, allora Ð3Ñ ! è un numero decimale finito, ossia ! œ 8,-" -# á -5 ; Ð33Ñ posto ,5 ³ -5 1 , gli unici sviluppi decimali di ! sono 8,-" -# á -5 e 8,-" -# á -5" ,5 Ð9Ñ (oppure, se ! œ 8 : posto 7 ³ 8 1 , gli unici sviluppi decimali di ! sono 8 e 7,Ð9Ñ ) . Dimostrazione - Moltiplicando o dividendo ! per una opportuna potenza di 10, e se necessario anche per 1, possiamo sempre ricondurci al caso in cui i due sviluppi decimali distinti sono della forma 8,-" -# á -5 á e 8,." .# á .5 á per lo stesso numero naturale 8 e con -" ." ; sottraendo infine 8 , avremo un numero razionale ! (compreso tra 0 e 1) che possiede due sviluppi decimali distinti 0,-" -# á -5 á e 0,." .# á .5 á con -" ." . Dobbiamo dimostrare che: -# œ -$ œ á œ -5 œ á œ 0 ; ." œ -" 1 ; .# œ .$ œ á œ .5 œ á œ 9 . Ne seguiranno per ! la Ð3Ñ e la Ð33Ñ . Per definizione di sviluppo decimale, 0 Ÿ ! 0,-" œ ! ." 10 ! 0,." œ ! e -" 10 ossia 1 10 ossia Ÿ -" 10 Ÿ! !Ÿ . " 1 10 da cui, poiché ." 1 Ÿ -" (essendo ." -" ), !Ÿ Da questo segue che ! œ -" 10 . " 1 10 Ÿ -" 10 Ÿ !. œ 0,-" (e dunque -# œ -$ œ á œ -5 œ á œ 0 ) ; e che ." 1 œ -" . Resta da provare che le cifre .# , .$ , á , .5 , á sono tutte uguale a 9 . ! 0,." .# Ÿ Deve essere 1 100 , ossia ! F1 Ma sappiamo che ! œ -" 10 œ . " 1 10 ." 10 .# 100 Ÿ ." 10 œ 1 10 1 100 1 100 . da cui ! e dunque dalla F1 si ottiene che .# 100 1 10 œ 9 100 cosicché .# 9 ; d’altro lato, .# Ÿ 9 (perché .# è una cifra in base 10), e si è provato che .# œ 9 . 1 ! 0,." .# .$ Ÿ 1000 , ossia ." .# .$ ! 10 100 1000 Ÿ Deve poi essere F2 Ma sappiamo che ! ." 10 œ 1 1000 . 1 10 e che .# œ 9 ; dunque dalla F2 si ottiene che .$ 1 9 1 9 1000 10 100 1000 œ 1000 cosicché .$ 9 e quindi .$ œ 9 ; e così viaá (Questa dimostrazione può essere resa più rigorosa procedendo per induzione, cfr. più avanti 2.5 e l’esercizio 2.5.6). Esempio 1.11.18 Si ha: 1 œ 0,Ð9Ñ ; 3,74 œ 3,73(9) ; 5,1 œ 5,0(9) ; 2,99 œ 2,98(9) ; 80000 œ 79999,Ð9Ñ . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 13 Teorema 1.11.19 Ogni numero decimale periodico rappresenta un numero razionale. Dimostrazione - Per quanto si è osservato, basta provare l’asserto per i numeri decimali periodici della forma 0,+" +# á +2 Ð:" :# á :5 Ñ con +" , +# , á , +2 cifre dell’antiperiodo e :" , :# , á , :5 cifre del periodo. Sia ! ³ 0,+" +# á +2 Ð:" :# á :5 Ñ e sia 8 il numero naturale che in base 10 ammette la rappresentazione +" +# á +2 . Poiché !œ 1 102 † (8,Ð:" :# á :5 Ñ) œ 1 102 † (8 0,Ð:" :# á :5 Ñ) possiamo limitarci a considerare i numeri periodici senza antiperiodo . Procediamo gradualmente, esaminando numeri con periodo di lunghezza crescente (una rigorosa dimostrazione per induzione, cfr. più avanti 2.5, sarebbe defatigante). 1 1 1 1 Proviamo in primo luogo che 0,(1) œ 19 . Si ha 19 œ 10 90 , ossia 19 œ 10 10 † ( 19 ) ; e, in generale, per ogni numero naturale 8: 1 1 1 1 ˆ1‰ (æ) 9 œ 10 100 á 108 † 9 (questa uguaglianza si prova facilmente procedendo per induzione su 8, cfr. cfr. più avanti 2.5 e l’esercizio 2.5.7) da cui, per definizione, 0,(1) œ 19 . Da questo segue subito che, per ogni cifra - , 0,(- ) œ 9- e dunque l’asserto per i numeri col periodo di lunghezza 1. Allo stesso modo si ha 0,(01) œ in generale, per ogni numero naturale 8: (æ) 1 99 œ 1 99 . Infatti si ha 1 100 1 10000 1 99 œ á 1 100 1 10#8 1 9900 , ossia 1 99 œ 1 100 1 100 †( 1 99 ) ; e, 1 ‰ † ˆ 99 (anche questa uguaglianza si prova procedendo per induzione su 8, cfr. cfr. più avanti 2.5) da cui, per 1 definizione, 0,(01) œ 99 . Da questo segue subito che, per ogni scelta di cifre -" e -# , 0,(-" -# ) œ 10-" -# 99 e dunque l’asserto per i numeri col periodo di lunghezza 2 . Procedendo allo stesso modo si prova che per ogni numero naturale 5 si ha 0,(-" -# á -5 ) œ e quindi l’asserto per tutti i numeri decimali periodici. 105" -" 105# -# á-5 99á9 ï 5 cifre Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 14 2.- ELEMENTI DI LOGICA 2.1 - Introduzione. Si è detto in 1.1 che gli assiomi costituiscono le “regole precise” con le quali vengono utilizzati i concetti primitivi. Il lettore attento si sarà accorto che ciò non è del tutto esatto: ad esempio, quando affermiamo che “Zero ha un successivo, che è anch’esso un numero naturale” (il che ci consente di dare la definizione di “Uno”) non utilizziamo solo gli assiomi (P1) e (P2) di 1.5 ma anche una regola deduttiva nota come modus ponens . In effetti, a monte dei concetti primitivi e degli assiomi ci sono delle più generali “regole di ragionamento” che sono studiate da un particolare ramo della Matematica detto Logica matematica. Noi non possiamo affrontare il complesso apparato della Logica matematica (che, naturalmente, dovrebbe essere introdotto per via assiomatica) . Riassumiamo in 2.2 e 2.3 quelle poche nozioni e i semplici risultati che avremo poi occasione di utilizzare esplicitamente. 2.2 - Elementi di calcolo delle proposizioni. Ciò che vogliamo fare è, intuitivamente, questo: date alcune affermazioni (dette proposizioni, o enunciati), per ciascuna delle quali possiamo dire (non importa in base a che cosa) se è vera oppure falsa, stabilire un criterio per costruire altre frasi (più “complesse”; anch’esse saranno dette proposizioni o enunciati) e decidere “automaticamente” la verità o falsità di queste ultime. Non cerchiamo di definire che cos’è una proposizione ; useremo la parola enunciato come sinonimo di proposizione. Conveniamo che ad ogni proposizione resti associato uno e uno solo dei due numeri naturali 0 e 1 (che viene detto valore di verità della proposizione) (10) . Un enunciato si dice vero se ha valore di verità 1 , si dice invece falso se ha valore di verità 0 . Se a , b sono proposizioni, scriveremo aµb per indicare che a e b hanno lo stesso valore di verità (ossia, sono entrambe vere oppure sono entrambe false). Dato un insieme di proposizioni, ciascuna col suo valore di verità, possiamo costruire altri oggetti, che chiameremo ancora proposizioni, utilizzando (anche ripetutamente) i sei simboli Ð , Ñ , c , ” , • , Ê e le seguenti regole: Se a è una proposizione , anche cÐaÑ è una proposizione (che si legge: “non a”) . Se a, b sono proposizioni, anche ÐaÑ ” ÐbÑ è una proposizione (che si legge: “a oppure b”) . Se a, b sono proposizioni, anche ÐaÑ • ÐbÑ è una proposizione (che si legge: “a e b”) . Se a, b sono proposizioni, anche ÐaÑ Ê ÐbÑ è una proposizione (che si legge: “a implica b”, o anche “da a segue b”) . Alle proposizioni cÐaÑ , ÐaÑ ” ÐbÑ , ÐaÑ • ÐbÑ , ÐaÑ Ê ÐbÑ assegniamo un valore di verità completamente determinato dai valori di verità di a e b , con le seguenti regole: il valore di verità di cÐaÑ è: 1 se il valore di verità di a è 0 ; 0 altrimenti; il valore di verità di ÐaÑ ” ÐbÑ è: 0 se entrambe le proposizioni a, b hanno valore di verità 0 ; 1 altrimenti; il valore di verità di ÐaÑ • ÐbÑ è: 1 se entrambe le proposizioni a, b hanno valore di verità 1 ; 0 altrimenti. il valore di verità di ÐaÑ Ê ÐbÑ è: 0 se la proposizione a ha valore di verità 1 e la proposizione b ha valore di verità 0 ; 1 altrimenti. 10 Col linguaggio che sarà introdotto in 4.2, potremmo dire che il valore di verità è una funzione dall' insieme delle proposizioni in Ö0, 1× . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 15 I quattro simboli c, ” , • , Ê si dicono connettivi proposizionali (rispettivamente: negazione logica, disgiunzione logica, congiunzione logica e implicazione logica) . I due simboli Ð e Ñ si dicono parentesi ausiliarie e usualmente si omettono quando ciò non dia luogo ad ambiguità: dunque (ad esempio) si scrive a ” b in luogo di ÐaÑ ” ÐbÑ , e si scrive a Ê b in luogo di ÐaÑ Ê ÐbÑ ; ma non si considera accettabile (perché ambigua) la scrittura a ” b Ê c . Si scrive talvolta a Í b come abbreviazione di Ða Ê bÑ • Ðb Ê aÑ . Osservazione 2.2.1 Le proposizioni che consideriamo sono generalmente espresse con parole della lingua italiana e simboli matematici. Tuttavia, per ciò che diremo, non ha interesse la proposizione in sé ma il suo valore di verità ; niente impedisce perciò in teoria di calcolare il valore di verità per espressioni come Ð5 è un numero primoÑ • ÐFrancesca è bellaÑ oppure ÐAndrea è simpaticoÑ Ê Ð125 è un quadrato perfettoÑ o anche Ðfugjkhl mkl fg%4$Ñ ” ÐghjoooooiÑ purché si sia stabilita preliminarmente il valore di verità per le proposizioni “Francesca è bella” , “Andrea è simpatico” (assumendosene ogni responsabilità... nei confronti degli interessati!) , “fugjkhl mkl fg%4$” e “ghjoooooi” . Per quanto riguarda proposizioni su enti matematici (le uniche che interverranno nei nostri esempi) converremo che il valore di verità sia quello risultante dalla usuale teoria matematica. Esempio 2.2.2 Sono esempi di proposizioni vere le seguenti: (2 è un numero pari) • (4 è un numero pari) ; (2 è un numero pari) ” (3 è un numero pari) ; (3 è un numero pari) Ê (4 è un numero pari) ; (3 è un numero pari) Ê (5 è un numero pari) ; (cÐ3 è un numero pari)) • (4 è un numero pari) . Sono esempi di proposizioni false le seguenti: Ð2 è un numero pariÑ • Ð3 è un numero pariÑ ; ÐcÐ2 3 œ 5ÑÑ ” Ð1 2Ñ ; ((3 è un numero pari) ” Ð4 è un numero pariÑÑ Ê (5 è un numero pari) . Non sono esempi di proposizioni le seguenti: (2 è un numero pari) • ” (4 è un numero pari) ; c ” (2 è un numero pari) • (5 è un numero primo) ; • (2 è un numero pari)c(3 è un numero pari) . Inoltre: “2 è un numero pari” ha lo stesso valore di verità di “2 3 œ 5” ; “5 è un numero pari” ha lo stesso valore di verità di “39 è un numero primo” . Osservazione 2.2.3 Siano a e b proposizioni. Se a e a Ê b sono vere, allora b è vera (questa “regola di dimostrazione” è nota col nome di “modus ponens” ) ; se a Ê b è vera e b è falsa, allora a è falsa. Dimostrazione - Supponiamo che a e a Ê b siano vere; poiché a è vera, se b fosse falsa allora a Ê b sarebbe falsa; dunque b non è falsa, e quindi b è vera. Supponiamo ora che a Ê b sia vera e b sia falsa; poiché b è falsa, se a fosse vera allora a Ê b sarebbe falsa; dunque a non è vera, e quindi a è falsa. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 16 Osservazione 2.2.4 Siano p" , p# , á , p8 proposizioni. Se p" Ê p# , p# Ê p$ , á , p8" Ê p8 sono vere, allora p" Ê p8 è vera. Dimostrazione - Proviamo l’asserto per 8 œ 3 (in generale si potrebbe procedere per induzione, cfr. 2.5) . Siano a , b , c proposizioni tali che a Ê b e b Ê c sono vere. Se a è falsa, certamente a Ê c è vera; se a è vera, allora b è vera (osservazione 2.2.3) : ma allora, ancora per l’osservazione 2.2.3, c è vera; dunque in ogni caso a Ê c è vera. Siano date alcune proposizioni a , b , c á ed altre proposizioni p" , p# , p$ , á costruite a partire da esse mediante i connettivi come descritto sopra. È spesso conveniente scrivere delle tabelle che esprimano i valori di verità per p" , p# , p$ , á in funzione di tutti i possibili valori di verità di a , b , c á ; tali tabelle si dicono tabelle di verità per p" , p# , p$ , á . Ad esempio: a 0 1 a 0 0 1 1 b 0 1 0 1 a”b 0 1 1 1 b”a 0 1 1 1 ca 1 0 a•b 0 0 0 1 cÐcaÑ 0 1 b•a 0 0 0 1 ÐcaÑ ” b 1 1 0 1 aÊb 1 1 0 1 Si noti che dall’esame di una tabella di verità si può dedurre che certe proposizioni costruite con l’uso dei connettivi a partire da altre assumono lo stesso valore di verità qualunque sia il valore di verità delle proposizioni che le compongono (si dice allora talvolta che sono logicamente equivalenti). Così, dalle precedenti tabelle di verità si ricava che: Osservazione 2.2.5 Qualunque siano le proposizioni a e b , a µ cÐcaÑ ; a”b µ b”a; a•b µ b•a; a Ê b µ ÐcaÑ ” b . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 17 Dalle seguenti tabelle di verità a 0 0 1 1 b 0 1 0 1 a”b 0 1 1 1 cÐa ” bÑ 1 0 0 0 ca 1 1 0 0 cb 1 0 1 0 ÐcaÑ • ÐcbÑ 1 0 0 0 a 0 0 1 1 b 0 1 0 1 a•b 0 0 0 1 cÐa • bÑ 1 1 1 0 ca 1 1 0 0 cb 1 0 1 0 ÐcaÑ ” ÐcbÑ 1 1 1 0 si ricavano le cosiddette leggi di De Morgan : Osservazione 2.2.6 Qualunque siano le proposizioni a e b , cÐa ” bÑ ha lo stesso valore di verità di e cÐa • bÑ ha lo stesso valore di verità di ÐcaÑ • ÐcbÑ ÐcaÑ ” ÐcbÑ . Esercizio 2.2.7 Dimostrare, scrivendo le opportune tabelle di verità, che, qualunque siano le proposizioni a e b , a Ê b ha lo stesso valore di verità di ÐcbÑ Ê ÐcaÑ e cÐa Ê bÑ ha lo stesso valore di verità di a • ÐcbÑ . Esercizio 2.2.8 Dimostrare mediante opportune tabelle di verità quanto già visto nelle osservazioni 2.2.3 e 2.2.4 . 2.3 - Elementi di calcolo dei predicati. Sia A un insieme. Fissato un simbolo (ad esempio, x) che chiameremo variabile, consideriamo certi enti che diremo proposizioni aperte (o predicati) con variabile libera x su A . Come già in 2.2 per le proposizioni, non cerchiamo di dare una definizione di proposizione aperta ; stabiliamo solo la seguente regola: se pÐxÑ è una proposizione aperta con variabile libera x su A , deve esistere un criterio che per ogni a − A permette di ricavare da pÐxÑ una proposizione (nel senso di 2.2), che diremo ottenuta da pÐxÑ sostituendo a ad x e indicheremo con pÐaÑ . Generalmente, una proposizione aperta con variabile libera x su A è espressa mediante una locuzione della lingua italiana (eventualmente con simboli matematici) in cui compare la x ; e per ogni a − A si ottiene una proposizione proprio col “sostituire” (nel senso letterale di “mettere una cosa nel luogo di un’altra”, cfr. [4] ) a ad x. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 18 Esempio 2.3.1 Sono proposizioni aperte con variabile libera x su : 3 è un divisore di x ; x 1 10 ; Ðx 5Ñ • Ðx è pariÑ ; Ðx è pariÑ Ê Ðx è multiplo di 4Ñ . Si noti che ciascuna di esse non è né vera nè falsa (solo le proposizioni sono vere o false!) . Però: sostituendo 6 alla variabile x , la prima e la terza diventano proposizioni vere, la seconda e la quarta diventano proposizioni false; sostituendo 12 alla variabile x , diventano tutte proposizioni vere; sostituendo 2 alla variabile x , diventano tutte proposizioni false. Non sono invece proposizioni aperte con variabile libera x su : y 1 10 ; x è grande ; (5 x œ 7Ñc • x . Esercizio 2.3.2 Si stabilisca se la seguente proposizione aperta con variabile libera x su Ðx è pariÑ Ê Ðx è multiplo di 4Ñ diventa una proposizione vera sostituendo alla x ciascuno dei seguenti numeri naturali: 7, 8, 9, 10. A partire dai predicati si possono ottenere enunciati utilizzando due simboli speciali b e a (detti rispettivamente quantificatore esistenziale e quantificatore universale) e le seguenti regole: Sia A un insieme, e sia pÐxÑ una proposizione aperta con variabile libera x su A . La Ðbx − AÑÐpÐxÑÑ è una proposizione (che si legge “esiste almeno un x in A tale che pÐxÑ”) alla quale si assegna il seguente valore di verità : 1 se si può trovare un elemento a di A che sostituito alla x dà luogo ad una proposizione vera, 0 altrimenti. La Ðax − AÑÐpÐxÑÑ è una proposizione (che si legge “per ogni x pÐxÑ”) alla quale si assegna il seguente valore di verità : 1 se ogni elemento a di A sostituito alla x dà luogo ad una proposizione vera, 0 altrimenti. Se è chiaro dal contesto quale sia l’insieme A considerato, si scrive bx ÐpÐxÑÑ anziché Ðbx − AÑÐpÐxÑÑ e si scrive ax ÐpÐxÑÑ anziché Ðax − AÑÐpÐxÑÑ . Si usano anche le seguenti convenzioni: si dice che bx ÐpÐxÑÑ è vera [risp. falsa] in A se Ðbx − AÑÐpÐxÑÑ è vera [risp. falsa] e si dice che ax ÐpÐxÑÑ è vera [risp. falsa] in A se Ðax − AÑÐpÐxÑÑ è vera [risp. falsa] . Esempio 2.3.3 Sono proposizioni vere in le seguenti: bx ÐÐx 2Ñ Ê Ðx è multiplo di 10ÑÑ ; ax ÐÐx 16Ñ ” Ð2x 30ÑÑ . Sono proposizioni false in le seguenti: bx ÐÐ2x è dispariÑ ” Ðx 1 œ x 1ÑÑ ; ax ÐÐx 2Ñ Ê Ðx è multiplo di 10ÑÑ . La proposizione bx Ð2x œ 3Ñ è falsa in e ™ , ed è vera in . La proposizione ax Ðx 0Ñ è vera in ed è falsa in ™ e . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 19 Esercizio 2.3.4 Per ciascuna delle seguenti proposizioni si stabilisca se è vera oppure falsa in : ax ÐÐx è pariÑ Ê Ðx è multiplo di 4ÑÑ ; ax ÐÐx è multiplo di 4Ñ Ê Ðx è pariÑÑ ; bx ÐÐx è pariÑ • Ðx è multiplo di 3ÑÑ ; ax ÐÐx è pariÑ ” Ðx è multiplo di 3ÑÑ ; ax ÐÐx è pariÑ ” Ðx 1 è multiplo di 4Ñ ” Ðx 1 è multiplo di 4ÑÑ . Osservazione 2.3.5 Sia A un insieme i cui elementi sono a" , a# , á , a8 (dove 8 è un numero naturale) (11) . Se pÐxÑ è un predicato su A , ax ÐpÐxÑÑ ha lo stesso valore di verità di pÐa" Ñ • pÐa# Ñ • á • pÐa8 Ñ ; bx ÐpÐxÑÑ ha lo stesso valore di verità di pÐa" Ñ ” pÐa# Ñ ” á ” pÐa8 Ñ . In questo senso, i quantificatori si possono considerare una generalizzazione dei connettivi ” e • , e le due osservazioni che seguono si possono considerare una estensione delle leggi di De Morgan (2.2.6) . Osservazione 2.3.6 Qualunque sia l’insieme A , e qualunque sia il predicato pÐxÑ su A , cÐax ÐpÐxÑÑÑ ha lo stesso valore di verità di bx ÐcpÐxÑÑ . Dimostrazione - Sono possibili due casi: ax ÐpÐxÑÑ è vera, oppure ax ÐpÐxÑÑ è falsa. Supponiamo in primo luogo che ax ÐpÐxÑÑ sia vera (e quindi cÐax ÐpÐxÑÑÑ sia falsa); allora ogni elemento di A sostituito alla x in pÐxÑ dà luogo ad una proposizione vera, e dunque sostituito alla x in cpÐxÑ dà luogo ad una proposizione falsa: non si può perciò trovare alcun elemento di A che sostituito alla x in cpÐxÑ dia luogo ad una proposizione vera, e dunque la proposizione bx ÐcpÐxÑÑ è falsa. Supponiamo poi che ax ÐpÐxÑÑ sia falsa (e quindi cÐax ÐpÐxÑÑÑ sia vera): allora non ogni elemento di A sostituito alla x in pÐxÑ dà luogo ad una proposizione vera; c’è, in altri termini, un opportuno a − A per il quale pÐaÑ è falsa, e quindi cpÐaÑ è vera: ciò significa che la proposizione bx ÐcpÐxÑÑ è vera. Osservazione 2.3.7 Qualunque sia l’insieme A , e qualunque sia il predicato pÐxÑ su A , cÐbx ÐpÐxÑÑÑ ha lo stesso valore di verità di ax ÐcpÐxÑÑ . Dimostrazione - Per quanto visto in 2.2.5 e 2.3.6, si ha che ax ÐcpÐxÑÑ µ cÐcÐax ÐcpÐxÑÑÑÑ µ cÐbxÐcÐcpÐxÑÑÑÑ µ cÐbx ÐpÐxÑÑÑ e ciò è proprio quel che si voleva dimostrare. Esercizio 2.3.8 Si dimostri che, qualunque sia l’insieme A , e qualunque sia il predicato pÐxÑ su A , bx ÐpÐxÑÑ ha lo stesso valore di verità di cÐax ÐcpÐxÑÑÑ e ax ÐpÐxÑÑ ha lo stesso valore di verità di cÐbx ÐcpÐxÑÑÑ . 11 Con la notazione che introdurremo in 3.2, A ³ Öa" , a# , á , a8 × . In 12.2 descriveremo questa situazione dicendo che A è un insieme finito. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 20 Osservazione 2.3.9 Sia A un insieme, e siano pÐxÑ , qÐxÑ predicati su A . Se per ogni a − A l’enunciato pÐaÑ ha lo stesso valore di verità dell’enunciato qÐaÑ , allora bx ÐpÐxÑÑ ha lo stesso valore di verità di bx ÐqÐxÑÑ e ax ÐpÐxÑÑ ha lo stesso valore di verità di ax ÐqÐxÑÑ . Tenendo conto di quanto visto nella sez. 2.2 , si può così ad esempio affermare che bx ÐcÐp" ÐxÑ • p# ÐxÑÑÑ ha lo stesso valore di verità di bx ÐÐcp" ÐxÑÑ ” Ðcp# ÐxÑÑÑ e che ax Ðcp" ÐxÑ ” p# ÐxÑÑ ha lo stesso valore di verità di ax Ðp" ÐxÑ Ê p# ÐxÑÑ . Dimostrazione - Supponiamo che bx ÐpÐxÑÑ sia vero. Allora si può trovare un elemento a! − A per il quale pÐa! Ñ è vero; per ipotesi, anche qÐa! Ñ è vero, e dunque bx ÐqÐxÑÑ è vero. Supponiamo ora che bx ÐpÐxÑÑ sia falso. Allora per ogni a − A pÐaÑ è falso, e quindi anche qÐaÑ è falso; dunque bx ÐqÐxÑÑ è falso. Supponiamo poi che ax ÐpÐxÑÑ sia vero; allora pÐaÑ è vero per ogni a − A ; per ipotesi, anche qÐaÑ è vero per ogni a − A , e dunque ax ÐqÐxÑÑ è vero. Supponiamo infine che ax ÐpÐxÑÑ sia falso. Allora si può trovare un elemento a! − A per il quale pÐa! Ñ è falso; per ipotesi, anche qÐa! Ñ è falso, e dunque ax ÐqÐxÑÑ è falso. Esercizio 2.3.10 Si provi che, qualunque sia l’insieme A , e qualunque siano i predicati pÐxÑ e qÐxÑ su A , bx ÐpÐxÑ ” qÐxÑÑ ha lo stesso valore di verità di Ðbx ÐpÐxÑÑÑ ” Ðbx ÐqÐxÑÑÑ e ax ÐpÐxÑ • qÐxÑÑ ha lo stesso valore di verità di Ðax ÐpÐxÑÑÑ • Ðax ÐqÐxÑÑÑ . Si osservi poi, scegliendo opportunamente due predicati pÐxÑ e qÐxÑ su , che in generale bx ÐpÐxÑ • qÐxÑÑ non ha lo stesso valore di verità di Ðbx ÐpÐxÑÑÑ • Ðbx ÐqÐxÑÑÑ e ax ÐpÐxÑ ” qÐxÑÑ non ha lo stesso valore di verità di Ðax ÐpÐxÑÑÑ ” Ðax ÐqÐxÑÑÑ . Le osservazioni che abbiamo fatto nelle sezioni 2.2 e 2.3, e in particolare 2.2.5, 2.2.6, 2.2.7, 2.3.6, 2.3.7 e 2.3.9, ci permettono di semplificare utilmente espressioni logiche anche complesse. Esempio 2.3.11 Si ha la seguente catena di proposizioni che hanno a due a due lo stesso valore di verità: cÐbxÐpÐxÑ • ÐcqÐxÑÑÑÑ µ axÐcÐpÐxÑ • ÐcqÐxÑÑÑÑÑ µ µ axÐÐcpÐxÑÑ ” ÐcÐcqÐxÑÑÑÑ µ axÐÐcpÐxÑÑ ” ÐqÐxÑÑÑ µ axÐpÐxÑ Ê qÐxÑÑ . La nozione di “proposizione aperta (o predicato) con variabile libera x su un insieme” si estende al caso in cui vi siano più variabili, anche con la possibilità che queste assumano valori su insiemi diversi . Resta essenziale che valga la seguente regola: se pÐx" , x# , ... , x8 Ñ è una proposizione aperta con variabili libere x" su A" , x# su A# , ... , x8 su A8 , deve esistere un criterio che per ogni a3 − A3 permette di ricavare da pÐx" , x# , ... , x8 Ñ una proposizione pÐa" , a# , ... , a8 Ñ . Una proposizione aperta con due Òrisp. treÓ variabili libere si dice anche predicato binario Òrisp. ternarioÓ Esempio 2.3.12 Sono predicati binari con variabili libere x su e n su : Ð1 xÑn 1 nx ; x(n2) œ xn x2 . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 21 Mediante l’uso dei quantificatori (con regole del tutto analoghe a quelle già viste) da predicati con n variabili libere si possono ottenere proposizioni aperte con un numero inferiore di variabili libere o addirittura enunciati. Esempio 2.3.13 Dalla proposizione aperta su xyœ5 si ricavano i seguenti predicati su axÐx y œ 5Ñ ; ayÐx y œ 5Ñ ; bxÐx y œ 5Ñ ; byÐx y œ 5Ñ e i seguenti enunciati su axayÐx y œ 5Ñ ; ayaxÐx y œ 5Ñ ; axbyÐx y œ 5Ñ ; aybxÐx y œ 5Ñ ; bxayÐx y œ 5Ñ ; byaxÐx y œ 5Ñ ; bxbyÐx y œ 5Ñ ; bybxÐx y œ 5Ñ dei quali i primi sei sono falsi e gli ultimi due sono veri. Osservazione 2.3.14 Si noti che in generale è essenziale l’ordine in cui si scrivono i quantificatori. Per esempio, se pÐx , yÑ è un predicato binario su un insieme A qualunque, si ha che axay pÐx , yÑ µ ayax pÐx , yÑ e bxby pÐx , yÑ µ bybx pÐx , yÑ mentre axby pÐx , yÑ non ha in generale lo stesso valore di verità di byax pÐx , yÑ e aybx pÐx , yÑ non ha in generale lo stesso valore di verità di bxay pÐx , yÑ . Esempio 2.3.15 La axby Ðx yÑ è vera in , mentre la byax Ðx yÑ è falsa in ; analogamente, la è falsa in , mentre la aybx Ðx yÑ è vera in . Essendo falsa la byax Ðx yÑ , è necessariamente vera la sua negazione. Ricordiamo che cÐbyax Ðx yÑÑ µ ayÐcÐaxÐx yÑÑÑ µ aybxÐcÐx yÑÑ µ aybxÐx yÑ ; in effetti, la proposizione a y b x Ð x yÑ è vera. Esercizio 2.3.16 Per ciscuno dei seguenti enunciati, si dica se è vero o falso in , in ™ e in : axbyÐx y œ 6Ñ ; axayÐx y œ 6Ñ ; bxayÐx y œ 6Ñ ; bxbyÐx y œ 6Ñ ; axbyÐxy œ 6Ñ ; axayÐxy œ 6Ñ ; bxayÐxy œ 6Ñ ; bxbyÐxy œ 6Ñ ; axbyÐxy œ 0Ñ ; axayÐxy œ 0Ñ ; bxayÐxy œ 0Ñ ; bxbyÐxy œ 0Ñ . bxay Ðx yÑ Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 22 2.4 - I teoremi, e come si dimostrano. Chiamiamo “teorema” una proposizione vera. Molto spesso un teorema è un enunciato della forma Ðax − AÑÐHpÐxÑ Ê ThÐxÑÑ dove HpÐxÑ e ThÐxÑ sono proposizioni aperte dette rispettivamente ipotesi e tesi del teorema; l’insieme A si dice talvolta ambito di validità del teorema . Un teorema di questa forma si esprime anche dicendo che HpÐxÑ è condizione sufficiente per ThÐxÑ oppure, equivalentemente, che ThÐxÑ è condizione necessaria per HpÐxÑ ; si dice anche che ThÐxÑ se HpÐxÑ oppure che HpÐxÑ solo se ThÐxÑ . Esempio 2.4.1 Ðax − ™Ñ ÐÐx è multiplo di 4Ñ Ê Ðx è pariÑÑ è un teorema (cfr. esercizio 2.3.4) . L’ipotesi è HpÐxÑ ³ “x è multiplo di 4” ; la tesi è ThÐxÑ ³ “x è pari” . L’ambito di validità del teorema è ™ (di fatto, fra gli insiemi numerici che conosciamo, ™ è “il più ampio” in cui si usino le nozioni di “multiplo” e “pari”). Il teorema può essere enunciato nei seguenti modi, tutti equivalenti anche se non tutti ugualmente espressivi: Se un numero è multiplo di 4 allora è pari. Essere multiplo di 4 è condizione sufficiente per essere pari. Essere pari è condizione necessaria per essere multiplo di 4. Un numero è pari se è multiplo di 4. Un numero è multiplo di 4 solo se è pari. Talvolta un teorema è invece della forma Ðax − AÑÐPÐxÑ Í QÐxÑÑ e si esprime dicendo che PÐxÑ è condizione necessaria e sufficiente per QÐxÑ o anche che QÐxÑ se e solo se PÐxÑ . Ricordando il significato del simbolo Í e quanto visto in 2.3.10, un teorema di questa forma si trasforma in Ðax − AÑÐPÐxÑ Ê QÐxÑÑ • Ðax − AÑÐQÐxÑ Ê PÐxÑÑ e quindi si dimostra assumendo prima come ipotesi PÐxÑ e come tesi QÐxÑ , poi come ipotesi QÐxÑ e come tesi PÐxÑ . Esempio 2.4.2 Ðax − Ñ ÐÐx œ 0Ñ Í Ðx# œ 0ÑÑ è un teorema che si può esprimere così: Condizione necessaria e sufficiente perché il quadrato di un numero sia 0 è che il numero stesso sia 0 . Oppure, equivalentemente: Il quadrato di un numero è 0 sse il numero stesso è 0 . L’ambito di validità del teorema è ; quando avremo introdotto l’insieme ‘ dei numeri reali, vedremo che anche in ‘ vale un analogo teorema; invece in (ad esempio) ™% il quadrato di un numero diverso da zero può essere zero (cfr. 8.6.6). Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 23 Vediamo dunque come si può dimostrare che Ðax − AÑÐHpÐxÑ Ê ThÐxÑÑ . Sia a − A . Per quanto osservato in 2.2.4, per dimostrare che HpÐaÑ Ê ThÐaÑ basta provare per certe opportune “proposizioni intermedie” p" ÐaÑ , p# ÐaÑ , á , p8 ÐaÑ che HpÐaÑ Ê p" ÐaÑ , p" ÐaÑ Ê p# ÐaÑ , á , p8 ÐaÑ Ê ThÐaÑ . Tuttavia, è qualche volta preferibile dimostrare non direttamente il teorema ma un enunciato che ha lo stesso valore di verità; ad esempio, ricordando 2.2.7 e 2.3.9, anziché Ðax − AÑÐHpÐxÑ Ê ThÐxÑÑ si può dimostrare Ðax − AÑÐÐcThÐxÑÑ Ê ÐcHpÐxÑÑÑ . Un caso particolarmente importante è quello delle dimostrazioni per assurdo. Per dimostrare che è vera una proposizione !, si procede talvolta come segue. Sia f una proposizione falsa; se è vera la Ðc!Ñ Ê f allora è certamente vera ! . Infatti per quanto abbiamo convenuto la proposizione Ðc!Ñ Ê f è vera se e soltanto se c! è falsa oppure f è vera; essendo f falsa, se è vera la proposizione Ðc!Ñ Ê f deve essere falsa la Ðc!Ñ e dunque deve essere vera ! . Si noti che nel caso che ! sia della forma Ðax − AÑÐHpÐxÑ Ê ThÐxÑÑ per il teorema 2.3.6 la c! ha lo stesso valore di verità di Ðbx − AÑÐcÐHpÐxÑ Ê ThÐxÑÑÑ e dunque (cfr. esercizio 2.2.7) anche di Ðbx − AÑÐHpÐxÑ • ÐcThÐxÑÑÑ. “Tradotto” in linguaggio corrente ciò significa che per dimostrare che è vera la Ðax − AÑÐHpÐxÑ Ê ThÐxÑÑ si può procedere come segue: si suppone che esista un x − A per il quale è vera HpÐxÑ e non è vera ThÐxÑ, e se ne deduce la verità di una opportuna proposizione falsa f . Si noti comunque che, in generale, in un teorema possono intervenire più variabili; dunque quanto detto sopra va riferito con gli opportuni adattamenti anche a enunciati della forma Ðax" − A" ÑÐax# − A# Ñá Ðax8 − A8 ÑÐHpÐx" , x# ,á x8 Ñ Ê ThÐx" , x# ,á x8 ÑÑ . Osservazione 2.4.3 Nelle sezioni 2.2 e 2.3 abbiamo introdotto regole sintattiche piuttosto precise per la costruzione di proposizioni mediante l’uso di connettivi e quantificatori. Se però nel seguito di questi appunti formalizzassimo le definizioni e gli enunciati dei teoremi con lo stesso rigore, la lettura risulterebbe più pesante del necessario e in definitiva si perderebbe chiarezza. Limiteremo perciò l’effettiva adozione dei simboli logici, accettandone per di più un uso “discorsivo” : ad esempio, scriveremo ÐxyÑz œ xÐyzÑ a x, y, z − ™ anziché, come rigorosamente si dovrebbe, Ðax − ™ÑÐay − ™ÑÐaz − ™ÑÐÐxyÑz œ xÐyzÑÑ . Sarà però un utile esercizio per il lettore scriversi ogni tanto la formulazione rigorosa degli enunciati che incontra; e ciò sarà comunque particolarmente opportuno nei casi in qualche modo problematici; ad esempio, quando si vogliano applicare le regole viste in 2.2 e 2.3 per ricavare equivalenze logiche, anche alla luce di quel che si è detto in questa sezione sulla dimostrazione dei teoremi. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 24 2.5 - Dimostrazioni per induzione. Supponiamo di dover provare che un predicato P(8Ñ è vero per ogni numero naturale 8. Si tratta in sostanza di dimostrare che l’insieme A dei numeri naturali n per i quali PÐ8Ñ è vero coincide con ; a tale scopo, per l’assioma (P3) di 1.5, basta mostrare che - 0 − A, ossia PÐ0Ñ è vero; e che - se 5 − A allora anche il successivo di 5 appartiene ad A, ossia: supposto vero PÐ5Ñ (la cosiddetta ipotesi di induzione), allora PÐ5 1Ñ è vero. Esempio 2.5.1 8(81) 2 Dimostriamo per induzione su 8 che la somma dei numeri naturali non superiori a 8 è . Dimostrazione - L’affermazione è chiaramente vera per 8 œ 0. Supponiamo allora (ipotesi di induzione) 1) che sia 0 1 2 á 5 œ 5(5 2 e dimostriamo che 0 1 2 á 5 (5 1) œ (51)(2 52) . In effetti, 1) 0 1 2 á 5 (5 1) œ 5(5 (5 1) œ 5(51)2 2(51) œ 2 (51)(52) 2 . Esempio 2.5.2 Dimostriamo per induzione su 8 che la somma dei quadrati dei numeri naturali non superiori a 8 è 8(81)(281) . 6 Dimostrazione - L’affermazione è chiaramente vera per 8 œ 0. Supponiamo allora (ipotesi di induzione) 51) che sia 0# 1# 2# á 5 # œ 5(51)(2 6 0# 1# 2# á 5 # (5 1)# œ e dimostriamo che (51)(52)(253) . 6 In effetti, 0# 1# 2# á 5 # (5 1)# œ œ 5 (51)(251)6(51)# 6 œ 5 (51)(251) 6 (51)[(25 # 5656)] 6 œ (5 1)# œ (51)(52)(253) . 6 Esercizio 2.5.3 Si dimostri che la somma dei cubi dei numeri naturali non superiori a 8 è 8# (81)# . 4 Esercizio 2.5.4 Si dimostri che la somma dei cubi di tre numeri naturali consecutivi è sempre divisibile per 9 (Suggerimento: si dimostri che 8$ Ð8 1Ñ$ Ð8 2Ñ$ œ 92 con 2 opportuno numero naturale, procedendo per induzione su 8Ñ. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 25 Talvolta si deve considerare un predicato PÐ8Ñ che è vero solo per 8 8! (8! numero naturale fissato). Si può applicare ugualmente il principio di induzione considerando il predicato P" Ð8Ñ œ PÐ8 8! Ñ; ciò significa dover mostrare che - PÐ8! Ñ è vero; - supposto vero PÐ5Ñ, allora PÐ5 1Ñ è vero. Esercizi [*] 2.5.5 Si precisi, procedendo per induzione, la dimostrazione del teorema 1.11.10 . 2.5.6 Si precisi, procedendo per induzione, la dimostrazione del teorema 1.11.17 . 2.5.7 Si dimostri, procedendo per induzione, la (æ) del teorema 1.11.19 . Esercizio [*] 2.5.8 Trovare l’errore nella dimostrazione del seguente falso teorema. “Comunque presi 8 numeri naturali +" , +# , á , +8 , si ha +" œ +# œ á œ +8 .” (Falsa) dimostrazione - Procediamo per induzione su 8. Se 8 œ 1, si deve provare che +" œ +" , e questo è ovvio. Supponiamo allora (ipotesi di induzione) che per ogni insieme di 5 numeri naturali +" , +# , á , +5 si abbia +" œ +# œ á œ +5 , e proviamo che comunque scelti 5 1 numeri naturali ," , ,# , á , ,5" si ha ," œ ,# œ á œ ,5" . Siano dunque dati ," , ,# , á , ,5" ; applicando l’ipotesi di induzione ai 5 numeri naturali ," , ,# , á , ,5 , si ha che ," œ ,# œ á œ ,5 ; applicando ancora l’ipotesi di induzione ai 5 numeri naturali ,# , á , ,5 , ,5" , si ha che ,# œ á œ ,5 œ ,5" ; dunque gli elementi dell’insieme sono tutti uguali a (tanto per fissare le idee) ,5 , e quindi sono tutti uguali fra loro, come si voleva dimostrare. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 26 3.- COME SI DEFINISCE UN INSIEME 3.1 - Introduzione. In questa sezione stabiliamo le “regole del gioco” per quando parliamo di insiemi, fissando quattro modi per indicarli. Ciò è importante non solo per esigenze di chiarezza, ma anche perché postuliamo “a priori” una volta per tutte l’esistenza di ogni insieme definito con tali criteri. Si dimostra che la teoria così costruita non è contraddittoria. 3.2 - Definizione mediante elenco degli elementi. Accetteremo di definire un insieme indicandone tra parentesi graffe tutti gli elementi Ð12Ñ separati da virgole (si ricordi che abbiamo stabilito che un insieme è completamente caratterizzato dai suoi elementi). Ad esempio, se a" , a# , á , a8 sono tutti e soli gli elementi dell’insieme A, scriveremo A œ Öa" , a# , á , a8 × . Si noti che questo tipo di definizione può essere adottato solo per gli insiemi che hanno un numero finito di elementi. Esempi 3.2.1 3.2.2 3.2.3 3.2.4 A œ Ö1, 5, 23, 49, 76× ; y B) ; B œ Ö, , ™× (si osservi che − B ma § C œ Ö5, 37, , × ; D œ Ö, Ö××. Gli insiemi , Ö×, ÖÖ××, ÖÖÖ×××, á sono tutti distinti fra loro. 3.3 - Definizione mediante una proprietà caratteristica. Sia B un insieme. Accetteremo di definire un sottoinsieme A di B specificando una proprietà che ne caratterizza gli elementi fra tutti gli elementi di B. Precisamente, se pÐxÑ è una proposizione aperta con variabile libera x su B (cfr. 2.3) , scriveremo A œ Öx − B / pÐxÑ× (si legge: A è l’insieme degli x appartenenti a B tali che pÐxÑ) per indicare il sottoinsieme di B formato da tutti e soli gli elementi per i quali pÐxÑ è vera. Come vedremo (3.3.3), è essenziale che A sia “immerso” in un insieme B già definito. Esempio 3.3.1 L’insieme dei numeri naturali il cui quadrato non supera 200 può essere indicato scrivendo Öx − / x# Ÿ 200×. 12 che possono essere elementi di insiemi già definiti, oppure insiemi essi stessi. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 27 Teorema 3.3.2 Esiste un (unico) insieme che non ha elementi; esso si dice insieme vuoto e si indica con g. Per ogni insieme I, si ha g § I. Dimostrazione - Sia A un qualunque insieme; allora l’insieme g ³ Öx − A / x Á x× è definito come convenuto in 3.3) e non ha elementi (perché x Á x è falso qualunque sia x ). esiste (perché Sia ora I un insieme. Dobbiamo provare che g § I , ossia che Ðax − gÑÐx − IÑ . Per quanto visto nelle osservazioni 2.2.5 e 2.3.6, questo enunciato ha lo stesso valore di verità di cÐcÐÐax − gÑÐx − IÑÑÑ e di cÐÐbx − gÑÐx  IÑÑ . Ma quest’ultima proposizione è certamente vera, perché in g non ci sono elementi. In particolare, esiste un solo insieme vuoto (anche se può essere definito come sopra a partire da insiemi A diversi). Un insieme distinto da g sarà detto non vuoto. Teorema 3.3.3 Non esiste un “insieme di tutti gli insiemi”, cioè: non esiste un insieme di cui ogni insieme sia elemento. Dimostrazione - Sia per assurdo U l’insieme di tutti gli insiemi, e si consideri A œ ÖX − U / X  X × . Se fosse A − A, per definizione di A sarebbe A  A, e ciò è assurdo. Allora A  A; ma poiché A − U ne segue A − A, assurdo. Se si accetta il postulato di esistenza degli insiemi definiti come in 3.3, bisogna dunque negare l’esistenza dell’insieme U. Lo stesso paradosso, dovuto a B. Russel, mostra perché nella definizione di A mediante una proprietà caratteristica abbiamo dovuto chiedere che A fosse sottoinsieme di un insieme X. Esercizio [*] 3.3.4 Fissato un insieme B, si consideri A œ ÖX − B / X  X×. Perché non c’è contraddizione? Può essere A − A? Può essere A  A? Può essere A − B? 3.4 - Definizione come unione di insiemi già definiti. Sia \ un insieme di insiemi. Esiste un insieme i cui elementi sono tutti e soli gli elementi degli insiemi che appartengono a \ . Tale insieme si indica con \ e si dice unione degli insiemi che costituiscono \ : ci tornereno sopra in 3.6. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 28 3.5 - L’insieme delle parti. Sia A un insieme. Esiste un insieme i cui elementi sono tutti (e soli) i sottoinsiemi di A; esso si indica con c (A) e si dice insieme delle parti di A. Si osservi che, per ogni insieme A, a c (A) appartengono g e A. Esempio 3.5.1 Sia A œ Ö1,2,3×. Allora c(A) œ Ö A, Ö1,2×, Ö1,3×, Ö2,3×, Ö1×, Ö2×, Ö3×, g×. 3.6 - Unione, intersezione, differenza. Siano A, B insiemi. Si dice unione di A e B, e si indica con A B, l’insieme i cui elementi sono tutti e soli gli elementi di A e gli elementi di B. Con la notazione introdotta in 3.4: A B œ ÖA,B×. Si dice intersezione di A e B, e si indica con A B, l’insieme degli elementi di A che appartengono anche a B. Con la notazione introdotta in 3.3: A B œ Öx − A / x − B×. Se A B œ g, A e B si dicono disgiunti. Si dice differenza di A e B, e si indica con AÏB, l’insieme degli elementi di A che non appartengono a B. Con la notazione introdotta in 3.3: AÏB œ Öx − A / x  B×. Se B § A, l’insieme AÏB viene detto anche complementare di B in A, ed è indicato (purché tale notazione non dia luogo ad equivoci) con B c . Esempio 3.6.1 Siano A œ Ö1, 2, 3×, B œ Ö2, 4, 6, 8×. Allora A B œ Ö1, 2, 3, 4, 6, 8×, A B œ Ö2× e AÏB œ Ö1, 3×. Esempio 3.6.2 Siano A l’insieme dei triangoli e B l’insieme dei rettangoli (entrambi sottoinsiemi del piano euclideo). Allora A B œ g. Esercizi Siano A, B, C sottoinsiemi dell’insieme I. Si dimostrino le seguenti uguaglianze: 3.6.3 A B œ B A ; 3.6.4 (A B) C œ A (B C) ; 3.6.5 A (B C) œ (A B) (A C) ; 3.6.6 A (A B) œ A ; 3.6.7 (A B) c œ A c B c ; 3.6.8 (A B)Ï(A B) œ (AÏB) (BÏA). Valgono le uguaglianze che si ottengono dalle precedenti scambiando con ? Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 29 Esercizi Siano A, B, C sottoinsiemi dell’insieme I. Si dimostrino le seguenti uguaglianze: 3.6.9 A B c œ AÏB ; 3.6.10 AÏ(AÏB) œ A B ; 3.6.11 A (BÏC) œ (A B)Ï(A C) ; Valgono le uguaglianza che si ottengono dalle precedenti scambiando con ? 3.7 - Unione e intersezione di una famiglia di insiemi. Partizioni. Un insieme di insiemi si dice anche una famiglia di insiemi. Abbiamo definito in 3.4 l’unione di una famiglia di insiemi; in modo analogo si definisce l’intersezione di una famiglia non vuota di insiemi (l’esistenza dell’insieme intersezione è garantita dal fatto che esso si può definire secondo la regola fissata in 3.3 come l’insieme degli elementi di un insieme della famiglia che appartengono anche a tutti gli altri insiemi della famiglia). Sia A un insieme. Una famiglia di sottoinsiemi non vuoti di A (eventualmente anche in numero infinito) si dice una partizione di A se essi sono a due a due disgiunti e la loro unione è A. Esempio 3.7.1 Un fascio di rette parallele è una partizione del piano. 3.8 - Prodotto cartesiano. Siano A, B insiemi. Se a − A e b − B, sappiamo (per quanto convenuto in 3.2) che possiamo considerare l’insieme Öa, b× ( § A B); spesso è però opportuno considerare un ente che sia caratterizzato non solo dai suoi elementi ma anche dall’ordine in cui si considerano: tale ente si dice coppia ordinata Ð13Ñ con prima componente a e seconda componente b, e si indica con (a, b). Si noti che - se a, a’ − A e b, b’ − B, si ha (a, b) œ (a’, b’) se e solo se a œ a’ e b œ b’; in particolare: - se a Á b, si ha sempre (a, b) Á (b, a). L’insieme di tutte le coppie ordinate (a, b) con a − A e b − B si dice prodotto cartesiano Ð14Ñ di A per B e si indica con A ‚ B. Esempio 3.8.1 Sia A œ Ö1, 2, 3× e B œ Ö0, 1×. Si ha A ‚ B œ Ö(1, 0), (1, 1), (2, 0), (2, 1), (3, 0), (3, 1)×. 13 La definizione rigorosa di coppia ordinata è la seguente: (a, b) ³ ÖÖa, b×, a×. conto della nota precedente, il lettore attento potrà osservare che A ‚ B è un sottoinsieme di c (c (A B)), e quindi può essere definito come in 3.3; ciò, assieme a quanto postulato in 3.5, ne garantisce l' esistenza. 14 Tenendo Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 30 3.9 - 8 ple ordinate. Matrici. Come si è fatto in 3.8 per la coppia ordinata, si può considerare un ente caratterizzato da 3, 4, á , n elementi, detti componenti (appartenenti a certi insiemi prefissati), e dall’ordine in cui questi vengono considerati: si parla rispettivamente di terna ordinata, quaterna ordinata, á , 8 pla ordinata. Si tratta in sostanza di iterare il procedimento di costruzione delle coppie ordinate. Siano A" , A# , A$ insiemi e siano a" − A" , a# − A# , a$ − A$ : la terna ordinata individuata da a" , a# , a$ (in questo ordine) si indica con (a" , a# , a$ ) e non è altro che l’elemento ((a" , a# ), a$ ) dell’insieme (A" ‚ A# ) ‚ A$ (che, per semplicità, si indica a sua volta con A" ‚ A# ‚ A$ ). Particolare importanza rivestirò per noi il caso delle 8 ple ordinate di elementi di uno stesso insieme A (l’insieme di tali 8 ple si indica con A8 ). Sia A un insieme, e siano 7, 8 numeri interi positivi. Si dice matrice 7 ‚ 8 a elementi in A una 7 pla ordinata di 8 ple ordinate di elementi di A, ossia un elemento di (A8 )7 . Una matrice 7 ‚ 8 potrebbe essere identificata con una 78 pla ordinata; in pratica, quando si parla di matrice gli elementi vengono scritti in una “tabella” Î a"ß" Ð a#ß" Ð á Ï a7ß" a"ß# a#ß# á a7ß# á á á á a"ß8 Ñ a#ß8 Ó Ó á a7ß8 Ò nella quale si evidenziano le 8 ple ordinate (a"ß" , a"ß# , á , a"ß8 ), á , (a#ß" , a#ß# , á , a#ß8 ), á , (a7ß" , a7ß# , á , a7ß8 ), dette righe della matrice, e le 7 ple ordinate (a"ß" , a#ß" , á , a7ß" ), á , (a"ß# , a#ß# , á , a7ß# ), á , (a"ß8 , a#ß8 , á , a7ß8 ), dette colonne della matrice. Sinteticamente, la matrice di termine generico a3ß4 si indica con Ða3ß4 Ñ; le sue righe si indicano con a"߇ , a#߇ , á , a7߇ e le sue colonne con a‡ß" , a‡ß# , á , a‡ß8 . L’insieme di tutte le matrici 7 ‚ 8 a elementi in A si indica con A7ß8 . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 31 4.- FUNZIONI 4.1 - Relazioni. Siano A, B insiemi. Si dice relazione tra A e B un sottoinsieme del prodotto cartesiano A ‚ B. Sia 4 una relazione tra A e B, cioè sia 4 § A ‚ B ; se (a, b) − 4 , si dice che gli elementi a (di A) e b (di B) sono in relazione, e si scrive a4 b . In pratica si usa sempre la notazione a4 b anziché (a, b) − 4 . Intuitivamente, una relazione tra A e B è una “legge” che a ogni elemento di A associa qualche elemento di B (eventualmente nessuno). Esempio 4.1.1 Siano A ³ Ö2, 3, 5, 7, 11, 13, 17, 19, 23, 29, 31, 37, 41, 43, 47, 53, 59, 61, 67, 71, 73, 79, 83, 89, 97, 101× ; B ³ Ö8 − Î 1 Ÿ 8 Ÿ 100× . Si ponga per p − A e n − B p4 n se e solo se p è un divisore di n . Si è così definita una relazione 4 tra A e B ; si noti che alcuni elementi di A sono in relazione con un solo elemento di B (è quanto accade considerando p ³ 53, 59, á , 97), altri (p ³ 37, 41, 43, 47) con due, altri (p ³ 29, 31) con tre, ecc.. L’elemento 2 di A è in relazione con 50 elementi di B ; l’elemento 101 di A non è in relazione con alcun elemento di B . Inoltre: più elementi di A possono essere in relazione con gli stessi elementi di B (2, 3, 5 sono tutti in relazione con 30, 60 e 90) . Esempio 4.1.2 Sia A un insieme, e si ponga per a − A e X © A a4 X se e solo se a − X . Si è così definita una relazione 4 tra A e c (A) . 4.2 - Funzioni. Siano A, B insiemi. Una relazione f tra A e B si dice una funzione (o applicazione) da A in B se per ogni a − A esiste al più un b − B tale che afb, cioè se ogni elemento di A è in relazione (secondo f) con al più un elemento di B. Ciò si esprime scrivendo f : A Ä B. Intuitivamente, una funzione da A in B è una “legge” che a certi elementi di A associa uno e un solo elemento di B (e ai restanti elementi di A non associa niente). Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 32 Esempio 4.2.1 Sia A l’insieme dei numeri razionali positivi, e sia B l’insieme dei numeri naturali. La “legge” che al numero razionale 7 8 associa il numero naturale m n non è una funzione Ä (si dice anche, impropriamente, che non è ben definita come funzione). Infatti, ad esempio, al numero razionale #$ (che si può ) scrivere anche %' , '* , "# , ecc.) vengono associati non solo il numero naturale 5 ( œ 2 3) ma anche i numeri naturali 10 ( œ 4 6), 15 ( œ 6 9), 20 ( œ 8 12), ecc.. La legge considerata fornisce invece un esempio significativo di relazione tra e ; oppure individua una funzione dall’insieme delle frazioni in . 4.3 - Dominio. Immagine, immagine inversa. Punti fissi. Sia f una funzione da A in B. L’insieme degli elementi di A che sono in relazione (secondo f) con un elemento di B si dice dominio di f, e si indica con W(f). Per ogni a − W(f), l’(unico) elemento b di B tale che afb si indica con f(a); si dice che b proviene da a (o anche che b è l’immagine di a) mediante f. Si scrive sempre f(a) œ b anziché afb. Se A" § A, si dice immagine di A" (mediante f) il sottoinsieme f(A" ) di B formato dalle immagini (mediante f) degli elementi di A" ; con la notazione di 3.3, f(A" ) œ Öb − B / b œ f(a) per qualche a − A" ×. Si noti che può essere f(A" ) œ g (ciò avviene se e solo se nessun elemento di A" appartiene a W(f) ). L’immagine f(A) di A (che coincide ovviamente con l’immagine del dominio di f) si dice anche semplicemente immagine di f . Se B" § B, si dice immagine inversa di B" (mediante f) il sottoinsieme f " (B" ) di A formato dagli elementi le cui immagini (mediante f) appartengono a B" ; con la notazione di 3.3, f " (B" ) œ Öa − A / f(a) − B" ×. Sia B œ A , cioè sia f una funzione da A in A. Un elemento a di A si dice un punto fisso per f se f(a) œ a . Esempio 4.3.1 Sia f:™ Ä la funzione che al numero intero 8 associa (se esiste) il reciproco del quadrato di 8. Ciò si indica con l’espressione f(n) ³ n1# . Si ha che: (3) il dominio di f è ™ÏÖ0×; (33) l’immagine di f è un insieme di numeri razionali compresi fra 0 e 1; (333) posto A" ³ Ö8 − ™/ 2 Ÿ 8 Ÿ +2×, si ha f(A" ) œ Ö1, "% ×; (3@) posto B" ³ Ö8 − /8 1×, si ha f " (B" ) œ Ö 1, +1×. Esercizi [*] Sia f:A Ä B, e siano A" , A# § W(f). Si dimostri che: 4.3.2 ÐA" § A# Ñ Ê Ðf(A" ) § f(A# )Ñ ; 4.3.3 f(A" A# ) œ f(A" ) f(A# ) ; 4.3.4 f(A" A# ) § f(A" ) f(A# ). Si mostri inoltre con un esempio che può essere f(A" A# ) § Á f(A" ) f(A# ). Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 33 4.4 - Iniettività e suriettività. Siano A, B insiemi, e sia f:A Ä B. Se per ogni b − B esiste almeno un a − A tale che f(a) œ b (cioè se ogni elemento di B proviene mediante f da almeno un elemento di A; ossia se f(A) œ B), f si dice suriettiva. In tal caso, si dice che f è una funzione da A su B. Se comunque presi a, a’ − W(f) con a Á a’ è f(a) Á f(a’) (ossia se comunque presi a, a’ − W(f) da f(a) œ f(a’) segue a œ a’; cioè se ogni elemento di B proviene da al più un elemento di A), f si dice iniettiva. Se f è iniettiva e suriettiva si dice che f è biiettiva (o anche che f è una biiezione). Se f è biiettiva e inoltre W(f) œ A, si dice che f è una corrispondenza biunivoca tra A e B. Una funzione iniettiva è sempre una corrispondenza biunivoca tra il proprio dominio e la propria immagine. Una corrispondenza biunivoca tra A e A si dice permutazione su A. Esempi 4.4.1 La funzione Ä che ad ogni numero associa il suo doppio è iniettiva ma non suriettiva: f() è l’insieme dei numeri naturali pari. 4.4.2 La funzione ™ Ä che ad ogni numero associa il suo valore assoluto è suriettiva ma non iniettiva. 4.4.3 Per ogni insieme A , la funzione idA : A Ä A che ad ogni elemento associa se stesso è una corrispondenza biunivoca detta funzione identica o anche identità di A . Ogni elemento di A è un punto fisso per idA . 4.4.4 La funzione Ä e che ad ogni numero naturale associa un punto di e determinato come si è detto in 1.4 e 1.6 è iniettiva, e dunque stabilisce una biiezione tra e un sottoinsieme di e. Più in generale, l’idea intuitiva di “rappresentazione sulla retta di un insieme numerico” si traduce formalmente appunto nello stabilire una biiezione tra tale insieme numerico (, ™, , á ) e un sottoinsieme di e. 4.5 - Restrizione a un sottoinsieme. Siano A, B insiemi, sia f:A Ä B e sia A" § A. Si dice restrizione di f ad A" la funzione f così definita: f A" ³ f (A" ‚ B) A" : A" Ä B (si ricordi che f è un sottoinsieme di A ‚ B). Questa definizione è molto “tecnica”, perché nella sostanza f A" opera esattamente come f (l’unica differenza è che opera solo su A" ); certe proprietà possono però essere verificate da f A" e non da f, e viceversa. Esempio 4.5.1 La funzione ™ Ä ™ che ad ogni numero associa il suo quadrato non è iniettiva né suriettiva; la sua restrizione a ™ è iniettiva ma non suriettiva. 4.6 - La funzione inversa. Siano A, B insiemi, e sia f:A Ä B iniettiva. Per ogni b − f(A), f " (Öb×) non è vuoto (per definizione di f(A)) ed è formato da al più un elemento (perché per ipotesi f è iniettiva), dunque è formato da esattamente un elemento; la legge che associa a b tale elemento è una funzione B Ä A (il cui dominio coincide con l’immagine di f) che si dice funzione inversa della f e si indica con f " . In altri termini, f " si definisce ponendo, per ogni b − f(A), f " (b) ³ l’unico elemento di f " (Öb×) " (il significato del simbolo f nell’espressione a destra è quello fissato in 4.3). Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 34 È facile vedere che f " è una corrispondenza biunivoca tra l’immagine di f e il dominio di f ; ne segue che, in particolare, l’inversa di una corrispondenza biunivoca A Ä B è una corrispondenza biunivoca B Ä A . Esempio 4.6.1 Sia f : Ä definita da f(x) ³ 1 3x5 . È facile verificare che f è iniettiva (non è invece suriettiva: 0  f()). La funzione inversa si può esprimere scrivendo f " (x) ³ 13x5x " e si ha W(f ) œ ÏÖ0×. 4.7 - Composizione di funzioni. Siano A, B, C insiemi, e siano f : A Ä B, g : B Ä C funzioni. Si dice composizione di f con g e si indica con funzione A Ä C definita ponendo (g ‰ f)(a) ³ g(f(a)) g‰f (attenzione all’ordine in cui si scrivono f e g!) la aa − A tale che f(a) − W(g) . Esempi 4.7.1 Sia f : Ä definita da f(n) ³ 1 n , e sia g : Ä definita da g(x) ³ x 2 . Si ha (g ‰ f)(n) ³ 2nn1 . 4.7.2 Sia f : Ä definita da f(n) ³ n# , e sia g: Ä definita da g(x) ³ x 1 . Si ha (g ‰ f)(n) ³ n# 1 , (f ‰ g)(n) ³ n# 2n 1 . Teorema 4.7.3 Siano A, B insiemi, e sia f : A Ä B iniettiva. Sia f " : B Ä A la funzione inversa di f definita in 4.6. Si ha f " ‰ f œ idWÐfÑ e f ‰ f " œ idf(AÑ . Dimostrazione - Sia a − WÐfÑ , e sia f(a) œ b con b − B. Allora f " (b) œ a, e dunque (f " ‰ f)(a) œ f " (f(a)) œ f " (b) œ a œ idWÐfÑ (a). Per l’arbitrarietà di a in A, si è così provato Ð15Ñ che f " ‰ f œ idWÐfÑ . Sia ora b − fÐAÑ , e sia a l’elemento di A per il quale si ha f(a) œ b . Allora f " (b) œ a , e dunque (f ‰ f " )(b) œ f(f " (b)) œ f(a) œ b œ idfÐAÑ (b) cosicché l’asserto è completamente provato. 15 Che cosa significa per due funzioni “essere uguali”? Ricordiamo le definizioni date in 4.1 e 4.2: una “funzione” è un particolare insieme di coppie ordinate. Poiche´ (cfr. 1.3) due insiemi “sono uguali” (cioè coincidono) se e solo se hanno gli stessi elementi, due funzioni -in particolare- sono uguali se e solo se sono costituite dalle stesse coppie ordinate, ossia “operano allo stesso modo” su ogni elemento dell' insieme di partenza. È importante avere ben chiaro che questa non è una definizione ad hoc di uguaglianza tra funzioni, ma solo un modo “specialistico” di esprimere la nozione di uguaglianza tra insiemi. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 35 Teorema 4.7.4 Siano A, B, C, D insiemi, e siano f:A Ä B, g:B Ä C, h:C Ä D funzioni Si ha (h ‰ g) ‰ f œ h ‰ (g ‰ f). Dimostrazione - Sia a − W((h ‰ g) ‰ f) . Allora a − W(f) e f(a) − W(h ‰ g), da cui f(a) − W(g) (cosicché a − W(g ‰ f)) e g(f(a)) − W(h). Pertanto a − W(h ‰ (g ‰ f)). Si ha inoltre ((h ‰ g) ‰ f)(a) œ (h ‰ g)(f(a)) œ h(g(f(a))) œ h((g ‰ f)(a)) œ (h ‰ (g ‰ f))(a) . Sia infine a  W((h ‰ g) ‰ f) . Allora a  W(f) oppure f(a)  W(h ‰ g), cioè f(a)  W(g) oppure g(f(a))  W(h). Se a  W(f) oppure f(a)  W(g) , è a  W(g ‰ f) ; altrimenti è (g ‰ f)(a)  W(h) . In ogni caso, a  W(h ‰ (g ‰ f)) e l’asserto è completamente provato. Esercizi Siano A, B, C insiemi, e siano f:A Ä B, g:B Ä C funzioni. Si provi che: 4.7.5 Se f, g sono biiettive, g ‰ f è biiettiva; [*] 4.7.6 Se g ‰ f è biiettiva, f è iniettiva (ma in generale non suriettiva) e g è suriettiva (ma in generale non iniettiva). Esercizio 4.7.7 Sia A un insieme, e siano f, g funzioni A Ä A ; sia a − A . Si dimostri che se a è punto fisso per f e per g allora a è punto fisso anche per g ‰ f . 4.8 - Successioni. Sia I un insieme. Una funzione da in I si dice una successione in I, oppure una successione a valori in I. Sia a una successione a valori nell’insieme I. Spesso si scrive a8 anziché a(8), e la successione si indica con la notazione (a8 ) anziché a. 4.9 - Funzione caratteristica. Sia A un insieme, e sia B un sottoinsieme di A. Si dice funzione caratteristica di B, e si indica con ;B , la funzione da A in Ö0, 1× tale che ;B (a) ³ 1 se a − B, ;B (a) ³ 0 se a  B. Si noti che W(;B ) œ A. Se A œ , ;B è una successione (che può assumere solo i valori 0 e 1). Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 36 5.- RELAZIONI DI ORDINE 5.1 - Definizioni. Sia A un insieme. Si dice relazione in A una relazione tra A e A (cioè un sottoinsieme del prodotto cartesiano A ‚ A). Sia 4 una relazione in A. Essa si dice - riflessiva sse a4 a a a − A ; - simmetrica sse a 4 b Ê b4 a a a , b − A ; - antisimmetrica sse Ða4 b • b4 aÑ Ê Ða œ bÑ a a, b − A ; - transitiva sse Ða4 b • b4 cÑ Ê Ða4 cÑ a a, b, c − A . Sia 4 una relazione in A. Due elementi a, b − A si dicono confrontabili (secondo 4 ) se si verifica almeno una delle seguenti situazioni: a4 b, b4 a . La relazione 4 si dice totale sse comunque presi a, b − A essi sono confrontabili. Esempi 5.1.1 Per ogni insieme A, la relazione “vuota” (secondo la quale nessun elemento è in relazione con alcun elemento: si tratta di g pensato come sottoinsieme di A ‚ A) è simmetrica, antisimmetrica e transitiva (ma non riflessiva). 5.1.2 La relazione 4 in definita ponendo +4 , sse ±+, ± 1 è riflessiva e simmetrica ma non transitiva. 5.1.3 La relazione 4 nell’insieme dei cerchi del piano definita ponendo V" 4V# sse l’area di V" è minore o uguale all’area di V# è riflessiva, transitiva e totale ma non simmetrica né antisimmetrica. Per quest’ultima affermazione, si osservi che se V" e V# hanno la stessa area essi sono congruenti (cfr. A1.8) ma non è in generale V" œ V# , cioè non sono in generale uguali! . 5.1.4 La relazione 4 in definita ponendo +4 , sse +, , sono entrambi pari è simmetrica e transitiva ma non riflessiva (non è infatti, ad es., 14 1). Esercizio 5.1.5 Alla luce dell’esempio 5.1.4, trovare l’errore nella dimostrazione del seguente falso teorema. “Sia A un insieme, e sia 4 una relazione in A. Se 4 è simmetrica e transitiva, è anche riflessiva.” (Falsa) dimostrazione - Dobbiamo provare che per ogni a − A è a4 a. In effetti, preso un qualunque b − A tale che a4 b, poiché 4 è simmetrica deve essere anche b4 a; poiché 4 è transitiva, da a4 b e b4 a segue a4 a, come si voleva. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 37 5.2 - Relazioni di ordine. Sia A un insieme. Una relazione in A si dice una relazione di ordine in A se è riflessiva, antisimmetrica e transitiva. Una relazione di ordine in A si indica spesso con £ oppure con Ÿ (quest’ultimo simbolo, in caso di ambiguità, è riservato alla relazione di “minore o uguale” in , ™ e , cfr. 1.6, 1.8 e 1.9). Sia £ una relazione di ordine in A , e siano a, b − A . Se a £ b , si dice che a precede b (secondo £ ) ; si usa anche la scrittura b ¤ a , che si considera equivalente. Se una relazione di ordine in A non è totale e si vuol mettere in rilievo questo fatto, si dice che è parziale. In tal caso, esistono in A almeno due elementi che non sono confrontabili. Esempi 5.2.1 L’usuale relazione di “minore o uguale” è una relazione di ordine totale in . 5.2.2 La relazione di “divisibilità” tra numeri naturali è una relazione di ordine parziale in . 5.2.3 La relazione di “inclusione” tra sottoinsiemi di un dato insieme I è una relazione di ordine parziale nell’insieme c (I) definito in 3.5. Una relazione 4 in A si dice una relazione di ordine stretto in A se è transitiva e inoltre comunque presi a, b − A si verifica al più una delle seguenti due situazioni: a4 b , oppure b4 a . Se £ è una relazione di ordine in A, la relazione ¡ in A definita ponendo a ¡ b sse a £ b e a Á b è una relazione di ordine stretto, che si dice associata a £ . Analogamente, se ¡ è una relazione di ordine stretto in A, la relazione £ in A definita ponendo a £ b sse a ¡ b oppure a œ b è una relazione di ordine, che si dice associata a ¡ . Sia £ una relazione di ordine in A, e sia ¡ la relazione di ordine stretto associata a £ : la relazione di ordine associata a ¡ coincide con £ . Viceversa, sia ¡ una relazione di ordine stretto in A, e sia £ la relazione di ordine associata a ¡ : la relazione di ordine stretto associata a £ coincide con ¡ . Ciò si esprime dicendo che il concetto di “relazione di ordine” e il concetto di “relazione di ordine stretto” sono equivalenti. 5.3 - Intervalli. Siano A un insieme e Ÿ una relazione di ordine in A. Introduciamo una notazione che sarà molto utile più avanti. Siano a, b elementi di A tali che a b. Si dicono intervalli (limitati) di estremi a, b i seguenti sottoinsiemi di A: Ða, bÑ ³ Öx − A / a x b× Ða, b] ³ Öx − A / a x Ÿ b× [a, bÑ ³ Öx − A / a Ÿ x b× [a, b] ³ Öx − A / a Ÿ x Ÿ b× (intervallo aperto) (intervallo chiuso a destra) (intervallo chiuso a sinistra) (intervallo chiuso) Si dicono intervalli illimitati i seguenti sottoinsiemi di A: Ð _, bÑ ³ Öx − A / x b× Ð _, b] ³ Öx − A / x Ÿ b× Ða, _Ñ ³ Öx − A / a x× [a, _Ñ ³ Öx − A / a Ÿ x× Ð _, _Ñ ³ A (intervallo aperto, illimitato a sinistra) (intervallo chiuso, illimitato a sinistra) (intervallo aperto, illimitato a destra) (intervallo chiuso, illimitato a destra) (intervallo aperto, illimitato a sinistra e a destra) Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 38 5.4 - Insiemi densi. Siano A un insieme, Ÿ una relazione di ordine in A, e X un sottoinsieme di A. X si dice denso in A se comunque presi a, b − A esiste x − X tale che a x b (con la notazione introdotta in 5.3, ciò significa che ogni intervallo aperto di A contiene un elemento di X). Esempio 5.4.1 L’insieme dei numeri razionali (con l’ordinaria relazione di “minore o uguale”) è denso in sé. Infatti se +, , − con + , si ha + +, 2 ,. 5.5 - Minimo e massimo. Siano A un insieme, Ÿ una relazione di ordine in A, e X un sottoinsieme di A. Un elemento m di X si dice il minimo di X, e si indica con min X, se m Ÿ x ax − X. Analogamente, un elemento M di X si dice il massimo di X, e si indica con max X, se x Ÿ M ax − X. Teorema 5.5.1 Siano A un insieme, Ÿ una relazione di ordine in A, e X un sottoinsieme di A. Se X ha un minimo [un massimo], questo è unico. Dimostrazione - Siano m, m’ minimi di X. Poiché m è minimo e m’ − X, m Ÿ m’; poiché m’ è minimo e m − X, m’ Ÿ m. Per la proprietà antisimmetrica, m œ m’ come si voleva. Analogamente si prova che se X ha un massimo questo è unico. Esempi 5.5.2 Nell’insieme dotato dell’ordinaria relazione di “minore o uguale”, l’insieme X œ Ö20, 30, 60, 80, 100× ha per minimo 20 e per massimo 100. 5.5.3 Nell’insieme dotato della relazione di “divisibilità” (cfr. esempio 5.2.2), l’insieme X œ Ö20, 30, 60, 80, 100× non ha minimo né massimo. 5.5.4 Nell’insieme dotato dell’ordinaria relazione di “minore o uguale”, l’insieme X œ ÖB − / B œ 81 , con 8 − \Ö0× × non ha minimo; il suo massimo è 1. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 39 5.6 - Limitazioni inferiori e limitazioni superiori. Siano A un insieme, Ÿ una relazione di ordine in A, e X un sottoinsieme non vuoto di A. Un elemento a di A si dice limitazione inferiore (o minorante) di X se a Ÿ x ax − X; si dice invece limitazione superiore (o maggiorante) di X se x Ÿ a ax − X. Il sottoinsieme non vuoto X di A si dice inferiormente [superiormente] limitato se esiste in A una limitazione inferiore [superiore] per X. Esempi 5.6.1 Nell’insieme dotato dell’ordinaria relazione di “minore o uguale”, il sottoinsieme formato dai multipli di 57 non è superiormente limitato. 5.6.2 Nell’insieme dotato dell’ordinaria relazione di “minore o uguale”, ogni sottoinsieme è inferiormente limitato (da 0). 5.6.3 Nell’ insieme dotato dell’ordinaria relazione di “minore o uguale”, l’insieme X œ ÖB − / B# Ÿ 2× $ è inferiormente limitato (ad es., da # ) ed è superiormente limitato (ad es., da $# ). 5.6.4 Nell’insieme dotato dell’ordinaria relazione di “minore o uguale”, l’insieme X œ ÖB − / B# 2× non è né inferiormente né superiormente limitato. 5.7 - Estremo superiore. Siano A un insieme, Ÿ una relazione di ordine in A, e X un sottoinsieme non vuoto di A superiormente limitato. Se l’insieme delle limitazioni superiori di X ha minimo, tale minimo si dice estremo superiore di X, e si indica con sup X. Dal teorema 5.5.1 segue subito che l’estremo superiore, qualora esista, è unico. Teorema 5.7.1 Siano A un insieme, Ÿ una relazione di ordine in A, e X un sottoinsieme non vuoto di A . Se X ha un massimo, questo è anche estremo superiore per X. Dimostrazione - Sia m il massimo di X. Per definizione di massimo, m è una limitazione superiore per X; dobbiamo provare che per ogni limitazione superiore a di X si ha m Ÿ a: ma ciò è ovvio (poiché m − X) per definizione di limitazione superiore. Teorema 5.7.2 Siano A un insieme, Ÿ una relazione di ordine in A, e X un sottoinsieme non vuoto di A dotato di estremo superiore. Se sup X appartiene a X, esso è il massimo di X. Dimostrazione - Sia x! l’estremo superiore di X. Poiché x! è una limitazione superiore per X, si ha che x Ÿ x! per ogni x − X; poiché per ipotesi x! − X, si ha l’asserto. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 40 I teoremi 5.7.1 e 5.7.2 suggeriscono che l’estremo superiore di X può essere assunto come “surrogato” del massimo di X quando tale massimo manca. Vedremo tuttavia (Esempio 5.7.4) che anche l’estremo superiore può mancare. Esempio 5.7.3 Nell’insieme dotato dell’ordinaria relazione di “minore o uguale”, l’insieme 8 X œ ÖB − / B œ 81 , con 8 − × ha per estremo superiore il numero 1. Dimostrazione - È chiaro che 1 è una limitazione superiore per X; resta da provare che ogni limitazione superiore per X è maggiore o uguale a 1, ossia che nessun numero razionale C strettamente minore di 1 è limitazione superiore per X. Sia dunque C − , C 1. Possiamo scrivere C œ 7 8 , con 7, 8 − , 8 Á 0, 7 8 (ossia 7 1 Ÿ 8); allora 7 27 27 Cœ 7 Ÿ 8 71 œ 272 271 27 con 271 − X, come si voleva. Esempio 5.7.4 Nell’insieme dotato dell’ordinaria relazione di “minore o uguale”, l’insieme X œ ÖB − / B# Ÿ 2× è superiormente limitato e non ha estremo superiore. Dimostrazione - Osserviamo intanto che ogni numero razionale positivo ! tale che !# 2 è una limitazione superiore per X. In effetti, da ! B con B − segue !# B# ; dunque se B − X deve essere B Ÿ !, dovendosi altrimenti avere 2 Ÿ !# Ÿ B# . sarà B#! Supponiamo ora per assurdo che esista B! œ sup X. Poiché (osservazione 1.9.1) non può essere B#! œ 2, 2 oppure B#! 2. Se B#! 2, è B! − X e dunque B! œ max X : mostriamo che ciò non è possibile, determinando & − tale che B! & − X. Se & Ÿ 1, si ha (B! &)# œ B#! 2&B! &# Ÿ B#! 2&B! & œ B#! &(2B! 1). Possiamo determinare & in modo che sia B#! &(2B! 1) œ 2 : se risulta & − (0,1], abbiamo dimostrato che B! & appartiene a X. In effetti si ha 2B# & œ 2B! !1 ; dunque & 0, perché B#! 2 per ipotesi (e B! 0). Inoltre & Ÿ 1, perché ciò significa 2 B#! Ÿ 2B! 1, ossia 1 Ÿ B! (B! 2), e questo è ovvio essendo B! 1 (infatti 1 − X). Resta da considerare la possibilità che sia B#! 2. Mostriamo che in questo caso si può determinare & − tale che B! & − e (B! &)# 2. Ciò conduce ad un assurdo, perché B! & risulta una limitazione superiore per X strettamente minore di B! . Si ha (B! &)# œ B#! 2&B! &# B#! 2&B! . B#! 2&B! œ 2 ; si trova B# 2 & œ 2!B! (e si noti che & 0 perché B#! 2 per ipotesi, e B! 0). Basta allora determinare & in modo che sia Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 41 5.8 - Estremo inferiore. Siano A un insieme, Ÿ una relazione di ordine in A, e X un sottoinsieme non vuoto di A inferiormente limitato. Se l’insieme delle limitazioni inferiori di X ha massimo, tale massimo si dice estremo inferiore di X, e si indica con inf X. Ancora dal teorema 5.5.1 segue che l’estremo inferiore, qualora esista, è unico. Teorema 5.8.1 Siano A un insieme, Ÿ una relazione di ordine in A, e X un sottoinsieme non vuoto di A . Se X ha un minimo, questo è anche estremo inferiore per X. Dimostrazione - La dimostrazione è analoga a quella del teorema 5.7.1, e si lascia al lettore come esercizio [*] . Teorema 5.8.2 Siano A un insieme, Ÿ una relazione di ordine in A, e X un sottoinsieme non vuoto di A dotato di estremo inferiore. Se inf X appartiene a X, esso è il minimo di X. Dimostrazione - La dimostrazione è analoga a quella del teorema 5.7.2, e si lascia al lettore come esercizio [*] . Esempio 5.8.3 Nell’insieme dotato dell’ordinaria relazione di “minore o uguale”, l’insieme X œ ÖB − / B œ 81 , con 8 − \Ö0× × ha per estremo inferiore il numero 0. (Cfr. esempio 5.5.4). Dimostrazione - È chiaro che 0 è una limitazione inferiore per X; resta da provare che ogni limitazione inferiore per X è minore o uguale a 0, ossia che nessun numero razionale positivo C è limitazione inferiore per X. Sia dunque C − . Possiamo scrivere C œ 7 8 , con 7, 8 − ÏÖ0×; allora Cœ con 1 28 7 8 œ 27 28 œ 27 218 1 28 − X, come si voleva. Esempio 5.8.4 Nell’insieme dotato dell’ordinaria relazione di “minore o uguale”, l’insieme X œ ÖB − / B# 2× è inferiormente limitato ma non ha estremo inferiore. (La dimostrazione è analoga a quella di 5.7.4). Esercizio 5.8.5 Nell’insieme dotato della relazione di “divisibilità” (cfr. esempio 5.2.2), si consideri l’insieme X œ Ö20, 30, 60, 80, 100× (cfr. esempio 5.5.3). Determinare (qualora esistano) estremo inferiore ed estremo superiore per X. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 42 5.9 - Completezza. Siano A un insieme e Ÿ una relazione di ordine in A. A si dice completo se ogni sottoinsieme non vuoto di A che sia superiormente limitato ha estremo superiore. Esempio 5.9.1 L’insieme ™ con l’ordinaria relazione di “minore o uguale” è completo. (In effetti, in ™ ogni sottoinsieme non vuoto che sia superiormente limitato ha massimo.) Esempio 5.9.2 L’insieme con l’ordinaria relazione di “minore o uguale” non è completo (cfr. esempio 5.8.4). Osservazione 5.9.3 È ovvio, ma importante, che proprietà quali la completezza dipendono non tanto dall’insieme che si sta considerando quanto dalla relazione d’ordine che vi si è definita (e che non è mai l’unica possibile!). Per convincersene, definiamo in una relazione d’ordine come segue: Rappresentiamo ogni elemento di con la frazione 7 8 tale che 7, 8 sono primi fra loro e 8 0 (tale frazione resta univocamente determinata da queste condizioni); diciamo altezza di 7 8 il numero naturale ± 7 ± 8. 7" 7# 7" 7" 7# # Poniamo poi 8" Ÿ 8# se e solo se l’altezza di 8" è strettamente minore dell’altezza di 7 8# oppure 8" e 8# hanno la stessa altezza e 7" Ÿ 7# (secondo l’usuale relazione d’ordine fissata in ™). È facile Ð16Ñ vedere che rispetto a questa relazione d’ordine ogni sottoinsieme non vuoto di ha minimo ; ogni sottoinsieme non vuoto di che sia superiormente limitato ha massimo (e quindi, in particolare, ha estremo superiore). Esercizio 5.9.4 L’insieme con la relazione di “divisibilità” (cfr. 5.2.2) è completo? Teorema 5.9.5 Siano A un insieme e Ÿ una relazione di ordine in A. A è completo se e solo se ogni sottoinsieme non vuoto di A che sia inferiormente limitato ha estremo inferiore. Dimostrazione - Supponiamo in primo luogo che A sia completo. Sia X un sottoinsieme non vuoto di A che sia inferiormente limitato, e proviamo che X ha estremo inferiore. Sia X‡ l’insieme delle limitazioni inferiori di X; X‡ è superiormente limitato (da ogni elemento di X) e non è vuoto (perché X è inferiormente limitato), dunque ha estremo superiore: sia esso x! . Vogliamo provare che x! è il massimo di X‡ , ossia (per il teorema 5.7.2) che x! − X‡ . In effetti, essendo x! la minima limitazione superiore di X‡ , è in particolare x! Ÿ x per ogni x − X. Resta da provare che se ogni sottoinsieme non vuoto di A inferiormente limitato ha estremo inferiore allora A è completo. La dimostrazione è del tutto analoga a quella vista sopra, e si lascia al lettore. 16 Si altezza 2. tratta in sostanza di osservare che per ogni 2 − esiste solo un numero finito di frazioni aventi Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 43 6.- RELAZIONI DI EQUIVALENZA 6.1 - Definizione. Sia A un insieme. Una relazione in A riflessiva, simmetrica e transitiva si dice una relazione di equivalenza in A. Esempi Sono esempi di relazioni di equivalenza: 6.1.1 La relazione di “equiscomponibilità” nell’insieme dei poligoni piani. 6.1.2 La relazione di “similitudine” nell’insieme delle figure piane. 6.1.3 La relazione di “parallelismo” nell’insieme delle rette del piano, definita come segue: due rette sono parallele sse coincidono oppure non hanno punti in comune. 6.1.4 In ogni insieme A, la relazione di “misantropia” che ad ogni elemento di A associa lui stesso e nessun altro (cioè: se a, b − A, a è in relazione con b sse a œ b). 6.1.5 In ogni insieme A, la relazione che ad ogni elemento di A associa tutti gli elementi di A (cioè: comunque si prendano a, b − A, a è in relazione con b). Esempio 6.1.6 Sia Y l’insieme delle frazioni Ð17Ñ. La relazione 4 in Y definita ponendo per +, , .- − Y + , 4 . sse +. œ ,è una relazione di equivalenza. Infatti: 4 è riflessiva: +, 4 +, per ogni +, − Y , perché +, œ ,+ per la proprietà commutativa del prodotto ; 4 è simmetrica: +, 4 .- Ê .- 4 +, , perché Ð+. œ ,-Ñ Ê Ð-, œ .+Ñ ; 4 è transitiva: sia infatti +, 4 .- e .- 4 0/ , cioè +. œ ,- e -0 œ ./; dalla prima uguaglianza segue +.0 œ ,-0 e da qui, tenendo conto della seconda, +.0 œ ,./; dividendo infine ambo i membri per . (che è diverso da 0 per ipotesi) si deduce che +0 œ ,/ ossia che +, 4 0/ come si voleva. Esempio 6.1.7 Altri esempi particolarmente importanti di relazioni di equivalenza sono descritti in dettaglio altrove in questi appunti, e li ricordiamo qui per completezza: la congruenza e la congruenza diretta nell’insieme delle figure piane (cfr. A1.8) ; l’equipollenza nell’insieme c ‚ c delle coppie ordinate dei punti del piano (cfr. 14.2) ; l’equivalenza fra matrici (cfr. 20.6) . 17 Ricordiamo che si dice frazione una coppia ordinata (cfr. 3.7) di numeri interi in cui la seconda componente sia diversa da 0; si conviene (cfr. 1.9) di scrivere +, anziché (+, , ). Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 44 6.2 - Classi di equivalenza. Siano A un insieme e µ una relazione di equivalenza in A. Se a − A, si dice classe di µ equivalenza di a (o anche, quando ciò non dia luogo ad equivoci, classe di equivalenza di a) il sottoinsieme [a] di A definito come segue: [ a ] œ Ö x − A / a µ x× . Osservazione 6.2.1 Per ogni a − A, si ha a − [a]. Dimostrazione - Infatti a µ a, perché µ è riflessiva. Osservazione 6.2.2 Comunque presi a, b − A, si ha [a] œ [b] se e solo se a µ b. Dimostrazione - Se [a] œ [b], poiché b − [b] (per 6.2.1) si ha b − [a] e dunque a µ b (per definizione di [a]). Viceversa, sia a µ b; dobbiamo provare che [a] § [b] e che [b] § [a]. Sia x − [a]; allora a µ x. Ma b µ a (perché a µ b per ipotesi, e µ è simmetrica) e dunque b µ x (perché µ è transitiva), cioè x − [b]. Per l’arbitrarietà di x in [a], si è provato che [a] § [b]. Sia ora x − [b]; allora b µ x. Poiché a µ b per ipotesi, e poiché µ è transitiva, si ha a µ x, cioè x − [a]. Per l’arbitrarietà di x in [b], si è così anche provato che [b] § [a] e dunque che [a] œ [b] . Osservazione 6.2.3 Sia a − A . Per ogni x − [a], è [x] œ [a]. Dimostrazione - Per definizione di [a] , se x − [a] è a µ x ; dunque [a] œ [x] per l’osservazione 6.2.2. Sia a − A . Per ogni x − [a], si dice che x rappresenta [a], o anche che x è un rappresentante di [a]. Ciò è giustificato da quanto si è visto nell’osservazione 6.2.3. Osservazione 6.2.4 Comunque presi a, b − A, se [a] Á [b] è [a] [b] œ g. Dimostrazione - Sia [a] Á [b]. Procediamo per assurdo, supponendo che esista x − [a] [b]. In tal caso a µ x (perché x − [a]) e b µ x (perché x − [b]); per 6.2.2 si ha allora [a] œ [x] œ [b], contro l’ipotesi. Osservazione 6.2.5 L’insieme delle classi di equivalenza di A è una partizione di A. Dimostrazione - Le classi di equivalenza sono a due a due disgiunte per 6.2.4; per 6.2.1 esse sono non vuote e la loro unione è A. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 45 6.3 - Insieme quoziente. Siano A un insieme e µ una relazione di equivalenza in A. L’insieme delle classi di µ equivalenza di A si dice insieme quoziente di A rispetto a µ , e si indica A A con µ . La funzione (suriettiva) 1:A Ä µ che ad ogni elemento di A associa la sua classe di equivalenza si dice A proiezione canonica di A su µ . Si noti che W(1) œ A. Se µ mette in relazione tra loro gli elementi di A che hanno in comune una certa proprietà astratta, l’insieme quoziente rappresenta intuitivamente l’insieme di tali proprietà astratte, e la proiezione canonica associa ad ogni elemento di A la specifica proprietà che gli è pertinente. Vediamo meglio in che senso ciò avviene, riesaminando gli esempi già considerati in 6.1. 6.3.1 Sia A l’insieme dei poligoni del piano, e sia µ la relazione di equiscomponibilità. La proprietà astratta comune a una classe di poligoni equiscomponibili è la “superficie”: tale concetto, in effetti, A può essere definito per i poligoni appunto per questa via. La proiezione canonica A Ä µ associa a ogni poligono la sua superficie. 6.3.2 Sia A l’insieme delle figure piane, e sia µ la relazione di similitudine. La proprietà astratta comune a una classe di figure piane simili è la “forma”. Nell’insieme quoziente elementi che rappresentano i concetti di “triangolo equilatero”, “quadrato”, “cerchio”, ecc. A µ troviamo 6.3.3 Sia A l’insieme delle rette del piano, e sia µ la relazione di parallelismo definita in 6.1.3. A L’insieme quoziente µ si dice insieme delle direzioni. 6.3.4 Sia A un insieme, e sia µ la relazione di “misantropia” definita in 6.1.4. L’insieme quoziente è (in corrispondenza biunivoca con) A. 6.3.5 Sia A un insieme, e sia µ la relazione definita in 6.1.5. L’insieme quoziente è ÖA×. 6.3.6 Sia Y l’insieme delle frazioni, e sia 4 la relazione definita in 6.1.6. L’insieme quoziente Y4 è (in corrispondenza biunivoca con) . In effetti, i numeri razionali si definiscono appunto con questo procedimento a partire dall’insieme ™ degli interi. La proiezione canonica associa a ogni frazione il numero razionale che essa rappresenta. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 46 6.4 - Le classi di resto. In tutta la sezione 6.4 supporremo fissato un numero intero positivo 8. Siano +, , − ™ ; si dice che + è congruo , modulo 8 e si scrive + ´ , Ðmod 8Ñ sse Ðb5 − ™ÑÐ+ , œ 58Ñ , ossia sse + , è multiplo di 8 . Si è così definita una relazione in ™, detta “congruenza modulo 8”. Tale relazione è stata studiata fin dall’antichità: sono celebri le opere in proposito del matematico ellenista Diofanto, vissuto nel terzo secolo d. C. . Teorema 6.4.1 La congruenza modulo 8 è una relazione di equivalenza in ™. Dimostrazione - In primo luogo, la congruenza modulo 8 è riflessiva, ossia + − ™ : infatti, + + œ 0 † 8 con 0 − ™. + ´ + (mod 8) per ogni Inoltre, la congruenza modulo 8 è simmetrica: siano +, , − ™ tali che + ´ , (mod 8) e proviamo che , ´ + (mod 8). In effetti, se + ´ , (mod 8) esiste 5 − ™ tale che + , œ 58 ; ma allora , + œ ( 5 )8 con 5 − ™, e dunque , ´ + (mod 8). Infine, la congruenza modulo 8 è transitiva: siano +, ,, - − ™ tali che + ´ , (mod 8) e ,´(mod 8), e proviamo che + ´ - (mod 8). In effetti, se + ´ , (mod 8) esiste 5" − ™ tale che + , œ 5" 8 ; se , ´ - (mod 8) esiste 5# − ™ tale che , - œ 5# 8 ; ma allora + - œ (+ , ) (, - ) œ 5" 8 5# 8 œ (5" 5# ) † 8 con 5" 5# − ™, e dunque + ´ - (mod 8). Per quanto provato nel teorema 6.4.1, se + ´ , (mod 8) si può dire che +, , sono congrui modulo 8 senza porre attenzione all’ordine in cui si citano + e , . Esercizio 6.4.2 Trovare due numeri interi che sono congrui modulo 5 ma non sono congrui modulo 10. Esistono due numeri interi che siano congrui modulo 10 ma non siano congrui modulo 5 ? Teorema 6.4.3 Sia + − ™, e sia < il resto della divisione euclidea di + per 8. Allora + ´ < (mod 8). Dimostrazione - Per definizione di divisione euclidea (cfr. osservazione 1.8.1), esiste ; − ™ tale che + œ ;8 < e dunque + < œ ;8 con ; − ™, da cui l’asserto. Le classi di equivalenza rispetto alla relazione di congruenza modulo 8 si dicono classi di resto modulo 8. L’insieme delle classi di resto modulo 8 (cioè l’insieme quoziente di ™ rispetto alla relazione di congruenza modulo 8) si indica con ™8 . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 47 Esercizio [*] 6.4.4 Si deduca dal teorema 6.4.3 che due numeri interi +, , sono congrui modulo 8 se e solo se la divisione euclidea di + per 8 e la divisione euclidea di , per 8 danno lo stesso resto. Teorema 6.4.5 L’insieme ™8 ha 8 elementi, precisamente : Ò0Ó, Ò1Ó, á , Ò8 1Ó. Dimostrazione - Per il teorema 6.4.3, ogni numero intero appartiene a una delle classi Ò0Ó, Ò1Ó, á , Ò8 1Ó. Resta da provare che tali classi sono tutte distinte. Se fosse Ò3Ó œ Ò4Ó con 0 Ÿ 3 4 8, per l’osservazione 6.2.2 sarebbe 3 ´ 4 (mod 8) ossia esisterebbe 5 − ™ tale che 4 3 œ 58. Ma 4 3 0 (perché 4 3) e 4 3 8 (perché 4 8 e 3 0), dunque 4 3 non può essere multiplo di 8. Abbiamo così ottenuto una contraddizione; ne segue che le classi Ò0Ó, Ò1Ó, á , Ò8 1Ó sono tutte distinte, come si voleva. Esercizio 6.4.6 Si studi la congruenza modulo 1, la congruenza modulo 2, la congruenza modulo 3, la congruenza modulo 10, la congruenza modulo 12 e la congruenza modulo 24 ; in particolare, per ciascuna di tali relazioni si scrivano esplicitamente le classi di resto e si precisi come opera la proiezione canonica. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 48 7.- OPERAZIONI IN UN INSIEME 7.1 - Operazioni in un insieme. Sia A un insieme non vuoto. Si dice operazione (binaria, interna) in A una funzione da A ‚ A in A il cui dominio coincide con A ‚ A (cioè, intuitivamente, una “legge” che ad ogni coppia ordinata di elementi di A associa un elemento di A). Se æ è un’operazione in A e a, b − A, scriviamo aæb anziché æ(a, b): così aæb œ c significa che c è l’immagine di (a, b) mediante æ, ossia che æ associa alla coppia ordinata (a, b) di elementi di A l’elemento c di A (rigorosamente: ( (a, b), c ) − æ). Esempi 7.1.1 Le ordinarie operazioni di somma e prodotto sono operazioni in , ™, . 7.1.2 Per ogni insieme A, la composizione definita in 4.7 è un’operazione nell’insieme di tutte le funzioni A Ä A il cui dominio coincide con A. 7.1.3 Nell’insieme ™, la sottrazione è un’operazione, la divisione non lo è. 7.1.4 Nell’insieme è un’operazione la æ definita come segue: aæb œ a(b 1) a a , b − . 7.1.5 Nell’insieme Öa, b, c× è un’operazione la æ definita come segue (18Ñ: aæa œ a, aæb œ b, aæc œ c, bæa œ b, bæb œ a, bæc œ a, cæa œ c, cæb œ a, cæc œ b. 7.1.6 Sia A un insieme. Le operazioni (definite in 3.6) che a due sottoinsiemi di A associano la loro unione e la loro intersezione sono operazioni in c (A) (nel senso definito in 7.1) che si indicano rispettivamente con e . 7.2 - Chiusura rispetto a un’operazione. Sia A un insieme nel quale è definita un’operazione æ. Un sottoinsieme B di A si dice chiuso rispetto a æ se comunque presi b, b’ − B è anche bæb’ − B. 18 Come si definisce un' operazione? Ricordiamo che “operazione in A” è una particolare funzione A ‚ A Ä A, cioè una particolare relazione tra A ‚ A e A, cioè un particolare sottoinsieme di (A ‚ A) ‚ A; i criteri per definire un' operazione sono dunque gli stessi che abbiamo stabilito nel capitolo 2 per definire un insieme. In particolare, l' operazione dell' esempio 7.1.5 è definita come in 3.2; quella dell' esempio 7.1.4 come in 3.3. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 49 Esempi 7.2.1 è chiuso rispetto alla somma e al prodotto. 7.2.2 Il sottoinsieme di formato dai numeri dispari è chiuso rispetto al prodotto ma non rispetto alla somma. 7.2.3 Siano I un insieme e A l’insieme di tutte le funzioni da I in I il cui dominio coincide con I. Il sottoinsieme di A costituito dalle corrispondenze biunivoche (cioè l’insieme delle permutazioni su I) è chiuso rispetto alla composizione. 7.3 - Associatività e commutatività. Sia A un insieme. Un’operazione æ in A si dice associativa se Un’operazione æ in A si dice commutativa se aæ(bæc) œ (aæb)æc aæb œ bæa aa , b , c − A . aa , b − A . Esempi Le operazioni considerate in 7.1.1 e 7.1.6 sono associative e commutative (cfr. anche 3.6.3 e 3.6.4); quella considerata in 7.1.2 è associativa ma in generale non commutativa; quella considerata in 7.1.5 è commutativa ma non associativa (infatti ÐbæbÑæc Á bæÐbæcÑ ); quella considerata in 7.1.4 non è né associativa né commutativa. 7.4 - Elemento neutro. Siano A un insieme e æ un’operazione definita in A. Un elemento 8 di A si dice elemento neutro per æ se aæ8 œ 8æa œ a aa − A. Se l’operazione æ è detta somma, l’elemento neutro si indica con “0”; se è detta prodotto, con “1”. Teorema 7.4.1 Siano A un insieme e æ un’operazione definita in A. Se esiste un elemento neutro per æ, questo è unico. Dimostrazione - Siano 8, 8’ elementi neutri per æ. Allora 8 œ 8æ8’ œ 8’, come si voleva. Esempi 7.4.2 L’operazione æ considerata in 7.1.4 non ha elemento neutro. Si noti che aæ0 œ a per ogni a − , ma in generale 0æa Á a. 7.4.3 Le operazioni di somma considerate in 7.1.1 hanno come elemento neutro il numero 0. 7.4.4 Le operazioni di prodotto considerate in 7.1.1 hanno come elemento neutro il numero 1. 7.4.5 L’operazione æ considerata in 7.1.5 ha come elemento neutro l’elemento a. 7.4.6 Le operazioni “unione” e “intersezione” considerate in 7.1.6 hanno come elemento neutro risp. g e A. 7.4.7 L’operazione di composizione considerata in 7.1.2 ha come elemento neutro la funzione idA definita in 4.4.3. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 50 7.5 - Il simmetrico di un elemento. Siano A un insieme e æ un’operazione definita in A per la quale esiste l’elemento neutro 8. Per ogni a − A, si dice simmetrico di a (rispetto a æ) un elemento a − A tale che sia aæ a œ a æa œ 8. Se l’operazione æ è detta somma, il simmetrico di a si dice opposto di a, e si indica con a; se è detta prodotto, si dice inverso di a, e si indica con a" . Teorema 7.5.1 Siano A un insieme e æ un’operazione associativa definita in A per la quale esiste l’elemento neutro 8. Per ogni a − A, se esiste un simmetrico questo è unico. Dimostrazione - Siano a ,œ a simmetrici di a. Allora a œ a æ8 œ a æ(aæœ a ) œ ( a æa)æœ a œ 8æœ a œœ a . Esempi 7.5.2 Rispetto all’operazione æ definita in 7.1.5 (che non è associativa), l’elemento b ha due distinti simmetrici: se stesso e l’elemento c. 7.5.3 In ™, per ogni elemento esiste l’opposto (cioè, il simmetrico rispetto alla somma) ma solo per +1 e 1 esiste l’inverso (cioè, il simmetrico rispetto al prodotto). 7.5.4 Rispetto alle operazioni di “unione” e “intersezione” considerate in 7.1.6, non esiste in generale il simmetrico di un elemento di c (A). 7.5.5 Rispetto all’operazione di “composizione” considerata in 7.1.2 non esiste in generale il simmetrico di una funzione. Tuttavia, se f è una corrispondenza biunivoca di A in sé la funzione f " definita in 4.6 è il simmetrico di f rispetto alla composizione. 7.6 - La proprietà distributiva. Siano A un insieme e æ, ‰ due operazioni definite in A. Si dice che ‰ è distributiva rispetto a æ se a ‰ ( b æ c) œ ( a ‰ b ) æ ( a ‰ c) e (aæb) ‰ c œ (a ‰ c)æ(b ‰ c) a a , b, c − A . Esempi 7.6.1 Negli esempi 7.1.1, il prodotto è distributivo rispetto alla somma ma la somma non è distributiva rispetto al prodotto. 7.6.2 Ciascuna delle due operazioni considerate in 7.1.6 è distributiva rispetto all’altra (cfr. anche 3.6.5). Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 51 8.- GRUPPI E ANELLI 8.1 - Gruppi. Siano G un insieme e æ un’operazione in G. Si dice che G è un gruppo rispetto a æ, oppure (più correttamente!) che la coppia (G, æ) è un gruppo, se valgono le seguenti proprietà: G.1 l’operazione æ è associativa; G.2 esiste in G l’elemento neutro per æ; G.3 per ogni g − G esiste il Ð19Ñ simmetrico di g rispetto a æ. Se inoltre G.4 l’operazione æ è commutativa il gruppo si dice commutativo o abeliano. Esempi 8.1.1 ™ e sono gruppi abeliani rispetto alla somma. 8.1.2 non è un gruppo rispetto alla somma (non esiste in generale l’opposto di un elemento). 8.1.3 ™ e non sono gruppi rispetto al prodotto (non esiste l’inverso di 0). 8.1.4 ÏÖ0× e sono gruppi abeliani rispetto al prodotto. 8.1.5 Per ogni insieme A, l’insieme delle permutazioni su A (cfr. 4.4) è un gruppo (in generale non abeliano) rispetto alla composizione di funzioni definita in 4.7. 8.1.6 Sia A un insieme. c (A) (cfr. 3.5) non è un gruppo né rispetto all’unione né rispetto all’intersezione; è però un gruppo abeliano rispetto all’operazione æ (detta differenza simmetrica) definita come segue: X æ Y œ ( X Y )Ï ( X Y ) aX, Y − c (A). 8.2 - Sottogruppi. Sia (G, æ) un gruppo. Un sottoinsieme non vuoto H di G, chiuso rispetto a æ, si dice sottogruppo di G se (H, æ) è ancora un gruppo Ð20Ñ. 19 cfr. G.1 e il teor. 7.5.1. 20 Rigorosamente, la notazione (H, æ) è impropria; infatti, quella che si può considerare in H non è l' operazione æ ma la restrizione ad H di æ (cfr. 4.5). Distinguere tra æ e la sua restrizione ad H appesantirebbe però senza scopo la nostra esposizione, ed eviteremo quindi di farlo. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 52 Esempi 8.2.1 ™ non è un sottogruppo di (™, ), pur essendo chiuso rispetto alla somma. 8.2.2 è un sottogruppo di (ÏÖ0×, † ) (cfr. esempio 8.1.4). Teorema 8.2.3 Sia (G, æ) un gruppo, e sia H un sottogruppo di G. L’elemento neutro per æ in H coincide con l’elemento neutro per æ in G (e quindi, per ogni h − H il simmetrico di h in H coincide col simmetrico di h in G). Dimostrazione - Sia 8 l’elemento neutro per æ in G, e sia 8" l’elemento neutro per æ in H. Poiché 8" − H, deve essere 8" æ8" œ 8" ; dunque si ha (indicando con 8" il simmetrico di 8" in G) 8 œ 8æ8 œ 8æÐ8" æ8" Ñ œ 8æ8" æ8" œ 8æÐ8" æ8" Ñæ8" œ Ð8æ8" ÑæÐ8" æ8" Ñ œ 8" æ8 œ 8" . Possiamo ora applicare il teorema 7.5.1 e concludere che per ogni elemento di H il simmetrico in H coincide col simmetrico in G. 8.3 - Omomorfismi e isomorfismi tra gruppi. Siano (G, æ) e (H, ‰ ) gruppi. Una funzione f:G Ä H tale che W(f) œ G si dice un omomorfismo tra (G, æ) e (H, ‰ ) (o anche, più semplicemente, tra G e H ) se f(x æy ) œ f(x) ‰ f(y) a x , y − G. Un omomorfismo che sia anche una corrispondenza biunivoca si dice isomorfismo. Esempio 8.3.1 Un esempio significativo e importante di isomorfismo tra gruppi sarà dato in 10.5 (teorema 10.5.5). Esercizio [*] 8.3.2 Siano (G, æ) e (H, ‰ ) gruppi, e sia f : G Ä H un isomorfismo tra G e H. Si dimostri che la funzione inversa f " : H Ä G è un isomorfismo tra (H, ‰ ) e (G, æ). 8.4 - Anelli. Sia A un insieme con almeno due elementi, e siano , † due operazioni in A (che chiameremo rispettivamente somma e prodotto). Si dice che A è un anello rispetto a e † , oppure (più correttamente!) che la terna (A, , † ) è un anello, se A.1 (A, ) è un gruppo commutativo; A.2 il prodotto è associativo; A.3 il prodotto è distributivo rispetto alla somma. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 53 Se inoltre A.4 esiste in A un elemento neutro per il prodotto oppure A.5 il prodotto è commutativo si dice rispettivamente che A è un anello con unità (e l’elemento neutro si dice l’unità di A, e si indica con “1”) oppure che A è un anello commutativo. Naturalmente, se valgono sia la A.4 che la A.5 si dice che A è un anello commutativo con unità. Ricordiamo che, come convenuto in 7.4, gli elementi neutri per la somma e il prodotto si indicano rispettivamente con “0” e “1”; qualora possa esservi confusione con i numeri naturali 0 e 1, si usano le notazioni “0A ” e “1A ”. Inoltre, secondo quanto stabilito in 7.5, l’opposto di un elemento x si indica con x, l’inverso di un elemento x (se esiste) si indica con x" . Esempi 8.4.1 ™ e sono anelli commutativi con unità rispetto alle ordinarie operazioni di somma e prodotto. 8.4.2 L’insieme dei polinomi a coefficienti in ™ (oppure in ) nell’indeterminata x è un anello commutativo con unità rispetto alle usuali operazioni di somma e prodotto. 8.4.3 L’insieme dei numeri interi pari (cioè della forma 2k con k − ™) è un anello commutativo senza unità rispetto alle ordinarie operazioni di somma e prodotto. Osservazione 8.4.4 Sia (A, , † ) un anello. Per ogni a − A, si ha a † 0 œ 0 † a œ 0. Dimostrazione - Ricordiamo che abbiamo convenuto in 7.4 di indicare con 0 l’elemento neutro di A rispetto alla somma. Si ha a † 0 œ a † (0 0) œ a † 0 a † 0 da cui (sommando ad ambo i membri l’opposto di a † 0) si ricava che 0 œ a † 0. Allo stesso modo si trova che 0 † a œ 0. Osservazione 8.4.5 Sia (A, , † ) un anello con unità. Si ha 1Á0 ossia, l’elemento neutro per il prodotto è necessariamente distinto dall’elemento neutro per la somma. Dimostrazione - Se fosse 1 œ 0, per ogni a − A sarebbe aœa†1œa†0œ0 e dunque in A esisterebbe solo l’elemento 0, contro l’ipotesi che A sia un anello (e che dunque appartengano ad A almeno due elementi). Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 54 Osservazione 8.4.6 Sia (A, , † ) un anello con unità. Non esiste in A l’inverso di 0. Dimostrazione - Se a − A, è a † 0 œ 0 per l’osservazione 8.4.4, e dunque (per l’osservazione 8.4.5) non può essere a † 0 œ 1. Osservazione 8.4.7 Sia (A, , † ) un anello con unità. Si ha ( 1) † ( 1) œ 1; inoltre, per ogni a − A, si ha ( 1) † a œ a. Dimostrazione - Per l’osservazione 8.4.4 si ha (applicando la proprietà distributiva) 0 œ 0 † ( 1) œ (1 ( 1)) † ( 1) œ 1 † ( 1) ( 1) † ( 1) œ 1 ( 1) † ( 1) e dunque, sommando 1 ad ambo i membri, la prima parte dell’asserto. Inoltre, sempre applicando l’osservazione 8.4.4 e la proprietà distributiva, ( 1) † a a œ ( 1) † a 1 † a œ ( 1 1) † a œ 0 † a œ 0 e, analogamente, a ( 1) † a œ 0 , cosicché ( 1) † a è l’opposto di a. 8.5 - Omomorfismi e isomorfismi tra anelli. Siano (A, , † ) e (B, Š , ) anelli. Una funzione f:A Ä B tale che W(f) œ A si dice un omomorfismo tra (A, , † ) e (B, Š , ) (o anche, più semplicemente, tra A e B ) se f(x y ) œ f(x ) Š f(y) e f (x † y ) œ f (x ) f ( y ) a x, y − A. Un omomorfismo che sia anche una corrispondenza biunivoca si dice isomorfismo. Esempio 8.5.1 Un esempio significativo di omomorfismo tra anelli sarà dato in 8.6 (teorema 8.6.10). Esercizio [*] 8.5.2 Siano (A, , † ) e (B, Š , ) anelli, e sia f : A Ä B un isomorfismo tra A e B. Si dimostri che la funzione inversa f " : B Ä A è un isomorfismo tra (B, Š , ) e (A, , † ). 8.6 - L’anello ™8 . In tutta la sezione 8.6 supporremo fissato un numero intero positivo 8. Definiamo nell’insieme ™8 (cfr. 6.4) due operazioni: le indicheremo con “ ” e “ † ”, e le chiameremo rispettivamente somma e prodotto. Se [+], [, ] − ™8 , poniamo [ + ] [ , ] ³ [+ , ] e [+] † [, ] ³ [+ † , ]. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 55 Si noti che con lo stesso simbolo “ ” abbiamo indicato a sinistra l’operazione che stiamo definendo in ´ spesso si ™8 e a destra la ben nota operazione di somma in ™ ; analogamente per il simbolo “ † ” (che, per di piu, omette, proprio come in ™). Ciò usualmente non dà luogo ad ambiguità né a confusione. Si noti inoltre che abbiamo definito la “somma” (e il “prodotto”) di due classi di resto mediante la somma (o, rispettivamente, il prodotto) dei loro rappresentanti: poiché tali rappresentanti non sono univocamente determinati, è importante assicurarsi che la definizione sia “ben posta”, ossia dipenda solo dalle classi considerate e non dai rappresentanti scelti in esse (cfr. l’esempio 4.2.1 e, più avanti, l’esempio 8.6.2). Ciò avviene mediante il Teorema 8.6.1 Siano +, , , +’, , ’ − ™. Se [+] œ [+’] e [, ] œ [, ’], allora [+ , ] œ [+’ , ’] e [+, ] œ [+’, ’]. Dimostrazione - Per l’osservazione 6.2.2, se [+] œ [+’] e [, ] œ [, ’] deve essere + ´ +’ (mod 8) e , ´ , ’ (mod 8), ossia devono esistere 2, 5 − ™ tali che + +’ œ 28 e , , ’ œ 58. Allora Ð+ ,Ñ Ð+’ , ’Ñ œ Ð+ +’Ñ Ð, , ’Ñ œ 28 58 œ Ð2 5Ñ8 e dunque + , ´ +’ , ’ (mod 8) ossia, ancora per l’osservazione 6.2.2, [+ , ] œ [+’ , ’] come si voleva dimostrare. Inoltre, +, +’, ’ œ +, +, ’ +, ’ +’, ’ œ +Ð, , ’Ñ , ’Ð+ + ’Ñ œ +58 , ’28 œ Ð+5 , ’5Ñ8 e dunque +, ´ +’, ’ (mod 8) ossia, ancora per l’osservazione 6.2.2, [+, ] œ [+’, ’] come si voleva dimostrare. Esempio 8.6.2 Sia 8 œ 3. Si ha [2] œ [5] , tuttavia [22 ] œ [1] Á [2] œ [25 ]. Non sarebbe dunque possibile definire, analogamente a come si è fatto per somma e prodotto, un “elevamento a potenza” in ™8 ponendo [+]Ò,Ó ³ [+, ] . Analogamente, per 8 œ 5 , si ha [3] œ [8] , tuttavia [23 ] œ [8] œ [3] Á [1] œ [256] œ [28 ] . Teorema 8.6.3 Й8 , Ñ è un gruppo abeliano. Dimostrazione - Proviamo in primo luogo che la somma in ™8 è associativa. Se [+], [, ], [- ] appartengono a ™8 (con +, , , - − ™), si ha Ð[+] [, ]Ñ [- ] œ [+ , ] [- ] œ [Ð+ ,Ñ - ] œ [+ Ð, -Ñ] œ [+ ] [, -Ó = [+ ] Ð[, ] [- ]Ñ perché la somma in ™ è associativa. Si ha poi [+] [0] œ [+ 0] œ [+] œ [0 +] œ [0] [+] per ogni [+] − ™8 , e dunque [0] è l’elemento neutro per la somma in ™8 . Se [+] − ™8 (con + − ™), si ha [+] [+] œ [ +] [+] œ [0] e dunque [ +] è l’opposto di [+]. Proviamo infine che la somma in ™8 è commutativa. Se [+] e [, ] appartengono a ™8 (con +, , − ™), si ha [+] [, ] œ [+ , ] œ [, +] œ [, ] [+] perché la somma in ™ è commutativa. L’asserto è così completamente provato. Esercizio [*] 8.6.4 Si dimostri che Й8 , , † Ñ è un anello commutativo con unità. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 56 Esempio 8.6.5 Sia 8 œ 6. Si ha [2] † [3] œ [2 † 3] œ [6] œ [0] ; dunque in ™' non vale la legge di annullamento del prodotto. Esempio 8.6.6 Sia 8 œ 4. Si ha [2] † [2] œ [2 † 2] œ [4] œ [0] ; dunque in ™% l’elemento Ò2Ó Á 0 ha per quadrato 0 . Esempio 8.6.7 Sia 8 œ 3. Il polinomio x$ [2]x si annulla per ogni elemento di ™$ , ma non è il polinomio nullo. Esempio 8.6.8 Sia 8 œ 6. Si ha [4] œ [4] † [4] œ [4] † [4] † [4] œ [4] † [4] † á [4] . Esercizio 8.6.9 Sia 8 œ 6. Risolvere, se è possibile, le seguenti equazioni in ™' nell’incognita x : [3] † x œ [2] ; [3] † x œ [3] ; [4] † x œ [2] ; [4] † x œ [3] ; [5] † x œ [1] ; [5] † x œ [2] ; x# œ [2] ; x# œ [3] ; # x [1] œ [0] ; x# [2] œ [0] ; x& [3] † x% x$ [3] † x# [4] † x œ [0] . Esercizio 8.6.10 Sia 8 œ 7. Risolvere, se è possibile, le seguenti equazioni in ™( nell’incognita x : [3] † x œ [2] ; [3] † x œ [3] ; [4] † x œ [2] ; [4] † x œ [3] ; [5] † x œ [1] ; [5] † x œ [2] ; x# œ [2] ; x# œ [3] ; x# [1] œ [0] . Teorema 8.6.11 La proiezione canonica ™ Ä ™8 è un omomorfismo fra anelli. Dimostrazione - Siano +, , − ™. Si ha [+ , ] œ [+] [, ] e [+, ] œ [+][, ] per definizione di somma e prodotto in ™8 , e ciò prova l’asserto. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 57 8.7 - I criteri di divisibilità per i numeri interi. Come applicazione della teoria sviluppata nella sez. 8.6, dimostriamo i classici criteri di divisibilità per i numeri interi. In tutta questa sezione, indichiamo con 7 un numero intero e con 8 un numero intero positivo. Ci proponiamo di stabilire condizioni necessarie e sufficienti affinché 7 sia divisibile per 8 , ossia (cfr. teorema 6.4.3 ed esercizio 6.4.4) affinché si abbia 7 ´ 0 (mod 8) . Poiché numeri opposti hanno gli stessi divisori, possiamo supporre che sia 7 0 . I nostri criteri faranno riferimento alle cifre della rappresentazione posizionale di 7 in base 10 (cfr. sez. 1.7) ; sia dunque 7 œ -5 † 105 -5" † 105" á -$ † 10$ -# † 10# -" † 10 -! (cfr. teorema 1.7.1) . Per ogni numero intero + , indicheremo con Ò+Ó la classe di resto modulo 8 a cui appartiene + ; per il teorema 8.6.11, possiamo scrivere (æ) Ò7Ó œ Ò-5 Ó † Ò10Ó5 Ò-5" Ó † Ò10Ó5" á Ò-$ Ó † Ò10Ó$ Ò-# Ó † Ò10Ó# Ò-"Ó † Ò10Ó Ò-!Ó . Teorema 8.7.1 Sia -! l’ultima cifra di 7 . Si ha 7 ´ -! (mod 2) 7 ´ -! (mod 5) e 7 ´ -! (mod 10) . Pertanto: 7 è divisibile per 2 sse l’ultima cifra di 7 è 0, 2, 4, 6 oppure 8 ; 7 è divisibile per 5 sse l’ultima cifra di 7 è 0 oppure 5 ; 7 è divisibile per 10 sse l’ultima cifra di 7 è 0 . Dimostrazione - Se 8 œ 2 oppure 8 œ 5 oppure 8 œ 10 , è Ò10Ó œ Ò0Ó e quindi dalla (æ), ricordando l’osservazione 8.4.4, si ricava che Ò7Ó œ Ò-! Ó ossia (cfr. osservazione 6.2.2) 7 ´ -! (mod 8) . Le uniche cifre divisibili per 2 sono 0, 2, 4, 6 e 8 ; le uniche cifre divisibili per 5 sono 0 e 5 ; e l’unica cifra divisibile per 10 è 0 . L’asserto è così completamente provato. Teorema 8.7.2 Siano -# , -" e -! le ultime tre cifre di 7 . Si ha 7 ´ -" † Ò10Ó -! (mod 4) e 7 ´ -# † Ò10Ó# -" † Ò10Ó -! (mod 8) . Pertanto: 7 è divisibile per 4 sse è divisibile per 4 il numero formato dalle ultime due cifre di 7 ; 7 è divisibile per 8 sse è divisibile per 8 il numero formato dalle ultime tre cifre di 7 . Dimostrazione - Dalla (æ) si ricava che Ò7Ó œ Ò2! Ó † Ò1000Ó Ò-# Ó † Ò10Ó# Ò-" Ó † Ò10Ó Ò-! Ó œ œ Ò2" Ó † Ò100Ó Ò-" Ó † Ò10Ó Ò-! Ó . Se 8 œ 8 , è Ò1000Ó œ Ò0Ó e quindi (ricordando l’osservazione 8.4.4) Ò7Ó œ Ò-# Ó † Ò10Ó# Ò-" Ó † Ò10Ó Ò-! Ó ; Se 8 œ 4 , è Ò100Ó œ Ò0Ó e quindi (ricordando ancora l’osservazione 8.4.4) Ò7Ó œ Ò-" Ó † Ò10Ó Ò-! Ó come si voleva. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 58 Teorema 8.7.3 Sia 7 un numero intero, e siano -5 , -5" á , -# , -" e -! le cifre di 7 . Si ha 7 ´ (-5 -5" á -# -" -! ) (mod 3) e 7 ´ (-5 -5" á -# -" -! ) (mod 9) Pertanto: 7 è divisibile per 3 [risp.: per 9Ó sse è divisibile per 3 [risp.: per 9] la somma delle sue cifre. Dimostrazione - Se 8 œ 3 oppure 8 œ 9 , è Ò10Ó œ Ò1Ó e quindi dalla (æ) si ricava che Ò7Ó œ Ò-5 Ó † Ò1Ó5 Ò-5" Ó † Ò1Ó5" á Ò-# Ó † Ò1Ó# Ò-" Ó † Ò1Ó Ò-!Ó œ œ Ò-5 Ó Ò-5" Ó á Ò-# Ó Ò-" Ó Ò-! Ó œ Ò-5 -5" á -# -" -! Ó . Dall’osservazione 6.2.2 segue l’asserto. Osservazione 8.7.4 Sia 8 œ 9 . Per il teorema 8.6.11, se + œ , - allora è anche Ò+Ó œ Ò,Ó Ò-Ó ; se + œ , - allora è anche Ò+Ó œ Ò,Ó Ò-Ó ; se + œ , † - allora è anche Ò+Ó œ Ò,Ó † Ò-Ó ; se + œ ,; < allora è anche Ò+Ó œ Ò,ÓÒ;Ó ÒrÓ . Attenzione: non vale il viceversa! Il teorema 8.7.3 giustifica la cosiddetta “prova del 9” per la somma, la sottrazione, la moltiplicazione e la divisione euclidea. Esercizio 8.7.5 Sia 8 œ 9 . Si trovino dei numeri interi + , , e - tali che + Á ,; < ma Ò+Ó œ Ò,ÓÒ;Ó ÒrÓ , mostrando così che la “prova del 9” fornisce una condizione necessaria ma non sufficiente per l’esattezza del calcolo. Esercizio [*] 8.7.6 Si enunci una “prova del 3” analoga a quella “del 9” . Si può enunciare analogamente una “prova del 2” ? E una “prova dell’8” ? E una “prova del 10” ? E una “prova del 6” ? Perché la più diffusa è la “prova del 9” ? Teorema 8.7.7 Siano -5 , -5" á , -# , -" e -! le cifre di 7 , e supponiamo 5 pari (ponendo -5 ³ 0 qualora 7 abbia un numero pari di cifre). Si ha 7 ´ (-5 -5" á -# -" -! ) (mod 11) ossia 7 ´ (-5 -5# á -# -! ) (-5" -5$ á -" ) (mod 11) . Pertanto: 7 è divisibile per 11 sse è divisibile per 11 la differenza tra la somma delle sue cifre “di posto dispari” e la somma delle sue cifre “di posto pari”. Dimostrazione - Se 8 œ 11 si ha Ò10Ó œ Ò1Ó , da cui (per il teorema 8.6.11) Ò10Ó2 œ Ò1Ó se 2 è dispari e Ò10Ó2 œ Ò1Ó se 2 è pari . Ancora per il teorema 8.6.11, e ricordando che abbiamo scelto -5 in modo che 5 sia pari, dalla (æ) si ricava che Ò7Ó œ Ò-5 Ó † Ò1Ó5 Ò-5" Ó † ( Ò1Ó) á Ò-# Ó † Ò1Ó Ò-" Ó † ( Ò1Ó) Ò-!Ó œ œ Ò-5 Ó Ò-5" Ó á Ò-# Ó Ò-" Ó Ò-! Ó œ Ò-5 -5" á -# -" -! Ó . Dall’osservazione 6.2.2 segue l’asserto. Esercizio [*] 8.7.8 Si enunci una “prova dell’11” analoga a quella “del 9” , discutendone in raffronto vantaggi e svantaggi. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 59 9.- CAMPI 9.1 - Campi. Sia F un insieme con almeno due elementi, e siano , † due operazioni in F (che chiameremo rispettivamente somma e prodotto). Si dice che F è un campo rispetto a e † , oppure (più correttamente!) che la terna (F, , † ) è un campo, se F.1 (F, , † ) è un anello e inoltre F.2 (FÏÖ0×, † ) è un gruppo commutativo. Sia (F, , † ) un campo. Il fatto che (FÏÖ0×, † ) sia un gruppo commutativo comporta in particolare che FÏÖ0× è chiuso rispetto al prodotto. Dunque un prodotto di elementi di F può essere 0 solo se almeno uno dei fattori è 0 (questa è la cosiddetta legge di annullamento del prodotto). Sia (F, , † ) un campo, e sia x − F. Se 8 − ™ , si indica con 8x l’elemento di F ottenuto sommando 8 addendi tutti uguali a x (cioè: 8x ³ x x á x, dove x compare 8 volte al secondo membro); si pone poi ( 8)x ³ (8x). Convenendo infine che 0x œ 0F , si è definito il significato della scrittura D x per ogni D − ™. Sia (F, , † ) un campo, e sia x − F. Se 8 − ™ , si indica con x8 l’elemento di F ottenuto moltiplicando 8 fattori tutti uguali a x (cioè: x8 ³ x † x † á † x, dove x compare 8 volte al secondo membro). Esempi 9.1.1 è un campo rispetto alle ordinarie operazioni di somma e prodotto. 9.1.2 L’insieme †…(2) œ Ö0, 1× è un campo rispetto alle operazioni , † definite ponendo 0 0 œ 0; 0 1 œ 1; 1 0 œ 1; 1 1 œ 0; 0† 0 œ 0; 0† 1 œ 0; 1† 0 œ 0; 1† 1 œ 1. 9.1.3 Sia : un numero primo. L’anello ™: considerato in 8.6 è un campo, che si indica anche con †…(:). Per : œ 2 si ottiene il campo considerato nell’esempio 9.1.2. Esercizio [*] 9.1.4 Sia (F, , † ) un campo. Si dimostri che (7 8)x œ 7x 8x (7x) † (8y) œ (78)(xy) a 7, 8 − ™, x − F a 7, 8 − ™, x, y − F 9.2 - Isomorfismo tra campi. Siano (F, , † ) e (F’, Š , ) campi. Una corrispondenza biunivoca f : F Ä F’ si dice un isomorfismo tra F e F’ se f ( x y ) œ f ( x ) Š f ( y ) e f (x † y ) œ f (x ) f ( y ) ax, y − F. Due campi tra i quali esista un isomorfismo si “comportano allo stesso modo” rispetto alla somma e al prodotto; si dice anche che “coincidono a meno di isomorfismi”. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 60 Esercizio [*] 9.2.1 Siano (F, , † ) e (F’, Š , ) campi, e sia f : F Ä F’ un isomorfismo tra F e F’. Si dimostri che la funzione inversa f " : F’ Ä F è un isomorfismo tra (F’, Š , ) e (F, , † ). 9.3 - Sottocampi. Sia (F, , † ) un campo. Un sottoinsieme non vuoto K di F, chiuso rispetto alla somma e al prodotto, si dice sottocampo di F se (K, , † ) è ancora un campo. Esempio 9.3.1 non è un sottocampo di (, , † ), pur essendo chiuso rispetto alla somma e al prodotto. 9.4 - Campi ordinati. Siano (F, , † ) un campo e Ÿ una relazione di ordine totale in F (cfr. 5.2). Si dice che (F, , † , Ÿ ) è un campo ordinato se Ð21Ñ 9.4.CO1 9.4.CO2 aŸb Ê acŸbc Ða Ÿ bÑ • Ðc 0Ñ Ê ac Ÿ bc a a, b, c − F ; a a, b, c − F . Le 9.4.CO1 e 9.4.CO2 esprimono in sostanza il fatto che la relazione d’ordine Ÿ è “compatibile” con le operazioni di somma e prodotto definite in F. Esempio 9.4.1 Il campo dei numeri razionali è un campo ordinato. Teorema 9.4.2 Sia (F, , † , Ÿ ) un campo ordinato. Comunque presi a, b, c, d − F si ha Ða Ÿ bÑ • Ðc Ÿ dÑ Ê a c Ÿ b d e Ð0 Ÿ a Ÿ bÑ • Ð0 Ÿ c Ÿ dÑ Ê ac Ÿ bd . Dimostrazione - Sia a Ÿ b , c Ÿ d . Per la 9.4.CO1, da a Ÿ b segue che acŸbc e da c Ÿ d segue che b c Ÿ b d. Per la proprietà transitiva della relazione Ÿ si ha allora che a c Ÿ b d. Sia inoltre a, b, c, d − F . Per la 9.4.CO2, da a Ÿ b segue che ac Ÿ bc e da c Ÿ d segue che bc Ÿ bd . Per la proprietà transitiva della relazione Ÿ si ha allora che 21 Tutte ac Ÿ bd . le volte che ciò non dia luogo ad ambiguità scriveremo xy anziché x † y. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 61 Teorema 9.4.3 Sia (F, , † , Ÿ ) un campo ordinato. Comunque presi a, b, c, d − F si ha che ab Ê a c b c; Ða bÑ • Ðc 0Ñ Ê ac bc ; Ða bÑ • Ðc dÑ Ê a c b d; e Ð0 Ÿ a bÑ • Ð0 Ÿ c dÑ Ê ac bd . Dimostrazione - Se a b , per la 9.4.CO1 deve essere a c Ÿ b c. Se fosse a c œ b c , sommando c ad ambo i membri si avrebbe a œ b , contro l’ipotesi; dunque, a c b c , come si voleva. Se a b e c 0 , per la 9.4.CO2 deve essere ac Ÿ bc . Se fosse ac œ bc , moltiplicando ambo i membri per c" (che esiste, perché F è un campo e c Á 0 essendo c 0) si avrebbe a œ b , contro l’ipotesi; dunque, ac bc , come si voleva. Le ultime due implicazioni seguono dalle prime due procedendo come nella dimostrazione del Teorema 9.4.2 . Teorema 9.4.4 Sia : un numero primo. Il campo †…(:Ñ (cfr. esempio 9.1.3) non è un campo ordinato. Dimostrazione - Procediamo per assurdo, supponendo che esista in †…(:) una relazione di ordine totale Ÿ tale che (†…(:), , † , Ÿ ) risulti un campo ordinato. Per l’osservazione 8.4.5, deve essere vera una e una sola delle seguenti due relazioni : 1 0 oppure 1 0 . Supponiamo in primo luogo che si abbia 1 0 ; dal teorema 9.4.3 si ricava che 1 1 á 1 ðóóóóóñóóóóóò 00á 0 ðóóóóóñóóóóóò : 1 volte : 1 volte ossia 1 0 da cui, ancora per il teorema 9.4.3, abbiamo invece supposto che si abbia 0 1 . 1101 ossia 01 assurdo perché Supponendo che si abbia 1 0 , si procede analogamente: dal teorema 9.4.3 si ricava in primo luogo che 1 0 e poi che 0 1 giungendo ancora ad un assurdo. Sia (F, , † , Ÿ ) un campo ordinato. Gli elementi x di F per i quali risulta x 0 si dicono positivi; l’insieme di tali elementi si indica con F . Gli elementi x di F per i quali risulta x 0 si dicono invece negativi; l’insieme di tali elementi si indica con F . Si noti che (poiché Ÿ è per ipotesi una relazione di ordine totale) ÖF , Ö0×, F × è una partizione di F (cfr. 3.7). Teorema 9.4.5 Sia (F, , † , Ÿ ) un campo ordinato, e sia x − F . Si ha Ð22Ñ x − F Í x − F . Dimostrazione - Sia x − F . Allora x 0 e dunque (per il Teorema 9.4.3, sommando x ad ambo i membri) 0 x , ossia x − F . Viceversa, sia x − F . Allora x 0 e dunque (per il Teorema 9.4.3, sommando x ad ambo i membri) 0 x , ossia x − F come si voleva. 22 Si in 8.4. ricordi che x indica l' opposto di x , cioè il simmetrico di x rispetto alla somma, come convenuto Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 62 Teorema 9.4.6 Sia (F, , † , Ÿ ) un campo ordinato. Per ogni x − F, si verifica uno e uno solo dei seguenti casi : oppure oppure x − F . x − F xœ0 Dimostrazione - Sia x − F. Proviamo in primo luogo che si verifica almeno uno dei casi x − F , x œ 0, x − F . Poiché la Ÿ è per ipotesi una relazione di ordine totale in F, sarà 0 Ÿ x oppure x Ÿ 0 ; se 0 Ÿ x , si ha x œ 0 oppure x − F ; se x Ÿ 0 si ha x œ 0 oppure x − F , ossia (per il Teorema 9.4.3) x − F . Proviamo ora che si verifica uno solo dei casi x − F , x œ 0, x − F . Se x œ 0 (e quindi anche x œ 0) non può essere x − F né x − F per definizione di F . Se fosse x − F e x − F , sarebbe x 0 e x 0 (da cui ancora 0 x), ossia x œ 0 (per la proprietà antisimmetrica) che è assurdo per la definizione di F . Teorema 9.4.7 Sia (F, , † , Ÿ ) un campo ordinato. Comunque scelti x, y − F, si ha: (3) Ðx Ÿ yÑ Ê Ð y Ÿ xÑ ; (33) x# 0 ; inoltre, Ðx# œ 0Ñ Í Ðx œ 0Ñ ; (333) 1 0 (e, quindi, 1 0); inoltre, 5 † 1 0 per ogni 5 − ™ ; (3@) Ðx 0Ñ Í Ðx" 0Ñ ; (@ ) Ðx y 0Ñ Ê Ðx" Ÿ y" Ñ ; (@3) Ðx, y 0Ñ Ê Ða5 − ™ Ñ(Ðx5 y5 Ñ Í Ðx yÑ) ; (@33) Ð0 x 1Ñ Ê Ðx# xÑ . Dimostrazione - Proviamo la (3). Dalla x Ÿ y segue subito (sommando x ad ambo i membri) che y x 0. Se y x œ 0, allora x œ y e quindi x œ y, da cui in particolare y Ÿ x. Se y x 0, è y x − F e quindi (per il teorema 9.4.5) x y 0, da cui infine (sommando x ad ambo i membri) x y e dunque x y, come si voleva. Proviamo la (33). Per la legge di annullamento del prodotto e per l’osservazione 8.4.4, è chiaro che x# œ 0 se e solo se x œ 0. Se x 0, allora x# 0 † x (per la 9.4.CO2), e dunque x# 0 ricordando ancora l’osservazione 8.4.4. Se x 0, allora x 0 (per il teorema 9.4.6) e dunque ( x)# 0 per quanto appena visto. D’altro lato, ( x)# œ (( 1) † x)# œ ( 1)# x# =x# ricordando l’osservazione 8.4.7. Poiché 1 œ 1# , e 1 Á 0, dalla (33) segue che 1 0; per induzione su 5 si prova facilmente la (333). Essendo (x" )" œ x, per provare la (3@) basta mostrare che Ðx 0Ñ Ê Ðx" 0Ñ . Sia allora x 0. Se fosse x 0 (non può essere x" œ 0 per l’osservazione 8.4.4) sarebbe x" 0 (per il teorema 9.4.5), e quindi x" † x 0 † x (per il Teorema 9.4.3) ossia 1 0 contro la (333). " Proviamo ora la (@). Sia x y 0. Per la (3@) è anche x, y 0; dunque x" y" 0 per la 9.4.CO2. Applicando ancora la 9.4.CO2 (con c œ x" y" ) alla x y, si trova y" x" , come si voleva. La (@3) equivale alla (x y)(x5" x5# y x5$ y# á xy5# y5" ) 0 Í che è immediata per la 9.4.CO2 essendo per ipotesi x, y 0 e quindi anche x5" x5# y x5$ y# á xy5# y5" 0. xy 0 Proviamo infine la (@33). Poiché per ipotesi x 0, per il Teorema 9.4.3 si ha che Ðx 1Ñ Ê Ðx# xÑ e Ðx 1Ñ Ê Ðx# xÑ da cui l’asserto. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 63 Osservazione 9.4.8 In un campo ordinato, l’equazione x# 1 œ 0 nell’incognita x non ha soluzioni. Dimostrazione - Infatti, x# 1 œ 0 equivale a x# œ 1 ; ma x# 0 per ogni x − F (per la (33) del teorema 9.4.7) e 1 0 (per la (333) dello stesso teorema 9.4.7). Siano (F, , † , Ÿ ) e (F’, Š , , £ ) campi ordinati. Si dice isomorfismo tra (F, , † , Ÿ ) e (F’, Š , , £ ) un isomorfismo tra i campi (F, , † ) e (F’, Š , ) (cfr. 9.2) per il quale sia inoltre xŸy Í f(x ) £ f(y) ax, y − F. Esercizio [*] 9.4.9 Siano (F, , † , Ÿ ) e (F’, Š , , £ ) campi ordinati, e sia f : F Ä F’ un isomorfismo tra F e F’. Si dimostri che la funzione inversa f " : F’ Ä F è un isomorfismo tra (F’, Š , , £ ) e (F, , † , Ÿ ). Teorema 9.4.10 Ogni campo ordinato possiede un sottocampo isomorfo a . Dimostrazione - Sia (F, , † , £ ) un campo ordinato. Definiamo una funzione : : Ä F ponendo " :Ð 7 a 7 8 Ñ œ Ð71F ÑÐ81F Ñ 8 − . 7 7 Dobbiamo provare che : è “ben definita” (cioè che :( 8 ) non dipende dalla frazione 8 ma solo dal numero razionale che 7 8 rappresenta), che : è iniettiva (e quindi, poiché W(:) œ , : è una biiezione tra e : (), cfr. 4.4), e infine che valgono le condizioni delle definizioni 9.2 e 9.4. 7 Proviamo in primo luogo che :( 7 8 ) non dipende dalla frazione 8 ma solo dal numero razionale che ’ 7 rappresenta. Sia 7 8’ œ 8 (ossia 7’8 œ 78’). Allora (7’1F )(8’1F )" œ (7’1F )(8’1F )" ((78’)1F )((7’8)1F )" œ œ (7’1F )(8’1F )" (71F )(8’1F )(7’1F )" (81F )" œ (71F )(81F )" . 7 8 Proviamo ora che : è iniettiva. 7# " " Sia :( 7 œ (7# 1F )(8# 1F )" da cui (moltiplicando ambo i membri per 8" ) œ :( 8# ). Allora (7" 1F )(8" 1F ) (8" 1F )(8# 1F )) (7" 1F )(8# 1F ) œ (7# 1F )(8" 1F ), ossia (7" 8# )1F œ (7# 8" )1F . Mostriamo che non può essere 7" 8# Á 7# 8" . In effetti, se fosse (per fissare le idee) 7" 8# 7# 8" , posto 5 œ 7" 8# 78" si avrebbe 5 1F œ 0 con 5 − ™ , e ciò è assurdo per la (333) del teorema 9.4.7. Verifichiamo ora che valgono le condizioni della definizione 9.2. 7# " Siano 7 8" , 8# − . Si ha 7# 7" 7# " " :( 7 œ (7" 1F )(7# 1F )(8" 1F )" (8# 1F )" 8" † 8# ) œ :( 8" 8# ) œ ((7" 7# )1F )((8" 8# )1F ) 7" 7# :( 8" ):( 8# ) œ (7" 1F )(8" 1F )" (7# 1F )(8# 1F )" cosicché : “conserva il prodotto”. Per provare che : “conserva” anche la somma fra numeri razionali, osserviamo che (poiché, come si è visto, : non dipende dalla frazione scelta per rappresentare il numero razionale considerato) possiamo considerare due generiche frazioni con lo stesso denominatore. Si ha che # :( 78" 78# ) œ :( 7" 7 ) œ ((7" 7# )1F )(81F )" œ (7" 1F 7# 1F )(81F )" 8 7" :( 8 ) :( 78# ) œ (7" 1F )(81F )" (7# 1F )(81F )" e quindi l’asserto per la proprietà distributiva del prodotto rispetto alla somma. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 64 Proviamo infine che BŸC Í :(B) £ :(C ) aB, C − . È chiaro che sarà sufficiente mostrare che B C Í :(B) ¡ :(C ) aB, C − ; infatti, poiché abbiamo già provato che : è iniettiva, sappiamo che B œ C se e solo se :(B) œ :(C ). Come si è osservato sopra, possiamo rappresentare B e C con frazioni 2. , 5. che hanno lo stesso denominatore . 0. Allora 2. 5. sse 2 5 , ossia sse 5 2 0. Per la (333) del teorema 9.4.7, ne segue che (5 2)1F ¢ 0 . D’altro lato, se 5 2 0 (ossia 2 5 0) deve aversi (2 5 )1F ¢ 0 e quindi (5 2 )1F ¡ 0 (tenendo conto anche della (3) del teorema 9.4.7): dunque, se (5 2)1F ¢ 0 non può essere altro che 5 2 0. Allora la 2 5 equivale alla (5 2 )1F ¢ 0 e quindi al fatto che 5 1F (2 )1F ¢ 0, ossia che 5 1F 2 1F ¢ 0, cioè che 21F ¡ 5 1F . Poiché d1F 0 (ancora per la (333) del teorema 9.4.7, essendo . 0), la 21F ¡ 5 1F equivale alla (21F )(d1F )" ¡ (5 1F )(d1F )" ossia alla :(B) ¡ :(C ). 9.5 - Campi archimedei. Sia (F, , † , Ÿ ) un campo ordinato. Si dice che (F, , † , Ÿ ) è archimedeo (oppure che ha la proprietà di Archimede) se Ða x, y − F ÑÐb8 − ÑÐ8x yÑ . Esempio 9.5.1 Il campo dei numeri razionali ha la proprietà di Archimede. Dimostrazione - Siano B, C − ; possiamo rappresentare B e C con frazioni aventi lo stesso denominatore . − ™ . Sia dunque B œ .+ , C œ ., con +, , − . Scelto 8 , , si ha , , 8B ,B œ +, . œ +. . œ C come si voleva. Teorema 9.5.2 Ogni campo ordinato completo ha la proprietà di Archimede. Dimostrazione - Sia (F, , † , Ÿ ) un campo ordinato completo (cfr. 5.9). Supponiamo per assurdo che F non abbia la proprietà di Archimede. Esisteranno allora x! , y! − F tali che 8x! Ÿ y! a 8 − . Ciò significa che l’insieme X di tutti gli elementi di F che si possono scrivere nella forma 8x! con 8 − (ossia: X œ Öa − F / a œ 8x! con 8 − ×) non è vuoto (perché vi appartiene x! , che si può scrivere come 1x! ) ed è superiormente limitato da y! . Poiché per ipotesi F è completo, esisterà l’estremo superiore y di X. Per ogni 8 − , poiché è anche 8 1 − si ha (8+1)x! Ÿ y , ossia 8x! Ÿ y x! . Ciò significa che y x! è una limitazione superiore di X strettamente minore di y , assurdo perché y œ sup X. Dunque, supporre F non archimedeo conduce a una contraddizione, e ciò prova il teorema. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 65 10.- IL CAMPO DEI NUMERI REALI 10.1 - Definizione di ‘. Numeri razionali, irrazionali, algebrici, trascendenti. Vale il seguente importante teorema del quale omettiamo la dimostrazione: Teorema 10.1.1 Esiste un campo ordinato completo. Inoltre, tutti i campi ordinati completi sono isomorfi fra loro. Il teorema 10.1.1 consente di porre la seguente definizione: si dice campo dei numeri reali, e si indica con ‘, un campo ordinato completo. Nel seguito, coi simboli “0” e “1” indicheremo sempre gli elementi neutri di ‘ per, rispettivamente, la somma e il prodotto. Per il teorema 9.5.2, ‘ ha la proprietà di Archimede. Per il teorema 9.4.10, l’insieme dei numeri reali che si possono scrivere nella forma Ð7 † 1Ñ † Ð8 † 1Ñ" con 7, 8 − ™ è un sottocampo di ‘ isomorfo al campo dei numeri razionali. Gli elementi di tale sottocampo si dicono reali razionali; gli elementi del complementare si dicono reali irrazionali. Nel seguito identificheremo sempre, come è usuale, il numero reale razionale Ð7 † 1Ñ † Ð8 † 1Ñ" con il numero razionale rappresentato dalla frazione 7 8 . Sia ! − ‘. Si dice che ! è algebrico se esiste un polinomio pÐxÑ − ™ÒxÓ tale che pÐ!Ñ œ 0, ossia se ! è radice di un opportuno polinomio a coefficienti interi. Si dice che ! è trascendente se non è algebrico, ossia se non è radice di alcun polinomio a coefficienti interi. Osservazione 10.1.2 Ogni numero razionale è algebrico. Dimostrazione - Sia 7 8 − . Allora 7 8 è radice del polinomio 8x 7 − ™ÒxÓ. Per l’osservazione 10.1.2, ogni numero trascendente è irrazionale; esistono tuttavia numeri irrazionali algebrici (cfr. 10.4). In altri termini, l’insieme dei numeri razionali è un sottoinsieme proprio dell’insieme dei numeri algebrici che a sua volta è un sottoinsieme proprio di ‘. Si dice valore assoluto di x e si indica con ± x ± la funzione ‘ Ä ‘ così definita: ±x± ³œ x x se x 0 se x 0 . 10.2 - La rappresentazione dei numeri reali sulla retta. Supponiamo di aver fissato nel piano una unità di misura h . I numeri reali ci consentono di assegnare una misura anche ai segmenti non commensurabili con h : per ogni segmento f , si considera l’insieme delle misure di tutti i segmenti contenuti in f e commensurabili con h (cfr. 1.4) ; tale insieme non è vuoto ed è superiormente limitato (cfr. [8] , Assioma V-1) e dunque, per la completezza di ‘, ammette un estremo superiore, che si assume come misura di f . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 66 Se P" , P# sono punti distinti del piano, la misura del segmento che li ha per estremi si dice distanza fra P" e P# , e si indica con d(P" , P# ) . Conviene definire la distanza tra punti anche nel caso in cui questi coincidano; se P è un punto del piano, si pone d(P, P) œ 0. Si può dimostrare il seguente importante teorema: Teorema 10.2.1 Esiste una corrispondenza biunivoca f tra l’insieme e dei punti della retta e l’insieme ‘ dei numeri reali. Fissati in e due punti O (origine) e U (punto unità), f resta univocamente determinata dalle condizioni Ð3Ñ fÐ O) œ 0 ; Ð33Ñ fÐUÑ œ 1 ; Ð333Ñ comunque presi P" , P# − e, il segmento P" P# ha misura |fÐP" Ñ fÐP# Ñ| rispetto all’unità di misura OU. Una corrispondenza biunivoca fra e e ‘ che verifichi le condizioni Ð3Ñ , Ð33Ñ e Ð333Ñ del teorema 10.2.1 si dice un sistema di riferimento cartesiano su e , oppure un sistema di ascisse su e ; per il teorema 10.2.1 , essa resta completamente individuata dalla scelta dei punti O e U . Osservazione 10.2.2 Sia f un sistema di riferimento cartesiano su e. La funzione inversa f " è una corrispondenza biunivoca fra ‘ e e che “estende” la rappresentazione dei numeri razionali descritta in 1.9. 10.3 - La “rappresentazione decimale” dei numeri reali. Mostriamo ora come si “rappresentano” i numeri reali, estendendo le considerazioni delle sezioni 1.7 e 1.11 (23) . Possiamo limitare la nostra discussione ai numeri reali positivi, convenendo semplicemente di associare ad ogni numero reale negativo la stessa rappresentazione decimale del suo opposto preceduta però dal segno “”. Sia -" , -# , á , -5 , á una successione di cifre, e sia 8 un numero naturale (scritto mediante la notazione posizionale). Diciamo che tale successione e il numero naturale 8 individuano la rappresentazione decimale del numero reale (positivo) ! sse per ogni numero intero positivo 5 il numero decimale limitato 8,-" -# á -5 (cfr. 1.11) è una approssimazione per difetto di ! a meno di 1015 (cfr. 1.10), ossia sse per ogni numero intero positivo 5 , 0 Ÿ ! 8,-" -# á -5 Ÿ 1015 . In tal caso, con notazione estremamente vaga si scrive ! œ 8,-" -# á -5 á ; si dice anche che 8,-" -# á -5 á è la rappresentazione decimale di !, e che ! ammette la rappresentazione decimale 8,-" -# á -5 á . Si noterà che la definizione appena riportata è identica a quella data in 1.11 per lo sviluppo decimale illimitato di un numero razionale. Con la stessa dimostrazione del Teorema 1.11.9 si prova che 23 Anche in questa sezione la base adottata per la scrittura dei numeri in notazione posizionale è “dieci”. Vale la pena però di osservare che una trattazione del tutto analoga può essere svolta assumendo per base un qualunque numero naturale maggiore di “uno” ; e si parlerà, ad esempio, di “rappresentazione binaria” dei numeri reali se la base scelta è “due”, di “rappresentazione esadecimale” dei numeri reali se la base scelta è “sedici”, ecc. ecc. . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 67 Teorema 10.3.1 Ogni scrittura della forma 8,-" -# á -5 á (con 8 numero naturale e -" , -# , á , -5 , á cifre) è la rappresentazione decimale di al più un numero reale. Ma questa volta è facile vedere che Teorema 10.3.2 Ogni scrittura della forma 8,-" -# á -5 á (con 8 numero naturale e -" , -# , á , -5 , á cifre) è la rappresentazione decimale di un numero reale. Dimostrazione - Sia T l’insieme di tutti i numeri razionali 8,-" -# á -5 con 5 − . Tale insieme non è vuoto ed è superiormente limitato (da 8 1) , dunque ha un estremo superiore ! . Proviamo ora che ! œ 8,-" -# á -5 á . In effetti, per ogni numero naturale 5 si ha 8,-" -# á -5 Ÿ 8,-" -# á -5 -5" Ÿ ! . Se poi esistesse un numero naturale 5! per il quale ! 8,-" -# á -5! 1015! ossia ! 8,-" -# á -5! 1015! 8,-" -# á -5! 1015! sarebbe una limitazione superiore per T minore di ! ; ma ! è l’estremo superiore di T, e ciò sarebbe assurdo. Dunque, per ogni numero naturale 5 si ha che ! 8,-" -# á -5 Ÿ 1015 e si è così completamente provato che ! œ 8,-" -# á -5 á . Anche in questo caso Teorema 10.3.3 Ogni numero reale ammette una rappresentazione decimale. Dimostrazione - Omettiamo la dimostrazione di questo teorema. Con la stessa dimostrazione del Teorema 1.11.17 si prova infine che Teorema 10.3.4 Se il numero reale ! ammette due rappresentazioni decimali distinte, allora Ð3Ñ ! è un numero decimale finito, ossia ! œ 8,-" -# á -5 ; Ð33Ñ posto ,5 ³ -5 1 , le uniche rappresentazioni decimali di ! sono 8,-" -# á -5 e 8,-" -# á -5" ,5 Ð9Ñ (oppure, se ! œ 8 : posto 7 ³ 8 1 , le uniche rappresentazioni decimali di ! sono 8 e 7,Ð9Ñ ) . Esempio 10.3.5 Si indica con 1 la misura della circonferenza con diametro unitario. Si ha 1 œ 3,1415926535897932384626433832795028841971693993751058209á ma la rappresentazione decimale di 1 non può essere scritto completamente in modo esplicito; la successione delle sue cifre infatti non presenta alcuna “regolarità”. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 68 10.4 - La radice 8 sima di un numero reale. Sia + − ‘ , e sia 8 − . Si dice radice 8 sima di +, e si indica con tale che sia <8 œ +. 8È + , un numero reale < 0 Teorema 10.4.1 Per ogni + − ‘ , e per ogni 8 − , esiste una e una sola radice 8 sima di +. Cenno sulla dimostrazione - Sia X œ ÖB − ‘ / x8 Ÿ a×. L’insieme X è superiormente limitato (da + se + 1, da 1 altrimenti) e dunque ha un estremo superiore B! : si dimostra che B8! œ + mostrando che non può essere B8! + né B8! + (nel caso 8 œ 2, tale dimostrazione è identica a quella che abbiamo visto in 5.7.4). Che la radice 8 sima di + sia unica segue poi dal fatto che Ð0 B CÑ Ê ÐB8 C 8 Ñ. La nozione di radice n sima si estende ai numeri reali negativi quando 8 è dispari, ponendo per 8È + ³ 8È + . + 0 e 8 dispari Esercizio [*] 10.4.2 Si dimostri che: se + − ‘ e 8 è un numero naturale dispari, 8È + è l’unico numero reale B tale che B8 œ + . Esercizio 10.4.3 Si dimostri che: se + − ‘ e 8 è un numero naturale pari, non esiste alcun numero reale B tale che B8 œ + . 10.5 - Potenze in ‘. Sia , un numero reale, e sia ! un numero naturale. Se ! 2, si dice potenza di base , ed esponente !, e si indica con , ! , il prodotto di ! fattori uguali a , . Si pone poi , " ³ , e , ! ³ 1. Si dimostra facilmente che, comunque presi +, , − ‘ e comunque presi !, " − ™ , valgono le proprietà 10.5.P1 Ð+,Ñ! œ +! , ! ; 10.5.P2 +!" œ +! +" ; 10.5.P3 Ð+! Ñ" œ +!" . Sia , un numero reale, e sia ! un numero intero positivo. Si dice potenza di base , ed esponente !, e si indica con , ! , il reciproco della potenza di base , ed esponente !, ossia , ! ³ Ð, ! Ñ" . Si dimostra facilmente che continuano a valere le proprietà 10.5.P1, 10.5.P2 e 10.5.P3 comunque presi +, , − ‘ e comunque presi !, " − ™. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 69 Teorema 10.5.1 Siano 7" , 7# − ™ e 8" , 8# − ™ tali che 7" 8" œ 7# 8# 8" È 7" , . Per ogni , − ‘ , si ha œ 8# È 7# , . Dimostrazione - Procediamo per assurdo, e supponiamo che sia (ad esempio) Poiché 8" È 7" , e 8# È 7# , D’altro lato, per la 10.5.P3, 8" È 7" , 8# È, 7# . sono per definizione maggiori di zero, si ha allora (per la (@3) del teorema 9.4.7) 8" 8# 8" 8# Š 8# È, 7# ‹ . Š 8" È, 7" ‹ Š 8" È, 7" ‹ 8" 8# e analogamente Š 8# È, 7# ‹ 8" 8# œ Š Š 8" È, 7" ‹ ‹ 8" 8# œ Š 8# È, 7# ‹ 8# 8" œ ab7" b8# œ b7" 8# œ Š Š 8# È, 7# ‹ ‹ 8# 8" œ ab7# b8" œ b7# 8" . Pertanto , 7" 8# , 7# 8" , e ciò è assurdo perché per ipotesi 7" 8# œ 7# 8" . Sia ora , un numero reale positivo, e sia ! un numero razionale, ! œ 7 8 con 7 − ™ e 8 − ™ . Si dice potenza di base , ed esponente !, e si indica con , ! , la radice 8 sima (cfr. 10.4) della potenza di base , ed esponente 7, ossia 7 , 8 ³ 8È, 7 . Per il teorema 10.5.1, la definizione data non dipende dalla particolare frazione 7 8 scelta per rappresentare ! . Si può dimostrare che continuano a valere le proprietà 10.5.P1, 10.5.P2 e 10.5.P3 comunque presi +, , − ‘ e comunque presi !, " − . Teorema 10.5.2 Sia , un numero reale positivo, e siano !, " numeri naturali. Sia ! " . Se , 1, è , ! , " ; se , 1, è , ! , " . Dimostrazione - Supponiamo , 1. Se , 1, la dimostrazione è analoga e si ottiene da questa sostituendo il segno “ ” col segno “ ”. Proviamo in primo luogo l’asserto per ! œ 0, procedendo per induzione su " . Si tratta di dimostrare che , " 1 per ogni " − ™ . Se " œ 1, non c’è niente da provare; supponiamo allora (ipotesi di induzione) che sia , "" 1. Per la 9.4.CO2 si ottiene subito (essendo , per ipotesi positivo) che , " œ b † b" " b † 1 1. Proviamo ora l’asserto nel caso generale. Per quanto già dimostrato, è , " ! 1. Essendo , ! positivo (perché , lo è), per la 9.4.CO2 si ha , " ! † , ! 1 † , ! e quindi l’asserto, ricordando la 10.5.P2. Esercizio [*] 10.5.3 Si estenda il teorema 10.5.2 al caso in cui !, " − . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 70 Sia , un numero reale maggiore di 1, e sia ! un numero reale. L’insieme ÖB − ‘ / B œ , > con > numero (reale) razionale minore o uguale ad !× non è vuoto, ed è superiormente limitato (per l’esercizio 10.5.3) da ogni numero reale della forma , 8 con 8 numero (reale) razionale maggiore di !. Tale insieme ha pertanto estremo superiore. Si dice potenza di base , ed esponente !, e si indica con , ! , l’estremo superiore di tale insieme, ossia , ! ³ sup ÖB − ‘ / B œ , > con > numero (reale) razionale minore o uguale ad !×. Sia , un numero reale positivo minore di 1, e sia ! un numero reale. L’insieme ÖB − ‘ / B œ , > con > numero (reale) razionale minore o uguale ad !× non è vuoto, ed è inferiormente limitato (per l’esercizio 10.5.3) da ogni numero reale della forma , 8 con 8 numero (reale) razionale maggiore di !. Tale insieme ha pertanto estremo inferiore. Si dice potenza di base , ed esponente !, e si indica con , ! , l’estremo inferiore di tale insieme, ossia , ! ³ inf ÖB − ‘ / B œ , > con > numero (reale) razionale minore o uguale ad !×. Si pone infine 1! ³ 1 per ogni ! − ‘. Si è così definita la potenza di base , ed esponente ! per ogni numero reale positivo , e per ogni numero reale !. Si noti che tale potenza risulta sempre essere un numero reale positivo. Si può dimostrare che continuano a valere le proprietà 10.5.P1, 10.5.P2 e 10.5.P3 comunque presi +, , − ‘ e comunque presi !, " − . Il teorema 10.5.2 può essere esteso al caso in cui !, " − ‘. Esercizio [*] 10.5.4 Si valuti se, e sotto quali ipotesi, la potenza , ! può essere definita (in modo che continuino a valere le proprietà 10.5.P1, 10.5.P2 e 10.5.P3) per , Ÿ 0, esaminando questi casi: ! − ™ , ! − ™, ! − , ! − ‘. Teorema 10.5.5 Sia , un numero reale positivo diverso da 1. L’applicazione exp, : ‘ Ä ‘ definita ponendo è un isomorfismo tra i gruppi Б, Ñ e Б , † Ñ. exp, ÐxÑ ³ , B Dimostrazione - Per la 10.5.P2, exp, è un omomorfismo tra i gruppi Б, Ñ e Б , † Ñ. Poiché, come si è già detto, il teorema 10.5.2 può essere esteso al caso in cui !, " − ‘, exp, è iniettiva. Omettiamo la dimostrazione della suriettività di exp, . Sia , un numero reale positivo diverso da 1, e sia exp, : ‘ Ä ‘ l’isomorfismo considerato nel teorema 10.5.5. L’isomorfismo inverso (cfr. esercizio 8.3.2) tra i gruppi Б , † Ñ e Б, Ñ si dice logaritmo in base , e si indica con log, . Si ha dunque C œ log, ÐBÑ Í , C œ B. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 71 Teorema 10.5.6 Siano +, , numeri reali positivi diversi da 1. Per ogni B − ‘ , si ha + ÐBÑ log, ÐBÑ œ log log+ Ð,Ñ . Dimostrazione - Dobbiamo provare che log+ ÐBÑ œ log+ Ð,Ñ † log, ÐBÑ , ossia che +log+ Ð,цlog, ÐBÑ œ B . In effetti, come si voleva. +log+ Ð,цlog, ÐBÑ œ ˆ+log+ Ð,Ñ ‰ log, ÐBÑ œ , log, ÐBÑ œ B . Corollario 10.5.7 Siano +, , numeri reali positivi diversi da 1. Si ha log, Ð+Ñ œ 1 log+ Ð,Ñ . Dimostrazione - È conseguenza immediata del teorema 10.5.6 per B ³ +. Esercizio [*] 10.5.8 Si dica per quali valori di B e C si ha logB ÐCÑ œ logC ÐBÑ. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 72 11.- IL CAMPO DEI NUMERI COMPLESSI 11.1 - Definizione di ‚. Si indichi con ‚ l’insieme delle espressioni della forma + , 3 con +, , − ‘ (si tratta, in sostanza, dei polinomi di grado non superiore a 1 a coefficienti in ‘ nell’indeterminata 3). Si definiscono in ‚ le seguenti due operazioni di “somma” e “prodotto” (che si indicano, come al solito, con e † ): (+ , 3) (- . 3) œ (+ - ) (, +. )3 (+ , 3) † (- . 3) œ (+- ,. ) (+. +,- )3 Si noti che la somma è l’ordinaria somma tra polinomi; la definizione del prodotto è riconducibile al prodotto fra polinomi qualora si convenga che 3 † 3 œ 1. Sia z œ + , 3 con +, , − ‘. Il numero reale + si dice parte reale di z, e si indica con e(z); il numero reale , si dice coefficiente dell’immaginario di z, e si indica con \ (z); il numero reale È+# , # si dice modulo di z e si indica con ² z ² . Teorema 11.1.1 (‚, , † ) è un campo. Dimostrazione - La dimostrazione di questo teorema non è difficile ma è un po’ lunga. La lasciamo al lettore, limitandoci a osservare che l’inverso (cioè, il simmetrico rispetto al prodotto) dell’elemento z è eÐzÑ ² z² # \ ÐzÑ ² z² # 3. Teorema 11.1.2 Il campo dei numeri reali è (isomorfo a) un sottocampo di ‚. Dimostrazione - I numeri reali si possono identificare con gli elementi di ‚ della forma + ,3 per i quali è , œ 0. Più rigorosamente: la funzione che associa al numero reale + il numero complesso + 03 è un isomorfismo tra ‘ e un sottocampo di ‚. Esercizio 11.1.3 Calcolare: (1 3)(2 33) (5 3) ; Š 1 2 È3 2 3‹ ; $ Š È2 2 È2 2 3‹ ; # 3 (3 23)ˆ 13 2 13 3‰ . 11.2 - Il teorema fondamentale dell’algebra. Il passaggio dall’insieme all’insieme ™ e poi a , a ‘ e a ‚ è stato motivato, fra l’altro, anche dalla necessità di risolvere equazioni algebriche via via più complesse: la x 2 œ 0, la 2 † x œ 1, la x# 2 œ 0 e infine la x# 1 œ 0. Nel campo ‚ questo discorso si chiude definitivamente. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 73 Teorema 11.2.1 In ‚, l’equazione x# 1 œ 0 nell’incognita x ha soluzione. Dimostrazione - È immediato verificare che 3 e 3 sono entrambi soluzioni dell’equazione data. Teorema 11.2.2 (Teorema fondamentale dell’algebra) In ‚, ogni equazione algebrica ha soluzione (ciò si esprime dicendo che ‚ è algebricamente chiuso). Dimostrazione - Omettiamo la dimostrazione di questo teorema. Notiamo che l’enunciato si riferisce a equazioni con coefficienti complessi; naturalmente, poiché i numeri reali si possono pensare come particolari numeri complessi, anche ogni equazione a coefficienti reali ha soluzione in ‚. Esempio 11.2.3 Si consideri l’equazione x# 6x 13 œ 0. Applicando la nota “formula risolutiva”, si trova x œ 3 „ È3 † 3 13 da cui x œ 3 È4 œ 3 È4 † È1 œ 3 23 oppure x œ 3 È4 œ 3 È4 † È1 œ 3 23 . Teorema 11.2.4 Sia p(x) un polinomio di grado 8 a coefficienti in ‚ nell’indeterminata x, e sia +8 il coefficiente di x8 in p(x). Si ha p(x) œ +8 (x !" )7" (x !# )7# † á † (x !> )7> dove !" , !# , á , !> sono tutte e sole le radici (24) di p(x) e 7" 7# á 7> œ 8 . Dimostrazione - Questo importante risultato è una semplice conseguenza del Teorema fondamentale dell’algebra. Lo dimostriamo procedendo per induzione sul grado 8 di p(x). Se 8 œ 1, è p(x) œ +" x +! , ossia p(x) œ +" Ðx Ð ++!" ÑÑ, come si voleva. Supponiamo allora che l’asserto sia vero per ogni polinomio di grado 5 , e dimostriamolo per il generico polinomio di grado 5 1. Sia p(x) un polinomio di grado 5 1 a coefficienti in ‚ nell’indeterminata x, e sia +5" il coefficiente di x5" in p(x). Per il Teorema fondamentale dell’algebra, p(x) ha una radice !. Per il teorema di Ruffini, allora, p(x) è divisibile per x ! e dunque p(x) œ (x !)q(x) dove q(x) è un polinomio di grado 5 in cui il coefficiente di x5 è +5+" . Per l’ipotesi di induzione, q(x) œ +5" (x !" )." (x !# ).# † á † (x != ).= dove !" , !# , á , != sono tutte e sole le radici di q(x) e ." .# á .= œ 5 . Allora p(x) œ +5" (x !)(x !" )." (x !# ).# † á † (x != ).= se ! è distinta da tutte le radici di q(x), oppure p(x) œ +5" (x !" )." " (x !# ).# † á † (x != ).= se, ad esempio, ! œ !" . In ogni caso, è chiaro Ð25Ñ che l’asserto vale per p(x) e dunque il teorema è completamente provato. 24 Si dice radice del polinomio p(x) ogni soluzione dell' equazione algebrica p(x) œ 0 nell' incognita 25 Certamente !, ! , á , ! sono tutte radici di p(x): lo si verifica sostituendo tali valori a x nell' " = espressione di p(x). D' altro lato, se " Á !, !" , á , != allora è p(" Ñ Á 0 perche´ risulta p(" ) œ +5" (" !)(" !" )." (" !# ).# † á † (" != ).= e i fattori a5" , (" !), (" !" ), (" !# ), á , (" != ) sono tutti non nulli. x. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 74 Teorema 11.2.5 ‚ non è un campo ordinato. Dimostrazione - Questo fatto è la “tassa” da pagare per il teorema 11.2.1. Si veda l’osservazione 9.4.8. Esercizio 11.2.6 Si consideri la seguente relazione in ‚: z" £ z# sse e(z" ) e(z# ) oppure (e(z" ) œ e(z# ) e \ (z" ) Ÿ \ (z# )). Si dimostri che £ è una relazione di ordine totale in ‚ che “rispetta” la somma (nel senso che vale la 9.4.CO1) ma “non rispetta” il prodotto (nel senso che non vale la 9.4.CO2). 11.3 - Coniugio. Sia z œ + , 3 un numero complesso (+, , − ‘). Si dice coniugato di z, e si indica con z , il numero complesso + , 3. La funzione ‚ Ä ‚ che ad ogni numero complesso associa il suo coniugato si dice coniugio. Teorema 11.3.1 Sia z − ‚. Si ha z œ z se e solo se z − ‘. Dimostrazione - Sia z œ + , 3 con +, , − ‘. Si ha + ,3 œ + ,3 Í , œ , Í 2, œ 0 Í , œ 0. Teorema 11.3.2 Siano z, w − ‚. Si ha (z w) œ z w e (z † w) œ z † w. Dimostrazione - Si tratta di una semplice verifica. Teorema 11.3.3 Il coniugio è un isomorfismo ‚ Ä ‚ che coincide col proprio inverso. Dimostrazione - Poiché ogni numero complesso coincide col coniugato del proprio coniugato, è facile vedere che il coniugio è una biiezione di ‚ in sé che coincide con la propria inversa. La validità delle condizioni espresse dalla definizione 9.2 segue poi dal teorema 11.3.2. Teorema 11.3.4 Sia pÐx) un polinomio a coefficienti reali. Se il numero complesso z è radice di p(x), anche z è radice di p(x). Dimostrazione - Sia p(x) œ +8 x8 +8" x8" á +" x +! con +! , á , +8 − ‘. Per ogni z − ‚, p(z) œ + 8 z 8 + 8" z 8" á + " z + ! œ +8 z 8 +8" z 8" á +" z +! œ p( z ). Se z è radice di p(x), p(z) œ 0 œ 0 œ p(z) œ p(z Ñ, ossia anche z è radice di p(x). Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 75 Teorema 11.3.5 Sia p(x) un polinomio di grado 8 a coefficienti in ‘ nell’indeterminata x, e sia +8 il coefficiente di x8 in p(x). Si ha p(x) œ +8 † p" (x) † p# (x) † á † p5 (x) dove p" (x) , p# (x) , á , p5 (x) sono polinomi di primo o secondo grado a coefficienti in ‘ per ciascuno dei quali il coefficiente del termine di grado massimo è 1 . Dimostrazione - Mostriamo che si può scrivere p(x) œ p" (x)q(x) con p" (x) polinomio di primo o secondo grado a coefficienti reali (nel quale il coefficiente del termine di grado massimo è 1) e q(x) polinomio a coefficienti reali di grado inferiore al grado di p(x). Ragionando poi analogamente sul polinomio q(x) così trovato, e iterando questo procedimento al più 8 volte, si ottiene la decomposizione cercata Ð26Ñ. Per il Teorema fondamentale dell’algebra, p(x) ha almeno una radice ! in ‚. Se ! è un numero reale, per il teorema di Ruffini sarà p(x) œ (x !)q(x) con q(x) polinomio di grado 8 1 a coefficienti reali. Se ! non è un numero reale, posto ! œ + , 3, per il teorema 11.3.4 sappiamo che anche ! œ + , 3 è radice di p(x); essendo ! Á ! , p(x) è divisibile per (x !)(x ! ) œ (x + , 3)(x + , 3) œ (x +)# , # e dunque si può porre p(x) œ ((x +)# , # )q(x) con q(x) polinomio di grado 8 2 a coefficienti reali. Corollario 11.3.6 Ogni polinomio di grado dispari a coefficienti reali ha almeno una radice in ‘. . 26 La dimostrazione può anche essere effettuata procedendo per induzione sul grado di p(x), come si è fatto per il teorema 11.2.4. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 76 12.- CARDINALITÀ 12.1 - Equipotenza. Siano A, B insiemi. Si dice che A è equipotente a B se esiste una corrispondenza biunivoca tra A e B. Osservazione 12.1.1 Ogni insieme è equipotente a se stesso. Dimostrazione - Sia A un insieme: la funzione idA definita in 4.4.3 è una corrispondenza biunivoca tra A e A. Osservazione 12.1.2 Siano A, B insiemi. Se A è equipotente a B, allora B è equipotente ad A. Dimostrazione - Se f:A Ä B è una corrispondenza biunivoca, f " :B Ä A è una corrispondenza biunivoca (cfr. 4.6). Osservazione 12.1.3 Siano A, B, C insiemi. Se A è equipotente a B e B è equipotente a C, allora A è equipotente a C. Dimostrazione - Se f : A Ä B e g : B Ä C sono corrispondenze biunivoche, g ‰ f : A Ä C è una corrispondenza biunivoca (cfr. esercizio 4.7.5). 12.2 - Cardinalità. Per quanto osservato in 12.1.1, 12.1.2 e 12.1.3, in ogni insieme i cui elementi siano insiemi la relazione di “equipotenza” (definita in accordo con 12.1) è una relazione di equivalenza. Questo fatto suggerisce intuitivamente che tutti gli insiemi tra loro equipotenti abbiano in comune una proprietà astratta, che diremo cardinalità. Osserviamo esplicitamente che per il teorema 3.3.3 non è possibile dare una definizione di cardinalità mediante il procedimento visto in 6.3. Per “misurare” la cardinalità di un insieme dovremo considerare degli insiemi campione a due a due non equipotenti. Per ogni numero naturale 8, sia I8 œ ÖB − / 1 Ÿ B Ÿ 8×. Gli insiemi I8 , l’insieme e l’insieme ‘ sono tutti a due a due non equipotenti (cfr. teorema 12.3.3). Sia A un insieme. Se A è equipotente a I8 per un certo numero naturale 8, diremo che ha cardinalità 8 e scriveremo |A| œ 8. Se A è equipotente a , diremo che ha cardinalità i! (si legge: aleph con zero) oppure che è numerabile e scriveremo |A| œ i! . Se A è equipotente a ‘, diremo che ha la potenza del continuo e scriveremo |A| œ - . L’insieme A si dice finito se è equipotente a I8 per un certo numero naturale 8; si dice infinito se non è finito. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 77 Esempio 12.2.1 Il sottoinsieme di costituito dai numeri pari ha cardinalità i! . Dimostrazione - La funzione definita in 4.4.1 è una corrispondenza biunivoca tra e l’insieme dei numeri naturali pari. Raccogliamo qui di seguito alcuni importanti risultati sulla cardinalità degli insiemi; si vedano anche i teoremi 12.3.2, 12.3.3 e 12.3.5. Teorema 12.2.2 || œ i! . Dimostrazione - L’ordinamento di descritto in 5.9.3 consente di enumerare i numeri razionali. Facendo corrispondere a 0 il primo numero naturale in tale enumerazione, a 1 il secondo, á , a 8 l’(8 1) simo, ecc., si stabilisce una biiezione fra e . Teorema 12.2.3 Se |A| œ 8 con 8 − , si ha |c (A)| œ 28 . Dimostrazione - Si veda 13.4.7. Teorema 12.2.4 L’insieme dei numeri reali algebrici (cfr. 10.1) ha cardinalità i! . Dimostrazione - Si può stabilire nell’insieme dei numeri reali algebrici un ordinamento totale con proprietà analoghe a quello definito per in 5.9.3 : ad ogni numero algebrico si associa un particolare polinomio che lo ha come radice, e poi si definisce l’altezza del polinomio in funzione dei suoi coefficienti. La dimostrazione di questo teorema diviene così analoga a quella di 12.2.2. Teorema 12.2.5 Siano A, B insiemi finiti, con |A| œ 8 e |B| œ 7 (8, 7 − ). Si ha |A B| œ |A| |B| |A B| e |A ‚ B| œ 87 . Dimostrazione - Omettiamo la dimostrazione di questo teorema. Teorema 12.2.6 Il sottoinsieme (0, 1) di ‘ è equipotente a ‘. Dimostrazione - È facile verificare che la funzione f(x) œ 1x 12 1 1 è una corrispondenza biunivoca tra (0, 1) e ( 2 , 2 ). D’altro lato, è noto dallo studio della trigonometria che la funzione tg(x) (“tangente trigonometrica”) è una corrispondenza biunivoca tra ( 12 , 12 ) e ‘. Per l’osservazione 12.1.3 si ha l’asserto. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 78 12.3 - Confronto tra cardinalità. Siano A, B insiemi. Se A è equipotente a un sottoinsieme di B, scriveremo A £ B (si dice talvolta in questo caso che B domina A). Se A £ B e A non è equipotente a B, scriveremo A ¡ B. In ogni insieme i cui elementi siano insiemi, £ definisce una relazione evidentemente riflessiva e transitiva. Tale relazione non può in generale essere però antisimmetrica; infatti, se A, B sono insiemi distinti equipotenti si ha A £ B e B £ A ma A Á B. Vale comunque il seguente famoso teorema, la cui dimostrazione esula dai limiti di questi appunti: Teorema 12.3.1 (Schröder-Bernstein) Siano A, B insiemi. Se A £ B e B £ A, allora A e B sono equipotenti. Teorema 12.3.2 Se A è un insieme infinito, e B è un insieme tale che B £ A, si ha |A ‚ B| œ |A B| œ |A|. In particolare, |‚| œ |‘| (è chiaro infatti che la funzione che al numero complesso + ,3 associa la coppia ordinata (+, ,) è una corrispondenza biunivoca tra ‚ e ‘ ‚ ‘). Dimostrazione - Omettiamo la dimostrazione di questo teorema. Teorema 12.3.3 |c ()| œ - . Dimostrazione - Sia Y () l’insieme dei sottoinsiemi finiti di , e sia \ () l’insieme dei sottoinsiemi propri infiniti di . Si ha c () œ Y () \ () Ö× . Per il teorema 12.3.2, sarà sufficiente Ð27Ñ provare che |Y ()| œ i! e |\ ()| œ - . Sia F − Y (), e sia 8! œ max F; associamo a F il numero naturale ! ;F (3) † 23 8! 3œ! (cioè il numero naturale la cui 3 sima cifra nella rappresentazione in base 2 è 1 se e solo se 3 − F). È facile verificare che si costruisce così una corrispondenza biunivoca tra Y (Ñ e . Sia infine I − \ (); associamo a I quel numero reale nell’intervallo (0, 1) la cui rappresentazione in base due è la funzione caratteristica di I (cioè il numero reale la cui 3 sima cifra nella rappresentazione in base 2 è 1 se e solo se 3 − I). Si costruisce così una corrispondenza biunivoca tra \ () e il sottoinsieme (0, 1) di ‘ (cfr. teoremi 10.3.1, 10.3.2 e 10.3.4 ; notiamo che, poichè I è infinito, nel teorema 10.3.4 si esclude la rappresentazione limitata). Per il teorema 12.2.6, |\ ()| œ - . Mostriamo ora che esistono infinite cardinalità infinite. 27 Infatti, domina Y (). se Y () è equipotente a che è incluso in ‘ che è equipotente a \ (), è chiaro che \ () Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 79 Teorema 12.3.4 (Cantor) Per ogni insieme A, è A ¡ c (A). Dimostrazione - La funzione che all’elemento x di A associa l’elemento Öx× di c (A) è evidentemente una corrispondenza biunivoca tra A e un sottoinsieme di c (A); dunque, A £ c (A). Resta da provare che A non è equipotente a c (A). In effetti, non può esistere alcuna funzione suriettiva da A a c (A). Sia infatti f : A Ä c (A). Posto X œ Öa − A / a  f(a)× non esiste alcun elemento x in A per il quale si abbia f(x) œ X. (Per un tale x non potrebbe essere x − X, perché ne seguirebbe x  f(x) œ X, né x  X, perché -essendo X œ f(x)- ne seguirebbe x − X). Teorema 12.3.5 ¡ ‘. Dimostrazione - L’asserto segue immediatamente dai teoremi 12.3.3 e 12.3.4. Esiste un insieme A tale che ¡ A ¡ ‘ ? La supposizione che un tale insieme non esista è nota come ipotesi del continuo. L’ipotesi generalizzata del continuo afferma che per nessun insieme infinito X esiste un insieme A tale che X ¡ A ¡ c (X). Esercizio [*] 12.3.6 Siano A, B insiemi, e siano A’, B’ insiemi equipotenti rispettivamente ad A e B. Si provi che A £ B se e solo se A’ £ B’. Se ne deduca che è lecito convenire di scrivere |A| Ÿ |B| quando A £ B. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 80 13.- ELEMENTI DI CALCOLO COMBINATORIO 13.1 - Introduzione. Sia dato un numero finito 8 di oggetti (8 − ). A partire da questi, si possono con vari criteri individuare “raggruppamenti” (espressione volutamente vaga, che potremo precisare solo caso per caso) di 5 oggetti (5 − ). Ad esempio: - scegliere 5 oggetti, anche ripetuti; - scegliere 5 oggetti tutti distinti fra loro (in questo caso dovrà essere 5 Ÿ 8); - come sopra, e inoltre stabilire un ordinamento degli oggetti scelti. In ciascuno di questi casi, fissato cioè un certo criterio di formazione dei raggruppamenti, ha interesse chiedersi quanti distinti raggruppamenti si possono formare col criterio dato (che cosa si debba intendere per “distinti” dipende dal criterio di formazione scelto). Il “calcolo combinatorio” risponde a questa domanda, fornendo in funzione di 8 e 5 il numero dei “raggruppamenti distinti” che si possono formare in base a ciascuno dei criteri sopra elencati. In tutto questo capitolo, supporremo fissato un insieme finito A8 œ Öa" , a# , á , a8 ×. È ovvio, e lo osserviamo una volta per tutte, che quanto diremo non dipende in alcun modo dalla “natura” degli elementi a" , a# , á , a8 ma solo dal numero naturale 8; in particolare, non perdiamo in generalità nel ragionamento “etichettando” gli elementi di A8 con i numeri naturali da 1 a 8 (come abbiamo fatto apponendovi l’indice). 13.2 - 5 disposizioni con ripetizione. Quante “colonne” bisogna giocare al “Totocalcio” per essere sicuri di “fare 13”? Tutte quelle possibili, ovviamente. E quante sono? Abbiamo qui un insieme di tre “oggetti” (i simboli “1”, “X”, “2”): usandoli anche ripetutamente dobbiamo formare tutti i possibili raggruppamenti di 13 oggetti ordinati in tutti i modi possibili. Il primo oggetto può essere scelto in tre modi diversi. Poiché ogni oggetto può apparire anche più volte, per ciascuna di queste tre scelte ve ne sono tre possibili per il secondo oggetto; per ciascuna delle nove ( œ 3 † 3) possibilità così ottenute ve ne sono tre per la scelta del terzo oggetto; e così via, ottenendo in tutto 3 † 3 † á † 3 œ 3"$ ( œ 1.594.323) possibili “colonne” del “Totocalcio”. Formalizziamo ora questo ragionamento per il caso generale. Sia 5 un numero naturale. Si dice 5 disposizione (con ripetizione) di a" , a# , á , a8 (o anche disposizione di a" , a# , á , a8 a 5 a 5 ) ogni 5 pla ordinata di elementi di A8 (cioè ogni elemento del prodotto cartesiano (A8 )5 ). Naturalmente l’espressione “con ripetizione” (che infatti abbiamo scritto fra parentesi) sta ad indicare la possibilità, non l’obbligatorietà che qualche elemento di A8 compaia più volte nella 5 pla; le “ripetizioni” sono forzate solo se 5 8 (come nell’esempio visto sopra). Teorema 13.2.1 Sia 5 un numero intero positivo. Il numero delle 5 disposizioni (con ripetizione) di a" , a# , á , a8 è 85 . Dimostrazione - Si tratta di provare che |(A8 )5 | œ 85 . Ciò si prova facilmente per induzione su 8 ricordando che per due insiemi finiti A, B si ha |A ‚ B| œ |A| † |B| (cfr. 12.2.5). Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 81 Esercizio 13.2.2 Il codice di accesso a una banca dati è una sequenza ordinata di cinque caratteri alfanumerici (lettere dell’alfabeto inglese e cifre) . Quanti sono i codici possibili? Soluzione - Sono tanti quante le disposizioni con ripetizione di 36 ( œ 26 10) oggetti a 5 a 5, cioè 36& œ 60.466.176. Esercizio 13.2.3 In una nazione, le automobili sono targate con sequenze ordinate di sei cifre; in un’altra, con sequenze ordinate di cinque caratteri alfanumerici escludendo le lettere “I”, “O”, “Q”, “B” che possono dar luogo ad ambiguità di lettura da lontano. Quante auto possono essere targate con questi metodi? Soluzione - Col primo metodo si possono targare 10' ( œ 1.000.000) auto; col secondo, 32& œ 33.554.432. 13.3 - 5 disposizioni semplici. Supponiamo che ad una gara di atletica partecipino otto atleti. Quante sono le possibili disposizioni degli atleti sul podio al termine della gara? Prescindiamo naturalmente dalle capacità agonistiche degli atleti. Abbiamo qui un insieme di otto elementi (gli atleti) con i quali dobbiamo formare tutti i possibili raggruppamenti costituiti da tre elementi distinti ordinati in tutti i modi possibili. Il primo atleta può essere scelto in otto modi diversi; per ciascuna di queste otto scelte ve ne sono sette possibili per il secondo; per ciascuna delle 56 ( œ 7 † 8) possibilità così ottenute ve ne sono 6 per la scelta del terzo atleta. Si ottengono in tutto 8 † 7 † 6 œ 336 possibili disposizioni. Le disposizioni che abbiamo considerato con questo esempio sono particolari 5 disposizioni: in esse infatti gli elementi che compaiono sono tutti distinti; esse si dicono 5 disposizioni semplici. Ne diamo adesso la definizione precisa. Sia 5 un numero naturale minore o uguale a 8. Si dice 5 disposizione semplice di a" , a# , á , a8 (o anche disposizione semplice di a" , a# , á , a8 a 5 + 5 ) ogni 5 pla ordinata di elementi di A8 tutti distinti fra loro. Quante sono le 5 disposizioni semplici di 8 oggetti? A differenza di quanto avviene per le disposizioni con ripetizione, nel formare una 5 disposizione semplice si può scegliere in 8 modi diversi soltanto il primo elemento; per la scelta del secondo si hanno 8 1 possibilità, per quella del terzo 8 2, e così via fino al 5 simo per il quale si hanno soltanto 8 (5 1) possibilità. Esistono perciò in tutto 8 † (8 1) † á † (8 5 1) 5 disposizioni semplici di 8 oggetti. Teorema 13.3.1 Sia 5 un numero intero positivo minore o uguale a 8. Il numero delle 5 disposizioni semplici di a" , a# , á , a8 è 8 † (8 1) † á † (8 5 1). Dimostrazione - Il ragionamento che abbiamo fatto sopra può essere formalizzato procedendo per induzione. Basta osservare che da ogni (5 1) disposizione semplice di a" , a# , á , a8 si può ottenere una 5 disposizione semplice “aggiungendo” uno dei restanti 8 (5 1) ( œ 8 5 1) elementi: con questa costruzione, ogni (5 1) disposizione semplice dà luogo a 8 5 1 5 disposizioni distinte; d’altro lato, (5 1) disposizioni semplici distinte danno luogo a 5 disposizioni semplici distinte (perchè differiscono in uno dei primi 5 1 elementi). Dunque, se il numero delle (5 1) disposizioni semplici distinte è D5" , il numero delle 5 disposizioni semplici è (8 5 1) † D5" . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 82 Procediamo allora per induzione su 5 . Se 5 œ 1, è immediato che le 1 disposizioni semplici di a" , a# , á , a8 sono 8. Supponiamo allora (ipotesi di induzione) che le 2 disposizioni semplici siano 8 † (8 1) † á † (8 2 1); per quanto sopra osservato, le (2 1) disposizioni semplici di a" , a# , á , a8 sono (8 † (8 1) † á † (8 2 1)) † (8 2), come si voleva. Esercizio 13.3.2 Quante bandiere tricolori (formate da tre bande verticali colorate) si possono formare con cinque colori assegnati? Soluzione - La risposta è 5 † 4 † 3 œ 60. Particolare importanza riveste il caso 5 œ 8: il problema non è in questo caso quello di scegliere gli elementi (vanno presi tutti!) ma quello di ordinarli. Il numero dei modi distinti in cui ciò si può fare è 8 † (8 1) † á † 3 † 2 † 1, cioè il prodotto dei primi 8 numeri naturali: tale numero si indica con 8! (leggi: “8 fattoriale”). Osservazione 13.3.3 Ricordiamo (cfr. 4.4) che si dice permutazione su A8 ogni corrispondenza biunivoca A8 Ä A8 . Ogni permutazione 1 di A8 individua una 8 disposizione semplice di a" , a# , á , a8 , precisamente la ( 1(a" ), 1(a# ), á , 1(a8 ) ); è chiaro che permutazioni distinte individuano 8 disposizioni distinte e che si ottengono così tutte le 8 disposizioni semplici di a" , a# , á , a8 . Dunque i due concetti (permutazione su A8 , 8 disposizione semplice di a" , a# , á , a8 ) si possono identificare. Con la notazione sopra introdotta, e ponendo per comodità 0! œ 1, possiamo riformulare l’enunciato del teorema 13.3.1: Teorema 13.3.4 Sia 5 un numero intero positivo minore o uguale a 8. Il numero delle disposizioni semplici di 8 oggetti a 5 a 5 è su 8 oggetti è 8!. 8! (85 )! . In particolare, il numero delle permutazioni Esercizio 13.3.5 Quante sono le possibili classifiche finali di un campionato di calcio a 18 squadre? Naturalmente prescindiamo, anche qui, dalle capacità agonistiche delle squadre. Soluzione - La risposta è: 18! ( ¶ 6.4 † 10"& ). Esercizio 13.3.6 Una certa emittente televisiva privata trasmette solo film. In quanti modi diversi può organizzare un palinsesto di 5 film scegliendoli tra 7 titoli? Soluzione - La risposta è 7! 2! ( œ 7 † 6 † 5 † 4 † 3 œ 2.520). Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 83 Esercizio 13.3.7 Quanti anagrammi (a prescindere dal senso) si possono ottenere dalla parola “ramo”? E quanti dalla parola “mamma”? Soluzione - Gli anagrammi di “ramo” sono tanti quante le permutazioni su 4 oggetti, ossia 4! ( œ 24). Se anagrammiamo la parola “mamma”, non ha senso distinguere fra loro gli anagrammi che differiscono per una permutazione sulle tre “m”, o quelli che differiscono per una permutazione sulle due “a”. Si ottengono dunque 5! 3!†2! anagrammi distinti. 13.4 - 5 combinazioni semplici. Supponiamo che un giornale quotidiano lanci un concorso basato sulle quotazioni in borsa di 48 titoli numerati da 1 a 48. Vengono distribuite tesserine contenenti ciascuna 8 numeri diversi compresi tra 1 e 48; quante diverse tesserine possono essere distribuite? Si noti che i numeri su ciascuna tesserina sono sempre disposti in ordine strettamente crescente: ciò significa che dobbiamo formare tutti i possibili raggruppamenti di 8 numeri distinti (scelti tra 1 e 48) senza poterli distinguere in base all’ordine dei numeri (perché tale ordine resta univocamente determinato dalla scelta dei numeri). Sia 5 un numero naturale minore o uguale a 8. Si dice 5combinazione semplice di a" , a# , á , a8 (o anche combinazione semplice di a" , a# , á , a8 a 5 a 5 ) ogni 5 pla ordinata (a3" , a3# , á , a35 ) per la quale sia i" i# á i5 . È utile (lo vedremo più avanti) formalizzare la definizione di 5 combinazione semplice utilizzando, come abbiamo fatto, la nozione di 5 pla ordinata; bisogna però aver ben chiaro che l’ordinamento è determinato dagli elementi, e quindi le 5 combinazioni semplici sono individuate solo dalla scelta degli elementi, e non dal loro ordinamento. Lo ribadiamo col seguente teorema: Teorema 13.4.1 Le 5 combinazioni semplici di a" , a# , á , a8 sono in corrispondenza biunivoca con i sottoinsiemi di Öa" , a# , á , a8 × che hanno cardinalità 5 . Dimostrazione - Sia V l’insieme delle 5 combinazioni semplici di a" , a# , á , a8 , e sia f l’insieme dei sottoinsiemi di A8 formati da 5 elementi. Sia f:V Ä f la funzione che alla 5 combinazione semplice (a3" , a3# , á , a35 ) associa l’insieme Öa3" , a3# , á , a35 × (poiché per ipotesi 3" 3# á 35 , gli elementi a3" , a3# , á , a35 sono tutti distinti e dunque effettivamente Öa3" , a3# , á , a35 × − f ). Proviamo che f è suriettiva: se Öa4" , a4# , á , a45 × − f , riordinando opportunamente i suoi elementi possiamo ottenere una 5 combinazione semplice, la cui immagine mediante f è proprio Öa4" , a4# , á , a45 ×. Proviamo infine che f è iniettiva: 5 combinazioni semplici che hanno la stessa immagine mediante f sono formate dagli stessi elementi; poiché tali elementi possono essere ordinati in un solo modo rispettando la condizione che gli indici siano strettamente crescenti, le 5 combinazioni semplici da cui eravamo partiti devono coincidere. Teorema 13.4.2 Sia 5 un numero naturale minore o uguale a 8. Il numero delle 5 combinazioni semplici di a" , a# , á , a8 è n! k!†(85 )! . Dimostrazione - Sia W l’insieme delle 5 disposizioni semplici di a" , a# , á , a8 . Definiamo in W la seguente relazione: (a3" , a3# , á , a35 ) µ (a4" , a4# , á , a45 ) se e solo se esiste una permutazione 1 su 3" , 3# , á , 35 tale che 1(3" ) œ j" , 1(3# ) œ j# , á , 1(35 ) œ j5 . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 84 Si verifica facilmente che µ è una relazione di equivalenza su W, e che ogni 5 combinazione semplice appartiene ad una e una sola classe di equivalenza. Ogni classe di equivalenza ha 5 ! elementi (perchè le 8! permutazioni su 5 oggetti sono 5 !, cfr. 13.3.4), dunque le classi di equivalenza sono |5W!| œ 5!†(85 )! . Questo è anche il numero delle 5 combinazioni semplici di a" , a# , á , a8 . Sia 5 un numero naturale minore o uguale a 8. 8! ˆ 8 ‰ (leggi: “8 su 5 ”). Tutti i numeri della forma ˆ 85 ‰ (con 5 Ÿ 8) si Il numero 5!†(85 )! si indica con 5 dicono coefficienti binomiali. Possiamo così riformulare il teorema 13.4.2: Teorema 13.4.3 Sia 5 un numero naturale minore o uguale a 8. Il numero delle 5 combinazioni semplici di a" , a# , á , a8 è ˆ 85 ‰ . Esempio 13.4.4 Il numero delle tesserine contenenti ciascuna 8 diversi numeri naturali compresi tra 1 e 48 è †44†43†42†41 ˆ 48 ‰ œ 48†47†846†7††45 œ 377.348.994. 8 6 † 5 † 4 † 3† 2 Il teorema che segue espone le relazioni più importanti che intercorrono fra i coefficienti binomiali: su di esse, fra l’altro, è fondata la regola pratica per il calcolo dei coefficienti binomiali. Teorema 13.4.5 Sia 5 un numero naturale minore o uguale a 8. Si ha 8 ‰ (+) ˆ 85 ‰ œ ˆ 85 ; 1 ‰ (- ) 5 † ˆ 85 ‰ œ 8 † ˆ 8 51 ; (, ) ˆ 85 ‰ œ ˆ 81 5 ‰ˆ 81 51 (. ) ˆ 80 ‰ œ 1. ‰; Dimostrazione - Si tratta di semplici verifiche. Proviamo la (+) . 8 ‰ ˆ 85 œ Proviamo la (, ) . Si ha 8! (85 )!†(8(85 ))! 1 ‰ 1 ‰ ˆ 8 ˆ 8 œ 5 51 œ 8! (85 )!†5 ! (81)! 5 !†(851)! œ 8! 5 !†(85 )! œ ˆ 85 ‰. (81)! (51)!†(85 )! . Riduciamo allo stesso denominatore le due frazioni al secondo membro; a tale scopo, moltiplichiamo la prima 5 per 85 85 e la seconda per 5 . (81)!†(85 ) (81)!†5 (81)!†(855 ) 8! ˆ 85 ‰. Si ottiene œ 5 !†(85 5 !†(85 )! 5 !†(85 )! œ 5 !†(85 )! )! œ Proviamo la (- ) . Si ha 5 † ˆ 85 ‰ œ 5 † Proviamo infine la (. ) . Si ha 8! 5 !†(85 )! œ 8! (51)!†(85 )! ˆ 80 ‰ œ 8! 0!†(80)! œ8† œ 8! 8! (81)! (51)!†(85 )! œ 1. 1 ‰ œ 8 † ˆ 8 51 . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 85 Applicando le relazioni espresse dal teorema 13.4.5 si costruisce il triangolo di Tartaglia (detto anche triangolo di Pascal), riportando su righe successive i coefficienti binomiali ˆ 85 ‰ in modo che (numerando le righe con 0, 1, 2, á ) la riga 8 sima consista nell’ordine dei numeri ˆ 80 ‰, ˆ 81 ‰, á , ˆ 88 ‰. Precisamente: - Il primo e ultimo numero di ogni riga è 1 (per la (- ) del teorema 13.4.5, tenendo conto della (+)); - Ogni numero di ciascuna riga, eccetto il primo e l’ultimo, è la somma dei due numeri immediatamente soprastanti (per la (, ) del teorema 13.4.5); - Lo schema è simmetrico rispetto a un asse di simmetria verticale (per la (+) del teorema 13.4.5). 1 1 1 1 1 2 3 1 3 1 1 4 6 4 1 1 5 10 10 5 1 1 6 15 20 15 6 1 ................................. Teorema 13.4.6 Sia (F, , † ) un campo. Se a, b − F, si ha 8 ‰ 8" (a b)8 œ ˆ 80 ‰ a8 ˆ 81 ‰ a8" b á ˆ 8 ˆ 88 ‰ b8 œ ! ˆ 1 ab 8 5œ0 8 5 ‰ a85 b5 . Dimostrazione - Valutiamo il polinomio (a b)8 . Si ha (a b)8 œ (a b) † (a b) † á † (a b) (8 volte). L’espressione al secondo membro si sviluppa nella somma di prodotti ottenuti scegliendo uno dei due termini a, b per ciascuno degli 8 fattori in tutti i modi possibili. Tali prodotti, per la proprietà commutativa della moltiplicazione, si possono scrivere tutti nella forma a5 b85 (notiamo che la somma degli esponenti deve essere 8). Fissiamo l’attenzione su un particolare valore di 5 : quante diverse scelte dei termini a, b danno luogo al prodotto a5 b85 ? “Etichettiamo” ogni fattore (a b) con un a3 (3 œ 1, á , 8); ogni scelta che comprende esattamente 5 volte “a” corrisponde a un sottoinsieme di A8 di cardinalità 5 (formato da quei 5 elementi che “etichettano” i fattori dai quali è stato scelto “a”): dunque (per 13.4.1 e 13.4.3) nello sviluppo di (a b)8 vi sono esattamente ˆ 85 ‰ termini della forma a5 b85 . Da ciò segue l’asserto. I numeri della forma ˆ 85 ‰ con 8, 5 − e 5 Ÿ 8 si dicono coefficienti binomiali proprio perché compaiono come coefficienti nello sviluppo della potenza 8 sima del binomio a b. Teorema 13.4.7 |c (A8 )| œ 25 . Dimostrazione - Per ogni numero naturale 5 Ÿ 8, esistono esattamente ˆ 85 ‰ sottoinsiemi di A8 aventi cardinalità 5 (cfr. 13.4.1 e 13.4.3). Dunque, |c (A8 )| œ ! ˆ 85 ‰ . D’altro lato, applicando in ‘ il teorema 13.4.6 8 con a œ b œ 1, si ottiene ! ˆ 85 ‰ œ ! ˆ 85 ‰ 185 † 15 œ (1 1)8 œ 28 . 8 8 5œ! 5œ! 5œ! Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 86 13.5 - 5 combinazioni con ripetizione. Supponiamo di avere a disposizione una quantità illimitata di palline di tre colori: rosso, verde, azzurro. Quanti sacchetti “diversi” di sette palline possiamo formare? (Due sacchetti si considerano “diversi” se differiscono per il numero delle palline di uno almeno dei tre colori). È chiaro che questo non può essere interpretato come un problema di disposizioni dei tre colori dati (l’ordine delle palline non conta!); non si tratta però nemmeno di combinazioni semplici, perché i colori possono (in questo esempio, devono) essere ripetuti. Se l’esempio delle palline colorate sembra troppo frivolo, si pensi a quest’altro problema: quanti termini ha il polinomio omogeneo generale di grado sette nelle tre indeterminate x, y, z ? La risposta è data dal numero dei monomi “diversi” della forma x! y" z# con !, " , # − e ! " # œ 7; ciascuno di questi monomi è un “sacchetto” di sette lettere scelte tra x, y, z. Questo problema ha dunque la stessa soluzione del precedente. Sia 5 un numero intero positivo. Si dice 5 combinazione con ripetizione di a" , a# , á , a8 (o anche combinazione con ripetizione di a" , a# , á , a8 a 5 a 5 ) ogni 5 pla ordinata (a3" , a3# , á , a35 ) per la quale sia 3" Ÿ 3# Ÿ á Ÿ 35 . Notiamo che in questa definizione, come già in quella di 5 combinazione semplice, la scelta degli elementi a34 determina il loro ordinamento; solo tale scelta caratterizza dunque le 5 combinazioni. Teorema 13.5.1 Sia 5 un numero intero positivo. 1‰ Il numero delle 5 combinazioni con ripetizione di a" , a# , á , a8 è ˆ 85 . 5 Dimostrazione - Sia VÐrÑ l’insieme delle 5 combinazioni con ripetizione di a" , a# , á , a8 , e sia ^ l’insieme delle 5 combinazioni semplici di 1, 2, á , 8 5 1. Per provare l’asserto, sarà sufficiente dimostrare che la funzione f: (A8 )5 Ä 5 che alla 5 pla ordinata (a3" , a3# , a3$ á , a35 ) associa la 5 pla ordinata (3" , 3# 1, 3$ 2, á , 35 5 1) è una corrispondenza biunivoca tra VÐrÑ e ^. Osserviamo in primo luogo che f(VÐrÑ ) § ^. In effetti, se 1 Ÿ 3" Ÿ 3# Ÿ 3$ Ÿ á Ÿ 35 Ÿ 8 , si ha certamente 1 Ÿ 3" 3# 1 3$ 2 á 35 5 1 Ÿ 8 5 1. Inoltre, f è iniettiva (se due 5 combinazioni con ripetizione differiscono per la j sima componente, ciò avviene anche per le corrispondenti (8 5 1) combinazioni). Resta da provare che f è suriettiva. Sia (4" , 4# , á , 45 ) − ^; allora 1 Ÿ 4" 4# á 45 Ÿ 8 5 1, da cui 1 Ÿ 4" Ÿ 4# 1 Ÿ 4$ 2 Ÿ á Ÿ 45 5 1 e quindi (a3" , a3# " , a3$ # á , a35 " ) − VÐrÑ ; ma, chiaramente, f(a4" , a4# " , a4$ # , á , a45 5" ) œ (4" , 4# , á , 45 ). L’asserto è così completamente provato. Siamo in grado ora di risolvere il problema (anzi, i due problemi) da cui eravamo partiti. La risposta è ˆ 3771 ‰ œ ˆ 97 ‰. Esercizio 13.5.2 Quanti sono i numeri di 6 cifre nei quali ogni cifra è maggiore o uguale alla successiva? (Sono esempi di tali numeri: 755420, 555555, 654311.) Soluzione - I numeri considerati restano individuati dalle 6 combinazioni con ripetizione delle 10 cifre (bisogna escludere la (0, 0, 0, 0, 0, 0), che non corrisponde a un numero di sei cifre); sono dunque ˆ 10661 ‰ 1 œ ˆ 15 ‰ 1 œ 5004. 6 Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 87 13.6 - Esercizi di ricapitolazione. 13.6.1 È dato un insieme finito X . Se il numero dei sottoinsiemi di X che hanno cardinalità 5 è uguale al numero dei sottoinsiemi di X che hanno cardinalità 3, qual è la cardinalità di X ? Soluzione - Sia |X| œ 8. Per ipotesi, ˆ 85 ‰ œ ˆ 83 ‰, ossia 8†(81)†(82)†(83)†(84) 5 † 4 † 3† 2 œ 8†(81)†(82) 3† 2 da cui (8 3) † (8 4) œ 20. Tale equazione di secondo grado nell’incognita 8 ha la sola radice positiva 8 œ 8. Dunque ± X ± œ 8. 13.6.2 Sono dati nel piano 10 punti, fra i quali non ve ne sono tre allineati. Quante rette si ottengono congiungendoli a due a due? Quanti triangoli hanno tutti i vertici fra quei punti? Soluzione - Due punti individuano una retta; poiché fra i punti dati non ve ne sono tre allineati, coppie distinte di punti individuano rette distinte. Dunque si ottengono ˆ 10 ‰ œ 45 2 rette. I triangoli sono individuati dalla scelta dei vertici; il loro numero è quindi ˆ 10 ‰ œ 120. 3 13.6.3 Quanti sono gli ambi che si possono giocare al lotto? Quanti di essi vengono estratti su ogni ruota? E i terni? E le cinquine? ‰ œ 4005. Di questi ne vengono estratti su ogni Soluzione - Gli ambi che si possono giocare sono ˆ 90 2 ruota ˆ ‰ œ 10. ‰ œ 117.480. Di questi ne vengono estratti su ogni ruota ˆ 53 ‰ œ 10. I terni che si possono giocare sono ˆ 90 3 ‰ œ 43.949.268. Di queste ne viene estratta una su ogni ruota. Le cinquine che si possono giocare sono ˆ 90 5 5 2 13.6.4 Quante sono le possibili “mani” al poker (distribuzioni di 5 carte) giocando con 32 carte? Quante di esse hanno un “poker” servito? Quante una coppia di assi? ‰ œ 201.376. I possibili poker sono 8, e ciascuno di essi può Soluzione - Le possibili mani sono ˆ 32 5 essere “completato” (per raggiungere la “mano” di 5 carte) con una qualsiasi delle restanti 28 carte; in tutto, 8 † 28 œ 224 possibilità. Esaminiamo ora quante “mani” hanno esattamente una coppia di assi. Le possibili coppie di assi sono ˆ 42 ‰ œ 6; ‰ œ 3.276; in tutto dunque vi sono 19.656 le possibili scelte di tre carte per completare la “mano” sono ˆ 28 3 “mani” che hanno esattamente una coppia di assi. Allo stesso modo si vede che le mani con esattamente un tris di ‰ œ 1512, e quelle con quattro assi sono 28. In tutto, 4816 possibilità. assi sono ˆ 43 ‰ † ˆ 28 2 13.6.5 In quanti modi si possono allineare 5 persone con la condizione che due (prestabilite) di esse stiano accanto? Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 88 14.- I VETTORI LIBERI 14.1 - Orientamento della retta e del piano. Sia r una retta (che, come convenuto in 1.4, pensiamo come insieme di punti). Una relazione £ in r si dice un verso su r se Ð3Ñ £ è una relazione di ordine totale in r e inoltre Ð33Ñ comunque presi A, B − r, qq se A ¡ B, allora A £ P £ B per ogni punto P del segmento AB . Una retta si dice orientata se è dato su di essa un verso. Teorema 14.1.1 Sia r una retta, e siano A, B punti distinti di r. Esiste uno e un solo verso su r per il quale A ¡ B. Dimostrazione - Omettiamo la dimostrazione di questo teorema. Sia r una retta, e siano A, B punti distinti di r. Si dice verso individuato dalla coppia ordinata ÐA, BÑ quel verso su r (univocamente determinato, per il teorema 14.1.1) per il quale A precede B. Corollario 14.1.2 Sia r una retta. Esistono esattamente due versi su r. Dimostrazione - Siano A, B due punti distinti di r. Per il teorema 14.1.1, su r esiste esattamente un verso per il quale A precede B, ed esattamente un verso (necessariamente distinto dal precedente) per il quale B precede A ; ma, d’altro lato, per ogni verso su r deve aversi che A precede B oppure B precede A. Sia r una retta. I due versi su r si dicono opposti l’uno dell’altro. Siano r una retta orientata, s una retta parallela a r, e 1 : s Ä r l’applicazione che ad ogni punto di s associa la sua proiezione ortogonale su r. La relazione ¡ < in s definita ponendo per P" , P# − s P" ¡ < P# Í 1ÐP" Ñ ¡ 1ÐP# Ñ in r è un verso su s, che si dice indotto da quello di r. Si può dimostrare che scegliendo anziché la proiezione ortogonale la proiezione secondo un’altra qualsiasi direzione fissata si indurrebbe su s ancora lo stesso verso. Siano r , s due rette parallele entrambe orientate; si dice che r e s hanno lo stesso verso (o anche che r, s sono concordemente orientate) se il verso fissato su s coincide con quello indottovi dal verso fissato su r (in caso contrario si dice che e e s hanno verso opposto oppure che sono discordemente orientate). La relazione “avere lo stesso verso” così definita è una relazione di equivalenza nel fascio delle rette parallele a r e s . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 89 Osservazione 14.1.3 Si estende facilmente a rette genericamente disposte il procedimento per indurre il verso mediante proiezione secondo una direzione assegnata, sopra descritto nel caso di rette parallele. C’è però da osservare in primo luogo che la scelta della direzione secondo cui proiettare influisce in modo essenziale sulla costruzione; infatti proiettando secondo direzioni diverse si possono indurre versi opposti. Inoltre, anche fissato un criterio per decidere la direzione secondo cui effettuare la proiezione, si trova che nell’insieme di tutte le rette del piano la relazione “avere lo stesso verso” non risulta transitiva (e quindi non è una relazione di equivalenza). Esercizio [*] 14.1.4 Si dia un esempio di relazione di ordine totale in una retta che non sia un verso (per la quale, cioè, non valga la Ð33Ñ). Osservazione 14.1.5 In qualche occasione (cfr. ad es. 15.2 e A2.2) avremo bisogno di stabilire un orientamento per il piano. Non precisiamo qui formalmente, come invece si è fatto per la retta, che cosa significhi orientare il piano ; diciamo solo, in modo grossolano, che si tratta di stabilire un “buon” criterio che consenta, per ogni terna ordinata di punti non allineati del piano, di dichiararla “positivamente orientata” oppure “negativamente orientata”. Nel seguito accetteremo la seguente convenzione informale. Sia (A, B, C) una terna ordinata di punti non allineati del piano; essi individuano una circonferenza >. Se per incontrare A, B, C nell’ordine dato la circonferenza > va percorsa nel senso positivo (cioè, in senso antiorario), la terna (A, B, C) si dice positivamente orientata ; se invece per incontrare A, B, C nell’ordine dato la circonferenza > va percorsa nel senso negativo (cioè, in senso orario), la terna (A, B, C) si dice negativamente orientata. è importante notare che questa convenzione non costituisce una vera e propria definizione, perché il significato delle espressioni “incontrare” e “percorrere in senso antiorario” non è stato precisato rigorosamente ma viene lasciato all’intuizione. 14.2 - Vettori applicati. La relazione di equipollenza. Siano A, B punti dello spazio. La coppia ordinata (A, B) si dice anche vettore applicato e, quando si usa qp questo termine, si indica col simbolo AB . Si noti che può essere A œ B; in questo caso, il vettore applicato si dice nullo. qp qp Si dice modulo del vettore applicato non nullo AB , e si indica con ² AB ² , il numero reale positivo d(A, B). qp Si dice direzione del vettore applicato non nullo AB la direzione della retta AB (cfr. 6.3.3). qp qp qp qp Siano AB , CD vettori applicati non nulli aventi la stessa direzione; si dice che AB e CD hanno lo stesso verso se individuano lo stesso verso sulle rette AB e CD. qp Al vettore applicato nullo AA si assegna modulo 0 (in accordo col fatto che d(A, A) œ 0) ma non si assegna una direzione né se ne confronta il verso con quello di altri vettori applicati. Due vettori applicati si dicono equipollenti se - sono entrambi nulli oppure - sono entrambi non nulli, ed hanno lo stesso modulo, la stessa direzione e lo stesso verso. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 90 Osservazione 14.2.1 La relazione di equipollenza è una relazione di equivalenza nell’insieme dei vettori applicati. Dimostrazione - Si tratta di una verifica pressoché immediata. Teorema 14.2.2 qp Siano A, B, C, D punti dello spazio. Condizione necessaria e sufficiente affinché il vettore applicato AB sia qp equipollente al vettore applicato CD è che il punto medio del segmento AD coincida col punto medio del qp qp segmento BC . In particolare: se A, B, C, D non sono allineati, AB è equipollente a CD se e solo se ABDC è un parallelogramma. Dimostrazione - Se i punti A, B, C, D appartengono tutti a una stessa retta il teorema è immediato; qp qp dunque possiamo supporre che le rette AB e CD siano distinte. Se AB è equipollente a CD , ABDC è un parallelogramma perché ha i lati opposti congruenti e paralleli; dunque le sue diagonali si intersecano nel loro punto medio, come si voleva dimostrare. Viceversa, supponiamo che il punto medio M del segmento AD sia anche punto medio del segmento BC : allora i quattro punti A, B, C, D sono complanari, e i triangoli AMB e ^ e CMD ^ sono congruenti perché opposti al vertice) ; CMD sono congruenti per il primo criterio (gli angoli AMB ne segue che Ð1Ñ le rette AB e CD sono parallele perché formano con AD angoli alterni interni congruenti; Ð2Ñ i segmenti AB e CD sono congruenti; Ð3Ñ le coppie ordinate ÐA, BÑ e ÐC, DÑ inducono lo stesso verso sulle rette AB e CD , come si verifica proiettando nelle direzione della retta BC ; qp qp e dunque AB è equipollente a CD , come si voleva dimostrare. Teorema 14.2.3 qp Comunque scelti i punti A, B, C, esiste uno e un solo punto D tale che il vettore applicato CD è equipollente al qp vettore applicato AB . Dimostrazione - Supponiamo in primo luogo che i punti A, B, C appartengano a una stessa retta r; allora qp D è uno (e uno solo) dei due punti di r che hanno distanza da C uguale al modulo di AB . Supponiamo invece ora che A, B, C non siano allineati. Sia r la retta per C parallela alla retta AB, e sia P l’intersezione fra r e la retta per B parallela alla retta AC; sia P’ il punto di r simmetrico di P rispetto a C. I qp qp qp vettori applicati CP e CP’ hanno entrambi modulo e direzione uguali al modulo e alla direzione di AB , ed hanno inoltre versi opposti: sarà dunque D œ P oppure D œ P’ ; si può concludere che D œ P utilizzando il teorema 14.2.2 . 14.3 - I vettori liberi. Sia iA l’insieme dei vettori applicati. Si dice vettore libero una classe di equivalenza di iA rispetto alla relazione di equipollenza definita in 14.2. Il generico vettore libero si indica usualmente con una lettera sottolineata, ad es.: –v, w – , a–, b –, –c . L’insieme dei vettori liberi si indica con i$ . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 91 qp Se AB è un vettore applicato, la classe di equivalenza (rispetto alla relazione di equipollenza) a cui qp qp appartiene AB è dunque un vettore libero –v ; spesso si scrive –v œ B A. Si dice che AB è un rappresentante di qp –v; naturalmente, ogni vettore applicato equipollente ad AB è ancora un rappresentante di –v. I vettori applicati nulli costituiscono una classe di equivalenza, che si dice vettore (libero) nullo e si indica con 0–. Sia –v un vettore libero non nullo. Modulo, direzione e verso di un qualunque rappresentante di –v si dicono rispettivamente modulo, direzione e verso di –v (il modulo di –v si indica con ² –v ² ). Al vettore nullo si assegna modulo 0 ma non si assegnano direzione né verso. Due vettori liberi non nulli si dicono paralleli se hanno la stessa direzione; si dicono ortogonali (o perpendicolari) se hanno direzioni ortogonali Ð28Ñ. Si conviene che il vettore nullo sia parallelo e ortogonale ad ogni vettore libero. Talvolta (noi lo faremo nei capitoli 15, 16 e 17) si considera il sottoinsieme i# di i$ formato dai vettori liberi paralleli a un piano fissato. i# si dice insieme dei vettori liberi del piano. Teorema 14.3.1 qp Comunque scelti il punto C e il vettore libero –v, esiste uno e un solo punto D tale che il vettore applicato CD rappresenta –v , ossia tale che –v œ D C. qp Dimostrazione - Sia –v œ B A; allora il vettore applicato AB rappresenta –v. Per il teorema 14.2.3, qp qp esiste uno e un solo punto D tale che il vettore applicato CD è equipollente al vettore applicato AB ; ma allora qp CD rappresenta –v, come si voleva. 14.4 - Somma di vettori liberi. qp Siano –v, w un rappresentante AB per –v, il teorema 14.3.1 garantisce l’esistenza di – vettori liberi. Scelto qp un punto C tale che il vettore applicato BC rappresenta w – . Si pone v w : – – œ C A. Teoremi di geometria piana che supponiamo noti dalla Scuola Secondaria consentono di dimostrare che qp il vettore libero C A non dipende dalla particolare scelta dei punti A, B, C (fermo restando che AB rappresenti qp –v e BC rappresenti w – ) ma solo dai vettori liberi –v e w – . Si è cioè effettivamente definita un’operazione binaria interna (detta somma) nell’insieme i$ dei vettori liberi Ð29Ñ. Si noti che, grazie alla notazione introdotta in 14.3, la definizione di somma può essere scritta come (C B) (B A) : œ C A. Ancora da teoremi di geometria studiati nella Scuola Secondaria segue che la somma così definita è associativa e commutativa. È poi ovvio dalla definizione stessa che il vettore nullo è elemento neutro per la somma e che (A B) (B A) œ 0–, cosicché per ogni vettore libero esiste il simmetrico rispetto alla somma (che si dice opposto del vettore dato). Si ha così (cfr. 8.1) Teorema 14.4.1 L’insieme dei vettori liberi è un gruppo commutativo rispetto alla somma. 28 cioè se due rette qualsiasi aventi le loro direzioni sono ortogonali. Per teoremi di geometria elementare che supponiamo noti, il verificarsi o meno di tale condizione non dipende dalle particolari rette scelte. 29 Una situazione analoga si verifica quando si definiscono le operazioni (di somma, prodotto, ecc.) nell' insieme : si ragiona sulle frazioni (che “rappresentano” i numeri razionali, ma non “sono” i numeri razionali) mostrando poi che il risultato ottenuto non dipende dalle particolari frazioni considerate ma solo dai numeri razionali che esse rappresentano. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 92 Esercizio [*] 14.4.2 Si dimostri che, comunque presi –v, w – − i$ , si ha ² –v w – ² Ÿ ² –v ² ² w –² e che ² –v w ² œ ² v ² ² w ² se e solo se v , w sono paralleli e hanno lo stesso verso. – – – – – 14.5 - Prodotto tra vettori liberi e numeri reali. Siano –v un vettore libero e - un numero reale. Si dice prodotto di –v per - il vettore libero -–v tale che: il modulo di -–v è |-| † ² –v ² ; e inoltre, se ² -v – ² Á 0: la direzione di -v – è la direzione di –v ; -–v ha lo stesso verso di –v se - 0, ha lo stesso verso dell’opposto di –v se - 0. Teoremi di geometria che dovrebbero essere conosciuti dalla Scuola Secondaria consentono di dimostrare che -v – resta univocamente individuato da queste condizioni e che valgono le seguenti proprietà: - † Жv w Ñ – œ -–v -w – a - − ‘, a –v, w – − i$ ; Ð- .Ñ † –v œ -–v .–v a -, . − ‘, a –v − i$ ; - † Ð.–vÑ œ Ð-.Ñ–v a -, . − ‘, a –v − i$ ; 1–v œ –v a –v − i$ . Teorema 14.5.1 Siano –v , w – vettori liberi. Essi sono paralleli se e solo se –v œ 0– oppure esiste un numero reale - tale che w œ v . – – Dimostrazione - Se –v œ –0 , allora –v e w – sono paralleli per quanto convenuto in 14.3; se w – œ -–v con - − ‘, allora –v e w sono paralleli per come si è definito v . – – Viceversa, supponiamo che –v , w – siano paralleli e che sia –v Á 0–. Se w – œ 0– , è w – œ 0–v : dunque possiamo supporre che sia anche w Á 0 . La condizione di parallelismo tra v e w comporta allora che –v , w – – – – – abbiano la stessa direzione; posto -: œ ² w ² / ² v ² se v , w hanno lo stesso verso (e posto – – – – :œ ²w – ² / ² –v ² in caso contrario) è immediato verificare che risulta w – œ -–v. Osservazione 14.5.2 Il “prodotto” fra vettori liberi e numeri reali non è un’operazione (interna) in i$ nel senso visto in 7.1; si tratta infatti di un’applicazione i$ ‚ ‘ Ä i$ . In questo e negli altri importantissimi casi che avremo occasione di vedere, si dovrebbe parlare di “operazione (binaria) esterna”; tale espressione tuttavia potrebbe indurre confusione perché, proprio a proposito di vettori liberi, si dà il nome di prodotto esterno a un’altra operazione binaria (detta anche prodotto vettoriale) che però è un’operazione binaria interna (sic!) in i$ . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 93 15.- SISTEMI DI RIFERIMENTO CARTESIANI NEL PIANO 15.1 - Il “metodo delle coordinate”. La geometria è il ramo della matematica in cui (dai tempi di Euclide!) è stato più evidente il modo di procedere per definizioni e rigorose dimostrazioni. L’aspetto “creativo” delle dimostrazioni geometriche costituisce insieme il fascino e la difficoltà di questa materia: mentre per risolvere un’equazione di secondo grado (come supponiamo noto dalla scuola secondaria), per risolvere un sistema lineare (come vedremo nel cap. 20), per studiare una funzione (come vedremo nel cap. 29) esistono tecniche standard che lasciano poco spazio alla fantasia, chi affronta una dimostrazione di geometria affida all’intuizione la scelta se e come applicare i criteri di congruenza dei triangoli o le proprietà delle isometrie. Un progetto per “tradurre” in linguaggio algebrico i problemi geometrici (e viceversa) è stato sviluppato dai matematici nel corso dei secoli. I primi passi in questa direzione si fanno risalire ad Apollonio di Perge (matematico e astronomo greco, 262-180 a. C.) ma i contributi più rilevanti sono stati probabilmente quelli di René Descartes (filosofo e matematico francese, 1596-1650, noto in Italia anche come “Cartesio”) e Pierre de Fermat (matematico francese, 1601-1665). L’idea è (vagamente) quella di “etichettare” i punti del piano (enti geometrici) con coppie ordinate di numeri reali (enti algebrici) per poi lavorare (per via algebrica) su questi ultimi anziché (per via geometrica) sui primi. Si ottiene così un procedimento, noto come metodo delle coordinate, che consiste nell’esprimere un problema geometrico in termini algebrici, risolverlo (per via puramente algebrica) e interpretare geometricamente i risultati algebrici ottenuti. In questo corso dobbiamo limitarci, per motivi di tempo, a semplici problemi di geometria piana; questo però sarà sufficiente per introdurre i concetti chiave, e una generalizzazione allo spazio tridimensionale richiederebbe solo qualche nozione tecnico tattica in più, senza comportare novità concettuali. Abbiamo già visto (teorema 10.2.1) che, fissati su una retta e due punti O (origine) e U (punto unità), esiste una corrispondenza biunivoca f tra e e ‘ tale che, comunque presi P" , P# − e, il segmento P" P# ha qq misura |fÐP" Ñ fÐP# Ñ| rispetto all’unità di misura OU. Mostreremo (in 15.2) come ciò conduce a una corrispondenza biunivoca tra c (l’insieme dei punti del piano) e ‘ ‚ ‘ (l’insieme delle coppie ordinate di numeri reali) che risulta “compatibile” (nel senso che sarà precisato in 15.5) con la misura delle distanze del piano. Se tale corrispondenza biunivoca associa al punto P! la coppia ordinata (B! , C! ), diremo che B! e C! sono le coordinate di P! . Sia f una funzione ‘ ‚ ‘ Ä ‘; possiamo associarle il luogo geometrico Ð30Ñ i dei punti del piano le cui coordinate B, C verificano la condizione f(B, C ) œ 0. Si dice che f(x, y) œ 0 è l’equazione Ð31Ñ di i , e anche che f(x, y) œ 0 rappresenta i . Il nostro interesse si accentrerà sulle equazioni algebriche, cioè quelle del tipo p(x, y) œ 0 con p(x, y) polinomio a coefficienti reali nelle indeterminate x, y. Sia i un insieme di punti del piano. Se i si può rappresentare con una equazione algebrica, si dice che i è una varietà algebrica, e ogni equazione algebrica che rappresenta i si dice equazione cartesiana di i . Noi considereremo solo insiemi che siano varietà algebriche Ð32Ñ. 30 un insieme di punti si dice spesso, per motivi storici, luogo geometrico. Con riferimento a punti del piano (o dello spazio) i termini “insieme” e “luogo geometrico” sono sinonimi. 31 l' articolo determinativo lascerebbe supporre che ad ogni insieme resti associata una sola equazione. Ciò è del tutto falso, perche´ per ogni - Á 0 alle equazioni f(x, y) œ 0 e -f(x, y) œ 0 resta associato lo stesso insieme di punti del piano. 32 non sono, ad esempio, varietà algebriche: un segmento, un cerchio, una sinusoide. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 94 Sia ::c Ä c un’applicazione. Per ogni punto P del piano, le coordinate ÐB’, C ’Ñ di :ÐPÑ dipendono (solo) dalle coordinate ÐB, CÑ di P ; dunque : definisce due funzioni f" , f# da ‘ ‚ ‘ in ‘ tali che B’ œ f" ÐB, CÑ ÐæÑ œ C’ œ f# ÐB, CÑ Le ÐæÑ si dicono equazioni di : . Il contesto in cui si opera associando coordinate ai punti (e associando equazioni agli insiemi di punti) prende il nome di “Geometria Analitica”. In tale ambito si studiano le mutue relazioni fra le proprietà (algebriche) di una equazione f(x, y) œ 0 e le proprietà (geometriche) del luogo geometrico i ad essa associato. In particolare: - data l’equazione f(x, y) œ 0 , che cosa si può dire su i ? (È formato da un numero finito di punti, magari nessuno, o da infiniti? È una retta, una circonferenza, á ?) - definito un insieme i di punti del piano mediante una certa proprietà (ad es.: il luogo geometrico dei punti equidistanti da un punto fissato e da una retta fissata) si cerca (se esiste) un’equazione che rappresenti i ; e dalle proprietà (algebriche) di tale equazione si ricavano informazioni sulle proprietà (geometriche) di i . Nei capitoli 15, 16 e 17 ci daremo alcuni strumenti “tecnici”; esempi del loro uso per applicare (in casi abbastanza semplici) il metodo delle coordinate saranno nelle sezioni 16.8, 17.4, 18.2, 18.3, 18.4 e 18.5 . Anche molte delle dimostrazioni riportate in appendice sulle isometrie (capitolo A1) forniscono esempi significativi di uso del metodo delle coordinate. 15.2 - Sistemi di riferimento nel piano. Scegliamo nel piano due rette non parallele rB , rC ; sia O il loro punto comune. Fissato su ciascuna retta un ulteriore punto (UB , UC rispettivamente), restano univocamente determinate due corrispondenze biunivoche tra rB e ‘ e tra rC e ‘ verificanti le condizioni Ð3Ñ, Ð33Ñ e Ð333Ñ del teorema 10.2.1. Se PB è un punto di rB , diremo ascissa di PB il numero reale che corrisponde a PB ; il suo valore assoluto è la distanza di PB da O rispetto all’unità di misura OUB . Se PC è un punto di rC , diremo ordinata di PC il numero reale che corrisponde a PC ; il suo valore assoluto è la distanza di PC da O rispetto all’unità di misura OUC . Sia P un punto del piano. Tracciamo per P le parallele a rC e rB , e siano PB , PC le loro intersezioni con rB e rC rispettivamente. L’ascissa di PB e l’ordinata di PC si dicono rispettivamente ascissa e ordinata di P (e, nel loro complesso, coordinate di P). Scriveremo P ´ (B, C ) per indicare che i numeri reali B, C sono rispettivamente l’ascissa e l’ordinata di P. Si verifica che quella così definita è una corrispondenza biunivoca tra ‘ ‚ ‘ e c . Naturalmente, essa dipende in modo essenziale dalla scelta delle rette rB ed rC e dei punti UB , UC su di esse. Talvolta anzichè i punti UB , UC si fissano su ciascuna delle due rette rB , rC una unità di misura (cioè un segmento) e un verso; ciò è del tutto equivalente, perchè i punti UB , UC restano univocamente determinati dalle condizioni che OUB , OUC abbiano misura 1 (ciascuno rispetto alla unità di misura fissata sulla propria retta) e che sia O UB , O UC . Diremo che tali scelte individuano un sistema di riferimento cartesiano nel piano. Il punto O si dice origine del SdR (33); le rette rB , rC si dicono assi coordinati (rispettivamente, asse delle ascisse e asse delle ordinate); i punti UB e UC si dicono punti unità degli assi coordinati; il SdR nel suo complesso verrà indicato con la notazione OrB rC (si noti peraltro che tale notazione non evidenzia né le unità di misura né i versi né i punti unità fissati sugli assi coordinati). 33 abbrevieremo “sistema di riferimento” in “SdR”. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 95 Sia OrB rC un SdR cartesiano nel piano. Le rette rB , rC vengono spesso indicate con x, y rispettivamente; in tal caso, il SdR nel suo complesso si denota con Oxy. La semiretta individuata dai punti dell’asse x [y] aventi ascissa positiva [negativa] si dice semiasse positivo [negativo] delle ascisse [delle ordinate]. Gli assi coordinati dividono il piano in quattro settori. Quello individuato dal semiasse positivo delle ascisse e dal semiasse positivo delle ordinate (i cui punti hanno entrambe le coordinate 0) si dice primo quadrante; quello individuato dal semiasse negativo delle ascisse e dal semiasse positivo delle ordinate (i cui punti hanno ascissa Ÿ 0 e ordinata 0) si dice secondo quadrante; quello individuato dal semiasse negativo delle ascisse e dal semiasse negativo delle ordinate (i cui punti hanno entrambe le coordinate Ÿ 0) si dice terzo quadrante; quello individuato dal semiasse positivo delle ascisse e dal semiasse negativo delle ordinate (i cui punti hanno ascissa 0 e ordinata Ÿ 0) si dice quarto quadrante. Un SdR cartesiano nel quale gli assi coordinati sono fra loro ortogonali si dice ortogonale. Un SdR cartesiano nel quale i segmenti OUB e OUC siano congruenti si dice monometrico. Un SdR cartesiano nel quale i punti UB , UC (e quindi l’orientamento degli assi coordinati) siano stati scelti in modo che la terna ordinata di punti (O, UB , UC ) sia orientata positivamente (cfr. l’osservazione 14.1.5) si dice positivamente orientato . Nel seguito, salvo diverso avviso, ogni SdR cartesiano sarà supposto ortogonale, monometrico e positivamente orientato. Converremo inoltre che i punti unità fissati sugli assi coordinati abbiano distanza 1 dall’ origine. Nel resto di questa sezione supporremo fissato un SdR cartesiano Oxy . Osservazione 15.2.1 L’origine ha coordinate (0, 0). Dimostrazione - Segue direttamente dal procedimento (descritto in questo paragrafo) per determinare le coordinate di un punto. Osservazione 15.2.2 Sia i una varietà algebrica, e sia p(x, y) œ 0 un’equazione algebrica che rappresenta i . L’origine appartiene a i se e solo se nel polinomio p(x, y) il termine noto è zero (ossia, come si usa dire: nel polinomio p(x, y) “manca” il termine noto). Dimostrazione - Infatti per l’osservazione 15.2.1 l’origine appartiene a i se e solo se p(0, 0) œ 0; ed è immediato che p(0, 0) è il termine noto di p(x, y). Osservazione 15.2.3 Sia P! (B! , C! ) un punto del piano. Il simmetrico di P! rispetto all’asse delle ascisse [rispetto all’asse delle ordinate, rispetto all’origine] ha coordinate (B! , C! ) [( B! , C! ), ( B! , C! )]. Dimostrazione - Si tratta di conseguenze dirette delle definizioni di simmetrico (rispetto a una retta, o rispetto a un punto) e di ascissa (e ordinata) di un punto. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 96 Esercizio 15.2.4 Per ciascuna delle seguenti equazioni nelle incognite x e y, si dica se il luogo geometrico dei punti le cui coordinate le soddisfano è una varietà algebrica oppure no: - 4x* 7x$ y x# y"& 3x y 19 œ 0 ; - 2B y# 7 œ 0 ; - sin(x) y œ 0 ; - x sin# (y) cos# (y) œ 0. Esercizio 15.2.5 Per ciascuna delle seguenti equazioni nelle incognite x e y, si dica se l’origine appartiene oppure no alla varietà algebrica da essa rappresentata: - 14x$ 7x# y xy 3x y 19 œ 0 ; - x y# 7 œ 0 ; - 7x% 11x$ y# 127x# 13xy 19y 22x œ 0 ; Esercizio 15.2.6 Si dimostri, determinandone l’equazione cartesiana, che l’asse delle ascisse è una varietà algebrica. 15.3 - Cambiamento del sistema di riferimento. Siano Oxy e O’x’y’ due sistemi di riferimento cartesiani (sui quali non facciamo alcuna ipotesi di ortogonalità, monometria, ecc.). Siano (B! , C! ) le coordinate di O in Ox’y’. Si può dimostrare che esistono quattro numeri reali +, , , - e . tali che: per ogni punto P del piano, dette (B, C ) le coordinate di P relative a Oxy e (B’, C ’) le coordinate di P relative a O’x’y’ si ha B’ œ +B ,C B! e C ’ œ -B .C C! . I numeri +, , , - e . si possono ricavare facilmente se si conoscono le coordinate in Ox’y’ dei punti unità UB e UC di Oxy . Inoltre si può dimostrare che +. ,- Á 0 , e precisamente: +. ,- >0 se entrambi i SdR sono positivamente orientati oppure nessuno dei due SdR è positivamente orientato (si dice in tal caso che i due SdR sono concordemente orientati) ; +. ,- 0 se uno e uno soltanto dei due SdR è positivamente orientato. 15.4 - Vettori liberi e sistemi di riferimento cartesiani. Supponiamo fissato un SdR cartesiano Oxy. Abbiamo descritto in 15.2 come si “etichettano” i punti del piano con coppie ordinate di numeri reali, stabilendo una “buona” biiezione tra c e ‘ ‚ ‘; in questa sezione vedremo come, in dipendenza del SdR Oxy fissato, si possono individuare due vettori liberi “privilegiati” che consentono di esprimere ogni vettore libero del piano in una forma non solo “naturale” ma soprattutto utile per lo sviluppo della geometria analitica. Siano UB ´ (1, 0) e UC ´ (0,1) i punti unità degli assi coordinati. I vettori liberi UB O e UC O si indicano rispettivamente con –i e j . – Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 97 Teorema 15.4.1 Per ogni punto del piano P! ´ (B! , C! ) si ha P! O œ B! –i C! j . – Dimostrazione - Per ogni punto P’! del piano si ha P! O œ ÐP! P’! Ñ ÐP’! OÑ per come si è definita in 14.2 la somma fra vettori liberi. Se P’! è il punto di intersezione fra l’asse x e la parallela all’asse y passante per P! , è chiaro che P’! O e P! P’! sono paralleli rispettivamente a –i e j ; – con un po’ di attenzione, e ricordando come sono state definite in 14.2 le coordinate di P! , si verifica infine che è proprio P’! O œ B! –i e P! P’! œ C! j . – Teorema 15.4.2 Ogni vettore libero del piano si scrive in uno e un solo modo nella forma +–i , j con +, , − ‘. – In particolare, si ha +–i , j œ –0 se e solo se + œ , œ 0. – Dimostrazione - Sia –v un vettore libero del piano. Per il teorema 14.3.1, esiste un punto P dello spazio tale che –v œ P O . Poiché O appartiene al nostro piano e –v è parallelo al nostro piano, anche P deve essere un punto del nostro piano. Sarà P ´ Ð+, ,Ñ, e dunque –v œ +–i , j per il teorema 15.4.1. – Supponiamo che sia anche –v œ +’–i , ’j con +’, , ’ − ‘. Allora, sempre per il teorema 14.3.1, – qp qp –v œ P’ O con P’ ´ Ð+’, ,’Ñ. Ne segue che P’ O œ P O , ossia che i vettori applicati OP’ e OP sono equipollenti; allora necessariamente P œ P’ e dunque + œ +’ e , œ , ’. Teorema 15.4.3 Siano +, , − ‘. Il modulo del vettore +–i , j è È+# , # . – Dimostrazione - Sia A ´ (+, , ) , cosicché per il teorema 15.4.1 è + –i , j œ A O; il modulo del – qq vettore + –i , j è la misura del segmento OA. Per calcolare tale misura, consideriamo la proiezione ortogonale – A’ di A sull’asse delle ascisse ed applichiamo il teorema di Pitagora al triangolo rettangolo OAA’: poiché i cateti qq qq OA’ e A’A hanno misura rispettivamente |+| e |, |, si ha l’asserto. Teorema 15.4.4 Siano P" ´ (B" , C" ), P# ´ (B# , C# ) punti del piano. Si ha P# P" œ (B# B" )–i (C# C" )j . – Dimostrazione - Poiché P# P" œ ÐP# OÑ ÐP" OÑ (si veda in 14.2 la definizione di somma fra vettori liberi), per il teorema 15.4.1 si ha P# P" œ ÐB# –i C# j Ñ ÐB" –i C" j Ñ œ ÐB# –i B" –i Ñ ÐC# j C" jÑ œ – – – – œ ÐB# B" Ñ –i ÐC# C" Ñ j – ricordando le proprietà del prodotto fra vettori liberi e numeri reali viste in 14.5. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 98 Teorema 15.4.5 Siano –v œ +–i , j , v’ œ +’–i , ’j (con +, , , +’, , ’ − ‘) vettori liberi del piano. Essi sono paralleli se e solo se – – +, ’ +’, œ 0 Ð34Ñ. Nel caso particolare in cui –v Á –0 , –v è parallelo a v’ se e solo se esiste un numero reale - tale che +’ œ - + e , ’ œ - , . Dimostrazione - Supponiamo in primo luogo che –v e v’ siano paralleli. Se –v œ 0– , per il teorema 15.4.2 è + œ , œ 0 e dunque +,’ +’, œ 0. Se –v Á 0– , per il teorema 14.5.1 esiste un numero reale - tale che v’ œ -–v œ -+–i -, j ; – ne segue (cfr. teor. 15.4.2) che +’ œ -+ e , ’ œ -, . Inoltre +, ’ +’, œ +-, -+, œ 0 come si voleva. Supponiamo ora che sia +’ œ -+ e , ’ œ -, per un opportuno numero reale -; allora v’ œ +’–i , ’j œ Ð-+Ñ –i Ð-,Ñ j œ -Ð+ –i Ñ -Ð, jÑ œ -Ð+ –i , jÑ œ - –v – – – – cosicché –v e v’ sono paralleli per il teorema 14.5.1. Supponiamo infine che sia +, ’ +’, œ 0. Se + Á 0, è , ’ œ ++’ , : dunque +’ œ -+ e , ’ œ -, con -œ ; se , Á 0, è +’ œ ,,’ +: dunque +’ œ -+ e , ’ œ -, con - œ ,,’ . In entrambi i casi, perciò, –v e v’ sono paralleli per quanto appena visto. Se poi + œ , œ 0, –v è il vettore nullo e dunque è senz’altro parallelo a v’. +’ + Teorema 15.4.6 Siano –v œ +–i , j , v’ œ +’–i , ’j (con +, , , +’, , ’ − ‘) vettori liberi del piano. Essi sono ortogonali se e solo – – se ++’ ,, ’ œ 0. Dimostrazione - Consideriamo i punti A ´ (+, , ) e B ´ (+’, , ’); per il teorema 15.4.1, –v œ A O e qq v’ œ B O, cosicché i vettori dati sono ortogonali se e solo se sono ortogonali i segmenti OA e OB, ossia se e solo se il triangolo OAB è retto in O. La condizione cercata è dunque la validità del teorema di Pitagora Ð35Ñ qq qq applicato al triangolo OAB con ipotenusa AB e cateti OA e OB, ossia Ð+ +’Ñ# Ð, , ’Ñ# œ Ð+# , # Ñ Ð(+’)# (, ’)# Ñ cioè 2++’ 2,, ’ œ 0 che equivale alla ++ ’ ,, ’ œ 0 come si voleva. 15.5 - Distanza di due punti. Supponiamo fissato un SdR cartesiano Oxy. Dati due punti P" ´ (B" , C" ) e P# ´ (B# , C# ), vogliamo esprimere la loro distanza d(P" , P# ) in funzione delle loro coordinate. Poiché d(P" , P# ) è il modulo del vettore P# P" , per i teoremi 15.4.4 e 15.4.3 si ha subito d(P" , P# ) œ È(B# B" )# (C# C" )# . 34 Il lettore che nel corso dei propri studi secondari abbia incontrato la nozione di determinante, + , riconoscerà che +, ' +', è il determinante della matrice Œ . +' , ' 35 La condizione che il quadrato costruito su AB sia equivalente alla somma dei quadrati costruiti su OA e OB è non solo necessaria ma anche sufficiente affinche´ il triangolo OAB sia retto in O. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 99 15.6 - Coordinate del punto medio di un segmento. Supponiamo fissato un SdR cartesiano Oxy. Dati due punti P" ´ (B" , C" ) e P# ´ (B# , C# ), sia M ´ (B7 , C7 ) il punto medio del segmento P" P# . Vogliamo esprimere le coordinate di M in funzione di quelle di P" e P# . Siano rispettivamente A" , A# , A7 i punti in cui le parallele all’asse x passanti per P" , P# , M incontrano l’asse y, e siano rispettivamente B" , B# , B7 i punti in cui le parallele all’asse y passanti per P" , P# , M incontrano l’asse x. Se il segmento P" P# non è parallelo ad alcuno degli assi coordinati, i punti trovati sono tutti distinti, e per il teorema di Talete si hanno le relazioni d(A" , A7 ) d(A# , A7 ) œ d(P" , M) d(P# , M) e d(B" , B7 ) d(B# , B7 ) œ d(P" , M) d(P# , M) . Poiché M è il punto medio del segmento P" P# , si ha d(P" , M) œ d(P# , M); dunque dalle relazioni trovate si deduce che d(A" , A7 ) œ d(A# , A7 ) e d(B" , B7 ) œ d(B# , B7 ), ossia che A7 e B7 sono rispettivamente i punti medi dei segmenti A" A# e B" B# . Siamo così ricondotti a considerare il caso in cui il segmento P" P# è parallelo ad uno degli assi coordinati. Sia ad esempio P" P# parallelo all’asse x: è facile verificare che l’ascissa di M è la media aritmetica tra l’ascissa di P" e quella di P# , mentre l’ordinata di M è l’ordinata comune a P" e P# (ci si ricordi di considerare tutte le possibili posizioni dei punti P" e P# relativamente ai quattro quadranti!). Si trova un risultato analogo quando P" P# è parallelo all’asse y. Dunque si ha in generale B7 œ B" B# 2 , C7 œ C" C# 2 . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 100 16.- LE RETTE NEL PIANO 16.1 - Introduzione. In questo capitolo studiamo le varietà algebriche del piano che si rappresentano con una equazione algebrica di primo grado. Dimostreremo che tali varietà sono tutte e sole le rette del piano, e ricaveremo informazioni sulla traduzione algebrica di proprietà geometriche delle rette. Nella sez. 16.8 vedremo un primo, semplice esempio di applicazione del metodo delle coordinate. In tutto il capitolo (esclusa la sez. 16.8) supporremo fissato un SdR cartesiano Oxy. 16.2 - Forma generale dell’equazione cartesiana di una retta. Teorema 16.2.1 Sia P! ´ ÐB! , C! Ñ un punto del piano, e sia –v œ +–i , j un vettore libero del piano. La retta passante per P! e – ortogonale a –v Ð36Ñ ha equazione 16.2.F1 +(x B! ) , (y C! ) œ 0. Dimostrazione - È chiaro che la retta cercata è l’insieme dei punti P del piano per i quali il vettore libero P P! è ortogonale a –v ; dunque, per i teoremi 15.4.4 e 15.4.6 il generico punto P ´ Ðx, yÑ del piano le appartiene se e solo se vale la 16.2.F1. Teorema 16.2.2 Ogni retta del piano si può rappresentare con una equazione della forma 16.2.F2 +x , y - œ 0 dove +, ,, - sono numeri reali e +, , non sono entrambi nulli; e, viceversa, ogni equazione di tale forma (con +, , , - − ‘ e +, , non entrambi nulli) rappresenta una retta. Inoltre, la retta di equazione 16.2.F2 è ortogonale al vettore +–i , j ; in particolare, quindi, essa è parallela – all’asse x sse + œ 0 , ed è parallela all’asse y sse , œ 0. Dimostrazione - Sia r una retta del piano, e sia –v œ +–i , j un vettore libero del piano, non nullo, ad – essa ortogonale. Dimostriamo che r ha equazione +x , y - œ 0 con - opportuno numero reale (poiché –v Á 0 , + – e , non sono entrambi nulli, cfr. teorema 15.4.2). Poiché –v non è nullo, la direzione di r è determinata dalla condizione di essere ortogonale a –v ; per individuare r è sufficiente quindi assegnare un punto di r. Sia allora P! ´ Ðx! , y! Ñ un punto di r. Per il teorema 16.2.1, r ha equazione 16.2.F1 +(x B! ) , (y C! ) œ 0 che, posto - œ +B! ,C! , si può scrivere nella forma +x , y - œ 0 come si voleva. 36 Per teoremi di geometria che si suppongono noti dalla scuola secondaria, la condizione di passare per P! ed essere ortogonale a –v individua una retta. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 101 Resta da provare che ogni equazione della forma 16.2.F2 con +, , non entrambi nulli rappresenta una retta ortogonale al vettore –v œ +–i , j ; ma, supposto ad es. + Á 0, è facile verificare (applicando ancora il – teorema 16.2.1) che si tratta della retta passante per P" ´ Ð +- , 0Ñ e ortogonale a –v (se è invece , Á 0, si tratta della retta passante per P# ´ Ð0, -, Ñ e ortogonale a –v ). Notiamo in particolare che una retta di equazione 16.2.F2 è parallela all’asse x se e solo se il vettore +–i , j ad essa ortogonale è parallelo a j , cioè (cfr. teorema 15.4.5) se e solo se + œ 0; in tal caso, certamente – – , Á 0 e l’equazione della retta si può scrivere nella forma yœ2 per un opportuno 2 − ‘ (ossia, la retta è formata da tutti e soli i punti del piano che hanno ordinata 2). Analogamente, una retta di equazione 16.2.F2 è parallela all’asse y se e solo se , œ 0; in tal caso, certamente + Á 0 e l’equazione della retta si può scrivere nella forma xœ5 per un opportuno 5 − ‘ (ossia, la retta è formata da tutti e soli i punti del piano che hanno ascissa 5 ). Teorema 16.2.3 Le varietà algebriche del piano che si rappresentano con un’equazione algebrica di primo grado sono tutte e sole le rette del piano. Dimostrazione - Si tratta di una riformulazione della prima parte del teorema 16.2.2. Teorema 16.2.4 Le equazioni +x , y - œ 0 +’x , ’y - ’ œ 0 (con +, ,, - , +’, , ’, - ’ − ‘, +, , non entrambi nulli, +’, , ’ non entrambi nulli) rappresentano la stessa retta se e soltanto se esiste un numero reale - tale che +’ œ -+, , ’ œ -, , - ’ œ -- . Dimostrazione - È chiaro che se esiste un numero reale - tale che +’ œ -+, , ’ œ -, , - ’ œ -- , le equazioni date sono equivalenti e quindi rappresentano la stessa retta. Viceversa, supponiamo che le equazioni date rappresentino la stessa retta. Allora per ogni coppia ordinata di numeri reali (B! , C! ) tale che +B! ,C! - œ 0 deve essere anche +’B! , ’C! - ’ œ 0. Per ipotesi, + e , non sono entrambi nulli; sia ad esempio + Á 0. Per ogni numero reale C! , posto B! ³ +, C! +- , si ha +B! ,C! - œ 0 e quindi anche +’B! , ’C! - ’ œ 0 ossia +, +’C! +- +’ , ’C! - ’ œ 0. Dunque quest’ultima uguaglianza, che si può scrivere anche 16.2.F3 Ð+, ’ +’,ÑC! œ +’- +- ’, deve essere verificata per ogni numero reale C! . Ciò comporta che sia +, ’ œ +’, e +- ’ œ +’- Ð37Ñ; posto : œ ++’ , si ha a’ œ -a, b’ œ -b, c’ œ -c come si voleva. 37 Infatti, se fosse +, ' Á +', , la 16.2.F3 sarebbe verificata solo per C! œ +- ' Á +'- , la 16.2.F3 non sarebbe verificata per alcun valore di C! . +'-+- ' +,'+', ; se fosse +, ' œ + ', ma Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 102 Esercizio 16.2.5 Sono dati i punti A ´ Ð1, 2Ñ, B ´ Ð3, 1Ñ, C ´ Ð2, 0Ñ. Determinare l’equazione cartesiana della retta passante per A e ortogonale alla retta BC. Esercizio 16.2.6 Sono dati i punti A ´ Ð1, 2Ñ, B ´ Ð3, 1Ñ. Determinare l’equazione cartesiana della retta passante per A e ortogonale alla retta AB. 16.3 - Equazione della retta per due punti. Teorema 16.3.1 Siano P" ´ (B" , C" ) e P# ´ (B# , C# ) due punti distinti del piano. La retta P" P# ha equazione 16.3.F1 (C# C" )(x B" ) (B# B" )(y C" ) œ 0. Tale equazione, quando B" Á B# e C" Á C# , si può anche scrivere xB" B# B" œ yC" C# C" . Dimostrazione - La retta P" P# è la retta r passante per P" e parallela al vettore P# P" . Per il teorema 16.2.1, siamo in grado di scrivere l’equazione cartesiana di r se conosciamo un vettore ortogonale a r, ossia ortogonale a P# P" . In effetti, il teorema 15.4.6 ci consente di verificare immediatamente che il vettore ÐC# C" Ñ –i ÐB# B" Ñ j è ortogonale a P# P" ; si ottiene così l’equazione 16.3.F1, come si voleva. – Esercizi 16.3.2 Determinare l’equazione cartesiana della retta passante per A ´ Ð1, 2Ñ e B ´ Ð3, 1Ñ. 16.3.3 Determinare l’equazione cartesiana della retta passante per A ´ Ð1, 2Ñ e B ´ Ð3, 2Ñ. 16.3.4 Determinare l’equazione cartesiana della retta passante per A ´ Ð1, 2Ñ e B ´ Ð1, 1Ñ. 16.4 - Forma esplicita dell’equazione di una retta. Siano X l’insieme delle equazioni algebriche nelle indeterminate x, y, X" il sottoinsieme di X formato dalle equazioni di primo grado, i l’insieme delle varietà algebriche del piano ed f:X Ä i la funzione che ad ogni equazione algebrica associa la varietà algebrica che essa rappresenta. Il teorema 16.2.3 esprime il fatto che f(X" ) è l’insieme di tutte e sole le rette del piano. È importante notare che la restrizione di f ad X" non è iniettiva: in effetti, per il teorema 16.2.4, equazioni algebriche di primo grado diverse possono rappresentare la stessa retta. Sia r una retta (di equazione +x , y - œ 0) non parallela all’asse y. Allora , Á 0 per il teorema 16.2.2; dunque r ha anche equazione 1, (+x , y - œ 0), ossia yœ cioè, posto : œ + , e ;œ , + , x , y œ :x ; . , Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 103 Dunque ogni retta non parallela all’asse y ha equazione nella forma (“esplicita”) y œ :x ; con :, ; − ‘. Ed è chiaro che ad ogni retta non parallela all’asse y resta associata una sola equazione in forma esplicita: infatti, se le equazioni y œ : x ; , y œ : ’x ; ’ rappresentano la stessa retta, per il teorema 16.2.4 esiste un numero reale - tale che :’ œ -:, 1 œ -Ð 1Ñ, ; ’ œ -; , da cui si ricava subito che deve essere - œ 1 e quindi :’ œ :, ; ’ œ ; . Analogamente si vede che ogni retta non parallela all’asse x ha una e una sola equazione nella forma x œ 7y 8 con 7, 8 − ‘. Le rette parallele all’asse y hanno equazione nella forma xœ. con . − ‘ (cfr. teorema 16.2.2). Esercizi 16.4.1 Determinare l’equazione esplicita della retta 3x 2y 2 œ 0. 16.4.2 Determinare l’equazione esplicita della retta per PÐ1, 1Ñ ortogonale al vettore 6–i 3j . – 16.4.3 Determinare l’equazione esplicita della retta per P ´ Ð 1 , 1Ñ e Q ´ Ð7, 7Ñ. 16.5 - Equazione della generica retta passante per un punto assegnato. Sia P! ´ ÐB! , C! Ñ un punto del piano. La generica retta passante per P! è la retta per P! ortogonale al generico vettore libero del piano, e quindi ha equazione 16.2.F1, come si è dimostrato nel teorema 16.2.1. È bene aver chiaro che con la 16.2.F1 si scrivono, al variare di + e , in ‘, tutte le equazioni di tutte le rette passanti per P! . Spesso conviene considerare solo le equazioni esplicite delle rette cercate; supposto allora , Á 0 e posto come in 16.4 : œ +, , la 16.2.F1 diventa 16.5.F1 y C! œ :Ðx B! Ñ. Con la 16.5.F1 si scrivono, al variare di : in ‘, le equazioni esplicite di tutte le rette passanti per P! non parallele all’asse y. Esercizi 16.5.1 Fra tutte le rette passanti per P! ´ Ð1, 2Ñ, determinare quella ortogonale al vettore –i 2j . – 16.5.2 Determinare l’intersezione con l’asse x della generica retta passante per P! ´ Ð 1, 1Ñ. 16.6 - Condizioni di parallelismo e ortogonalità fra rette. Teorema 16.6.1 Le rette r, s di equazioni rispettivamente +x , y - œ 0 e +’x , ’y - ’ œ 0 sono parallele se e solo se +, ’ +’, œ 0 ; sono ortogonali se e solo se ++’ ,, ’ œ 0. Dimostrazione - Teoremi di geometria che supponiamo noti dalla scuola secondaria consentono di affermare che l’angolo formato da r e s è congruente all’angolo formato dai vettori –vr : œ +–i , j , –vs – : œ +’–i , ’j ad esse ortogonali; in particolare, r e s sono parallele [ortogonali] se e solo se –vr e –vs sono paralleli – [ortogonali]. L’asserto è ora conseguenza immediata dei teoremi 15.4.5 e 15.4.6. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 104 Teorema 16.6.2 Le rette r, s di equazioni esplicite rispettivamente y œ :" x ; " y œ :# x ; # sono parallele se e solo se hanno lo stesso coefficiente angolare (ossia, :" œ :# ); sono ortogonali se e solo se il coefficiente angolare dell’una è l’antireciproco del coefficiente angolare dell’altra (ossia, :" œ :1# ). Dimostrazione - Per il teorema 16.6.1, r e s sono parallele se e solo se 0 œ :" ( 1) :# ( 1) œ :" :# ossia se e solo se :" œ :# . Ancora per il teorema 16.6.1, r e s sono ortogonali se e solo se :" :# ( 1)( 1) œ 0 ossia se e solo se :" :# œ 1. La relazione che lega il coefficiente angolare di una retta alla sua direzione è precisata dal seguente Teorema 16.6.3 Sia r una retta non parallela all’asse y. Il coefficiente angolare di r è la tangente trigonometrica dell’angolo formato dall’asse x e dalla retta r. Dimostrazione - Sia : il coefficiente angolare di r. La retta r’ parallela a r passante per l’origine ha equazione y œ :x ^ , xr ^ sono congruenti. e gli angoli xr ^ è l’ordinata del punto in cui r’ incontra la retta È poi noto che la tangente trigonometrica dell’angolo xr’ di equazione x œ 1 (tale retta è infatti la tangente alla circonferenza goniometrica che attraversa il primo e quarto quadrante); l’asserto è così provato. Esercizio 16.6.4 Determinare la retta passante per P ´ (1, 5) e parallela alla retta di equazione 2x y œ 0. Esercizio 16.6.5 Determinare la retta passante per P ´ (2, 3) e parallela all’asse delle x. Esercizio 16.6.6 I punti A ´ ( 3, 1) e B ´ (2, 2) sono vertici di un parallelogramma in cui Q ´ ( 3, 0) è l’intersezione delle diagonali. Trovare gli altri vertici e le rette dei lati. Esercizio 16.6.7 Le rette di equazioni x 2y œ 0, x 2y 15 œ 0 sono due lati di un rettangolo di cui la retta di equazione 7x 2y 15 œ 0 è una delle due diagonali. Trovare le coordinate dei vertici del rettangolo e l’equazione dell’altra diagonale. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 105 Esercizio 16.6.8 Dati i punti A ´ (2, 1) e C ´ (1, 2), determinare due punti B e D in modo che il quadrilatero ABCD sia un quadrato del quale AC è una diagonale. Suggerimento - Alcune nozioni introdotte nel capitolo 17 possono essere utili per abbreviare la risoluzione di questo esercizio. Esercizio 16.6.9 È dato il triangolo di vertici A ´ (0, 2), B ´ (1, 0), C ´ (2, 1). Determinare mediana, altezza e bisettrice Ð38Ñ relative al vertice A. Esercizio [*] 16.6.10 È dato il triangolo di vertici A ´ (0, 2), B ´ (1, 0), C ´ ( 2, 0). Determinare mediana, altezza e bisettrice relative al vertice A. 16.7 - Distanza di un punto da una retta. Siano P un punto e r una retta del piano. Detto R ! il piede della perpendicolare condotta da P a r, per ogni altro punto R di r si ha d(P, R) d(P, R ! ) perché il triangolo PR ! R è (per costruzione di R ! ) rettangolo in R ! , e l’ipotenusa di un triangolo rettangolo è sempre maggiore di ciascun cateto. Dunque d(P, R ! ) è la minima distanza tra P e i punti di r; essa si dice distanza tra P e r e si indica anche con d(P, r). Esempio 16.7.1 Determiniamo la distanza di P(5, 2) dalla retta r : x 2y 1 œ 0. La generica retta ortogonale a r ha equazione 2x y - œ 0, e passa per P sse 2 † 5 ( 2) - œ 0, ossia sse - œ 8; la perpendicolare condotta da P a r ha dunque equazione 2x y 8 œ 0. Il punto Q in cui tale retta incontra r ha per coordinate la soluzione del sistema x 2y 1 œ 0 2x y 8 œ 0. Si trova che Q ha coordinate (3, 2); dunque, d(P, r) œ d(P, Q) œ È(5 3)# (2 2)# œ È20 œ 2È5 . Applicando il procedimento dell’esempio 16.7.1 con P(B! , C! ) e r : +x , y - œ 0 generici, si trova (con calcoli un po’ lunghi) che ! - | 16.7.F1 d(P, r) œ |+BÈ! ,C . # # + , 38 Nella Scuola Secondaria si sono indicati con i nomi di mediana, altezza e bisettrice certi segmenti; si intendono qui considerare le rette a cui tali segmenti appartengono. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 106 Esempio 16.7.2 Applicando la formula 16.7.F1 ai dati dell’esempio 16.7.1, si trova subito che d(P, r) œ |52†(2)1| È1(2)# œ 10 È5 œ 2È 5 . 16.8 - Il luogo geometrico dei punti equidistanti da due punti dati. Siamo ormai in grado di dare un primo (semplice) esempio di applicazione del metodo delle coordinate. Siano dati due punti A , B del piano; vogliamo determinare il luogo geometrico dei punti del piano equidistanti da A e B. A tale scopo: costruiamo un SdR cartesiano ortogonale, monometrico, positivamente orientato e “ben disposto” rispetto ad A e B per semplificare i calcoli (dalla geometria passiamo all’algebra); determiniamo l’equazione cartesiana del luogo cercato (eseguiamo dei calcoli in ambito puramente algebrico); deduciamo dalle caratteristiche di tale equazione le informazioni che ci interessano (dal contesto algebrico ritorniamo alla geometria). Questo percorso, qui particolarmente semplice, è quello tipico del metodo delle coordinate. 16.8.F1 Sia P un punto del piano. P appartiene al luogo geometrico considerato se e solo se verifica la d(P, A) œ d(P, B). Costruiamo il nostro SdR cartesiano scegliendo l’asse delle ascisse coincidente con la retta AB ; l’origine coincidente con A ; l’asse delle ordinate ortogonale all’asse delle ascisse ; il punto unità sull’asse delle ascisse coincidente con B e quello sull’asse delle ordinate in modo che il SdR risulti monometrico e positivamente orientato. Con questa decisione abbiamo implicitamente assegnato il segmento AB come unità di misura per le distanze: ciò non crea problemi, perché la 16.8.F1 non dipende dall’unità di misura fissata. Sarà dunque A ´ (0, 0), B ´ (1, 0). Elevando al quadrato ambo i membri della 16.8.F1 si ottiene la 16.8.F2 (d(P, A))# œ (d(P, B))# che è equivalente alla 16.8.F1 perché la d(P, A) œ d(P, B) non ha soluzioni: infatti le distanze sono per definizione numeri positivi. Siano (x, y) le coordinate di P. Esprimendo la 16.8.F2 mediante le coordinate di P, A e B , si ottiene l’equazione x# y# œ (x 1)# y# ossia, semplificando, x œ 12 che rappresenta la retta parallela all’asse delle ordinate passante per il punto medio del segmento AB . Dunque il luogo geometrico considerato è la retta passante per il punto medio del segmento AB e ortogonale ad esso: il cosiddetto asse del segmento AB . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 107 17.- LA CIRCONFERENZA 17.1 - Introduzione. Sia C un punto del piano, e sia < un numero reale positivo. Si dice circonferenza di centro C e raggio < il luogo geometrico dei punti del piano la cui distanza da C è <. In questo capitolo ricaveremo esplicitamente l’equazione della circonferenza avente centro e raggio assegnati; mostreremo che ogni circonferenza si rappresenta con un’equazione algebrica di secondo grado, e preciseremo quali equazioni algebriche di secondo grado rappresentano una circonferenza. Nella sez. 17.4 applicheremo queste nozioni per risolvere col metodo delle coordinate un classico problema di geometria del piano. In tutto il capitolo (esclusa la sez. 17.4) supporremo fissato un SdR cartesiano Oxy. 17.2 - Equazione della circonferenza. Siano dati il punto C ´ (B! , C! ) e il numero reale positivo <. Vogliamo determinare l’equazione cartesiana della circonferenza > di centro C e raggio <. Un punto P ´ (x, y) appartiene a > se e solo se la distanza di P da C è <, cioè sse È(x B! )# (y C! )# œ <. 17.2.F1 La 17.2.F1 è un’equazione di >, ma non un’equazione cartesiana! Poiché, essendo < 0, la È(x B! )# (y C! )# œ < non ha soluzioni, la 17.2.F1 è equivalente all’equazione che si ottiene elevando al quadrato ambo i membri, cioè alla 17.2.F2 (x B! )# (y C! )# œ <# che è l’equazione cartesiana di >. Sviluppando la 17.2.F2, si ha la x# 2B! x B#! y# 2C! y C!# <# œ 0 x# y# 2B! x 2C! y (B#! C!# <# ) œ 0 ossia la che, posto + œ 2B! , , œ 2C! , - œ B#! C!# <# , diventa x# y# +x , y - œ 0. 17.2.F3 Ogni circonferenza si può dunque rappresentare con un’equazione della forma 17.2.F3, cioè con un’equazione algebrica di secondo grado nella quale - il coefficiente di xy è zero (ossia, come si usa dire, “manca il termine misto”) e - il coefficiente di x# e di y# è uguale a 1 (39). Viceversa, un’equazione della forma 17.2.F3 rappresenta sempre (cioè, per ogni scelta di +, , e - ) una circonferenza? Se la 17.2.F3 rappresenta la circonferenza di centro C ´ (B! , C! ) e raggio <, deve essere # # # # B! œ +2 , C! œ 2, , <# œ B#! C!# - œ +4 ,4 - œ + ,4 4e quindi deve essere 39 Si +# , # 4- 0. noti che ogni equazione di secondo grado nelle incognite x e y nella quale manchi il termine misto e x , y abbiano lo stesso coefficiente è equivalente a un' equazione di secondo grado nelle stesse incognite nella quale manca il termine misto e il coefficiente di x# , y# è uguale a 1. # # Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 108 Se +, , , - verificano questa relazione, allora la 17.2.F3 rappresenta una circonferenza (precisamente, quella di centro C ´ ( +2 , 2, ) e raggio < œ "# È +# , # 4- ). Se invece +# , # 4- œ 0, la 17.2.F3 rappresenta il solo punto P ´ ( +2 , 2, ) (si parla talvolta in questo caso di circonferenza degenere con raggio nullo); se +# , # 4- 0, la 17.2.F3 rappresenta l’insieme vuoto. Infatti si vede facilmente che la 17.2.F3 si può scrivere (x + # 2) (y , # 2) œ +# ,# 4. 4 Esercizi 17.2.1 Determinare la circonferenza che ha centro in C ´ (2, 3) e raggio 2. 17.2.2 Determinare la circonferenza che ha centro in C ´ ( 1, 2) e raggio 1 È7. (Soluzione: Una tale circonferenza non esiste (perché?)). 17.2.3 Determinare la circonferenza per A ´ (1, 0), B ´ ( 1, 1) e C ´ (3, 2). 17.2.4 Determinare la circonferenza per A ´ (1, 0), B ´ (2, 1) e C ´ (0, 1). 17.2.5 Stabilire se l’origine è interna o esterna alla circonferenza di equazione 2x# 2y# 3x 2y 1 œ 0. 17.3 - Tangenti a una circonferenza. Siano > una circonferenza e r una retta. Si dice che r è tangente a > se r > consiste di un punto. Notiamo esplicitamente che questa definizione di “retta tangente” vale solo per le circonferenze e non si estende ad altre curve (cfr. l’osservazione 18.3.3, l’osservazione 18.4.3 e la sez. 24.3). Esercizio 17.3.1 Determinare le tangenti per P ´ (1, 1) alla circonferenza di equazione x# y# 4x 6y 9 œ 0. Esercizio 17.3.2 Determinare le tangenti per P ´ (1, 1) alla circonferenza di equazione x# y# 4x 6y 8 œ 0. Esercizio 17.3.3 Determinare le tangenti per P ´ (1, 1) alla circonferenza di equazione x# y# 4x 6y 7 œ 0. Esercizio 17.3.4 Tra le rette parallele alla bisettrice del primo quadrante, determinare quelle tangenti alla circonferenza di equazione x# y# 2x y 1 œ 0. Esercizio 17.3.5 Tra le rette parallele alla bisettrice del primo quadrante, determinare quelle tangenti alla circonferenza di equazione x# y# 2x y 2 œ 0. Soluzione - Non esiste alcuna retta che soddisfi le condizioni poste dall’esercizio. Perché ? Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 109 Esercizio 17.3.6 Sono dati il punto T ´ (4, 1) e la circonferenza > di equazione x# y# 4x 2y 3 œ 0 . Dopo aver verificato che T appartiene a >, determinare la tangente in T a >. 17.4 - Un teorema di Apollonio. In questa sezione cominciamo a intravedere la potenza del metodo delle coordinate affrontando un problema la cui prima risoluzione è attribuita al matematico greco Apollonio . Siano dati due punti A , B del piano e un numero reale positivo 5 ; vogliamo determinare il luogo geometrico dei punti del piano per i quali 17.4.F1 d(P, A) œ 5 † d(P, B). Si tratta di una generalizzazione del problema risolto in 16.8 (che si ottiene per 5 œ 1) . Costruiamo un SdR cartesiano (ortogonale, monometrico, positivamente orientato e “ben disposto” rispetto ad A e B per semplificare i calcoli) come in 16.8, scegliendo l’asse delle ascisse coincidente con la retta AB ; l’origine O coincidente con A ; l’asse delle ordinate ortogonale all’asse delle ascisse ; il punto unità sull’asse delle ascisse coincidente con B e quello sull’asse delle ordinate in modo che il SdR risulti monometrico e positivamente orientato. Come già in 16.8, possiamo scegliere il segmento AB come unità di misura per le distanze perché la 17.4.F1 non dipende dall’unità di misura fissata. Sarà in particolare A ´ (0, 0), B ´ (1, 0). Sia P un punto del piano. P appartiene al luogo geometrico considerato se e solo se verifica la 17.4.F1. Elevando al quadrato ambo i membri della 17.4.F1 si ottiene la 17.4.F2 (d(P, A))# œ 5 # † (d(P, B))# che è equivalente alla 16.8.F1 perché la d(P, A) œ 5 † d(P, B) non ha soluzioni: infatti le distanze sono per definizione numeri positivi, e per ipotesi 5 0 . Siano (x, y) le coordinate di P. Esprimendo la 17.4.F2 mediante le coordinate di P, A e B , si ottiene l’equazione x# y# œ 5 # Ð(x 1)# y# Ñ ossia, sviluppando, semplificando e raccogliendo i termini simili, 17.4.F3 Ð5 # 1Ñ x# Ð5 # 1Ñ y# 2 5 # x 5 # œ 0 . Se 5 œ 1 , la 17.4.F3 diviene 2x 1 œ 0 e dunque rappresenta la retta parallela all’asse delle ordinate passante per il punto di coordinate ( "# , 0), cioè (come avevamo visto nella sez. 16.8) l’asse del segmento AB . Supponiamo dunque 5 Á 1 . Dividendo ambo i membri per Ð5 # 1Ñ , la 17.4.F3 si può scrivere nella forma 17.4.F4 x# y# 2 5# 5 # 1 x 5# 5 # 1 # œ0 che rappresenta la circonferenza che ha centro nel punto C ´ ( 5#51 , 0) e raggio 5 k 5 # 1k . Se indichiamo con Bc l’ascissa di C , utilizzando concetti e notazioni che saranno introdotti solo nel capitolo 23 possiamo scrivere che lim Bc œ 0 ; lim Bc œ _ ; lim Bc œ _ ; lim Bc œ 1 . 5 Ä _ 5Ä! 5Ä" 5 Ä " Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 110 Dunque, per 5 Á 1 il luogo geometrico considerato è una circonferenza che ha centro in un punto C 5 della retta AB esterno al segmento AB . Precisamente: se 0 5 1 , il raggio della circonferenza è 15 # e il suo 5# 5 centro C giace dalla parte di A , a distanza 15# da A ; se 5 1 , il raggio della circonferenza è 5# 1 e il suo centro C giace dalla parte di B , a distanza 5#11 da B . Ricordiamo che in queste considerazioni l’unità di misura è il segmento AB . Tale circonferenza si dice circonferenza di Apollonio individuata da A , B e 5 . Esercizio 17.4.1 Dati due punti A , B del piano, determinare 5 in modo che la circonferenza di Apollonio individuata da A , B e 5 qq abbia il raggio uguale alla lunghezza del segmento AB . Esercizio [*] 17.4.2 (Da svolgersi utilizzando le tecniche del capitolo 29). Dati due punti A , B del piano, stabilire quali punti della retta AB possono essere centro di una circonferenza di Apollonio individuata da A , B e da un opportuno 5 . Esercizio [*] 17.4.3 (Da svolgersi utilizzando le tecniche del capitolo 29). Dati due punti A , B del piano, stabilire se per ogni numero reale positivo < si può trovare 5 in modo che la circonferenza di Apollonio individuata da A , B e 5 abbia raggio < . 17.5 - La “potenza” di un punto rispetto a una circonferenza. Come ulteriore esempio di applicazione del metodo delle coordinate, dimostriamo un classico teorema: Teorema 17.5.1 (“della secante e della tangente”) Siano dati una circonferenza V e un punto P esterno a V . Sia r una retta passante per P che incontra V in due punti (eventualmente coincidenti) A< e B< . Il prodotto d(P, A< ) † d(P, B< ) non dipende da r ma solo da P e V (e si dice potenza di P rispetto a V) . Dimostrazione - Scegliamo un Sdr cartesiano ortogonale monometrico positivamente orientato con l’origine in P e il punto unità dell’asse delle ascisse nel centro di V . L’equazione di V è allora 17.5.F1 (x 1Ñ# y# œ <# (dove < è il raggio). La generica retta r passante per P ha equazione 17.5.F2 y œ :x . Le intersezioni A< e B< tra r e V si trovano risolvendo il sistema formato dalle 17.5.F1 e 17.5.F2 . Sostituendo nella 17.5.F1 il valore di y espresso dalla 17.5.F2 si ottiene l’equazione di secondo grado nella x (1 :# ) x# 2x (1 <# Ñ œ 0 le cui soluzioni forniscono le ascisse di A< e B< . Posto ? ³ <# :# :# <# , si trova che È ? A< ´ Š 1 1:# , : 1 È ? 1:# ‹ e È ? B< ´ Š 1 1:# , : 1 È ? 1:# ‹ Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 111 cosicché d(P, A< ) œ É (1È? )# (1:# )# :# (1 È? )# (1:# )# e, analogamente, d(P, B< ) œ Dunque d(P, A< ) † d(P, B< ) œ œ É (1 :# ) ¹1 È ? ¹ È1:# ¹1È? ¹†¹1È? ¹ 1:# œ (1È? )# (1:# )# œ ¹1 È ? ¹ È1:# . ¹(1È? )†(1È? )¹ 1:# œ k1?k 1:# . Notiamo ora che 1 ? œ 1 <# :# :# <# œ (1 <# )(1 :# ) e 1 < 0 perché 0 < d(P, C) œ 1 . Allora k1 ?k œ 1 ? e dunque si ha d(P, A< ) † d(P, B< ) œ 1 <# cosicché si è provato l’asserto. # Sia ora fissato un SdR cartesiano ortogonale monometrico, sia V una circonferenza con centro nel punto C e raggio < , e sia P un punto esterno a V . Per esprimere la potenza di P rispetto a V possiamo considerare la retta PC e le sue intersezioni A , B con V ; poiché CA e CB sono raggi di V , è d(P, A) œ d(P, C) < e d(P, B) œ d(P, C) < cosicché d(P, A< ) † d(P, B< ) œ (d(P, C) <)(d(P, C) <) œ d # (P, C) <# . Osserviamo ora che d # (P, C) <# œ 0 pensata come equazione in P è l’equazione di V che, esprimendo d(P, C) mediante le coordinate di P e di C, assume la forma “standard” 17.2.F3. Dunque, la potenza del punto P rispetto alla circonferenza V di equazione 17.2.F3 si ottiene sostituendo a x e y nel primo membro della 17.2.F3 le coordinate di P . Si noti che questo fatto suggerisce come la nozione di “potenza” possa essere estesa anche ai punti non esterni a una circonferenza: si assume in generale come potenza del punto P ´ (B! , C! ) rispetto alla circonferenza di equazione x# y# +x , y - œ 0 il numero B#! C!# +B! ,C! - ; questo numero, poiché è uguale a d # (P, C) <# , non dipende dal particolare sistema di riferimento (cartesiano, ortogonale, monometrico) considerato, ma solo dall’unità di misura fissata per le distanze. Esercizio 17.5.2 Si descriva l’insieme dei punti del piano che hanno uguale potenza rispetto a due circonferenze date, discutendo in particolare il caso in cui le circonferenze sono secanti e quello in cui sono tangenti. Esercizio 17.5.3 Sia V una circonferenza di centro C e raggio < , sia P un punto esterno a V e sia t una retta per P tangente a V in un punto T . Col metodo delle coordinate, si ritrovi il noto risultato per cui il segmento CT è ortogonale a t . (Suggerimento: si scelga, come si è fatto nella dimostrazione del teorema 17.5.1, un SdR cartesiano con l’origine in P e il punto unità dell’asse delle ascisse in C) . Esercizio 17.5.4 Sia V una circonferenza di centro C e raggio < , e sia a una retta. Si dice che a è secante a V se a V consiste di due punti; si dice che a è esterna a V se a V œ g. Utilizzando il metodo delle coordinate, si ritrovi il noto risultato per cui a risulta rispettivamente secante, tangente o esterna a V a seconda che la distanza di C da a sia minore, uguale o maggiore a < . (Suggerimento: si scelga un SdR cartesiano con l’origine in C e l’asse delle ascisse ortogonale ad a) . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 112 18.- LE CONICHE 18.1 - Introduzione. Si dice conica ogni varietà algebrica associata a un’equazione algebrica di secondo grado. Tenendo conto di quanto riportato in 15.3, si può verificare che tale definizione non dipende dal SdR fissato Ð40Ñ. Osserviamo che, in base alla definizione data, l’insieme vuoto è una conica; infatti è l’insieme dei punti del piano le cui coordinate verificano, ad esempio, l’equazione x# y# 1 œ 0. Nel seguito, tuttavia, col termine “conica” indicheremo sempre una conica diversa dall’insieme vuoto. Si dice cono rotondo [cilindro rotondo] la superficie generata (nello spazio) dalla rotazione di una retta attorno a un’altra retta ad essa incidente [parallela]. Si può dimostrare che tutte le curve che si ottengono come intersezione di un cono rotondo (o di un cilindro rotondo) con un piano sono coniche; e che, viceversa, per ogni conica esiste un opportuno cono rotondo (o, eventualmente, un opportuno cilindro rotondo) la cui intersezione col piano della conica data è la conica stessa. Osservazione 18.1.1 Sia P! ´ (B! , C! ) un punto del piano. Esiste una conica che consiste del solo punto P: essa ha equazione (x B! )# (y C! )# œ 0. Osservazione 18.1.2 Notiamo che, in base alla definizione data, una retta o una coppia di rette è una conica: infatti, la retta di equazione +x , y - œ 0 è l’insieme dei punti del piano le cui coordinate verificano l’equazione (+x , y - )# œ 0; e la coppia delle rette che hanno equazioni +x , y - œ 0 e +’x , ’y - ’ œ 0 è l’insieme dei punti del piano le cui coordinate verificano l’equazione (+x , y - )(+’x , ’y - ’) œ 0. Una conica che consiste di un punto o di una retta o di una coppia di rette si dice degenere. Concludiamo questa sezione con alcune definizioni relative alle coniche non degeneri. Sia > una conica non degenere. Un asse di simmetria per > si dice un asse di >, trasverso o non trasverso a seconda rispettivamente che incontri o non incontri >. Sia > una conica non degenere, e sia a un asse trasverso di >. I punti in cui a incontra > si dicono vertici di > (relativi ad a). Nelle prossime sezioni considereremo tre modi di definire luoghi geometrici nel piano, e mostreremo fra l’altro che i luoghi geometrici così definiti sono coniche (ne ricaveremo infatti l’equazione cartesiana in un SdR scelto in modo opportuno). Si potrebbe provare che ogni conica non degenere può essere definita in uno di tali modi. 40 Si tratta in sostanza di osservare quanto segue. Sia i l' insieme dei punti del piano le cui coordinate in un dato SdR verificano l' equazione p(x, y) œ 0, con p(x, y) polinomio di secondo grado a coefficienti reali nelle indeterminate x, y; allora, per ogni altro SdR cartesiano S' esiste un polinomio p'(x, y) di secondo grado a coefficienti reali tale che i è l' insieme dei punti del piano le cui coordinate in S' verificano l' equazione p'(x, y) œ 0. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 113 18.2 - L’ellisse. In tutta questa sezione supporremo fissati due punti F" , F# del piano e un numero reale positivo + . Si dice ellisse (individuata da F" , F# , +) il luogo geometrico dei punti del piano per i quali la somma delle distanze da F" e F# è uguale a 2+ . I punti F" e F# si dicono fuochi dell’ellisse. Il generico punto P del piano appartiene all’ellisse se e solo se 18.2.F1 d(P, F" ) d(P, F# ) œ 2+. Sia d(F" , F# ) œ 2- . Ricordando che in un triangolo ogni lato è minore della somma degli altri due, è facile osservare che l’ellisse ha punti non appartenenti alla retta F" F# se e solo se 2- 2+, ossia sse 18.2.F2 + -. L’ellisse ha punti (cioè non è l’insieme vuoto) se e solo se + - . Se + œ - , l’ellisse si riduce al segmento F" F# (e quindi, come si potrebbe dimostrare, in tal caso l’ellisse non è una varietà algebrica). Nel seguito di questa discussione supporremo di aver fissato F" , F# , + in modo che valga la 18.2.F2. Vogliamo utilizzare il metodo delle coordinate per ricavare informazioni sull’ellisse; a tale scopo ne scriveremo l’equazione cartesiana rispetto a un opportuno SdR (che dipenderà da F" e F# ). Scegliamo l’asse delle ascisse coincidente con la retta F" F# ; l’origine O coincidente col punto medio del segmento F" F# ; l’asse delle ordinate ortogonale all’asse delle ascisse; il punto unità sull’asse delle ascisse nella semiretta OF# e quello sull’asse delle ordinate in modo che il SdR risulti positivamente orientato; entrambi a distanza 1 dall’origine. Si noti che questa volta, a differenza di 16.8 e 17.4, non possiamo riassegnare l’unità di misura per le distanze perché la 18.2.F1 dipende dall’unità di misura fissata. Sarà in particolare F" ´ ( - , 0), F# ´ (- , 0). Sia P un punto del piano. P appartiene all’ellisse se e solo se verifica la 18.2.F1, che si può anche scrivere 18.2.F3 d(P, F" ) œ 2+ d(P, F# ). Elevando al quadrato ambo i membri della 18.2.F3 si ottiene la 18.2.F4 (d(P, F" ))# œ 4+# (d(P, F# ))# 4+d(P, F# ). Per provare che la 18.2.F4 è equivalente alla 18.2.F3 (e quindi alla 18.2.F1), bisogna mostrare che la 18.2.F5 d(P, F" ) œ d(P, F# ) 2+ non ha soluzioni. Ma infatti per un punto P che soddisfacesse la 18.2.F5 si avrebbe in base alla 18.2.F2 d(P, F# ) d(P, F" ) œ 2+ 2 œ d(F" , F# ) e tale disuguaglianza è assurda perché significa che nel triangolo PF" F# il lato F" F# risulta minore della differenza degli altri due. Siano (x, y) le coordinate di P. Esprimendo la 18.2.F4 mediante le coordinate di P, F" e F# e semplificando, si trova la 18.2.F6 +# - x œ + È(x - )# y# . 18.2.F7 Elevando al quadrato ambo i membri della 18.2.F6, dopo le opportune semplificazioni si ottiene la (+# - # )(+# x# ) œ +# y# . Per provare che la 18.2.F7 è equivalente alla 18.2.F6 (e quindi alla 18.2.F1), bisogna mostrare che la 18.2.F8 - x +# œ +È(x - )# y# non ha soluzioni. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 114 +# 0 (perché il secondo membro della Sia per assurdo ( B , C ) una soluzione della 18.2.F8. Allora -B +# . Dividendo ambo i membri di questa disuguaglianza per 18.2.F8 non può essere negativo) ossia -B (che è, per ipotesi, un numero positivo) e ricordando la 18.2.F2, si ottiene che # B +- œ + † +- + da cui (essendo per ipotesi + 0) B # +# ossia +# B # 0 . Se ne deduce che ( B , C ) non può soddisfare la 18.2.F7: assurdo, perché ogni soluzione della 18.2.F8 è anche soluzione della 18.2.F7. Equazione cartesiana della ellisse (rispetto al SdR considerato) è dunque la 18.2.F7. In essa restano evidenziati il parametro + e la semidistanza - tra i fuochi. Poiché +# - # 0, si può porre , # ³ +# - # e scrivere l’equazione 18.2.F7 nella forma x# +# 18.2.F9 y# ,# œ 1. Vediamo ora quali informazioni possiamo ricavare dalle equazioni 18.2.F7 e 18.2.F9. Se appartiene all’ellisse il punto di coordinate (B! , C! ), si deduce dalla 18.2.F7 (o dalla 18.2.F9) che appartengono all’ellisse anche i punti di coordinate ( B! , C! ), (B! , C! ), ( B! , C! ), e quindi (ricordando l’osservazione 15.2.3): gli assi coordinati sono assi di simmetria per l’ellisse; l’origine è centro di simmetria per l’ellisse. Dunque l’ellisse ha due assi trasversi (cfr. 18.1) fra loro ortogonali (la retta individuata dai fuochi e l’asse del segmento che ha per estremi i fuochi) e un centro di simmetria (il punto medio del segmento che ha per estremi i fuochi). # + B!# , Sia P! ´ (B! , C! ) un punto dell’ellisse. Dalla 18.2.F7 segue, poiché +# - # 0, che deve essere cioè + B! + . Dalla 18.2.F9, moltiplicando ambo i membri per +# , si ricava che B#! œ +# ,# (, # C!# ) e dunque deve essere , # C # , cioè , C! , . Dunque l’ellisse è tutta interna a un rettangolo i cui lati misurano 2+ e 2 È+# - # . Per descrivere con maggiore precisione la forma dell’ellisse, osserviamo che dalla equazione 18.2.F7 si ricava che l’ellisse è formata dai grafici delle funzioni , + I grafici delle funzioni È + # x# È+# x# e , + È + # x# . e È + # x# y œ „ È + # x# sono descritti dalle equazioni equivalenti alla y# œ +# x# che rappresenta la circonferenza V con centro nell’origine e raggio + . Si può dire che l’ellisse si ottiene “comprimendo” V di un fattore +, . Si usa considerare le circonferenze come casi particolari di ellissi, nelle quali i due fuochi coincidono (e costituiscono il centro). Naturalmente, in tutta la discussione precedente era essenziale che i fuochi fossero distinti. 18.3 - L’iperbole. In tutta questa sezione supporremo fissati due punti F" , F# del piano e un numero reale positivo + . Si dice iperbole (individuata da F" , F# , +) il luogo geometrico dei punti del piano per i quali la differenza delle distanze da F" e F# è uguale a 2+ . I punti F" e F# si dicono fuochi dell’iperbole. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 115 Il generico punto P del piano appartiene all’iperbole se e solo se verifica la 18.3.F1 d(P, F" ) d(P, F# ) œ 2+ oppure la d(P, F# ) d(P, F" ) œ 2+, che si può anche scrivere 18.3.F2 d(P, F" ) d(P, F# ) œ 2+. Osserviamo che non può esistere alcun punto P che verifichi sia la 18.3.F1 che la 18.3.F2: infatti in tal caso si avrebbe 2+ œ 2+, cioè + œ 0 contro quanto supposto. Un’iperbole è dunque formata da due insiemi disgiunti (detti rami): il luogo geometrico dei punti che verificano la 18.3.F1 e il luogo geometrico dei punti che verificano la 18.3.F2. Sia d(F" , F# ) œ 2- . Ricordando che in un triangolo ogni lato è maggiore della differenza degli altri due, è facile osservare che l’iperbole ha punti non appartenenti alla retta F" F# se e solo se 2- 2+, ossia sse 18.3.F3 + -. L’iperbole ha punti (cioè non è l’insieme vuoto) se e solo se + Ÿ - . Se + œ - , l’iperbole si riduce al complementare nella retta F" F# del segmento F" F# (e quindi, come si può dimostrare, in tal caso l’iperbole non è una varietà algebrica). Nel seguito di questa discussione supporremo di aver fissato F" , F# , + in modo che valga la 18.3.F3. Per ricavare informazioni sull’iperbole ne scriviamo l’equazione cartesiana rispetto a un opportuno SdR, fissato (in funzione di F" e F# ) con gli stessi criteri adottati per l’ellisse. Un punto P del piano appartiene all’iperbole se e solo se d(P, F" ) d(P, F# ) œ „ 2+, ossia 18.3.F4 d(P, F" ) œ d(P, F# ) „ 2+. Elevando al quadrato ambo i membri delle 18.3.F4 si ottengono le 18.3.F5 (d(P, F" ))# œ 4+# (d(P, F# ))# „ 4+d(P, F# ). Per provare che le 18.3.F5 sono equivalenti alle 18.3.F4 (e quindi al complesso delle 18.3.F1 e 18.3.F2), bisogna mostrare che le d(P, F" ) œ d(P, F# ) „ 2+ non hanno soluzioni. In effetti, queste uguaglianze si possono scrivere … 2+ œ d(P, F" ) d(P, F# ) ; è chiaro che non può essere d(P, F" ) d(P, F# ) œ 2+ ; per un punto P che soddisfacesse la d(P, F" ) d(P, F# ) œ 2+ si avrebbe in base alla 18.3.F3 d(P, F# ) d(P, F" ) œ 2+ 2 œ d(F" , F# ) e tale disuguaglianza è assurda perché significa che nel triangolo PF" F# il lato F" F# risulta maggiore della somma degli altri due. Siano (x, y) le coordinate di P. Esprimendo le 18.3.F5 mediante le coordinate di P, F" e F# e semplificando, si trovano le 18.3.F6 +# - x œ „ + È(x - )# y# . Il complesso delle 18.3.F6 equivale all’(unica) equazione che si ottiene elevandone al quadrato ambo i membri; dopo le opportune semplificazioni si giunge alla 18.3.F7 (+# - # )(+# x# ) œ +# y# . Equazione cartesiana della iperbole (rispetto al SdR considerato) è dunque la 18.3.F7. Notiamo che essa è equivalente al complesso delle 18.3.F1 e 18.3.F2 solo se (come abbiamo supposto) vale la 18.3.F3. Notiamo anche che la 18.3.F7 è identica alla 18.2.F7. Precisamente, fissati due punti F" , F# (e quindi scelto di conseguenza il SdR), un’equazione della forma 18.3.F7 rappresenta: un’ellisse se + - , un’iperbole se + - . Poiché - # +# 0, si può porre , # ³ - # +# e scrivere l’equazione 18.3.F7 nella forma 18.3.F8 x# +# y# ,# œ 1. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 116 Come per l’ellisse, si vede dalla 18.3.F7 (o dalla 18.3.F8) che gli assi coordinati sono assi di simmetria per l’iperbole e che l’origine è centro di simmetria per l’iperbole. Dunque l’iperbole ha due assi (cfr. 18.1) fra loro ortogonali (uno trasverso: la retta individuata dai fuochi; e uno non trasverso: l’asse del segmento che ha per estremi i fuochi) e un centro di simmetria (il punto medio del segmento che ha per estremi i fuochi). # + Ÿ B#! , Sia P! ´ (B! , C! ) un punto dell’iperbole. Dalla 18.3.F7 segue, poiché +# - # 0, che deve essere cioè B! Ÿ + oppure B! + ; dunque, l’iperbole è esterna a una striscia di piano di ampiezza 2+ . , + Consideriamo la retta r di equazione y œ x. Indichiamo con $ÐBÑ la differenza fra le ordinate di due punti aventi uguale ascissa B (maggiore di +) e situati uno sulla retta r e l’altro sulla porzione di iperbole contenuta nel primo quadrante. L’ordinata del punto appartenente alla retta è +, B, mentre quella del punto appartenente all’iperbole è , + (come si ricava facilmente dalla 18.3.F8); dunque $ÐBÑ œ , + (B ÈB# +# ) œ È B# + # , + (BÈB# +# ) (BÈB# +# ) (BÈB# +# ) œ +, BÈB# +# . Si vede facilmente che, al crescere di B, $ ÐBÑ diviene arbitrariamente piccolo (più avanti esprimeremo rigorosamente questa idea scrivendo che lim $ ÐBÑ œ 0 ); ciò significa che, al crescere di B, il tratto di iperbole BÄ _ situato nel primo quadrante si avvicina indefinitamente alla r. Analogamente si vede che il tratto di iperbole situato nel terzo quadrante si avvicina indefinitamente alla r ; e che i tratti di iperbole situati nel secondo e quarto quadrante si avvicinano indefinitamente alla retta r’ di equazione y œ +, x. Le rette r e r’ si dicono asintoti dell’iperbole di equazione 18.3.F8. Se gli asintoti sono fra loro ortogonali, l’iperbole si dice equilatera. Per il teorema 16.6.2, l’iperbole è equilatera se e solo se , , " ossia +, œ +, ossia +# œ , # . + œ ( +) # # # Ricordando che , ³ - + , la condizione diventa # +# œ - # +# ossia +# œ -2 ossia + œ 12 - È2 . In altri termini, per ogni scelta dei fuochi esiste esattamente un valore del parametro + che individua un’iperbole equilatera. Se l’iperbole è equilatera, può essere conveniente scriverne l’equazione rispetto al SdR individuato dagli asintoti; tale equazione è # # xy œ +2 oppure xy œ +2 . Per descrivere con maggiore precisione la forma dell’iperbole si devono utilizzare le tecniche che descriveremo nel capitolo 29 . Le considerazioni sugli assi di simmetria ci consentono di limitare lo studio alla parte di curva che giace nel primo quadrante: dalla equazione 18.3.F7 si ricava che in tale porzione del piano l’iperbole coincide col grafico della funzione +, ÈB# +# per x 0 . Esercizio 18.3.1 (Da svolgersi utilizzando le tecniche del capitolo 29). Sia + 1 . Si disegni il grafico della funzione f(x) ³ ÈB# +# dell’iperbole. per x 0 . Se ne deduca la forma Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 117 Osservazione 18.3.2 Sia > l’iperbole di equazione 9x# 16y# œ 144 (che si ottiene ponendo + ³ 4 e - ³ 5 nella 18.3.F7) . Sia la retta di equazione 3x 4y 12 œ 0 sia quella di equazione x œ 4 incontrano > nel solo punto A ´ (4, 0) ; ma solo la seconda retta viene considerata tangente in A a >. Come preannunciato in 17.3, la nozione di tangente introdotta per una circonferenza non si estende alle altre coniche (né, a maggior ragione, alle altre curve) . Si veda anche l’osservazione 18.4.3 . 18.4 - La parabola. In tutta questa sezione supporremo fissati nel piano un punto F e una retta d. Si dice parabola (individuata da F e d) il luogo geometrico dei punti del piano equidistanti da F e da d. Il punto F si dice fuoco della parabola; la retta d si dice direttrice della parabola. 18.4.F1 Il generico punto P del piano appartiene dunque alla parabola se e solo se verifica la d(P, F) œ d(P, d) . Per ricavare informazioni sulla parabola ne scriviamo l’equazione cartesiana rispetto a un opportuno SdR (che dipenderà da F e d). Sia r la retta per F perpendicolare a d, e sia K il punto in cui r incontra d. Scegliamo l’asse delle ascisse coincidente con la retta r ; l’origine O coincidente col punto medio del segmento KF ; l’asse delle ordinate ortogonale all’asse delle ascisse; il punto unità sull’asse delle ascisse coincidente con F e quello sull’asse delle ordinate in modo che il SdR risulti monometrico e positivamente orientato. Come già in 16.8 e 17.4, e a differenza di 18.2 e 18.3, possiamo scegliere il segmento OF come unità di misura per le distanze perché la 18.4.F1 non dipende dall’unità di misura fissata. Sarà in particolare F ´ (1, 0); inoltre, d avrà equazione x 1 œ 0. Sia P un punto del piano e siano (x, y) le sue coordinate. Esprimendo la 18.4.F1 mediante le coordinate di P ed F e mediante l’equazione cartesiana di d, si trova la |x 1| œ È(x 1)# y# . Questa equazione è equivalente a quella che si ottiene elevandone al quadrato ambo i membri e semplificando, cioè alla 18.4.F2 y# œ 4x che è dunque l’equazione cartesiana della parabola (rispetto al SdR fissato). In effetti, la |x 1| œ È(x 1)# y# non ha soluzioni, perché in essa primo e secondo membro hanno segno opposto e non possono annullarsi contemporaneamente. La 18.4.F2 ci permette di osservare che, se il punto di coordinate (B! , C! ) appartiene alla parabola, anche il punto di coordinate (B! , C! ) vi appartiene: dunque, l’asse delle ascisse è asse di simmetria per la parabola. Inoltre, se il punto di coordinate (B! , C! ) appartiene alla parabola, è B! 0 (perché y#! 0): dunque, la parabola è tutta contenuta nel semipiano formato dai punti di ascissa positiva. Si è così visto che la parabola ha un asse trasverso (la retta passante per il fuoco ortogonale alla direttrice) ed è tutta contenuta in un semipiano. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 118 Per descrivere con maggiore precisione la forma della parabola si devono utilizzare le tecniche che descriveremo nel capitolo 29 . Le considerazioni sull’asse di simmetria ci consentono di limitare lo studio alla parte di curva che giace nel primo quadrante: dalla equazione 18.4.F2 si ricava che in tale porzione del piano la parabola coincide col grafico della funzione 2 Èx . Esercizio 18.4.1 (Da svolgersi utilizzando le tecniche del capitolo 29). Si disegni il grafico della funzione f(x) ³ 2 Èx . Se ne deduca la forma della parabola. Esercizio [*] 18.4.2 Si ripeta la discussione della sezione 18.3 utilizzando un SdR cartesiano ortogonale monometrico definito in modo analogo ma col punto unità coerente con una diversa prefissata unità di misura. Osservazione 18.4.3 Sia > la parabola di equazione y# œ 4x . Sia l’asse delle ascisse che l’asse delle ordinate hanno in comune con > soltanto l’origine; ma solo l’asse delle ordinate viene considerato tangente nell’origine a > . Come preannunciato in 17.3, la nozione di tangente introdotta per una circonferenza non si estende alle altre coniche (né, a maggior ragione, alle altre curve) . Si veda anche l’osservazione 18.3.2 . Esercizio [*] 18.4.4 Si dimostri che, fissato un SdR cartesiano (ortogonale, monometrico) Oxy , ogni equazione della forma y œ + x# , x con +, , , - − ‘ rappresenta una parabola. # 1,# 4+Suggerimento: Sia F ´ ( , ) e sia d la retta di equazione y œ - , 4+ 1 . Si verifichi che 2+ , 4+ y œ +x# , x - è l’equazione cartesiana della parabola che ha per fuoco F e per direttrice d . 18.5 - Eccentricità. Esercizio 18.5.1 Sono date la retta r : x œ 4 e il punto F ´ (1, 0). Determinare il luogo dei punti P del piano per i quali si ha d(P, F) œ d(P, r) . Soluzione - Sappiamo che il luogo cercato è una parabola. Con facili calcoli se ne trova l’equazione: y# œ 6x 15. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 119 Esercizio 18.5.2 Sono date la retta r : x œ 4 e il punto F ´ (1, 0). Determinare il luogo dei punti P del piano per i quali si ha d(P, F) œ Soluzione - Con facili calcoli si trova: Dunque il luogo cercato è un’ellisse! 3x# 4y# œ 12, " # d(P, r) . x# 4 ossia y# 3 œ 1. Esercizio 18.5.3 Sono date la retta r : x œ 14 e il punto F ´ (1, 0). Determinare il luogo dei punti P del piano per i quali si ha d(P, F) œ 2d(P, r). Soluzione - Con facili calcoli si trova: 3x# y# œ 3 4 , ossia x# " % y# $ % œ 1. Dunque il luogo cercato è un’iperbole! Teorema 18.5.4 Siano F un punto e r una retta. Per ogni numero reale positivo ( , l’insieme dei punti P del piano per i quali d(P, F) 18.5.F1 d(P, r) œ ( è una conica, e precisamente: se 0 ( 1, un’ellisse; se ( œ 1, una parabola; se ( 1, un’iperbole. Viceversa, ogni conica non degenere che non sia una circonferenza si può ottenere con questa costruzione. Dimostrazione - Per definizione, le parabole sono tutti e soli i luoghi geometrici che si ottengono con la costruzione descritta dal teorema per ( œ 1 . Possiamo dunque supporre che sia ( Á 1 . Posto + ³ 18.5.F2 1 ( , la 18.5.F1 si può scrivere come d(P, r) œ + † d(P, F) . Per studiare il luogo geometrico definito dalla 18.5.F2 , ne scriviamo l’equazione in un SdR cartesiano opportunamente scelto. Scegliamo l’asse delle ascisse coincidente con la retta per F ortogonale a r ; il punto unità sull’asse delle ascisse coincidente con F ; l’origine O in modo che r abbia equazione x +# œ 0 (cioè, detta K l’intersezione fra r e l’asse x: se ( 1 scegliamo O nella semiretta individuata da F non contenente K in modo che sia OF œ (# "(# FK ; se ( 1 scegliamo O nella semiretta individuata da F contenente K in modo che sia OF œ 1 (# " FK ) ; l’asse delle ordinate, e il punto unità sull’asse delle ordinate, in modo che il SdR risulti ortogonale, monometrico e positivamente orientato. In questo SdR, la retta r ha equazione x +# œ 0 e il punto F ha coordinate a1, 0b . 18.5.F3 Sia P ´ (x, y) un punto del piano. P appartiene al luogo geometrico definito dalla 18.5.F2 se e solo se kx +# k œ + È(x 1)# y# . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 120 Poiché, essendo ( 0 e dunque anche + 0, la kx +# k œ + È(x 1)# y# non ha soluzioni, la 18.5.F3 è equivalente all’equazione che si ottiene elevando al quadrato ambo i membri, cioè alla (x +# )# œ +# (x 1)# +# y# 18.5.F4 che è l’equazione cartesiana del luogo geometrico considerato. Avendosi (x +# )# +# (x 1)# œ x# 2+# x +% +# x# 2+# x +# la 18.5.F4 si può scrivere come 18.5.F5 (+# 1)(+# x# ) œ +# y# . Poiché la 18.5.F5 è equivalente alla 18.5.F3 ed è identica alla 18.2.F7 , la 18.5.F1 rappresenta: un’ellisse se + 1 (cioè se ( 1), un’iperbole se + 1 (cioè se ( 1) . Viceversa, sia > un’ellisse o un’iperbole individuata da due fuochi F" e F# e dal parametro + (rispetto all’unità di misura formata da metà del segmento F" F# ) ; si costruisca un SdR cartesiano ortogonale monometrico come in 18.2 (o in 18.3), si ponga ( ³ +1 e sia r la retta di equazione x œ +# : l’insieme dei punti P del piano per i quali vale la 18.5.F1 è > . Osservazione 18.5.5 Sia V una conica non degenere che non è una circonferenza. Per il teorema 18.5.4, esistono un punto F (detto fuoco) , una retta r (detta direttrice) e un numero reale positivo ( tali che V risulta essere il luogo geometrico dei punti del piano per i quali d(P, F) d(P, r) œ ( . Il numero reale ( si dice eccentricità della conica V . Alle circonferenze si assegna eccentricità uguale a zero. 18.6 - La classificazione delle coniche. In questa sezione esponiamo, senza dimostrazione, un algoritmo per decidere che conica rappresenti una data equazione di secondo grado in un SdR cartesiano ortogonale monometrico. Utilizzeremo la nozione di “rango di una matrice”, che verrà introdotta nel capitolo 20. Fissato un SdR cartesiano ortogonale monometrico (non necessariamente positivamente orientato) Oxy , sia > la conica rappresentata dall’equazione algebrica di secondo grado (æ) +"" x# +"# xy +## y# +"$ x +#$ y +$$ œ 0 . La matrice A³ Î ++"" Ï si dice matrice di > associata all’equazione (æ) . "# 2 +"$ 2 +"# 2 +## +#$ 2 +"$ 2 +#$ 2 Ñ +$$ Ò Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 121 # Indichiamo con ? il numero reale 4+"" +## +"# , che interverrà più volte nell’algoritmo. Se ? Á 0 , il 2+"" x +"# y +"$ œ 0 sistema lineare œ + x 2+ y + œ 0 "# ## #$ ha esattamente una soluzione ÐB! , C! ) ; sia C il punto di coordinate (B! , C! ) . Poiché l’equazione (æ) è per ipotesi di secondo grado, almeno uno dei tre numeri +"" , +"# e +## è diverso da zero; dunque, il rango di A può essere 1, 2 oppure 3. Se il rango di A è 1, > è una retta (esempio: x# y# 2xy 2x 2y 1 œ 0 rappresenta la retta di equazione y œ x 1) . Se il rango di A è 2, bisogna distinguere più casi. Se ? 0, > è una coppia di rette incidenti in C (esempio: x# y# 2x 2y œ 0 rappresenta la coppia formata dalle rette di equazioni y œ x e y œ 2 x) . Se ? 0, > è il punto C (esempio: x# y# 4x 6y 13 œ 0 rappresenta il punto di coordinate (2, 3) ) . Se ? œ 0, > è l’insieme vuoto (esempio: x# 2xy y# 6x 6y 10 œ 0) oppure una coppia di rette parallele (esempio: x# 2xy y# x y œ 0 rappresenta la coppia formata dalle rette di equazioni y œ x e y œ x 1) ; quando non è facile stabilire se (æ) ha almeno una soluzione, si può controllare se si verifica una delle seguenti # # due situazioni: +"# œ +## œ 0 e +"$ 4+"" +$$ ; oppure, +#$ 4+## +$$ ; in questo caso > è l’insieme vuoto, altrimenti > è una coppia di rette parallele. Se il rango di A è 3 (e solo in questo caso) > è una conica non degenere: se ? 0 , > è un’iperbole con centro nel punto C (esempio: x# y# 2x 2y 1 œ 0 ) ; se ? œ 0 , > è una parabola (esempio: 4x# y# 4xy 5x 10y 25 œ 0 ); se ? 0 , > è l’insieme vuoto (esempio: x# y# 1 œ 0) oppure una ellisse (esempio: x# y# xy 1 œ 0), o una circonferenza (esempio: x# y# 1 œ 0) con centro nel punto C . Se non è facile verificare che (æ) ha almeno una soluzione, in quest’ultimo caso basta vedere se > ha punti in comune con una qualsiasi retta passante per C (ad esempio risolvendo il sistema formato dalla (æ) e dalla equazione x œ B! ). Esercizi Si classifichino le coniche rappresentate dalle seguenti equazioni: 18.6.1 x# 2xy 3y# 3x y 3 œ 0 . 18.6.2 x# 2xy 4x 6y 3 œ 0 . 18.6.3 x# 2xy y# 3x y 2 œ 0 . 18.6.4 x# 2xy 3y# 3x y 2 œ 0 . 18.6.5 x# 2xy y# 4x 4y 4 œ 0 . 18.6.6 x# 2xy y# 3x y 2 œ 0 . 18.6.7 x# y# 4x 2y 5 œ 0 . 18.6.8 4x# 4xy y# 4x 2y 2 œ 0 . 18.6.9 4x# 4xy y# 2x y 2 œ 0 . Esercizio 18.6.10 Si verifichi che, comunque scelti +, , − ‘, l’equazione x# +# y# ,# œ1 rappresenta un’ellisse. x# +# y# ,# œ1 rappresenta una iperbole. Esercizio 18.6.11 Si verifichi che, comunque scelti +, , − ‘, l’equazione Esercizio [*] 18.6.11 Si ripeta la dimostrazione del teorema 18.5.4 scegliendo un SdR meno “cervellotico” e utilizzando l’algoritmo di classificazione delle coniche. (Ad esempio: si scelga l’origine in F e il punto unità nella proiezione ortogonale di F su r .) Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 122 19.- SPAZI VETTORIALI SU IR 19.1 - Definizione di spazio vettoriale su ‘. Sia (V, ) un gruppo commutativo. Si dice che V è uno spazio vettoriale su ‘ (oppure uno spazio vettoriale reale) se è data un’applicazione ‘ ‚ V Ä V tale che (indicando con -v l’immagine della coppia ordinata Ð-, vÑ ) SV.1 -Ðv wÑ œ -v -w a - − ‘, a v, w − V ; SV.2 Ð- .Ñv œ -v .v a -, . − ‘, a v − V ; SV.3 -Ð.vÑ œ Ð-.Ñv a -, . − ‘, a v − V ; SV.4 1v œ v a v − V . Si noti che nella SV.2 abbiamo usato lo stesso simbolo “ ” per indicare due operazioni del tutto diverse: la somma in ‘ (al primo membro della SV.2) e la somma in V (al secondo membro della SV.2). Ciò in genere non dà luogo ad equivoci, ma va tenuto presente. Più attenzione va dedicata all’uso del simbolo “0”, che può indicare sia l’elemento neutro per la somma definita in ‘ sia anche l’elemento neutro per la somma definita in V; per chiarezza, riserveremo il nome “zero” al primo e chiameremo invece “vettore nullo” il secondo: quest’ultimo, anzi, sarà spesso indicato con “0v ”. Gli elementi di V si dicono vettori; i numeri reali, in questo contesto, sono detti anche scalari. L’applicazione che alla coppia ordinata Ðv, -Ñ associa il vettore -v si dice prodotto per numeri reali o, anche, prodotto per scalari. Si può definire la nozione di “spazio vettoriale su K” per un campo K qualsiasi. Tuttavia, noi saremo interessati solo al caso K œ ‘. Pertanto, nel seguito scriveremo sempre “spazio vettoriale” anziché “spazio vettoriale su ‘”. Esempio 19.1.1 L’insieme i$ dei vettori liberi è uno spazio vettoriale rispetto alle operazioni Ð41Ñ di somma e di prodotto per numeri reali definite in 14.2 e 14.5. Esempio 19.1.2 ‘ è uno spazio vettoriale rispetto alle ordinarie operazioni di somma e prodotto in ‘. Esempio 19.1.3 ‚ è uno spazio vettoriale rispetto alla somma definita in ‚ e alla restrizione a ‚ ‚ ‘ del prodotto definito in ‚. Esempio 19.1.4 L’insieme ‘[B] dei polinomi nell’indeterminata B a coefficienti reali è uno spazio vettoriale rispetto alle usuali operazioni di somma e di prodotto per numeri reali. 41 Ricordiamo quanto già osservato in 14.5.2. Tuttavia nel seguito useremo il termine “operazione” anche per indicare un prodotto per scalari che verifichi le SV.1, SV.2, SV.3 e SV.4. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 123 Esempio 19.1.5 L’insieme ‘8 delle 8-ple ordinate di numeri reali (cfr. 3.9) è uno spazio vettoriale rispetto alle operazioni così definite: - somma fra vettori: Ð+" , +# , á , +8 Ñ Ð," , ,# , á , ,8 Ñ ³ Ð+" ," , +# ,# , á , +8 ,8Ñ ; - prodotto di un vettore per un numero reale: - Ð+" , +# , á , +8 Ñ ³ Ð- +" , - +# , á , - +8 Ñ . La verifica di tutte le condizioni (cioè che Б8 , Ñ è un gruppo commutativo, e che valgono le SV.1, SV.2, SV.3 e SV.4), semplice ma lunga e noiosa, è lasciata alla buona volontà del lettore. Tuttavia questo esempio riveste particolare importanza, e -sotto certi aspetti- è l’“esempio per eccellenza”, come apparirà chiaro più avanti (teorema 19.9.11). Esempio 19.1.6 Sia A un insieme. Nell’insieme di tutte le funzioni A Ä ‘ si definiscono le seguenti operazioni: - somma fra funzioni: Ðf gÑ(a) ³ f(a) g(a) (ossia: f g è quella funzione A Ä ‘ che porta a in f(a) g(a)) ; - prodotto di una funzione per un numero reale: Ð-fÑ(a) ³ -Ðf(a)Ñ (ossia: -f è quella funzione A Ä ‘ che porta a in - † f(a) ) . Indichiamo con Y ÐA, ‘Ñ l’insieme di tutte le funzioni A Ä ‘ con dominio A . Mostriamo ora che, con le operazioni sopra definite, Y ÐA, ‘Ñ è uno spazio vettoriale. ÐY ÐA, ‘Ñ, Ñ è un gruppo abeliano. Infatti: ÐÐf gÑ hÑ(a) œ Ðf gÑ(a) h(a) œ f(a) g(a) h(a) œ f(a) Ðg hÑ(a) œ Ðf Ðg hÑÑ(a) a a − A ; dunque Ðf gÑ h œ f Ðg hÑ , cioè la somma in Y ÐA, ‘Ñ è associativa; elemento neutro per la somma in Y ÐA, ‘Ñ è la funzione f! che porta ogni elemento di A nel numero reale zero; infatti Ðf! fÑ(a) œ f! (a) f(a) œ 0 f(a) œ f(a) a a − A, dunque f! f œ f , e analogamente f f! œ f ; per ogni f − Y ÐA, ‘Ñ , l’“opposta” di f è la funzione f tale che Ð fÑ(a) ³ Ðf(a)Ñ a a − A ; infatti Ðf Ð fÑÑ(a) œ f(a) Ð fÑ(a) œ f(a) f(a) œ 0 œ f! (a), dunque f Ð fÑ œ f! , e analogamente Ð fÑ f œ f ! ; Ðf gÑ(a) œ f(a) g(a) œ g(a) f(a) œ Ðg fÑ(a) a a − A ; dunque f g œ g f , cioè la somma in Y ÐA, ‘Ñ è commutativa. Inoltre, il prodotto per numeri reali sopra definito verifica le SV.1, SV.2, SV.3 e SV.4. Infatti: SV.1 Ð-Ðf gÑÑ(a) œ -ÐÐf gÑ(a)Ñ œ -Ðf(a) g(a)Ñ œ -f(a) -g(a) œ Ð-fÑ(a) Ð-gÑ(a) œ Ð-f -gÑ(a) a a − A ; dunque -Ðf gÑ œ -f -g ; SV.2 ÐÐ- .ÑfÑ(a) œ Ð- .ÑÐf(a)Ñ œ -Ðf(a)Ñ .Ðf(a)Ñ œ Ð-fÑ(a) Ð.fÑ(a) œ Ð-f .fÑ(a) a a − A ; dunque Ð- .Ñf œ -f .f ; SV.3 ÐÐ-Ð.fÑÑ(a) œ -ÐÐ.fÑ(a)Ñ œ -Ð.Ðf(a)ÑÑ œ Ð-.ÑÐf(a)Ñ œ ÐÐ-.ÑfÑ(a) a a − A ; dunque -Ð.fÑ œ Ð-.Ñf ; SV.4 Ð1fÑ(a) œ 1Ðf(a)Ñ œ f(a) a a − A ; dunque 1f œ f . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 124 Nel seguito (cap. 21 e successivi) rivestirà particolare importanza il caso in cui A © ‘ . Se A © ‘ , scriveremo più brevemente Y ÐAÑ anziché Y ÐA, ‘Ñ . Osservazione 19.1.7 L’insieme di tutte le funzioni ‘ Ä ‘ (senza condizioni sul dominio) non è uno spazio vettoriale, perché non è un gruppo rispetto alla somma. Infatti l’elemento neutro per la somma è la funzione (“funzione nulla”) che ad ogni numero reale associa lo zero; e qualsiasi funzione f con W(f) Á ‘ non ha opposto, perché la somma di f con qualsiasi altra funzione non può avere per dominio tutto ‘, come avviene invece per la funzione nulla. Se invece consideriamo soltanto, come nell’esempio 19.1.6, le funzioni che hanno un fissato dominio A, l’elemento neutro per la somma è la restrizione ad A della funzione nulla e si riesce, come si è visto, a trovare l’opposta per ogni funzione A Ä ‘ . Teorema 19.1.8 Sia V uno spazio vettoriale, sia v − V e sia - − ‘. Si ha -v œ 0v se e solo se - œ 0 oppure v œ 0v . Dimostrazione - Si ha 0 † v œ Ð0 0Ñ † v œ 0 † v 0 † v da cui (sommando ad ambo i membri l’opposto di 0 † v) 0 † v œ 0v . Analogamente, - 0 v œ - Ð0 v 0 v Ñ œ - 0 v - 0 v da cui (sommando ad ambo i membri l’opposto di -0v ) -0v œ 0v . Viceversa, sia -v œ 0v ; dobbiamo provare che, se - Á 0, v œ 0v . In effetti, se - Á 0 esiste in ‘ il reciproco -" di - e si ha v œ 1v œ Ð-" -Ñv œ -" Ð-vÑ œ -" 0v œ 0v ricordando SV.4, SV.3 e quanto già dimostrato. Teorema 19.1.9 Sia V uno spazio vettoriale. Per ogni v − V, Ð 1Ñv è l’opposto di v (e si indica con v, cfr. 7.5). Dimostrazione - Si tratta di dimostrare che v Ð 1Ñv œ 0v . In effetti, v Ð 1Ñv œ 1v Ð 1Ñv œ Ð1 1Ñv œ 0 † v œ 0v ricordando SV.4, SV.2 e il teorema 19.1.8. 19.2 - Matrici. Siano 7, 8 numeri interi positivi, e sia ‘7ß 8 l’insieme delle matrici 7 ‚ 8 a elementi reali (cfr. 3.9). Si definisce in ‘7ß 8 un’operazione di somma ponendo per Ð+3ß4 Ñ, Ð,3ß4 Ñ − ‘7ß 8 Ð+3ß4 Ñ Ð,3ß4 Ñ ³ Ð+3ß4 ,3ß4 Ñ (ossia: il termine di posto Ð3, 4Ñ del risultato è la somma dei termini di posto Ð3, 4Ñ degli addendi; ciò si esprime anche dicendo che le matrici si sommano elemento per elemento). È facile verificare (e si lascia alla buona volontà del lettore) che Б7ß 8 , Ñ è un gruppo commutativo. L’elemento neutro di Б7ß 8 , Ñ è la matrice che ha tutti gli elementi uguali a zero, detta matrice nulla. Si definisce poi il prodotto di una matrice per un numero reale ponendo per Ð+3ß4 Ñ − ‘7ß 8 e - − ‘ -Ð+3ß4 Ñ ³ Ð-+3ß4 Ñ (ossia: il termine di posto Ð3, 4Ñ del risultato è il prodotto del termine di posto Ð3, 4Ñ della matrice per - ; ciò si esprime anche dicendo che una matrice si moltiplica per uno scalare elemento per elemento). Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 125 È facile verificare (e si lascia ancora una volta alla buona volontà del lettore) che valgono le SV.1, SV.2, SV.3 e SV.4, e che dunque rispetto alla somma e al prodotto per scalari sopra definiti ‘7ß 8 è uno spazio vettoriale. Esempio 19.2.1 Sia 7 œ 3, 8 œ 4 e siano A³ Î1 0 Ï2 0 1 3 2 5 0 3 Ñ 0 , 2Ò B³ Î 1 2 Ï 2 0 1 2 1 3 1 1Ñ 1 . 1 Ò Si ha ABœ 3A œ Î3 0 Ï6 0 3 9 6 15 0 9 Ñ 0 , 6Ò Î0 2 Ï0 0 0 1 3 2 1 5B œ 2 Ñ 1 ; 1Ò Î 5 10 Ï 10 0 5 10 5 15 5 5 Ñ 5 . 5 Ò Si definisce anche un prodotto fra matrici, che però non è un’operazione in ‘7ß 8 se 7 Á 8. Sia A œ Ð+3ß4 Ñ una matrice 7 ‚ 8 a elementi reali, e sia B œ Ð,4ß5 Ñ una matrice 8 ‚ = a elementi reali (si noti bene: il numero delle colonne di A deve essere uguale al numero delle righe di B); si dice prodotto righe per colonne di A per B (o anche, semplicemente, prodotto di A per B) la matrice 7 ‚ = C œ Ð-3ß5 Ñ così definita: l’elemento di posto Ð3, 5Ñ di C si ottiene moltiplicando elemento per elemento la 3 sima riga di A per la 5 sima colonna di B e sommando i prodotti così ottenuti, ossia -3ß5 ³ +3ß" † ,"ß5 +3ß# † ,#ß5 +3ß$ † ,$ß5 á +3ß8 † ,8ß5 . Il prodotto righe per colonne delle matrici A e B si indica con AB. Per esso vale la proprietà associativa (ossia: ÐABÑC œ AÐBCÑ); inoltre ha un “buon comportamento” nei confronti della somma e del prodotto per scalari sopra definiti: valgono cioè la proprietà distributiva ( AÐB CÑ œ AB AC e ÐA BÑC œ AC BC ) e la AÐ-BÑ œ Ð-AÑB œ -ÐABÑ. Si noti che se il prodotto AB è definito (ossia se il numero delle colonne di A è uguale al numero delle righe di B) non è detto che sia definito il prodotto BA; ma anche quando entrambi i prodotti AB e BA sono definiti non è in generale AB œ BA (cfr. Esempio 19.2.3). Se 7 œ 8, ‘8ß8 risulta, rispetto alla somma e al prodotto sopra definiti, un anello (non commutativo) con unità. Sia A − ‘8ß8 , e sia 5 − ™ ; si indica con A5 il prodotto di 5 matrici uguali ad A. Riveste particolare importanza il caso in cui si moltiplica una matrice 7 ‚ 8 per una matrice 8 ‚ 1 : quest’ultima può essere interpretata come un elemento di ‘8 (scritto “dall’alto verso il basso” anziché “da sinistra a destra”), e il risultato della moltiplicazione può allo stesso modo essere letto come un elemento di ‘7 . (Cfr. 19.9.6 più avanti). Esercizio 19.2.2 Si determini l’elemento neutro per il prodotto in ‘#ß# , in ‘$ß$ , e più in generale in ‘8ß8 . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 126 Esempio 19.2.3 Posto si ha A³Œ 1 0 1 1 B³Œ AB œ Œ 2 1 1 0 BA œ Œ 1 1 1 0 2 1 1 1 e dunque il prodotto in ‘#ß# non è commutativo. Esempio 19.2.4 Posto A³Œ 1 1 1 1 B³Œ 2 2 1 1 si ha AB œ Œ 0 0 0 0 BA œ A. Esercizio 19.2.5 Si verifichi che il prodotto in ‘$ß$ non è commutativo. Esempio 19.2.6 A³Œ Posto si ha 6 9 4 6 0 A# œ Œ 0 B³Œ 0 0 3 6 1 2 B# œ B. 19.3 - Sottospazi. Sia V uno spazio vettoriale, e sia W un sottoinsieme non vuoto di V. W si dice chiuso rispetto al prodotto per scalari se comunque presi w − W e - − ‘ è anche -w − W. Esempio 19.3.1 Sia ‘ÒxÓ lo spazio vettoriale dei polinomi a coefficienti reali nell’indeterminata x (cfr. esempio 19.1.4). Il sottoinsieme di ‘ÒxÓ formato dai polinomi di secondo grado e dal polinomio nullo è chiuso rispetto al prodotto per scalari. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 127 Sia V uno spazio vettoriale, e sia W un sottoinsieme non vuoto di V. W si dice un sottospazio vettoriale di V se è chiuso rispetto alla somma e al prodotto per scalari; si verifica facilmente che in tal caso W è uno spazio vettoriale rispetto a tali operazioni Ð42Ñ. Esempio 19.3.2 Sia ‘ÒxÓ lo spazio vettoriale dei polinomi a coefficienti reali nell’indeterminata x (cfr. esempio 19.1.4). Il sottoinsieme di ‘ÒxÓ formato dai polinomi di grado non superiore a due è un sottospazio vettoriale di ‘ÒxÓ. Esempio 19.3.3 Il sottoinsieme costituito dai numeri complessi la cui parte reale è 0 è un sottospazio vettoriale di ‚ (cfr. esempio 19.1.3). Esempio 19.3.4 Sia S ³ ÖÐB, CÑ − ‘# / B œ C×. # Allora S è un sottospazio vettoriale di ‘ . Dimostrazione - Poiché Ð1, 1Ñ − S, S non è vuoto. Proviamo che S è chiuso rispetto alla somma. Siano ÐB" , C" Ñ, ÐB# , C# Ñ − S, e mostriamo che ÐB" B# , C" C# Ñ − S, ossia che B" B# œ C" C# . Per ipotesi, B" œ C" e B# œ C# ; sommando queste uguaglianze membro a membro, si trova appunto che B" B# œ C" C# . Proviamo infine che S è chiuso rispetto al prodotto per scalari. Sia ÐB, CÑ − S, e sia - − ‘ ; mostriamo che Ð-B, -CÑ − S, ossia che -B œ -C . Per ipotesi, B œ C ; moltiplicando questa uguaglianza membro a membro per -, si trova appunto che -B œ -C. L’asserto è così completamente provato. Esempio 19.3.5 Sia S ³ ÖÐB, CÑ − ‘# / B œ 0×. # Allora S è un sottospazio vettoriale di ‘ . Dimostrazione - Poiché Ð0, 1Ñ − S, S non è vuoto. Proviamo che S è chiuso rispetto alla somma. Siano ÐB" , C" Ñ, ÐB# , C# Ñ − S, e mostriamo che ÐB" B# , C" C# Ñ − S, ossia che B" B# œ 0. In effetti, B" œ 0 e B# œ 0 per ipotesi; dunque B" B# œ 0, come si voleva. Proviamo infine che S è chiuso rispetto al prodotto per scalari. Sia ÐB, CÑ − S, e sia - − ‘ ; mostriamo che Ð-B, -CÑ − S, ossia che -B œ 0. Ma ciò è ovvio, perché B œ 0 per ipotesi. L’asserto è così completamente provato. 42 Si noti che la chiusura rispetto alla somma non garantisce di per sè la struttura di sottogruppo: si veda l' esempio 8.2.1 (ma anche l' esempio 9.3.1). In effetti, in un sottospazio vettoriale l' esistenza dell' opposto è garantita dalla chiusura rispetto al prodotto per scalari grazie al teorema 19.1.9. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 128 Teorema 19.3.6 Sia V uno spazio vettoriale. Se W è un sottospazio vettoriale di V, allora 0v − W. Dimostrazione - Poiché W è in particolare un sottogruppo di ÐV, Ñ, l’asserto segue immediatamente dal teorema 8.2.3. Teorema 19.3.7 Sia V uno spazio vettoriale. Se W" , W# sono sottospazi vettoriali di V, anche W" W# è un sottospazio vettoriale di V. Dimostrazione - Per il teorema 19.3.6, 0v − W" W# e dunque W" W# non è vuoto. Mostriamo che W" W# è chiuso rispetto alla somma: se x e y appartengono a W" W# , è x, y − W" (e quindi x y − W" , perchè W" è chiuso rispetto alla somma) e x, y − W# (e quindi x y − W# , perchè W# è chiuso rispetto alla somma), cosicché x y − W" W# , come si voleva. Mostriamo infine che W" W# è chiuso rispetto al prodotto per scalari: se x − W" W# e - − ‘, è in particolare x − W" (e quindi -x − W" , perchè W" è chiuso rispetto al prodotto per scalari) e x − W# (e quindi -x − W# , perchè W# è chiuso rispetto al prodotto per scalari), cosicché -x − W" W# , come si voleva. Osservazione 19.3.8 Sia V uno spazio vettoriale. Se W" , W# sono sottospazi vettoriali di V, W" W# non è in generale chiuso rispetto alla somma e quindi non è in generale un sottospazio vettoriale di V. Esempio 19.3.9 Si considerino i seguenti sottospazi vettoriali di ‘# : S" ³ ÖÐB, CÑ − ‘# / B œ C×, S# ³ ÖÐB, CÑ − ‘# / B œ 0× (cfr. Esempio 19.3.4 ed Esempio 19.3.5). Si ha Ð1, 1Ñ − S" e Ð0, 1Ñ − S# , dunque Ð1, 1Ñ e Ð0, 1Ñ appartengono a S" S# ; tuttavia Ð1, 0Ñ Ð œ Ð1, 1Ñ Ð0, 1ÑÑ non appartiene né a S" né a S# e dunque non appartiene a S" S# . Esercizio [*] 19.3.10 Sia V uno spazio vettoriale, e siano W" , W# sottospazi vettoriali di V. Si dimostri che W" W# è un sottospazio vettoriale di V se e solo se W" § W# oppure W# § W" . Esercizio 19.3.11 Sia V lo spazio vettoriale dei polinomi a coefficienti reali nell’indeterminata x di grado non superiore a due (cfr. esempio 19.3.2). Per ciascuno dei seguenti sottoinsiemi di V si stabilisca se è oppure non è un sottospazio vettoriale di V: - l’insieme dei polinomi che hanno come radice il numero 5; - l’insieme dei polinomi che hanno come radice sia il numero 0 che il numero 7; - l’insieme dei polinomi che hanno come radice o il numero 0 oppure il numero 7 (o, eventualmente, sia il numero 0 che il numero 7). Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 129 Esercizio 19.3.12 Per ciascuno dei seguenti sottoinsiemi di ‘$ si stabilisca se è oppure non è un sottospazio vettoriale: - ÖÐB, C , DÑ − ‘$ / B C 2D œ 0× ; - ÖÐB, C , DÑ − ‘$ / B C 2D œ 1× ; - ÖÐB, C , DÑ − ‘$ / B C 2D œ 0, B D œ 0× ; - ÖÐB, C , DÑ − ‘$ / B C sinÐDÑ œ 0× ; - ÖÐB, C , DÑ − ‘$ / B (sin# ÐCÑ cos# ÐyÑ)D œ 0× ; - ÖÐB, C , DÑ − ‘$ / B C 2D œ 1× ; 19.4 - Combinazioni lineari. Sia V uno spazio vettoriale, e siano x" , x# , á , x8 , y elementi di V. Se esistono -" , -# , á , -8 − ‘ tali che y œ -" x" -# x# á -8 x8 si dice che y è combinazione lineare di x" , x# , á , x8 (con coefficienti -" , -# , á , -8 ). Osservazione 19.4.1 Sia V uno spazio vettoriale, e siano x" , x# , á , x8 , á , x7 , y − V. Se y è combinazione lineare di x" , x# , á , x8 , allora y è combinazione lineare di x" , x# ,yáœ, x-8" x, á . #Infatti -7 á se esistono -8 x8 -" , -# , á , -8 − ‘ tali che " , x #x si ha anche y œ -" x" -# x# á -8 x8 0x8" á 0x7 . Esempi 19.4.2 Comunque scelti x" , á , x8 , 0v è combinazione lineare di x" , á , x8 con coefficienti tutti nulli. 19.4.3 Nello spazio vettoriale ‚ (esempio 19.1.3), 1 33 è combinazione lineare di 1 3 e 1 3 con coefficienti (rispettivamente) 1 e 2. 19.4.4 Nello spazio vettoriale ‘ÒxÓ (esempio 19.1.4), il polinomio nullo è combinazione lineare di 2x# 3x 1, x# 2x 1 e x 1 con coefficienti (rispettivamente) 1, 2 e 1. 19.4.5 Nello spazio vettoriale ‘$ (esempio 19.1.5), il vettore Ð2, 1, 3Ñ è combinazione lineare di Ð1, 0, 0Ñ, Ð0, 1, 0Ñ e Ð0, 0, 1Ñ con coefficienti (rispettivamente) 2, 1 e 3; il vettore Ð1, 9, 27Ñ è combinazione lineare di Ð1, 0, 0Ñ, Ð0, 1, 0Ñ e Ð0, 0, 1Ñ con coefficienti (rispettivamente) 1, 9 e 27; in generale, il vettore Ð+, , , -Ñ è combinazione lineare di Ð1, 0, 0Ñ, Ð0, 1, 0Ñ e Ð0, 0, 1Ñ con coefficienti (rispettivamente) +, , e - . 19.4.6 Nello spazio vettoriale ‘$ (esempio 19.1.5), Ð2, 3, 4Ñ è combinazione lineare di Ð1, 2, 3Ñ, Ð0,-1,-2Ñ e Ð1, 1, 1Ñ con coefficienti (rispettivamente) 4, 3 e -2; oppure 3, 2 e -1; oppure -1, -2 e 3; oppure á Esercizio 19.4.7 Esprimere, se è possibile, il vettore libero 9–i 4j come combinazione lineare di 2–i 3j e –i 2j . – – – Sia V uno spazio vettoriale, e sia X un sottoinsieme di V. Si dice sottospazio generato da X, e si indica con X , l’insieme degli elementi di V che sono combinazione lineare di elementi di X. Se X è un insieme finito, X œ Öx" , x# , á , x8 ×, si scrive x" , x# , á , x8 anziché Öx" , x# , á , x8 × ; in tal caso, per l’osservazione 19.4.1, x" , x# , á , x8 è l’insieme dei vettori che si possono scrivere nella forma -" x" -# x# á -8 x8 con -" , -# , á , -8 − ‘. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 130 Teorema 19.4.8 Sia V uno spazio vettoriale, e sia X § V. X è il minimo Ð43Ñ sottospazio vettoriale di V contenente X. Dimostrazione - Dobbiamo provare che Ð1Ñ X è un sottospazio vettoriale di V contenente X e che Ð2) X è contenuto in ogni sottospazio vettoriale di V contenente X. Proviamo la Ð1). È chiaro che X © X ; in particolare, X> non è vuoto ; inoltre, una somma di combinazioni lineari di elementi di X è ancora combinazione lineare di elementi di X (e dunque X è chiuso rispetto alla somma); se poi x − X , è x œ -" x" -# x# á -8 x8 con x" , x# , á , x8 − X e -" , -# , á , -8 − ‘, cosicché per ogni - − ‘ si ha -x œ -Ð-" x" -# x# á -8 x8 Ñ œ Ð--" Ñx" Ð--# Ñx# á Ð--8 Ñx8 − X (e dunque X è chiuso rispetto al prodotto per scalari). Proviamo ora la Ð2Ñ. Sia W un sottospazio vettoriale di V contenente X, e mostriamo che X § W. Se x − X , per definizione di X esistono x" , x# , á , x8 − X e -" , -# , á , -8 − ‘ tali che x œ -" x" -# x# á -8 x8 . Poiché x" , x# , á , x8 appartengono a X § W, anche -" x" , -# x# , á , -8 x8 appartengono a W (perché W è chiuso rispetto al prodotto per scalari) e quindi -" x" -# x# á -8 x8 appartiene a W (perché W è chiuso rispetto alla somma); dunque x − W, e poiché x è un generico elemento di X si è provato che X § W, come si voleva. 19.5 - Generatori. Siano V uno spazio vettoriale e X un sottoinsieme di V. Si dice che gli elementi di X generano V (oppure che X è un insieme di generatori per VÑ se V œ X . Sia V uno spazio vettoriale. Se esiste un insieme finito di generatori per V, si dice che V è finitamente generabile. Esempio 19.5.1 ‘ÒxÓ (cfr. esempio 19.1.4) non è finitamente generabile. In effetti, comunque presi 8 polinomi p" (x), p# (x), á , p8 (x), ve ne sarà uno di grado massimo 7; e nessun polinomio di grado 7 1 potrà allora essere combinazione lineare di p" (x), p# (x), á , p8 (x). Esempio 19.5.2 ‚ (cfr. esempio 19.1.3) è finitamente generabile. Infatti, ogni numero complesso è della forma + , 3 con +, , − ‘, e quindi è combinazione lineare di 1 e 3 con coefficienti + e , . Esempio 19.5.3 ‘$ (cfr. esempio 19.1.5) è finitamente generabile (cfr. esempio 19.4.5). 43 cfr. vettoriali di V. 5.5. L' inclusione (cfr. 1.3) è una relazione di ordine (parziale) nell' insieme dei sottospazi Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 131 Teorema 19.5.4 Sia V uno spazio vettoriale, siano x" , x# , á , x3 , á , x8 − V e, per un certo 3 − Ö1, 2, á , 8×, sia –x3 ³ -" x" -# x# á -3 x3 á -8 x8 con -" , -# , á , -8 − ‘. Allora Ð+Ñ x" , x# , á , –x3 , á , x8 § x" , x# , á , x3 , á , x8 e inoltre Ð,Ñ se -3 Á 0, x" , x# , á , –x3 , á , x8 œ x" , x# , á , x3 , á , x8 ossia: il sottospazio generato da x" , x# , á , x8 non cambia se ad uno di essi si sostituisce una combinazione lineare di x" , x# , á , x8 nella quale esso compare con coefficiente non nullo. Dimostrazione - Poiché –x3 è combinazione lineare di x" , x# , á , x8 , ogni combinazione lineare di x" , x# , – á , x3 , á , x8 è anche combinazione lineare di x" , x# , á , x3 , á , x8 ; infatti ." x" .# x# á .3 Ð-" x" -# x# á -3 x3 á -8 x8 Ñ á .8 x8 œ œ Ð." -" .3 Ñx" Ð.# -# .3 Ñx# á Ð-3 .3 Ñx3 á Ð.8 -8 .3 Ñx8 . Si ha dunque subito la Ð+Ñ. Supponiamo ora che sia -3 Á 0. Dalla –x3 ³ -" x" -# x# á -3 x3 á -8 x8 si ricava x3 œ e dunque, per la Ð+Ñ, -" -3 x" -# -3 x# á 1 -3 –x3 á -8 -3 x8 x" , x# , á , x3 , á , x8 § x" , x# , á , –x3 , á , x8 da cui la Ð,Ñ. Corollario 19.5.5 Sia V uno spazio vettoriale, e siano x" , x# , á , x8 − V. Per un certo 3 − Ö1, 2, á , 8×, poniamo –x3 ³ -x3 con - − ‘\Ö0× – oppure x3 ³ x3 -x4 con 4 − Ö1, 2, á , 8× e - − ‘. Allora x" , x# , á , x3 , á , x8 œ x" , x# , á , –x3 , á , x8 . 19.6 - Dipendenza e indipendenza lineare. Siano V uno spazio vettoriale e X un sottoinsieme di V. Si dice che gli elementi di X sono linearmente dipendenti Ð44Ñ se esiste una combinazione lineare di alcuni di essi a coefficienti non tutti nulli che dia il vettore nullo 0v . Si dice che gli elementi di X sono linearmente indipendenti se non sono linearmente dipendenti, cioè se comunque presi x" , x# , á , x8 − X l’unica loro combinazione lineare che dia il vettore nullo 0v è quella con coefficienti tutti nulli. 44 Si noti che la forma linguistica, peraltro ormai tradizionale, con cui viene espresso questo concetto è piuttosto infelice: infatti la dipendenza lineare non è una proprietà degli elementi singolarmente presi ma dell' insieme X nel suo complesso. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 132 Osservazione 19.6.1 Sia V uno spazio vettoriale, e siano x" , x# , á , x8 − V. I vettori x" , x# , á , x8 sono linearmente dipendenti se e solo se si può scrivere 0v œ -" x" -# x# á -8 x8 con -" , -# , á , -8 numeri reali non tutti nulli; e (di conseguenza) sono linearmente indipendenti se e solo se dall’uguaglianza 0v œ -" x" -# x# á -8 x8 con -" , -# , á , -8 − ‘ segue -" œ -# œ á œ -8 œ 0. Esempio 19.6.2 I polinomi x# 1, x# x 1 e x 1 sono linearmente indipendenti. Siano infatti +, , , - − ‘ tali che 0 œ +Ðx# 1Ñ ,Ðx# x 1Ñ -Ðx 1Ñ œ Ð+ ,Ñx# Ð, -Ñx Ð, - +Ñ ; deve essere + , œ 0, , - œ 0, , - + œ 0, ossia + œ , , - œ , , ,Ð ,Ñ Ð ,Ñ œ 0, da cui + œ , œ - œ 0. Esempio 19.6.3 I polinomi x# 2x 4, 2x# 4, x$ x 7 e x# x 1 sono linearmente dipendenti. Infatti 2Ðx# 2x 4Ñ 3Ð2x# 4Ñ 0Ðx$ x 7Ñ 4Ðx# x 1Ñ œ 0. Esempio 19.6.4 I numeri complessi 2 33 e 1 23 sono linearmente indipendenti. Infatti, se 0 œ +Ð2 33Ñ ,Ð 1 23Ñ œ Ð2+ ,Ñ Ð3+ 2,Ñ3, deve essere 2+ , œ 0 e 3+ 2, œ 0, ossia , œ 2+, 3+ 2Ð2+Ñ œ 0, da cui + œ , œ 0. Esempio 19.6.5 I numeri complessi 1 e 3 sono linearmente indipendenti. Infatti, se + , 3 œ 0 deve essere + œ , œ 0. Esempio 19.6.6 In ‘$ , i vettori Ð1, 4, 1Ñ, Ð1, 1, 4Ñ e Ð 1, 2, 1Ñ sono linearmente dipendenti. Infatti 3Ð1, 4, 1Ñ 2Ð1, 1, 4Ñ 5Ð 1, 2, 1Ñ œ Ð0, 0, 0Ñ. Esempio 19.6.7 In ‘$ , i vettori Ð1, 0, 0Ñ, Ð0, 1, 0Ñ e Ð0, 0, 1Ñ sono linearmente indipendenti. Infatti +Ð1, 0, 0Ñ ,Ð0, 1, 0Ñ -Ð0, 0, 1Ñ œ Ð+, , , -Ñ e dunque l’unica possibilità affinché sia +Ð1, 0, 0Ñ ,Ð0, 1, 0Ñ -Ð0, 0, 1Ñ œ Ð0, 0, 0Ñ è che si abbia + œ , œ - œ 0. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 133 Teorema 19.6.8 Sia V uno spazio vettoriale, e siano dati 8 elementi non nulli x" , x# , á , x8 di V (con 8 2) in un certo ordine arbitrariamente fissato. Gli elementi dati x" , x# , á , x8 sono linearmente dipendenti se e solo se uno di essi è combinazione lineare dei successivi. Dimostrazione - Sia x3 œ -3" x3" -3# x3# á -8 x8 con -3" , -3# , á , -8 − ‘. Allora 0v œ x3 x3 œ x3 -3" x3" -3# x3# á -8 x8 œ œ 0 † x" 0 † x# á 0 † x3" x3 -3" x3" -3# x3# á -8 x8 e i coefficienti non sono tutti nulli (perché 1 Á 0), dunque x" , x# , á , x8 sono linearmente dipendenti. Viceversa, sia -" x" -# x# á -8 x8 œ 0v con (ad esempio) -" œ -# œ á œ -3" œ 0, -3 Á 0 (eventualmente, 3 œ 1). Allora non può essere 3 œ 8, altrimenti sarebbe x8 œ 0v (cfr. teorema 19.1.8) contro l’ipotesi che x" , á ,x8 siano tutti non nulli. Dunque 0v œ -3 x3 -3" x3" -3# x3# á -8 x8 da cui, poiché -3 Á 0, x3 œ --3"3 x3" --3#3 x3# á --83 x8 ossia x3 è combinazione lineare di x3" , x3# , á , x8 . Esercizio 19.6.9 Abbiamo visto nell’esempio 19.6.3 che i polinomi x$ x 7, x# 2x 4, 2x# 4 e x# x 1 sono linearmente dipendenti; tuttavia, x$ x 7 non è combinazione linare di x# 2x 4, 2x# 4 e x# x 1. Perché ciò non contraddice il teorema 19.6.8 ? 19.7 - Basi. Sia V uno spazio vettoriale. Un insieme di generatori di V linearmente indipendenti si dice una base di V. Esempi 19.7.1 Fissato nel piano un SdR cartesiano Oxy, Ö–i , j × è una base per i# (cfr. 15.4 e teorema 15.4.2). – 19.7.2 Ö1, 3× è una base per ‚ (cfr. esempi 19.5.2 e 19.6.5). 19.7.3 ÖÐ1, 0, 0Ñ, Ð0, 1, 0Ñ, Ð0, 0, 1Ñ× è una base per ‘$ (cfr. esempi 19.4.5 e 19.6.7). 19.7.4 Sia 8 un numero intero positivo. Si indichi con e3 il vettore di ‘8 che ha la 3 sima componente uguale a 1 e tutte le altre uguali a 0. Allora Öe" , e# , á , e8 × è una base per ‘8 . 19.7.5 L’insieme ÖpÐxÑ − ‘ÒxÓ / pÐxÑ œ x3 con 3 − × costituito dai polinomi della forma 1, x, x# , x$ , á , x8 , á è una base per ‘ÒxÓ (cfr. esempi 19.1.4 e 19.5.1); dunque ‘ÒxÓ ha dimensione i! . Esercizio 19.7.6 Si verifichi che Ö1 23, 1 3× è una base per ‚. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 134 Teorema 19.7.7 Sia V uno spazio vettoriale, e siano x" , x# , á , x8 − V. Condizione necessaria e sufficiente affinché Öx" , x# , á , x8 × sia una base di V è che (+) Öx" , x# , á , x8 × sia un insieme di generatori per V e inoltre (, ) nessun sottoinsieme proprio di Öx" , x# , á , x8 × ottenuto “scartando” uno degli x3 sia un insieme di generatori per V. Dimostrazione - Proviamo che la condizione è necessaria. È chiaro che deve valere la Ð+Ñ, infatti una base è per definizione un insieme di generatori. Supponiamo ora per assurdo che scartando, ad es., x" , il sottoinsieme Öx# , x$ , á , x8 × generi ancora V. Allora x" deve essere combinazione lineare degli elementi di I, ossia di x# , x$ , á , x8 : dunque x" , x# , á , x8 sono linearmente dipendenti per il teorema 19.6.8, contro l’ipotesi che Öx" , x# , á , x8 × sia una base di V. Proviamo ora che l’insieme delle (+) e (, ) è condizione sufficiente affinché Öx" , x# , á , x8 × sia una base di V. Per la (+), dobbiamo solo provare che x" , x# , á , x8 sono linearmente indipendenti. Supponiamo per assurdo che invece x" , x# , á , x8 siano linearmente dipendenti. Per il teorema 19.6.8, allora, uno degli x3 , ad esempio x" , è combinazione lineare dei rimanenti; ne segue che ogni combinazione lineare di x" , x# , á , x8 si può scrivere come combinazione lineare di x# , x$ , á , x8 , ossia che il sottoinsieme proprio Öx# , x$ , á , x8 × di Öx" , x# , á , x8 × genera V, contro la Ð,Ñ. Esercizio [*] 19.7.8 Sia V uno spazio vettoriale, e siano x" , x# , á , x8 − V. Si provi che, “simmetricamente” a quanto visto nel teorema 19.7.7, condizione necessaria e sufficiente affinché Öx" , x# , á , x8 × sia una base di V è che (+) x" , x# , á , x8 siano linearmente indipendenti e inoltre (, ) comunque si scelga x in V distinto da x" , x# , á , x8 , i vettori x, x" , x# , á , x8 siano linearmente dipendenti. Sia V uno spazio vettoriale finitamente generabile. Per il teorema 19.7.7, da ogni insieme finito Öx" , x# , á , x8 × di generatori di V si può ricavare una base operando come segue. Si considerano gli insiemi ottenuti da Öx" , x# , á , x8 × scartando uno dei vettori x" , x# , á , x8 ; se nessuno di tali insiemi genera V, Öx" , x# , á , x8 × è una base per V; se invece, ad esempio, Öx# , x$ , á , x8 × genera V, si prosegue scartando ancora (se è possibile) uno degli elementi x# , x$ , á , x8 in modo che i restanti vettori generino V, e così via scartando successivamente vettori finché si può fare compatibilmente con la condizione che i vettori restanti generino V. Si giungerà (se non altro quando rimane un solo vettore!) a un insieme Öx3" , x3# , á , x35 × di generatori di V che verifica la condizione Ð,Ñ del teorema 19.7.7, e quindi è una base di V. Il procedimento sopra esposto (detto metodo degli scarti successivi) costituisce una dimostrazione costruttiva per gli spazi vettoriali finitamente generabili del Teorema 19.7.9 Ogni spazio vettoriale ha (almeno) una base. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 135 Teorema 19.7.10 Sia V uno spazio vettoriale finitamente generabile, e sia Öx" , x# , á , x8 × una base di V. Ogni elemento di V si scrive in uno e un solo modo come combinazione lineare di x" , x# , á , x8 . Dimostrazione - Poiché (per definizione di base) x" , x# , á , x8 generano V, è chiaro che ogni elemento di V si può scrivere in almeno un modo come combinazione lineare di x" , x# , á , x8 . Dobbiamo provare che i coefficienti di tale combinazione lineare sono univocamente determinati, ossia che combinazioni lineari di x" , x# , á , x8 che danno luogo allo stesso elemento hanno esattamente gli stessi coefficienti. Sia allora -" x" -# x# á -8 x8 œ ." x" .# x# á .8 x8 . Ne segue che 0v œ -" x" -# x# á -8 x8 Ð." x" .# x# á .8 x8 Ñ œ œ Ð-" ." Ñx" Ð-# .# Ñx# á Ð-8 .8 Ñx8 . Poiché i vettori x" , x# , á , x8 sono (per definizione di base) linearmente indipendenti, deve essere á , a -8 .8 œ 0 -" ." œ 0, -# .# œ 0, ossia -" œ ." , -# œ .# , á , -8 œ .8 come si voleva. 19.8 - Dimensione. Teorema 19.8.3 Sia V uno spazio vettoriale. Tutte le basi di V sono equipotenti Ð45Ñ. Dimostrazione - Omettiamo la dimostrazione di questo teorema. Sia V uno spazio vettoriale. La cardinalità comune a tutte le basi di V si dice dimensione di V. Se V è finitamente generabile, le sue basi hanno un numero finito di elementi (se ne può infatti ottenere una col metodo degli scarti successivi da un insieme finito di generatori); si dice che V ha dimensione finita. Esempio 19.8.4 ‚ ha dimensione 2 (cfr. esempio 19.7.2). Esempio 19.8.5 ‘$ ha dimensione 3 (cfr. esempio 19.7.3). Esempio 19.8.6 ‘8 ha dimensione 8 (cfr. esempio 19.7.4). Esempio 19.8.7 Lo spazio vettoriale dei polinomi a coefficienti reali nell’indeterminata x di grado non superiore a due (cfr. esempi 19.1.4 e 19.3.2) ha dimensione 3; una sua base è Ö1, x, x# ×. Più in generale, lo spazio vettoriale dei polinomi a coefficienti reali nell’indeterminata x di grado non superiore a 8 ha dimensione 8 1; una sua base è Ö1, x, x# , á , x8 ×. 45 Cfr. 12.1. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 136 Osservazione 19.8.8 Sia V uno spazio vettoriale di dimensione 8. Per il teorema 19.7.10, ogni elemento di V resta univocamente determinato dagli 8 coefficienti della sua (unica) espressione come combinazione lineare degli elementi di una base fissata (tanto che per molti aspetti può essere identificato con la 8 pla ordinata di tali coefficienti; si veda anche il teorema 19.9.11). In un certo senso, dunque, la dimensione di uno spazio vettoriale può essere vista come il numero dei parametri necessari per individuare un suo elemento. Teorema 19.8.9 Sia V uno spazio vettoriale di dimensione 8. Ogni sottospazio vettoriale di V ha dimensione al più 8. Dimostrazione - Omettiamo la dimostrazione di questo teorema. 19.9 - Omomorfismi e isomorfismi fra spazi vettoriali. Siano V, W due spazi vettoriali. Un’applicazione f : V Ä W tale che WÐfÑ œ V si dice un omomorfismo (tra spazi vettoriali) se fÐv" v# Ñ œ fÐv" Ñ fÐv# Ñ a v" , v# − V e inoltre f Ð - v Ñ œ - fÐ vÑ a - − ‘ , v − V . Si noti (cfr. 8.3) che un omomorfismo fra gli spazi vettoriali V e W è in particolare un omomorfismo fra i gruppi ÐV, Ñ e ÐW, Ñ. Un omomorfismo tra spazi vettoriali che sia una corrispondenza biunivoca si dice un isomorfismo. Siano V, W due spazi vettoriali; se esiste un isomorfismo tra V e W, si dice che V e W sono isomorfi. Due spazi vettoriali isomorfi “si comportano allo stesso modo” rispetto alle operazioni di somma e prodotto per scalari e, per molti aspetti, si possono identificare. Esempio 19.9.1 L’applicazione che al numero complesso + , 3 associa il numero reale + è un omomorfismo ‚ Ä ‘. Esempio 19.9.2 L’applicazione che al numero complesso + , 3 associa il numero reale + , è un omomorfismo ‚ Ä ‘. Esempio 19.9.3 L’applicazione che al numero complesso + , 3 associa la coppia ordinata Ð+, ,Ñ è un isomorfismo ‚ Ä ‘# . Esempio 19.9.4 L’applicazione ‘$ Ä ‘# che al vettore ÐB, C , DÑ associa il vettore ÐB C , B DÑ è un omomorfismo. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 137 Esempio 19.9.5 Sia V lo spazio vettoriale dei polinomi a coefficienti reali di grado non superiore a 2 nell’indeterminata x (cfr. esempio 19.3.2). L’applicazione che al polinomio +x# , x - associa la terna ordinata Ð+, , , -Ñ è un isomorfismo V Ä ‘$ . Esempio 19.9.6 Siano 7, 8 numeri interi positivi, e sia A una matrice 7 ‚ 8 a elementi reali. Definiamo come segue una applicazione fA : ‘8 Ä ‘7 . Se ÐB" , B# , á , B8 Ñ − ‘8 , si calcola A Š Bá# ‹ B" B8 (cfr. sez. 19.2). Se risulta C# A Š Bá# ‹ œ Š á ‹ B" C" B8 C7 si pone fA ÐB" , B# , á , B8 Ñ œ ÐC" , C# , á , C7 Ñ. Per le proprietà del prodotto righe per colonne fra matrici (cfr. sez. 19.2)), fA è un omomorfismo ‘8 Ä ‘7 . Esempio 19.9.7 Uno dei più importanti esempi di omomorfismo tra spazi vettoriali sarà al centro dell’ultima parte del corso, e comprensibile solo in tale sede: lo richiamiamo qui per completezza. Siano V lo spazio vettoriale di tutte le funzioni ‘ Ä ‘ definite in un intervallo aperto Ð+, ,Ñ e VD il sottospazio di V formato dalle funzioni derivabili in tutto Ð+, ,Ñ ; l’applicazione che ad ogni elemento di VD associa la sua derivata è un omomorfismo VD Ä V. Esercizio 19.9.8 Per ciascuna delle seguenti applicazioni, si stabilisca se è un omomorfismo fra gli spazi vettoriali indicati: f" : ‘$ Ä ‘# definita ponendo f" Ðx, y, zÑ ³ Ðx y, yzÑ ; f# : ‘# Ä ‘$ definita ponendo f# Ðx, yÑ ³ Ðx y, x y, xyÑ ; f$ : ‘$ Ä ‘% definita ponendo f$ Ðx, y, zÑ ³ Ðx, x y, z, x zÑ ; f% : ‘$ Ä ‘$ definita ponendo f% Ðx, y, zÑ ³ Ðx y, x z, 2y zÑ ; f& : ‘$ Ä ‘$ definita ponendo f& Ðx, y, zÑ ³ Ðx y, xÐsin# ÐzÑ cos# ÐzÑÑ, y zÑ ; Esercizio 19.9.9 Per ciascuna delle seguenti applicazioni, si stabilisca per quali valori del parametro reale 5 risulta essere un omomorfismo fra gli spazi vettoriali indicati: f" : ‘$ Ä ‘$ definita ponendo f" Ðx, y, zÑ ³ Ðx y, 5 , 5 xyÑ ; f# : ‘# Ä ‘ definita ponendo f# Ðx, yÑ ³ 5 ; f$ : ‘$ Ä ‘% definita ponendo f$ Ðx, y, zÑ ³ Ð5 x, x 5 y, z, 5 x zÑ ; Esercizio [*] 19.9.10 Siano V, W spazi vettoriali, e sia f : V Ä W un isomomorfismo. Si dimostri che l’applicazione inversa f " : W Ä V è un isomorfismo. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 138 Teorema 19.9.11 Ogni spazio vettoriale di dimensione 8 è isomorfo a ‘8 . Dimostrazione - Sia V uno spazio vettoriale di dimensione 8, e sia Öx" , x# , á , x8 × una base di V. Definiamo un’applicazione f : V Ä ‘8 ponendo fÐ-" x" -# x# á -8 x8 Ñ ³ Ð-" , -# , á , -8 Ñ. La f è ben definita perché ogni elemento di V si scrive in uno e un solo modo come combinazione lineare di x" , x# , á , x8 (teorema 19.7.10). Inoltre f è un omomorfismo fra spazi vettoriali, perché fÐÐ-" x" -# x# á -8 x8 Ñ Ð." x" .# x# á .8 x8 ÑÑ œ œ fÐÐ-" ." Ñx" Ð-# .# Ñx# á Ð-8 .8 Ñx8 Ñ œ Ð-" ." , -# .# , á , -8 .8Ñ œ œ Ð-" , -# , á , -8 Ñ Ð." , .# , á , .8 Ñ œ œ fÐ-" x" -# x# á -8 x8 Ñ fÐ." x" .# x# á .8 x8 Ñ. e fÐ!Ð-" x" -# x# á -8 x8 ÑÑ œ œ fÐÐ!-" Ñx" Ð!-# Ñx# á Ð!-8 Ñx8 Ñ œ Ð!-" , !-# , á , !-8 Ñ œ œ !Ð-" , -# , á , -8 Ñ œ !fÐ-" x" -# x# á -8 x8 Ñ. Resta da provare che f è una corrispondenza biunivoca. È chiaro che W(f) œ V . Inoltre f è suriettiva: infatti Ð-" , -# , á , -8 Ñ è immagine di -" x" -# x# á -8 x8 ) . Proviamo infine che f è iniettiva. Sia fÐ-" x" -# x# á -8 x8 Ñ œ fÐ." x" .# x# á .8 x8 Ñ cioè Ð-" , -# , á , -8 Ñ œ Ð." , .# , á , .8 Ñ ; per definizione di 8 pla ordinata, ne segue che -" œ ." , -# œ .# , á , -8 œ .8 e quindi -" x" -# x# á -8 x8 œ ." x" .# x# á .8 x8 come si voleva. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 139 20.- SISTEMI LINEARI 20.1 - Richiami sulle equazioni algebriche. Sia pÐx" , x# , á , x8 Ñ un polinomio a coefficienti reali nelle indeterminate x" , x# , á , x8 . Se ci si chiede per quali numeri reali !" , !# , á , !8 si abbia pÐ!" , !# , á , !8 Ñ œ 0 Ð46Ñ si dice che si considera l’equazione algebrica in ‘ 20.1.F1 pÐx" , x# , á , x8 Ñ œ 0 associata al polinomio dato; x" , x# , á , x8 si dicono le incognite di tale equazione. Si dice soluzione dell’equazione algebrica 20.1.F1 ogni 8 pla ordinata Ð!" , !# , á , !8 Ñ di numeri reali tale che pÐ!" , !# , á , !8 Ñ œ 0. L’equazione data si dice impossibile se non ha soluzioni (es.: 8 œ 2, x#" x## 1 œ 0), determinata se ha un numero finito di soluzioni (es.: 8 œ 2, x#" x## œ 0; 8 œ 1, x#" 4 œ 0), indeterminata se ha infinite soluzioni (es.: 8 œ 2, x#" x## 1 œ 0), identicamente soddisfatta se ogni 8 pla ordinata di numeri reali è sua soluzione (es.: 8 œ 2, Ðx" x# Ñ# x#" 2x" x# x## œ 0) Ð47Ñ. Due equazioni algebriche nelle stesse incognite si dicono equivalenti se sono entrambe impossibili oppure hanno le stesse soluzioni. Un’equazione algebrica nelle incognite x" , x# , á , x8 può essere assegnata anche nella forma 20.1.F2 pÐx" , x# , á , x8 Ñ œ qÐx" , x# , á , x8 Ñ dove pÐx" , x# , á , x8 Ñ e qÐx" , x# , á , x8 Ñ sono polinomi a coefficienti reali nelle indeterminate x" , x# , á , x8 ; ci si chiede in questo caso per quali numeri reali !" , !# , á , !8 si abbia pÐ!" , !# , á , !8 Ñ œ qÐ!" , !# , á , !8 Ñ . È chiaro che la 20.1.F2 è equivalente all’equazione algebrica associata al polinomio pÐx" , x# , á , x8 Ñ qÐx" , x# , á , x 8 Ñ. Le espressioni che compaiono a sinistra e a destra del segno “ œ ” nelle 20.1.F1 e 20.1.F2 si dicono rispettivamente primo membro e secondo membro dell’equazione. Sommando ad ambo i membri di una data equazione algebrica uno stesso numero reale, oppure moltiplicando ambo i membri per uno stesso numero reale (purché, in quest’ultimo caso, diverso da zero) si ottiene un’equazione equivalente a quella data. 20.2 - Generalità sui sistemi lineari. Siano 7, 8 numeri interi positivi. Un insieme di 7 equazioni algebriche in 8 incognite fissate x" , x# , á , x8 si dice un sistema di 7 equazioni algebriche nelle 8 incognite x" , x# , á , x8 . Si dice soluzione di un sistema di equazioni algebriche nelle 8 incognite x" , x# , á , x8 ogni 8 pla ordinata di numeri reali che sia soluzione di tutte le equazioni del sistema. Un sistema di equazioni algebriche si dice impossibile se non ha soluzioni, risolubile se ha soluzioni; nel primo caso si dice anche che le equazioni del sistema dato sono incompatibili, nel secondo che sono compatibili. Due sistemi di equazioni algebriche nelle stesse incognite si dicono equivalenti se sono entrambi impossibili oppure hanno le stesse soluzioni. Si dice che un sistema di equazioni algebriche nelle incognite x" , x# , á , x8 ammette x3" , x3# , á , x35 come incognite libere se per ogni Ð!3" , !3# , á , !35 Ñ − ‘5 esiste almeno una soluzione del sistema per la quale è x3" œ !3" , x3# œ !3# , á , x35 œ !35 46 con pÐ!" , !# , á , !8 Ñ si indica il numero reale ottenuto sostituendo nell' ordine !" , !# , á , !8 a x" , x# , á , x8 ed eseguendo le operazioni indicate dalla forma del polinomio pÐx" , x# , á , x8 Ñ. 47 Si noti che un' equazione identicamente soddisfatta è indeterminata, ma non è vero in generale il viceversa! Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 140 (ovvero se per ogni assegnazione di valori arbitrari a x3" , x3# , á , x35 esiste almeno una soluzione del sistema dato in cui x3" , x3# , á , x35 assumono tali valori). Se un sistema di equazioni algebriche ammette incognite libere, si cerca quando è possibile di essere più precisi. Si dice che un sistema di equazioni algebriche nelle incognite x" , x# , á , x8 ha (esattamente) 5 incognite libere x3" , x3# , á , x35 se per ogni Ð!3" , !3# , á , !35 Ñ − ‘5 esiste esattamente una soluzione del sistema per la quale è x3" œ !3" , x3# œ !3# , á , x35 œ !35 (ovvero se per ogni assegnazione di valori arbitrari a x3" , x3# , á , x35 esiste esattamente una soluzione del sistema in cui x3" , x3# , á , x35 assumono tali valori). In questo caso si dice anche che le soluzioni del sistema dipendono da 5 parametri indipendenti. Un sistema di equazioni algebriche tutte di primo grado si dice un sistema lineare. Ogni sistema lineare di 7 equazioni nelle 8 incognite x" , x# , á , x8 si può scrivere nella forma Ú Ý Ý +"ß" x" +"ß# x# á +"ß8 x8 œ ," + x +#ß# x# á +#ß8 x8 œ ,# Û #ß" " Ý Ý. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ü +7ß" x" +7ß# x# á +7ß8 x8 œ ,7 dove gli 7 † 8 numeri reali +3ß4 (3 œ 1, á , 7, 4 œ 1, á , 8) si dicono i coefficienti del sistema e gli 7 numeri reali ," , ,# , á , ,7 si dicono i termini noti del sistema. 20.3 - Matrici associate a un sistema lineare. Un sistema lineare di 7 equazioni nelle 8 incognite x" , x# , á , x8 scritto nella forma Ú Ý Ý +"ß" x" +"ß# x# á +"ß8 x8 œ ," + x +#ß# x# á +#ß8 x8 œ ,# Û #ß" " Ý Ý. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ü +7ß" x" +7ß# x# á +7ß8 x8 œ ,7 risulta univocamente determinato dai coefficienti +3ß4 e dai termini noti ,3 . La matrice Ð+3ß4 Ñ − ‘7ß8 si dice matrice incompleta del sistema; la matrice di 7 righe e una colonna Î ," Ñ Ð ,# Ó Ð Ó á Ï ,7 Ò (identificabile con un elemento di ‘7 ) è detta colonna dei termini noti; la matrice di 7 righe e 8 1 colonne ottenuta aggiungendo (come Ð8 1Ñ sima colonna) alla matrice incompleta la colonna dei termini noti è detta matrice completa del sistema e contiene, come si è osservato, tutte le informazioni necessarie per individuare il sistema stesso (e quindi, come vedremo, per stabilire se esso è risolubile oppure no e per determinarne tutte le eventuali soluzioni). Ogni matrice di 7 righe e 8 1 colonne è la matrice completa di un (e un solo) sistema lineare di 7 equazioni in 8 incognite, che si dice sistema lineare associato alla matrice data. Utilizzando la nozione di “prodotto fra matrici” introdotta in 19.2, è possibile scrivere un sistema lineare in una forma molto compatta. Indichiamo con A la matrice incompleta del sistema lineare dato, con B la colonna dei termini noti e con X il generico elemento di ‘8 (pensato come matrice di 8 righe e una colonna); X è soluzione del sistema se e solo se 20.3.F1 AX œ B dove al primo membro si considera il prodotto righe per colonne tra le matrici A e X. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 141 La 20.3.F1 si dice forma matriciale del sistema lineare dato; essa, unitamente alle proprietà del prodotto tra matrici citate in 19.2, ci permetterà di esprimere e dimostrare agevolmente importanti teoremi sui sistemi lineari. La matrice completa del sistema lineare 20.3.F1 si indica spesso con ÐA;BÑ. 20.4 - Sistemi lineari omogenei. Un sistema lineare si dice omogeneo se i suoi termini noti sono tutti uguali a zero. Teorema 20.4.1 Sia 8 un numero intero positivo. Ogni sistema lineare omogeneo in 8 incognite è risolubile, e le sue soluzioni costituiscono un sottospazio vettoriale di ‘8 . Dimostrazione - Sia AX œ 0 un sistema lineare omogeneo di 7 equazioni in 8 incognite (qui “0” indica la matrice di 7 righe e una colonna i cui elementi sono tutti uguali a zero), e sia f il sottoinsieme di ‘8 formato dalle sue soluzioni. È immediato che f non è vuoto, perché vi appartiene la 8 pla Ð0, 0, á , 0Ñ. Resta da provare che f è chiuso rispetto alla somma e al prodotto per scalari. Siano X" , X# − f ; allora AX" œ 0 e AX# œ 0. Ne segue che AÐX" X# Ñ = AX" AX# = 0 0 = 0, cosicché X" X# appartiene a f . Siano infine X − f , - − ‘; allora AX œ 0 e dunque AÐ- XÑ = -ÐAXÑ = - 0 = 0, cosicché - X appartiene a f e l’asserto è completamente provato. Un sistema lineare omogeneo resta individuato dalla sua matrice incompleta. Si dice sistema omogeneo associato a un dato sistema lineare AX œ B il sistema lineare omogeneo AX œ 0 che ha la stessa matrice incompleta del sistema dato. Teorema 20.4.2 Sia AX œ B un sistema lineare risolubile in 8 incognite, e sia X! una sua soluzione. Le soluzioni di AX œ B sono tutti e soli gli elementi di ‘8 della forma X! Y con Y soluzione del sistema lineare omogeneo associato. Dimostrazione - Mostriamo in primo luogo che per ogni soluzione Y di AX œ 0 il vettore X! Y è soluzione di AX œ B. Si ha in effetti AÐX! YÑ œ AX! AY œ B 0 œ B ricordando che AX! œ B perché X! è soluzione di AX œ B e AY œ 0 perché Y è soluzione di AX œ 0. _ _ _ Sia ora X una soluzione di AX œ B. Poniamo Y œ X X! (in modo che si abbia X œ X! Y) e mostriamo che Y è soluzione di AX œ 0. Si_ha in effetti _ AY œ AÐX_ X! Ñ œ AX AX! œ B B œ 0 _ ricordando che AX œ AX! œ B perché sia X che X! sono soluzioni di AX œ B. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 142 20.5 - Operazioni elementari sulle equazioni di un sistema. Si dicono operazioni elementari sulle equazioni di un sistema le seguenti: S.1 scambio di due equazioni; S.2 sostituzione di una equazione con quella ottenuta moltiplicandone ambo i membri per un numero reale diverso da zero; S.3 sostituzione di una equazione con quella ottenuta sommandovi (membro a membro) un’altra equazione del sistema moltiplicata membro a membro per un numero reale qualsiasi (eventualmente anche per zero). Due sistemi che si ottengono uno dall’altro mediante operazioni elementari sulle equazioni sono equivalenti (nel senso definito in 20.2). Inoltre, mediante operazioni elementari sulle equazioni ogni sistema lineare può essere trasformato in un sistema di forma assai particolare per il quale risulta molto semplice determinare se esistono soluzioni e calcolarle. Fissiamo una notazione per indicare brevemente le operazioni elementari ora introdotte. Se scambiamo la 3 sima equazione del sistema con la 4 sima, scriveremo E3 Ç E4 . Se sostituiamo alla 3 sima equazione del sistema quella ottenuta moltiplicandone ambo i membri per il numero reale - (diverso da zero), scriveremo E3 ³ -E3 . Se sostituiamo alla 3 sima equazione del sistema quella ottenuta sommandovi membro a membro la 4 sima equazione moltiplicata per il numero reale - , scriveremo E3 ³ E3 -E4 . Facciamo un semplice esempio. Si consideri il sistema Úx y 2z œ 1 Û x 2y 3 z œ 1 Üx y z œ 6 20.5.F1 e si effettuino nell’ordine le seguenti operazioni elementari sulle sue equazioni: ì E# ³ E# E" ; ì E$ ³ E$ E" ; ì E$ ³ E$ E# . Si ottiene così il sistema 20.5.F2 Úx y 2z œ 1 Û yzœ 2 Ü yœ3 che risulta particolarmente facile da risolvere, perché solo nella prima equazione compaiono tutte le incognite: nella seconda equazione compaiono solo la y e la z, e nella terza solo la y. Si può procedere agevolmente “per sostituzione”: “sostituendo” alla y nella seconda equazione il valore 3 ricavato dalla terza si ottiene la 3zœ 2 dalla quale si ha z œ 1; “sostituendo” ancora nella prima equazione alla y il valore 3 e alla z il valore 1, si ottiene la x32œ1 dalla quale si ricava infine x œ 2 . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 143 Oppure si può proseguire mediante operazioni elementari sulle equazioni, ad esempio come segue: ì ì ì ì E$ E# E" E" ³ E$ ; ³ E# E$ ; ³ E" E$ ; ³ E" 2 E# . Si ottiene così il sistema 20.5.F3 Úx œ 2 Û zœ1 Üy œ 3 che ammette evidentemente la sola soluzione Ð2, 3, 1Ñ. C’è da osservare che il procedimento utilizzato per risolvere il sistema 20.5.F1 risulta pesante (ad ogni passaggio si devono trascrivere le equazioni come via via modificate) e, soprattutto, oscuro: come si devono scegliere, e in quale ordine, le operazioni elementari da eseguire? Per ovviare a questi problemi si usa operare sulla matrice completa del sistema anziché sul sistema in quanto tale: ad ogni passaggio si trascrivono così solo gli elementi essenziali (i coefficienti e i termini noti) e, soprattutto, risulta facile descrivere l’algoritmo risolutivo. 20.6 - Operazioni elementari sulle righe di una matrice. Si dicono operazioni elementari sulle righe di una matrice le seguenti: M.1 scambio di due righe; M.2 sostituzione di una riga con quella ottenuta moltiplicandola per un numero reale diverso da zero; M.3 sostituzione di una riga con quella ottenuta sommandovi un’altra riga della matrice moltiplicata per un numero reale (eventualmente anche per zero). Tali operazioni si indicano brevemente con notazione analoga a quella introdotta in 20.5 per le operazioni elementari sulle equazioni di un sistema lineare. Se scambiamo la riga R3 con la riga R4 , scriveremo R3 Ç R4 . Se sostituiamo alla riga R3 il suo prodotto per il numero reale - (diverso da zero), scriveremo R3 ³ -R3 . Se sostituiamo alla riga R3 la sua somma con la riga R4 moltiplicata per il numero reale - , scriveremo R3 ³ R3 -R4 . Sia ` l’insieme delle matrici a elementi in ‘. Se A, B − `, poniamo A µ B se B si ottiene da A mediante un numero finito di operazioni elementari sulle righe, eventualmente aggiungendo o sopprimendo righe nulle. È immediato verificare che la µ è una relazione di equivalenza in `. Due matrici che siano in relazione secondo la µ si dicono semplicemente equivalenti. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 144 Teorema 20.6.1 A matrici equivalenti sono associati sistemi lineari equivalenti. Dimostrazione - Basta osservare che le operazioni elementari sulle righe di una matrice corrispondono alle operazioni elementari sulle equazioni del sistema lineare ad essa associato (e dunque trasformano tale sistema in un sistema equivalente), mentre l’aggiunta e la soppressione di righe nulle non modificano il sistema lineare associato alla matrice. Individuiamo ora a quali matrici sono associati sistemi lineari dalla forma “buona” (cioè sistemi lineari agevolmente risolubili per sostituzione come si è visto per il sistema 20.5.F2). Sia A œ Ð+3ß4 Ñ una matrice 7 ‚ 8. L’elemento +2ß5 si dice un pivot (per A) se +2ß5 Á 0 e +3ß5 œ 0 a3 2 ossia se +2ß5 è diverso da zero e “sotto di lui” tutti gli elementi sono uguali a zero. Una matrice si dice ridotta (per righe) se in ogni sua riga c’è un pivot. Esempio 20.6.2 Le seguenti matrici sono ridotte per righe: Î1 Ð 0 Ð 3 Ï0 2 0 0 0 1 Ñ 2Ó ; Ó 0 7 Ò 3 4 9 1 0 1 0 0 Î2 Ð 0 Ð 0 Ï0 0 1 3 1 0 5 0 0 0 3 2 0 0 Ñ 1Ó . 1 Ó È2 Ò Infatti, detta Ð+3ß4 Ñ la prima matrice, in essa i pivot sono: +"ß# ; +#ß$ ; +$ß" ; +%ß% (oppure +%ß& Ñ. E, detta Ð,3ß4 Ñ la seconda matrice, in essa i pivot sono: ,"ß" ; ,#ß$ ; ,$ß% ; ,%ß# (oppure ,%ß& ) . Le seguenti matrici non sono ridotte per righe: Î1 Ð 0 Ð 0 Ï0 2 7 0 0 3 8 0 0 4 9 3 1 0 1 0 1 0 0 0 1 5Ñ 1 Ó Ó 2 2Ò (perché nella terza riga non c’è pivot) Î1 Ð 0 Ð 0 Ï0 0 0 1 0 0Ñ 1Ó Ó 1 1Ò (perché nella seconda riga non c’è pivot). Teorema 20.6.3 Sia A œ Ð+3ß4 Ñ una matrice 7 ‚ 8 , e sia +2ß5 un elemento non nullo di A. Mediante operazioni elementari del tipo M.3 sulle righe +2"߇ , +2#߇ , á , +7߇ , A può essere trasformata in una matrice per la quale +2ß5 è un pivot. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 145 Dimostrazione - Per ogni numero intero < tale che 2 < Ÿ 7 determiniamo una operazione elementare della forma (æ) +<߇ ³ +<߇ B † +2߇ (con B opportuno numero reale) in seguito alla quale risulti +<ß5 œ 0 . Considerando la 5 -sima componente di ciascuna 8-pla ordinata di numeri reali che compare nella (æ), si trova che deve essere 0 œ +<ß5 B † +2ß5 e quindi +<ß5 B ³ +2ß5 (ricordando che per ipotesi +2ß5 Á 0). Le 7 2 operazioni elementari +<ß5 +<߇ ³ +<߇ +2ß5 † +2߇ (< ³ 2 1, 2 2, á , 7) trasformano pertanto la matrice A in una matrice per la quale +2ß5 è un pivot. Teorema 20.6.4 – Ogni matrice di 8 colonne è equivalente a una matrice A avente la seguente proprietà: – per ogni 4 Ÿ 8, la matrice formata dalle prime 4 colonne di A è nulla oppure può essere ridotta semplicemente sopprimendo le righe nulle. Dimostrazione - Sia A œ Ð+3ß4 Ñ una matrice 7 ‚ 8. Trasformiamo A (mediante operazioni elementari sulle righe) in una matrice con un pivot nella prima riga e nella colonna “più a sinistra possibile”. Se nella prima colonna di A c’è un elemento -" diverso da zero, mediante una operazione elementare del tipo M.1 si può trasformare A in modo che -" compaia nella riga +"߇ , cioè in modo che -" coincida con +"ß" ; e con successive operazioni elementari del tipo M.3 si può ulteriormente trasformare A in modo che +"ß" sia un pivot (teorema 20.6.3). Se invece la prima colonna di A è tutta nulla, si trasforma A in modo che +"ß# (o comunque, se le prime 5 colonne di A sono nulle, +"ß5" ) sia un pivot. Come secondo passo, trasformiamo A (mediante operazioni elementari sulle righe) in una matrice con un pivot nella seconda riga e nella colonna “più a sinistra possibile”. Supponiamo che il pivot ottenuto nella prima riga sia +"ß4 . Se nella (4 1) sima colonna di A (e nelle righe successive alla prima) c’è un elemento -# diverso da zero, mediante una operazione elementare del tipo M.1 si può trasformare A in modo che -# compaia nella riga +#߇ , cioè in modo che - coincida con +#ß4" ; e con successive operazioni elementari del tipo M.3 si può ulteriormente trasformare A in modo che +#ß4" sia un pivot (teorema 20.6.3). Se invece nella (4 1) sima colonna di A tutti gli elementi (tranne al più quello della prima riga) sono nulli, si trasforma A in modo che +#ß4# (o comunque un opportuno +#ß4> con > minimo possibile) sia un pivot. Tutte le operazioni elementari necessarie per ottenere il pivot sulla seconda riga non modificano né le prima riga né le prime 4 colonne. Allo stesso modo si procede per ottenere un pivot nella terza, quarta, á , 7 sima riga, sempre nella colonna – “più a sinistra possibile”. Al termine del procedimento, si ottiene la matrice A , equivalente a quella data, con la proprietà cercata. Teorema 20.6.5 Ogni matrice non nulla è equivalente a una matrice ridotta. Dimostrazione - È conseguenza immediata del teorema 20.6.4 . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 146 20.7 - Rango di una matrice. Teorema di Rouché-Capelli. Sia A una matrice 7 ‚ 8. Si dice rango (o caratteristica) di A la dimensione del sottospazio vettoriale di ‘8 generato dalle righe di A. Osservazione 20.7.1 Sia A una matrice 7 ‚ 8, e sia < il rango di A. Allora < Ÿ 7 e < Ÿ 8. Dimostrazione - Si può ottenere col metodo degli scarti successivi una base per il sottospazio vettoriale di ‘8 generato dalle righe di A : ciò prova che < Ÿ 7 . Inoltre < Ÿ 8 per il teorema 19.8.9. Teorema 20.7.2 Siano A, B matrici equivalenti di 8 colonne. Il sottospazio di ‘8 generato dalle righe di A coincide col sottospazio di ‘8 generato dalle righe di B. In particolare, matrici equivalenti hanno lo stesso rango. Dimostrazione - Per il corollario 19.5.5, ciascuna operazione elementare sulle righe non cambia il sottospazio di ‘8 generato dalle righe; poiché B si ottiene da A mediante un numero finito di operazioni elementari sulle righe, si ha l’asserto. Teorema 20.7.3 Le righe di una matrice ridotta sono linearmente indipendenti. In particolare, il rango di una matrice ridotta coincide col numero delle sue righe. Dimostrazione - Sia A œ Ð+3ß4 Ñ una matrice ridotta 7 ‚ 8, e siano +"߇ , +#߇ , á , +7߇ le sue righe. Procediamo per assurdo. Se +"߇ , +#߇ , á , +7߇ fossero linearmente dipendenti, per il teorema 19.6.8 una di esse sarebbe combinazione lineare delle seguenti; esisterebbero cioè un numero intero positivo < 7 e 7 < numeri reali -<" , -<# , á -7 tali che +<߇ œ -<" +<"߇ -<# +<#߇ á -7 +7߇ . e Poiché A è ridotta, esiste un numero intero positivo 4 Ÿ 8 tale che +3ß4 œ 0 a3 <. +<ß4 Á 0 Si trova così che 0 Á +<ß4 œ -<" +<"ß4 -<# +<#ß4 á -7 +7ß4 œ -<" † 0 -<# † 0 á -7 † 0 œ 0 e questa contraddizione prova l’asserto. Corollario 20.7.4 Sia A una matrice di 8 colonne. Le righe di una matrice ridotta equivalente ad A sono una base per il sottospazio di ‘8 generato dalle righe di A. Dimostrazione - Segue immediatamente dai teoremi 20.7.2 e 20.7.3. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 147 Teorema 20.7.5 (Rouché Capelli) Ú Ý Ý +"ß" x" +"ß# x# á +"ß8 x8 œ ," + x +#ß# x# á +#ß8 x8 œ ,# Û #ß" " Ý Ý. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ü +7ß" x" +7ß# x# á +7ß8 x8 œ ,7 Sia un sistema lineare con matrice incompleta A e matrice completa A* . Tale sistema ha soluzione se e soltanto se la matrice incompleta A e la matrice completa A* hanno lo stesso rango. In tal caso, detto < tale rango, il sistema ha esattamente 8 < incognite libere. Dimostrazione - Per i teoremi 20.6.4, 20.6.1 e 20.7.2, possiamo supporre che la matrice A* sia ridotta e la matrice A possa essere ridotta semplicemente sopprimendo le righe nulle. Supponiamo in primo luogo che il sistema dato abbia soluzione, e dimostriamo che A e A* hanno lo stesso rango. Sia <! il rango di A. In A vi sono esattamente <! righe non nulle, e le corrispondenti <! righe di A* sono anch’esse necessariamente non nulle. Se il rango di A* non fosse <! , vi sarebbe in A* una riga non nulla a cui corrisponde una riga nulla di A, cioè una riga con tutti gli elementi uguali a zero tranne quello dell’ultima colonna uguale a un certo ,! Á 0; ma allora la corrispondente equazione del sistema dato sarebbe 0 œ ,! e dunque il sistema dato sarebbe impossibile, contro l’ipotesi che abbia soluzione. Supponiamo ora che le matrici A e A* abbiano lo stesso rango < (cosicché, avendo supposto A* ridotta, 7 œ <) . Sotto questa ipotesi dimostreremo che il sistema dato ha soluzione; anzi, dimostreremo che esistono 8 < incognite x3" , x3# , á , x38< tali che per ogni Ð!3" , !3# , á , !38< Ñ − ‘8< esiste esattamente una soluzione del sistema per la quale è á, x3" œ !3" , x3# œ !3# , x38< œ !38< , col che il teorema sarà completamente provato. Poiché A è ridotta, in ciascuna delle sue < righe c’è un elemento diverso da zero “sotto al quale” tutti gli elementi sono uguali a zero (il “pivot”) . Siano 4" , 4# , á , 4< le colonne dei pivot, e siano 3" , 3# , á , 38< le rimanenti colonne di A . Posto á, x3" œ !3" , x3# œ !3# , x38< œ !38< nel sistema rimangono soltanto le < incognite x4" , x4# , á , x4< . Poiché A è ridotta, nella < sima equazione del sistema compare la sola incognita x4< ; nella (< 1) sima equazione del sistema compaiono soltanto le incognite x4<" e x4< ; e così via. Il sistema può dunque essere risolto per sostituzioni successive, ottenendo una e una sola soluzione nelle incognite x4" , x4# , á , x4< . 20.8 - Un algoritmo per determinare una base di un sottospazio vettoriale. Sia 8 un numero intero positivo. Supponiamo di conoscere un insieme finito Öv" , v# , á , v8 × di generatori per un sottospazio vettoriale V di ‘8 e di essere interessati a trovare una base per V. Sia A una matrice che ha per righe v" , v# , á , v8 Ð48Ñ, e sia A’ una matrice ridotta per righe equivalente ad A (una tale matrice esiste per il teorema 20.6.5). Per il Corollario 20.7.4, le righe di A’ sono una base per V. Il procedimento sopra descritto si potrebbe applicare a tutti gli spazi vettoriali di dimensione finita, grazie sostanzialmente al teorema 19.9.11. 48 Se v" , v# , á , v8 sono tutti diversi fra loro, quante matrici distinte che hanno per righe v" , v# , á , v8 esistono ? E se alcuni dei v3 sono uguali fra loro ? Si riguardi il capitolo 13. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 148 Esempio 20.8.1 Sia W il sottospazio vettoriale di ‘% generato da Ð1, 0, 2, 1Ñ, Ð2, 1, 3, 1Ñ, Ð2, 2, 2, 0Ñ e Ð3, 2, 4, 1Ñ. Per determinare una base di W si considera la matrice Î1 Ð 2 Ð 2 Ï3 0 1 2 2 2 3 2 4 1Ñ 1Ó Ó 0 1Ò e la si riduce mediante le seguenti operazioni elementari sulle righe R" , R# , R$ : R# ³ R# 2R" ; R% ³ R% R" ; R$ ³ R$ 2R# ; R% ³ R% 2R# ; ottenendo e quindi Î1 Ð 1 Ð 0 Ï0 0 1 0 0 2 1 0 0 1Ñ 0 Ó Ó 0 0 Ò 1 Œ1 0 1 2 1 1 0 cosicché si può concludere che ÖÐ1, 0, 2, 1Ñ, Ð1, 1, 1, 0Ñ× è una base per W . Esercizio 20.8.2 Determinare una base per il sottospazio di ‘% generato da Ð1, 0, 2, 3Ñ, Ð4, 1, 3, 0Ñ, Ð2, 1, 1, 6Ñ, Ð2, 0, 1, 1Ñ, Ð5, 2, 3, 2Ñ. Esercizio 20.8.3 Determinare una base per il sottospazio di ‘ÒxÓ generato da x$ x# 1, 2x% x# x, x% 2x$ 1, 3x% 3x$ 4x# x 2. 20.9 - Esercizi sui sistemi lineari. Esercizio 20.9.1 Risolvere il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z : Ú 2x y z œ 1 Û 2x 2z œ 1 Ü 2x 3y z œ 0 Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 149 Soluzione - Consideriamo la matrice completa del sistema e riduciamola per righe: Î2 2 Ï2 1 0 3 1 2 1 1Ñ 1 0Ò Î 2 2 Ï 4 1 0 0 1 2 4 1 Ñ 1 3Ò Î2 2 Ï0 1 0 0 1 2 0 R$ ³ R$ 3R" R$ ³ R$ 2R# 1 Ñ 1 1Ò Dunque, la matrice incompleta ha rango 2, quella completa ha rango 3: per il teorema di Rouché Capelli, il sistema non ha soluzioni. Esercizio 20.9.2 Risolvere il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z, t : Ú Ý Ýx y z t œ 1 x y z 2t œ 1 Û Ý Ý 3x y 3z t œ 1 Ü 3x 2y 3z 3t œ 1 Soluzione - Consideriamo la matrice completa del sistema e riduciamola per righe: R# R$ R$ R% ³ R# R" ; ³ R$ R" ; ³ "# R$ ; ³ R% 2R" ; Î1 Ð 1 Ð 3 Ï3 1 1 1 2 1 1 3 3 1 2 1 3 1Ñ 1 Ó Ó 1 1 Ò Î1 Ð 0 Ð 1 Ï1 1 0 0 0 1 0 1 1 1 1 0 1 1Ñ 2 Ó Ó 1 Ò 3 Î1 Ð 0 Ð 1 Ï1 1 0 0 0 1 0 1 1 1 1 0 0 1Ñ 2 Ó Ó 1 1 Ò R% ³ R% R# ; Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 150 R% ³ R% R$ ; Î1 Ð 0 Ð 1 Ï0 1 0 0 0 1 0 1 0 1 1 0 0 1Ñ 2 Ó Ó 1 0 Ò Î1 0 Ï1 1 0 0 1 0 1 1 1 0 1Ñ 2 1 Ò e infine Matrice incompleta e matrice completa hanno lo stesso rango, cioè 3; per il teorema di Rouché-Capelli, poiché il numero delle incognite è 4, il sistema dato ha infinite soluzioni dipendenti da un parametro. Come parametro può essere scelta una qualsiasi delle incognite purché la matrice incompleta del sistema, omettendo la colonna corrispondente a tale incognita, continui ad avere rango 3; la scelta più immediata nel nostro caso è la x : infatti, omettendo la prima colonna, la matrice incompleta è ancora ridotta per righe ed ha ancora rango 3. Si potrebbe anche assumere come parametro la z. Non si potrebbe invece assumere come parametro né la y né la t. Assumendo come parametro la x, si ottiene il sistema Úy z t œ 1 x Û tœ2 Üz œ 1 x che si risolve facilmente per sostituzione (sostituendo nella prima equazione a t e z i valori ricavati dalla seconda e dalla terza). Si ottiene Úy œ 4 Û zœ1x Üt œ 2 e dunque la soluzione generale è Ðx, 4, 1 x, 2Ñ o, se si preferisce, Ð0, 4, 1, 2Ñ xÐ1, 0, 1, 0Ñ. Esercizio 20.9.3 Risolvere il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z : Úx y z œ 0 Û xyzœ0 Üx y z œ 0 Soluzione - Si tratta di un sistema lineare omogeneo; esiste sicuramente almeno una soluzione, la cosiddetta “soluzione banale” Ð0, 0, 0Ñ. Per il teorema di Rouché Capelli, ci sono altre soluzioni se e solo se il rango della matrice incompleta è minore di 3. Consideriamo dunque la matrice incompleta del sistema e riduciamola per righe: Î1 1 Ï1 1 1 1 1 Ñ 1 1Ò Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 151 R# ³ R# R" R$ ³ R$ R" R$ ³ R$ R# Î1 0 Ï0 1 0 2 1 Ñ 2 2Ò Î1 0 Ï0 1 0 2 1 Ñ 2 0 Ò La matrice incompleta ha dunque rango uguale al numero delle incognite, e il sistema ha quindi la sola soluzione Ð0, 0, 0Ñ. Esercizio 20.9.4 Risolvere il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z : Ú 2x 5y 8z œ 8 Ý Ý Ý Ý 4x 3y 9z œ 9 Û 2x 3y 5z œ 7 Ý Ý Ý Ý x 8y 7z œ 12 Ü 3x 3y 5z œ 2 Soluzione - Consideriamo la matrice completa del sistema e riduciamola per righe: R# R# R$ R% R& ³ R# 2R" ; ³ "( R# ; ³ R$ R" ; ³ 2R% R" ; ³ 2R& 3R" ; Î2 Ð 4 Ð Ð 2 Ð 1 Ï3 Î2 Ð 0 Ð Ð 0 Ð 0 Ï0 5 3 3 8 3 8 9 5 7 5 8 Ñ 9 Ó Ó 7 Ó Ó 12 2Ò 5 1 2 11 21 8 1 3 6 14 8 Ñ 1 Ó Ó 1 Ó Ó 16 28 Ò 5 1 0 0 0 8 1 1 5 7 8 Ñ 1Ó Ó 1 Ó Ó 5 7Ò R$ ³ R$ 2R# ; R% ³ R% 11R# ; R& ³ R& 21R# ; Î2 Ð 0 Ð Ð 0 Ð 0 Ï0 Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 152 R% ³ R% 5R$ ; R& ³ R& 7R$ ; Î2 Ð 0 Ð Ð 0 Ð 0 Ï0 5 1 0 0 0 8 1 1 0 0 8 Ñ 1Ó Ó 1 Ó Ó 0 0 Ò Î2 0 Ï0 5 1 0 8 1 1 8 Ñ 1 1 Ò e infine Matrice incompleta e matrice completa hanno lo stesso rango, cioè 3; per il teorema di Rouché-Capelli, poiché anche il numero delle incognite è 3, il sistema dato ha esattamente una soluzione. Alla matrice ridotta ottenuta resta associato il sistema Ú 2x 5y 8z œ 8 Û yzœ 1 Üz œ 1 che si risolve facilmente per sostituzione. Si ottiene Úx œ 3 Û yœ2 Üz œ 1 e dunque la soluzione del sistema dato è Ð3, 2, 1Ñ. Esercizio 20.9.5 Si risolva il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z : Úx y z œ 1 Û x y 2z œ 1 Ü2x 2y 3z œ 2 Esercizio 20.9.6 Si risolva il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z : Ú x y 2z œ 1 Ý Ý Ý Ýx z œ 2 Û 2x y z œ 0 Ý Ý Ý Ýx y 2z œ 2 Ü3x y 4z œ 5 Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 153 Esercizio 20.9.7 Si risolva il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z, t : Ú Ý Ýx y z t œ 3 2x y z t œ 3 Û Ý Ýx y 2z 2t œ 1 Üx 4y z t œ 2 Esercizio 20.9.8 Si risolva il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z, t : Ú x 2y z t œ 3 Ý Ý Ý Ýx y z 2t œ 1 Û 2x y 2z œ 0 Ý Ý Ý Ý2y 2z t œ 2 Üx 3y 3z t œ 3 Esercizio 20.9.9 Si risolva il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z : Ú2x y z œ 0 Û 3x 2y 2z œ 0 Üx y z œ 0 Esercizio 20.9.10 Si risolva il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z : Úx y 2z œ 0 Û x 2y z œ 0 Üx y 2z œ 0 Esercizio 20.9.11 Si risolva il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z, t, w : Úx y 2z t w œ 1 Û 2x y z t œ 1 Ü3y 5z 3t 2w œ 0 Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 154 Esercizio 20.9.12 Si risolva il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z, t : Ú Ý Ý2x 2y z 2t œ 0 x y 2z t œ 0 Û Ý Ý3x 3y 3t œ 0 Üx y z t œ 0 Esercizio 20.9.13 Si risolva il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z, t : Ú Ý Ýx y z t œ 1 2x y z t œ 0 Û Ý Ýx 2y 2z 2t œ 1 Ü3y 3z 3t œ 2 Esercizio 20.9.14 Si risolva il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z, t, w : Úx 2y t w œ 0 Û 2x y z t w œ 0 Ü5x 2z 3t 3w œ 0 Esercizio 20.9.15 Si risolva il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z, t : Ú x 2y z t œ 0 Ý Ý Ý Ý2x y 2z œ 0 Û xztœ0 Ý Ý Ý Ý3x y 3z t œ 0 Üx y z t œ 0 Esercizio 20.9.16 Risolvere il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z, t : Ú Ý Ý 3x 4y z 2t œ 3 6x 8y 2z 5t œ 7 Û Ý Ý 9x 12y 3z 10t œ 13 Ü 12x 16y 4z 12t œ 16 Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 155 20.10 - Esercizi sui sistemi lineari dipendenti da un parametro. Esercizio 20.10.1 Si stabilisca per quali valori del parametro reale 5 il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z è risolubile (specificando il numero delle incognite libere) e per quali è invece impossibile : Úx 3y 5z œ 1 Û yzœ5 Ü5x 6y 2z œ 2 Soluzione - Consideriamo la matrice completa del sistema e riduciamola per righe: Î1 0 Ï5 R$ ³ R$ 5 R" R$ ³ R$ 3Ð2 5ÑR# Î1 0 Ï0 Î1 0 Ï0 3 1 0 3 1 6 3 1 35 6 5 1 2 5 1 2 5# 5 1 Ð1 5ÑÐ5 4Ñ 1 Ñ 5 2Ò 1 Ñ 5 25Ò 1 Ñ 5 Ð1 5ÑÐ35 2Ñ Ò Per 5 Á 1, 4 la matrice incompleta e quella completa sono ridotte e hanno rango 3, uguale al numero delle incognite: il sistema ha esattamente una soluzione. Per 5 œ 1, la matrice incompleta e quella completa si riducono sopprimendo la terza riga e hanno rango 2 : il sistema ha infinite soluzioni, dipendenti da una incognita libera (qualunque incognita può essere assunta come incognita libera). Per 5 œ 4, la matrice incompleta si riduce sopprimendo la terza riga e ha rango 2, mentre la matrice completa è ridotta e ha rango 3 : il sistema è impossibile. Esercizio 20.10.2 Si stabilisca per quali valori del parametro reale 5 il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z è risolubile (specificando il numero delle incognite libere) e per quali è invece impossibile : Úx y 2z œ 5 Û 4x 5y 5z œ 2 Ü5x 5y 4z œ 4 Soluzione - Consideriamo la matrice completa del sistema e riduciamola per righe: Î1 4 Ï5 1 5 5 2 5 4 5Ñ 2 4Ò Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 156 R# ³ R# 4R" R$ ³ R$ 5 R" Î1 0 Ï0 1 54 0 2 58 2Ð2 5Ñ 5 Ñ 2 45 Ð2 5ÑÐ2 5Ñ Ò Per 5 Á 4, 2 la matrice incompleta e quella completa sono ridotte e hanno rango 3, uguale al numero delle incognite: il sistema ha esattamente una soluzione. Per 5 œ 2, la matrice incompleta e quella completa si riducono sopprimendo la terza riga e hanno rango 2: il sistema ha infinite soluzioni, dipendenti da una incognita libera (qualunque incognita può essere assunta come incognita libera). Per 5 œ 4, la matrice diventa Î1 0 Ï0 1 0 0 2 12 12 4 Ñ 18 12 Ò e per completare la riduzione si deve porre R$ ³ R$ R# . Si ottiene Î1 0 Ï0 1 0 0 2 12 0 4Ñ 18 6 Ò e dunque per 5 œ 4 il sistema è impossibile. Esercizio 20.10.3 Si stabilisca per quali valori del parametro reale 5 il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z è risolubile (specificando il numero delle incognite libere) e per quali è invece impossibile : Ú Ý Ý x y Ð5 3Ñ z œ 5 3 x Ð5 5Ñ y 7 z œ 2 Û Ð5 Ý Ý 2Ñ x 6 y 6 z œ 1 Ü 5 x 5 y Ð5 4Ñz œ 5 4 Esercizio 20.10.4 Si stabilisca per quali valori del parametro reale 5 il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z è risolubile (specificando il numero delle incognite libere) e per quali è invece impossibile : Ú Ý Ý2y z œ 1 xy5z œ 0 Û Ý Ýx 3y œ 2 Üx 5y 2z œ 1 Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 157 Esercizio 20.10.5 Si stabilisca per quali valori del parametro reale 5 il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z, t è risolubile (specificando il numero delle incognite libere) e per quali è invece impossibile : Ú Ý Ýx 2y 5z t œ 0 x5yt œ 0 Û 5 Ý Ý x Ð2 35Ñ y 5 t œ 0 Ü Ð5 1Ñ x 4 y 2 z 4 t œ 0 Esercizio 20.10.6 Si stabilisca per quali valori del parametro reale 5 il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z, t è risolubile (specificando il numero delle incognite libere) e per quali è invece impossibile : Ú Ý Ýx y z 5t œ 1 5 x 5 y 5 z 25 t œ 1 Û Ý Ý Ð5 1Ñ x y Ð3 5Ñ t œ 0 Ü Ð25 1Ñ x Ð5 1Ñ y Ð25 1Ñ z 35 t œ 5 Esercizio 20.10.7 Si stabilisca per quali valori del parametro reale 5 il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z è risolubile (specificando il numero delle incognite libere) e per quali è invece impossibile : Ú 55 x 5 y 25 z œ 12 Û 5xz œ 0 Ü 6 x 5 y 5 z œ 12 Esercizio 20.10.8 Si stabilisca per quali valori del parametro reale 5 il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z è risolubile (specificando il numero delle incognite libere) e per quali è invece impossibile : Úx 5z œ 0 Û x 2y z œ 0 Ü5y z œ 0 Esercizio 20.10.9 Si dica per quali valori del parametro reale 5 il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z ha soluzione, specificando al variare di 5 il numero delle eventuali incognite libere : Ú Ý Ý x (5 1) z œ 25 5 y 25 z œ 1 Û Ý Ýx 5z œ 5 4 Ü x 5 y 3 z œ 35 3 Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 158 Esercizio 20.10.10 Si dica per quali valori del parametro reale 5 il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z ha soluzione, specificando al variare di 5 il numero delle eventuali incognite libere : Ú Ý Ý5x 5y œ 1 (25 1) x 5 y z œ 2 Û Ý Ý (5 1) x 25 y (5 1) z œ 25 4 Ü (35 1) x 25 y z œ 3 Esercizio 20.10.11 Si dica per quali valori del parametro reale 5 il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z ha soluzione, specificando al variare di 5 il numero delle eventuali incognite libere : Ú Ý Ý 5 x y (5 2) z œ 5 2 2x y 5z œ 3 Û Ý Ýx y z œ 3 Ü (2 5 ) x 2 y+2 z œ 7 5 Esercizio 20.10.12 Si dica per quali valori del parametro reale k il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z, t ha soluzione, specificando al variare di k il numero delle eventuali incognite libere : Ú 5x 2y t œ 1 Ý Ý Ý Ý yztœ5 Û 3 z (5 2) t œ 25 Ý Ý Ý Ýyz5t œ 1 Ü5x 2y z œ 5 Esercizio 20.10.13 Si dica per quali valori del parametro reale k il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z ha soluzione, specificando al variare di k il numero delle eventuali incognite libere : Ú Ý Ý 25 x 2 y Ð5 1Ñ z œ 5 9 5 x y 3 z œ 6 55 Û Ý Ý x 5 y Ð5 2Ñ z œ 3 Ü 5 x y Ð5 4Ñ z œ 65 3 Esercizio 20.10.14 Si dica per quali valori del parametro reale k il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z, t ha soluzione, specificando al variare di k il numero delle eventuali incognite libere : Ú Ý Ý 3 x Ð5 1Ñ y 5 z Ð1 2 5Ñ t œ 5 3 Ð5 4Ñ x Ð5 1Ñ y Ð5 2Ñ t œ 2 5 3 Û Ý Ý 5 x Ð5 2Ñ t œ 4 5 6 Ü Ð5 1Ñ x Ð2 5Ñ t œ 3 5 Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 159 Esercizio 20.10.15 Si dica per quali valori del parametro reale k il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z, t, w ha soluzione, specificando al variare di k le eventuali incognite libere : Ú x5yw œ 0 Ý Ý Ý Ý 2 x 25 y 5 t 2 w œ 5 Û 3 x 35 y 2 z t 3 w œ 1 Ý Ý Ý Ý Ð5 1Ñ x 5 y z w œ 1 Ü 5 x 55 y z 3 t 5 w œ 3 Esercizio 20.10.16 Si dica per quali valori del parametro reale 5 il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z ha soluzioni, specificando al variare di 5 il numero delle eventuali incognite libere : Ú Ý Ý x 4 y œ 6# 5 4x y 5 z œ 5 3 Û Ý Ý 3 x 2 y 6 #z œ 1 Ü5x 5y 5 z œ 3 Esercizio 20.10.17 Si dica per quali valori del parametro reale k il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z, t ha soluzione, specificando al variare di k il numero delle eventuali incognite libere : Ú x y 3z 5t œ 5 2 Ý Ý Ý Ý2x 5y 2z t œ 0 Û 2 x (1 5 ) y 2 z t œ 1 Ý Ý y 4z 2t œ 1 Ý Ý Ü x y 3 z 52 t œ 1 Esercizio 20.10.18 Si dica per quali valori del parametro reale k il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z ha soluzione, specificando al variare di k il numero delle eventuali incognite libere : Ú Ý Ýx y 5z œ 5 5xyz œ 0 Û Ý Ýx y 5z œ 5 Ü x y 35 z œ 5 Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 160 Esercizio 20.10.19 Si dica per quali valori del parametro reale k il seguente sistema lineare nelle incognite x, y, z, t ha soluzione, specificando al variare di k il numero delle eventuali incognite libere : Ú x y (5 1) z (5 4) t œ 0 Ý Ý Ý Ýx y 3z œ 0 Û (5 1) x (5 1) y (5 4) z 3 t œ 0 Ý Ý Ý Ý 2 x (5 2) z (5 4) t œ 0 Ü 5 x 5 y (5 1) z œ 0 Esercizio 20.10.20 Si stabilisca per quali valori del parametro reale 5 il vettore Ð1, 2, 5Ñ appartiene al sottospazio vettoriale di ‘$ generato da v ³ Ð1, 0, 3Ñ e w ³ Ð2, 5 , 1Ñ. Per tali valori, si esprima Ð1, 2, 5Ñ come combinazione lineare di v e w ; tale espressione è unica ? Esercizio 20.10.21 Ove possibile, si esprima al variare del parametro reale 5 il vettore A5 come combinazione lineare dei vettori B5 , C5 e D5 , per: A5 ³ Ð6, 12, $# 5Ñ, B5 ³ Ð35 , 1, 5Ñ, C5 ³ Ð12, 5 , 4Ñ, D5 ³ Ð3, "# , 5# Ñ ; A5 ³ Ð4, 0, 4Ñ, B5 ³ Ð1, 5 , 2Ñ, C5 ³ Ð0, 5 , 1Ñ, D5 ³ Ð5 , 2, 5Ñ ; A5 ³ Ð1, 3, 2Ñ, B5 ³ Ð5 , 2, 1Ñ, C5 ³ Ð25 , 1, 3Ñ, D5 ³ Ð5 , 1, 2Ñ . Esercizio 20.10.22 Nello spazio vettoriale ‘4 delle 4 ple ordinate di numeri reali, sono dati in dipendenza del parametro reale 5 v" : œ Ð1, 0, 1, 1Ñ ; v# (5 ) : œ Ð0, 1, 1, 5Ñ ; v$ (5 ) : œ Ð5 2 , 5 , 0, 0Ñ ; v% (5 ) : œ Ð2 5 , 5 , 0, 5Ñ . Si dica, motivando la risposta, per quali valori di 5 i vettori v" , v# (5 ), v$ (5 ) e v% (5 ) sono linearmente dipendenti. Esercizio 20.10.23 Nello spazio vettoriale ‘% delle quaterne ordinate di numeri reali, sono dati in dipendenza del parametro reale 2 v" : œ Ð1, 1, 5 2, 2Ñ ; v# : œ Ð1, 1, 3 2 , 0Ñ ; v$ : œ Ð3 2 , 3, 2 , 6 2Ñ ; v : œ Ð2, 0, 3, 2Ñ . Si dica, motivando la risposta, per quali valori di 2 v appartiene al sottospazio vettoriale di ‘% generato da v" , v# e v$ (ossia, per quali valori di 2 v è combinazione lineare di v" , v# e v$ ) . Esercizio 20.10.24 Nello spazio vettoriale i dei polinomi a coefficienti reali nella indeterminata x, sono dati aÐxÑ ³ x% x# x 1 ; bÐxÑ ³ x$ x ; cÐxÑ ³ x% 1 ; e, in dipendenza del parametro reale 5 , d5 ÐxÑ ³ x% x$ x# Ð5 1Ñ . Si dica, motivando la risposta, per quali valori di 5 i polinomi aÐxÑ, bÐxÑ, cÐxÑ e d5 ÐxÑ sono linearmente dipendenti. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 161 Esercizio 20.10.25 Si dica, motivando la risposta, per quali valori del parametro reale k i seguenti elementi dello spazio vettoriale ‘& risultano linearmente dipendenti e per quali valori invece risultano linearmente indipendenti : v" (5 ) ³ (1, 1, 5 1, 2, 5 ) ; v# (5 ) ³ (1, 1, 5 1, 0, 5 ) ; v$ (5 ) ³ (5 1, 3, 5 4, 5 2, 5 1) ; v% (5 ) ³ (5 4, 0, 3, 5 4, 0) . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 162 21.- FUNZIONI IR Ä IR 21.1 - Generalità. L’insieme delle funzioni ‘ Ä ‘ si indica con ‘‘ . Abbiamo già osservato (19.1.6) che si possono definire in ‘‘ un’operazione binaria interna, detta somma, e un prodotto per scalari rispetto ai quali l’insieme di tutte le funzioni ‘ Ä ‘ aventi un assegnato dominio A è uno spazio vettoriale che indichiamo con Y ÐAÑ; inoltre la composizione definita in 4.7 è un’operazione interna in ‘‘ . Analogamente a quanto si è fatto in 19.1.6 per la somma, è possibile definire in ‘‘ prodotto, quoziente ed elevamento a potenza di funzioni: precisamente, se f, g − ‘‘ , si pone ÐfgÑÐxÑ ³ fÐxÑgÐxÑ ; Š gf ‹ÐxÑ ³ fÐxÑ gÐxÑ ; af g bÐxÑ ³ fÐxÑgÐxÑ . Si noti che il prodotto di una funzione per uno scalare, definito in 19.1.6, risulta un caso particolare del prodotto di due funzioni. È interessante (e importante!) mettere in relazione col dominio di f e g quello delle varie funzioni definite a partire da esse come si è appena accennato; precisamente, si ha WÐf gÑ œ WÐfgÑ = WÐfÑ WÐgÑ ; WŠ gf ‹ œ WÐfÑ Öx − WÐgÑ / gÐxÑ Á 0×; Waf 1 b œ WÐgÑ Öx − WÐfÑ / fÐxÑ 0×; WÐf ‰ gÑ œ Öx − WÐgÑ / gÐxÑ − WÐfÑ×. Le funzioni ‘ Ä ‘ che considereremo saranno quasi esclusivamente ottenute mediante somma, prodotto, quoziente, elevamento a potenza, composizione a partire dalle seguenti funzioni (dette funzioni elementari) che supponiamo note (generalmente dagli studi effettuati nella scuola secondaria superiore) : Ð3Ñ le funzioni polinomiali (associate ai polinomi (49) a coefficienti reali nell’indeterminata x) ; a questa famiglia appartengono in particolare la funzione identità id‘ (cfr. 4.4.3) e le funzioni costanti. Ð33Ñ le funzioni trigonometriche (sinÐxÑ, cosÐxÑ, tgÐxÑ) e le loro inverse (arcsinÐxÑ, arccosÐxÑ, arctgÐxÑ) ; Ð333Ñ per ogni + − ‘ , la funzione potenza x+ di esponente +, la funzione esponenziale exp+ ÐxÑ (che indicheremo anche con +x ) e (se + Á 1) la funzione logaritmica log+ ÐxÑ in base + (cfr. 10.5) ; Ð3@Ñ la funzione “valore assoluto” ( kxk , definita in 10.1, per la quale si veda anche la sez. 21.2) . Occasionalmente sarà utile prendere in considerazione anche funzioni che non rientrano nelle famiglie sopra considerate; ad esempio la funzione “parte intera” (ÒxÓ , che associa al numero reale B il più grande numero intero non superiore a B) , la funzione “segno” (sgnÐxÑ, che assume valore 1 se B 0, assume valore 0 se B œ 0, e assume valore 1 se B 0) , la “funzione di Dirichlet” (DirÐxÑ, che assume valore 1 se B è razionale, e assume valore 1 se B è irrazionale) ed altre simili a quest’ultima (cfr. Esempio 22.1.5 ed Esempio 24.4.3). 49 Nel seguito utilizzeremo la stessa notazione sia per indicare un polinomio a coefficienti reali nell' indeterminata x sia per indicare la funzione polinomiale ad esso associata: ciò non darà mai luogo ad equivoci. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 163 Particolare rilevanza avrà nel seguito la nozione di “intervallo” introdotta in 5.3 . Si noti che lo stesso insieme ‘ si considera un intervallo (aperto, illimitato a sinistra e a destra) e che un intervallo non può, per definizione, consistere di un solo elemento. Per un intervallo limitato si introduce la nozione di ampiezza : se l’intervallo ha estremi + e , , la sua ampiezza è per definizione il numero reale k, +k . Esercizio 21.1.1 Calcolare: Ò #$ Ó ; Ò1Ó ; Ò $ % Ó ; ÒÈ2Ó ; Ò È3Ó ; Ò1Ó ; Ò0Ó ; Ò 7Ó . Esercizio 21.1.2 Determinare il dominio delle seguenti funzioni: f" ÐxÑ ³ Èlog# ÐxÑ ; f# ÐxÑ ³ log$ (log& ÐxÑ 1Ñ ; f $ Ðx Ñ ³ x 1 x 2 . Esercizio 21.1.3 Dimostrare che le funzioni Èx# e kxk sono la stessa funzione (cfr. la nota 14 a pag. 46 del Vol. 1). Esercizio 21.1.4 Dire, motivando la risposta, se sono la stessa funzione oppure no. f " Ðx Ñ ³ È x # e f# ÐxÑ ³ ÐÈx Ñ# e f# ÐxÑ ³ log# Ð2x ) Esercizio 21.1.5 Dire, motivando la risposta, se f" ÐxÑ ³ 2log# ÐxÑ sono la stessa funzione oppure no. 21.2 - Osservazioni sulla funzione “valore assoluto”. Teorema 21.2.1 Se B, C − ‘, si ha kBk Ÿ C Í C Ÿ B Ÿ C. Dimostrazione - Sia kBk Ÿ C ; allora C 0 , e C Ÿ 0 . Se B 0 , è certamente B C ; inoltre, kBk œ B e dunque B Ÿ C . Se invece B 0 , è certamente B C ; inoltre, kBk œ B e dunque B Ÿ C , da cui (teorema 9.4.7 Ð3Ñ) C Ÿ B. Viceversa, sia C Ÿ B Ÿ C . Se B 0 , è B œ kBk e dunque la B Ÿ C equivale alla kBk Ÿ C . Se invece B 0 , è B œ kBk e dunque la C Ÿ B equivale alla C Ÿ kBk ossia (teorema 9.4.7 Ð3Ñ) alla kBk Ÿ C . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 164 Corollario 21.2.2 Se B" , B# , C − ‘, si ha kB" B# k Ÿ C Teorema 21.2.3 Se !, " − ‘, si ha Í B# C Ÿ B " Ÿ B # C . k! " k Ÿ k!k k" k . Dimostrazione - Poiché k!k Ÿ k!k , per il teorema 21.2.1 (B ³ !, C ³ k!k ) si ha k!k Ÿ ! Ÿ k!k . Analogamente, k" k Ÿ " Ÿ k" k . Utilizzando la 9.4.CO1 se ne deduce che k!k k" k Ÿ ! " Ÿ k!k k" k ossia Ð k!k k" k Ñ Ÿ ! " Ÿ k!k k" k da cui l’asserto per il teorema 21.2.1 (B ³ ! " , C ³ k!k k" k ). Teorema 21.2.4 Se !, " − ‘, si ha k! † " k œ |!| † k" k. Dimostrazione - Si tratta di una verifica immediata, per la quale è opportuno distinguere quattro casi: ! 0, " 0 ; ! 0, " 0 ; ! 0, " 0 ; ! 0, " 0 . 21.3 - Grafico di una funzione ‘ Ä ‘. Sia f : ‘ Ä ‘ una funzione. Fissato nel piano un SdR cartesiano (ortogonale, monometrico) Oxy, si dice grafico di f l’insieme dei punti del piano le cui coordinate B, C verificano la condizione C œ fÐBÑ. Con la notazione di 15.1, possiamo anche dire che il grafico di f è il luogo geometrico rappresentato dall’equazione C fÐBÑ œ 0. 21.4 - Funzioni pari, funzioni dispari, funzioni periodiche. Sia f : ‘ Ä ‘ una funzione. Si dice che f è pari se per ogni B − WÐfÑ è B − WÐfÑ e inoltre fÐ BÑ œ fÐBÑ. Si dice che f è dispari se per ogni B − WÐfÑ è B − WÐfÑ e inoltre fÐ BÑ œ fÐBÑ. Se f è pari o dispari, il comportamento di f in Ò0, _Ñ può facilmente essere dedotto da quello in Ð _, 0Ó (e viceversa). In particolare, per l’osservazione 15.2.3, il grafico di una funzione pari è simmetrico rispetto all’asse delle ordinate, quello di una funzione dispari è simmetrico rispetto all’origine. Esercizio [*] 21.4.1 Determinare tutte le funzioni ‘ Ä ‘ con WÐfÑ œ ‘ il cui grafico è simmetrico rispetto all’asse delle ascisse. Esempio 21.4.2 Sono funzioni pari: la fÐxÑ ³ kxk , la fÐxÑ ³ cosÐxÑ e tutte le funzioni polinomiali nella cui espressione x compare solo con esponente pari (es.: fÐxÑ ³ x# , fÐxÑ ³ x% , fÐxÑ ³ 3x"' 2x# 3Ñ. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 165 Esempio 21.4.3 Sono funzioni dispari: la fÐxÑ ³ sinÐxÑ, la fÐxÑ ³ tgÐxÑ e tutte le funzioni polinomiali nella cui espressione x compare solo con esponente dispari (es.: fÐxÑ ³ x, fÐxÑ ³ x$ , fÐxÑ ³ 3x"$ 2x& 3x ; si noti che in particolare il termine noto deve essere uguale a zeroÑ. Esercizio 21.4.4 Si stabilisca se la funzione è pari, dispari oppure né pari né dispari. x¸ fÐxÑ ³ log# ¸ 11 x Sia f : ‘ Ä ‘ una funzione, e sia 5 un numero reale positivo. Si dice che f è periodica di periodo 5 se per ogni B − WÐfÑ è B 5 − WÐfÑ e inoltre fÐB 5Ñ œ fÐBÑ. Se f è periodica di periodo 5 , il comportamento di f su tutto ‘ può facilmente essere dedotto dal comportamento in un qualsiasi intervallo di ampiezza almeno 5 . In particolare, il grafico di f si ottiene “ricopiando” infinite volte il grafico della sua restrizione a un qualsiasi intervallo di ampiezza 5 . Una funzione ‘ Ä ‘ si dice periodica se esiste 5 − ‘ tale che f è periodica di periodo 5 . Si noti che, se f è periodica di periodo 5 , per definizione f è periodica di periodo 85 per ogni 8 − ™ ; generalmente si considera (quando esiste) il min Ö5 − ‘ / f è periodica di periodo 5×. Esercizio [*] 21.4.5 Si dia un esempio di funzione f periodica per la quale non esiste il min Ö5 − ‘ / f è periodica di periodo 5×. Esempio 21.4.6 Sono funzioni periodiche: la fÐxÑ ³ sinÐxÑ (di periodo 21 ), la fÐxÑ ³ cosÐxÑ (di periodo 21 ), la fÐxÑ ³ tgÐxÑ (di periodo 1) e tutte le funzioni costanti. 21.5 - Estremi. Sia f una funzione ‘ Ä ‘. Si dice che f è superiormente limitata se l’immagine di f (cfr. 4.3) è superiormente limitata (cfr. 5.6), cioè se esiste un numero reale - tale che f(B) Ÿ - aB − WÐfÑ . Se f è superiormente limitata, l’estremo superiore (cfr. 5.7) dell’immagine di f si dice estremo superiore di f. Si dice che f è inferiormente limitata se l’immagine di f è inferiormente limitata (cfr. 5.6), cioè se esiste un numero reale - tale che f(B) - aB − WÐfÑ . Se f è inferiormente limitata, l’estremo inferiore (cfr. 5.8) dell’immagine di f si dice estremo inferiore di f. Si dice che f è limitata se f è superiormente limitata ed inferiormente limitata, cioè se esistono due numeri reali +, , tali che l’immagine di f è contenuta nell’intervallo Ò+, ,Ó ; o, equivalentemente, se esiste un numero reale - tale che kf(B)k Ÿ - aB − WÐfÑ . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 166 Si dice che f ha massimo se l’immagine di f ha massimo (cfr. 5.5) ; il massimo dell’immagine di f si dice massimo di f. Se f ha massimo Q , si dice punto di massimo per f ogni B − WÐfÑ per il quale si abbia fÐBÑ œ Q . Si dice che f ha minimo se l’immagine di f ha minimo (cfr. 5.5) ; il minimo dell’immagine di f si dice minimo di f. Se f ha minimo 7, si dice punto di minimo per f ogni B − WÐfÑ per il quale si abbia fÐBÑ œ 7. Sia I § WÐfÑ. Si dice che f è limitata in I, che f ha massimo in I, che f ha minimo in I se la restrizione di f a I (cfr. 4.5) rispettivamente è limitata, ha massimo, ha minimo. Se esistono, l’estremo superiore, l’estremo inferiore, il massimo e il minimo della restrizione di f ad I si dicono rispettivamente estremo superiore di f in I, estremo inferiore di f in I, massimo di f in I e minimo di f in I ; gli eventuali punti di massimo e minimo per la restrizione di f a I si dicono rispettivamente punti di massimo per f in I e punti di minimo per f in I . Teorema 21.5.1 Sia f una funzione ‘ Ä ‘ , e siano A , B sottoinsiemi di WÐfÑ . Se f è superiormente limitata Òinferiormente limitata, limitataÓ in A e in B , è superiormente limitata Òinferiormente limitata, limitataÓ anche in A B . Dimostrazione - Proviamo l’asserto per f superiormente limitata in A e B , lasciando come banale esercizio gli altri due casi. Supponiamo che f sia superiormente limitata in A e B . Ciò significa che esistono due numeri reali -" , -# tali che f(B) Ÿ -" aB − A e f(B) Ÿ -# aB − B . Posto - ³ max Ö-" , -# × , si ha f(B) Ÿ - aB − A B cioè l’asserto. 21.6 - Intorni. Punti di accumulazione. Sia e l’insieme dei punti della retta. Sappiamo (teorema 10.2.1) che, fissati in e due punti O (origine) e U (punto unità), esiste una corrispondenza biunivoca f tra e e ‘ per la quale fÐO) œ 0, fÐUÑ œ 1 e, comunque presi P" , P# − e, il segmento P" P# ha misura |fÐP" Ñ fÐP# Ñ| rispetto all’unità di misura OU. Con abuso di linguaggio ormai comune, si usa identificare ciascun numero reale col punto della retta che gli corrisponde mediante f : in tale contesto, gli elementi di ‘ sono detti punti; inoltre, se !, " − ‘ il numero reale k! " k si dice distanza tra ! e " . Sia B! − ‘. Si dice intorno di B! un intervallo aperto (cfr. 5.3) al quale B! appartenga. Si dice intorno di x! individuato da $ (o anche intorno di centro B! e raggio $ ) l’intervallo aperto ÐB! $ , B! $ Ñ ; è chiaro che si tratta di un particolare intorno di B! . Esempio 21.6.1 Ð 1, 3Ñ è un intorno di 0. Esempio 21.6.2 Ð 1, 3Ñ è l’intorno di centro 1 e raggio 2. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 167 Esercizio [*] 21.6.3 Siano B! − ‘, $ − ‘ . Si provi che ÐB! $ , B! $ Ñ œ Öx − ‘ / ± x B! ± $ ×. Sia B! − ‘. Si dice intorno forato di B! un intorno di B! privo di B! , ossia un insieme della forma I\ÖB! × con I intorno di B! . Si dice intorno sinistro di B! un intervallo aperto Ð+, B! Ñ con + B! ; si dice intorno destro di B! un intervallo aperto ÐB! , ,Ñ con B! , . Gli intorni destri e sinistri di B! non sono, in base alla definizione, intorni di B! ; si noti tuttavia che l’unione di un (qualsiasi) intorno sinistro di B! ed un (qualsiasi) intorno destro di B! è un intorno forato di B! . Esempio 21.6.4 Ð2, 3) è un intorno sinistro di 3; Ð3, 5Ñ è un intorno destro di 3; Ð2, 3Ñ Ð3, 5Ñ ( œ Ð2, 5Ñ\Ö3×Ñ è un intorno forato di 3. Sia A § ‘ . Un elemento B! di A si dice interno ad A se esiste un intorno di B! contenuto in A. L’insieme degli elementi di A interni ad A si dice l’interno di A . Esempio 21.6.5 Sia A ³ Ò0, 3Ó ; 1 è interno ad A, 0 e 3 non sono interni ad A. L’interno di A è l’intervallo aperto Ð0, 3Ñ. Osservazione 21.6.6 Siano +, , numeri reali. L’interno di Ò+, ,Ó è Ð+, ,Ñ ; l’interno di Ò+, ,Ñ è Ð+, ,Ñ ; l’interno di Ð+, ,Ó è Ð+, ,Ñ ; l’interno di Ð _, ,Ó è Ð _, ,Ñ ; l’interno di Ò+, _Ñ è Ð+, _Ñ . Sia A § ‘, e sia B! − ‘. Si dice che B! è un punto di accumulazione per A se in ogni intorno forato di B! esiste almeno un elemento di A . Esempi 21.6.7 Ogni elemento di Ò0, 1Ó è punto di accumulazione per Ð0, 1Ñ. 21.6.8 Non esistono punti di accumulazione per . 21.6.9 Sia A l’insieme dei numeri reali della forma 81 con 8 numero intero positivo. Il numero reale 1 appartiene ad A, ma non è punto di accumulazione per A ; il numero reale 0 non appartiene ad A, ma è punto di accumulazione per A. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 168 Teorema 21.6.10 Sia A § ‘ , e sia B! un punto di accumulazione per A. In ogni intorno forato di B! (e quindi in ogni intorno di B! ) esistono infiniti elementi di A ; in particolare, A ha infiniti elementi. Dimostrazione - Procediamo per assurdo, supponendo che esista un intorno forato di B! al quale appartiene un numero finito di elementi B" , B# , á , B8 di A. Sia $ il più piccolo tra i numeri ± B" B! ± , ± B# B! ± , á , ± B8 B! ± ; si ha $ Á 0. Ognuno degli B3 (e quindi, a maggior ragione, ogni elemento di A) ha distanza da B! maggiore di #$ ; dunque all’intorno forato di centro B! e raggio #$ non appartiene alcun elemento di A, contro l’ipotesi che B! sia di accumulazione per A. Teorema 21.6.11 Sia A § ‘ . Ogni punto interno ad A è un punto di accumulazione per A. Dimostrazione - Sia B! un punto interno ad A ; esistono allora B" , B# − ‘ tali che B" B! B# e ÐB" , B# Ñ § A. Sia J! un intorno forato di B! ; esistono dunque C" , C# − ‘ tali che C" B! C# e J! œ ÐC" , C# Ñ\ÖB! ×. Poniamo D" ³ max ÖB" , C" × e D# ³ min ÖB# , C# ×. Allora D" B! D# ; dunque in ÐD" , D# Ñ\ÖB! × esistono infiniti elementi, e tutti questi appartengono ad A (perché ÐD" , D# Ñ § ÐB" , B# Ñ § A) ; d’altro lato, ÐD" , D# Ñ\ÖB! × § J! , e dunque a J! appartengono infiniti elementi di A. Per l’arbitrarietà di J! , l’asserto è completamente provato. 21.7 - Punti isolati. Sia A § ‘, e sia B! − A. Si dice che B! è un punto isolato (di A) se esiste un intorno forato di B! al quale non appartiene alcun elemento di A. Esempi 21.7.1 Ogni elemento di è un punto isolato. 21.7.2 Sia A ³ Ö"× Ð#, $Ñ . L’elemento " è un punto isolato di A ; tutti gli elementi dell’intervallo aperto Ð#, $Ñ sono punti di accumulazione per A che appartengono ad A ; gli elementi # e $ sono punti di accumulazione per A che non appartengono ad A . Esercizio [*] 21.7.3 Sia A § ‘, e sia B! − A . Si dimostri che B! è un punto isolato di A se e soltanto se non è un punto di accumulazione per A . Suggerimento: Si utilizzi il contenuto delle osservazioni 2.3.6 e 2.3.7 . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 169 22.- CONTINUITÀ 22.1 - Definizione. Sia f : ‘ Ä ‘ una funzione, e sia B! − WÐfÑ. Si dice che f è continua in B! se Ða & − ‘ ÑÐb $ − ‘ ÑÐÐB − WÐfÑÑ • Ð ± B B! ± $ ÑÑ Ê Ð ± fÐBÑ fÐB!Ñ ± &Ñ ossia (cfr. Corollario 21.2.2) se Ða & − ‘ ÑÐb $ − ‘ ÑÐÐB − WÐfÑ ÐB! $ , B! $ ÑÑ Ê fÐBÑ − ÐfÐB! Ñ &, fÐB! Ñ &ÑÑ. Osservazione 22.1.1 Sia f : ‘ Ä ‘ una funzione, e sia B! − WÐfÑ. Si noti che, in base alla definizione, se B! è un punto isolato per WÐfÑ (cfr. sez. 21.7) allora sicuramente f è continua in B! . Infatti, se B! è un punto isolato per WÐfÑ esiste un intorno di B! al quale non appartiene nessun altro punto di WÐfÑ, e si può scegliere $ (indipendentemente da &) in modo che ÐB! $ , B! $ Ñ sia contenuto in tale intorno e quindi le due condizioni B − WÐfÑ, ± B B! ± $ siano verificate entrambe solo per B œ B! . Di conseguenza, saremo interessati a studiare la continuità solo nei punti di accumulazione per WÐfÑ. Sia f : ‘ Ä ‘ una funzione, e sia I un sottoinsieme non vuoto di WÐfÑ. Si dice che f è continua in I se è continua in ogni punto di I. Se f è continua in ogni punto del proprio dominio, si dice semplicemente che f è continua. Sia I un sottoinsieme non vuoto di ‘. Indicheremo con V! ÐI) l’insieme delle funzioni ‘ Ä ‘ continue in I. Se I œ ÖB! ×, scriveremo V! ÐB! ) anziché V! ÐÖB! ×). Esempio 22.1.2 Sia ! − ‘. La funzione (“costante”) che ad ogni numero reale associa ! è continua in ‘. Esempio 22.1.3 La funzione ÒxÓ è continua in ‘\™. Esempio 22.1.4 La funzione id‘ che ad ogni numero reale associa se stesso è continua in ‘. Poiché si ha id‘ ÐBÑ œ B per ogni B − ‘, tale funzione è la funzione polinomiale associata al polinomio x e si indica usualmente essa stessa con x. Esempio 22.1.5 La funzione f :‘ Ä ‘ definita ponendo fÐxÑ ³ œ è continua in 0 (e solo in 0). x 0 se x è razionale se x è irrazionale Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 170 Teorema 22.1.6 Le funzioni sinÐxÑ e cosÐxÑ sono continue. Dimostrazione - Proviamo che sinÐxÑ è continua; analogamente si prova che è continua cosÐxÑ. Si ponga 2 ³ B B! , cosicché B œ B! 2 . Si ha sinÐBÑ sinÐB! Ñ œ sinÐB! 2Ñ sinÐB! Ñ œ sinÐB! ÑcosÐ2Ñ cosÐB! ÑsinÐ2Ñ sinÐB!Ñ œ œ sinÐB! ÑÐcosÐ2Ñ 1Ñ cosÐB! ÑsinÐ2Ñ e quindi (ricordando i teoremi 21.2.3 e 21.2.4, il teorema A3.4.3 e il corollario A3.4.2) ± sinÐBÑ sinÐB! Ñ ± Ÿ ± sinÐB! Ñ ± † ± cosÐ2Ñ 1 ± ± cosÐB! Ñ ± † ± sinÐ2Ñ ± œ # œ 2 ± sinÐB! Ñ ± sin# Ð 2# Ñ ± cosÐB! Ñ ± † ± sinÐ2Ñ ± Ÿ ± sinÐB! Ñ ± 2# ± cosÐB!Ñ ± † ± 2 ± . Se inoltre ± 2 ± 1 , è anche 2# ± 2 ± ; si ha allora # ! ѱ ± sinÐB! Ñ ± 2# ± cosÐB! Ñ ± † ± 2 ± ± 2 ± † Ð ±sinÐB ± cosÐB! Ñ ± Ñ Ÿ 23 ± 2 ± 2 perché ± sinÐB! Ñ ± Ÿ 1 e ± cosÐB! Ñ ± Ÿ 1. Pertanto, per ogni & − ‘ , se si pone $ ³ min Ö #$& , 1× si ha che 3±2± ± B B! ± $ Ê ± 2 ± 23& Ê Ê 2 & # 2 Ê ± sinÐBÑ sinÐB! Ñ ± Ÿ ± sinÐB! Ñ ± # ± cosÐB! Ñ ± † ± 2 ± da cui l’asserto. 3±2± 2 & Teorema 22.1.7 Per ogni ! − ‘, la funzione x! è continua. Per ogni + − ‘ , la funzione exp+ ÐxÑ è continua. Dimostrazione - Omettiamo la dimostrazione di questo teorema. Esercizio 22.1.8 Dimostrare che la funzione kxk (cfr. 10.1) è continua. 22.2 - Prime proprietà delle funzioni continue. Teorema 22.2.1 Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia B! − WÐfÑ. Se f − V! ÐB! ) , esiste un intorno di B! in cui f è limitata. Dimostrazione - Poiché f è continua in B! , fissato & ³ 1 esiste $ − ‘ tale che B − WÐfÑ ÐB! $ , B! $ Ñ Ê fÐBÑ − ÐfÐB! Ñ 1, fÐB! Ñ 1Ñ e dunque in ÐB! $ , B! $ Ñ f è limitata. Teorema 22.2.2 (Weierstrass) Sia Ò+, ,Ó § ‘ un intervallo chiuso e limitato, e sia f − V! ÐÒ+ , ,ÓÑ. Allora f è limitata in Ò+ , ,Ó. Dimostrazione - Poniamo X ³ ÖB − Ò+ , ,Ó Î f non è limitata in Ò+ , BÓ× . È X œ g se e soltanto se vale il teorema. Procediamo per assurdo, e supponiamo che sia X Á g ; poiché X è inferiormente limitato (da +) esiste, per la completezza di ‘, l’estremo inferiore di X . Poniamo B! ³ inf X . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 171 Osserviamo che 22.2.P1 per ogni B − (+, B! ) , f è limitata in Ò+, BÓ (infatti se f non fosse limitata in Ò+, BÓ sarebbe B − X e B! non potrebbe essere l’estremo inferiore di X ) e 22.2.P2 per ogni B" − (B! , , ) , f non è limitata in Ò+, B" Ó (infatti se f fosse limitata in Ò+ , B" Ó sarebbe ÒB! , B" Ó X œ g , e B! non potrebbe essere l’estremo inferiore di X ). Per il teorema 22.2.1, esiste un intorno (B! $ , B! $ ) di B! in cui f è limitata; scegliamo $ in modo che tale intorno sia contenuto in Ò+, ,Ó . Poiché f è limitata anche in Ò+ , B! $ Ó (per la 22.2.P1 ), per il teorema 21.5.1 f è limitata in Ò+, B! $ ) e quindi in Ò+, B! #$ Ó ; ciò contraddice la 22.2.P2 e prova l’asserto. Teorema 22.2.3 (“della permanenza del segno”) Sia B! − ‘, e sia f − V! ÐB! Ñ. Se fÐB! Ñ Á 0, esiste un intorno di B! nel quale f ha lo stesso segno di fÐB! Ñ. Dimostrazione - Supponiamo, per fissare le idee, fÐB! Ñ 0. Posto & ³ fÐB! Ñ, esiste $ − ‘ tale che B − WÐfÑ ÐB! $ , B! $ Ñ Ê fÐBÑ − ÐfÐB! Ñ &, fÐB! Ñ &Ñ ossia B − WÐfÑ ÐB! $ , B! $ Ñ Ê fÐBÑ − Ð0, 2fÐB! ÑÑ. In particolare, ÐB! $ , B! $ Ñ è un intorno di B! nel quale fÐxÑ è positiva. Se invece fÐB! Ñ 0, si pone & ³ fÐB! Ñ e si procede in modo analogo. Teorema 22.2.4 (Bolzano) Sia Ò+, ,Ó § ‘ un intervallo chiuso e limitato, e sia f − V! ÐÒ+, ,ÓÑ. Se fÐ+Ñ e fÐ,Ñ hanno segno opposto, esiste B! − Ð+, ,Ñ tale che fÐB! Ñ œ 0. Dimostrazione - Supponiamo, per fissare le idee, fÐ+Ñ 0. Posto X ³ ÖB − Ò+, ,Ó / fÐBÑ 0× si ha che X Á g (perché + − X) e X è superiormente limitato (ad esempio da , , essendo X § Ò+, ,Ó); pertanto esiste B! ³ sup X. È + Ÿ B! (perchè + − X) e B! Ÿ , (perché , è una limitazione superiore per X), ossia B! − Ò+, ,Ó. Vogliamo provare che fÐB! Ñ œ 0 (da cui seguirà anche che B! Á + e B! Á , , cosicché B! − Ð+, ,Ñ ). Se fosse fÐB! Ñ 0, per il teorema della permanenza del segno (22.2.3) esisterebbe un intorno ÐB" , B# Ñ di B! contenuto in Ò+, ,Ó Ð50Ñ nel quale f assume solo valori negativi; in particolare, sarebbe ÐB! , B# Ñ § X , assurdo perché B! œ sup X. Se fosse fÐB! Ñ 0, ancora per il teorema 22.2.3 esisterebbe un intorno ÐB" , B# Ñ di B! nel quale f assume solo valori positivi; dovrebbe essere B B" per ogni B − X Ð51Ñ, e dunque B" sarebbe una limitazione superiore di X minore di B! , assurdo perché B! œ sup X. Dunque fÐB! Ñ œ 0 , come si voleva. Esempio 22.2.5 Sia fÐxÑ ³ 2x x$ ; proveremo più avanti (22.3.2 ; cfr. il teorema 22.1.7) che f è continua su tutto ‘. Si ha fÐ1Ñ œ 1 , fÐ2Ñ œ 4 ; per il teorema di Bolzano (22.2.4) esiste B! − Ð1, 2Ñ tale che fÐB! Ñ œ 0. In altri termini, l’equazione 2x œ x$ ha una soluzione nell’intervallo Ð1, 2Ñ. 50 Conviene applicare il teorema 22.2.3 non a f ma alla restrizione di f ad Ò+, ,Ó . 51 Non può essere B B , perché sarebbe anche B B ; né può essere B − ÐB , B # f assume solo valori positivi. ! " #Ñ perché in ÐB" , B# Ñ Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 172 Teorema 22.2.6 Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia B! − WÐfÑ. Se f è continua in B! e fÐB! Ñ Á 0 , esiste un intorno di B! in cui limitata. 1 f è Dimostrazione - Supponiamo, per fissare le idee, fÐB! Ñ 0. Poichè f è continua in B! , fissato & ³ fÐB2! Ñ esiste $ − ‘ tale che B − WÐfÑ ÐB! $ , B! $ Ñ Ê fÐB! Ñ & fÐBÑ fÐB! Ñ &. 1 Dalla fÐB! Ñ & fÐBÑ segue che 0 fÐB2! Ñ œ fÐB! Ñ & fÐBÑ e quindi che fÐBÑ fÐB2! Ñ ; dalla fÐBÑ $ 1 2 fÐB! Ñ & Ð œ # fÐB! Ñ Ñ segue (poiché, come si è già osservato, fÐBÑ 0 ) che fÐBÑ 3fÐB . Dunque !Ñ 2 1 2 B − WÐfÑ ÐB! $ , B! $ Ñ Ê 3fÐB! Ñ fÐBÑ fÐB! Ñ 1 ossia in ÐB! $ , B! $ Ñ f è limitata, come si voleva. Se invece è fÐB! Ñ 0, si pone & ³ fÐB2! Ñ ; esiste $ − ‘ tale che B − WÐfÑ ÐB! $ , B! $ Ñ Ê $# fÐB! Ñ fÐBÑ da cui (ricordando che fÐBÑ 0, fÐB! Ñ 0 ) 1 B − WÐfÑ ÐB! $ , B! $ Ñ Ê fÐB2! Ñ fÐBÑ 1 ossia anche in questo caso f è limitata in ÐB! $ , B! $ Ñ , come si voleva. " # fÐB! Ñ 2 3fÐB! Ñ 22.3 - Proprietà algebriche di V! ÐIÑ. Teorema 22.3.1 Sia B! − ‘. V! ÐB! Ñ è chiuso rispetto alla somma e al prodotto; in particolare, V! ÐB! Ñ è un sottospazio vettoriale di ‘‘ . e Dimostrazione - Siano f, g − V! ÐB! Ñ. Per ogni ( − ‘ , esistono $" , $# − ‘ tali che B − WÐfÑ ÐB! $" , B! $" Ñ Ê ± fÐBÑ fÐB! Ñ ± ( B − WÐgÑ ÐB! $# , B! $# Ñ Ê ± gÐBÑ gÐB! Ñ ± (. Proviamo in primo luogo che f g − V! ÐB! Ñ. Posto $ ³ minÖ$" , $# ×, è chiaro che ÐB! $ , B! $ Ñ § ÐB! $" , B! $" Ñ ÐB! $# , B! $# Ñ . Allora (ricordando che WÐf gÑ œ WÐfÑ WÐgÑ e tenendo presente il teorema 21.2.3) se B − WÐf gÑ ÐB! $ , B! $ Ñ è anche B − WÐfÑ WÐgÑ ÐB! $" , B! $" Ñ ÐB! $# , B! $# Ñ e dunque ± Ðf gÑÐBÑ Ðf gÑÐB! Ñ ± œ ± fÐBÑ gÐBÑ fÐB! Ñ gÐB!Ñ ± Ÿ Ÿ ± fÐBÑ fÐB! Ñ ± ± gÐBÑ gÐB! Ñ ± ( ( œ 2(. Fissato & − ‘ , si può scegliere ( in modo che sia 2( & ; per $ dipendente da tale ( , si ha B − WÐf gÑ ÐB! $ , B! $ Ñ Ê ± Ðf gÑÐBÑ Ðf gÑÐB! Ñ ± & come si voleva. Proviamo ora che fg − V! ÐB! Ñ. Per il teorema 22.2.1, esistono $$ , ! − ‘ tali che B − WÐfÑ ÐB! $$ , B! $$ Ñ Ê ± fÐBÑ ± !. Posto $ ³ minÖ$" , $# , $$ × , per B − WÐfgÑ ÐB! $ , B! $ Ñ si ha (ricordando i teoremi 21.2.3 e 21.2.4) : ± ÐfgÑÐBÑ ÐfgÑÐB! Ñ ± œ ± fÐBÑgÐBÑ fÐB! ÑgÐB! Ñ ± œ ± fÐBÑgÐBÑ fÐBÑgÐB!Ñ fÐBÑ gÐB !Ñ fÐB !Ñ gÐB !Ñ ± Ÿ Ÿ ± fÐBÑgÐBÑ fÐBÑgÐB! Ñ ± ± fÐBÑgÐB! Ñ fÐB! ÑgÐB! Ñ ± œ œ ± fÐBÑ ± † ± gÐBÑ gÐB! Ñ ± ± gÐB! Ñ ± † ± fÐBÑ fÐB!Ñ ± Ÿ !( ± gÐB!Ñ ± ( œ (Ð! ± gÐB !Ñ ± Ñ . Fissato & − ‘ , si può scegliere ( in modo che sia (Ð! ± gÐB! Ñ ± Ñ & ; per $ dipendente da tale ( , si ha B − WÐfgÑ ÐB! $ , B! $ Ñ Ê ± ÐfgÑÐBÑ ÐfgÑÐB! Ñ ± Ÿ (Ð! ± gÐB! Ñ ± Ñ & come si voleva, cosicché l’asserto è completamente provato. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 173 Corollario 22.3.2 Sia I § ‘. V! ÐIÑ è chiuso rispetto alla somma e al prodotto; in particolare, V! ÐIÑ è un sottospazio vettoriale di ‘‘ . Corollario 22.3.3 Le funzioni polinomiali sono continue. Dimostrazione - Segue subito dal teorema 22.3.1 e dagli esempi 22.1.2 e 22.1.4. Teorema 22.3.4 Sia B! − ‘. Se g − V! ÐB! Ñ e gÐB! Ñ Á 0 (cosicché B! − WÐ 1g Ñ), si ha 1 g − V! ÐB! Ñ. Dimostrazione - Per ogni ( − ‘ , esiste $" − ‘ tale che B − WÐgÑ ÐB! $" , B! $" Ñ Ê ± gÐBÑ gÐB! Ñ ± (. Per il teorema 22.2.6, esistono $# , ! − ‘ tali che 1 B − WÐ 1g Ñ ÐB! $# , B! $# Ñ Ê ¹ gÐBÑ ¹ !. Posto $ ³ minÖ$" , $# × , per B − WÐ 1g Ñ ÐB! $ , B! $ Ñ si ha 1 ¹ gÐBÑ 1 gÐB! Ñ ¹œ¹ gÐB! ÑgÐBÑ gÐBÑgÐB! Ñ 1 ¹ œ ¹ gÐBÑ ¹ † ¹ gÐB1 ! Ñ ¹ † ± gÐBÑ gÐB! Ñ ± Fissato & − ‘ , si può scegliere ( in modo che sia !( ±gÐB! ѱ B − WÐ 1g Ñ ÐB! $ , B! $ Ñ !( ±gÐB! ѱ . & ; per $ dipendente da tale ( , si ha Ê come si voleva, cosicché l’asserto è completamente provato. 1 ¹ gÐBÑ 1 gÐB! Ñ ¹ Ÿ !( ±gÐB! ѱ & Corollario 22.3.5 Sia B! − ‘. Se f, g − V! ÐB! Ñ e gÐB! Ñ Á 0 (cosicché B! − WÐ gf Ñ), si ha Dimostrazione - Poiché f g œf † 1 g − V! ÐB! Ñ. f g , l’asserto segue subito dai teoremi 22.3.1 e 22.3.4. Corollario 22.3.6 Sia I § ‘. Se f, g − V! ÐIÑ e gÐB! Ñ Á 0 in I (cosicché I § WÐ gf Ñ), si ha f g − V! ÐIÑ. Corollario 22.3.7 Le funzioni della forma pqÐÐxxÑÑ con pÐxÑ, qÐxÑ funzioni polinomiali (dette funzioni razionali) sono continue ovunque sono definite, cioè in ogni B tale che qÐBÑ Á 0. Corollario 22.3.8 La funzione tgÐxÑ è continua. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 174 Teorema 22.3.9 Siano f, g funzioni ‘ Ä ‘. Sia B! − WÐfÑ e sia fÐB! Ñ − WÐgÑ. Se f è continua in B! e g è continua in fÐB! Ñ, la funzione composta g ‰ f è continua in B! . Dimostrazione - Sia & − ‘ . Per la continuità di g in fÐB! Ñ, esiste $" − ‘ tale che, se C − WÐgÑ ÐfÐB! Ñ $" , fÐB! Ñ $" Ñ, si ha gÐCÑ − ÐgÐfÐB! ÑÑ &, gÐfÐB! ÑÑ &Ñ. In corrispondenza di tale $" , per la continuità di f in B! esiste $ − ‘ tale che, se B − WÐfÑ ÐB! $ , B! $ Ñ, si ha fÐBÑ − ÐfÐB! Ñ $" , fÐB! Ñ $" Ñ. Dunque, per ogni & − ‘ si può trovare $ − ‘ tale che B − WÐg ‰ fÑ ÐB! $ , B! $ Ñ Ê Ðg ‰ fÑÐBÑ − Ð Ðg ‰ fÑÐB! Ñ &, Ðg ‰ fÑÐB! Ñ & Ñ e ciò prova l’asserto. Teorema 22.3.10 Sia I un intervallo contenuto in ‘ , e sia f − V! ÐIÑ . Se f è invertibile, f " − V! ÐfÐIÑÑ. Dimostrazione - Omettiamo la dimostrazione di questo teorema. Corollario 22.3.11 Per ogni + − ‘ \Ö1×, la funzione log+ ÐxÑ è continua. Corollario 22.3.12 Le funzioni arcsinÐxÑ, arccosÐxÑ e arctgÐxÑ sono continue. Esempio 22.3.13 Mostriamo che è essenziale in 22.3.10 l’ipotesi che la funzione considerata abbia per dominio un intervallo. La funzione f : ‘ Ä ‘ definita in ( _, 1Ñ Ö0× Ð1, _Ñ ponendo Úx 1 fÐxÑ ³ Û 0 Üx 1 se x 1 se x œ 0 se x 1 è continua ed invertibile. La sua inversa (che ha per dominio tutto ‘) è la funzione f che non è continua in 0. " Úx 1 Ðx Ñ ³ Û 0 Üx 1 se x 0 se x œ 0 se x 0 Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 175 Teorema 22.3.14 Sia B! − ‘. Se f, g − V! ÐB! Ñ e fÐB! Ñ 0 (cosicché B! − WÐf g Ñ ), si ha f g − V! ÐB! Ñ. Dimostrazione - Per ogni B − WÐf g Ñ si ha Ðf g ÑÐBÑ œ 2gÐBÑlog# ÐfÐBÑÑ œ exp# ÐgÐBÑlog# ÐfÐBÑÑÑ . Dunque f g è continua in B! per i teoremi 22.3.9, 22.3.11, 22.3.1 e 22.1.7. 22.4 - Ulteriori proprietà delle funzioni continue. Teorema 22.4.1 (Darboux) Sia Ò+, ,Ó § ‘ un intervallo chiuso e limitato, e sia f − V! ÐÒ+, ,ÓÑ. Per ogni numero reale C! compreso tra fÐ+Ñ e fÐ,Ñ, esiste B! − Ð+, ,Ñ tale che fÐB! Ñ œ C! . Dimostrazione - La funzione gÐxÑ ³ fÐxÑ C! è continua in Ò+, ,Ó (esempio 22.1.2 e teorema 22.3.1) ; inoltre (essendo per ipotesi fÐ+Ñ C! fÐ,Ñ oppure fÐ,Ñ C! fÐ+Ñ ) gÐ+Ñ e gÐ,Ñ hanno segno opposto. Per il teorema di Bolzano (22.2.4), esiste B! − Ð+, ,Ñ tale che 0 œ gÐB! Ñ œ fÐB! Ñ C! ossia tale che fÐB! Ñ œ C! , come si voleva. Teorema 22.4.2 (Weierstrass) Sia Ò+, ,Ó § ‘ un intervallo chiuso e limitato, e sia f − V! ÐÒ+ , ,ÓÑ. Allora f ha massimo e minimo in Ò+ , ,Ó e per ogni numero reale C! compreso tra il minimo e il massimo di f in Ò+, ,Ó esiste B! − Ò+, ,Ó tale che fÐB! Ñ œ C! . Dimostrazione - Per il teorema 22.2.2, f è limitata in Ò+, ,Ó e quindi ha in Ò+, ,Ó un estremo inferiore ! e un estremo superiore " . Proviamo che esiste un punto dell’intervallo Ò+, ,Ó nel quale il valore della f è proprio ! (cioè che ! è il minimo di f in Ò+, ,Ó). Procediamo per assurdo, supponendo che sia fÐBÑ Á ! per ogni B − Ò+, ,Ó . La funzione g " Ð x Ñ ³ fÐ xÑ ! non assume allora mai il valore zero nell’intervallo Ò+, ,Ó , e dunque per il teorema 22.3.4 la funzione gÐxÑ ³ 1 g" ÐxÑ œ 1 fÐxÑ! è continua in Ò+, ,Ó . Per il teorema 22.2.2, g è limitata in Ò+, ,Ó , e dunque esiste l’estremo superiore - di g in Ò+, ,Ó . Si ha cioè per ogni B − Ò+, ,Ó 1 fÐxÑ! Ÿ - da cui (ricordando che fÐxÑ ! 0, e quindi - 0) con ! -" ! perché - 0. fÐxÑ ! 1 - e infine fÐxÑ ! 1 - Si è così trovata per f in Ò+, ,Ó una limitazione inferiore maggiore di !, e ciò è assurdo perché ! è per ipotesi la massima limitazione inferiore per f in Ò+, ,Ó. Questa contraddizione prova che deve essere fÐBÑ œ ! per almeno un B − Ò+, ,Ó , cioè che f ha minimo in Ò+, ,Ó . Ponendo gÐxÑ ³ 1 "fÐxÑ e ragionando come sopra, si prova anche che " è il massimo di f in Ò+, ,Ó . Siano allora B" , B# − Ò+, ,Ó tali che fÐB" Ñ œ !, fÐB# Ñ œ " ; l’ultima parte dell’asserto segue subito dal teorema di Darboux (22.4.1) applicato alla restrizione di f all’intervallo di estremi B" e B# . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 176 22.5 - Singolarità. Prolungamento per continuità. Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia B! un punto di accumulazione per WÐfÑ . Si dice che f presenta una singolarità in B! se Ð+Ñ B!  WÐfÑ oppure Ð,Ñ B! − WÐfÑ e f non è continua in B! . Esempio 22.5.1 La funzione x # 1 x 1 presenta una singolarità in 1. Esempio 22.5.2 La funzione sinÐxÑ x presenta una singolarità in 0. Esempio 22.5.3 La funzione ÒxÓ presenta singolarità in 1, 0, 1 e in ogni numero intero. Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia B! un punto di accumulazione per WÐfÑ Ð52Ñ. Si dice che f è prolungabile per continuità in B! se esiste una funzione g : ‘ Ä ‘ tale che Ð3Ñ WÐgÑ œ WÐfÑ ÖB! × ; Ð33Ñ gÐBÑ œ fÐBÑ a B − WÐfÑ\ÖB! × ; Ð333Ñ g è continua in B! . Una funzione g : ‘ Ä ‘ verificante le Ð3Ñ, Ð33Ñ e Ð333Ñ si dice che prolunga per continuità in B! la f. Se f presenta una singolarità in B! , si dice che tale singolarità è eliminabile (ponendo fÐB! Ñ ³ - ) se esiste una funzione g che prolunga per continuità in B! la f (e gÐB! Ñ œ -). Esempio 22.5.4 # Sia fÐxÑ ³ xx11 (cfr. esempio 22.5.1). La funzione x 1 prolunga per continuità (in 1) la f ; in altri termini, f presenta in 1 una singolarità eliminabile ponendo fÐ 1Ñ ³ 2. Teorema 22.5.5 Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia B! un punto di accumulazione per WÐfÑ. Esiste al più una funzione che prolunga per continuità in B! la f. Dimostrazione - Siano f" , f# due funzioni che prolungano per continuità in B! la f ; allora f" ÐBÑ œ f# ÐBÑ per ogni B − WÐfÑ\ÖB! × , quindi basta dimostrare che f" ÐB! Ñ œ f# ÐB! Ñ. Procediamo per assurdo, e supponiamo f" ÐB! Ñ Á f# ÐB! Ñ. &³ Scelto 52 Ricordiamo kf" ÐB! Ñf# ÐB! Ñk 2 , che può indifferentemente essere B! − WÐfÑ oppure B!  WÐfÑ. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 177 poiché f" e f# sono continue in B! esistono $" , $# − ‘ tali che B − WÐf" Ñ ÐB! $" , B! $" Ñ Ê ± f" ÐBÑ f" ÐB! Ñ ± ( e B − WÐf# Ñ ÐB! $# , B! $# Ñ Ê ± f# ÐBÑ f# ÐB! Ñ ± ( . – Á B! in WÐfÑ ÐB! $ , Posto $ ³ minÖ$" , $# ×, poiché B! è un punto di accumulazione per WÐfÑ, esiste B B! $ Ñ. Deve essere allora – fÐBÑ – f# ÐB! Ñ ± œ ± f"ÐB! Ñ f"ÐBÑ – f#ÐBÑ – f#ÐB !Ñ ± Ÿ ± f" ÐB! Ñ f# ÐB! Ñ ± œ ± f" ÐB! Ñ fÐBÑ – ± ± f# ÐBÑ – f# ÐB! Ñ ± Ÿ & & ± f"ÐB! Ñ f#ÐB! Ñ ± Ÿ ± f" ÐB! Ñ f" ÐBÑ e ciò è assurdo, come si voleva. Teorema 22.5.6 Sia fÐxÑ ³ sinÐxÑ x (cfr. esempio 22.5.2). La singolarità di fÐxÑ in 0 è eliminabile ponendo fÐ0Ñ ³ 1. Dimostrazione - Sia gÐxÑ ³ œ sinÐxÑ x 1 se x Á 0 se x œ 0 Dobbiamo provare che g è continua in 0 , ossia che Ða & − ‘ ÑÐb $ − ‘ ÑÐkBk $ Ê kgÐBÑ 1k &Ñ . Se B œ 0 , è gÐBÑ 1 œ 0 ; dunque possiamo supporre B Á 0 e considerare ¹ sinÐx xÑ 1¹ . æ Sarà sufficiente provare che kBk 1 Ê ¹ sinÐxÑ x 1¹ Ÿ 1 cosÐxÑ . Infatti, poiché la funzione cosÐxÑ è continua in 0 (teorema 22.1.6), Ða & − ‘ ÑÐb $ − ‘ ÑÐkBk $ Ê kcosÐBÑ cosÐ0Ñk &Ñ e dunque, posto $ ³ min Ö$" , 1× e ricordando che cosÐ0) œ 1, B − Ð $, $Ñ Ê ossia l’asserto. ¹ sinÐBÑ B 1¹ Ÿ 1 cosÐBÑ œ kcosÐBÑ cosÐ0Ñk & Proviamo allora la æ . Supponiamo kxk 1 . Cerchiamo in primo luogo di valutare il segno di sinÐxÑ x 1. Osserviamo che per kxk 1 (e quindi, a maggior ragione, per kxk 1) sinÐxÑ e x hanno lo stesso segno; dunque il loro rapporto è un numero positivo: allora Per il corollario A3.4.2, Ne segue che sinÐxÑ x ksinÐxÑk kxk 10 e dunque e dunque che ¹ sinÐxÑ œ ¹ sinxÐxÑ ¹ œ ksinkxÐkxÑk x sinÐxÑ œ ksinkxÐkxÑk 1 . x sinÐBÑ 1¹ œ 1 sinxÐxÑ . B . Per provare la æ dobbiamo dunque mostrare che dalla nostra ipotesi kxk 1 segue la 1 sinÐxÑ x Ÿ 1 cosÐxÑ . cosÐxÑ Ÿ Questa relazione equivale alla sinÐxÑ x . Ma per kxk 1# (e quindi, a maggior ragione, per kxk 1) si ha cosÐxÑ 0 ossia cosÐxÑ œ kcosÐxÑk ; inoltre sinÐxÑ si è già osservato che per kxk 1 è œ ksinkxÐkxÑk . x Dobbiamo dunque provare che kcosÐxÑk Ÿ ksinÐxÑk k xk , ma questa relazione equivale alla kxk Ÿ e quest’ultima è stata provata nel teorema A3.4.1, perché (cfr. la Ð2Ñ del teorema A3.3.1) L’asserto è così completamente provato. ksinÐxÑk kcosÐxÑk sinÐxÑ œ ¹ cos ÐxÑ ¹ œ ktgÐxÑk . ksinÐxÑk kcosÐxÑk ; Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 178 23.- LIMITI 23.1 - Definizione. Sia f : ‘ Ä ‘ una funzione, e sia B! un punto di accumulazione per WÐfÑ. Sia - − ‘. Si dice che - è il limite di f per x che tende a B! e si scrive lim fÐxÑ œ x Ä B! se f può essere prolungata in B! per continuità ponendo fÐB! Ñ ³ - , ossia se la funzione g : ‘ Ä ‘ definita da fÐxÑ se x Á B! g Ðx Ñ ³ œ se x œ B! è continua in B! . Dunque, lim fÐxÑ œ - se e solo se si verifica una delle seguenti due situazioni: x Ä B! Ð3Ñ f è continua in B! , e fÐB! Ñ œ - ; oppure Ð33Ñ f presenta in B! una singolarità che può essere eliminata ponendo fÐB! Ñ ³ - . Sia f : ‘ Ä ‘ una funzione, e sia B! un punto di accumulazione per WÐfÑ. Se f può essere prolungata per continuità in B! si usa dire che esiste ed è finito il limite di f per x che tende a x! . La nozione di “limite infinito” (alla quale questo modo di esprimersi fa riferimento in contrapposizione) sarà introdotta nella sez. 23.5 . Osservazione 23.1.1 Sia f : ‘ Ä ‘ una funzione, e sia B! − WÐfÑ un punto di accumulazione per WÐfÑ . La funzione f è continua in B! se e solo se lim fÐxÑ œ fÐB! Ñ. x Ä B! Esempi 23.1.2 Sia pÐxÑ − ‘ÒxÓ. Per ogni B! − ‘, lim pÐxÑ œ pÐB! Ñ . In particolare: x Ä B! per ogni B! − ‘, lim x œ B! ; x Ä B! se - − ‘, per ogni B! − ‘ si ha lim - œ - . x Ä B! 23.1.3 Per ogni B! − ‘, e, se B! Á 23.1.4 23.1.5 1 # 5 1, lim sinÐxÑ œ sinÐB! Ñ ; Ä B! x lim cosÐxÑ œ cosÐB! Ñ ; Ä B! x lim tgÐxÑ œ tgÐB! Ñ . Ä B! lim sinÐx xÑ œ 1 (cfr. teorema 22.5.6) ; xÄ! # x 23.1.6 23.1.7 x lim x 1 œ 2 ; Ä " x 1 x x lim ÒxÓ non esiste ; Ä" lim sinÐ "x Ñ non esiste ; Ä! Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 179 Teorema 23.1.8 Sia f : ‘ Ä ‘ una funzione, e sia B! un punto di accumulazione per WÐfÑ. Sia - − ‘. Condizione necessaria e sufficiente affinché sia lim fÐxÑ œ x Ä B! è che per ogni intorno I& di centro - (individuato da &, con & − ‘ ) esista un intorno J$ di centro B! (individuato da $ , con $ − ‘ ) tale che B − WÐfÑ J$ \ÖB! × Ê fÐBÑ − I& . Dimostrazione - Si tratta di una conseguenza pressoché immediata delle definizioni di limite e di continuità; lo studente è invitato a sviluppare la dimostrazione nei dettagli quale utile esercizio [*] . Teorema 23.1.9 (“della permanenza del segno”) Sia f : ‘ Ä ‘ una funzione, e sia B! un punto di accumulazione per WÐfÑ. Sia - − ‘, - Á 0. Se lim fÐxÑ œ x Ä B! esiste un intorno forato di B! nel quale f ha lo stesso segno di - . Dimostrazione - Si tratta di una riformulazione del teorema 22.2.3 . 23.2 - Limite destro, limite sinistro. Sia f : ‘ Ä ‘ una funzione, e sia B! un punto di accumulazione per WÐfÑ ÐB! , _Ñ. Sia - − ‘. Si dice che - è il limite di f per x che tende a B! da destra (o, anche, che - è il limite destro di f per x che tende a B! ) e si scrive lim fÐxÑ œ x Ä B! se - è il limite per x che tende a B! della restrizione di f a ÐB! , _Ñ. Sia f : ‘ Ä ‘ una funzione, e sia B! un punto di accumulazione per WÐfÑ Ð _, B! Ñ. Sia - − ‘. Si dice che - è il limite di f per x che tende a B! da sinistra (o, anche, che - è il limite sinistro di f per x che tende a B! ) e si scrive lim fÐxÑ œ x Ä B ! se - è il limite per x che tende a B! della restrizione di f a Ð _, B! Ñ. Esempi 23.2.1 23.2.2 x lim ÒxÓ œ 0 ; Ä " x lim ÒxÓ œ 1 . Ä " non esiste né lim sin ˆ x" ‰ né lim sin ˆ x" ‰ . xÄ! x Ä ! Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 180 Sia f : ‘ Ä ‘ una funzione, e sia B! un punto di accumulazione per WÐfÑ. Se B! è punto di accumulazione per WÐfÑ ÐB! , _Ñ ma non per WÐfÑ Ð _, B! Ñ , è sempre preferibile scrivere x lim fÐxÑ Ä B ! anziché x lim fÐxÑ . Ä B! Analogamente, se B! è punto di accumulazione per WÐfÑ Ð _, B! Ñ ma non per WÐfÑ ÐB! , _Ñ , si usa scrivere x lim fÐxÑ Ä B ! anziché x lim fÐxÑ . Ä B! Esempio 23.2.3 x lim Ä " x 1 È x 1 œ 0. Teorema 23.2.4 Sia f : ‘ Ä ‘ una funzione, e sia B! un punto di accumulazione per WÐfÑ. Sia - − ‘. Se B! è un punto di accumulazione per WÐfÑ Ð _, B! Ñ e per WÐfÑ ÐB! , _Ñ, allora condizione necessaria e sufficiente affinché si abbia lim fÐxÑ œ x Ä B! è che sia e lim fÐxÑ œ lim fÐxÑ œ -. x Ä B ! x Ä B! Dimostrazione - Si lascia la dimostrazione quale utile esercizio [*] . è conveniente utilizzare la condizione espressa dal teorema 23.1.8. 23.3 - Operazioni in ‘‘ e limiti. È naturale chiedersi quali legami esistano tra operazioni in ‘‘ e limiti. Importanti risultati (teorema 23.3.1 e teorema 23.3.4) seguono dai teoremi della sezione 22.3. Teorema 23.3.1 Siano f, g funzioni ‘ Ä ‘ , e sia B! un punto di accumulazione per WÐfÑ WÐgÑ. Sia x lim fÐxÑ œ J Ä B! Allora Ð3Ñ x Ð33Ñ Ð333Ñ e lim gÐxÑ œ K Ä B! con J , K − ‘ . lim Ðf gÑÐxÑ œ J K ; Ä B! x x x lim ÐfgÑÐxÑ œ J K ; Ä B! lim Ð f ÑÐxÑ œ Ä B! g J K (purché sia K Á 0Ñ . Dimostrazione - Segue immediatamente dai teoremi 22.3.1 e 22.3.5. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 181 Teorema 23.3.2 Siano f, g funzioni ‘ Ä ‘ , e sia B! un punto di accumulazione per WÐfÑ WÐgÑ. Se lim fÐxÑ œ 0 x Ä B! e g è limitata in un intorno di B! , allora è anche lim ÐfgÑÐxÑ œ 0. x Ä B! Dimostrazione - Useremo la condizione espressa dal teorema 23.1.8. Per ipotesi, per ogni ( − ‘ esiste un intorno J$" di B! (individuato da un certo $" − ‘ ) tale che B − WÐfÑ J$" \ÖB! × Ê ± fÐBÑ ± (. Sempre per ipotesi, esistono - − ‘ e un intorno J$# di B! (individuato da un certo $# − ‘ ) tali che B − W Ð gÑ J $ # Ê ± gÐBÑ ± -. Posto $ ³ min Ö$" , $# × , l’intorno J$ di B! individuato da $ coincide con J$" J$# ; e ricordando che WÐfgÑ œ WÐfÑ WÐgÑ , si ha dunque che B − WÐfgÑ J$ \ÖB! × Ê ± ÐfgÑÐBÑ ± œ ± fÐBÑ † gÐBÑ ± œ ± fÐBÑ ± † ± gÐBÑ ± (-. Fissato & − ‘ , si può scegliere ( in modo che sia (- & ; per $ dipendente da tale ( si ha B − WÐfgÑ J$ \ÖB! × Ê ± ÐfgÑÐBÑ ± & cosicché l’asserto risulta completamente provato. Esempio 23.3.3 x lim x † sinÐ "x Ñ œ 0 Ä! Teorema 23.3.4 (“del cambiamento di variabile”) Siano f, y funzioni ‘ Ä ‘, sia B! un punto di accumulazione per WÐf ‰ yÑ e sia lim yÐxÑ œ C! con C! − ‘. x Ä B! Supponiamo inoltre che valga una almeno delle seguenti due condizioni: Ð+Ñ esiste un intorno I di B! tale che yÐBÑ Á C! a B − WÐf ‰ yÑ I\ÖB! × ; oppure Ð,Ñ f è continua in C! . Se C! è punto di accumulazione per WÐfÑ (come certamente accade se vale la Ð+Ñ ) e si ha lim fÐyÑ œ con - − ‘ C Ä C! oppure C! è punto isolato per WÐfÑ (cfr. sez. 21.7) e si ha f(C! ) œ con - − ‘ allora lim ÐfÐy ÐxÑÑ œ -. x Ä B! Dimostrazione - Poniamo y " Ðx Ñ ³ œ e f" ÐyÑ ³ œ y Ðx Ñ C! se se x Á B! x œ B! fÐyÑ se y Á C! se y œ C! Per la restrizione di f" ‰ y" a I (se vale la condizione Ð+Ñ) oppure per ogni B − WÐf ‰ yÑ (se vale la condizione Ð,Ñ), si ha Ðf ‰ yÑÐxÑ se x Á B! Ðf" ‰ y" ÑÐxÑ ³ œ se x œ B! Poiché y" è continua in B! e f" è continua in C! , per il teorema 22.3.9 f" ‰ y" è continua in B! , da cui lim Ðf ‰ yÑ ÐxÑ œ x Ä B! e quindi l’asserto. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 182 Esempi 23.3.5 x 23.3.6 x 23.3.7 lim Ä! lim Ä! lim xÄ! 23.3.8 x Esempio 23.3.9 Sia e sia lim Ä! sinÐ2xÑ 2x œ1 sinÐsinÐxÑÑ sinÐxÑ œ1 sinÐ #x Ñ x 1 2 œ sinÐsinÐxÑÑ x œ1 yÐxÑ ³ x † sin ˆ 1x ‰ 1 fÐyÑ ³ ± sgnÐyÑ ± œ œ 0 se se yÁ0 yœ0 lim fÐyÐxÑÑ , cioè lim ± sgnÐx † sin ˆ 1x ‰ Ñ ± , non esiste perche´ in ogni intorno di 0 la Ä! xÄ! funzione x † sin ˆ 1x ‰ assume sia il valore 0 sia valori diversi da 0 ; invece In questo caso, x x lim x † sin ˆ 1x ‰ œ 0 Ä! e lim ± sgnÐyÑ ± œ 1. CÄ! Esercizio [*] 23.3.10 Siano f, y funzioni ‘ Ä ‘, e sia B! un punto di accumulazione per WÐf ‰ yÑ . Si dimostri che B! è anche punto di accumulazione per WÐyÑ . Sia poi lim yÐxÑ œ C! con C! − ‘. x Ä B! Si dimostri che, se vale la Ð+Ñ del teorema 23.3.4, allora C! è punto di accumulazione per WÐfÑ . Esempio 23.3.11 Sia f : ‘ Ä ‘ la funzione che associa ad ogni numero intero positivo il suo fattoriale (cfr. sez. 13.3), cosicché fÐ8Ñ ³ 8! con WÐfÑ œ ™ . Ogni punto del dominio di f è un punto isolato e (quindi) f è continua (cfr. Osservazione 22.2.1) . Sia y la restrizione a Ò1, _Ñ della funzione “parte intera" (cfr. sez. 21.1), cosicché yÐBÑ ³ ÒBÓ con WÐyÑ œ Ò1, _) e ogni punto del dominio di y è di accumulazione. In particolare, si ha che 1 è punto di accumulazione per WÐf ‰ yÑ ; lim yÐxÑ œ 3 ; xÄ1 f è continua in 3 ; ma 3 non è punto di accumulazione per WÐfÑ e dunque non ha senso considerare lim fÐyÑ . CÄ$ Si noti che, comunque, in accordo col teorema 23.3.4, si ha lim fÐyÐxÑÑ œ lim ÒxÓ! œ Ò1Ó! œ 6 . xÄ1 xÄ1 Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 183 Osservazione 23.3.12 Nella situazione del teorema 23.3.4, se C!  WÐfÑ allora per ogni B − WÐf ‰ yÑ deve essere y(B) Á C! ; dunque vale la Ð+Ñ e il teorema può essere utilizzato per calcolare lim Ðf ‰ yÑÐxÑ . x Ä B! In sostanza, il teorema 23.3.4 può essere certamente utilizzato ogni volta che (3) C!  WÐfÑ oppure (33) C! − WÐfÑ e f è continua in C! . Osservazione 23.3.13 L’uso combinato dei teoremi 23.3.1 e 23.3.4 consente in molti casi il calcolo del x Infatti si ha ŠfÐxÑ‹ gÐxÑ œ +gÐxцlog+ ÐfÐxÑÑ lim ŠfÐxÑ‹ Ä B! gÐxÑ . per ogni + − ‘ \Ö1× ; inoltre, poiché le funzioni exp+ e log+ sono continue (teorema 22.1.7 e corollario 22.3.11), è certamente verificata una delle due condizioni Ð3Ñ, Ð33Ñ dell’osservazione 23.3.12 . " Esempio 23.3.14 x lim Ðx 2Ñx†sinÐ x Ñ œ 1 Ä! 23.4 - Limiti notevoli (e altri limiti) che coinvolgono funzioni trigonometriche. 23.4.1 x ÐxÑ œ lim 1cos # Ä! x 1 2 Dimostrazione - Si ha ÐxÑ ÐxÑ œ lim 1cos † lim 1cos x# x# xÄ! xÄ! œ lim sinx#ÐxÑ † xÄ! # 1 1cosÐxÑ 23.4.2 1cosÐxÑ 1cosÐxÑ œx lim Ä! œ x lim Ä! x 1cos# ÐxÑ x# † 1 1cosÐxÑ œ 2 sinÐxÑ x † x lim Ä! 1 1cosÐxÑ œ 1 2 . œ1† 1 1 œ1 lim tgÐxxÑ œ 1 Ä! Dimostrazione - Si ha lim tgxÐxÑ œ lim xÄ! xÄ! sinÐxÑ cosÐxÑ x œ lim xÄ! sinÐxÑ cosÐxÑ † 1 x œ lim sinxÐxÑ † xÄ! 1 cosÐxÑ Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 184 23.4.3 x lim Ä! 1cosÐ2xÑ x# œ2 Dimostrazione - Riconducendoci al limite 23.4.1, si ha x lim Ä! 1cosÐ2xÑ x# œ lim 4 † xÄ! 1cosÐ2xÑ Ð2xÑ# 1cosÐyÑ y# œ 4 † lim CÄ! œ4† " # œ2 avendo posto y ³ 2x in applicazione del teorema del cambiamento di variabile (23.3.4). 23.4.4 x tgÐxÑsinÐxÑ x$ lim Ä! œ 1 2 Dimostrazione - Si ha lim xÄ! lim xÄ! sinÐxÑ x 23.4.5 tgÐxÑsinÐxÑ x$ † lim xÄ! œ lim xÄ! 1cosÐxÑ cosÐxÑ x# sinÐxÑ cosÐxÑ sinÐxÑ x$ œ lim xÄ! lim xÄ" 1 "x 1 "x sinÐxÑ x œ lim xÄ! † lim xÄ! sinÐxÑ cos1ÐxÑ 1 1cosÐxÑ x# x$ † lim xÄ! œ 1 cosÐxÑ œ " # † sinÐx 1Ñ œ 2 Dimostrazione - Si ha lim xÄ" 1 "x 1 "x † sinÐx 1Ñ œ lim xÄ" x" x x" x † sinÐx 1Ñ œ lim Ðx 1Ñ † xÄ" sinÐx1Ñ x 1 œ 2. 23.5 - Limiti infiniti. Particolare interesse riveste lo studio dell’andamento della funzione quoziente lim fÐxÑ œ J − ‘\Ö0× e lim gÐxÑ œ 0 . x Ä B! x Ä B! f g quando Nel caso, molto semplice ma esemplare, in cui fÐxÑ ³ 1 , gÐxÑ ³ ± x ± e B! ³ 0 , è facile vedere che il quoziente gf può essere reso arbitrariamente grande scegliendo ± x ± sufficientemente piccolo ; per esprimere tale comportamento di gf , è opportuno ampliare il concetto di “limite”. Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia B! un punto di accumulazione per WÐfÑ. Si dice che il limite per x che tende a B! di fÐxÑ è “più infinito” e si scrive lim fÐxÑ œ _ x Ä B! se Ða & − ‘ ÑÐb $ − ‘ ÑÐB − WÐfÑ ÐB! $ , B! $ Ñ\ÖB! × Ê fÐBÑ &Ñ . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 185 Si dice che il limite per x che tende a B! di fÐxÑ è “meno infinito” e si scrive lim fÐxÑ œ _ x Ä B! Ða & − ‘ ÑÐb $ − ‘ ÑÐB − WÐfÑ ÐB! $ , B! $ Ñ\ÖB! × se Ê fÐBÑ &Ñ . Si dice talvolta che il limite per x che tende a B! di fÐxÑ è “infinito” e si scrive lim fÐxÑ œ _ x Ä B! Ða & − ‘ ÑÐb $ − ‘ ÑÐB − WÐfÑ ÐB! $ , B! $ Ñ\ÖB! × Ê se ossia se x ± fÐBÑ ± &Ñ lim ± fÐxÑ ± œ _. Ä B! Noi tuttavia non useremo mai quest’ultima notazione. Esempi x lim 1x œ _ Ä ! x lim 1 œ _ Ä ! x 23.5.1 23.5.2 lim log+ ÐxÑ œ _ Ä ! per + − Ð1, _Ñ x lim log+ ÐxÑ œ _ Ä ! per + − Ð0, 1Ñ Ð53Ñ x 23.5.3 23.5.4 23.6 - Limite per x che tende a _ o a _. Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia B! un punto di accumulazione per WÐfÑ. La conoscenza del limite per x che tende a B! di fÐxÑ (se tale limite esiste) permette di descrivere l’andamento di f in un intorno di B! . Se WÐfÑ non è limitato superiormente (oppure non è limitato inferiormente), è possibile estendere la definizione di limite in modo da poter talvolta descrivere l’andamento di f quando x assume valori positivi (o, rispettivamente, negativi) arbitrariamente grandi in valore assoluto. Sia f : ‘ Ä ‘ una funzione tale che WÐfÑ non è superiormente limitato. Sia - − ‘. Si dice che - è il limite di f per x che tende a “più infinito” e si scrive lim fÐxÑ œ xÄ _ se per ogni & − ‘ esiste $ − ‘ tale che ÐB − WÐfÑÑ • ÐB $ Ñ Ê ± fÐBÑ - ± & ossia (cfr. Corollario 21.2.2) tale che B − WÐfÑ Ð$ , _Ñ Ê fÐBÑ − Ð- &, - &Ñ . 53 Si osservi che, per il teorema 10.5.6, log+ ÐBÑ œ log +" ÐBÑ. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 186 Si dice che il limite di f per x che tende a “più infinito” è “più infinito” e si scrive lim fÐxÑ œ _ xÄ _ se per ogni & − ‘ esiste $ − ‘ tale che ÐB − WÐfÑÑ • ÐB $ Ñ Ê fÐBÑ & ossia (cfr. Corollario 21.2.2) tale che B − WÐfÑ Ð$ , _Ñ Ê fÐBÑ − Ð&, _Ñ . Si dice che il limite di f per x che tende a “più infinito” è “meno infinito” e si scrive lim fÐxÑ œ _ xÄ _ se per ogni & − ‘ esiste $ − ‘ tale che ÐB − WÐfÑÑ • ÐB $ Ñ Ê fÐBÑ & ossia (cfr. Corollario 21.2.2) tale che B − WÐfÑ Ð$ , _Ñ Ê fÐBÑ − Ð _, &Ñ . Sia f : ‘ Ä ‘ una funzione tale che WÐfÑ non è inferiormente limitato. Sia - − ‘. Si dice che - è il limite di f per x che tende a “meno infinito” e si scrive lim fÐxÑ œ xÄ _ se per ogni & − ‘ esiste $ − ‘ tale che ÐB − WÐfÑÑ • ÐB $ Ñ Ê ± fÐBÑ - ± & ossia (cfr. Corollario 21.2.2) tale che B − WÐfÑ Ð _, $ Ñ Ê fÐBÑ − Ð- &, - &Ñ . Si dice che il limite di f per x che tende a “meno infinito” è “più infinito” e si scrive lim fÐxÑ œ _ xÄ _ se per ogni & − ‘ esiste $ − ‘ tale che ÐB − WÐfÑÑ • ÐB $ Ñ Ê fÐBÑ & ossia (cfr. Corollario 21.2.2) tale che B − W Ð fÑ Ð _ , $ Ñ Ê fÐBÑ − Ð&, _Ñ . Si dice che il limite di f per x che tende a “meno infinito” è “meno infinito” e si scrive lim fÐxÑ œ _ xÄ _ se per ogni & − ‘ esiste $ − ‘ tale che ÐB − WÐfÑÑ • ÐB $ Ñ Ê fÐBÑ & ossia (cfr. Corollario 21.2.2) tale che B − W Ð fÑ Ð _ , $ Ñ Ê fÐBÑ − Ð _, &Ñ . Esempi 23.6.1 23.6.2 23.6.3 x x lim Ä _ 1 x œ0; x lim x# œ _ ; Ä _ x lim x$ œ _ ; Ä _ x x lim Ä _ 1 x œ0; lim x# œ _ ; Ä _ lim x$ œ _ . Ä _ Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 187 Si è così visto che è possibile assegnare significato all’espressione lim fÐxÑ œ x Ä B! anche per B! œ _ (o B! œ _ ) e/o - œ _ (o - œ _ ) . è talvolta comodo ampliare il significato dei termini “intorno” e “punto di accumulazione” in modo da poter estendere anche a questi casi la validità del teorema 23.1.8. Sia $ − ‘ . Diremo intorno di _ individuato da $ l’intervallo aperto Ð$ , _Ñ ; diremo intorno di _ individuato da $ l’intervallo aperto Ð _, $ Ñ. Sia A § ‘. Coerentemente con quanto posto in 21.6, diremo che _ è un punto di accumulazione per A se ad ogni intorno di _ appartiene un elemento di A, ossia se A non è superiormente limitato; diremo che _ è un punto di accumulazione per A se ad ogni intorno di _ appartiene un elemento di A, ossia se A non è inferiormente limitato. Lo studente è invitato a verificare che, con queste definizioni, il teorema 23.1.8 resta valido se B! œ _ (o B! œ _ ) e/o - œ _ (o - œ _ ) . 23.7 - Operazioni in ‘‘ e limiti infiniti. Si può dimostrare abbastanza facilmente che i risultati espressi dai teoremi 23.3.1, 23.3.2 e 23.3.4 continuano a valere se B! indica, anziché un numero reale, uno dei simboli _, _. è inoltre possibile in molti casi determinare il limite per x che tende a B! (con B! − ‘ Ö _, _×) della somma, del prodotto, del quoziente o della potenza di due funzioni anche se il limite di una di queste è _ oppure _ . Teorema 23.7.1 Siano f, g funzioni ‘ Ä ‘, e sia B! un punto di accumulazione per WÐfÑ WÐgÑ (con B! − ‘ Ö _, _×). Allora Ð3Ñ se lim fÐxÑ œ _ ed esiste un intorno di B! nel quale g è inferiormente limitata, allora x Ä B! lim Ðf gÑÐxÑ œ _ ; x Ä B! in particolare : se lim fÐxÑ œ _ e x Ä B! x allora Ð33Ñ lim gÐxÑ œ _ Ä B! x oppure x lim gÐxÑ œ Ä B! con - − ‘ lim Ðf gÑÐxÑ œ _ ; Ä B! se lim fÐxÑ œ _ ed esiste un intorno di B! nel quale g è superiormente limitata, allora x Ä B! lim Ðf gÑÐxÑ œ _ ; x Ä B! in particolare : se lim fÐxÑ œ _ e x Ä B! x allora lim gÐxÑ œ _ Ä B! x oppure x lim gÐxÑ œ Ä B! lim Ðf gÑÐxÑ œ _ ; Ä B! con - − ‘ Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 188 Ð333Ñ lim fÐxÑ œ _ Ä B! reale ! 0, allora se x ed esiste un intorno di B! nel quale g è inferiormente limitata da un numero x lim ÐfgÑÐxÑ œ _ ; Ä B! in particolare : se lim fÐxÑ œ _ e x Ä B! lim gÐxÑ œ _ oppure x Ä B! allora Ð3@Ñ lim fÐxÑ œ _ Ä B! reale ! 0, allora se x x Ð@Ñ lim fÐxÑ œ _ Ä B! reale ! 0, allora se x Ð@3Ñ lim fÐxÑ œ _ Ä B! reale ! 0, allora se x x lim ÐfgÑÐxÑ œ _ ; Ä B! x Ð@33Ñ se Ð@333Ñ se Ð3BÑ se x x lim gÐxÑ œ Ä B! con - − ‘ lim ÐfgÑÐxÑ œ _ ; Ä B! ed esiste un intorno di B! nel quale g è inferiormente limitata da un numero x lim ÐfgÑÐxÑ œ _ ; Ä B! x x lim gÐxÑ œ Ä B! con - − ‘ lim ÐfgÑÐxÑ œ _ ; Ä B! ed esiste un intorno di B! nel quale g è superiormente limitata da un numero x lim ÐfgÑÐxÑ œ _ ; Ä B! in particolare : se lim fÐxÑ œ _ e x Ä B! lim gÐxÑ œ _ oppure x Ä B! allora con - − ‘ ed esiste un intorno di B! nel quale g è superiormente limitata da un numero in particolare : se lim fÐxÑ œ _ e x Ä B! lim gÐxÑ œ _ oppure x Ä B! allora lim gÐxÑ œ Ä B! lim ÐfgÑÐxÑ œ _ ; Ä B! in particolare : se lim fÐxÑ œ _ e x Ä B! lim gÐxÑ œ _ oppure x Ä B! allora x x x lim gÐxÑ œ Ä B! con - − ‘ lim ÐfgÑÐxÑ œ _ ; Ä B! lim ± gÐxÑ ± œ _ , allora lim Ð 1g ÑÐxÑ œ 0 ; Ä B! x Ä B! lim gÐxÑ œ 0 , ed esiste un intorno di B! nel quale g non assume mai valori negativi, Ä B! allora lim Ð 1 ÑÐxÑ œ _ ; x Ä B! g x lim gÐxÑ œ 0 , ed esiste un intorno di B! nel quale g non assume mai valori positivi, Ä B! allora lim Ð 1 ÑÐxÑ œ _ ; x Ä B! g x Dimostrazione - Omettiamo la dimostrazione di questo teorema. Si noti che (@33), (@333) e (3B) possono essere utilizzati per affrontare i quozienti gf grazie alla relazione gf œ f † g1 . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 189 Anche il teorema del cambiamento di variabile (23.3.4) può essere esteso ai casi in cui B! , C! , appartengono a ‘ Ö _, _×. Si noti ancora una volta l’importanza delle condizioni Ð+Ñ, Ð,Ñ, Ð-Ñ del teorema 23.3.4 ; vale sostanzialmente l’esempio 23.3.9: lim ± sgnÐ 1x † sinÐxÑÑ ± non esiste, x Ä B! ma 1 lim lim ± sgnÐyÑ ± œ 1. † sinÐxÑ œ 0 e xÄ _ x CÄ! Esempi 1 lim Ðx 2Ñ ±x†sinÐ "x ѱ œ _. xÄ! 23.7.2 23.7.3 23.7.4 x lim log+ ÐxÑ œ _ Ä _ per + − Ð1, _Ñ Ð54Ñ x lim log+ ÐxÑ œ _ Ä _ per + − Ð0, 1Ñ Ð55Ñ 23.8 - L’insieme esteso dei numeri reali. Alcuni dei risultati espressi dal teorema 23.7.1 possono essere facilmente ricordati “estendendo” le operazioni di somma, prodotto, quoziente, elevamento a potenza (con base positiva) all’insieme ‘ Ö _, _× (detto talvolta insieme dei numeri reali esteso). Se si pone, ad esempio, Ð _Ñ Ð _Ñ ³ _ ; Ð _Ñ Ð _Ñ ³ _ ; e, per ! − ‘, ! Ð _Ñ ³ _ ; Ð _Ñ ! ³ _ ; ! Ð _Ñ ³ _ ; Ð _Ñ ! ³ _ ; l’enunciato del punto Ð3Ñ del teorema 23.3.1 resta valido, in base al teorema 23.7.1, per J , K − ‘ Ö _, _× purché non sia J œ _ e K œ _ oppure J œ _ e K œ _. Lo studente può, se crede, descrivere in una tabella le possibili estensioni a ‘ Ö _, _× delle operazioni di somma, prodotto, quoziente, elevamento a potenza, in modo da poter interpretare quanta più parte possibile dell’enunciato del teorema 23.7.1 come un’estensione del teorema 23.3.1 : si tratta di un utile esercizio che può avere applicazione pratica nel calcolo dei limiti. Resti però ben chiaro che e † non saranno comunque operazioni in ‘ Ö _, _× nel senso che abbiamo definito in 7.1 (non essendo possibile, ad esempio, definire in coerenza col teorema 23.3.1 la somma Ð _Ñ Ð _Ñ o il prodotto 0 † Ð _Ñ, come vedremo in 23.11) ; mentre sarebbe comunque riduttivo leggere il teorema 23.7.1 solo come estensione del teorema 23.3.1 : infatti, ad esempio, x lim Šx sinÐxÑ‹ Ä _ è calcolabile mediante il teorema 23.7.1 perché lim x œ _ xÄ _ esiste x 54 Si e sinÐxÑ Ÿ 1 per ogni B − ‘, ma non lim sinÐxÑ. Ä _ tenga presente 23.5.3 e si ricordi che log+ Ð "x Ñ œ log+ Ð1Ñ log+ ÐBÑ œ log+ ÐBÑ. 55 Si tenga presente 23.5.4 e si ricordi ancora quanto osservato nella nota precedente. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 190 23.9 - Il numero / ed alcuni limiti notevoli ad esso collegati. lim Š1 xÄ _ Si dimostra che esiste il 1 x ‹ x e che si tratta di un numero reale (irrazionale) compreso tra 2 e 3 (il cui valore approssimato è 2,718281828459á ) . Tale numero si indica con /. Dunque lim Š1 1x ‹ . xÄ _ Vediamo in questa sezione alcuni limiti notevoli collegati a questo fatto. x /³ 23.9.1 lim Š1 xÄ _ 1 x ‹ œ /. x Dimostrazione - Posto y ³ x (da cui x œ y), si ha x Š1 D’altro lato, si ha 1 y ‹ y lim Š1 Ä _ œ Š yy 1 ‹ y 1 x ‹ œ lim Š1 C Ä _ x 1 y y y lim Š1 1y ‹ œ lim Š1 C Ä _ C Ä _ Poniamo infine D ³ C 1 (da cui C œ D 1). Allora y 1 y1 ‹ œ lim Š1 D Ä _ y 23.9.2 Per ogni + − ‘ \Ö1× , 1 z ‹ z 1 1 y1 1 log/ Ð+Ñ 1 y1 ‹ y ‹ . œ lim Š1 D Ä _ lim log+ Ðx1xÑ œ log+ Ð/Ñ œ xÄ! Dimostrazione - Si ha y œ Š yy 1 ‹ œ Š yy11 1 ‹ œ Š1 e dunque lim Š1 C Ä _ ‹ . y 1 z ‹ † Š1 z 1 z ‹ œ /. . lim log+ Ðx1xÑ œ lim log+ ŠÐ1 xÑ x ‹ œ x Ä ! x Ä ! " (ponendo y ³ " x œ lim log+ ŠÐ1 C Ä _ ) (ponendo z ³ Ð1 " y CÑ ) " y CÑ ‹ œ œ lim log+ ÐzÑ œ log+ Ð/Ñ. DÄ/ Analogamente, per 23.9.1 si trova che x lim log+ Ðx1xÑ œ log+ Ð/Ñ Ä ! e dunque si ha l’asserto per il teorema 23.2.4. 23.9.3 Per ogni + − ‘ si ha x lim Ä! + x 1 x œ log/ Ð+Ñ . x Dimostrazione - Se + œ 1, la funzione + x1 è la funzione costante uguale a zero in ‘\Ö0×, e l’asserto segue dalla definizione stessa di limite (cfr. 23.1). Se + Á 1, si pone y ³ +x 1 (da cui x œ log+ Ð1 yÑ ). Ricordando il limite 23.9.2, si ha x lim Ä! + x 1 x œ lim CÄ! y log+ Ð1yÑ œ 1 lim CÄ! log+ Ð1yÑ y œ log/ Ð+Ñ . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 191 I limiti 23.9.2 e 23.9.3 suggeriscono la scelta di / quale base per la funzione logaritmo definita in 10.5 . L’utilità di tale scelta sarà definitivamente chiarita più avanti (24.2.11). Le funzioni exp/ e log/ si dicono rispettivamente esponenziale (senza altro specificare) e logaritmo naturale, e si indicano rispettivamente con exp e ln. Dai limiti 23.9.2 e 23.9.3 segue per + ³ / 23.9.4 x lim lnÐ1xxÑ œ 1 Ä! ; x lim Ä! / x 1 x œ 1. Esercizio 23.9.5 Calcolare x ˆ Soluzione - Si ha Conviene allora porre y ³ x lim ˆ Ä _ x 5 x 3 ‰ x 1 x$ # x 5 x 3 ˆ lim Ä _ ‰ x 1 œ ˆ x 3 2 x 3 x 5 x 3 ‰ x 1 . ‰ x 1 œ Š 1 2 x3 # (da cui x œ 2y 3, x 1 œ 2y 2, œ lim ˆ1 xÄ _ 2 x 3 ‰ x 1 œ lim Š1 C Ä _ 1 y ‹ x$ ‹ 2y2 x 1 œ . " C ) ; dunque œ lim Š1 C Ä _ 1 y ‹ y #C# C œ /# 23.10 - Forme “non immediate”. Siano f, g funzioni ‘ Ä ‘, e sia B! un punto di accumulazione per WÐfÑ WÐgÑ (con B! − ‘ Ö _, _×) per il quale esistono lim fÐxÑ e lim gÐxÑ . x Ä B! x Ä B! Se x lim fÐxÑ œ _ Ä B! e x lim gÐxÑ œ _ , Ä B! i teoremi 23.3.1 e 23.7.1 non consentono di calcolare il lim (fÐxÑ gÐxÑ) ; x Ä B! si dice che tale limite si presenta nella forma “non immediata” _ _ . Parimenti, se e lim fÐxÑ œ 0 lim gÐxÑ œ 0 , x Ä B! x Ä B! oppure e lim fÐxÑ œ „ _ lim gÐxÑ œ „ _ , x Ä B! x Ä B! i teoremi 23.3.1 e 23.7.1 non consentono di calcolare il lim x Ä B! fÐxÑ gÐxÑ ; si dice allora che tale limite si presenta nella forma “non immediata” 0 0 oppure, rispettivamente, _ _ . Si individuano analogamente forme “non immediate” indicate con 0 † _, 00 , 1_ , _0 . Tutte queste situazioni possono essere spesso affrontate con successo utilizzando sapientemente il teorema 23.3.4 e i “limiti notevoli” conosciuti (fra i quali segnaliamo: 23.1.4, 23.4.1, 23.4.2, la definizione di /, 23.9.2 e 23.9.3); tali mezzi non sono però sempre sufficienti: non consentono ad esempio di calcolare lim x † lnÐxÑ xÄ! oppure x lim Ä _ lnÐxÑ x . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 192 Vedremo nel capitolo 26 teoremi molto utili per il calcolo di limiti che si presentano in forme “non immediate” . Osservazione 23.10.1 Siano f, g funzioni ‘ Ä ‘ e sia B! un punto di accumulazione per WÐfÑ WÐgÑ. Esista un intorno I di B! tale che fÐBÑ 0 per B − I\ÖB! ×, e sia lim fÐxÑ œ 0 , lim gÐxÑ œ _. x Ä B! x Ä B! Allora x lim ÐfÐxÑÑgÐxÑ œ lim /ln ÐÐfÐxÑÑ Ä B! x Ä B! gÐxÑ Ñ œ lim /gÐxцln ÐfÐxÑÑ œ 0 x Ä B! lim gÐxÑ † lnÐfÐxÑÑ œ _ perché B Ä B! essendo lim gÐxÑ œ _ lim ln ÐfÐxÑÑ e B Ä B! Ð23.3.4Ñ B Ä B! œ lim ln ÐyÑ œ _. CÄ! 23.11 - Esercizi sui limiti. 23.11.1 x 23.11.2 x lim Ðx sinÐxÑÑ œ _ Ä _ x 23.11.4 x x x x lim Ä " x x 1 (Dir è la funzione di Dirichlet, cfr. 21.1) xx# sinÐ "x Ñ x# œ _ lim x1 œ _ Ä ! x 23.11.6 23.11.7 lim sinÐxÑ non esiste) Ä _ lim cosÐxx3Ñ œ _ Ä ! lim x Ä ! 23.11.5 23.11.9 x lim ÐlnÐxÑ DirÐxÑÑ œ _ Ä ! 23.11.3 23.11.8 (si noti che lim Ä ! lim Ä ! 1 lnÐxÑ 1 x†¸sinˆ 1x ‰¸ œ _; lim Šsin ˆ xÄ _ x 1 x ‰‹ œ 0 œ0 œ _ lim Ä " x x 1 œ _; x (cfr. oss. 23.10.1). Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 193 23.11.10 LIMITI DELLA FORMA “_ _” x lim Ðx Ð1 xÑÑ œ 1 ; Ä _ x lim Ð2x xÑ œ _ ; Ä _ x lim Ðx ÐsinÐxÑ xÑÑ non esiste ; Ä _ 23.11.11 LIMITI DELLA FORMA “ _ _” 2 1 x 2x1 x lim œ lim 1 œ 2 ; Ä _ x 1 x Ä _ 1 x # 3x x2 lim œ lim x Ä _ 2x5 xÄ _ $ 3 1x x x 5 lim œ lim % # x Ä _ 2x 3x 4 x Ä _ x 2 x 1 x 2 x# 5 # x 2 1 x$ 3 x# œ _; 5 x% 4 x% œ0; Ðx†ÐsinÐxÑ2ÑÑ lim non esiste ; x Ä _ 23.11.12 LIMITI DELLA FORMA “0 † _” Ogni limite della forma “ _ _ ” può essere interpretato come un limite della forma “0 † _”. 23.11.13 LIMITI DELLA FORMA “ !! ” lim Ä! sinÐxÑ x œ1; lim xÄ! x# sinÐxÑ œ0; lim Ä! sinÐxÑ x$ œ _; x x lim xÄ! x†sinÐ "x Ñ x non esiste ; 23.11.14 LIMITI DELLA FORMA “1_ ” Esempi di limiti di questa forma sono stati presentati nella sezione 23.9. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 194 23.11.15 ESERCIZI DI RIEPILOGO Si calcolino, qualora esistano, i seguenti limiti: lim xÄ! x lim Ä! lim xÄ! ln(1sin(x# )) 1cos(x) . ln(22†sin(x)) cos(x)x . 3†cos# ÐxÑcosÐxÑ4 /#x 12†/x lim Ä! /#†sinÐxÑ 2 x# cos(x# ) lim xÄ! /sinÐx Ñ 1 cos(x)1 x . . # x lim Ä! Èx# 4x2 Èx# 4x2 È2x3 È2x3 . Ð3x# 2xцlnÐ1 sinÐx xÑ Ñ Ðx1цsin(x) . Ð2x# 3xцlnÐ1 cosÐx xÑ Ñ Ðx2цcos(x) . lim xÄ _ lim xÄ _ x . lim Ð x# x# † cos Ð ln Ð 1 Ä _ x lim Ð x# x# † cos Ð sin Ð Ä _ " x x lim x Ð/ x 1Ñ Ä _ lim x † lnÐ1 Ä _ lim xÄ _ 1 x xsin(x) xcos(x) ц ln(1 1x ) . Ñ Ñ Ñ. Ñ Ñ Ñ. . xcos(x) xsin(x) É/ sinÐx xÑ 3 2 1 x 1 x 1 x . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 195 24.- DERIVATE 24.1 - Incremento. Rapporto incrementale. Sia f : ‘ Ä ‘ una funzione. Se +, , − WÐfÑ, il numero reale fÐ,Ñ fÐ+Ñ si dice incremento della f (anche se è un numero negativo!) relativo all’intervallo Ò+, ,Ó. Naturalmente, questo dato risulta più significativo se viene rapportato all’ampiezza dell’intervallo considerato. Si dice rapporto incrementale della f (relativo all’intervallo Ò+, ,Ó) il numero reale fÐ,ÑfÐ+Ñ ,+ . Osservazione 24.1.1 Sia f : ‘ Ä ‘ una funzione, e siano +, , − WÐfÑ. Siano A ´ Ð+, fÐ+ÑÑ e B ´ Ð, , fÐ,ÑÑ i punti del grafico di f aventi ascissa rispettivamente + e , . La retta per A e B (che talvolta viene detta corda del grafico relativa all’intervallo Ò+, ,Ó) ha equazione (teorema 16.3.1) x+ ,+ œ yfÐ+Ñ fÐ,ÑfÐ+Ñ ossia fÐ+Ñ y œ fÐ,Ñ Ðx +Ñ fÐ+Ñ ,+ e dunque ha per coefficiente angolare il rapporto incrementale di f relativo all’intervallo Ò+, ,Ó. 24.2 - Derivata in un punto. Sia f : ‘ Ä ‘ una funzione, e sia B! un punto interno a WÐfÑ . Per ogni numero reale 2 tale che B! 2 − WÐfÑ è definito il rapporto incrementale di f relativo all’intervallo ÒB! , B! 2Ó ; esso è dunque una funzione di h, detta spesso rapporto incrementale di f relativo a B! , il cui dominio (essendo per ipotesi B! interno a WÐfÑ) è un intorno forato di 0 . Tale funzione presenta una singolarità per h ³ 0. Se tale singolarità è eliminabile, la funzione f si dice derivabile in B! , e il numero reale lim fÐB! hhÑfÐB! Ñ 2Ä! si dice derivata di f in B! . Dunque se B! − ‘ e f è una funzione ‘ Ä ‘ si dice che f è derivabile in B! se: - B! è un punto interno al dominio di f e inoltre - esiste ed è finito il lim 2Ä! fÐB! hÑfÐB! Ñ h . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 196 Si noti che lim 2Ä! fÐB! hÑfÐB! Ñ h fÐB! Ñ œ lim fÐBÑ . x Ä B! BB! La derivata di f in B! , se esiste, si indica di solito con uno dei seguenti simboli: df f ’ÐB! Ñ Df dx B! B! . Esempio 24.2.1 Consideriamo un punto materiale che si muove lungo una traiettoria rettilinea partendo da un certo punto P in un dato istante. Possiamo descrivere il moto del punto materiale esprimendo la sua posizione (cioè la sua distanza da P, misurabile con un numero reale!) in funzione del tempo trascorso dall’istante iniziale (56) ; si ottiene così una funzione s : ‘ Ä ‘ definita da sÐtÑ ³ distanza del punto materiale da P dopo il tempo t. sÐtÑ sÐt! Ñ Sia >! un numero reale positivo. Allora è l’incremento (relativo all’intervallo di tempo Ò>! , >Ó) della distanza del punto materiale da P, cioè lo spazio percorso tra gli istanti >! e >. Rapportando questo numero all’ampiezza dell’intervallo di tempo considerato si ottiene il rapporto incrementale della funzione s sÐ>ÑsÐ>! Ñ >>! che in questo caso è detto velocità media relativa all’intervallo di tempo Ò>! , >Ó. Se consideriamo intervalli di tempo di ampiezza diversa, la velocità media ad essi relativa cambia in generale; ed è chiaro che tale velocità media descrive tanto meglio la “velocità all’istante >! ” quanto più piccolo è l’intervallo considerato. Se esiste, ed è finito, il limite lim > Ä >! sÐ>ÑsÐ>! Ñ >>! si dice velocità istantanea in >! . Esempio 24.2.2 Sia fÐxÑ ³ 1 x . Mostriamo che per ogni B! − WÐfÑ la funzione f è derivabile in B! , e che si ha f ’ÐB! Ñ œ B1# . ! Dimostrazione - Si ha lim 2Ä! fÐB! hÑfÐB! Ñ h œ lim 2Ä! 56 Supponiamo œ lim 2Ä! 1 ÐB! hÑÐB! Ñ 1 B! h B1 ! h œ 1 B#! œ lim 2Ä! B! ÐB! hÑ ÐB! hÑÐB! Ñ h œ come si voleva. naturalmente fissate unità di misura per lo spazio e il tempo. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 197 Esempio 24.2.3 Sia fÐxÑ ³ - (con - − ‘, costante). Mostriamo che per ogni B! − ‘ la funzione f è derivabile in B! , e che si ha f ’ÐB! Ñ œ 0. Dimostrazione - Si ha infatti lim 2Ä! fÐB! hÑfÐB! Ñ h œ lim 2Ä! - h œ lim 0 œ 0. 2Ä! Esempio 24.2.4 Sia fÐxÑ ³ x . Mostriamo che per ogni B! − ‘ la funzione f è derivabile in B! , e che si ha f ’ÐB! Ñ œ 1 . Dimostrazione - Si ha infatti lim 2Ä! fÐB! hÑfÐB! Ñ h œ lim 2Ä! B! hB! h œ lim 2Ä! h h œ lim 1 œ 1 . 2Ä! Esempio 24.2.5 Sia fÐxÑ ³ $Èx . Mostriamo che f non è derivabile in 0. Si ha in effetti lim 2Ä! fÐ0hÑfÐ0Ñ h œ lim 2Ä! $È h $È 0 h œ lim 2Ä! $È h h œ lim $É hh$ œ lim $É h1# œ _. 2Ä! 2Ä! Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia B! un punto di accumulazione per WÐfÑ. Se lim 2Ä! fÐB! hÑfÐB! Ñ h œ _ oppure fÐB! hÑfÐB! Ñ h lim 2Ä! œ _, si dice talvolta che f ha derivata infinita in B! . Esempio 24.2.6 Sia fÐxÑ ³ ± x ± . Mostriamo che f non è derivabile in 0. Si ha in effetti lim 2 Ä ! fÐ0hÑfÐ0Ñ h œ lim 2 Ä ! ±0h±±0± h œ lim 2 Ä ! h 0 h œ lim 1 œ 1 2 Ä ! mentre lim 2 Ä ! fÐ0hÑfÐ0Ñ h œ lim 2Ä! ±0h±±0± h œ lim 2Ä! h 0 h œ lim 1 œ 1. 2Ä! Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 198 Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia B! un punto di accumulazione per WÐfÑ. Se esistono, i limiti lim 2 Ä ! fÐB! hÑfÐB! Ñ h e lim 2 Ä ! fÐB! hÑfÐB! Ñ h si dicono, rispettivamente, derivata destra e derivata sinistra della f in B! . Osservazione 24.2.7 Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia B! un punto interno a WÐfÑ. Per il teorema 23.2.4, f è derivabile in B! se e solo se esistono, sono finite e sono uguali fra loro le derivate destra e sinistra di f in B! . Esercizio 24.2.8 Stabilire se la funzione x † ± x ± è derivabile in tutto il suo dominio. Esempio 24.2.9 Sia 8 − ™ , e sia fÐxÑ ³ x8 . Mostriamo che per ogni B! − ‘ la funzione f è derivabile in B! , e che si ha f ’ÐB! Ñ œ 8x8" . ! Dimostrazione - Si ha infatti lim 2Ä! fÐB! hÑfÐB! Ñ h œ lim 2Ä! ÐB! hÑ8 B8! h (dove * tende a ˆ 82 ‰ B8# quando h tende a zero) ! œ lim 2Ä! # 8B8" ! h h * h œ œ lim Ð8B8" h*Ñ œ 8B8" . ! ! 2Ä! Esempio 24.2.10 Sia ! − ‘, e sia fÐxÑ ³ x! . Si può dimostrare che per ogni B! − ‘ la funzione f è derivabile in B! , e che si ha f ’ÐB! Ñ œ !B!! " . Esempio 24.2.11 Sia + − ‘ \Ö1×, e sia fÐxÑ ³ log+ ÐxÑ . Mostriamo che per ogni B! − ‘ la funzione f è derivabile in B! , e che si ha f ’ÐB! Ñ œ B1! † log+ Ð/Ñ. In particolare, la derivata in B! della funzione lnÐxÑ è 1 B! . Dimostrazione - Si ha lim 2Ä! fÐB! hÑfÐB! Ñ h œ lim 2Ä! œ lim 2Ä! œ avendo posto y ³ h B! 1 B! lim 2Ä! log+ Ð 1 log+ Ð 1 h B! log+ ÐB! hÑlog+ ÐB! Ñ h h B! h h B! Ñ œ Ñ œ lim 2Ä! 1 B! lim CÄ! e ricordando il limite notevole 23.9.2. log+ Ð œ lim 2Ä! log+ Ð 1 h B! h B! Ñ †B! log+ Ð 1yÑ y œ B! h B! h Ñ œ œ 1 B! † log+ Ð/Ñ Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 199 Esempio 24.2.12 Sia + − ‘ , e sia fÐxÑ ³ +x . Mostriamo che per ogni B! − ‘ la funzione f è derivabile in B! , e che si ha f ’ÐB! Ñ œ +B! † lnÐ+Ñ. In particolare, la derivata in B! della funzione /x è /B! . Dimostrazione - Si ha lim 2Ä! fÐB! hÑfÐB! Ñ h lim 2Ä! œ lim 2Ä! +B! Ð+h 1Ñ h +B! h +B! h œ +B! † lim 2Ä! œ lim 2Ä! + h 1 h +B! +h +B! h œ œ +B! † lnÐ+Ñ ricordando il limite notevole 23.9.3. Esempio 24.2.13 Sia fÐxÑ ³ sinÐxÑ . Mostriamo che per ogni B! − ‘ la funzione f è derivabile in B! , e che si ha f ’ÐB! Ñ œ cosÐB! Ñ. Dimostrazione - Si ha lim 2Ä! sinÐB! hÑsinÐB! Ñ h œ lim sinÐB! ÑcosÐhhÑsinÐB! Ñ 2Ä! œ lim 2Ä! cosÐB! ÑsinÐhÑ h sinÐB! ÑcosÐhÑcosÐB! ÑsinÐhÑsinÐB! Ñ h sinÐB! ÑcosÐhÑsinÐB! Ñ lim œ 2lim h Ä! 2Ä! œ sinÐB! Ñ † lim cosÐhhÑ1 cosÐB! Ñ † lim 2Ä! 2Ä! œ sinÐB! Ñ † lim h † 2Ä! œ 1cosÐhÑ h# sinÐhÑ h cosÐB! Ñ †2 lim Ä! cosÐB! ÑsinÐhÑ h œ œ sinÐhÑ h œ œ sinÐB! Ñ † 0 cosÐB! Ñ † 1 œ cosÐB! Ñ ricordando i limiti notevoli 23.4.1 e 23.1.4. Esempio 24.2.14 Sia fÐxÑ ³ cosÐxÑ . Mostriamo che per ogni B! − ‘ la funzione f è derivabile in B! , e che si ha f ’ÐB! Ñ œ sinÐB! Ñ. Dimostrazione - Si ha lim 2Ä! cosÐB! hÑcosÐB! Ñ h œ lim cosÐB! ÑcosÐhhÑcosÐB! Ñ 2Ä! œ lim 2Ä! sinÐB! ÑsinÐhÑ h cosÐB! ÑcosÐhÑsinÐB! ÑsinÐhÑcosÐB! Ñ h cosÐB! ÑcosÐhÑcosÐB! Ñ lim œ 2lim h Ä! 2Ä! œ cosÐB! Ñ † lim cosÐhhÑ1 sinÐB! Ñ † lim sinhÐhÑ œ cosÐB! Ñ † lim h † 2Ä! 2Ä! 2Ä! 1cosÐhÑ h# œ cosÐB! Ñ † 0 sinÐB! Ñ † 1 œ sinÐB! Ñ ricordando i limiti notevoli 23.4.1 e 23.1.4. œ sinÐB! ÑsinÐhÑ h œ sinÐB! Ñ † lim sinhÐhÑ œ 2Ä! Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 200 24.3 - Significato geometrico della derivata in un punto. Tangente al grafico in un punto. Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia B! un punto interno a WÐfÑ. Sia poi 2 − ‘\Ö0× tale che B! 2 − WÐfÑ, e consideriamo i due punti P! ´ ÐB! , fÐB! ÑÑ, P ´ ÐB! 2 , fÐB! 2ÑÑ del grafico di f. Si è osservato in 24.1.1 che la retta per P! e P ha per coefficiente angolare il rapporto incrementale di f relativo all’intervallo ÒB! , B! 2Ó. Se esiste il limite per 2 che tende a 0 del rapporto incrementale di f relativo all’intervallo ÒB! , B! 2Ó (cioè, se esiste la derivata di f in B! ), si definisce la tangente in P! al grafico di f. Precisamente: se f è derivabile in B! , si dice tangente in P! al grafico di f la retta passante per P! di coefficiente angolare f ’ÐB! Ñ ; tale retta, come sappiamo (cfr. 16.5.F1), ha equazione y œ f ’ÐB! ÑÐx B! Ñ fÐB! Ñ. se f ha derivata infinita in B! , si dice tangente in P! al grafico di f la retta passante per P! parallela all’asse delle ordinate; tale retta, come sappiamo (cfr. teorema 16.2.2), ha equazione x œ B! . Esempio 24.3.1 Sia fÐxÑ ³ x# , e sia B! ³ 1. Poiché (cfr. esempio 24.2.9) f ’ÐB! Ñ œ 2B! œ 2, la retta tangente in P! Ð1, 1Ñ al grafico di f è la retta di equazione y œ 2 Ð x 1Ñ 1 ossia y œ 2x 1. Si noti che tale retta ha il solo punto P! in comune col grafico di f. Anche la retta di equazione xœ1 ha il solo punto P! in comune col grafico di f ; tuttavia quest’ultima retta, secondo la nostra definizione, non è da considerarsi tangente al grafico di f. Esempio 24.3.2 Sia fÐxÑ ³ sinÐxÑ, e sia B! ³ 0. Poiché (24.2.13) f ’ÐB! Ñ œ cosÐB! Ñ œ 1, la retta tangente in P! Ð0, 0Ñ al grafico di f è la retta di equazione y œ x. Esempio 24.3.3 Sia fÐxÑ ³ cosÐxÑ, e sia B! ³ 0. Poiché (24.2.14) f ’ÐB! Ñ œ sinÐB! Ñ œ 0, la retta tangente in P! Ð0, 1Ñ al grafico di f è la retta di equazione y œ 1. Si noti che tale retta ha infiniti punti in comune col grafico di f. Esempio 24.3.4 " Sia fÐxÑ ³ x $ , e sia B! ³ 0. Come si è visto in 24.2.5, f in B! ha derivata infinita. Dunque la retta tangente in B! al grafico di f è l’asse delle ordinate. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 201 Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia B! un punto interno a WÐfÑ. Se esiste la derivata sinistra di f in B! , si definisce la tangente a sinistra in P! al grafico di f. Precisamente: se la derivata sinistra di f in B! è un numero . , si dice tangente a sinistra in P! al grafico di f la retta passante per P! di coefficiente angolare . , di equazione y œ .Ðx B! Ñ fÐB! Ñ. se la derivata sinistra di f in B! è _ oppure _, si dice tangente a sinistra in P! al grafico di f la retta passante per P! parallela all’asse delle ordinate, di equazione x œ B! . Se esiste la derivata destra di f in B! , si definisce in modo del tutto analogo la tangente a destra in P! al grafico di f. Sia f una funzione ‘ Ä ‘ . I punti interni al dominio di f possono essere classificati con pittoreschi nomi considerando in essi le eventuali derivate destra e sinistra di f . Sia B! un punto interno al dominio di f . Se in B! esistono e sono diverse le derivate sinistra e destra di f , si dice che f presenta in B! un punto angoloso (o, con linguaggio più antico, un punto angolare) , distinguendo ulteriormente tra: punto cuspidale, se la derivata sinistra di f in B! è _ e la derivata destra di f in B! è _, o viceversa (e in tal caso il punto P! ´ ÐB! , fÐB! ÑÑ del grafico di f si dice una cuspide) ; e punto angoloso proprio se le due derivate sinistra e destra di f in B! non sono entrambe infinite. Esempio 24.3.5 La funzione fÐxÑ ³ x# +x kxk presenta in 0 un punto angoloso proprio. Esempio 24.3.6 La funzione fÐxÑ ³ $Èx# presenta in 0 un punto cuspidale. Ciò si può esprimere con parole diverse ma equivalenti dicendo che: l’origine è una cuspide per il grafico di f . Osservazione 24.3.7 Sia f una funzione ‘ Ä ‘ , e sia P! ´ ÐB! , fÐB! ÑÑ una cuspide per il grafico di f . In base alle definizioni che abbiamo dato, la retta r di equazione x œ B! è tangente in P! al grafico di f sia a sinistra che a destra; tale retta si può dunque considerare tangente tout court in P! al grafico di f . Si noti che esistono un intorno sinistro e un intorno destro di B! tali che i corrispondenti archi del grafico di f giacciono in semipiani opposti rispetto a r : ciò si esprime dicendo che la tangente in P! attraversa il grafico di f . Vedremo una situazione analoga nell’osservazione 27.4.3 . 24.4 - Continuità e derivabilità. Teorema 24.4.1 Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia B! un punto interno a WÐfÑ. Se f è derivabile in B! , allora f è continua in B! . Dimostrazione - Per l’osservazione 23.1.1, si tratta di provare che lim fÐxÑ œ fÐB! Ñ. x Ä B! In effetti, fÐB! Ñ fÐxÑ œ fÐxxÑ B! Ðx B! Ñ fÐB! Ñ e dunque, poiché x come si voleva. x lim Ä B! fÐxÑfÐB! Ñ xB! esiste ed è un numero f ’ÐB! Ñ − ‘, si ha fÐB! Ñ lim fÐxÑ œ lim Š fÐxxÑ Ðx B! Ñ fÐB! Ñ‹ œ f ’ÐB! Ñ † 0 fÐB! Ñ œ fÐB! Ñ B! Ä B! x Ä B! Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 202 Esempio 24.4.2 Sia 1 $È x fÐxÑ ³ $ Èx se x 0 se x 0 La funzione f non è continua in B! ³ 0 ; il limite del rapporto incrementale esiste ed è uguale a _. Esempio 24.4.3 Sia x# fÐxÑ ³ œ 0 se x − se x  La funzione f è derivabile solo in B! ³ 0 , ed è continua solo in B! ³ 0. 24.5 - Funzione derivata. Derivazione. Sia f una funzione ‘ Ä ‘. La funzione ‘ Ä ‘ che ad ogni numero reale B in cui f è derivabile associa la derivata di f in B si dice funzione derivata della f (o anche, semplicemente, derivata della f) e si indica con f ’. La (funzione) derivata di f porta dunque B in f ’ÐBÑ, coerentemente con la notazione stabilita in 24.2. Il dominio di f ’ è il sottoinsieme di WÐfÑ formato dai punti in cui f è derivabile. Se I § WÐf ’Ñ, si dice che f è derivabile in I ; se WÐf ’Ñ œ WÐfÑ, si dice che f è derivabile. In 24.2 abbiamo visto che: la derivata di una funzione costante è la funzione costante uguale a zero ; la derivata della funzione x8 è la funzione 8x8" ; la derivata della funzione sinÐxÑ è la funzione cosÐxÑ ; la derivata della funzione cosÐxÑ è la funzione sinÐxÑ ; la derivata della funzione /x è la funzione /x stessa ; la derivata della funzione lnÐxÑ è la restrizione a ‘ della funzione 1 x ; ecc., ecc.. Lo studente è invitato a costruirsi una “tabella” con le derivate delle funzioni elementari (cfr. 21.1). Altre informazioni in questo senso saranno ricavabili dalla sezione 24.8. I teoremi delle sezioni 24.6, 24.7 e 24.8, assieme alle informazioni raccolte in tale “tabella”, consentiranno di ottenere la derivata di ogni funzione che avremo occasione di considerare. La funzione ‘‘ Ä ‘‘ che a ogni funzione ‘ Ä ‘ associa la sua derivata si dice derivazione. Sia f una funzione ‘ Ä ‘. La funzione derivata della funzione derivata di f si dice derivata seconda di f e si indica col simbolo f ’’ (oppure f Ð#Ñ ). Più in generale, se n − si pone f Ð8Ñ ÐxÑ ³ Ðf Ð8"Ñ Ñ ’ÐxÑ. La f Ð8Ñ ÐxÑ si dice derivata 8 sima (o anche derivata di ordine 8) di f. Se I § WÐf Ð8Ñ Ñ, si dice che f è derivabile 8 volte in I ; se I § WÐf Ð8Ñ Ñ per ogni 8 − , si dice che f è derivabile infinite volte in I . Sia I § ‘. L’insieme delle funzioni derivabili in I si indica con ·ÐIÑ. L’insieme delle funzioni derivabili 8 volte in I con derivata 8 sima continua si indica con VÐ8Ñ ÐIÑ (si noti che, per il teorema 24.4.1, anche le derivate 3 sime di tali funzioni sono continue per ogni 3 8). L’insieme delle funzioni derivabili infinite volte in I (con derivate necessariamente tutte continue in I per il teorema 24.4.1) si indica con VÐ_Ñ ÐIÑ. V Ð_Ñ Se I œ ÖB! ×, si scrive rispettivamente ·ÐB! Ñ, VÐ8Ñ ÐB! Ñ e VÐ_Ñ ÐB! Ñ anziché ·ÐÖB! ×Ñ, VÐ8Ñ ÐÖB! ×Ñ e ÐÖB! ×Ñ ; se I œ Ð+, ,Ñ, si scrive ·Ð+, ,Ñ anziché ·ÐÐ+, ,ÑÑ . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 203 24.6 - Compatibilità tra derivazione e operazioni (somma, prodotto, quoziente) tra funzioni. Teorema 24.6.1 Sia B! − ‘ ; siano f, g − ·ÐB! Ñ, e sia - − ‘. Allora f g, -f − ·ÐB! Ñ e si ha che Ðf gÑ’ÐB! Ñ œ f ’ÐB! Ñ g’ÐB! Ñ Ð-fÑ’ÐB! Ñ œ - † f ’ÐB! Ñ. Dimostrazione - Si ha Ðf gÑ’ÐB! Ñ œ lim 2Ä! lim 2Ä! ÐfgÑÐB! hÑÐfgÑÐB! Ñ h œ lim 2Ä! fÐB! hÑgÐB! hÑfÐB! ÑgÐB! Ñ h œ lim fÐB! hhÑfÐB!Ñ 2Ä! fÐB! hÑfÐB! ÑgÐB! hÑgÐB! Ñ h gÐB! hÑgÐB! Ñ h œ œ œ lim fÐB! hhÑfÐB! Ñ lim gÐB! hhÑgÐB! Ñ œ f ’ÐB! Ñ g’ÐB! Ñ 2Ä! 2Ä! Ð-fÑ’ÐB! Ñ œ lim 2Ä! e œ lim - † 2Ä! Ð-fÑÐB! hÑÐ-fÑÐB! Ñ h fÐB! hÑfÐB! Ñ h œ lim 2Ä! œ - † lim 2Ä! -fÐB! hÑ-fÐB! Ñ h fÐB! hÑfÐB! Ñ h œ œ - † f ’ÐB! Ñ. Corollario 24.6.2 Sia I § ‘ ; siano f , g − ·ÐIÑ, e sia - − ‘. Allora f g, -f − ·ÐIÑ e si ha che Ðf gÑ’ œ f ’ g’ e Ð-fÑ’ œ - † f ’ cosicché ·ÐIÑ è un sottospazio vettoriale di Y ÐIÑ, e la derivazione è un omomorfismo fra spazi vettoriali (cfr. 19.8) di ·ÐIÑ in Y ÐIÑ. Corollario 24.6.3 Sia I § ‘, e sia 8 − . VÐ8Ñ ÐIÑ è un sottospazio vettoriale di Y ÐIÑ, e la derivazione è un omomorfismo fra spazi vettoriali (cfr. 19.8) di VÐ8Ñ ÐIÑ in Y ÐIÑ. Corollario 24.6.4 Sia I § ‘. VÐ_Ñ ÐIÑ è un sottospazio vettoriale di Y ÐIÑ, e la derivazione è un omomorfismo fra spazi vettoriali (cfr. 19.8) di VÐ_Ñ ÐIÑ in VÐ_Ñ ÐIÑ. Teorema 24.6.5 Sia B! − ‘ e siano f, g − ·ÐB! Ñ. Allora fg − ·ÐB! Ñ e si ha ÐfgÑ’ÐB! Ñ œ f ’ÐB! ÑgÐB! Ñ fÐB! Ñg’ÐB! Ñ. Inoltre, se gÐB! Ñ Á 0 è anche 1g − ·ÐB! Ñ e si ha Š 1g ‹ ÐB! Ñ œ ’ g’ÐB! Ñ ÐgÐB! ÑÑ# . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 204 Dimostrazione - Si ha ÐfgÑÐB! hÑÐfgÑÐB! Ñ h ÐfgÑ’ÐB! Ñ œ lim 2Ä! œ lim 2Ä! œ lim 2Ä! fÐB! hÑgÐB! hÑfÐB! ÑgÐB! hÑfÐB! ÑgÐB! hÑfÐB! ÑgÐB! Ñ h œ lim Š fÐB! hÑgÐB! hhÑfÐB! ÑgÐB! hÑ 2Ä! œ lim 2Ä! fÐB! hÑgÐB! hÑfÐB! ÑgÐB! Ñ h gÐB! hÑŠfÐB! hÑfÐB! Ñ‹ h œ Œ lim gÐB! hÑ † Œ lim 2Ä! 2Ä! fÐB! ÑŠgÐB! hÑgÐB! Ñ‹ h ‹œ œ agÐB! hÑgÐB! Ñb h fÐB! Ñ † lim 2Ä! fÐB! hÑfÐB! Ñ h œ fÐB! ÑgÐB! hÑfÐB! ÑgÐB! Ñ h lim 2Ä! œ œ œ gÐB! Ñf ’ÐB! Ñ fÐB! Ñg’ÐB! Ñ. Si ha poi Š g1 ‹ ÐB! Ñ œ lim 2Ä! ’ œ lim 2Ä! gÐB! ÑgÐB! hÑ gÐB! цgÐB! hÑ h Š 1g ‹ÐB! hÑŠ 1g ‹ ÐB! Ñ h 1 gÐB! hÑ œ lim 2Ä! œ lim Š gÐB! цg1ÐB! hÑ † 2Ä! h 1 gÐB! Ñ œ ÐgÐB! hÑgÐB! ÑÑ h ‹ e dunque, ricordando che per ipotesi gÐB! Ñ Á 0 , Š 1g ‹ ÐB! Ñ œ Œ lim 2Ä! ’ œ 1 gÐB! цgÐB! hÑ 1 ÐgÐB! ÑÑ# † Ð 1Ñ † lim 2Ä! † Ð 1Ñ † g’ÐB! Ñ œ gÐB! hÑgÐB! Ñ h g’ÐB! Ñ ÐgÐB! ÑÑ# œ . Corollario 24.6.6 Sia I § ‘. ·ÐIÑ è un sottoanello di Y ÐIÑ; la derivazione non è un omomorfismo fra anelli (cfr. 8.5) di ·ÐIÑ in Y ÐIÑ. Teorema 24.6.7 Sia B! − ‘ ; siano f, g − ·ÐB! Ñ, e sia gÐB! Ñ Á 0. Allora Ð gf Ñ’ÐB! Ñ œ f g − ·ÐB! Ñ e si ha che f ’ÐB! ÑgÐB! ÑfÐB! Ñg’ÐB! Ñ ÐgÐB! ÑÑ# . Dimostrazione - Per il teorema 24.6.5, gf Ð œ f † 1g Ñ − ·ÐB! Ñ e si ha Ð gf Ñ’ÐB! Ñ œ Ðf † 1g Ñ’ÐB! Ñ œ f ’ÐB! Ñ 1g ÐB! Ñ fÐB! ÑÐ 1g Ñ’ÐB! Ñ œ œ f ’ÐB! Ñ gÐB! Ñ fÐB! Ñ † g’ÐB! Ñ ÐgÐB! ÑÑ# œ f ’ÐB! ÑgÐB! ÑfÐB! Ñg’ÐB! Ñ ÐgÐB! ÑÑ# . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 205 Esercizio 24.6.8 Verificare, applicando le regole di derivazione per somma, prodotto e quoziente di funzioni, che: fÐxÑ ³ x& 3x% 1x 2 p f ’ÐxÑ œ 5x% 12x$ 1 fÐxÑ ³ 2x% 5x# 3 p f ’ÐxÑ œ 8x$ 10x fÐxÑ ³ sinÐxÑ cosÐxÑ tgÐxÑ p f ’ÐxÑ œ cosÐxÑ sinÐxÑ tg# ÐxÑ 1 1 tgÐxÑ fÐxÑ ³ tgÐxÑ fÐxÑ ³ 2x log$ ÐxÑ fÐ xÑ fÐ xÑ fÐ xÑ fÐ xÑ fÐ xÑ fÐ xÑ fÐ xÑ ³ ³ ³ ³ ³ ³ ³ p p f ’ÐxÑ œ cosÐ2xÑ sin# ÐxÑcos# ÐxÑ f ’ÐxÑ œ 2x lnÐ2Ñ 1 x†lnÐ3Ñ xsinÐxÑ cosÐxÑ p f ’ÐxÑ œ xcosÐxÑ sinÐxÑcosÐxÑ p f ’ÐxÑ œ cosÐ2xÑ sin# ÐxÑ p f ’ÐxÑ œ sinÐ2xÑ xlnÐxÑ p f ’ÐxÑ œ 1 lnÐxÑ /x sinÐxÑ p f ’ÐxÑ œ /x ÐsinÐxÑ cosÐxÑÑ /x cosÐxÑ p f ’ÐxÑ œ /x ÐcosÐxÑ sinÐxÑÑ x# 2x p f ’ÐxÑ œ x2x ÐxlnÐ2Ñ 2Ñ fÐ xÑ ³ x # 4 x # 4 fÐ xÑ ³ x# 1 x fÐ xÑ ³ 9x1 53x p f ’ÐxÑ œ 48 Ð53xÑ# fÐ xÑ ³ 1 cosÐxÑ p f ’ÐxÑ œ tgÐxÑ cosÐxÑ fÐ xÑ ³ /x x# fÐ xÑ ³ 1/x 1/x fÐ xÑ ³ 1tgÐxÑ 1tgÐxÑ fÐ xÑ ³ x sinÐxÑ fÐ xÑ ³ lnÐxÑ1 lnÐxÑ1 p f ’ÐxÑ œ p f ’ÐxÑ œ p f ’ÐxÑ œ p 16x Ðx# 4Ñ# xÐ2xÑ Ð1xÑ# /x Ðx2Ñ x$ 2/ x Ð1/x Ñ# f ’ÐxÑ œ p p p f ’ÐxÑ œ f ’ÐxÑ œ f ’ÐxÑ œ 2 ÐsinÐxÑcosÐxÑÑ# sinÐxÑxcosÐxÑ sin# ÐxÑ 2 xÐlnÐxÑ1Ñ# 24.7 - Derivata di funzione composta. Teorema 24.7.1 Sia B! − ‘, sia f − ·ÐB! Ñ e sia g − ·ÐfÐB! ÑÑ. Allora g ‰ f − ·ÐB! Ñ, e si ha Ðg ‰ fÑ’ÐB! Ñ œ g’ÐfÐB! ÑÑ † Ðf ’ÐB! ÑÑ. Dimostrazione - Consideriamo il rapporto incrementale di g ‰ f: Ðg‰fÑÐB! hÑÐg‰fÑÐB! Ñ h œ gÐfÐB! hÑÑgÐfÐB! ÑÑ h œ œ gÐfÐB! hÑfÐB! ÑfÐB! ÑÑgÐfÐB!ÑÑ h gÐC! kÐhÑÑgÐC! Ñ h avendo posto C! ³ fÐB! Ñ e kÐhÑ ³ fÐB! hÑ fÐB! Ñ. Naturalmente, lim kÐhÑ œ 0 . 2Ä! œ Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 206 gÐC! Ñ Inoltre, se *ÐhÑ ³ gÐC! kkÐhÐhÑÑ g’ÐC! Ñ , per definizione di derivata e per il teorema 23.3.4 si ha Ñ lim *ÐhÑ œ 0. Essendo allora gÐC! kÐhÑÑ gÐC! Ñ = kÐhÑg’ÐC! Ñ kÐhÑ*ÐhÑ , si ottiene che 2Ä! Ðg‰fÑÐB! hÑÐg‰fÑÐB! Ñ h lim 2Ä! œ lim 2Ä! kÐhÑg’ÐC! ÑkÐhÑ*ÐhÑ h œ lim Šg’ÐC! Ñ *ÐhÑ‹ † 2Ä! D’altro lato, kÐhÑ h œ fÐB! hÑfÐB! Ñ h e quindi si ha l’asserto. Esercizio 24.7.2 Dimostrare che: fÐ xÑ ³ È x # 1 p f ’ÐxÑ œ x È x # 1 fÐxÑ ³ sinÐcosÐxÑÑ p fÐxÑ ³ sin% ÐxÑ f ’ÐxÑ œ 4sin$ ÐxÑcosÐxÑ p f ’ÐxÑ œ sinÐxÑcosÐcosÐxÑÑ fÐxÑ ³ Ðx% 2x$ Ñ#$ p f ’ÐxÑ œ 23Ðx% 2x$ Ñ## Ð4x$ 6x# Ñ sinÐxÑ fÐxÑ ³ lnÉ 11 sinÐxÑ p f ’ÐxÑ œ p f ’ÐxÑ œ fÐ xÑ ³ $ É 1 $ È x fÐ xÑ ³ x x 1 cosÐxÑ 1 9 $Êx# †Š1 $Èx ‹ # f ’ÐxÑ œ xx Ð1 lnÐxÑÑ p x p f ’ÐxÑ œ xÐx Ñ Ðxx Ðln# ÐxÑ lnÐxÑÑ xx" Ñ x p f ’ÐxÑ œ /Ð/ xÑ fÐxÑ ³ xÐx Ñ fÐxÑ ³ /Ð/ Ñ x x Esercizio 24.7.3 Perché è sbagliato affermare che la derivata della funzione lnÐsinÐxÑÑ è la funzione Esercizio 24.7.4 Per ciascuna delle seguenti funzioni f" , f# , f$ , si determini la funzione derivata: f" ÐxÑ ³ lnÐcosÐxÑÑ ; f# ÐxÑ ³ lnÐtgÐxÑÑ ; f$ ÐxÑ ³ lnÐlnÐxÑÑ . 1 tgÐxÑ ? kÐhÑ h Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 207 24.8 - Derivata della funzione inversa. Teorema 24.8.1 Sia B! − ‘, e sia f : ‘ Ä ‘ una funzione invertibile e derivabile in un intorno di B! . Se f ’ÐB! Ñ Á 0, la funzione inversa f " è derivabile in fÐB! Ñ, e si ha 1 Ðf " Ñ’ÐfÐB! ÑÑ œ f ’ÐB . !Ñ Dimostrazione - Posto C! ³ fÐB! Ñ, consideriamo il rapporto incrementale di f " in C! f " ÐC! hÑf " ÐC! Ñ h . Posto x ³ f " ÐC! hÑ (cosicché f(x) œ C! h), si ha lim x œ lim f " ÐC! hÑ œ f " ÐC! Ñ œ B! 2Ä! 2Ä! perché (teorema 22.3.10) f " è continua in un intorno di C! essendo continua la f in un intorno di B! (teorema 24.4.1) perché per ipotesi ivi derivabile . Dunque lim 2Ä! f " ÐC! hÑf " ÐC! Ñ h f " ÐC! hÑf " ÐC! Ñ C! hC! œ lim 2Ä! Ð>/9<Þ #$Þ$Þ%Ñ œ (posto, come si è detto, x ³ f " ÐC! hÑ) œ lim x Ä B! xB! fÐxÑfÐB! Ñ 1 œ lim x Ä B! fÐxÑfÐB! Ñ xB! œ 1 lim xÄB! œ fÐxÑfÐB! Ñ xB! 1 f ’ÐB! Ñ come si voleva. Notiamo che il teorema 23.3.4 può essere applicato in base alla osservazione 23.3.12 perché B! non appartiene al dominio della funzione fÐxxÑBfÐB! ! Ñ . Esempio 24.8.2 Ritroviamo applicando il teorema 24.8.1 il risultato già visto in 24.2.12 che esprime la derivata della funzione esponenziale /x . Posto fÐxÑ ³ lnÐxÑ, si ha f " ÐyÑ œ /y . Per 24.2.11 e 24.8.1, se B! − ‘ si ha (posto C! ³ fÐB! Ñ œ lnÐB! Ñ, da 1 cui B! œ eC! ) Ðf " Ñ’ÐC! Ñ œ f ’ÐB !Ñ ossia dÐ/y Ñ 1 œ B ! œ / C! " dy C! œ B! come si attendeva. Esempio 24.8.3 Applicando il teorema 24.8.1, calcoliamo la derivata delle funzioni circolari inverse. Se C! − Ò 1, 1Ó si ha dÐarcsinÐyÑÑ dy C! œ dÐarccosÐyÑÑ dy C! œ dÐarctgÐyÑÑ dy 1 dÐsinÐxÑÑ dx œ B! 1 dÐcosÐxÑÑ dx C! œ œ B! 1 cosÐB! Ñ œ 1 È1sin# ÐB! Ñ 1 sinÐB! Ñ œ 1 È1cos# ÐB! Ñ 1 dÐtgÐxÑÑ dx œ B! 1 1tg# ÐB! Ñ œ œ 1 1C!# œ 1 É1C!# 1 É1C!# Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 208 25.- ESTREMI LOCALI E TEOREMI CONNESSI 25.1 - Monotonia. Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia A § WÐfÑ. Si dice che f è (strettamente) crescente in A se ÐB CÑ p ÐfÐBÑ fÐCÑÑ aB, C − A ; (strettamente) decrescente in A se ÐB CÑ p ÐfÐBÑ fÐCÑÑ aB, C − A ; non decrescente in A se ÐB CÑ p ÐfÐBÑ Ÿ fÐCÑÑ aB, C − A ; non crescente in A se ÐB CÑ p ÐfÐBÑ fÐCÑÑ aB, C − A . Si dice che f è monotòna in A se è non crescente in A oppure non decrescente in A; si dice che f è strettamente monotòna in A se è (strettamente) crescente in A oppure (strettamente) decrescente in A. Teorema 25.1.1 Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia A § WÐfÑ. Se f è strettamente monotòna in A, f invertibile). A è iniettiva (e quindi Dimostrazione - Dobbiamo provare che B’ Á B’’ Ê fÐB’Ñ Á fÐB’’Ñ aB’, B’’ − A. Supponiamo ad esempio che f sia crescente in A. Se B’ Á B’’ sarà B’ B’’ oppure B’ B’’; nel primo caso si trova che fÐB’Ñ fÐB’’Ñ, nel secondo caso che fÐB’Ñ fÐB’’Ñ e quindi comunque che fÐB’Ñ Á fÐB’’Ñ. Esempio 25.1.2 Sia f la funzione ‘ Ä ‘ definita ponendo fÐxÑ ³ œ x x se x è razionale se x è irrazionale La funzione f è iniettiva (e quindi invertibile), ma non è monotòna in alcun intervallo di numeri reali. Esercizio [*] 25.1.3 Trovare la funzione inversa della funzione f definita nell’esempio 25.1.2 . 25.2 - Estremi locali. Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia B! − WÐfÑ. Si dice che B! è un punto di massimo locale (oppure di massimo relativo) per f se esiste un intorno I di B! tale che fÐBÑ Ÿ fÐB! Ñ per ogni B − I WÐfÑ (ossia tale che B! è un punto di massimo per la restrizione di f a I). Se esiste un intorno forato I! di B! tale che fÐBÑ fÐB! Ñ per ogni B − I! WÐfÑ, si dice che B! è un punto di massimo locale proprio (oppure di massimo relativo proprio) per f . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 209 Si dice che B! è un punto di minimo locale (oppure di minimo relativo) per f se esiste un intorno I di B! tale che fÐBÑ fÐB! Ñ per ogni B − I WÐfÑ (ossia tale che B! è un punto di minimo per la restrizione di f a I). Se esiste un intorno forato I! di B! tale che fÐBÑ fÐB! Ñ per ogni B − I! WÐfÑ, si dice che B! è un punto di minimo locale proprio (oppure di minimo relativo proprio) per f . Si dice infine che B! è un punto estremante [proprio], oppure un punto di estremo locale [proprio] se è un punto di minimo locale [proprio] oppure di massimo locale [proprio]. Osservazione 25.2.1 Sia f : ‘ Ä ‘ una funzione, e sia B! − WÐfÑ. Si noti che, in base alla definizione, se B! è un punto isolato per WÐfÑ (cfr. sez. 21.7) allora B! è un punto di estremo locale per f (in effetti, è punto di massimo locale e anche punto di minimo locale per fÑ . Di conseguenza, la nozione di “punto estremante” ha interesse solo per i punti che sono di accumulazione per WÐfÑ . Osservazione 25.2.2 I punti di massimo e minimo per f definiti in 21.5, se esistono, sono punti estremanti per f. Tuttavia f può avere punti di massimo (o di minimo) locale senza avere punti di massimo (o punti di minimo) (si consideri ad esempio fÐxÑ ³ x$ 3x# ) . Teorema 25.2.3 Sia Ð+, ,Ñ un intervallo aperto di numeri reali, sia B! − Ð+, ,Ñ e sia f − V! ÐB! Ñ. Se f è non decrescente in Ð+, B! Ñ e non crescente in ÐB! , ,Ñ, allora B! è un punto di massimo locale per f ; se f è non crescente in Ð+, B! Ñ e non decrescente in ÐB! , ,Ñ, allora B! è un punto di minimo locale per f . Dimostrazione - Sia f non decrescente in Ð+, B! Ñ e non crescente in ÐB! , ,Ñ ; proviamo che B! è un punto di massimo per la restrizione di f all’intervallo Ð+, ,Ñ , ossia che æ fÐBÑ Ÿ fÐB! Ñ a B − Ð+, ,Ñ WÐfÑ . Ne seguirà, per definizione, che B! è un punto di massimo locale per f . In modo del tutto analogo si prova la seconda parte dell’asserto. Procediamo per assurdo. Se non vale la æ , esiste B − Ð+, ,Ñ WÐfÑ tale che fÐBÑ fÐB! Ñ . Consideriamo la funzione gÐxÑ ³ fÐxÑ fÐBÑ . Dall’ipotesi che f sia continua in B! segue subito che anche g è continua in B! ; poiché gÐB! Ñ 0, per il teorema della permanenza del segno (22.2.3) esiste un intorno I di B! in cui g assume solo valori negativi. Sarà B B! oppure B! B . Nel primo caso, scegliamo un B" in ÐB, B! Ñ I WÐfÑ Ð57) ; si ha gÐB" Ñ 0 , ossia fÐB" Ñ fÐBÑ , e ciò è assurdo perché + B B" B! e f è per ipotesi non decrescente in Ð+, B! Ñ . Nel secondo caso, scegliamo un B# in ÐB! , BÑ I WÐfÑ Ð58Ñ ; si ha gÐB# Ñ 0 , ossia fÐB# Ñ fÐBÑ , e ciò è assurdo perché B! B# B , e f è per ipotesi non crescente in ÐB! , ,Ñ . In ogni caso si è dunque raggiunto un assurdo; ciò prova che deve valere la æ . 57 Possiamo supporre ÐB, B! Ñ I WÐfÑ Á g : infatti, in caso contrario ÐB, B! Ñ I sarebbe un intorno sinistro di B! al quale non appartengono punti del dominio di f ; posto Ð+, B! Ñ ³ ÐB, B! Ñ I , si potrebbe allora sostituire + ad + nella dimostrazione ed escludere la possibilità che sia B B! . 58 Possiamo supporre ÐB , BÑ I WÐfÑ Á g ; infatti, in caso contrario ÐB , BÑ I sarebbe un intorno ! ! destro di B! al quale non appartengono punti del dominio di f ; posto ÐB! , ,Ñ ³ ÐB! , BÑ I , si potrebbe allora sostituire , a , nella dimostrazione ed escludere la possibilità che sia B! B . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 210 Esempio 25.2.4 La funzione f : ‘ Ä ‘ definita ponendo Úx 1 se x 0 se x œ 0 fÐxÑ ³ Û 0 Ü x 1 se x 0 è crescente in ( _, 0Ñ e decrescente in Ð0, _Ñ , ma 0 non è punto estremante per f . Si noti che f presenta in 0 una singolarità non eliminabile. Teorema 25.2.5 (Fermat) Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia B! un punto interno al dominio di f. Se f è derivabile in B! , e B! è un punto di estremo locale per f, si ha f ’ÐB! Ñ œ 0. Dimostrazione - Proviamo che se f ’ÐB! Ñ Á 0 allora B! non è un punto di estremo locale. Sia, per fissare le idee, f ’ÐB! Ñ 0. Consideriamo la funzione g definita in WÐfÑ\ÖB! × ponendo gÐxÑ ³ Per definizione di derivata, è x f(x)f(B! ) xB! . lim gÐxÑ œ f ’ÐB! Ñ 0 . Ä B! Dunque, per il teorema 23.1.9, in un opportuno intorno forato di B! è gÐxÑ 0 , ossia fÐxÑfÐB! Ñ xB! 0. Ma ciò significa che fÐBÑ fÐB! Ñ se B B! , e fÐBÑ fÐB! Ñ se B B! . Ne segue che B! non può essere né un punto di minimo locale né un punto di massimo locale. Il teorema 25.2.5 afferma che f ’ÐB! Ñ œ 0 è condizione necessaria affinché B! sia un punto di estremo locale per f. Notiamo esplicitamente che tale condizione non è però sufficiente: ad esempio, la funzione fÐxÑ ³ x$ non ha punti estremanti (è infatti crescente in ‘), ma per essa si ha f ’Ð0Ñ œ 0. Di fatto, la condizione f ’ÐB! Ñ œ 0 è compatibile con ogni tipo di comportamento della f. Ad esempio: - sia fÐxÑ ³ x# ; per B! ³ 0, si ha f ’ÐB! Ñ œ 0 e B! per f è un punto di minimo locale; - sia fÐxÑ ³ x# ; per B! ³ 0, si ha f ’ÐB! Ñ œ 0 e B! per f è un punto di massimo locale; - sia fÐxÑ ³ x$ ; per B! ³ 0, si ha f ’ÐB! Ñ œ 0 e f è crescente in ‘; - sia fÐxÑ ³ x$ ; per B! ³ 0, si ha f ’ÐB! Ñ œ 0 e f è decrescente in ‘; - sia fÐxÑ ³ x# sinˆ "x ‰ per x Á 0, fÐ0Ñ ³ 0; per B! ³ 0, si ha f ’ÐB! Ñ œ 0 ma B! per f non è un punto estremante e f non è monotòna in nessun intorno di B! . In sostanza, il teorema 25.2.5 ci dice che gli eventuali punti estremanti vanno cercati fra i punti in cui la funzione non è derivabile (ricordiamo che a questa categoria appartengono in particolare tutti i punti che non sono interni al dominio di f) e fra i punti in cui la derivata è zero . 25.3 - Il Teorema di Rolle. Teorema 25.3.1 (Rolle) Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia [+, ,] § WÐfÑ. Se (3) f è continua in [+, , ] (33) f è derivabile in Ð+, ,Ñ (333) fÐ+Ñ œ fÐ,Ñ allora esiste B! − Ð+, ,Ñ tale che f ’ÐB! Ñ œ 0. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 211 Dimostrazione - Per il teorema di Weierstrass (22.4.2), f ha massimo e minimo in [+, , ]. Siano B" , B# due punti di [+, ,] in cui f assume valore rispettivamente minimo e massimo. Se B" − Ð+, ,Ñ oppure B# − Ð+, ,Ñ, si ha f ’ÐB" Ñ œ 0 oppure f ’ÐB# Ñ œ 0 per il teorema di Fermat (25.2.5); in caso contrario, per l’ipotesi (333) la f è costante (infatti il suo massimo coincide col suo minimo!) e dunque, come sappiamo (24.2.3), si ha f ’ÐB! Ñ œ 0 per ogni B! − Ð+, ,Ñ. Tenendo conto di quanto si è detto in 24.3, il teorema di Rolle afferma in sostanza che, sotto le ipotesi (3), (33), (333), esiste almeno un punto del grafico di f in cui la retta tangente è orizzontale. Esempio 25.3.2 Sia fÐxÑ ³ ± x ± , e sia [+, , ] ³ [ 1, 1]. Allora f verifica le ipotesi (3) e (333) del teorema di Rolle (ma non la (33)), e non esiste alcun punto B! − Ð+, ,Ñ per il quale sia f ’ÐB! Ñ œ 0. Esempio 25.3.3 Sia fÐxÑ ³ x, e sia [+, , ] ³ [ 1, 1]. Allora f verifica le ipotesi (3) e (33) del teorema di Rolle (ma non la (333)), e non esiste alcun punto B! − Ð+, ,Ñ per il quale sia f ’ÐB! Ñ œ 0. Esempio 25.3.4 Sia fÐxÑ ³ x per B − [ 1, 1Ñ, fÐ1Ñ œ 1, e sia [+, , ] œ [ 1, 1]. Allora f verifica le ipotesi (33) e (333) del teorema di Rolle (ma non la (3)), e non esiste alcun punto B! − Ð+, ,Ñ per il quale sia f ’ÐB! Ñ œ 0. 25.4 - Il Teorema di Lagrange. Teorema 25.4.1 (Cauchy) (“degli incrementi finiti”) Siano f, g funzioni ‘ Ä ‘, e sia [+, , ] § WÐfÑ WÐgÑ. Se (3) f, g sono continue in [+, , ]; (33) f, g sono derivabili in Ð+, ,Ñ; (333) gÐ,Ñ Á gÐ+Ñ; (3@) f ’, g’ non si annullano mai “contemporaneamente” in Ð+, ,Ñ (cioè (f ’ÐBÑÑ# (g’ÐBÑÑ# Á 0 per ogni B − Ð+, ,Ñ); allora esiste B! − Ð+, ,Ñ tale che g’ÐB! Ñ Á 0 e f ’ÐB! Ñ g’ÐB! Ñ Dimostrazione - Posto - ³ fÐ,ÑfÐ+Ñ gÐ,ÑgÐ+Ñ , œ fÐ,ÑfÐ+Ñ gÐ,ÑgÐ+Ñ . si tratta di dimostrare che esiste B! − Ð+, ,Ñ tale che f ’ÐB! Ñ -g’ÐB! Ñ œ 0 (da cui segue subito che g’ÐB! Ñ Á 0; infatti, in caso contrario, f ’ e g’ si annullerebbero entrambe in B! ). La funzione :ÐxÑ ³ fÐxÑ *gÐxÑ (con * − ‘) verifica le ipotesi del teorema di Rolle (25.3.1) purché sia :Ð+Ñ œ :Ð,Ñ ossia fÐ+Ñ *gÐ+Ñ œ fÐ,Ñ *gÐ,Ñ cioè fÐ+Ñ * œ gfÐ,Ñ Ð,ÑgÐ+Ñ œ - . Per il teorema di Rolle, esiste quindi B! − Ð+, ,Ñ tale che 0 œ :’ÐB! Ñ œ f ’ÐB! Ñ -g’ÐB! Ñ, come si voleva. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 212 Teorema 25.4.2 (Lagrange) (“del valor medio”) Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia [+, ,] § WÐfÑ. Se (3) f è continua in [+, , ] (33) f è derivabile in Ð+, ,Ñ fÐ+Ñ allora esiste B! − Ð+, ,Ñ tale che f ’ÐB! Ñ œ fÐ,Ñ . ,+ Dimostrazione - Segue immediatamente dal teorema di Cauchy ponendo gÐxÑ ³ x ; può anche essere dimostrato direttamente procedendo come per il teorema di Cauchy: Posto - ³ fÐ,ÑfÐ+Ñ ,+ , si tratta di dimostrare che esiste B! − Ð+, ,Ñ tale che f ’ÐB! Ñ - œ 0. La funzione :ÐxÑ œ fÐxÑ *x (con * − ‘) verifica le ipotesi del teorema di Rolle (25.3.1) purché sia :Ð+Ñ œ :Ð,Ñ ossia fÐ+Ñ * † + œ fÐ,Ñ * † , *œ cioè fÐ,ÑfÐ+Ñ ,+ œ -. Per il teorema di Rolle, esiste quindi B! − Ð+, ,Ñ tale che 0 œ :’ÐB! Ñ œ f ’ÐB! Ñ - , come si voleva. Tenendo conto di quanto si è detto in 24.1.1. e in 24.3, il teorema di Lagrange afferma in sostanza che, sotto le ipotesi (3), (33), esiste almeno un punto del grafico di f in cui la retta tangente è parallela alla corda per A ´ Ð+, fÐ+ÑÑ e B ´ Ð, , fÐ,ÑÑ. Teorema 25.4.3 Sia I un intervallo di numeri reali, e sia f una funzione ‘ Ä ‘ continua in I e derivabile nell’interno di I . Se f ’ÐB! Ñ œ 0 per ogni B! appartenente all’interno di I , allora f è costante in I . Dimostrazione - Sia - − I ; proviamo che per ogni B − I è fÐBÑ œ fÐ-Ñ, da cui l’asserto. Per il teorema di Lagrange (25.4.2) applicato all’intervallo [- , B], esiste B! − Ð- , BÑ tale che f ’ÐB! Ñ œ fÐ-ÑfÐBÑ -B . Poiché Ò- , BÓ § I , B! appartiene all’interno di I e dunque per ipotesi f ’ÐB! Ñ œ 0 . Ne segue che fÐ-Ñ œ fÐBÑ come si voleva. Osservazione 25.4.4 Si noti che il teorema 25.4.3 non afferma che se la derivata di una funzione è ovunque uguale a zero allora la funzione è costante : infatti, ad esempio, la restrizione di ÒxÓ (la funzione “parte intera”, cfr. 21.1) a ‘\™ è derivabile in tutto il suo dominio e ha derivata ovunque uguale a zero, ma non è certo costante ! In effetti in questo caso il teorema 25.4.3 non è applicabile, perché ‘\™ non è un intervallo. Teorema 25.4.5 Sia B! − ‘ , e sia f una funzione ‘ Ä ‘ continua in B! e derivabile in un intorno forato di B! . Se esiste ed è finito il lim f ’ÐxÑ , allora f è derivabile anche in B! e si ha x Ä B! f ’ÐB! Ñ œ lim f ’ÐxÑ . x Ä B! Dimostrazione - Per ogni 2 tale che B! 2 appartiene all’intorno forato di B! in cui f è per ipotesi derivabile, il teorema di Lagrange applicato alla f nell’intervallo ÒB! , B! 2Ó afferma che esiste un punto BÐ2Ñ − ÐB! , B! 2Ñ per il quale f ’ÐBÐ2ÑÑ œ fÐB! 2ÑfÐB! Ñ 2 . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 213 Abbiamo scritto BÐ2Ñ per evidenziare che il punto B , dipendendo dall’intervallo ÒB! , B! 2Ó , è funzione di 2 Ð59Ñ . Poiché lim BÐhÑ œ B! hÄ! e BÐhÑ Á B! per h Á 0 , le funzioni h Ä BÐhÑ e x Ä f ’ÐxÑ verificano le ipotesi del teorema 23.3.4 . Dunque, f ’ÐB! Ñ œ lim hÄ! fÐB! 2ÑfÐB! Ñ 2 œ lim f ’ÐBÐ2ÑÑ œ lim f ’ÐxÑ x Ä B! hÄ! come si voleva. Osservazione 25.4.6 In sostanza, il teorema 25.4.5 afferma che una funzione derivata definita in un intervallo non può presentare singolarità eliminabili. Ancora in altre parole: una funzione derivata definita in un intervallo o è continua oppure presenta singolarità non eliminabili. Esempio 25.4.7 La funzione f : ‘ Ä ‘ definita ponendo x se x Á 0 fÐxÑ ³ œ 1 se x œ 0 non è la funzione derivata di nessuna funzione, perché presenta in 0 una singolarità eliminabile. 25.5 - Ricerca dei punti estremanti. Teorema 25.5.1 Sia f una funzione ‘ Ä ‘, sia [+, , ] § WÐfÑ e f sia continua in [+, , ] e derivabile in Ð+, ,Ñ. Allora: se f ’ÐxÑ Ÿ 0 per ogni x − Ð+, ,Ñ, f è non crescente in [+, , ]; se f ’ÐxÑ 0 per ogni x − Ð+, ,Ñ, f è decrescente in [+, , ]; se f ’ÐxÑ 0 per ogni x − Ð+, ,Ñ, f è non decrescente in [+, , ]; se f ’ÐxÑ 0 per ogni x − Ð+, ,Ñ, f è crescente in [+, , ]. Dimostrazione - Sia f ’ÐxÑ 0 per ogni x − Ð+, ,Ñ, e mostriamo che f è crescente in [+, , ] (le altre affermazioni si dimostrano allo stesso modo). Siano B’, B’’ − [+, ,] tali che B’ B’’ ; per il teorema del valor medio (applicato a f e all’intervallo [B’, B’’]), esiste B! − ÐB’, B’’Ñ § Ð+, ,Ñ tale che fÐB’ÑfÐB’’Ñ œ f ’ÐB! Ñ 0 B’B’’ da cui (essendo per ipotesi B’ B’’ ) si ha fÐB’Ñ fÐB’’Ñ, come si voleva. Esempio 25.5.2 Sia fÐxÑ ³ x# , cosicché f ’ÐB! Ñ œ 2B! per ogni B! − ‘. Si deduce dal teorema 25.5.1 che f è decrescente in Ð _, 0Ñ e crescente in Ð0, _Ñ; ne segue fra l’altro che 0 è un punto di minimo per f. 59 Il lettore attento obietterà che il punto BÐ2Ñ non è univocamente determinato dal Teorema di Lagrange, e quindi la 2 Ä BÐ2Ñ non è una funzione. Tuttavia a noi basta ragionare su una qualsiasi funzione che fÐB! Ñ assegni ad ogni 2 uno degli B appartenenti a ÐB! , B! 2Ñ per cui si ha f ' ÐBÑ œ fÐB! 2Ñ ; e che una tale 2 funzione esista è garantito da un principio matematico detto “assioma della scelta” . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 214 Esercizio 25.5.3 Sia fÐxÑ ³ +x# , x - con +, , , - numeri reali. Stabilire, in dipendenza di +, , , - , in quali intervalli f è crescente e in quali è decrescente; determinare, sempre in dipendenza di +, ,, - , gli eventuali punti estremanti di f. Tenendo conto anche di quanto visto in 18.4, disegnare il grafico di f per + ³ 1, , ³ 1, - ³ 0 ; + ³ 2, , ³ 0, - ³ 1 ; + ³ 0, , ³ 2, - ³ 1 ; + ³ 1, , ³ 2, - ³ 0 . Esercizi Dire in quali intervalli risultano crescenti e in quali intervalli risultano decrescenti le seguenti funzioni ‘ Ä ‘ : 25.5.4 x Ðx # 1Ñ ; 25.5.5 x% ; 25.5.6 x8 Ðal variare di 8 − Ñ ; 25.5.7 Èx 25.5.8 x $ Ðx 2Ñ ; 25.5.9 x 1 x # 1 Èx ; ; Osservazione 25.5.9 Sia f − C_ Ð+, ,Ñ, e sia B! − Ð+, ,Ñ tale che f ’ÐB! Ñ œ 0. Abbiamo osservato dopo la dimostrazione del teorema di Fermat (25.2.5) che senza altre informazioni non possiamo stabilire se B! è un punto estremante né (nel caso che lo sia) se è un punto di massimo o di minimo. In base al teorema 25.2.3 si ha però che: - se f è non decrescente in un intorno sinistro di B! e non crescente in un intorno destro di B! , B! è un punto di massimo locale per f; - se f è non crescente in un intorno sinistro di B! e non decrescente in un intorno destro di B! , B! è un punto di minimo locale per f. Per il teorema 25.5.1 si può allora affermare che: - se la derivata di f è 0 in un intorno sinistro di B! e Ÿ 0 in un intorno destro di B! , B! è un punto di massimo locale per f; - se la derivata di f è Ÿ 0 in un intorno sinistro di B! e 0 in un intorno destro di B! , B! è un punto di minimo locale per f. D’altro lato, informazioni sul comportamento della funzione derivata f ’ possono essere ricavate studiando la derivata di f ’, cioè la “derivata seconda” f ’’ di f. Infatti: - se f ’’ÐB! Ñ 0, allora f ’’ è negativa in un intorno di B! (per il teorema di permanenza del segno, 22.2.3, essendo per ipotesi f ’’ continua in Ð+, ,Ñ) e quindi f ’ è decrescente in tale intorno (per il teorema 25.5.1); dunque (essendo per ipotesi f ’ÐB! Ñ œ 0) f ’ è positiva in un intorno sinistro di B! e negativa in un intorno destro di B! , e quindi B! è un punto di massimo locale; - se f ’’ÐB! Ñ 0, allora f ’’ è positiva in un intorno di B! e quindi f ’ è crescente in tale intorno; dunque f ’ è negativa in un intorno sinistro di B! e positiva in un intorno destro di B! , e quindi B! è un punto di minimo locale; - se f ’’ÐB! Ñ œ 0, si possono ottenere informazioni utili esaminando f Ð$Ñ ÐB! Ñ. Sia ad esempio f ÐB! Ñ 0: allora f Ð$Ñ è positiva in un intorno di B! ; ne segue che f ’’ è crescente in tale intorno, quindi negativa a sinistra di B! e positiva a destra di B! ; dunque f ’ è decrescente in un intorno sinistro di B! e crescente in un intorno destro di B! , cioè è positiva in un intorno di B! ; allora f è crescente in tale intorno, quindi B! non è un punto estremante. Analogamente si vede che, se f Ð$Ñ ÐB! Ñ 0, f è decrescente in un intorno di B! , e quindi B! non è un punto estremante. Se è anche f Ð$Ñ ÐB! Ñ œ 0, si può considerare f Ð%Ñ ÐB! Ñ, e così via. Ð$Ñ Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 215 Ragionando analogamente e procedendo per induzione, si dimostra il Teorema 25.5.10 _ Sia f − C Ð+, ,Ñ, e sia B! − Ð+, ,Ñ. Supponiamo che in B! si annullino le prime 8 derivate di f, e sia invece f Ð8"Ñ ÐB! Ñ œ ! Á 0. Se 8 è dispari, B! è un punto estremante, e precisamente: un punto di massimo se ! 0, un punto di minimo se ! 0. Se 8 è pari, f è strettamente monotòna in un intorno di B! , e precisamente: è crescente se ! 0, decrescente se ! 0. Esercizi Determinare i punti estremanti, specificando se si tratta di punti di massimo o punti di minimo, locali o assoluti, per ciascuna delle seguenti funzioni: 25.5.11 x& 6x$ 8x 1; 25.5.12 x& x% ; 25.5.13 x$ 3x# 1; 25.5.14 x 1 x 1 ; 25.5.15 sinÐxÑ cosÐxÑ; 25.5.16 x x$; # 25.5.17 lnÐÈx xÑ; 25.5.18 lnÐsinÐxÑÑ. Esercizio 25.5.19 Fra tutti i rettangoli di area 100 determinare quelli di perimetro minimo. Esercizio 25.5.20 Fra tutti i rettangoli di perimetro 100 determinare quelli di area massima. Esercizio 25.5.21 Fra tutti i trapezi isosceli in cui la base minore misura 1 e il perimetro è 14 determinare quelli di area massima. Esercizio 25.5.22 Fra tutti i settori circolari di perimetro 20 determinare quelli di area massima. Esercizio 25.5.2$ Riferito il piano a un SdR cartesiano ortogonale monometrico positivamente orientato Oxy, è data la curva algebrica > di equazione 2x2 3x y 2 œ 0 . Siano A e B i punti in cui > incontra l’asse delle ordinate e il semiasse positivo delle ascisse. Fra i punti P di > che giacciono nel primo quadrante, determinare quelli per i quali l’area del poligono OAPB è massima e quelli per i quali l’area dello stesso poligono OAPB è minima. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 216 ^ 26.- LE REGOLE DI DE L’HOPITAL 26.1 - Introduzione. In questo capitolo sono riportate alcune regole pratiche spesso utili per il calcolo di limiti che si ^ presentano nelle forme “non immediate” (cfr. sez. 23.10). Esse sono note come “regole di de l’Hopital”, ma sono ^ dovute a J. Bernoulli (1667-1748). In effetti, il marchese G. de l’Hopital (1661-1704) assunse come precettore Bernoulli stipulando un contratto col quale costui si impegnava a comunicargli le proprie scoperte matematiche ^ (fra le quali i teoremi che giustificano queste regole). De l’Hopital, che aveva ottime doti di divulgatore, scrisse poi un libro (forse il primo testo di calcolo differenziale concepito come tale) nel quale riportava tali teoremi. ^ Benché de l’Hopital non si attribuisse esplicitamente la loro paternità, questi risultati sono da allora noti ovunque col suo nome. Pare che la cosa non abbia fatto piacere a Bernoulli, che l’accusò, senza esito, di plagio. 26.2 - La forma “non immediata” ! ! . ! ! ^ Teorema 26.2.1 (J. Bernoulli) (“regola di de l’Hopital per , x Ä x! ”) Siano f, g funzioni ‘ Ä ‘, e sia B! un punto di accumulazione per WÐfÑ e per WÐgÑ tale che x lim fÐxÑ œ 0, Ä B! x lim gÐxÑ œ 0. Ä B! Supponiamo che esista un intorno forato di B! nel quale f e g sono derivabili e nel quale la derivata di g non è mai nulla. Se esiste x lim Ä B! f ’ÐxÑ g’ÐxÑ œL allora si ha x con L − ‘ Ö _, _× lim fÐxÑ œ L. Ä B! gÐxÑ Dimostrazione - Proviamo che, nelle ipotesi del teorema, si ha analogamente si vede che lim xÄB! fÐxÑ gÐxÑ œ L; lim xÄB! fÐxÑ gÐxÑ œL da cui l’asserto. Possiamo supporre che sia fÐB! Ñ œ gÐB! Ñ œ 0 (altrimenti si considerano due funzioni f, g definite prolungando per continuità f e g in B! ), cosicché f e g sono continue in [B! , B] e derivabili in ÐB! , BÑ per ogni B appartenente a un opportuno intorno destro di B! . Per il teorema di Cauchy (25.4.1), esiste 0 − ÐB! , BÑ tale che f ’Ð0Ñ g’Ð0Ñ F.1 œ fÐBÑfÐB! Ñ gÐBÑgÐB! Ñ œ fÐBÑ0 gÐBÑ0 lim xÄB! f ’ÐxÑ g’ÐxÑ œL Ê ¹ œ fÐBÑ gÐBÑ . Supponiamo per ora che sia L − ‘. Fissiamo & − ‘ ; poiché per ipotesi esiste $ − ‘ tale che F.2 ÐB! B B! $ Ñ f ’ÐBÑ g’ÐBÑ L¹ &. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 217 Avendosi B! 0 B, se B! B B! $ si ha anche B! 0 B! $ e quindi per la F.2 da cui per la F.1 ¹ f ’Ð0Ñ g’Ð0Ñ L¹ & ¹ fÐBÑ gÐBÑ L¹ & come si voleva. Supponiamo infine che sia L œ _ (lasciando al lettore la trattazione del caso L œ _). Fissiamo & − ‘ ; poiché per ipotesi lim f ’ÐxÑ œ _ x Ä B! g’ÐxÑ esiste $ − ‘ tale che ÐB! B B! $ Ñ F.3 f ’ÐxÑ g’ÐxÑ Ê &. Avendosi B! 0 B , se B! B B! $ si ha anche B! 0 B! $ e quindi per la F.3 f ’Ð0Ñ g’Ð0Ñ & fÐxÑ gÐxÑ da cui per la F.1 & come si voleva. Osservazione 26.2.2 Nella dimostrazione del teorema 26.2.1 abbiamo di fatto mostrato che dall’ipotesi lim xÄB! f ’ÐxÑ g’ÐxÑ œL con L − ‘ Ö _, _× segue lim xÄB! fÐxÑ gÐxÑ œ L. ^ In effetti, tutte le regole di de l’Hopital valgono anche quando si considerino limiti destri o sinistri, anche se noi non lo ricorderemo più esplicitamente nel seguito. Esempio 26.2.3 x lim Ä! xsinÐxÑ x$ œ 1 6 . Dimostrazione - Considerando il limite del quoziente delle derivate, si ha (ricordando 23.4.1) cosÐxÑ œ lim 13x # Ä! e dunque anche il limite proposto vale 16 . x 1 3 † lim xÄ! 1cosÐxÑ x# ^ Teorema 26.2.4 (J. Bernoulli) (“regola di de l’Hopital per œ ! ! 1 3 † 1 2 œ 1 6 , x Ä _”) Siano f, g funzioni ‘ Ä ‘, definite in un intervallo aperto illimitato a destra (cfr. 5.3), e sia lim fÐxÑ œ 0, lim gÐxÑ œ 0. xÄ _ xÄ _ Supponiamo che esista un intervallo aperto illimitato a destra nel quale f e g sono derivabili e nel quale la derivata di g non è mai nulla. Se esiste x allora si ha lim Ä _ f ’ÐxÑ g’ÐxÑ œL x con L − ‘ Ö _, _× lim Ä _ fÐxÑ gÐxÑ œ L. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 218 Dimostrazione - Possiamo supporre che le ipotesi del teorema valgano in un intervallo aperto illimitato a destra formato da numeri tutti positivi. Le funzioni f" ÐtÑ œ f ˆ "> ‰ g" ÐtÑ œ g ˆ "> ‰ soddisfano allora le ipotesi di 26.2.1 in un intorno destro di 0. Si ha lim xÄ _ fÐxÑ gÐxÑ œ lim > Ä ! f ˆ "> ‰ g ˆ "> ‰ e dunque, per 26.2.1, siamo ricondotti a considerare se esiste œ lim > Ä ! lim > Ä ! f" ÐtÑ g" ÐtÑ f" ’ÐtÑ g" ’ÐtÑ . Ricordando anche il teorema 24.7.1 (regola di derivazione per le funzioni composte), lim > Ä ! f" ’ÐtÑ g" ’ÐtÑ f ’ˆ "> ‰Ðt# Ñ g’ˆ "> ‰Ðt# Ñ œ lim > Ä ! e dunque x lim Ä _ fÐxÑ gÐxÑ f ’ˆ "> ‰ œ lim g’ˆ "> ‰ x Ä œ lim > Ä ! œ lim xÄ _ ^ Teorema 26.2.5 (J. Bernoulli) (“regola di de l’Hopital per _ f ’ÐxÑ g’ÐxÑ ! ! f ’ÐxÑ g’ÐxÑ come si voleva. , x Ä _”) Siano f, g funzioni ‘ Ä ‘, definite in un intervallo aperto illimitato a sinistra (cfr. 5.3), e sia lim fÐxÑ œ 0, lim gÐxÑ œ 0. xÄ _ xÄ _ Supponiamo che esista un intervallo aperto illimitato a sinistra nel quale f e g sono derivabili e nel quale la derivata di g non è mai nulla. Se esiste x lim Ä _ allora si ha f ’ÐxÑ g’ÐxÑ œL x con L − ‘ Ö _, _× lim Ä _ fÐxÑ gÐxÑ œ L. Dimostrazione - La dimostrazione è del tutto analoga a quella del teorema 26.2.4 . 26.3 - La forma “non immediata” _ _ . ^ Teorema 26.3.1 (J. Bernoulli) (“regola di de l’Hopital per _ _ , x Ä x! ”) Siano f, g funzioni ‘ Ä ‘, e sia B! un punto di accumulazione per WÐfÑ e per WÐgÑ tale che lim fÐxÑ œ „ _, lim gÐxÑ œ „ _. x Ä B! x Ä B! Supponiamo che esista un intorno forato di B! nel quale f e g sono derivabili e nel quale la derivata di g non è mai nulla. Se esiste lim f ’ÐxÑ œ L con L − ‘ Ö _, _× x Ä B! g’ÐxÑ allora si ha x lim fÐxÑ œ L. Ä B! gÐxÑ Dimostrazione - Omettiamo la dimostrazione di questo teorema (essa non è immediatamente riconducibile a quella di 26.2.1). Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 219 Esempio 26.3.2 lim BÄ 1# lnˆ 1# B‰ tg(B) œ _. Dimostrazione Si ha lim lnˆ 1# B‰ œ lim lnÐCÑ œ _ BÄ 1# lim tg(B) œ _ e CÄ! BÄ 1# avendo posto nel primo limite C ³ 1# B per poi applicare il teorema 23.3.4 . Possiamo dunque cercare di utilizzare il teorema 26.3.1, considerando il limite del quoziente tra la derivata del numeratore e la derivata del denominatore. Si ha lim1 BÄ # " 1 B # " cos# (B) œ lim1 BÄ # cos# (B) B 1# œ lim CÄ! sin# (C) C œ lim sin(C ) sinC(C) œ 0 CÄ! avendo posto C ³ 1# B (da cui B œ 1# C ) per poi applicare il teorema 23.3.4, e tenendo conto del “limite notevole” 23.1.4 . Pertanto, anche il limite proposto vale _. ^ Teorema 26.3.3 (J. Bernoulli) (“regola di de l’Hopital per _ _ , x Ä _”) Siano f, g funzioni ‘ Ä ‘ definite in un intervallo aperto illimitato a destra (cfr. 5.3), e sia lim lim f Ðx Ñ œ „ _ , gÐxÑ œ „ _ . xÄ _ xÄ _ Supponiamo che esista un intervallo aperto illimitato a destra nel quale f e g sono derivabili e nel quale la derivata di g non è mai nulla. Se esiste x lim Ä _ f ’ÐxÑ g’ÐxÑ œL con L − ‘ Ö _, _× allora si ha x fÐxÑ gÐxÑ lim Ä _ œ L. Dimostrazione - Omettiamo la dimostrazione di questo teorema. Esempio 26.3.4 x lnÐxÑ lim œ 0. Ä _ x Dimostrazione - Considerando il limite del quoziente delle derivate, si ha lim xÄ _ 1 x 1 œ0 e dunque anche il limite proposto vale 0. Esempio 26.3.5 x x / lim œ _. Ä _ x Dimostrazione - Considerando il limite del quoziente delle derivate, si ha /x lim œ _ xÄ _ 1 e dunque anche il limite proposto vale _. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 220 _ _ ^ Teorema 26.3.6 (J. Bernoulli) (“regola di de l’Hopital per , x Ä _”) Siano f, g funzioni ‘ Ä ‘ definite in un intervallo aperto illimitato a sinistra (cfr. 5.3), e sia f Ðx Ñ œ „ _ , gÐxÑ œ „ _ . lim lim xÄ _ xÄ _ Supponiamo che esista un intervallo aperto illimitato a sinistra nel quale f e g sono derivabili e nel quale la derivata di g non è mai nulla. Se esiste x lim Ä _ f ’ÐxÑ g’ÐxÑ con L − ‘ Ö _, _× œL allora si ha x lim Ä _ fÐxÑ gÐxÑ œ L. Dimostrazione - Omettiamo la dimostrazione di questo teorema. Osservazione 26.3.7 Poiché la forma _ _ è facilmente riconducibile alla 0 0 (basta scrivere 1 gÐxÑ 1 fÐxÑ anziché fÐxÑ gÐxÑ ), potrebbe sembrare superfluo enunciare e dimostrare teoremi del tipo di 26.3.1. Può però accadere che derivando le 1f e g1 si ottenga un’espressione più complicata di quella di partenza (es.: fÐxÑ ³ /x , gÐxÑ ³ x ): è dunque opportuno avere regole che permettano di affrontare direttamente la forma _ _. 26.4 - Le forme 0 † _ , 00 , _0 e 1_ . La forma _ _. ^ Non esistono “regole di de l’Hopital” per le forme 0 † _ , 00 , _0 e 1_ , ma queste sono generalmente 0 _ riconducibili alla 0 e/o alla _ ; infatti f Ð x Ñ † g Ð xÑ œ e fÐxÑ œ 1 gÐxÑ fÐxÑgÐxÑ œ /gÐxÑ † lnÐfÐxÑÑ œ / gÐxÑ gÐxÑ 1 lnÐfÐxÑÑ 1 fÐxÑ œ/ lnÐfÐxÑÑ 1 gÐxÑ . Naturalmente sarà necessario volta per volta verificare se le funzioni fÐ1xÑ , gÐ1xÑ , lnÐf1ÐxÑÑ sono definite in un intorno di B! (B! − ‘ Ö _, _×, se si sta considerando il limite di f per x che tende a B! ) e se sono ^ verificate tutte le ipotesi delle regole di de l’Hopital. Anche la forma _ _ è riconducibile alla forma f Ð x Ñ g Ð xÑ œ Una tale trasformazione è però raramente conveniente. 0 0 ; infatti si ha 1 gÐxÑ fÐ1xÑ 1 fÐxÑ † gÐxÑ . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 221 Esempio 26.4.1 x lim x † lnÐxÑ œ 0 Ä ! Dimostrazione - Il limite proposto si presenta nella forma 0 † _ . Si ha x † lnÐxÑ œ Poiché le funzioni lnÐxÑ e 1 x lnÐxÑ 1 x . verificano le ipotesi del teorema 26.3.1, possiamo considerare il lim x Ä ! 1 x œ 1 x# x # x lim x Ä ! œ 0. Dunque il limite proposto vale 0. Esempio 26.4.2 x lim /x † lnÐ xx 1 Ñ œ _ . Ä _ Dimostrazione - Il limite proposto si presenta nella forma _ † 0. Si ha /x † lnÐ x+1 Ñœ x lnÐ x+1 Ñ x /x . Applicando il teorema 26.2.4, si è ricondotti a considerare il lim BÄ _ _ _ Questo nuovo limite si presenta nella forma x Ä _, si considera il 1 xÐx+1Ñ /x œ lim xÄ _ /x x # x . ^ ; applicando due volte la regola di de l’Hopital per lim xÄ _ _ _ , /x 2x1 e poi il lim xÄ _ /x 2 . Poiché quest’ultimo limite vale _, anche il limite proposto vale _ . Esempio 26.4.3 x lim x † Ð 1# arctgÐxÑÑ œ 1 Ä _ Dimostrazione - Il limite proposto si presenta nella forma _ † 0 . Si ha x † Ð 1# arctgÐxÑÑ œ 1 x 1 # arctgÐxÑ . Poiché le funzioni 1x e 1# arctgÐxÑ verificano le ipotesi del teorema 26.2.4, possiamo considerare il limite del quoziente delle derivate, ossia lim xÄ _ Dunque il limite proposto vale 1. 1 x2 1 1+x2 x # 1 œ lim # xÄ _ x œ 1. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 222 Esempio 26.4.4 x lim xx œ 1 Ä ! Dimostrazione - Il limite proposto si presenta nella forma 00 . Si ha xx œ /x† lnÐxÑ e poiché abbiamo già visto (Esempio 26.4.1) che lim x † lnÐxÑ œ 0 x Ä ! si può concludere che il limite proposto vale 1. Esempio 26.4.5 x lim xÈx œ 1 Ä _ " Dimostrazione - Si ha xÈx œ x x e dunque il limite proposto si presenta nella forma _0 . Si ha " " x x œ / x †lnÐxÑ œ / cosicché il limite proposto vale 1 (cfr. esempio 26.3.4). lnÐxÑ x Esempio 26.4.6 1 lim ÐcosÐxÑÑ tgÐxÑ œ 1 xÄ! Dimostrazione - Il limite proposto si presenta nella forma 1_ . Si ha 1 1 ÐcosÐxÑÑ tgÐxÑ œ / tgÐxÑ † lnÐcosÐxÑÑ œ / lnÐcosÐxÑÑ tgÐxÑ e quindi siamo ricondotti a calcolare il lim xÄ! lnÐcosÐxÑÑ tgÐxÑ . Poiché le funzioni lnÐcosÐxÑÑ e tgÐxÑ verificano le ipotesi del teorema 26.3.1, possiamo considerare il limite del quoziente delle derivate, ossia lim xÄ! sinÐxÑ cos ÐxÑ 1 ÐcosÐxÑÑ# Dunque il limite proposto vale 1. œ lim Ð sinÐxÑcosÐxÑÑ œ sinÐ0ÑcosÐ0Ñ œ 0 . xÄ! Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 223 ^ 26.5 - Esercizi di riepilogo sull’uso delle regole di de l’Hopital per il calcolo dei limiti. ^ Per ciascuno dei seguenti limiti si verifichi l’applicabilità delle regole di de l’Hopital e, quando possibile, si utilizzino tali regole per calcolare i limiti. x lim Ä! lim xÄ! x lim Ä! lim xÄ! lim xÄ! lim xÄ" tgÐxÑx xsinÐxÑ 1sinÐxÑcosÐxÑ 1sinÐxÑcosÐxÑ sinÐxÑ cosÐ2xÑ x# †sin ˆ 1x ‰ sinÐxÑ 1/x 1cosÐÈx Ñ x # 2 x 1 x lnÐ2x1Ñ lim Ä _ lnÐxÑ x xsinÐxÑ lim Ä _ x lim 1 Ä # x tgÐxÑ lnÐcosÐxÑÑ xsinÐxÑ xsinÐxÑ x lim Ä _ x x lim Ä _ È x # 1 " lim x † / x x Ä ! x lim lnÐxÑ † lnÐ1 xÑ Ä ! lim Ð 1x lnÐxÑÑ x Ä ! x 1 lim Ð 1cos ÐxÑ Ä! x lim Ð 1x Ä! x lim xsinÐxÑ Ä ! " lim x lnÐxÑ x Ä ! " lim x log+ÐxÑ x Ä ! 1 / x 1 Ñ 2 x# Ñ Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 224 27.- CONVESSITÀ 27.1 - Funzioni convesse. Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia [+, ,] § WÐfÑ. Si dice che f è convessa in [+, , ] se comunque presi B! , B" − [+, , ] l’arco del grafico passante per i punti P! ´ ÐB! , fÐB! ÑÑ e P" ´ ÐB" , fÐB" ÑÑ “sta sotto” il segmento (“corda”) P! P" . Vediamo come si può esprimere con precisione questo concetto. Sappiamo (teorema 16.3.1) che la retta P! P" ha equazione xB! B" B! œ yfÐB! Ñ fÐB" ÑfÐB! Ñ x ! ossia y œ BB""B fÐB! Ñ Bx"B B! fÐB" Ñ ! e dunque la condizione di convessità in [+, ,] si può esprimere così: Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia [+, ,] § WÐfÑ. Si dice che f è convessa in [+, , ] se comunque presi B! , B" − [+, , ] con B! B" si ha fÐBÑ Ÿ F27.1.1 B" B B" B! fÐB! Ñ BB! B" B! fÐB" Ñ a B − [B! , B" ] . Se B − [B! , B" ], è B œ B! >ÐB" B! Ñ œ Ð1 >ÑB! >B" con > − [0, 1]; spesso perciò, osservando B ! che BBB œ > e BB""B œ 1 >, la F27.1.1 si scrive " B! ! F27.1.2 fÐÐ1 >ÑB! >B" Ñ Ÿ Ð1 >Ñ fÐB! Ñ > fÐB" Ñ a > − [0, 1]. Esercizio [*] 27.1.1 Sia Ò+, ,Ó un intervallo di numeri reali. Stabilire se l’insieme delle funzioni convesse in Ò+, ,Ó è un sottospazio vettoriale di ‘‘ . Teorema 27.1.2 Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia [+, ,] § WÐfÑ. La funzione f è convessa in [+, , ] se e solo se F27.1.3 fÐBÑfÐB! Ñ BB! Ÿ fÐB" ÑfÐBÑ B" B (ossia, il rapporto incrementale relativo all’intervallo [B! , B] è minore o uguale a quello relativo all’intervallo [B, B" ]) comunque presi B! , B, B" − [+, , ] con B! B B" . Dimostrazione - Sia f convessa in [+, , ], e siano B! , B, B" − [+, , ] con B! B B" . Vale allora la F27.1.1, nella quale (essendo per ipotesi B" B! ) si possono moltiplicare ambo i membri per B" B! . Si ha così ÐB" B! Ñ fÐBÑ Ÿ ÐB" BÑ fÐB! Ñ ÐB B! Ñ fÐB" Ñ dalla quale (scrivendo B" B! œ ÐB" BÑ ÐB B! Ñ ) si ricava ÐB" BÑ fÐBÑ ÐB B! Ñ fÐBÑ Ÿ ÐB" BÑ fÐB! Ñ ÐB B! Ñ fÐB" Ñ cioè ÐB" BÑ fÐBÑ ÐB" BÑ fÐB! Ñ Ÿ ÐB B! Ñ fÐB" Ñ ÐB B! Ñ fÐBÑ ossia ÐB" BÑ ÐfÐBÑ fÐB! ÑÑ Ÿ ÐB B! Ñ ÐfÐB" Ñ fÐBÑÑ da cui, dividendo ambo i membri per ÐB B! ÑÐB" BÑ che è per ipotesi maggiore di zero, la F27.1.3. È poi chiaro che tutti i passaggi svolti sono invertibili, cosicché la F27.1.3 è condizione non solo necessaria ma anche sufficiente perché f sia convessa in [+, , ]. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 225 Teorema 27.1.3 Sia f una funzione ‘ Ä ‘ , e sia Ð+, ,Ñ un intervallo aperto contenuto nel dominio di f . Se f è convessa in Ð+, ,Ñ , allora f è continua in Ð+, ,Ñ . Dimostrazione - Omettiamo la dimostrazione di questo teorema. Esempio 27.1.4 fÐxÑ ³ œ 1 x La funzione f è convessa in Ò0, 1Ó ma non è continua in 0 . Sia se x œ 0 se x 0 . 27.2 - Criteri di convessità per le funzioni derivabili. Teorema 27.2.1 Sia f una funzione ‘ Ä ‘ convessa e derivabile nell’intervallo Ð+, ,Ñ. Allora (3) comunque presi B! , B − Ð+, ,Ñ si ha fÐBÑ f ’ÐB! ÑÐB B! Ñ fÐB! Ñ (cioè, la tangente al grafico in P! ´ ÐB! , fÐB! ÑÑ -cfr. 24.3- “sta sotto” l’arco del grafico relativo all’intervallo Ð+, ,Ñ ); (33) la funzione derivata f ’ è non decrescente in Ð+, ,Ñ. Dimostrazione - Se nella F27.1.3 facciamo tendere B a B! si ha f ’ÐB! Ñ Ÿ F.1 fÐB" ÑfÐB! Ñ B" B! da cui, scrivendo B in luogo di B" , la (3) per B B! . Se invece nella F27.1.3 facciamo tendere B a B" si ha F.2 ossia fÐB" ÑfÐB! Ñ B" B! Ÿ f ’ÐB" Ñ fÐB! ÑfÐB" Ñ B! B" Ÿ f ’ÐB" Ñ fÐB! Ñ fÐB" Ñ f ’ÐB" ÑÐB! B" Ñ da cui, poiché B! B" , e infine, scrivendo B in luogo di B! e B! in luogo di B" , la (3) per B B! . Infine, confrontando la F.1 con la F.2, si trova che f ’ÐB! Ñ Ÿ f ’ÐB" Ñ e quindi è dimostrata anche la (33) per l’arbitrarietà di B! e B" in [+, , ]. Teorema 27.2.2 Sia f una funzione ‘ Ä ‘ continua nell’intervallo [+, ,] e derivabile in Ð+, ,Ñ. La funzione f è convessa in [+, , ] se e solo se la funzione derivata f ’ è non decrescente in Ð+, ,Ñ. Dimostrazione - Per la (33) del teorema 27.2.1, dobbiamo solo dimostrare che se f ’ è non decrescente in Ð+, ,Ñ allora f è convessa in [+, , ]. Scegliamo arbitrariamente B! , B, B" − [+, , ] con B! B B" . Vogliamo mostrare che vale la F27.1.3. Per il teorema di Lagrange (25.4), esistono 0" − ÐB! , BÑ e 0# − ÐB, B" Ñ tali che fÐBÑfÐB! Ñ BB! œ f ’Ð0" Ñ, fÐB" ÑfÐBÑ B" B œ f ’Ð0# Ñ. Ma 0" Ÿ 0# , e quindi (poiché per ipotesi f ’ è non decrescente) f ’Ð0" Ñ Ÿ f ’Ð0# Ñ, da cui la F27.1.3. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 226 Osservazione 27.2.3 Si potrebbe dimostrare che anche la condizione (3) di 27.2.1 è sufficiente, oltre che necessaria, affinché la funzione f continua in [+, ,] e derivabile in Ð+, ,Ñ sia convessa in [+, , ]. Teorema 27.2.4 Sia f una funzione ‘ Ä ‘ continua nell’intervallo [+, , ] e derivabile due volte in Ð+, ,Ñ. Se f ’’ÐBÑ 0 per ogni B − Ð+, ,Ñ, la funzione f è convessa in [+, , ]. Dimostrazione - Segue subito da 25.5.1 e da 27.2.2. 27.3 - Funzioni concave. Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia [+, ,] § WÐfÑ. Si dice che f è concava in [+, , ] se comunque presi B! , B" − [+, , ] l’arco del grafico passante per i punti P! ´ ÐB! , fÐB! ÑÑ e P" ´ ÐB" , fÐB" ÑÑ “sta sopra” il segmento (“corda”) P! P" , ossia se comunque presi B! , B" − [+, , ] con B! B" si ha fÐÐ1 >ÑB! >B" Ñ Ð1 >Ñ fÐB! Ñ > fÐB" Ñ F27.3.1 a > − [0, 1]. Teorema 27.3.1 Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia [+, ,] § WÐfÑ. La funzione f è concava in [+, , ] se e solo se la funzione f è convessa in [+, , ]. Dimostrazione - Ovvio. Dal teorema 27.3.1 si ottengono gli analoghi dei risultati 27.2.1, 27.2.2 e 27.2.4. Teorema 27.3.2 Sia f una funzione ‘ Ä ‘ continua nell’intervallo [+, , ] e derivabile in Ð+, ,Ñ. Allora: (3) se f è concava in Ð+, ,Ñ, allora comunque presi B! , B − Ð+, ,Ñ si ha fÐBÑ Ÿ f ’ÐB! ÑÐB B! Ñ fÐB! Ñ (cioè, la tangente al grafico in P! ´ ÐB! , fÐB! ÑÑ -cfr. 24.3- “sta sopra” l’arco del grafico relativo all’intervallo Ð+, ,Ñ ); (33) f è concava in [+, , ] se e solo se la funzione derivata f ’ è non crescente in Ð+, ,Ñ; (333) se f è derivabile due volte in Ð+, ,Ñ e f ’’ÐBÑ Ÿ 0 per ogni B − Ð+, ,Ñ, allora f è concava in [+, , ]. 27.4 - Punti di flesso. Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia B! − WÐfÑ. Si dice che B! è un punto di flesso per f (oppure che P! ´ ÐB! , fÐB! ÑÑ è un flesso per il grafico di f) se f è convessa in un intorno sinistro di B! e concava in un intorno destro di B! , o viceversa. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 227 Teorema 27.4.1 Sia f una funzione ‘ Ä ‘ . Sia B! un punto interno a WÐfÑ , ed esista un intorno J di B! tale che f − VÐ#Ñ ÐJÑ (cfr. 24.5) . Allora f ’’ÐB! Ñ œ 0 è condizione necessaria affinché B! sia un punto di flesso per f. Dimostrazione - Supponiamo che B! sia un punto di flesso per f. Se fosse f ’’ÐB! Ñ œ ! Á 0, in un intorno I di B! (contenuto in J) f ’’ sarebbe sempre positiva (o sempre negativa) per il teorema 22.2.3, e dunque (per 27.2.4 e 27.3.2(333)) f sarebbe convessa (o concava) in tutto I, contro l’ipotesi che B! sia un punto di flesso. Osservazione 27.4.2 La funzione fÐxÑ ³ x% è convessa su tutto ‘, quindi non ha punti di flesso; tuttavia f ’’Ð0Ñ œ 0. Dunque la f ’’ÐB! Ñ œ 0 non è condizione sufficiente affinché B! sia un punto di flesso per f. Osservazione 27.4.3 Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia B! un punto di flesso per f ; sia P! ´ ÐB! , fÐB! ÑÑ il corrispondente flesso nel grafico di f e supponiamo, per fissare le idee, che f sia convessa in un intorno sinistro di B! e concava in un intorno destro di B! . Se f è derivabile in un intorno di B! , per il teorema 27.2.1 c’è un intorno sinistro di B! in cui la tangente al grafico di f “sta sotto” il relativo arco del grafico, e per il teorema 27.3.1 c’è un intorno destro di B! in cui la tangente al grafico di f “sta sopra” il relativo arco del grafico. Utilizzando il teorema 25.4.5, si potrebbe dimostrare che la tangente in P! al grafico di f “sta sotto” l’arco del grafico in un intorno sinistro e “sta sopra” l’arco del grafico in un intorno destro di B! : ciò si esprime di solito dicendo che la tangente in P! attraversa il grafico di f . Analoga a questa è la situazione che abbiamo visto nell’osservazione 24.3.7 ; si noti che tale situazione si verifica anche ogni volta che la derivata di f in B! è _ oppure _ . Teorema 27.4.4 Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia B! un punto di flesso per f . Se f è derivabile in un intorno di B! , allora B! non può essere punto estremante per f . Dimostrazione - Supponiamo, per fissare le idee, che f sia convessa in un intorno sinistro di B! e concava in un intorno destro di B! : allora f ’ è non decrescente in un intorno sinistro di B! e non crescente in un intorno destro di B! . Se B! fosse un punto estremante per f , per il teorema 25.2.5 sarebbe f ’(B! ) œ 0 : allora, per quanto appena visto, in tutto un intorno di B! sarebbe f ’(x) Ÿ 0 , ossia (per il teorema 25.5.1) f non crescente; e dunque B! non potrebbe essere punto estremante per f . Esempio 27.4.5 Sia f ³ 0. k xk x 1 . Il punto 0 è punto di flesso e anche punto di minimo locale per f . Si noti che f non è derivabile in Esercizi Per ciascuna delle seguenti funzioni determinare, se possibile, gli intervalli in cui è concava o convessa e gli eventuali punti di flesso. 27.4.6 27.4.9 f ÐxÑ ³ / x ; 27.4.7 fÐxÑ ³ x$ ; /x /x fÐxÑ ³ 2 ; 27.4.10 fÐxÑ ³ x% 5x# 4 ; 27.4.8 fÐxÑ ³ x$ 6x# 2x 1 ; 27.4.11 fÐxÑ ³ x † kxk . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 228 28.- ASINTOTI 28.1 - Introduzione. In 18.3 abbiamo studiato l’iperbole scrivendone l’equazione rispetto a un SdR nel quale gli assi coordinati coincidono con gli assi dell’iperbole e l’origine coincide col centro dell’iperbole. In tale occasione abbiamo osservato che esistono due rette con la seguente proprietà: indicando con $ÐBÑ la differenza tra le ordinate di due punti aventi la stessa ascissa B e appartenenti uno alla retta e l’altro alla porzione di iperbole contenuta in un opportuno quadrante, si ha lim $ ÐxÑ œ 0 , lim $ ÐxÑ œ 0 ; in altri termini, al crescere (e al xÄ _ xÄ _ decrescere) di x ciascuna porzione di iperbole si avvicina indefinitamente a una opportuna semiretta. Una simile proprietà di “avvicinamento all’infinito” a una retta si può riscontrare anche per altre curve, ed è così possibile generalizzare la nozione di “asintoto”: è quello che faremo in questo capitolo per i grafici delle funzioni ‘ Ä ‘. Tracciare gli eventuali asintoti facilita il disegno del grafico di una funzione consentendo anche di visualizzare meglio il comportamento della funzione stessa. 28.2 - Asintoti destri e asintoti sinistri. Sia f una funzione ‘ Ä ‘ definita in un intervallo illimitato a destra. La retta a di equazione y œ :x ; si dice un asintoto destro per il grafico di f (o, più brevemente, per f) se ÐfÐxÑ Ð:x ;ÑÑ œ 0 lim xÄ _ cioè se la differenza tra le ordinate dei punti aventi uguale ascissa appartenenti al grafico della f e alla retta a tende a zero al tendere dell’ascissa a _. Se f è definita in un intervallo illimitato a sinistra, la retta a di equazione y œ :x ; si dice invece un asintoto sinistro per il grafico di f (o, più brevemente, per f) se ÐfÐxÑ Ð:x ;ÑÑ œ 0 lim xÄ _ cioè se la differenza tra le ordinate dei punti aventi uguale ascissa appartenenti al grafico della f e alla retta a tende a zero al tendere dell’ascissa a _. Teorema 28.2.1 Condizione necessaria e sufficiente affinché la retta di equazione y œ :x ; sia un asintoto destro [sinistro] per f è che sia fÐxÑ lim lim œ :, ÐfÐxÑ :xÑ œ ; xÄ _ x xÄ _ ’ x lim Ä _ fÐxÑ x œ :, x lim ÐfÐxÑ :xÑ œ ; Ä _ “. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 229 Dimostrazione - Proviamo l’asserto per gli asintoti destri. Poiché x ÐfÐxÑ :xÑ œ ; lim Ä _ equivale a x ÐfÐxÑ Ð: x ;ÑÑ œ 0, lim Ä _ dobbiamo solo provare che (y œ :x ; In effetti, sia x da cui l’asserto perché x ; x lim Ä _ x fÐxÑ lim œ : . Ä _ x lim ÐfÐxÑ Ð:x ;ÑÑ œ 0. Ä _ fÐxÑ:x; x 0 œ lim xÄ _ Allora Œ Ê asintoto per f) œŒ x lim Ä _ fÐxÑ x : Œ x lim Ä _ ; x œ 0. Esempio 28.2.2 Sia fÐxÑ ³ /x sinÐxÑ. Si ha x lim Ä _ fÐxÑ lim x xœ Ä _ / x † œŒ sinÐxÑ x e x x sinÐxÑ lim /x † Œ lim œ0†0œ0 Ä _ xÄ _ x lim fÐxÑ œ 0 Ä _ cosicché l’asse delle ascisse è un asintoto destro per f. Invece, x lim Ä _ Š œ lim ˆ xÄ _ fÐxÑ x /x x † sinÐxÑ ‰‹ non esiste, e dunque f non ha asintoti sinistri. Esempio 28.2.3 Sia fÐxÑ ³ lnÐxÑ x. Si ha x lim Ä _ ma fÐxÑ lim x xœ Ä x _ lnÐxÑx x œŒ x lnÐxÑ lim 1œ01œ1 Ä _ x lim ÐfÐxÑ xÑ œ lim lnÐxÑ œ _ Ä _ xÄ _ cosicché f non ha asintoti destri. Un asintoto (destro o sinistro) si dice orizzontale se il suo coefficiente angolare è zero, obliquo altrimenti. è chiaro che Teorema 28.2.4 Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia 5 − ‘. La retta di equazione y œ 5 è un asintoto orizzontale destro [sinistro] per f se e solo se lim fÐxÑ œ 5 [ lim fÐxÑ œ 5 ]. xÄ _ xÄ _ Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 230 28.3 - Asintoti verticali. Sia f una funzione ‘ Ä ‘, e sia B! un punto di accumulazione per WÐfÑ. La retta di equazione x œ B! si dice un asintoto verticale per il grafico di f (o, più brevemente, per fÑ se si verifica (almeno) una delle seguenti situazioni: lim fÐxÑ œ _ ; xÄB! x lim fÐxÑ œ _ ; Ä B ! x lim fÐxÑ œ _ ; Ä B ! x lim fÐxÑ œ _ . Ä B ! oppure oppure oppure Si noti che i valori di B! per i quali la retta di equazione x œ B! può essere asintoto verticale per il grafico di f vanno cercati fra i punti di accumulazione per WÐfÑ in cui f presenta una singolarità. 28.4 - Esempi ed esercizi. Esempio 28.4.1 Sia fÐxÑ ³ /x . Si ha WÐfÑ œ ‘ , e f è continua in tutto ‘ : pertanto, non possono esserci asintoti verticali ma f può avere un asintoto destro e un asintoto sinistro. È lim xÄ _ fÐxÑ x x / lim xÄ _ x œ œ _ cosicché f non ha asintoti destri. Invece x lim Ä _ fÐxÑ x x œ x / lim Ä _ x œ 0 per cui l’asse delle ascisse è asintoto (orizzontale) sinistro per f . Esempio 28.4.2 Sia fÐxÑ ³ lnÐxÑ . Si ha WÐfÑ œ (0 , _) e f è continua in tutto (0 , _) : pertanto f può avere un asintoto verticale in 0 (punto di accumulazione per WÐfÑ in cui f presenta una singolarità) e un asintoto destro. In effetti si ha lim fÐxÑ œ lim ln(x) œ _ xÄ! xÄ! cosicché l’asse delle ordinate è asintoto verticale per f ; e x lim Ä _ fÐxÑ x œ x lnÐxÑ lim œ0 Ä _ x cosicché un eventuale asintoto destro per f sarebbe un asintoto orizzontale; ma fÐxÑ œ lim lnÐxÑ œ _ lim xÄ _ xÄ _ per cui f non ha asintoti destri . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 231 Esempio 28.4.3 Sia fÐxÑ ³ Èx# x . Si ha WÐfÑ œ (_ , 1Ó Ò0 , _) e f è continua in tutto (_ , 1Ó e in tutto Ò0 , _) : pertanto f non può avere asintoti verticali (non ci sono infatti punti di accumulazione per WÐfÑ in cui f presenti singolarità) ma può avere un asintoto sinistro e un asintoto destro. Si ha fÐxÑ lim x xœ Ä lim xÄ _ œ lim xÄ _ _ È x # x œ lim x xÄ kxk†É1 "x œ œ lim xÄ _ x Éx# (1 "x ) x _ x†É1 "x x œ lim xÄ _ È x # † É 1 " œ lim É1 Ä _ x x x " x œ œ1 cosicché un eventuale asintoto destro per f ha equazione della forma y œ x ; . Poiché inoltre lim fÐxÑ x œ lim ŠÈx# x ‹ x œ lim xÄ _ xÄ _ xÄ _ # ŠÈx# x x‹†ŠÈx# x x‹ È x # x x œ # x x x x x œ lim œ lim œ lim œ Ä _ Éx# (1 "x ) xx Ä _ ŠÈx# †É1 "x ‹ x x Ä _ Škxk†É1 "x ‹ x x x 1 œ lim œ lim œ Ä _ Šx†É1 "x ‹ xx Ä _ ŠÉ1 "x ‹ 1 x " # la retta di equazione y œ x 1 2 è asintoto (obliquo) destro per f . Analogamente, lim x Ä _ fÐxÑ x lim x Ä _ È x # x x kxk†É1 "x œ œ œ lim x Ä _ x œ lim x Ä _ lim x Ä _ x†É1 "x x Éx# (1 "x ) x œ x œ lim x Ä _ È x # † É 1 " lim É1 Ä _ x x " x œ œ 1 cosicché un eventuale asintoto sinistro per f ha equazione della forma y œ x ; . Poiché inoltre x lim fÐxÑ x œ lim ŠÈx# x ‹ x œ lim Ä _ x Ä _ x Ä _ œ x lim Ä _ x # x x # Éx# (1 "x ) x œ x œ x " # È x # x x x x lim œ lim œ Ä _ ŠÈx# †É1 "x ‹ x x Ä _ Škxk†É1 "x ‹ x x lim œ lim Ä _ Šx†É1 "x ‹ x x Ä _ la retta di equazione y œ x ŠÈx# x x‹†ŠÈx# x x‹ 1 ŠÉ1 "x ‹ 1 è asintoto (obliquo) sinistro per f . œ 1 2 œ Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 232 Il grafico della funzione Èx# x (ascisse da 3 a 3 ; ordinate da 3 a 3) è approssimativamente il seguente: Esercizi Determinare gli eventuali asintoti delle seguenti funzioni ‘ Ä ‘ : 28.4.4 fÐxÑ ³ x 1 x ; 28.4.5 fÐxÑ ³ 2x x 3 ; 28.4.6 fÐxÑ ³ x # 2 x ; 28.4.7 fÐxÑ ³ x % 1 x # 1 ; 28.4.8 fÐxÑ ³ Ðx2Ñ$ x# 28.4.9 fÐxÑ ³ lnÐxÑ 1 x 28.4.10 fÐxÑ ³ / x ; 28.4.11 fÐxÑ ³ ; ; " sinÐxÑ x . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 233 29.- STUDIO DI UNA FUNZIONE 29.1 - Introduzione. Sia f una funzione ‘ Ä ‘. Studiare f significa raccogliere quante più informazioni possibili su f e sintetizzarle in un disegno approssimativo del grafico di f ; per quanto riguarda le funzioni che noi avremo occasione di considerare, risultano essenziali a questo scopo le nozioni sviluppate nei capitoli da 21 a 28. Un itinerario consigliabile per lo studio della funzione f è il seguente. 1 Determinare WÐfÑ ed esprimerlo se possibile come unione I" I# á I8 di un numero finito di intervalli I4 tali che f risulta continua in ciascun I4 e derivabile in ogni punto interno di ciascun I4 (ciò naturalmente non è in generale possibile). Eventualmente, esprimere in modo più semplice la restrizione di f a ciascun I4 (ciò risulterà utile ad esempio quando nell’espressione generale di f è coinvolta la funzione “valore assoluto”). 2 Valutare se eventualmente f è una funzione pari o una funzione dispari o una funzione periodica (cfr. 21.4) ; in caso affermativo, sarà sufficiente limitarsi a considerare la restrizione di f a Ò0, _Ñ oppure ad un intervallo avente per ampiezza il periodo di f. Valutare se è il caso di studiare preliminarmente un’altra funzione che compare come “ingrediente” nell’espressione di f (cfr. 29.6) . 3 Descrivere il comportamento di f agli estremi di ciascun I4 , calcolando il limite di f per x che tende a ciascun estremo (ivi compresi, eventualmente, _ e _). Si determinano in questa occasione gli eventuali asintoti (cfr. capitolo 28). 4 Calcolando, se è il caso, la derivata e la derivata seconda di f : valutare dove f risulta crescente e dove decrescente; determinare gli eventuali punti di estremo locale per f ; valutare dove f risulta convessa e dove concava; determinare gli eventuali punti di flesso per f. 5 Valutare per quali valori di x risulti fÐxÑ 0 e per quali invece fÐxÑ 0 ; determinare i punti in cui il grafico di f incontra eventualmente gli assi coordinati, e determinare altri punti del grafico. 6 Tracciare infine approssimativamente il grafico di f. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 234 29.2 - Studio della funzione fÐxÑ ³ " lnÐxÑ . Seguiamo l’itinerario consigliato in 29.1 . 1 Si ha WÐfÑ œ Ð0, 1Ñ Ð1, _Ñ . 2 Poiché f non è definita in Ð _, 0Ó , f non può essere né una funzione pari né una funzione dispari. Non c’è motivo per sospettare che f possa essere una funzione periodica. 3 Si ha x lim fÐxÑ œ lim Ä ! x Ä ! 1 ln(x) œ0 per la Ð@33Ñ del teorema 23.7.1, ricordando che lim lnÐxÑ œ _ (cfr. 23.5.3) . Inoltre, x Ä ! x lim fÐxÑ œ lim Ä " xÄ" 1 ln(x) œ _ per la Ð3BÑ del teorema 23.7.1, ricordando che lim lnÐxÑ œ lnÐ1Ñ œ 0 e che in Ð0, 1Ñ lnÐxÑ non assume mai xÄ" valori positivi . Analogamente, lim fÐxÑ œ lim x Ä " x Ä " 1 ln(x) œ _ e x lim fÐxÑ œ lim Ä _ xÄ _ 1 ln(x) œ 0. In particolare, si è stabilita l’esistenza di un asintoto verticale (la retta di equazione x œ 1) e di un asintoto orizzontale destro (l’asse delle ascisse). 4 Applicando i teoremi delle sezioni 24.6 e 24.7, si trova che f ’ÐxÑ œ 1x ln# (x) e f ’’ÐxÑ œ x# †ln# (x) 1x †2†ln(x)† 1x ln% (x) œ x# †ln(x)†(ln(x)2) ln% (x) œ ln(x)†(ln(x)2) x# †ln% (x) . Si vede immediatamente che in tutto W(f) è f ’(x) 0 : per il teorema 25.5.1 , f è decrescente nel proprio dominio ; non ci sono punti estremanti. Il segno di f ’’ÐxÑ coincide col segno di ln(x) † (ln(x) 2), dunque (come si trova con semplici calcoli) f ’’ÐxÑ 0 per 0 x /# e per x 1 ; i teoremi 27.2.4 e 27.3.2 ci consentono di affermare che f risulta convessa in Ð0, /# Ó , concava in Ò/# , 1Ñ e convessa in Ð1, _) . In particolare, il punto /# è un punto di flesso per f . 5 Il segno di f(x) coincide col segno di ln(x) : dunque f(x) 0 in Ð0, 1Ñ e f(x) 0 in Ð1, _) . Il grafico di f non incontra gli assi coordinati. Può valer la pena di segnare il punto del grafico di coordinate Ð/, 1Ñ . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 235 6 Il grafico di 1 ln(x) (ascisse da 1 a 7 ; ordinate da 4 a 4) è approssimativamente questo: 29.3 - Studio della funzione fÐxÑ ³ x$ 3x# . Seguiamo l’itinerario consigliato in 29.1 . 1 Si ha WÐfÑ œ ‘. 2 La funzione data non è né pari né dispari; e non c’è motivo per sospettare che possa essere una funzione periodica. 3 Si ha e x lim fÐxÑ œ lim (x$ 3x# ) œ lim x$ (1 Ä _ x Ä _ x Ä _ 3 x )œ _ x lim fÐxÑ œ lim (x$ 3x# ) œ lim x$ (1 Ä _ x Ä _ x Ä _ 3 x ) œ _. Valutiamo l’esistenza di asintoti sinistri e destri applicando il teorema 28.2.1. Poiché fÐxÑ lim œ lim Ä _ x x Ä _ fÐxÑ lim œ lim x Ä _ x x Ä _ x e x$ 3x# x $ x 3x x # œ lim (x# 3x) œ lim x# (1 x Ä _ x Ä _ œ lim (x# 3x) œ lim x# (1 x Ä _ x Ä _ la funzione data non ha né asintoti sinistri né asintoti destri. 3 x )œ _ 3 x )œ _ Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 236 4 e Applicando i teoremi delle sezioni 24.6 e 24.7, si trova subito che f ’ÐxÑ œ 3x# 6x œ 3xÐx 2) f ’’ÐxÑ œ 6x 6 . Con semplici calcoli si ricava che: in Ð _, 0Ñ è f ’(x) 0 ; f ’(0) œ 0 ; in Ð0, 2Ñ è f ’(x) 0 ; f ’(2)=0 ; e in Ð2, _Ñ è f ’(x) 0 . Per il teorema 25.5.1 , f risulta : crescente in Ð _, 0Ñ ; decrescente in Ð0, 2Ñ ; crescente in Ð2, _Ñ . Il punto 0 è un punto di massimo locale; il punto 2 è un punto di minimo locale. Per quanto visto in 3 , non esistono punti di massimo né punti di minimo come definiti in 21.5 . Si ha f ’’ÐxÑ 0 per x 1 e f ’’ÐxÑ 0 per x>1 ; i teoremi 27.2.4 e 27.3.2 ci consentono di affermare che f risulta concava in Ð _, 1) e convessa in Ð1, _) . In particolare, il punto 1 è un punto di flesso per f . 5 Con semplici calcoli si trova che fÐxÑ 0 in Ð _, 0Ñ e in Ð0, 3Ñ , mentre fÐxÑ 0 in Ð3, _Ñ . Si ha fÐxÑ œ 0 per x œ 0 e per x œ 3 , dunque il grafico di f incontra l’asse delle ascisse nell’origine e nel punto di coordinate Ð3, 0Ñ . Naturalmente, il grafico di f incontra l’asse delle ordinate nell’origine. 6 Il grafico della funzione approssimativamente questo: x$ 3x# (ascisse da 4,5 a 4,5 ; ordinate da 4,5 a 4,5) è Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 237 29.4 - Studio della funzione fÐxÑ ³ sinÐxÑ cosÐxÑ. Seguiamo l’itinerario consigliato in 29.1 . 1 Poiché W(sin) œ W(cos) œ ‘ , è anche WÐfÑ œ ‘ (cfr. 21.1) . 2 Poiché sin e cos sono funzioni periodiche di periodo 21 (cfr. esempio 21.3.5) , si ha f(x 21) œ sin(x 21) cos(x 21) œ sin(x) cos(x) œ f(x) e dunque f è periodica di periodo 21 . Pertanto sarà sufficiente limitarsi a considerare la restrizione di f a Ò0, 21Ó . 3 Si ha f(0) œ f(21) œ 1 . è chiaro che non esistono asintoti. 4 f ’ÐxÑ œ cos(x) sin(x) f ’’ÐxÑ œ sin(x) cos(x) œ f(x) . Si ha e Si Per studiare il segno di f ’ÐxÑ e f ’’ÐxÑ , conviene considerare l’andamento di sin(x) e cos(x) in Ò0, 21Ó . vede facilmente che: in Ð0, 1% Ñ è cos(x) sin(x) 0 e dunque f’ÐxÑ 0 , f’’ÐxÑ 0 ; È sin( 1% Ñ œ cos( 1% Ñ œ ## ; in Ð 1% , 1# Ñ è sin(x) cos(x) 0 e dunque f’ÐxÑ 0 , f’’ÐxÑ 0 ; sin( 1# Ñ œ 1 , cos( 1# Ñ œ 0 ; in Ð 1# , $% 1Ñ è sin(x) 0 cos(x) e sin(x) ± cos(x) ± , cosicché f’ÐxÑ 0 , f’’ÐxÑ 0 ; È È sin( $% 1Ñ œ ## , cos( $% 1Ñ œ ## ; in Ð $% 1, 1Ñ è sin(x) 0 cos(x) e sin(x) ± cos(x) ± , cosicché f’ÐxÑ 0 , f’’ÐxÑ 0 ; sin(1Ñ œ 0 , cos(1Ñ œ 1 ; in Ð1, &% 1Ñ è 0 sin(x) cos(x) e dunque f’ÐxÑ 0 , È f’’ÐxÑ 0 ; sin( &% 1Ñ œ cos( &% 1Ñ œ ## ; in Ð &% 1, $# 1Ñ è 0 cos(x) sin(x) e dunque f’ÐxÑ 0 , f’’ÐxÑ 0 ; sin( $# 1Ñ œ 1 , cos( $# 1Ñ œ 0 ; in Ð $# 1, (% 1Ñ è cos(x) 0 sin(x) e ± sin(x) ± cos(x), cosicché f’ÐxÑ 0 , È È f’’ÐxÑ 0 ; sin( (% 1Ñ œ ## , cos( (% 1Ñ œ ## ; in Ð (% 1, 21Ñ è cos(x) 0 sin(x) e ± sin(x) ± cos(x), cosicché f’ÐxÑ 0 , f’’ÐxÑ 0 ; sin(0Ñ œ 0 , cos(0Ñ œ 1 . Riassumendo: f’ÐxÑ 0 (e dunque f è crescente) in Ð0, $% 1Ñ e in Ð (% 1, 21Ñ ; f’ÐxÑ 0 (e dunque f è decrescente) in Ð $% 1, (% 1Ñ ; f’’ÐxÑ 0 (e dunque f è convessa) in Ð0, 1% Ñ e in Ð %& 1, #1Ñ ; f’’ÐxÑ 0 (e dunque f è concava) in Ð 1% , &% 1Ñ . è chiaro a questo punto che $% 1 è un punto di massimo, (% 1 è un punto di minimo, 1% e & % 1 sono punti di flesso. 5 Poiché f’’ÐxÑ œ f(x) , possiamo sfruttare la discussione del punto precedente per determinare il segno di f(x) e per stabilire le intersezioni del grafico con gli assi coordinati. Nell’intervallo che stiamo studiando, si ha: fÐxÑ 0 in Ð0, 1% Ñ ; fÐxÑ 0 in Ð 1% , &% 1Ñ ; fÐxÑ 0 in Ð &% 1, 21Ñ . Inoltre: f(0) œ 1 ; fÐxÑ œ 0 per x ³ 1% e per x ³ &% 1 . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 238 6 Il grafico della funzione approssimativamente questo: 29.5 - Studio della funzione fÐxÑ ³ sin(x) cos(x) (ascisse da 0 a 21 ; ordinate da 1 a 1) è x†±x±1 ±x1± . Seguiamo l’itinerario consigliato in 29.1 . 1 Si ha WÐfÑ œ Ð _, 0Ó Ò0, 1Ñ Ð1, _Ñ . Si noti la scelta di individuare WÐfÑ come unione di tre intervalli anziché di due. All’interno di ciascuno dei tre intervalli considerati f è senz’altro derivabile per i # risultati del capitolo 24 . Inoltre si ha: fÐxÑ œ xx11 in Ð _, 0Ó ; fÐxÑ œ x 1 in Ò0, 1Ñ ; fÐxÑ œ x 1 in Ð1, _Ñ ; e ciascuna di queste tre funzioni è relativamente semplice da studiare (in particolare, il grafico di f in Ò0, 1Ñ e in Ð1, _Ñ è costituito da porzioni di rette e quindi può essere immediatamente disegnato senza ulteriori calcoli). Si noti che f è derivabile anche in 0 ; ma per affermare ciò si deve effettuare il calcolo diretto del rapporto incrementale in 0 della f . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 239 2 La f non è pari né dispari; né c’è motivo per sospettare che possa essere una funzione periodica. 3 Si ha lim fÐxÑ œ lim x Ä _ x Ä _ e x Inoltre, e x # 1 x 1 œ lim x Ä _ x 1x 1 1x œ _ lim fÐxÑ œ f(0) œ 1 . Ä! x lim fÐxÑ œ lim ( x 1) œ 2 Ä " xÄ" x lim fÐxÑ œ lim (x 1) œ _ , Ä _ x Ä _ ma questi ultimi due limiti non rivestono interesse perché, come si è già osservato, non ci sono problemi per disegnare il grafico di f in Ò0, 1Ñ Ð1, _Ñ . È chiaro che la retta di equazione y œ x 1 è un asintoto destro per f , venendo addirittura a coincidere, per x 1, col grafico di f . Valutiamo l’esistenza di un asintoto sinistro applicando il teorema 28.2.1. Poiché fÐxÑ lim œ lim x Ä _ x x Ä _ x # 1 x(x1) œ lim x Ä _ lim (fÐxÑ x) œ lim Š xx11 x‹ œ lim Ä _ x Ä _ x Ä _ la retta di equazione y œ x 1 è anche asintoto sinistro per f . # e x 1 x1# 1 1x x# 1x(x1) x 1 œ1 œ lim x Ä _ x 1 x1 œ1, 4 Per valutare dove f risulta crescente e dove decrescente, determinare gli eventuali punti di estremo locale per f , valutare dove f risulta convessa e dove concava, determinare gli eventuali punti di flesso per f , ci limitiamo a considerare la restrizione di f a Ð _, 0Ó ; infatti, come si è già osservato, non ci sono problemi per disegnare il grafico di f in Ò0, 1Ñ Ð1, _Ñ . Applicando i teoremi della sezione 24.6, si trova subito che in Ð _, 0Ó è f’ÐxÑ œ f’’ÐxÑ œ e 2x(x1)(x# 1Ñ (x1)# œ x# 2x1 (x1)# (2x2)(x1)# (x# 2x1)2(x1) (x1)% œ 4 (x1)$ . Con semplici calcoli si ricava che: in Ð _, 1 È2 Ñ è f’(x) 0 ; f’(1 È2 ) œ 0 ; in Ð1 È2 , 0Ñ è f’(x) 0 . Per il teorema 25.5.1 , f risulta crescente in Ð _, 1 È2 Ñ e decrescente in Ð1 È2 , 0Ñ ; il punto 1 È2 è un punto di massimo locale. Per quanto visto in 3 , non esistono punti di massimo né punti di minimo come definiti in 21.5 . In Ð _, 0Ó si ha f’’ÐxÑ 0 ; per il teorema 27.3.2 , in Ð _, 0Ó f risulta concava. 5 Con semplici calcoli si trova che fÐxÑ 0 in Ð _, 1Ñ , mentre fÐxÑ 0 in Ð1, _Ñ . Non è mai fÐxÑ œ 0 , dunque il grafico di f non incontra l’asse delle ascisse; poiché f(0) œ 1 , il grafico di f incontra l’asse delle ordinate nel punto di coordinate Ð0, 1Ñ . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 240 6 Il grafico della funzione approssimativamente questo: x † k x k 1 k x 1 k (ascisse da 4,5 a 4,5 ; ordinate da 4,5 a 4,5) è 29.6 - Disegno del grafico di funzioni composte. Sia f una funzione ‘ Ä ‘. Lo studio di f secondo l’itinerario suggerito in 29.1 è in genere tanto più complicato (specialmente se si rende necessario lavorare con la derivata e la derivata seconda di f) quanto più complessa è l’espressione di f (che, coerentemente con quanto dichiarato in 21.1, sarà di solito data mediante somma, prodotto, composizione di quelle che abbiamo chiamato “funzioni elementari”). In linea con l’orientamento generale della Matematica di affrontare un problema scomponendolo in problemi più semplici, ha dunque interesse chiedersi se è possibile, data una funzione f espressa come somma, prodotto, composizione di altre funzioni f" , f# , á , f8 , descrivere il grafico di f mediante i grafici di f" , f# , á , f8 . I risultati di questa sezione consentono di rispondere affermativamente a tale domanda in alcuni casi che sono piuttosto particolari ma, come vedremo, risultano spesso utili. Teorema 29.6.1 Siano :, g funzioni ‘ Ä ‘ , e sia A § WÐgÑ . Ð+Ñ Se g è non decrescente in A e : è non decrescente in gÐAÑ, allora : ‰ g è non decrescente in A . Ð,Ñ Se g è non decrescente in A e : è non crescente in gÐAÑ, allora : ‰ g è non crescente in A . ÐcÑ Se g è non crescente in A e : è non decrescente in gÐAÑ, allora : ‰ g è non crescente in A . Ð+Ñ Se g è non crescente in A e : è non crescente in gÐAÑ, allora : ‰ g è non decrescente in A . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 241 Dimostrazione - Proviamo la Ð+Ñ ; le altre affermazioni si dimostrano con procedimento analogo. Siano B" , B# − A con B" B# . Poiché g è non decrescente in A, gÐB" Ñ Ÿ gÐB# Ñ ; ma allora, poiché : è non decrescente in gÐAÑ, se B" , B# − WÐ: ‰ gÑ (e dunque gÐB" Ñ, gÐB# Ñ − WÐ:ÑÑ si ha :ÐgÐB" ÑÑ Ÿ :ÐgÐB# ÑÑ ossia Ð: ‰ gÑÐB" Ñ Ÿ Ð: ‰ gÑÐB# Ñ e dunque : ‰ g è crescente in A . Teorema 29.6.2 Siano :, g funzioni ‘ Ä ‘ ; sia I un intervallo contenuto in WÐgÑ tale che gÐIÑ è un intervallo contenuto in WÐ:Ñ . Ð+Ñ Se g è convessa in I e : è convessa e crescente in gÐIÑ, allora : ‰ g è convessa in I . Ð,Ñ Se g è concava in I e : è convessa e decrescente in gÐIÑ, allora : ‰ g è convessa in I . Ð-Ñ Se g è convessa in I e : è concava e decrescente in gÐIÑ, allora : ‰ g è concava in I . Ð+Ñ Se g è concava in I e : è concava e crescente in gÐIÑ, allora : ‰ g è concava in I . Dimostrazione - Proviamo la Ð+Ñ . Vogliamo mostrare che : ‰ g è convessa in I , cioè che per B" , B# − I e > − Ò0, 1Ó si ha Ð: ‰ gÑÐ>B" Ð1 >ÑB# Ñ Ÿ >Ð: ‰ gÑÐB" Ñ Ð1 >ÑÐ: ‰ gÑÐB# Ñ ossia F.1 :ÐgÐ>B" Ð1 >ÑB# ÑÑ Ÿ >:ÐgÐB" ÑÑ Ð1 >Ñ:ÐgÐB# ÑÑ . Poiché g è convessa in I , gÐ>B" Ð1 >ÑB# Ñ Ÿ >gÐB" Ñ Ð1 >ÑgÐB# Ñ ; poiché : è crescente in gÐIÑ, ne segue che F.2 :ÐgÐ>B" Ð1 >ÑB# ÑÑ Ÿ :Ð>gÐB" Ñ Ð1 >ÑgÐB# ÑÑ ; ma poiché : è convessa in gÐIÑ si ha anche che F.3 :Ð>gÐB" Ñ Ð1 >ÑgÐB# ÑÑ Ÿ >:ÐgÐB" ÑÑ Ð1 >Ñ:ÐgÐB# ÑÑ e la F.1 segue subito dalle F.2 e F.3 . Proviamo ora la Ð,Ñ . Vogliamo mostrare che : ‰ g è convessa in I , cioè che per B" , B# − I e > − Ò0, 1Ó si ha Ð: ‰ gÑÐ>B" Ð1 >ÑB# Ñ Ÿ >Ð: ‰ gÑÐB" Ñ Ð1 >ÑÐ: ‰ gÑÐB# Ñ ossia F.1 :ÐgÐ>B" Ð1 >ÑB# ÑÑ Ÿ >:ÐgÐB" ÑÑ Ð1 >Ñ:ÐgÐB# ÑÑ . Poiché g è concava in I , gÐ>B" Ð1 >ÑB# Ñ >gÐB" Ñ Ð1 >ÑgÐB# Ñ ; poiché : è decrescente in gÐIÑ, ne segue che F.2 :ÐgÐ>B" Ð1 >ÑB# ÑÑ Ÿ :Ð>gÐB" Ñ Ð1 >ÑgÐB# ÑÑ ; ma poiché : è convessa in gÐIÑ si ha anche che F.3 :Ð>gÐB" Ñ Ð1 >ÑgÐB# ÑÑ Ÿ >:ÐgÐB" ÑÑ Ð1 >Ñ:ÐgÐB# ÑÑ e la F.1 segue subito dalle F.2 e F.3 . La Ð-Ñ Òrisp. Ð.ÑÓ segue dalla Ð+Ñ Òrisp. Ð,ÑÓ ricordando che se : è concava e decrescente Òrisp. crescenteÓ in gÐIÑ allora : è convessa e crescente Òrisp. decrescenteÓ in gÐIÑ e che se Ð :Ñ ‰ g è convessa in I allora : ‰ g ( œ Ð Ð: ‰ gÑÑ œ ÐÐ :Ñ ‰ gÑ) è concava in I . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 242 Esempio 29.6.3 Sia :ÐxÑ ³ /x , gÐxÑ ³ "# x# ; oppure sia :ÐxÑ ³ /x , gÐxÑ ³ "# x# . Nel primo caso : è convessa e crescente in ‘, g è concava in ‘ ; nel secondo caso : è convessa e decrescente in ‘, g è convessa in ‘ . Posto f " # ³ : ‰ g œ / # x , è facile controllare (calcolando la derivata seconda di fÑ che f è convessa in Ð _, 1Ó e in Ò1, _Ñ, concava in Ò 1, 1Ó . Analogamente, sia :ÐxÑ ³ /x , gÐxÑ ³ "# x# ; oppure sia :ÐxÑ ³ /x , gÐxÑ ³ "# x# . Nel primo caso : è concava e decrescente in ‘, g è concava in ‘ ; nel secondo caso : è concava e crescente in ‘, g è convessa " # in ‘ . Posto f ³ : ‰ g œ / # x , f risulta concava in Ð _, 1Ó e in Ò1, _Ñ, convessa in Ò 1, 1Ó . Teorema 29.6.4 Siano :, g funzioni ‘ Ä ‘ , e sia f ³ : ‰ g. Se : è crescente nell’immagine di g, allora : Ð+Ñ Per ogni A § WÐgÑ : se g è non decrescente in A , anche f è non decrescente in A ; se g è non crescente in A , anche f è non crescente in A . Ð,Ñ Per ogni B! − A : B! è punto di minimo locale per f se e solo se è punto di minimo locale per g ; B! è punto di massimo locale per f se e solo se è punto di massimo locale per g ; B! è punto di minimo per f se e solo se è punto di minimo per g ; B! è punto di massimo per f se e solo se è punto di massimo per g . ÐcÑ Per ogni intervallo I contenuto in WÐgÑ tale che gÐIÑ è un intervallo contenuto in WÐ:Ñ : se g è convessa in I e : è convessa in gÐIÑ , anche f è convessa in I ; se g è concava in I e : è concava in gÐIÑ , anche f è concava in I. Dimostrazione - La Ð+Ñ segue dalle Ð+Ñ e Ð-Ñ del teorema 29.6.1 ; la Ð-Ñ segue dalle Ð+Ñ e Ð.Ñ del teorema 29.6.3 . Proviamo la Ð,Ñ . Supponiamo che B! sia un punto di minimo locale per g ; allora esiste un intorno I di B! tale che gÐBÑ gÐB! Ñ aB − I. Allora per ogni B − I poiché : è crescente in gÐIÑ si ha :ÐgÐBÑÑ :ÐgÐB! ÑÑ e dunque fÐBÑ fÐB! Ñ aB − I. Viceversa, supponiamo che B! sia un punto di minimo locale per f ; allora esiste un intorno I di B! tale che fÐBÑ fÐB! Ñ aB − I. Se esistesse B in I tale che gÐBÑ gÐB! Ñ , poiché : è crescente sarebbe :ÐgÐBÑÑ :ÐgÐB! ÑÑ e dunque fÐBÑ fÐB! Ñ contro quanto supposto. Il ragionamento è analogo se B! è punto di minimo oppure punto di massimo locale oppure punto di massimo. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 243 30.- PRIMITIVE 30.1 - Generalità. Sia f : ‘ Ä ‘ una funzione. Si dice primitiva di f una funzione derivabile F : ‘ Ä ‘ la cui funzione derivata F ’ (cfr. 24.5) coincida con f . Sia I § ‘, e sia f : ‘ Ä ‘ una funzione tale che I § WÐfÑ . Si dice primitiva di f in I una funzione derivabile F : I Ä ‘ la cui funzione derivata F ’ (cfr. 24.5) coincida con la restrizione di f ad I (cfr. 4.5) . Esempio 30.1.1 La funzione lnÐxÑ è una primitiva della funzione 1x in Ð0, _Ñ ; la funzione lnÐ xÑ è una primitiva della funzione 1x in Ð _, 0Ñ ; la funzione ln Ð ± x ± Ñ è una primitiva della funzione 1x . Data una funzione f : ‘ Ä ‘ , esiste sempre una primitiva di f ? Se esiste una primitiva di f , ne esiste una sola? La risposta è “no” per entrambe le domande. Abbiamo visto infatti (teorema 25.4.5) che una funzione derivata non può avere singolarità eliminabili; l’esempio 25.4.7 presenta dunque una funzione che non ha primitiva . Inoltre, data una primitiva F di f è facile trovarne infinite altre: basta sommare a F una qualsiasi funzione costante; infatti, se - è una funzione costante si ha ÐF -Ñ’ œ F ’ - ’ œ F ’ per il teorema 24.6.1 e l’esempio 24.2.3 . Teorema 30.1.2 Sia f una funzione ‘ Ä ‘ . Se f è continua in un intervallo I , esiste una primitiva di f in I . Dimostrazione - Questo risultato verrà dimostrato col teorema 31.6.3 . Osservazione 30.1.3 La condizione di continuità espressa dal teorema 30.1.2 è sufficiente ma non necessaria per l’esistenza di una primitiva. La funzione f definita ponendo: 2 x sin ˆ 1x ‰ cos ˆ 1x ‰ se x Á 0 f Ðx Ñ ³ œ 0 se x œ 0 non è continua in 0 (non esiste infatti lim fÐxÑ ) ma ammette come primitiva la xÄ! FÐxÑ ³ œ x# † sin ˆ 1x ‰ 0 se x Á 0 se x œ 0 Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 244 Sia I § ‘, e sia f : ‘ Ä ‘ una funzione con WÐfÑ œ I . Ricordando il corollario 24.6.2, possiamo dire che l’insieme delle primitive di f in I costituisce l’immagine inversa di Öf× (cfr. 4.3) mediante l’omomorfismo “derivazione” ·ÐIÑ Ä Y ÐIÑ . Teorema 30.1.4 Sia I § ‘, sia f : ‘ Ä ‘ una funzione tale che I § WÐfÑ e sia F! una primitiva di f in I . Le primitive di f in I sono tutte e sole le funzioni I Ä ‘ che si possono scrivere nella forma F! F‡ con F‡ − ·ÐIÑ e F’‡ œ 0 . Dimostrazione - Sia c l’insieme delle primitive di f in I , e sia Y l’insieme delle funzioni I Ä ‘ che si possono scrivere nella forma F! F‡ con F‡ − ·ÐIÑ e F’‡ œ 0 . Dobbiamo provare che c œ Y . È immediato che Y © c . Infatti, se g − Y è g œ F! F‡ con F‡ − ·ÐIÑ e F’‡ œ 0 ; allora g’ œ (F! F‡ )’ œ F’! F’‡ œ f 0 œ f cosicché g − c . Viceversa, è anche c © Y . Infatti, se g − c è g œ F! (g F! ) con g F! − ·ÐIÑ (perché g − ·ÐIÑ e F! − ·ÐIÑ) e (g F! )’ œ g ’ F! ’ œ f f œ 0 . Sia Ò+, ,Ó un intervallo limitato e chiuso di numeri reali e sia f : ‘ Ä ‘ una funzione definita in Ò+, ,Ó . Una funzione F continua in Ò+, ,Ó la cui restrizione ad (+, ,Ñ sia una primitiva della restrizione di f ad Ð+ , ,Ñ si dice primitiva di f in Ò+, ,Ó . Analogamente si definiscono le “primitive” per una funzione in intervalli della forma Ð+, ,Ó , Ò+, ,Ñ , Ð _, ,Ó oppure Ò+, _Ñ con +, , − ‘ . Teorema 30.1.5 Sia I un intervallo di numeri reali, sia f : ‘ Ä ‘ una funzione definita in I e sia F! una primitiva di f in I . Le primitive di f in I sono tutte e sole le funzioni ‘ Ä ‘ che si possono scrivere nella forma F! - con - − ‘ . Dimostrazione - Sia F! una primitiva di f in I . Per ogni - − ‘ è ÐF! -Ñ’ œ F’! œ f (cfr. teorema 24.6.1 ed esempio 24.2.3), e dunque F! - è anch’essa una primitiva di f in I . Se poi F" è una qualsiasi primitiva di f in I , allora per ogni B interno ad I si ha ÐF! F" Ñ’ÐBÑ œ F! ’ÐBÑ F" ’ÐBÑ œ fÐBÑ fÐBÑ œ 0 cosicché F! F" è una funzione costante in I per il teorema 25.4.3 : dunque esiste - − ‘ tale che F! F" œ - , ossia F! œ F" - come si voleva. Sia I § ‘, e sia f : ‘ Ä ‘ una funzione tale che I § WÐfÑ . L’insieme di tutte le primitive di f in I si indica con la scrittura ' fÐxÑ dx o, più brevemente, con 'f. e si dice, talvolta, integrale indefinito di f (in IÑ. Si noti che questa notazione non evidenzia l’insieme I ; inoltre la parola “integrale” induce facilmente confusione con la teoria dell’integrazione (alla quale accenneremo nel capitolo 31), collegabile sotto opportune ipotesi al problema della ricerca delle primitive (cfr. teorema 31.6.3) ma ben distinta da esso. Noi ci adegueremo al simbolo ' , ormai troppo diffuso perché lo si possa combattere, ma eviteremo sempre di usare l’espressione “integrale indefinito”. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 245 Esempio 30.1.6 Se I œ Ð0, _Ñ, ' 1 x Se I œ Ð _, 0Ñ, ' " x dx è l’insieme delle funzioni definite in I che si possono scrivere nella forma lnÐxÑ - con - − ‘ ; ' 1 dx œ lnÐxÑ - . ciò si esprime scrivendo x dx è l’insieme delle funzioni definite in I che si possono scrivere nella forma lnÐ xÑ - con - − ‘ ; ' 1 dx œ lnÐ xÑ - . ciò si esprime scrivendo x Osservazione 30.1.7 Si noti che, benché ln Ð ± x ± Ñ sia (come si è già osservato in 30.1.1) una primitiva di ' " dx œ lnÐ ± x ± Ñ - . scrivere x 1 x in ‘\Ö0×, non si può Infatti la funzione f definita ponendo: f Ðx Ñ ³ œ è una primitiva di 1 x lnÐ xÑ 1 lnÐxÑ 2 se x − Ð _, 0Ñ se x − Ð0, _Ñ in ‘\Ö0×, ma non differisce da ln Ð ± x ± Ñ per una funzione costante. Nel seguito di questo capitolo supporremo fissato un insieme I § ‘ e col termine “primitiva” intenderemo sempre “primitiva in I”. Ci farà anche comodo la seguente notazione: se A , B sono insiemi di funzioni ‘ Ä ‘ , - − ‘ e f è una funzione ‘ Ä ‘ , indicheremo con A B l’insieme delle funzioni ‘ Ä ‘ che si possono scrivere nella forma a b con a − A e b − B ; indicheremo con -A l’insieme delle funzioni ‘ Ä ‘ che si possono scrivere nella forma -a con a − A ; e indicheremo con f A l’insieme delle funzioni ‘ Ä ‘ che si possono scrivere nella forma f a con a − A . 30.2 - Ricerca di primitive. Per la ricerca di primitive si possono utilizzare “alla rovescia” le informazioni raccolte nel capitolo 24 (e particolarmente nelle sezioni 24.2, 24.6, 24.7 e 24.8) sulle derivate delle funzioni elementari e di quelle che si possono ottenere da esse mediante somma, prodotto, quoziente, elevamento a potenza e composizione. Si ha così che: una primitiva della funzione costante uguale a zero è una funzione costante qualsiasi ; " una primitiva della funzione x8 è la funzione 8" x8" (se 8 Á 1 ; altrimenti si veda l’esempio 30.1.1) ; una primitiva della funzione sinÐxÑ è la funzione cosÐxÑ ; una primitiva della funzione cosÐxÑ è la funzione sinÐxÑ ; una primitiva della funzione /x è la funzione /x stessa ; ecc., ecc.. Lo studente che si fosse costruito una “tabella” con le derivate delle funzioni elementari è invitato a dedurne una con primitive delle stesse funzioni (ma per, ad es., una primitiva della funzione lnÐxÑ, si veda 30.3.4 ; per una primitiva della funzione tgÐxÑ, si veda 30.4.5). Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 246 Dal teorema 24.6.2 si ottiene poi il Teorema 30.2.1 Siano f, g funzioni I Ä ‘ che ammettono primitiva, e sia - − ‘ . Allora anche f g e -f ammettono primitiva, e si ha ' (f g ) œ ' f ' g ' (- f ) œ - ' f . e Dimostrazione - Per provare che ' (f g) œ ' f ' g , si devono dimostrare le due inclusioni ' (f g ) © ' f ' g ' f ' g © ' (f g) . e Sia h − ' (f g) ; scelto F − ' f , è h œ F (h F) e si tratta di verificare che h F − ' g : in effetti, (h FÑ’ œ h ’ F ’ œ f g f œ g . Siano ora F − ' f e G − ' g ; allora F G − ' (f g) perché (F G)’ œ F ’ G ’ œ f g . Analogamente si prova che ' (-f) œ -' f . 30.3 - Ricerca di primitive “per parti”. Teorema 30.3.1 Siano f, g funzioni I Ä ‘, e sia F una primitiva di f. Se Fg’ ammette una primitiva, anche fg ammette una primitiva, e si ha ' fg œ Fg ' Fg’. Dimostrazione - Si devono provare le due inclusioni ' fg © Fg ' Fg’ e Fg ' Fg’ © ' fg . Sia h − ' fg ; allora h œ Fg (Fg h) , e si tratta di verificare che Fg h − ' Fg’. In effetti, ricordando 24.6.2 e 24.6.6 si ha ÐFg hÑ’ œ ÐFgÑ’ h’ œ F ’g Fg’ fg œ fg Fg’ fg œ Fg’ perché F ’ œ f e h’’ œ fg . Viceversa, sia k − ' Fg’; si tratta di verificare che Fg k − ' fg . In effetti, ricordando 24.6.2 e 24.6.6 si ha ÐFg kÑ’ œ ÐFgÑ’ k’ œ F ’g Fg’ Fg’ œ F ’g œ fg poiché k’ œ Fg’ e F’ œ f . In pratica, il teorema 30.3.1 riconduce la ricerca di una primitiva del prodotto fg alla ricerca di primitive di f e di Fg’; è chiaro che tale teorema non risolve quindi in generale il problema di determinare una primitiva del prodotto fg conoscendo una primitiva di f e una primitiva di g. In effetti non è detto in generale che un prodotto di funzioni elementari abbia una primitiva esprimibile mediante somme, prodotti, quozienti, potenze, ecc. di funzioni elementari. Nel seguito di questi appunti, quando ci sarà occasione di applicare il teorema 30.3.1 useremo la seguente notazione: porremo una freccetta Å rivolta verso l’alto sopra quello dei due fattori del quale si va a considerare una primitiva, e porremo una freccetta Æ rivolta verso il basso sotto quello del quale invece si va a considerare la derivata. Scriveremo cioè, se F è una primitiva di f , Å ' f g œ Fg ' Fg’. Æ Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 247 Esempio 30.3.2 Sia I œ ‘. Si ha Å ' x cosÐxÑ dx œ x sinÐxÑ ' sinÐxÑ dx œ xsinÐxÑ Ð cosÐxÑÑ - œ x sinÐxÑ cosÐxÑ - . Æ Esempio 30.3.3 Sia I œ ‘. Si ha Å ' x /x œ x /x ' /x dx œ x /x /x - œ /x Ðx 1Ñ - . Æ Esempio 30.3.4 (quasi un gioco di prestigio!) Sia I œ ‘ . Si ha Å ' lnÐxÑ dx œ ' lnÐxÑ † 1 dx œ x lnÐxÑ ' x † Æ 1 x dx œ œ x lnÐxÑ ' 1 dx œ x lnÐxÑ x - œ x † ÐlnÐxÑ 1Ñ - . Esempio 30.3.5 Sia I œ ‘. Si ha Å ' /x cosÐxÑ dx œ /x sinÐxÑ ' /x sinÐxÑ dx Æ e analogamente Å ' /x sinÐxÑ dx œ /x Ð cosÐxÑÑ ' /x Ð cosÐxÑÑ dx œ /x cosÐxÑ ' / x cosÐxÑ dx. Æ Sia c una primitiva di /x cosÐxÑ : si è dunque trovato che c œ /x sinÐxÑ /x cosÐxÑ Ðc -" Ñ con -" − ‘ ; ne segue 2c œ /x sinÐxÑ /x cosÐxÑ -" " da cui infine, posto - ³ # -" , c œ "# /x ÐsinÐxÑ cosÐxÑÑ - . 30.4 - Ricerca di primitive per sostituzione. Teorema 30.4.1 Siano f, g funzioni I Ä ‘ con g derivabile in I, e sia F una primitiva di f. Allora F ‰ g è una primitiva di Ðf ‰ gÑ † g’, ossia FÐgÐxÑÑ − ' fÐgÐxÑÑg’ÐxÑ dx. Dimostrazione - Si tratta di dimostrare che la derivata (rispetto a x) di F ‰ g è Ðf ‰ gÑ † g’; ma ciò segue subito dal teorema 24.7.1. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 248 In pratica, per applicare il teorema 30.4.1 si procede come segue (e si dice che si opera “per sostituzione”) : Si pone t ³ gÐxÑ ; quale artificio mnemonico, si scrive di conseguenza dt œ g’ÐxÑ dx xÑ dt ' fÐgÐxÑÑg’ÐxÑ dx (si ricordi la notazione “storica” della derivata, per la quale g’ÐxÑ œ dgÐ dx œ dx Ñ. Allora ' diventa fÐtÑdt ; si giunge così a considerare una primitiva FÐtÑ di f, e sostituendo nuovamente gÐxÑ a t si ricava infine la FÐgÐxÑÑ. Esempio 30.4.2 ' sinÐxÑ cosÐxÑ dx Sia I œ ‘. Calcoliamo procedendo per sostituzione. Poniamo t ³ sinÐxÑ e scriviamo dt œ cosÐxÑ dx . Si ottiene ' t dt œ "# t# - da cui, sostituendo a t nuovamente sinÐx Ñ , ' sinÐxÑ cosÐxÑ dx œ " sin# ÐxÑ - . # Esercizio 30.4.3 ' sinÐxÑ cosÐxÑ dx Sia I œ ‘. Calcoliamo procedendo ancora per sostituzione ma ponendo questa volta t ³ cosÐxÑ , da cui dt œ sinÐxÑ dx . Si ottiene ' Ð tÑ dt œ ' t dt œ "# t# - da cui, sostituendo a t nuovamente cosÐx Ñ , ' sinÐxÑ cosÐxÑ dx œ " cos# ÐxÑ - . # Questo risultato è coerente con quello trovato nell’esempio 30.4.2 ? Esempio 30.4.4 Sia I œ Ò5, _Ñ. Calcoliamo t ³ Èx 5 Poniamo ' x † È x 5 dx procedendo per sostituzione. dt œ 2 † È1x5 dx da cui ' Ðt# 5Ñ † t † Ð2t dtÑ dt e scriviamo Si è così ricondotti a calcolare ossia ' Ð2t% 10t# Ñ dt œ 2' t% dt 10' t# dt œ da cui, sostituendo a t nuovamente Èx 5 , ' x † Èx 5 dx œ Esempio 30.4.5 Sia I œ Ð 1 # , 1 # ÈÐx 5Ñ& ' tg ÐxÑ dx Š œ ' Ñ. Calcoliamo Poniamo t ³ cosÐxÑ e scriviamo # & dt œ sin ÐxÑ dx . # & &t "! $ $ t $ # Inoltre, x œ t# 5 . - ÈÐx 5Ñ$ - . dx‹ procedendo per sostituzione. Ci si riconduce così al calcolo in Ð0, 1Ñ di ' t" dt œ ln ÐtÑ - . da cui, sostituendo nuovamente cosÐx Ñ œ t, Allo stesso modo si trova, per I œ Ð 1# , sin ÐxÑ cos ÐxÑ "! $ dx œ 2t dt . ' tgÐxÑ dx œ ln Ðcos ÐxÑÑ c. 1Ñ , ' tg ÐxÑ dx œ ln Ð cos ÐxÑÑ c . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 249 Teorema 30.4.6 Sia g una funzione I Ä ‘ derivabile in I . Allora ln akgÐxÑkb − ' 1 (18)ag(x)b 8" e (se 8 Á 1) − ' g’ÐxÑ (g(x))8 g’ÐxÑ g(x) dx dx . Dimostrazione - Basta procedere per sostituzione, ponendo t ³ g(x) . 30.5 - Esempi ed esercizi sulla ricerca di primitive. Esempio 30.5.1 Sia I œ Ð1, _Ñ. Si ha ' ln ÐlnÐxÑÑ x dx œ ' ln ÐlnÐxÑÑ † Æ œ ln ÐlnÐxÑÑ † lnÐxÑ ' 1 x dx œ ln ÐlnÐxÑÑ † lnÐxÑ ' Å 1 x 1 lnÐxÑ † 1 x † lnÐxÑ dx œ dx œ ln ÐlnÐxÑÑ † lnÐxÑ lnÐxÑ - œ lnÐxÑ † Ðln ÐlnÐxÑÑ 1Ñ - . Esempio 30.5.2 Sia I œ Ð0, _Ñ. Å ' cos Ð ln ÐxÑÑ dx œ ' 1 † cos Ðln ÐxÑÑ dx œ Æ Si ha œ x † cos Ðln ÐxÑÑ ' x † Ð sin Ðln ÐxÑÑÑ † 1 x dx œ x † cos Ðln ÐxÑÑ ' sin Ðln ÐxÑÑÑ dx. Å ' sin Ð ln ÐxÑÑ dx œ ' 1 † sin Ðln ÐxÑÑ dx œ Æ Analogamente, œ x † sin Ðln ÐxÑÑ ' x † cos Ðln ÐxÑÑÑ † 1 x dx œ x † sin Ðln ÐxÑÑ ' cos Ðln ÐxÑÑÑ dx. Sia c una primitiva di cos Ð ln ÐxÑÑ : si è dunque trovato che c œ x † cos Ðln ÐxÑÑ x † sin Ðln ÐxÑÑ Ðc -" Ñ con -" − ‘ ; ne segue 2c œ x † cos Ðln ÐxÑÑ x † sin Ðln ÐxÑÑ -" da cui infine, posto - ³ "# -" , cœ " # x Ðsin Ðln ÐxÑÑ cos Ðln ÐxÑÑÑ - . Esempio 30.5.3 Å Sia I œ ‘. Si ha ' sin# ÐxÑ dx œ ' sinÐxÑ † sin ÐxÑ dx œ sin ÐxÑ † cos ÐxÑ ' cos# ÐxÑ dx œ Æ œ sin ÐxÑ † cos ÐxÑ ' Ð1 sin# ÐxÑÑ dx œ sin ÐxÑ † cos ÐxÑ ' 1 dx ' sin# ÐxÑ dx œ œ sin ÐxÑ † cos ÐxÑ x ' sin# ÐxÑ dx . Sia c una primitiva di sin# ÐxÑ : si è dunque trovato che c œ sin ÐxÑ † cos ÐxÑ x Ðc -" Ñ con -" − ‘ ; ne segue da cui infine, posto - ³ 2c œ sin ÐxÑ † cos ÐxÑ x -" " # -" , cœ " # Ðx sin ÐxÑ cos ÐxÑÑ - . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 250 Esempio 30.5.4 Sia I œ ‘. Si ha ' cos# ÐxÑ dx œ ' Ð1 sin# ÐxÑÑ dx œ ' 1 dx ' sin# ÐxÑ dx œ œ x "# Ðx sin ÐxÑ cos ÐxÑÑ - œ " # Ðx sin ÐxÑ cos ÐxÑÑ - . Esempio 30.5.5 ' Ð5x 3Ñ#( dx Sia I œ ‘. Calcoliamo procedendo per sostituzione. Poniamo t ³ 5x 3 e scriviamo dt œ 5 dx da cui dx œ "& dt. Ci si riconduce così al calcolo di " & ' t#( dt œ " & † " #) #) t - da cui, sostituendo a t nuovamente 5x 3 , ' Ð5x 3Ñ#( dx œ Esempio 30.5.6 Ð5x 3Ñ#) - . ' cos$ ÐxÑ dx Sia I œ ‘. Calcoliamo procedendo per sostituzione. Scriviamo innanzitutto " "%! ' cos$ ÐxÑ dx œ ' cosÐxÑ † cos# ÐxÑ dx œ ' cosÐxÑ † Ð1 sin# ÐxÑÑ dx . Poniamo t ³ sinÐxÑ e scriviamo dt œ cosÐxÑ dx . ' Ð1 t# Ñ dt œ t " t$ $ Ci si riconduce così al calcolo di da cui, sostituendo a t nuovamente sinÐxÑ , ' cos$ ÐxÑ dx œ sinÐxÑ " sin$ ÐxÑ - . $ Esercizio 30.5.7 ' cos$ ÐxÑ dx Sia I œ ‘. Si calcoli procedendo per parti. Esempio 30.5.8 ' $ È1 3 sinÐxÑ † cosÐxÑ dx Sia I œ ‘. Calcoliamo procedendo per sostituzione. Poniamo t ³ 1 3 sinÐxÑ e scriviamo Poiché ' $È ci si riconduce al calcolo di dt œ 3 cosÐxÑ dx . 1 3 sinÐxÑ † cosÐxÑ dx œ " $ ' t "$ dt œ da cui, sostituendo a t nuovamente 1 3 sinÐxÑ , " $ 1 3 ' $ È1 3 sinÐxÑ † 3 cosÐxÑ dx % % Ð $% t $ Ñ - œ "% t $ - ' $ È1 3 sinÐxÑ † cosÐxÑ dx œ 1 $È Ð1 4 3 sinÐxÑÑ% - . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 251 Esempio 30.5.9 Sia I œ Ð 1# , 1 # ' Ñ. Calcoliamo Poniamo t ³ cosÐxÑ e scriviamo Ci si riconduce così al calcolo di ' 1 Èt sinÐxÑ ÈcosÐxÑ dx procedendo per sostituzione. dt œ sinÐxÑ dx . dt œ ' t # dt œ 2 t # - œ 2Èt " da cui, sostituendo a t nuovamente cosÐxÑ , ' " dx œ 2ÈcosÐxÑ - . sinÐxÑ ÈcosÐxÑ Esercizi 30.5.10 Calcolare 30.5.11 Calcolare 30.5.12 Calcolare 30.5.13 Calcolare 30.5.14 Calcolare ' x# 5x1 Èx dx . ' ± x ± dx . ' Èx ln ÐxÑ dx . ' ' x x% 2x# 1 x È 1 x # dx . dx . 30.6 - Una primitiva per le funzioni razionali. Siano a(x), b(x) due polinomi a coefficienti reali nell’indeterminata x ; in questa sezione descriviamo un algoritmo che consente (purché si riesca ad effettuare la fattorizzazione di cui al terzo passo!) di ottenere una primitiva della funzione (“razionale”) ba(x) (x) . Notiamo che in generale le primitive di una stessa funzione razionale non differiscono fra loro per una costante (cfr. esempio 30.1.6). Primo passo Stiamo considerando una funzione razionale ba(x) (x) , con a(x) e b(x) polinomi a coefficienti reali nell’indeterminata x . Se il grado di a(x) è maggiore o uguale del grado di b(x) , si effettua la divisione euclidea in modo da ottenere due polinomi q(x) e r(x) tali che a(x) œ q(x)b(x) r(x) col grado di r(x) minore del grado di b(x) ; cosicché a(x) b(x) œ q(x)b(x)r(x) b(x) œ q(x) r(x) b(x) col grado di r(x) minore del grado di b(x) . Per il teorema 30.2.1, una primitiva di r(x) b(x) a(x) b(x) si ottiene sommando una primitiva di q(x) e una primitiva di . Sappiamo (essenzialmente grazie ancora al teorema 30.2.1) come ottenere tutte le primitive della funzione polinomiale q(x) . Nei passi successivi vedremo come ottenere una primitiva per la funzione razionale nella quale il grado di r(x) è minore del grado di b(x) . r(x) b(x) , Se il grado di a(x) è già in partenza strettamente minore del grado di b(x) , si pone r(x) ³ a(x) e si procede secondo i passi successivi. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 252 Esempio 30.6.1 Sia data la funzione razionale 4x' 6x& 13x% 14x$ 16x# 9x4 2x& 2x% 4x$ 4x# 2x2 . Effettuando la divisione euclidea tra numeratore e denominatore, la possiamo scrivere come Ð2x 1Ñ 3x% 2x$ 8x# 3x2 2x& 2x% 4x$ 4x# 2x2 . Secondo passo Stiamo ora considerando una funzione razionale br(x) (x) , nella quale il grado di r(x) è minore del grado di b(x) . Se il coefficiente del termine di grado massimo di b(x) è ! , possiamo scrivere b(x) œ !b" (x) con b" (x) polinomio r(x) 1 r(x) nel quale il coefficiente del termine di grado massimo è 1 ; sarà allora br(x) (x) œ !b" (x) œ ! b" (x) e infine, per il teorema 30.2.1, ' r(x) b(x) dx œ 1 ! ' r(x) b" (x) dx . Dunque nel seguito descriveremo come trovare una primitiva per la funzione razionale polinomio b" (x) ha il coefficiente del termine di grado massimo uguale a 1. r(x) b" (x) nella quale il Esempio 30.6.2 Data la funzione razionale 3x% 2x$ 8x# 3x2 2x& 2x% 4x$ 4x# 2x2 si ha , 2x& 2x% 4x$ 4x# 2x 2 œ 2(x& x% 2x$ 2x# x 1) ' 3x% 2x$ 8x# 3x2 2x& 2x% 4x$ 4x# 2x2 dx œ 1 2 ' e dunque 3x% 2x$ 8x# 3x2 x& x% 2x$ 2x# x1 dx . Terzo passo Stiamo ora considerando una funzione razionale br"(x) (x) , nella quale il grado di r(x) è minore del grado di b" (x) , e il coefficiente del termine di grado massimo in b" (x) è 1 . Fattorizziamo b" (x) scrivendolo come prodotto di polinomi irriducibili: per il teorema 11.3.5, tali polinomi irriducibili sono tutti di primo o secondo grado e hanno ciascuno il coefficiente del termine di grado massimo uguale a 1. Sarà dunque (æ) b" (x) œ (x +" )8" † á † (x += )8= † (x# :" x ;" )7" † á † (x# :> x ;> )7> . Notiamo esplicitamente che questa fattorizzazione esiste certamente (lo abbiamo provato col teorema 11.3.5) ma non conosciamo un algoritmo per ottenerla. Esempio 30.6.3 Sia b" (x) ³ x& x% 2x$ 2x# x 1 . Poiché b" (1) œ 0 (la scelta del valore 1 come possibile radice del polinomio può essere suggerita dall’intuito, oppure dalla teoria delle “equazioni reciproche”, oppure da un clamoroso colpo di fortuna), si ha che b" (x) è divisibile per x 1 . Effettuando la divisione, si ottiene che b" (x) œ (x 1)(x% 2x# 1) % # ed è facile riconoscere che x 2x 1 œ (x# 1)# con x# 1 irriducibile. Dunque si ottiene la fattorizzazione b" (x) œ (x 1)(x# 1)# . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 253 Quarto passo r(x) b" (x) Stiamo ancora considerando una funzione razionale , nella quale il grado di r(x) è minore del grado di b" (x) , e il coefficiente del termine di grado massimo in b" (x) è 1 . Si scrive ora br"(x) (x) come somma di particolari funzioni razionali nel modo seguente: per ogni fattore di primo grado (x +) che compare (con esponente 8) nella fattorizzazione (æ) che abbiamo trovato per b" (x) nel terzo passo, si considerano 8 addendi della forma A" x+ A# (x+)# , A8 (x+)8 , á, con A" , A# , á , A8 numeri reali ; per ogni fattore di secondo grado (x# :x ; ) che compare (con esponente 8) nella fattorizzazione (æ) che abbiamo trovato per b" (x) nel terzo passo, si considerano 8 addendi della forma B" xC" x# :x; , B# xC# (x# :x; )# , á, B8 xC8 (x# :x; )8 con B" , B# , á , B8 , C" , C# , á , C8 numeri reali . I numeri A3 , B4 , C5 si determinano come segue: si scrive esplicitamente la somma di tutti gli addendi come sopra considerati (che deve uguagliare br"(x) (x) ) ; si riducono gli addendi allo stesso denominatore b" (x) ; si esegue la somma degli addendi effettuando gli opportuni calcoli al numeratore, semplificando, e ordinando il numeratore così ottenuto secondo le potenze decrescenti della x ; si impone che il numeratore abbia ordinatamente gli stessi coefficienti di r(x) : ciò dà luogo a un sistema lineare, che si risolve con le tecniche viste nel capitolo 20. Si può dimostrare che tale sistema lineare ha sempre esattamente una soluzione. Per il teorema 30.2.1, potremo ottenere una primitiva di saremo in grado di determinare una primitiva per le funzioni A8 (x+)8 r(x) b" (x) , e quindi poi una primitiva di a(x) b(x) , se B8 xC8 (x# :x; )8 e (con il trinomio x# :x ; irriducibile) ; è a questo problema che ci dedicheremo nel resto di questa sezione. Esempio 30.6.4 Applichiamo il procedimento descritto nel “quarto passo” alla funzione razionale 3x% 2x$ 8x# 3x2 x& x% 2x$ 2x# x2 sapendo che (come si è visto nell’esempio 30.6.3) x& x% 2x$ 2x# x 2 œ (x 1)(x# 1)# . Dobbiamo cercare dei numeri reali A, B, C, D, E in modo che sia 3x% 2x$ 8x# 3x2 x& x% 2x$ 2x# x2 Si ha cosicché deve essere (! ) A x 1 A x1 BxC x# 1 DxE (x# 1)# . A(x# 1)# (BxC)(x1)(x# 1)(DxE)(x1) (x1)(x# 1)# BxC x # 1 œ (AB) x% (BC) x$ (2ABCD) x# (BCDE) x(ACE) x& x% 2x$ 2x# x2 DxE (x# 1)# œ œ Ú ABœ3 Ý Ý Ý Ý BCœ 2 Û 2A B C D œ 8 Ý Ý Ý BCDEœ 3 Ý ÜA C E œ 2 œ Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 254 e siamo ricondotti a risolvere il sistema lineare (! ) di 5 equazioni nelle 5 incognite A, B, C, D, E . La sua matrice Î1 Ð 0 Ð Ð 2 Ð 0 Ï1 1 1 1 1 0 0 1 1 1 1 0 0 1 1 0 3 Ñ 2 Ó Ó 8 Ó Ó 3 2 Ò 0 0 0 1 1 si riduce mediante le seguenti operazioni elementari sulle righe R" , R# , R$ , R% , R& : R$ ³ R$ 2R" ; R& ³ R& R" ; R% ³ R% R$ ; R# Ç R$ ; R& ³ R& R$ R% ; ottenendo Î1 Ð 0 Ð Ð 0 Ð 0 Ï0 1 1 1 2 4 0 1 1 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 1 0 3 Ñ 2 Ó Ó 2 Ó Ó 1 4 Ò da cui il sistema lineare, equivalente a (! ), Ú ABœ3 Ý Ý Ý Ý BCDœ2 Û BCœ 2 Ý Ý Ý Ý 2B E œ 1 Ü 4B œ 4 e quindi, ricavando successivamente B (dall’ultima equzione), E (dalla quarta equazione), C (dalla terza equazione), D (dalla seconda equazione) e A (dalla prima equazione), B œ 1, E œ 1, C œ 1, D œ 2, Aœ2 3x% 2x$ 8x# 3x2 x& x% 2x$ 2x# x2 da cui infine Una primitiva per la funzione razionale œ 2 x1 x 1 x# 1 2x1 (x# 1)# . , (x+)8 Si procede per sostituzione (cfr. sez. 30.4), ponendo t ³ x + cosicché dt œ dx ; siamo così condotti a determinare una primitiva per t,8 (ossia, per , t8 ) . , Si trova così che: se 8 œ 1, una primitiva per la funzione razionale x+ è , ln(kx +k) ; se 8 Á 1, una primitiva per la funzione razionale , (x+)8 è , (18)(x+)8" . Esempio 30.6.5 Cerchiamo una primitiva per la funzione razionale x2 1 . Poniamo t ³ x 1 , cosicché siamo ricondotti a ' 2 dt calcolare ossia 2' t" dt . t Poiché una primitiva di t" è ln(ktk) , una primitiva per la funzione data è 2 † ln(kx 1k) . Si noti che, poiché le primitive di t" non differiscono tutte per una costante (cfr. esempio 30.1.6), non si può scrivere ' 2 œ 2 † ln(kx 1k) - . x 1 Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 255 Esempio 30.6.6 Cerchiamo una primitiva per la funzione razionale (x73)& . Poniamo t ³ x 3 , cosicché siamo ricondotti a ' 7& dt calcolare ossia 7' t& dt . t Poiché una primitiva di t& è " % % t Le primitive della funzione , una primitiva per la funzione data è +x, (x# :x; )8 7 4 (x3)% . quando il trinomio x# :x ; è irriducibile Osserviamo subito che, poiché B# :B ; Á 0 per ogni B − ‘ (altrimenti il trinomio x# : x ; non sarebbe +x, irriducibile!), la funzione (x# : x; )8 ha per dominio ‘ e quindi (per il teorema 30.1.5) due sue primitive qualsiasi differiscono per una funzione costante. Consideriamo in primo luogo il caso in cui + Á 0 . Osservando che +x, (x# :x; )8 si può scrivere ' œ + 2 +x, (x# :x; )8 † 2x:ˆ 2+, :‰ (x# :x; )8 + 2 dx œ ' + 2 œ † 2x: (x# :x; )8 2x: (x# :x; )8 + 2 dx + 2 † ˆ 2+, :‰ † † ˆ 2+, :‰' 1 (x# :x; )8 1 (x# :x; )8 dx . Al primo addendo del secondo membro si può applicare il teorema 30.4.6 (con g(x) ³ x# :x ; ), dunque siamo ricondotti a determinare le primitive di 1 (x# :x; )8 Se invece + œ 0, basta osservare che ' , (x# :x; )8 dx œ , ' . 1 (x# :x; )8 dx per essere comunque ricondotti a determinare le primitive di 1 (x# :x; )8 . A tale scopo, si procede per sostituzione (cfr. sez. 30.4) ponendo # t# œ x# :x :4 e quindi ' dx œ ' 1 (x# :x; )8 1 Št# Š; :# 4 ‹‹ 8 t³x : 2 , da cui dt œ dx , :# 4 0 . Posto dt . Poiché il trinomio x# :x ; è irriducibile, certamente si ha :# 4; 0 e dunque ; # 7# ³ ; :4 , dobbiamo quindi calcolare ' 1 at# 7# b 8 dt . A tale scopo, cominciamo col considerare il caso in cui 8 œ 1 ; calcoliamo cioè ' Si procede ancora per sostituzione, ponendo ricondotti a calcolare ' e dunque F.1 1 7# y# 7# 7dy œ ' ' y³ 1 7# (y# 1) 1 t# 7# 1 t# 7# t 7 7dy œ dt œ 1 7 dt . da cui t œ 7y ' dy œ 1 7 1 y# 1 arctg ˆ 7t ‰ - . e quindi 1 7 dt œ 7 dy. Siamo così arctg(y) - Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 256 t 7 In conclusione, per 8 œ 1, ricordando che y œ ' F.2 1 x# :x; dx œ x :# É; : œ 1 É; Vediamo infine come calcolare ' , si è trovato che # % :# 4 arctg 1 (t# 7# )8 x :2 É; :# 4 -. dt quando 8 è un numero naturale maggiore di 1 . Con un artificio, basato sulla “ricerca per parti” (cfr. sez. 30.3) ci ricondurremo al calcolo di ' 1 (t# 7# )8" ' e quindi, dopo 8 1 passi, al calcolo di 1 t# 7# dt dt che abbiamo già risolto con la F.1 . In effetti, si ha ' œ t (t# 7# )8" 2(8 1)' t (t# 7# )8" œ œ da cui e quindi Å dt œ ' 1 † 1 (t# 7# )8" t (t# 7# )8" 1 (t# 7# )8 t# (t# 7# )8 dt œ t (t# 7# )8" # 1 (t# 7# )8" dt œ # 7# (t# 7# )8 (28 3)' (283) 2(81)7# 1 27 # ' (t# 7# )7# (t# 7# )8 1 (t# 7# )8 1 (t# 7# )8" 1 (t# 7# )8" come si voleva ottenere. In particolare, per 8 ³ 2, si ha ' 1 (t# 7# )# dt œ t 27# (t# 7# ) ' 1 t# 7# dt e quindi, tenendo conto della F.1 , F.3 ' 1 (t# 7# )# dt œ t 27# (t# 7# ) 1 27 $ dt œ ‹ dt œ dt 2(8 1)7# ' t (t# 7# )8" t 2(81)7# (t# 7# )8" 2(18)t (t# 7# )8 2(8 1)' 7 2(8 1)' Š (tt# 7 # )8 1 (t# 7# )8 dt œ 't† t (t# 7# )8" dt œ Æ 2(8 1)' 2(8 1)7# ' ' 1 (t# 7# )8" arctg( 7t ) - . dt dt dt dt œ Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 257 Esempio 30.6.7 ' Calcoliamo x 1 x # 1 dx . Cercando di ottenere come addendo al numeratore la derivata del denominatore, scriviamo x 1 x # 1 cosicché ' x 1 x # 1 dx œ 1 2 ' 1 2 œ 2x x # 1 2x2 x # 1 † ' Esempio 30.6.8 1 x # 1 ' Calcoliamo 1 2 œ † 1 2 œ 2x1 (x# 1)# 2x x # 1 1 x# 1 ln(x# 1) arctg(x) - . dx . Poiché al numeratore compare già come addendo la derivata della base del denominatore, si ha ' 2x1 (x# 1)# dx œ ' 2x (x# 1)# ' œ 1 (x# 1)# x 2 2(x# 1) Esempio 30.6.9 ' Calcoliamo JœÞ$ 1 2 1 x# 1 x 2(x# 1) 1 2 arctg(x) - œ arctg(x) - . 4x18 (x# 6x13)# dx . Cercando di ottenere come addendo al numeratore la derivata della base del denominatore, scriviamo 4x18 2x63 2x6 1 (x# 6x13)# œ 2 † (x# 6x13)# œ 2 † (x# 6x13)# 6 † (x# 6x13)# cosicché ' 4x18 (x# 6x13)# dx œ 2' 2x6 (x# 6x13)# dx 6' Ð$!Þ%Þ&Ñ 2 ' œ x# 6x13 6 1 (x# 6x13)# 1 (x# 6x13)# dx œ dx . Poniamo ora t ³ x 3 , cosicché x# 6x 13 œ t# 4 e dx œ dt . Poiché si ha e dunque infine ' ' ' 1 (t# 4)# 1 (x# 6x13)# 4x18 (x# 6x13)# dt JœÞ$ x 3 8(x# 6x13) dx œ dx œ t 8(t# 4) 1 4 † 3x1 x# 6x13 1 16 arctg( 2t ) 1 16 3 8 arctg ˆ x2 3 ‰ arctg ˆ x2 3 ‰ - . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 258 Esempio 30.6.10 Cerchiamo una primitiva per la funzione razionale 4x' 6x& 13x% 14x$ 16x# 9x4 2x& 2x% 4x$ 4x# 2x2 . tenendo conto dei risultati ottenuti negli esempi precedenti. Si ha: ' 4x' 6x& 13x% 14x$ 16x# 9x4 2x& 2x% 4x$ 4x# 2x2 Ð$!Þ'Þ"Ñ œ ' (2x 1Ñ dx ' œ x# x e ' 3x% 2x$ 8x# 3x2 x& x% 2x$ 2x# x1 dx 1 2 ' Ð$!Þ'Þ%Ñ ' œ Ð$!Þ'Þ"Ñ dx œ 3x% 2x$ 8x# 3x2 2x& 2x% 4x$ 4x# 2x2 3x% 2x$ 8x# 3x2 x& x% 2x$ 2x# x1 2 x1 dx ' x 1 x# 1 dx œ dx dx ' 2x1 (x# 1)# dx . Per quanto visto nell’esempio 30.6.5, una primitiva per x2 1 è 2 † ln(kx 1k) . Tenendo conto anche degli % 2x$ 8x# 3x2 esempi 30.6.7 e 30.6.8, si può concludere che una primitiva per x3x & x% 2x$ 2x# x1 è 2 † ln(kx 1k) ln(x# 1) arctg(x) 2 † ln(kx 1k) ossia e dunque una primitiva per è 1 2 1 2 ln(x# 1) x 2 2(x# 1) x 2 2(x# 1) 1 2 1 2 arctg(x) arctg(x) 4x' 6x& 13x% 14x$ 16x# 9x4 2x& 2x% 4x$ 4x# 2x2 x# x ln(kx 1k) 1 4 ln(x# 1) x 2 4(x# 1) 1 4 arctg(x) . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 259 31.- ELEMENTI DI CALCOLO INTEGRALE 31.1 - Introduzione. Sia Ò+, ,Ó un intervallo limitato e chiuso di numeri reali, e sia f : ‘ Ä ‘ una funzione definita su Ò+, ,Ó superiormente limitata e non negativa. Si dice trapezoide individuato da f su Ò+, ,Ó l’insieme ÖP − c di coordinate ÐB, CÑ / + Ÿ B Ÿ , , 0 Ÿ C Ÿ fÐBÑ× ossia la porzione finita di piano delimitata dalle rette di equazioni x œ +, y œ 0, x œ , e dal grafico di f . Per molte questioni ha interesse determinare un numero che possa essere considerato l’area del trapezoide individuato da f su Ò+, ,Ó . Ciò è facilmente realizzabile in alcuni casi particolari, per i quali il trapezoide è una figura nota dalla geometria elementare : se f è la funzione costante uguale ad - , il trapezoide individuato da f è il rettangolo di base , + e altezza - ; la sua area è dunque -Ð, +Ñ ; se f ³ idÒ+ß ,Ó , il trapezoide individuato da f è il trapezio di base minore +, base maggiore , e altezza , + ; la sua area è dunque " # # # † Ð, + Ñ. 31.2 - La definizione di integrale per una funzione non negativa superiormente limitata. Sia Ò+, ,Ó un intervallo limitato e chiuso di numeri reali, e sia f : ‘ Ä ‘ una funzione definita su Ò+, ,Ó superiormente limitata e non negativa. Per ogni scelta * di un numero finito di punti B" , B# , á , B8 , tali che + B" B# á B8 , , posto B! ³ + e B8" ³ , , siano per 3 œ 0, á , 8 /3 l’estremo inferiore di f in ÒB3 , B3" Ó Ð60Ñ ; I3 l’estremo superiore di f in ÒB3 , B3" Ó Ð61Ñ ; e si ponga 8 5* ³ ! /3 ÐB3" B3 Ñ ; 3œ! 5 * ³ ! I3 ÐB3" B3 Ñ . 8 3œ! Si noti che ciascun addendo /3 ÐB3" B3 Ñ che compare nella definizione di 5* rappresenta l’area del rettangolo di base ÐB3" B3 Ñ e altezza /3 ; un tale rettangolo si può considerare “inscritto” nel trapezoide individuato da f su ÒB3 , B3" Ó e la sua area può essere vista come un’approssimazione per difetto dell’area del trapezoide. Di conseguenza 5* si può considerare un’approssimazione per difetto del numero che vogliamo definire. Analogamente, ciascun addendo I3 ÐB3" B3 Ñ che compare nella definizione di 5 * rappresenta l’area del rettangolo di base ÐB3" B3 Ñ e altezza I3 ; un tale rettangolo si può considerare “circoscritto” al trapezoide individuato da f su ÒB3 , B3" Ó e la sua area può essere vista come un’approssimazione per eccesso dell’area del trapezoide. Di conseguenza 5 * si può considerare un’approssimazione per eccesso del numero che vogliamo definire. 60 tale estremo inferiore esiste, per la completezza di ‘, perché per ipotesi f è inferiormente limitata da 61 tale estremo superiore esiste, per la completezza di ‘, perché per ipotesi f è superiormente limitata. 0. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 260 Sia - una limitazione superiore per f in Ò+, ,Ó : allora /3 Ÿ - per ogni 3 e per ogni * ; dunque 5* ³ ! /3 ÐB3" B3 Ñ Ÿ ! -ÐB3" B3 Ñ œ - † ! ÐB3" B3 Ñ œ -Ð, +Ñ 8 8 8 3œ! 3œ! 3œ! ossia l’insieme dei 5* è superiormente limitato ; per la completezza di ‘, esiste sup 5* . Analogamente, poiché 5 * 0 per ogni * (essendo per ipotesi f non negativa e dunque /3 0 per ogni 3), l’insieme dei 5 * è inferiormente limitato ; per la completezza di ‘, esiste inf 5 * . La funzione f si dice integrabile (secondo Riemann) su Ò+, ,Ó se risulta sup 5* œ inf 5 * . In tale caso, il numero sup 5* ( œ inf 5 * ) si dice integrale di f su Ò+, ,Ó (oppure integrale di f tra + e , ; i numeri reali + e , si dicono estremi di integrazione) e si indica col simbolo ' fÐxÑ dx , 'f. , o anche col simbolo + + L’integrale di f su Ò+, ,Ó viene assunto come area del trapezoide individuato da f su Ò+, ,Ó . Esempio 31.2.1 Sia - − ‘, e sia f la funzione costante uguale a -. Si verifica facilmente che f è integrabile su ogni intervallo Ò+, ,Ó § ‘, e che si ha ' - dx œ -Ð, +Ñ. , + Esempio 31.2.2 Sia f la funzione di Dirichlet su Ò0, 1Ó così definita: fÐxÑ ³ œ 1 2 se x − se x  . La funzione f non è integrabile su Ò0, 1Ó perché, come si vede facilmente, 5* œ 1 e 5 * œ 2 per ogni scelta * di un numero finito di punti tra 0 e 1 . 31.3 - Prime proprietà dell’integrale. Teorema 31.3.1 Sia Ò+, ,Ó un intervallo limitato e chiuso di numeri reali, e siano f, g funzioni ‘ Ä ‘ definite su Ò+, ,Ó , superiormente limitate e non negative. Se f e g sono integrabili su Ò+, ,Ó , anche f g lo è, e si ha ' Ðf gÑ œ ' f ' g . , + , + , + Dimostrazione - Omettiamo la dimostrazione di questo teorema. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 261 Teorema 31.3.2 Sia Ò+, ,Ó un intervallo limitato e chiuso di numeri reali, e sia f una funzione ‘ Ä ‘ definita su Ò+, ,Ó , superiormente limitata e non negativa. Se f è integrabile su Ò+, ,Ó , allora Ð1Ñ comunque presi !, " − Ò+, ,Ó (con ! " ), f è integrabile su Ò!, " Ó ; Ð2Ñ per ogni - − Ð+, ,Ñ si ha 'f œ 'f 'f. , - + , + - Dimostrazione - Omettiamo la dimostrazione di questo teorema. 31.4 - Estensione della definizione di integrale alle funzioni che assumono anche valori negativi. Teorema 31.4.1 Sia Ò+, ,Ó un intervallo limitato e chiuso di numeri reali. Allora Ð1Ñ ogni funzione f : ‘ Ä ‘ definita su Ò+, ,Ó e limitata si può esprimere come differenza di due funzioni definite su Ò+, ,Ó , superiormente limitate e non negative ; Ð2Ñ siano g" , g# , h" , h# funzioni ‘ Ä ‘ superiormente limitate, non negative e integrabili su Ò+, ,Ó ; se ' g " ' g # œ ' h" ' h # . , g" g# œ h" h# , si ha + , , + + , + Dimostrazione - Proviamo la Ð1Ñ. Sia f : ‘ Ä ‘ definita su Ò+, ,Ó e limitata e sia - una limitazione inferiore per f : se - 0, f è essa stessa non negativa e si può scrivere f œ f 0 ; se invece - 0 si ha f œ Ðf -Ñ Ð-Ñ con f - e - superiormente limitate e non negative. Proviamo ora la Ð2Ñ. Siano g" , g# , h" , h# funzioni ‘ Ä ‘ superiormente limitate, non negative e integrabili su Ò+, ,Ó tali che g" g# œ h" h# . Allora g " h# œ h" g # e dunque per il teorema 31.3.1 ' g " ' h# œ ' h" ' g # , + , + , + , + come si voleva. Sia Ò+, ,Ó un intervallo limitato e chiuso di numeri reali, e sia f : ‘ Ä ‘ una funzione definita su Ò+, ,Ó e limitata. Si dice che f è integrabile (secondo Riemann) su Ò+ , ,Ó se esistono due funzioni g" , g# definite su Ò+ , ,Ó , superiormente limitate e non negative, integrabili (secondo Riemann) su Ò+, ,Ó , tali che f œ g" g# ; in tale caso il numero ' g" ' g# , + , + si dice integrale di f su Ò+, ,Ó (oppure integrale di f tra + e , ) e si indica col simbolo ' fÐxÑ dx , + 'f. , o anche col simbolo + Per il teorema 31.4.1, questa definizione è ben posta. Inoltre, se f è essa stessa non negativa si può porre f œ f 0 ; perciò (cfr. esempio 31.2.1) questa definizione estende quella data nella sez. 31.2. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 262 Si dimostrano gli analoghi dei teoremi 31.3.1 e 31.3.2. Precisamente : Teorema 31.4.2 Sia Ò+, ,Ó un intervallo limitato e chiuso di numeri reali, e siano f, g funzioni ‘ Ä ‘ definite su Ò+, ,Ó e limitate. Se f e g sono integrabili su Ò+, ,Ó , anche f g lo è, e si ha ' Ðf gÑ œ ' f ' g . , , + , + + Teorema 31.4.3 Sia Ò+, ,Ó un intervallo limitato e chiuso di numeri reali, e sia f una funzione ‘ Ä ‘ definita su Ò+, ,Ó e limitata. Se f è integrabile su Ò+, ,Ó , allora Ð1Ñ comunque presi !, " − Ò+, ,Ó (con ! " ), f è integrabile su Ò!, " Ó ; Ð2Ñ per ogni - − Ð+, ,Ñ si ha 'f œ 'f 'f. , + - + , - Osservazione 31.4.4 Sia Ò+, ,Ó un intervallo limitato e chiuso di numeri reali, e sia f una funzione ‘ Ä ‘ definita su Ò+, ,Ó e limitata. Se f è integrabile su Ò+, ,Ó , allora anche f è integrabile su Ò+ , ,Ó e si ha ' Ð fÑ œ ' f. , , + + Teorema 31.4.5 Sia Ò+, ,Ó un intervallo limitato e chiuso di numeri reali, e sia f una funzione ‘ Ä ‘ definita su Ò+, ,Ó e limitata. Sia - − ‘. Se f è integrabile su Ò+, ,Ó , allora anche -f è integrabile su Ò+ , ,Ó e si ha ' Ð-fÑ œ -' f. , + , + Dimostrazione - Omettiamo la dimostrazione di questo teorema. Si noti comunque che in base all’osservazione 31.4.4 è sufficiente provare l’asserto per - − ‘ ; è poi chiaro che ci si riconduce subito al caso in cui f è non negativa su Ò+, ,Ó. Teorema 31.4.6 Sia Ò+, ,Ó un intervallo limitato e chiuso di numeri reali. L’insieme delle funzioni ‘ Ä ‘ definite su Ò+, ,Ó , limitate e integrabili su Ò+, ,Ó è un sottospazio vettoriale di Y ÐÒ+, ,ÓÑ. Dimostrazione - Segue subito dai teoremi 31.4.2 e 31.4.5. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 263 Sia Ò+, ,Ó un intervallo limitato e chiuso di numeri reali. Indicheremo con ¼Ð+, ,Ñ lo spazio vettoriale delle funzioni ‘ Ä ‘ definite su Ò+, ,Ó , limitate e integrabili su Ò+ , ,Ó. Più in generale, sia I un intervallo di numeri reali: l’insieme delle funzioni ‘ Ä ‘ definite su I che risultano limitate e integrabili su ogni intervallo limitato e chiuso contenuto in I è un sottospazio vettoriale di Y ÐIÑ che indicheremo con ¼ÐIÑ. Teorema 31.4.7 Sia Ò+, ,Ó un intervallo limitato e chiuso di numeri reali. Ogni funzione continua in Ò+, ,Ó è limitata e integrabile su Ò+, ,Ó. Dimostrazione - Omettiamo la dimostrazione di questo teorema. Si noti che l’ipotesi di continuità in Ò+, ,Ó comporta (per il teorema di Weierstrass, 22.2.2) la limitatezza in Ò+, ,Ó. Corollario 31.4.8 Sia I un intervallo di numeri reali. Si ha V! ÐIÑ © ¼ÐIÑ . 31.5 - Estensione della definizione di integrale fra + e , al caso in cui , Ÿ +. Sia Ò!, " Ó un intervallo limitato e chiuso di numeri reali, e sia f una funzione ‘ Ä ‘ integrabile su Ò!, "Ó e limitata. ' f œ 0. - Se - − Ò!, " Ó , si pone per definizione - Tale definizione è suggerita dal desiderio di estendere il teorema 31.4.3 al caso in cui - œ + oppure - œ , : dovrà infatti aversi per +, , − Ò!, " Ó (con + ,Ñ 'f œ ' f 'f œ 'f 'f. , + + , + , + , + , Siano infine +, , − Ò!, " Ó con , +. Si pone 'f ³ ' f. , + + , Anche questa definizione è suggerita dal desiderio di mantenere la validità dell’enunciato del teorema 31.4.3 : dovrà infatti aversi 0 œ ' f œ 'f ' f. + , + + + , In effetti, si prova facilmente che con questa nuova definizione è 'f œ 'f'f , + - + , - per ogni scelta di +, , , - − Ò!, " Ó (e quindi anche se -  Ò+, ,Ó). Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 264 31.6 - Il teorema fondamentale del calcolo integrale. Teorema 31.6.1 Sia Ò+, ,Ó un intervallo limitato e chiuso di numeri reali. Allora Ð1Ñ se f − ¼Ð+, ,Ñ e fÐBÑ 0 per ogni B − Ò+, ,Ó , si ha ' fÐxÑ dx 0 ; , + Ð2Ñ se f, g − ¼Ð+, ,Ñ e fÐBÑ Ÿ gÐBÑ per ogni B − Ò+, ,Ó , si ha ' fÐxÑ dx Ÿ ' gÐxÑ dx ; , , + + Ð3Ñ se f − ¼Ð+, ,Ñ e f è superiormente limitata da A e inferiormente limitata da - in Ò+ , ,Ó , si ha ' fÐxÑ dx , - Ÿ + ,+ Ÿ A; Dimostrazione - La Ð1Ñ segue immediatamente dalla definizione di integrale data in 31.2 per le funzioni non negative ; la Ð2Ñ segue dalla Ð1Ñ applicata alla funzione g f tenendo conto dei teoremi 31.4.2 e 31.4.5. Proviamo infine la Ð3Ñ. Essendo per ipotesi - Ÿ f Ÿ A, applicando la Ð2Ñ prima alle funzioni - e f e poi alle funzioni f e A si ottiene che ' - dx Ÿ ' fÐxÑ dx Ÿ ' A dx , , + , + + ossia, ricordando l’esempio 31.2.1, -Ð, +Ñ Ÿ ' fÐxÑ dx Ÿ AÐ, +Ñ , + da cui l’asserto dividendo per , +. Teorema 31.6.2 (“della media integrale”) Sia Ò+, ,Ó un intervallo limitato e chiuso di numeri reali, e sia f − V! ÐÒ+ , ,ÓÑ . Allora esiste 0 − Ò+ , ,Ó tale che , ' fÐxÑ dx + ,+ œ fÐ 0 Ñ . Dimostrazione - Per il teorema di Weierstrass (22.4.2) f ha massimo e minimo in Ò+, ,Ó ; per la Ð3Ñ del teorema 31.6.1, , ' fÐxÑ dx + ,+ è compreso fra tali massimo e minimo; ancora per il teorema di Weierstrass (22.4.2) si ha l’asserto. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 265 Sia I un intervallo di numeri reali (non escludendo che possa essere I œ ‘), sia f − ¼ÐIÑ e sia - − I . Si dice funzione integrale individuata da f e - su I la funzione FÐ-Ñ ÐxÑ ³ ' fÐtÑdt . B - Teorema 31.6.3 (“Teorema fondamentale del calcolo integrale”) Sia I un intervallo di numeri reali, e sia f − V! ÐIÑ . Ð1Ñ Per ogni - − I , la funzione integrale individuata da f e - su I è una primitiva di f in I . Ð2Ñ Se I è un intervallo limitato e chiuso, I ³ Ò+, ,Ó , per ogni primitiva F di f in Ò+, ,Ó si ha , ' fÐxÑ dx œ FÐ,Ñ FÐ+Ñ . + Dimostrazione - Per il corollario 31.4.8, esiste la funzione integrale individuata da f e - su I ; sia essa FÐ-Ñ . Per provare la Ð1Ñ dobbiamo mostrare che Ð1.1Ñ FÐ-Ñ è continua negli eventuali estremi + , , di I e che ’ Ð1.2Ñ per ogni B! − I , FÐ-Ñ è derivabile in B! e si ha FÐ-Ñ ÐB! Ñ œ fÐB! Ñ. Supponendo che I abbia minimo + , dimostriamo che FÐ-Ñ è continua in + , ossia che lim FÐ-Ñ ÐxÑ œ FÐ-Ñ Ð+Ñ . x Ä + Poiché stiamo calcolando un limite per x che tende ad + da destra, possiamo fissare l’attenzione su un intorno destro J di + . Per ogni x − J si ha ± FÐ-Ñ ÐxÑ FÐ-Ñ Ð+Ñ ± œ ' fÐtÑdt ' fÐtÑdt œ ' fÐtÑdt Ÿ -Ðx +Ñ B + - B - + dove - è il massimo di f in J se f è sempre non negativa in J , è l’opposto del minimo di f in J se f è sempre non positiva in J , è la differenza tra massimo e minimo di f in J se f assume sia valori positivi che valori negativi in J . Per ogni & − ‘ , se $ ³ -& si ha allora che Ðx − WÐFÐ-Ñ ÑÑ • Ð ± x + ± $ Ñ Ê ± FÐ-Ñ ÐxÑ FÐ-Ñ Ð+Ñ ± Ÿ -Ðx +Ñ -$ œ & e quindi FÐ-Ñ è continua in + . Analogamente si prova che FÐ-Ñ è continua nell’eventuale massimo di I . Proviamo ora la Ð1.2Ñ. Considerando il rapporto incrementale di FÐ-Ñ si ha ' fÐtÑdt' fÐtÑdt B! 2 FÐ-Ñ ÐB! 2ÑFÐ-Ñ ÐB! Ñ 2 œ B! - - 2 œ ' fÐtÑdt ' fÐtÑdt' fÐtÑdt ' fÐtÑdt B! B! 2 B! B! 2 - B! - B! 2 œ 2 . Dunque per il teorema 31.6.2 applicato all’intervallo ÒB! , B! 2Ó si ha che FÐ-Ñ ÐB! 2ÑFÐ-Ñ ÐB! Ñ 2 œ fÐ 0 Ñ con 0 − ÒB! , B! 2Ó (e dunque lim 0 œ B! Ñ. Ne segue, tenendo conto della continuità di f, che 2Ä! FÐ-Ñ ’ ÐB! Ñ œ lim 2Ä! e quindi la Ð1Ñ. FÐ-Ñ ÐB! 2ÑFÐ-Ñ ÐB! Ñ 2 œ lim fÐ0Ñ œ fÐB! Ñ 2Ä! Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 266 Proviamo infine la Ð2Ñ. È immediato che FÐ-Ñ Ð,Ñ FÐ-Ñ Ð+Ñ œ ' fÐtÑdt ' fÐtÑdt œ ' fÐtÑdt ' fÐtÑdt œ ' fÐtÑdt ' fÐtÑdt œ ' fÐtÑdt œ ' fÐxÑ dx . , - + - , - - + - + , , - + , + D’altro lato, per ogni primitiva F di f in Ò+, ,Ó esiste - − ‘ tale che F œ FÐ-Ñ - (teorema 30.1.5). Dunque per ogni primitiva F di f in Ò+, ,Ó si ha FÐ,Ñ FÐ+Ñ œ FÐ-Ñ Ð,Ñ - ÐFÐ-Ñ Ð+Ñ -Ñ œ FÐ-Ñ Ð,Ñ FÐ-Ñ Ð+Ñ œ ' fÐxÑ dx , + come si voleva. Osservazione 31.6.4 Sia Ò+, ,Ó un intervallo limitato e chiuso di numeri reali, e sia f − V! ÐÒ+, ,ÓÑ . Per il teorema fondamentale del calcolo integrale (31.6.3), il problema di calcolare ' fÐxÑ dx , + può essere ricondotto a quello, già considerato nel capitolo 30, di determinare una primitiva di f in Ð+, ,Ñ. Vale la pena di osservare che tale procedimento teorico non è però mai quello effettivamente implementato per il calcolo numerico su elaboratore elettronico. Ai metodi numerici per il calcolo di integrali non possiamo tuttavia in questa sede nemmeno accennare. Esempio 31.6.5 Sia f la funzione ‘ Ä ‘ definita ponendo fÐxÑ ³ œ 0 1 se x 0 se x 0 . , Ricordando che ' fÐxÑ dx per f limitata non negativa (e + , ) è stato definito in modo da poter essere + interpretato come l’area del trapezoide individuato da f su Ò+, ,Ó , non sorprenderà che si abbia (per + , ) Ú0 , ' fÐxÑ dx œ Û , + Ü, + se , 0 se + 0 e , 0 se + 0 . B Poniamo FÐ!Ñ ÐxÑ ³ ' fÐtÑdt (cosicché FÐ!Ñ è la funzione integrale individuata da f e 0) . Allora ! 0 se x 0 FÐ!Ñ (xÑ œ œ x se x 0 . La funzione integrale FÐ!Ñ non è derivabile in 0, quindi non è una primitiva di f . Ciò mostra che la (1) del teorema fondamentale del calcolo integrale non vale se la funzione f non è continua. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 267 Esempio 31.6.6 ' ÐÈ2x $ Èx Ñ dx . ) Calcoliamo ! Poiché la funzione È2x $ Èx è continua in Ò0, 8Ó , possiamo applicare il teorema 31.6.3. Cerchiamo una primitiva di tale funzione: si ha ' ÐÈ2x $ Èx Ñ dx œ È2 ' x "# dx ' x "$ dx œ È2 † ' ÐÈ2x $ Èx Ñ dx œ ÒÈ2 † ) e quindi ! 2 3 $ x# 3 4 % 2 3 ) $ 3 4 x# x$ Ó ! œ 100 3 % x$ - . Esempio 31.6.7 ' % Calcoliamo " lnÐxÑ Èx dx . Poiché la funzione integranda è continua in Ò1, 4Ó , possiamo applicare il teorema 31.6.3. Cerchiamo una primitiva di tale funzione: si ha ' Å " dx œ ' lnÐxÑ x # dx œ 2Èx lnÐxÑ ' Æ lnÐxÑ Èx 1 x " † Ð2x # Ñ dx œ œ 2Èx lnÐxÑ 2 ' x # dx œ 2Èx lnÐxÑ 2Ð2Èx Ñ - œ 2Èx ÐlnÐxÑ 2 Ñ " e quindi ' % " lnÐxÑ Èx dx œ Ò2Èx ÐlnÐxÑ 2 ÑÓ " œ 4ÐlnÐ4Ñ 1Ñ . % Esempio 31.6.8 ' # Calcoliamo " 1 x Ð1lnÐxÑÑ dx . Poiché la funzione integranda è continua in Ò1, 2Ó , possiamo applicare il teorema 31.6.3. Cerchiamo una primitiva di tale funzione in Ò1, 2Ó : per calcolare 1 ' dx x Ð1lnÐxÑÑ si può procedere per sostituzione, ponendo t ³ 1 lnÐxÑ e, di conseguenza, dt œ 1x dx . ' t" dt Ci si riconduce così al calcolo di e poiché x varia tra 1 e 2 (e quindi t varia tra 1 e 1 lnÐ2Ñ, dunque t 0) si trova ad esempio la primitiva lnÐtÑ . Perciò, sostituendo a t nuovamente 1 lnÐxÑ , si trova che in Ò1, 2Ó è ' # e quindi " ' 1 x Ð1lnÐxÑÑ 1 x Ð1lnÐxÑÑ dx œ ln ÐlnÐxÑ 1Ñ dx œ cln Ðln x 1Ñd " œ ln Ðln Ð2Ñ 1Ñ. # Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 268 Esempio 31.6.9 ' x È4 x# dx . # Calcoliamo ! Poiché la funzione integranda è continua in Ò0, 2Ó , possiamo applicare il teorema 31.6.3. Cerchiamo una ' x È4 x# dx primitiva di tale funzione: per calcolare si può procedere per sostituzione, ponendo t ³ 4 x# e, di conseguenza, dt œ 2 x dx . Ci si riconduce così al calcolo di " # ' Èt dt œ " # † # $ $ t# - œ " $ $ t# - da cui, sostituendo a t nuovamente 4 x# , ' x È4 x# dx œ " (4 x# Ñ $# - . $ ' x È4 x# dx œ Ò " (4 x# Ñ $# Ó # œ ) . $ $ ! # e quindi ! 31.7 - Calcolo di aree mediante integrali. Siano +, , numeri reali, e siano f, g funzioni ‘ Ä ‘ integrabili su Ò+, ,Ó . Se fÐBÑ gÐBÑ per ogni ' ÐfÐxÑ gÐxÑÑ dx , B − Ò+, ,Ó , il numero reale + si assume quale area della porzione finita di piano delimitata dalle rette di equazioni xœ+ e xœ, e dai grafici delle funzioni f e g . Tale convenzione copre una situazione più generale di quella considerata in 31.1 ma è con essa coerente : infatti se f è non negativa in Ò+, ,Ó il trapezoide individuato da f in Ò+, ,Ó è la porzione finita di piano delimitata dalle rette di equazioni x œ + e x œ , e dai grafici della funzione f e della funzione costante identicamente nulla. Esempio 31.7.1 Determinare l’area della porzione finita di piano delimitata dalla parabola di equazione y œ x# 2x 3 e dall’asse delle ascisse. Soluzione - La parabola data incontra l’asse delle ascisse nei punti A ´ Ð 1, 0Ñ e B ´ Ð3, 0Ñ. Posto fÐxÑ ³ 0 e gÐxÑ ³ x# 2x 3 la porzione di piano descritta si può pensare delimitata dalle rette di equazioni x œ 1 e x œ 3 e dai grafici delle funzioni f e g . Poiché f g in Ò 1, 3Ó , l’area cercata è ' Ð0 Ðx# 2x 3ÑÑ dx œ ' Ð x# 2x 3Ñ dx. $ $ " " Poichè una primitiva di x# 2x 3 è "$ x$ x# 3x , l’area cercata è "$ x$ x# 3x‘ $ " œ " $ † 3$ 3# 3 † 3 Ð "$ Ð 1Ñ$ Ð 1Ñ# 3 † Ð 1ÑÑ œ 32 3 . Si noti che la porzione di piano considerata coincide col trapezoide individuato da g sull’intervallo Ò 1, 3Ó ; ma l’area cercata non è ' gÐxÑ dx perché g risulta negativa in Ò 1, 3Ó . $ " Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 269 Esempio 31.7.2 Siano A ´ Ð 1, 0Ñ, B ´ Ð1, 0Ñ. Determinare l’area della porzione finita di piano delimitata dal grafico della funzione sin e dal segmento AB. Soluzione - La porzione di piano descritta risulta ben individuata perchè il grafico della funzione sin incontra l’asse delle ascisse nei punti A e B. Posto fÐxÑ ³ 0 e gÐxÑ ³ sinÐxÑ , tale porzione di piano si può pensare delimitata dalle rette di equazioni x œ 1 e x œ 1 e dai grafici delle funzioni f e g . Poiché in Ò 1, 1Ó non è né f g ovunque né g f ovunque, non possiamo ottenere l’area cercata calcolando un solo integrale fra 1 e 1 . Osservando però che la funzione sin è dispari (cfr. 21.4), e quindi il suo grafico è simmetrico rispetto all’origine, possiamo stabilire che l’area cercata è 2 † ' sinÐxÑ dx. 1 ! Per calcolare tale numero, osserviamo che una primitiva di sinÐxÑ è cosÐxÑ ; pertanto l’area cercata è 2 † c cosÐxÑd ! œ 2 † Ð cosÐ1Ñ Ð cosÐ0ÑÑÑ œ 2 † Ð1 1Ñ œ 4 . 1 Esempio 31.7.3 Determinare l’area della porzione finita di piano delimitata dalle parabole y œ 2x# (# x e y œ x# 4x 3 Soluzione - La porzione di piano descritta risulta ben individuata perchè le parabole date si incontrano nei punti A ´ Ð "# , &% Ñ e B ´ Ð2, 1Ñ. Poiché le parabole date sono il grafico delle funzioni polinomiali fÐxÑ ³ 2x# (# x ³ x 4x 3 , e poiché si ha fÐBÑ gÐBÑ per ogni B − Ò "# , 2Ó , l’area richiesta è e gÐxÑ # ' ÐfÐxÑ gÐxÑÑ dx œ ' Ð 3x# # # " # " # "& # x 3Ñ dx œ x$ "& % x# 3x‘ " œ # #( "' . # Esempio 31.7.4 Determinare l’area della porzione finita di piano delimitata dai grafici delle funzioni fÐxÑ ³ x$ e gÐxÑ ³ , dall’asse delle ascisse e dalla retta di equazione x œ 2. 1 B Soluzione - Il grafico di f incontra l’asse delle ascisse nell’origine e incontra il grafico di g nel punto P ´ Ð1, 1Ñ . La porzione finita di piano considerata è dunque l’unione di due trapezoidi : quello individuato da f su Ò0, 1Ó e quello individuato da g su Ò1, 2Ó . Pertanto l’area cercata è ' x$ dx ' " # ! " 1 x " # dx œ Ò "% x% Ó ! ÒlnÐxÑÓ " œ " % lnÐ2Ñ . Esempio 31.7.5 Determinare l’area della porzione finita di piano delimitata dal grafico della funzione /x , dall’asse delle ordinate e dalla retta di equazione y œ 3. Soluzione - Il grafico di /x incontra la retta y œ 3 nel punto P ´ ÐlnÐ3Ñ, 3Ñ ; inoltre, in Ò0, lnÐ3ÑÓ si ha 3 / . Pertanto l’area cercata è B ' Ð3 /x Ñ dx œ c3x /x d ! lnÐ3Ñ 0 lnÐ$Ñ œ 3 † lnÐ3Ñ 2 . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 270 Esercizio 31.7.6 Siano :, ! − ‘ . Determinare l’area della porzione finita di piano delimitata dalla parabola di equazione y œ 2:x e dalla retta di equazione x œ ! . Esercizio 31.7.7 Sia > l’iperbole equilatera di equazione xy œ 1 e sia P un punto del ramo di > contenuto nel primo quadrante. Sia t la tangente in P a >, sia Q il punto in cui t incontra l’asse delle ascisse e sia r la retta passante per Q parallela all’asse delle ordinate. Determinare l’area della porzione finita di piano delimitata da >, t e r. 31.8 - Integrazione su intervalli illimitati. In questa sezione mostriamo come si può estendere la nozione di “integrale” a funzioni continue definite su un intervallo non limitato Ð62Ñ. Sia f:‘ Ä ‘ continua sull’intervallo chiuso illimitato [+, _Ñ. Per ogni , appartenente a tale ' fÐxÑ dx. , intervallo, esiste allora l’integrale + ' fÐxÑ dx œ I lim , Ä _+ , Se esiste con I − ‘ si dice che f è integrabile su [+, _Ñ (oppure che l’integrale di f tra + e _ converge) e si pone per definizione ' fÐxÑ dx œ I . _ + ' fÐxÑ dx œ „ _ In caso contrario, si dice che f non è integrabile tra + e _. Se lim , Ä _+ che l’integrale di f tra + e _ diverge. , si dice talvolta Sia ora invece f:‘ Ä ‘ continua sull’intervallo chiuso illimitato Ð _, , ]. Per ogni + appartenente a tale intervallo, esiste allora l’integrale ' fÐxÑ dx. , + ' fÐxÑ dx œ I lim + Ä _+ , Se esiste con I − ‘ si dice che f è integrabile su Ð _, , ] (oppure che l’integrale di f tra _ e , converge) e si pone per definizione ' fÐxÑ dx œ I . , _ ' fÐxÑ dx œ „ _ In caso contrario, si dice che f non è integrabile tra _ e , . Se lim + Ä _+ che l’integrale di f tra _ e , diverge. , 62 Si parla in questo caso di “integrale generalizzato” oppure “integrale improprio”. si dice talvolta Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 271 Sia infine f:‘ Ä ‘ continua su tutto ‘, e sia + − ‘. Si dice che f è integrabile su ‘ se è integrabile tra _ e + e tra + e _, e si pone ' fÐxÑ dx œ ' fÐxÑ dx ' fÐxÑ dx. _ + _ _ _ + È facile dimostrare che tale definizione è ben posta, ossia non dipende dal particolare punto + scelto. Esempio 31.8.1 Calcoliamo, qualora esista, ' _ 1 Si ha ' _ 1 1 x 1 x dx. ' dx œ lim , Ä _1 , 1 x , dx œ lim [lnÐxÑ] " œ lim lnÐ,Ñ œ _ , Ä _ , Ä _ e dunque l’integrale proposto diverge. Esempio 31.8.2 Calcoliamo, qualora esista, ' _ 1 ' _ Si ha 1 1 x# 1 x# dx. ' dx œ lim , Ä _1 , 1 x# dx œ lim , Ä _ 1 x ‘ , œ lim Ð1 " , Ä _ 1 , Ñ œ 1. Esempio 31.8.3 Calcoliamo, qualora esista, ' _ _ Si ha 1 1 x # ' dx. _ _ 1 1 x # dx œ ' ! _ ' œ lim +Ä _ + ! 1 1 x # 1 1 x # dx ' _ ! 1 1x # dx lim ' , Ä _! , ! 1 1 x # dx œ dx œ , œ lim [arctgÐxÑ] + lim [arctgÐxÑ] ! œ +Ä _ , Ä _ œ lim Ð arctgÐ+ÑÑ lim ÐarctgÐ,ÑÑ œ Ð +Ä _ , Ä _ 1 #Ñ 1 # œ 1. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 272 31.9 - Integrazione di funzioni non limitate. In questa sezione mostriamo come si può estendere la nozione di “integrale” a funzioni continue non limitate in un intervallo Ð63Ñ. Sia f:‘ Ä ‘ continua sull’intervallo chiuso limitato [+, , ]. Sappiamo dal teorema fondamentale del FÐ+Ñ ÐxÑ œ ' fÐtÑdt + B calcolo integrale che la funzione integrale è continua in [+, , ] . In particolare si ha dunque lim ' fÐtÑdt œ ' fÐtÑdt. x Ä , + + B , Ciò suggerisce come tentare di estendere la definizione di integrale tra + e , di f quando f è continua nell’intervallo [+, ,Ñ ma non è definita in , ed eventualmente non è limitata in [+, ,Ñ. Sia f continua nell’intervallo [+, ,Ñ (e quindi integrabile in ogni suo sottointervallo chiuso). Se esiste lim ' fÐtÑdt œ I x Ä , + B con I − ‘ si dice che f è integrabile su [+, ,Ñ (oppure che l’integrale di f su [+, ,Ñ converge) e si pone per definizione ' fÐtÑdt œ lim ' fÐtÑdt. x Ä , + + , B In caso contrario, si dice che f non è integrabile su [+, ,Ñ. Se lim ' fÐtÑdt œ „ _ x Ä , + B si dice talvolta che l’integrale di f su [+, ,Ñ diverge. Analogamente, se f è continua nell’intervallo Ð+, , ] ma non è definita in +, si pone per definizione ' fÐtÑdt œ lim ' fÐtÑdt + x Ä + B , , qualora tale limite esista e sia finito. Supponiamo infine che f sia definita nell’intervallo [+, , ] e presenti una singolarità in un punto - interno ad [+, , ]. Si dice che f è integrabile su [+, , ] se è integrabile su [+, -Ñ e su Ð- , , ] e si pone in tal caso ' fÐtÑdt œ ' fÐtÑdt ' fÐtÑdt. + + , - , Esempio 31.9.1 Calcoliamo, qualora esista, ' " ' " ! ! 1 È 1 x 1 È 1 x dx œ lim ' ,Ä" ! , dx. Si ha 1 È 1 x dx œ lim ’ 2È1 x “ œ lim Ð 2È1 , 2Ñ œ 2. ! , Ä " ,Ä" , Esercizio [*] 31.9.2 Sia f continua in Ð+, ,Ñ. Si definisca, sotto opportune ipotesi, ' fÐtÑdt e si utilizzi tale definizione per estendere la , + nozione di integrale definito al caso in cui f presenti un numero finito di singolarità in un intervallo. 63 Si parla anche in questo caso di “integrale generalizzato” oppure “integrale improprio”. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 273 32.- ELEMENTI DI CALCOLO DELLE PROBABILITÀ 32.1 - Eventi, esperimenti, risultati. La logica ci ha insegnato ad attribuire alle proposizioni uno dei due possibili valori di verità 0 e 1. Spesso però si vengono a considerare enunciati attinenti a fatti che non conosciamo perché non si sono ancora verificati o perché comunque non abbiamo su di essi abbastanza informazioni. Ad esempio: (1) nel prossimo turno del campionato di calcio, la squadra della Fiorentina pareggerà; (2) l’attuale governo sarà ancora in carica il 15 Gennaio del prossimo anno; (3) lanciando questo dado otterrò il numero 5; (4) la somma dei numeri estratti sulla ruota di Napoli nella prossima estrazione del lotto sarà almeno 15; (5) la prima carta di questo mazzo (che è stato mescolato mentre io non guardavo e giace coperto davanti a me) è un asso. Ogni volta che ci si trova a considerare un enunciato attinente a fatti sconosciuti, non si può in generale attribuirgli “a priori” il valore 0 né il valore 1 . Come “surrogato”, il calcolo delle probabilità ci consente di assegnare a un tale enunciato un numero reale nell’intervallo [0, 1] che esprime la maggiore o minore fiducia che abbiamo nel suo risultare poi vero (fiducia tanto maggiore quanto più il numero è vicino a 1). Schematizzeremo informalmente ciascuna situazione che intendiamo studiare individuando Ð+Ñ l’esperimento (o fenomeno causante) ; Ð,Ñ una descrizione dei suoi possibili risultati (che si escludono reciprocamente ed esauriscono tutte le possibilità) ; Ð-Ñ un elenco di eventi che possono verificarsi o non verificarsi a seconda di quale particolare risultato ha avuto l’esperimento; è a ciascuno di questi eventi che vogliamo assegnare un numero reale compreso fra 0 e 1 detto “probabilità” . Un evento si dice certo se qualunque risultato dell’esperimento lo rende vero. Un evento si dice impossibile se nessun risultato dell’esperimento lo rende vero. Due eventi si dicono incompatibili se nessun risultato dell’esperimento li rende veri entrambi. Un evento che consiste nel verificarsi di un risultato si dice evento elementare. Esempi 32.1.1 Esperimento: la partita della Fiorentina nel prossimo turno del campionato di calcio. Risultati: la Fiorentina vince, la Fiorentina pareggia, la Fiorentina perde. Eventi: la Fiorentina vince (evento elementare), una delle due squadre vince, la Fiorentina perde (evento elementare), nessuna delle due squadre vince, entrambe le squadre vincono, ecc. ecc. Si noti peraltro che allo stesso esperimento si possono associare anche altri insiemi di risultati; ad esempio i possibili “punteggi” con cui si conclude la partita: 0 0, 1 0, 0 1, 1 1, 2 0, ecc. ecc. ; e (di conseguenza) un insieme “più ampio” di eventi: gli stessi visti sopra (ma quelli che risultavano eventi elementari ora non lo sono più), e inoltre: la partita termina a reti inviolate (evento elementare), la partita termina con una vittoria per più di tre reti di scarto, ecc. ecc. 32.1.2 Esperimento: l’evolversi della situazione politica fino al 15 Gennaio del prossimo anno. Risultati: tutti i diversi governi che possono teoricamente essere in carica al 15 Gennaio del prossimo anno. Eventi: l’attuale governo sarà ancora in carica al 15 Gennaio del prossimo anno (evento elementare); un diverso governo formato dalle stesse persone sarà in carica al 15 Gennaio del prossimo anno; un governo con lo stesso ministro degli Esteri sarà in carica al 15 Gennaio del prossimo anno; un governo con tutti i ministri diversi dagli attuali sarà in carica al 15 Gennaio del prossimo anno; ecc., ecc., ... Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 274 32.1.3 Esperimento: lancio di un dado. Risultati: 1, 2, 3, 4, 5, 6. Eventi: un numero pari, un numero primo, il numero 3 (evento elementare), un numero maggiore di quattro, ecc. ecc. 32.1.4 Esperimento: la prossima estrazione del lotto sulla ruota di Napoli. Risultati: (1, 2, 3, 4, 5), (1, 2, 3, 4, 6), ..., (86, 87, 88, 89, 85), (86, 87, 88, 89, 90) (cioè tutte le disposizioni semplici a 5 a 5 dei numeri naturali da 1 a 90, cfr. sez. 13.3) . Eventi: viene estratto il 7, il secondo estratto è 5, viene estratto l’ambo {2, 9}, viene estratto l’ambo {15, 87}, viene estratto il terno {7, 9, 16}, viene estratta la cinquina {1, 12, 19, 35, 53}, ecc. ecc. Si noti peraltro che allo stesso esperimento si possono associare anche altri insiemi di risultati; ad esempio l’insieme delle 5 combinazioni semplici dei numeri da 1 a 90 (cioè, per il teorema 13.4.1, i possibili insiemi di cinque numeri estraibili, senza tener conto dell’ordine di estrazione): questa scelta dell’insieme di risultati consentirebbe comunque di esprimere gli eventi “pagabili” in base alle norme sul gioco del lotto (cioè le ambate, gli ambi, i terni, le quaterne e le cinquine). 32.1.5 Esperimento: mescolare un mazzo di carte. Risultati: tutti i possibili diversi ordini in cui le carte possono presentarsi. Eventi: la prima carta è un asso, la prima carta è una carta di cuori, nelle prime dieci carte ci sono almeno due assi oppure almeno quattro carte di picche, ecc. ecc. Esercizio 32.1.6 Fra gli eventi (1), (2), (3), (4) e (5) descritti all’inizio ce n’è qualcuno certo? Ce n’è qualcuno impossibile? 32.2 - Spazio dei risultati. Per dare una formalizzazione matematica dei concetti introdotti nella sez. 32.1, ad ogni esperimento si associa un insieme non vuoto H (detto spazio dei risultati) i cui elementi “rappresentano” i possibili risultati ; gli eventi ai quali vogliamo associare una probabilità saranno identificati con opportuni sottoinsiemi di H . La scelta di H è arbitraria, come del resto (lo si è già osservato) la descrizione dei risultati dell’esperimento; vedremo tuttavia in seguito che alcune scelte sono “migliori” di altre. Ad ogni modo, fissato H , ogni evento risulta identificato con il sottoinsieme di H formato dai risultati che lo rendono vero, cosicché in particolare: l’evento impossibile è g ; l’evento certo è H ; gli eventi elementari sono quelli che hanno un solo elemento; due eventi sono incompatibili se e solo se sono disgiunti. Esempio 32.2.1 Supponiamo di voler descrivere l’esperimento “lancio di due monete”. Una possibile scelta di H è H" ³ {TT, CC, TC} dove: TT è il risultato <escono due “testa”>, CC è il risultato <escono due “croce”>, TC è il risultato <escono una “testa” e una “croce”>. L’evento <escono due “testa”> è il sottoinsieme {TT}: si tratta dunque di un evento elementare (infatti consiste nel verificarsi di un risultato). L’evento “escono due facce uguali” è il sottoinsieme {TT, CC} ; l’evento “esce testa su almeno una moneta” è il sottoinsieme {TT, TC}. Un’altra possibile scelta di H è H# ³ {TT, CC, TC, CT} dove questa volta si distingue tra TC e CT a seconda che sia uscita “testa” sull’una o sull’altra moneta. Notiamo esplicitamente che entrambe le scelte per H sono lecite: una però, come vedremo più avanti (Esempio 32.3.6), è “più comoda” dell’altra. Notiamo anche che: è vero che certi eventi (ad esempio: “esce testa sulla prima moneta”) si possono descrivere con H# (come {TT, TC}) e non con H" ; ma questo di per sé non è un motivo determinante per preferire H# , almeno finché l’evento al quale siamo interessati non è uno di questi! Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 275 32.3 - Misura di probabilità. Sia H un insieme non vuoto. Si dice misura di probabilità su H una funzione : : c (H) Ä Ò0, 1Ó tale che: MP1 W(:) è una 5 algebra, cioè: H − W (: ) ; per ogni A − W(:) , anche AC − W(:) ; per ogni insieme finito o numerabile \ di elementi di W(:) , anche \ − W(:) ; per ogni insieme finito o numerabile \ di elementi di W(:) , anche \ − W(:) ; MP1.1 MP1.2 MP1.3 MP1.4 MP2 : (H) œ 1 ; MP3 se A" , A# , á , A8 , á − W(:) e A3 A4 œ g per 3 Á 4 , allora ! : (A3 ) lim :( ÖA3 }) œ 8 Ä _ 3œ" 8 (cioè, : è 5 additiva). I sottoinsiemi di H che appartengono al dominio di : sono gli eventi ai quali siamo in grado di assegnare una probabilità. Le (3) e (33) sono le “regole generali del gioco”: da sole non bastano per determinare le probabilità dei vari eventi (ci vogliono “regole”, cioè ipotesi, aggiuntive), ma da esse si possono già dedurre vari fatti. Teorema 32.3.1 Sia H un insieme non vuoto, e sia : una misura di probabilità su H . Allora (+) g − WÐ:Ñ ; (, ) se A" , A# , á , A= sono elementi di WÐ:Ñ a due a due disgiunti, : ( A " A # á A = ) œ : (A " ) : (A # ) á : (A = ) ; (- ) se A − WÐ:Ñ , si ha :(AC ) œ 1 : (A) ; ( . ) : (g ) œ 0 ; (/) se A , B − WÐ:Ñ , si ha A\B − W(:) ; (0 ) se A , B − WÐ:Ñ e A © B , si ha : (A) Ÿ : (B) ; (1) se A , B − WÐ:Ñ , si ha :(A B) œ : (A) : (B) : (A B) . Dimostrazione (+) Poiché H − WÐ:Ñ (per la MP1.1 ) e g œ HC , si ha che g − W(:) per la MP1.2 . (, ) Posto A3 œ g per 3 = (come possiamo fare per la (+)) , l’asserto segue immediatamente dalla MP3 . Ð,Ñ MP2 (- ) Sia A − WÐ:Ñ . Poiché A AC œ g , si ha : (A) : (AC ) œ : (A AC ) œ : (H) œ 1 e quindi :(AC ) œ 1 :(A) come si voleva. (. ) Poiché g œ HC , per la (- ) si trova che (/) Poiché A\B œ A BC , per le MP1.2 e :(g) œ : (HC ) œ 1 : (H) œ 1 1 œ 0 . MP1.3 si ha subito l’asserto. (0 ) Siano A , B − WÐ:Ñ con A © B . Allora B œ A (B\A) , e A (B\A) œ g . Dunque per la (, ) :(B) œ :(A) :(B\A) :(A) ricordando che per definizione : assume solo valori non negativi. (1) Siano A , B − WÐ:Ñ . Osserviamo in primo luogo che A è unione degli insiemi disgiunti A\B e A B , cosicché :(A) œ :(A\B) :(A B) per la (, ) ; e analogamente :(B) œ : (B\A) : (A B) . Notiamo poi che A B è unione degli insiemi a due a due disgiunti A\B , B\A e A B . Tenendo conto della (, ) si ha quindi :(A B) œ :(A\B) :(B\A) :(A B) œ ðóóóóóóóñóóóóóóóò :(A\B) :(A B) : (A B) ðóóóóóóóñóóóóóóóò : (B\A) : (A B) œ :(A) :(B) œ :(A) :(B) :(A B) come si voleva. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 276 Supponiamo ora che gli eventi elementari siano tutti equiprobabili. Attenzione: questa ipotesi non sempre è ragionevole (64)(dipende dalla scelta di H per rappresentare l’esperimento che stiamo considerando!) ; essa tuttavia ci consente di determinare la probabilità degli eventi elementari e, nel caso particolare che H sia finito, di un qualsiasi evento. Teorema 32.3.2 Sia H un insieme non vuoto, e sia : una misura di probabilità su H tale che (3) ogni evento elementare appartiene a W(:) (33) :({x}) œ :({y}) e Allora a x, y − H . (+) se kHk œ 8 − ™ , (+.1) ogni evento elementare ha probabilità 81 ; (+.2) WÐ:Ñ œ c (H) ; (+.3) per ogni A © H si ha :(A) œ kA8 k ; (, ) se H ha infiniti elementi, ogni evento elementare ha probabilità zero . Dimostrazione - (+) Siano x" , x# , á , x8 gli elementi di H , e supponiamo che sia :(Öx3 ×) œ & (per ipotesi tale valore non dipende da 3) . 8 (+.1) Poiché H œ Öx3 × e gli Öx3 × sono a due a due disgiunti, per la (, ) del teorema 32.3.1 si ha 3œ" 8 1 œ :(H) œ ! : aÖx3 ×b œ 8& 3œ" da cui & œ 1 8 . (+.2) Ogni sottoinsieme di H appartiene a W(:) per la MP1.3 essendo unione di un numero finito di eventi elementari. (+.3) Se A © H con kAk œ 7 , siano x3" , x3# , á , x37 gli 7 elementi di A . Poiché A è unione degli 7 eventi elementari Öx3" ×, Öx3# ×, á , Öx37 × a due a due disgiunti (che hanno ciascuno probabilità 81 ), applicando la (, ) del teorema 32.3.1 si trova che :(A) œ ! : ˆÖx34 ׉ œ 7 † 7 4œ" 1 8 œ 7 8 œ kAk 8 come si voleva. (, ) Supponiamo ora che H abbia infiniti elementi. Sia & la probabilità di un evento elementare, e supponiamo per assurdo che sia & 0 . Per la proprietà di Archimede (teorema 9.5.2), esiste un numero naturale 5 tale che 5 & 1 ; scelti allora 5 risultati distinti x" , x# , á , x5 − H e posto A ³ Öx" , x# , á , x5 ×, si ha (ricordando come al solito la (, ) del teorema 32.3.1) :(A) œ ! : aÖx4 ×b œ 5 & 1 5 4œ" contro la (0 ) del teorema 32.3.1 e la MP2 . Osservazione 32.3.3 Il risultato espresso dalla (+) del teorema 32.3.2 è noto come valutazione classica della probabilità. 64 e nemmeno sempre possibile! Cfr. teorema 32.3.8. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 277 Osservazione 32.3.4 La (, ) del teorema 32.3.2 evidenzia con chiarezza che un evento con probabilità zero non è in generale impossibile. Supponiamo ad esempio di lanciare contro un bersaglio una freccetta “a caso” (cioè senza mirare). Possiamo allora convenire che ogni punto abbia la stessa probabilità di essere colpito, e dunque (per la (, ) del teorema 32.3.2) tale probabilità è zero; ciò ovviamente non significa che sia impossibile colpire esattamente un dato punto. Allo stesso modo (si pensi all’evento “colpire un qualunque punto diverso da P! ” e si applichi la (- ) del teorema 32.3.1) si vede che un evento con probabilità 1 non è in generale certo. Esempio 32.3.5 Lanciamo un dado (cubico) e poniamo H ³ Ö1, 2, 3, 4, 5, 6× . Se il dado non è truccato, possiamo ragionevolmente supporre che gli eventi elementari siano equiprobabili; per la (+) del teorema 32.3.2, ogni evento elementare ha probabilità 16 . Qual è la probabilità che esca un numero pari? Posto A ³ Ö2, 4, 6×, per la (+) del teorema 32.3.2 è :(A) œ 36 œ 12 . Qual è la probabilità che esca un numero primo? Posto B ³ Ö2, 3, 5×, è : (B) œ 36 œ 12 . Qual è la probabilità che esca un numero pari oppure un numero primo? Possiamo calcolarla applicando ad A B ancora la (+) del teorema 32.3.2 ; oppure possiamo utilizzare la (1) del teorema 32.3.1 : poiché A B œ Ö2× , A B è un evento elementare e dunque ha probabilità 16 ; ne segue che :(A B) œ :(A) :(B) :(A B) œ 12 12 16 œ 65 . Esempio 32.3.6 Lanciamo due monete. Abbiamo già descritto (Esempio 32.2.1) due possibili spazi dei risultati: e H" ³ {TT, CC, TC} H# ³ {TT, CC, TC, CT} . È chiaro che non possiamo supporre in entrambi i casi che gli eventi elementari siano equiprobabili. Sarà preferibile scegliere come spazio dei risultati quello tra i due per il quale una tale ipotesi risulti adeguata alla descrizione della realtà. Esempio 32.3.7 Esperimento: lancio di una freccetta contro un bersaglio. Che ogni punto abbia la stessa probabilità di essero colpito è supposizione un po’ ardita (perché si mira al centro, quindi è più probabile colpire un punto vicino al centro che un punto vicino al bordo del bersaglio!) (65) ; e una tale ipotesi non è comunque sufficiente per determinare la probabilità degli eventi non elementari (tipo: viene colpito un punto del quadrante superiore destro). Occorrono ipotesi aggiuntive. Se il bersaglio è circolare, possiamo ad esempio fare la seguente ipotesi: (ì) settori circolari equiestesi hanno la stessa probabilità di essere colpiti. Si può dimostrare che, sotto questa ipotesi, la probabilità di colpire un assegnato settore circolare è direttamente proporzionale alla sua superficie. Teorema 32.3.8 Sia H un insieme in cui tutti gli eventi elementari appartengono a W(:) . Se kHk œ i! , gli eventi elementari non possono avere tutti la stessa probabilità. Dimostrazione - Per la (, ) del teorema 32.3.2, se gli eventi elementari fossero equiprobabili ciascuno di essi dovrebbe avere probabilità zero. Essendo H l’unione degli eventi elementari, per la 5 additività di : ( MP3 ) dovrebbe essere :(H) œ 0 contro la MP2 . 65 Ad ogni modo, è sufficiente supporre, ad esempio, che <per ogni circonferenza V con centro l'origine, ogni punto abbia la stessa probabilità :V di essere colpito> per poter dedurre che :V œ 0 per ogni V . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 278 32.4 - La valutazione frequentista della probabilità. Si consideri l’esperimento “lancio di un dado”. Possiamo associargli lo spazio dei risultati H ³ Ö1, 2, 3, 4, 5, 6× , “decidendo” che gli eventi elementari sono tutti equiprobabili. Dunque, la probabilità che esca (ad esempio) un “5” è 16 . Nella misura in cui il nostro ragionamento si riferisce non a una pura astrazione matematica ma a una situazione concreta, abbiamo il dovere di chiederci se la scelta di H e la decisione di considerare equiprobabili gli eventi elementari siano adeguate alla rappresentazione della realtà. Ciò ovviamente dipende da fattori concreti tipo: il dado è un cubo perfetto? è costituito di materiale omogeneo? Viene lanciato con qualche particolare criterio? Ecc. ecc. Per gli esperimenti che possono essere ripetuti più volte nelle stesse condizioni, un criterio di adeguatezza alla realtà di un modello probabilistico è il cosiddetto criterio frequentista. Si consideri un esperimento che può essere ripetuto più volte nelle stesse condizioni (ad esempio: lancio di una dado, lancio di una moneta, estrazione di una pallina da un’urna; ma non: partita di calcio, evolversi della situazione politica), e sia E un evento fissato. Sia 8 un numero intero positivo, e sia B8 l’esperimento che consiste nel ripetere 8 volte l’esperimento considerato. Se in B8 l’evento E risulta vero 5 volte, il numero 5 8 si dice frequenza relativa di E osservata in B8 . Si noti che la frequenza relativa è un numero reale (di fatto addirittura razionale) compreso tra zero e uno. Da una misura di probabilità “adeguata” alla rappresentazione della realtà ci si aspetta che, per ogni evento E − WÐ:Ñ, ripetendo l’esperimento un numero di volte “sufficientemente grande” la frequenza relativa di E risulti “vicina” a :(E). Di fatto, la frequenza relativa di un evento osservata in una precedente successione di esperimenti può venire scelta come stima della probabilità di quell’evento per gli esperimenti successivi; ma, come si è già osservato, questo procedimento può essere adottato solo quando si considerano esperimenti che vengono ripetuti sempre nelle stesse condizioni. Esempio 32.4.1 Consideriamo l’esperimento che consiste nel lanciare una moneta. Scegliamo come spazio dei risultati H ³ ÖT, C× , e supponiamo, in assenza di altre informazioni, che gli eventi elementari siano equiprobabili, cosicché :(T) ³ 12 e :(C) ³ 12 . Se ripetendo l’esperimento 1000 volte abbiamo osservato che è uscita 900 volte “Testa” e 100 volte “Croce”, come possiamo valutare la probabilità che nel lancio successivo esca “Croce” ? Se vogliamo adottare il criterio della frequenza relativa, dobbiamo rifiutare la precedente funzione : proponendone invece un’altra per la quale 9 1 si abbia :(T) ³ 10 e :(C) ³ 10 . In altre parole, si tratta di prendere atto che la moneta è presumibilmente truccata! Esercizio [*] 32.4.2 Si prenda una “moneta truccata” (ad esempio, il tappo di un barattolo di marmellata, oppure una puntina da disegno) e la si lanci 100 volte, prendendo nota del risultato di ciascun lancio. Col criterio della frequenza relativa osservata in tale successione di esperimenti, si assegni una probabilità a ciascuna delle due facce della “moneta”. Si ripeta 50, 100, 150 volte l’esperimento prendendo ogni volta nota della frequenza relativa di ciascun risultato e confrontandola con la probabilità assegnata. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 279 32.5 - Probabilità condizionata. Consideriamo il seguente esperimento: da un’urna contenente i numeri 1, 2 e 3 estraiamo due numeri uno dopo l’altro. Scegliamo come spazio dei risultati l’insieme H ³ Ö(1, 2), (1, 3), (2, 1), (2, 3), (3, 1), (3, 2)× delle 2 disposizioni semplici dei numeri 1, 2 e 3 (cfr. sez. 13.3). Possiamo supporre che gli eventi elementari siano tutti equiprobabili, e che quindi ciascuno di essi abbia probabilità 16 . L’evento <il secondo numero estratto è 3> si rappresenta col sottoinsieme A ³ Ö(1, 3), (2, 3)× di H formato dalle coppie ordinate che hanno come secondo elemento 3 , e dunque (per il teorema 32.3.2) ha a priori probabilità 13 . Supponiamo però di essere all’estrazione del secondo numero e di conoscere già il primo numero estratto, ad esempio: 1 . Abbiamo delle informazioni in più rispetto a prima: gli eventi elementari non si possono più supporre equiprobabili; in effetti, tutti quelli individuati da coppie ordinate il cui primo elemento è Á 1 hanno probabilità zero! Possiamo supporre equiprobabili i rimanenti due, ciascuno dei quali ha dunque adesso probabilità 12 . L’evento A è unione degli eventi elementari Ö(1, 3)× (che ha probabilità 12 ) e Ö(2, 3)× (che ha probabilità 0), pertanto adesso :(A) œ 12 . Abbiamo visto con questo esempio che, se sappiamo che è vero un dato evento B, è ragionevole assegnare a tutti gli eventi una nuova misura di probabilità :B , detta probabilità condizionata a (oppure da) B ; per ogni evento A , si scrive di solito :(A|B) anziché :B (A) . L’informazione che è vero un dato evento B può a seconda dei casi influire profondamente oppure non influire affatto sulla probabilità di un altro evento A . Ad esempio, tornando alla situazione esaminata sopra, sia B l’evento <il primo numero estratto è 3> e sia A l’evento <il secondo numero estratto è 3> . è chiaro che :(A|B) œ 0 perché se 3 è già stato estratto come primo numero non può essere estratto come secondo! Più in generale, si ha :(A|B) œ 0 ogni volta che A B œ g (cioè ogni volta che A , B sono incompatibili) e :(A|A) œ 1 . Sia H un insieme finito non vuoto, e sia : una misura di probabilità su H per la quale gli eventi elementari sono tutti equiprobabili, cosicché si può applicare la (+) del teorema 32.3.2 . Sia B un evento diverso dall’evento impossibile. Sotto queste ipotesi, per valutare la probabilità condizionata all’evento B è sufficiente assumere B come nuovo spazio dei risultati mantenendo in B l’ipotesi (già formulata per H) di equiprobabilità per gli eventi elementari. Applicando la (+) del teorema 32.3.2 sia allo spazio dei risultati H (per calcolare :(A B) e :(B)) sia allo spazio dei risultati B (per calcolare :(A|B)), si trova che Bk Bk :(A B) œ kAkH :(B) œ kkH :(A|B) œ kAkBkBk k ; k ; da cui 32.5.F1 :(A B) œ :(A|B) † :(B) . In generale, sia H un qualsiasi insieme non vuoto, e sia : una misura di probabilità su H . Se A , B − W(:) con :(B) Á 0 , si definisce la probabilità di A condizionata a (oppure da) B ponendo :(A|B) œ 32.5.F2 :(AB) :(B) . Si noti che, quando :(B) Á 0 , la 32.5.F2 è equivalente alla 32.5.F1 . Teorema 32.5.1 Siano H un insieme non vuoto e : una misura di probabilità su H . Si ha (3) :(A|A) œ 1 a A − W(:) con :(A) Á 0 ; (33) :(A|H) œ :(A) a A − W(:) ; Ð333) :(A|B) œ :(A B|B) a A , B − W(:) con :(B) Á 0 ; (3@) :(A|C)=:(A|B) † :(B|C) a A , B , C − W(:) tali che A © B © C e : (B) , : (C) Á 0 . Dimostrazione - Ovvio. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 280 Esempio 32.5.2 Esperimento: estrazione del lotto. A ³ <Il secondo numero estratto è 3> ; B ³ <Il primo numero estratto è 15>. : (A) œ 1 90 :(B) œ , :(A|B) œ 1 90 , :(AB) :(B) :(A B) œ 1 90†89 œ 88†87†86 90†89†88†87†86 1 89 † 90 œ 1 90†89 œ . Esempio 32.5.3 Esperimento: lancio di un dado. A ³ <Esce 2> ; : (A) œ 1 6 1 2 :(B) œ , B ³ <Esce un numero pari>. , :(A|B) œ :(A B) œ :(AB) :(B) œ 1 6 1 6 (essendo A B œ A) †2œ 1 3 . Esempio 32.5.4 Esperimento: lancio di due dadi colorati in rosso e in blu (per distinguerli). A ³ <Sul dado rosso esce 2> ; B ³ <Sul dado blu esce 3> . : (A) œ 1 6 , :(B) œ 1 6 :(A B) œ , 1 36 (avendo posto H ³ Ö(3, 4) − # / 1 Ÿ 3 Ÿ 6, 1 Ÿ 4 Ÿ 6× ed essendo kHk œ 36 , kA Bk œ kÖ(2, 3)×k œ 1) 1 cosicché :(A|B) œ :(:A(B)B) œ 36 † 6 œ 16 œ :(A) . Esempio 32.5.5 Esperimento: estrazione di due numeri tra i numeri 1, 2 e 3 . H ³ Ö(1, 2), (1, 3),(2, 1),(2, 3),(3, 1),(3, 2)× Supponiamo che gli eventi elementari siano equiprobabili; pertanto, ciascuno di essi ha probabilità A ³ <il secondo estratto è il 2> ; B ³ <il primo estratto è il 3> . : (A) œ 2 6 cosicché œ 13 , :(B) œ 26 œ 13 , :(A B) œ :(A|B) œ :(:A(B)B) œ 61 † 3 œ 12 . 1 6 . 1 6 . 1 6 . 1 6 Esempio 32.5.6 Esperimento: estrazione di due numeri tra i numeri 1, 2 e 3 . H ³ Ö(1, 2), (1, 3),(2, 1),(2, 3),(3, 1),(3, 2)× Supponiamo che gli eventi elementari siano equiprobabili; pertanto, ciascuno di essi ha probabilità A ³ <viene estratto il 2> ; B ³ <viene estratto il 3> . : (A) œ 4 6 œ cosicché 2 3 , :(B) œ 64 œ :(A|B) œ :(:A(B)B) œ 2 3 1 3 , † :(A B) œ 3 1 2 œ 2 . 2 6 œ 1 3 Esempio 32.5.7 Esperimento: estrazione di due numeri tra i numeri 1, 2 e 3 . H ³ Ö(1, 2), (1, 3),(2, 1),(2, 3),(3, 1),(3, 2)× Supponiamo che gli eventi elementari siano equiprobabili; pertanto, ciascuno di essi ha probabilità A ³ <viene estratto il 2> ; B ³ <viene estratto l’1> . : (A) œ cosicché 4 6 œ 2 3 , 4 6 œ 2 3 , :(AB) :(B) œ 1 3 † :(B) œ :(A|B) œ :(A B) œ 3 2 œ 1 2 . 2 6 œ 1 3 Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 281 Osservazione 32.5.8 I risultati ottenuti negli esempi 32.5.6 e 32.5.7 presentano un aspetto paradossale. Essi mostrano che la probabilità di essere estratto per il numero 2 è influenzata dal fatto che venga estratto o meno il numero 3; ed è influenzata (esattamente allo stesso modo) dal fatto che venga estratto o meno il numero 1. Precisamente, sia che venga estratto il numero 3 sia che venga estratto il numero 1, la probabilità che venga estratto il numero 2 è 12 ; e certamente viene estratto uno dei numeri 1 e 3 . Ma, in assenza di informazioni, la probabilità che venga estratto il numero 2 è 23 . Esempio 32.5.9 Un altro paradosso probabilistico analogo a quello evidenziato con gli esempi 32.5.6 e 32.5.7 . Espoerimento: lancio di due monete `" (da 1 Euro) e `# (da 2 Euro) . H ³ Ö(T, T), (T, C),(C, T),(C, C)× Supponiamo che gli eventi elementari siano equiprobabili; pertanto, ciascuno di essi ha probabilità A ³ <su entrambe le monete esce testa> ; B ³ <su almeno una moneta esce testa> ; B" ³ <su `" esce testa> ; B# ³ <su `# esce testa> ; :(A) œ 14 , :(B) œ 34 , :(B" ) œ 12 , :(B# ) œ 12 , :(A B) œ :(A B" ) œ :(A B# ) œ :(A) œ 14 ; :(AB) :(B) 1 2 ; :(A|B) œ cosicché :(AB" ) :(B" ) 1 4 œ 1 4 † 4 3 œ 1 3 1 4 . ; :(AB# ) :(B# ) :(A|B" ) œ œ †2œ :(A|B# ) œ œ 14 † 2 œ 12 . Se sappiamo che B è vero, la probabilità di A è 13 ; d’altro lato, se B è vero, certamente è vero almeno uno degli eventi B" , B# : in ciascuno di questi due casi, la probabilità di A è però 21 . Esempio 32.5.10 In una città vivono due amici, Tizio e Caio. Tizio dice a Caio che forse andrà a trovarlo con l’autobus; ci sono 6 corse utili, e Tizio adotterà il seguente metodo: deciderà se partire o meno lanciando una moneta; stabilirà quale dei 6 autobus prendere lanciando un dado. Caio va ad aspettare Tizio alla fermata, ma con i primi 5 autobus Tizio non arriva. Qual è la probabilità che arrivi col sesto? Sia A! l’evento “Tizio non parte”, e (per 3 ³ 1, 2, á , 6) sia A3 l’evento “Tizio arriva con l’3 simo autobus”. 8 Possiamo valutare che sia :(A! ) œ : Œ A3 (stimando che la moneta non sia truccata!) e che gli A3 per 3œ" 3 ³ 1, 2, á , 6 siano tutti equiprobabili (stimando che il dado non sia truccato!): pertanto :(A! ) œ 12 e 1 :(A3 ) œ 12 per 3 0 . L’evento condizionante B è “Tizio non arriva con nessuno dei primi 5 autobus”, cioè B ³ (A" A# á A& )C ; per le (, ) e (- ) del teorema 32.3.1 , :(B) œ 1 ! :(A3 ) œ 1 & 3œ" Per la 32.5.F2, :(A' |B) œ :(A' B) :(B) 5 12 7 12 œ . . Si noti che A' © B , cosicché A' B œ A' e dunque :(A' |B) œ :(A' ) :(B) œ 1 12 † 12 7 œ 1 7 . La conoscenza del fatto che Tizio non è arrivato con nessuno dei primi 5 autobus ha fatto aumentare la 1 probabilità dell’evento A' da 12 a 17 . Naturalmente, la probabilità dell’evento “Tizio arriva” è invece diminuita 1 1 da 2 a 7 . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 282 Esercizio 32.5.11 Abbiamo due dadi. Ne tiriamo uno: se è uscito un numero dispari, tiriamo anche l’altro e sommiamo i risultati ottenuti. Si dica qual è la probabilità che abbiamo tirato entrambi i dadi se complessivamente realizziamo un “5”; se complessivamente realizziamo un “6”; se complessivamente realizziamo un “7”. Esercizio 32.5.12 Dicei persone lanciano, successivamente, una stessa moneta non truccata. Se le prime nove ottengono “Testa”, qual è la probabilità che anche la decima ottenga “Testa”? Osservazione 32.5.13 Sia H un insieme non vuoto, e sia : una misura di probabilità su H. Siano A" , A# , á , A8 − W(:) eventi tali che ÖA" , A# ,á , A8 × sia una partizione di H (cfr. 3.7) ; e siano B" , B# , á , B7 − W(:) eventi con probabilità non nulla tali che ÖB" , B# ,á , B7 × sia una partizione di H . Per la formula 32.5.F1 (che si può facilmente dedurre dalla definizione di probabilità condizionata 32.5.F2) si ha :(A3 B4 ) œ :(B4 ):(A3 |B4 ) per 3 ³ 1 , 2 , á , 8 . Per visualizzare le :(A3 B4 ) è spesso comodo utilizzare un “diagramma ad albero” come il seguente Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 283 o anche, quando ciò non dia luogo ad ambiguità, come il seguente: Esempio 32.5.14 Sono date due scatole: una contiene tre palline bianche, due gialle e una nera; l’altra contiene 2 palline rosse e 5 verdi. Si sceglie a caso una scatola, e da essa si estrae una pallina: qual è la probabilità che la pallina estratta sia rossa? Rappresentando la situazione con un diagramma ad albero si trova che :(rossa) œ 1 2 † 2 7 œ 1 7 . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 284 Esercizio 32.5.15 Una scatola contiene 3 palline rosse e 7 palline bianche. Si estrae una pallina dalla scatola; si introduce nella scatola una pallina dell’altro colore; si estrae nuovamente una pallina dalla scatola. Determinare la probabilità che entrambe le palline estratte siano rosse. Esercizio 32.5.16 In un borsellino ci sono tre monete da 1 Euro. La prima è una moneta normale; la seconda ha “testa” su entrambe le facce; la terza è stata modificata in modo che, lanciandola, la probabilità di ottenere “testa” sia di 23 . Si prende a caso una moneta dal borsellino e la si lancia. Determinare la probabilità che esca “testa”. 32.6 - Indipendenza stocastica. Sia H un insieme non vuoto, e sia : una misura di probabilità su H ; siano A , B − W(:) eventi con probabilità non nulla. Se :(A|B) :(A) , si dice che l’evento B favorisce l’evento A ; se :(A|B) :(A) , si dice che l’evento B ostacola l’evento A ; se :(A|B) œ :(A) , si dice che l’evento A è (stocasticamente) indipendente dall’evento B . Teorema 32.6.1 Siano H un insieme non vuoto e : una misura di probabilità su H ; siano A , B − W(:) eventi con probabilità non nulla. Sono fatti equivalenti: (+) A è indipendente da B ; (, ) B è indipendente da A ; (- ) :(A B) œ :(AÑ † :(B) . Dimostrazione - Se :(A|B) œ :(A) , la 32.5.F1 diventa la (- ) . Viceversa, se vale la (- ), dalla 32.5.F1 si deduce che :(A|B) œ :(A) . Dunque (+) Í (- ) . Ragionando allo stesso modo sulla :(A B) œ :(B|A) † :(A) (che si ottiene dalla 32.5.F1 scambiando A con B) si ottiene che (, ) Í (- ) , da cui infine (+) Í (, ) . Teorema 32.6.2 Siano H un insieme non vuoto e : una misura di probabilità su H ; siano A , B − W(:) eventi con probabilità non nulla. Sono fatti equivalenti: (+) A favorisce B ; (, ) B favorisce A ; (- ) :(A B) :(AÑ † :(B) . Dimostrazione - Proviamo innanzitutto che (, ) Í (- ) . (, ) Ê (- ) . Sia :(A|B) :(A) . Allora :(A|B) † :(B) :(A) † :(B) (essendo :(B) 0) e dunque (tenuto conto della 32.5.F1) la (- ) . (- ) Ê (, ) . Per la 32.5.F1 si ha :(A|B) † :(B) :(A) † :(B) e quindi (essendo :(B) 0) :(A|B) :(A) ossia la (, ) . Ragionando allo stesso modo con la :(A B) œ :(B|A) † :(A) (che si ottiene dalla 32.5.F1 scambiando A con B) si ottiene che (, ) Í (- ) , da cui infine (+) Í (, ) . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 285 Osservazione 32.6.3 Il teorema 32.6.2 evidenzia il fatto che l’aumentare della probabilità di un evento al verificarsi di un altro non può essere “automaticamente” interpretata come indicazione di causalità (si veda l’esempio 32.6.8 più avanti) . Esercizio 32.6.4 Consideriamo il seguente esperimento: scegliere a caso una famiglia italiana con tre figli. Sia A l’evento “ci sono figli di entrambi i sessi” e sia B l’evento “c’è al più una figlia femmina”. L’evento B favorisce od ostacola l’evento A ? Oppure i due eventi sono stocasticamente indipendenti? Si valuti 12 per ciascun figlio la probabilità che sia femmina. Esercizio 32.6.5 Per ciascuno dei seguenti esperimenti: scegliere a caso una famiglia italiana con due figli; scegliere a caso una famiglia italiana con quattro figli; Si definiscano gli eventi A e B come nell’esercizio 32.6.4 e si stabilisca se l’evento B favorisce, ostacola o è stocasticamente indipendente dall’evento A . Si valuti 12 per ciascun figlio la probabilità che sia femmina. Osservazione 32.6.6 Valutando la probabilità degli eventi col criterio frequentista, si può decidere sulla base di dati sperimentali se due eventi sono o non sono indipendenti; si possono così ad esempio ottenere informazioni sulle relazioni fra fenomeni di interesse clinico epidemiologico (fumo e tumori, colesterolo e infarto, centrali nucleari e tumori). Esempio 32.6.7 Le percentuali di sordi e daltonici su una certa popolazione risultano essere come segue: daltonici: 0,8% ; sordi: 0,05% ; daltonici sordi: 0,0004% . Accettando la frequenza relativa come stima di probabilità, possiamo affermare che (posto S ³ sordo e D ³ daltonico) : ( S) œ Poiché :(S) † :(D) œ indipendenti. 5 10.000 5†8 10( œ œ 5 10% 4 10' ; :(D) œ 8 1.000 œ 8 10$ ; : (S D) œ 4 1.000.000 œ 4 10' . œ :(S D) , possiamo abdurre che sordità e daltonismo sono patologie Esempio 32.6.8 Le percentuali di fumatori e di malati di cancro su una certa popolazione risultano essere come segue: fumatori: 55% ; malati di cancro: 47% ; fumatori malati di cancro: 38% . Accettando la frequenza relativa come stima di probabilità, possiamo affermare che (posto F ³ fumatore e 55 47 38 M ³ malato di cancro) :(F) œ 100 ; :(M) œ 100 ; :(F M) œ 100 . 55†47 Poiché :(F) † :(M) œ 10.000 œ 2.585 10% : (F M) , possiamo abdurre che i due fenomeni non sono indipendenti. 38 38 38 In effetti, :(M|F) œ :(:M(F)F) œ 100 † 100 55 œ 55 100 œ : (M) . È, naturalmente, personale l’interpretazione di questo risultato: se si debba cioè ritenere che fumare provochi il cancro oppure che viceversa essere malati di cancro induca l’abitudine a fumare. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 286 Esempio 32.6.9 I tre esploratori Livingston, Stanley e Davidson erano stati catturati dai feroci M’Bangi che li avevano sorpresi nel loro territorio. Condannati a morte tutti e tre, erano riusciti a strappare la seguente concessione: il capo M’Bangi avrebbe scritto su quattro pelli rozzamente conciate le lettere L, S, D e J; poi lo stregone della tribù avrebbe estratto a sorte una delle quattro pelli. La pelle contrassegnata con “L” avrebbe dato la salvezza a Livingston, quella con “S” a Stanley, quella con “D” a Davidson, quella con “J” a tutti e tre. Consideriamo i seguenti eventi: L ³ <Livingston si salva> ; S ³ <Stanley si salva> ; D ³ <Davidson si salva> . Essi sono a due a due indipendenti. Verifichiamo ad esempio che :(L S) œ :(L) † : (S) . Possiamo descrivere l’esperimento di estrazione a sorte della pelle mediante i quattro risultati equiprobabili BL ³ <viene estratta la pelle contrassegnata con la lettera “L”> ; BS ³ <viene estratta la pelle contrassegnata con la lettera “S”> ; BD ³ <viene estratta la pelle contrassegnata con la lettera “D”> ; BJ ³ <viene estratta la pelle contrassegnata con la lettera “J”> . Ciascuno dei corrispondenti eventi elementari ha probabilità 14 . Inoltre L œ {BL , BJ } ; S œ {BS , BJ } ; L S œ {BJ } :(L) œ e cosicché 1 2 ; : ( L S) œ :(S) œ 1 2 ; :(L S) œ 1 4 † 1 2 œ :(L) † :(S) . œ 1 2 1 4 Dunque gli eventi L , S e D sono a due a due indipendenti. Si noti però che :(L S D) œ :({B" }) œ 41 Á 18 œ :(L) † :(S) † :(D) . 32.7 - Il teorema di Bayes. Sia H un insieme non vuoto e sia : una misura di probabilità su H ; siano A , B − W(:) eventi con probabilità non nulla. Abbiamo visto (teorema 32.6.2) che B favorisce A se e soltanto se A favorisce B . In effetti, l’influenza di B su A (intesa come ::((AA|B) ) ) è proprio uguale all’influenza di A su B (intesa come ::(B(B|A) ) ) : Teorema 32.7.1 Sia H un insieme non vuoto e sia : una misura di probabilità su H ; siano A , B − W(:) eventi con probabilità non nulla. Allora :(A|B) :(B|A) :(A) œ :(B) Dimostrazione - Per la 32.5.F1 si ha che :(A B) œ :(A|B) † :(B) ma anche (scambiando A con B) che :(A B) œ :(B|A) † :(A) . Dunque :(A|B) † :(B) œ :(B|A) † :(A) da cui (dividendo ambo i membri per :(A) † :(B) , che per ipotesi è diverso da zero) l’asserto. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 287 Il teorema 32.7.1 consente di calcolare :(A|B) conoscendo :(A) , :(B) e :(B|A) . Spesso la probabilità :(B) dell’evento condizionante non è nota; se però conosciamo oltre a :(A) e :(B|A) anche :(AC ) e :(B|AC ) , possiamo calcolare :(B) . Più in generale: Teorema 32.7.2 Sia H un insieme non vuoto, e sia : una misura di probabilità su H. Siano A" , A# , á , A8 , B − W(:) eventi con probabilità non nulla tali che ÖA" , A# ,á , A8 × sia una partizione di H (cfr. 3.7) . Allora :(B) œ ! :(A3 ):(B|A3 ) . 8 3œ" Dimostrazione - Applicando la 32.5.F1 alla probabilità di B condizionata a ciascun A3 , si ottiene che :(A3 B) œ :(A3 ):(B|A3 ) e dunque, sommando membro a membro per 3 ³ 1, 2, á , 8 , ! :(A3 B) œ ! :(A3 ):(B|A3 ) . (æ) 8 8 3œ" 3œ" Valutiamo il primo membro: poiché gli A3 B sono a due a due disgiunti (essendo tali gli A3 ), per la (, ) del teorema 32.3.1 si ha che 8 8 8 ! :(A3 B) œ : Œ (A3 B) œ :( Œ A3 B) œ :(H B) œ :(B) 3 œ " 3 œ " 3œ" come si voleva. Dai teoremi 32.7.1 e 32.7.2 si ottiene immediatamente il Teorema 32.7.3 (di Bayes) Sia H un insieme non vuoto, e sia : una misura di probabilità su H. Siano A" , A# , á , A8 , B − W(:) eventi con probabilità non nulla tali che ÖA" , A# ,á , A8 × sia una partizione di H (cfr. 3.7) . Allora :(A3 |B) œ :(A3 ):(B|A3 ) ! :(A3 ):(B|A3 ) per 3 ³ 1, 2, á , 8 . 8 3œ" Dimostrazione - Dal teorema 32.7.1 si ricava che :(A3 |B) œ :(A3 ):(B|A3 ) :(B) per 3 ³ 1, 2, á , 8 . Sostituendo il valore di :(B) espresso dal teorema 32.7.2 si ha l’asserto. Esempio 32.7.4 Abbiamo quattro scatole S" , S# , S$ , S% come segue: la scatola S" contiene: 7 palline bianche e 3 palline nere; la scatola S# contiene: 8 palline bianche e 7 palline nere; la scatola S$ contiene: 1 pallina bianca e 5 palline nere; la scatola S% contiene: 5 palline bianche e 7 palline nere. Viene scelta caso una scatola e ne è estratta a caso una pallina. Se la pallina è bianca, qual è la probabilità che sia stata scelta la prima scatola? Sia A3 l’evento “è stata estratta una pallina dalla scatola S3 ”; per ipotesi, gli eventi A3 hanno tutti la stessa probabilità (abbiamo detto: <viene scelta a caso una scatola...>) e dunque :(A3 ) œ 14 per 3 ³ 1, 2, 3, 4. L’evento condizionante B è “è stata estratta una pallina bianca”. Per il teorema 32.7.1 , :(A" |B) œ :(A" )†:(B|A" ) :(B) . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 288 Notiamo che non è facile calcolare :(B) ; mentre è immediato valutare :(B|A3 ) : si ha 7 8 :(B|A" ) œ 10 ; :(B|A# ) œ 15 ; :(B|A$ ) œ 16 ; :(B|A% ) œ Per il teorema 32.7.2, si ha :(B) œ ! :(A3 ):(B|A3 ) œ % 3œ" 1 4 7 10 † 1 4 † 8 15 1 4 † 1 6 1 4 † 5 12 œ 5 12 . 109 240 e dunque :(A" |B) œ 1 4 7 † 10 109 240 42 109 œ ¸ 0,385 . Esempio 32.7.5 La produzione di wafer della Brutopia è affidata a due fabbriche F" , F# . La F" copre il 60% della produzione nazionale, la F# solo il 40% ; si sa inoltre che i due diversi tipi di wafer sono così distribuiti: F" : 80% al cacao, 20% alla nocciola; F# : 60% al cacao, 40% alla nocciola. Ci viene offerto un wafer al cacao prodotto in Brutopia. Qual è la probabilità che sia stato prodotto nella fabbrica F" ? 60 40 Sia A3 l’evento “ci viene offerto un wafer prodotto in F3 ”; per ipotesi, :(A" ) œ 100 œ 35 e :(A# ) œ 100 œ 25 . L’evento condizionante B è “ci viene offerto un wafer al cacao” . Per il teorema 32.7.1 , :(A" |B) œ :(A" )†:(B|A" ) :(B) . Notiamo che non è facile calcolare :(B) ; mentre è immediato valutare :(B|A" ) e :(B|A# ) : si ha :(B|A" ) œ 54 ; :(B|A# ) œ 35 . Per il teorema 32.7.2, si ha :(B) œ :(A" ):(B|A" ) :(A# ):(B|A# ) œ 35 † 45 25 † 35 œ 18 25 e dunque :(A" |B) œ 3 5 † 18 25 4 5 œ 2 3 . Esercizio 32.7.6 Sono date due monete: una non è truccata, l’altra ha due “Testa” . Prendiamo a caso una moneta e la lanciamo due volte; entrambe le volte viene “Testa”. Qual è la probabilità che la moneta sia quella truccata? Esercizio 32.7.7 Sappiamo che in una partita di cento dadi ce n’è uno truccato, che presenta il “sei” su due o più facce (ma ignoriamo su quante). Scegliamo a caso un dado fra quei cento e lo lanciamo tre volte; esce tre volte “sei”. Qual è la probabilità che sia il dado truccato? Qual è la probabilità che il dado abbia il “sei” su due facce? E su tutte le facce? Osservazione 32.7.8 Le situazioni in cui trova applicazione il teorema 32.7.2 possono essere visualizzate con un “diagramma ad albero” (come si è già visto nell’Osservazione 32.5.13). La probabilità dell’evento B si ottiene come somma delle probabilità calcolate (con la “regola del prodotto”, cioè con la 32.5.F1) lungo tutti i “cammini” che terminano in B (più correttamente: che terminano nei vari A3 B) . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 289 Esempio 32.7.9 Da un’urna contenente i numeri 1, 2, 3, 4 se ne estraggono successivamente due. Qual è la probabilità che la somma dei due numeri estratti sia pari? I vari “cammini” che terminano con “( Ê pari)” forniscono le probabilità che dobbiamo sommare per ottenere il risultato desiderato. La probabilità cercata è dunque 1 1 1 1 1 1 1 1 1 4 † 3 4 † 3 4 † 3 4 † 3 œ 3 . 32.8 - Variabili aleatorie. Abbiamo finora scelto di descrivere gli effetti di un “esperimento” mediante un insieme di “risultati” i cui sottoinsiemi rappresentano gli “eventi”. Molto spesso ci fa comodo associare un numero a ciascun risultato; ciò consente di evidenziare certi eventi particolarmente significativi per il nostro modo di considerare l’esperimento. Esempio 32.8.1 Esperimento: lancio di due dadi. Spazio dei risultati: H ³ Ö (1, 1), (1, 2), (1, 3), á , (6, 4), (6, 5), (6, 6)× . A ciascun risultato possiamo associare la somma dei punti espressi dai dadi (questo, in molti casi, è l’unico dato significativo). Esempio 32.8.2 Stesso esperimento, stesso spazio dei risultati dell’esempio 32.8.1 . Questa volta però stiamo giocando a “Monòpoli” e siamo “finiti in prigione”: il nostro interesse è ottenere “numeri doppi” per poter uscire di prigione. Associeremo ai risultati (1, 1), (2, 2), (3, 3), (4, 4), (5, 5) e (6, 6) il numero 1 (per dire: successo!) e a tutti gli altri risultati il numero 0 (per dire: insuccesso!). Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 290 Se all’esperimento che stiamo considerando è collegata una scommessa, ci può interessare associare a ogni risultato un numero che quantifichi il guadagno (o la perdita) stabilito per il verificarsi di tale risultato. Esempio 32.8.3 Esperimento: lancio di un dado; spazio dei risultati H ³ Ö1, 2, 3, 4, 5, 6×. Scommessa associata: se viene “1”, vinco 1 Euro; se viene “2”, vinco 2 Euro; se viene “3”, vinco 3 Euro; se viene “4”, vinco 4 Euro; se viene “5”, perdo 5 Euro; se viene “6”, perdo 6 Euro. Associeremo al risultato “1” il numero 1; al risultato “2” il numero 2; al risultato “3” il numero 3; al risultato “4” il numero 4; al risultato “5” il numero 5; al risultato “6” il numero 6 . Sia H un insieme non vuoto, e sia : una misura di probabilità su H . Si dice variabile aleatoria su H ogni applicazione X: H Ä ‘ tale che la retroimmagine di ogni intervallo appartenga a WÐ:Ñ . La scelta di una variabile aleatoria determina un “certo modo” di guardare ai possibili risultati del fenomeno che studiamo; assumono quindi particolare significato quegli eventi che sono formati da tutti e soli i risultati a cui la variabile aleatoria associa uno stesso valore. Sia H un insieme non vuoto, sia : una misura di probabilità su H e sia X una variabile aleatoria su H . Per ogni B! − ‘ , si pone EB! ³ Ö= − H / X(=) œ B! × . Poiché X è una variabile aleatoria, EB! − WÐ:Ñ per ogni B! − ‘ . Inoltre, gli EB! non vuoti costituiscono una partizione di H ; si potrebbe scegliere come spazio dei risultati l’insieme degli EB! non vuoti, o addirittura l’insieme dei numeri reali B! per i quali EB! Á g . La probabilità :(EB! ) dell’insieme EB! si indica di solito con la notazione : (X œ B! ) . e Per ogni B! , B" , B# − ‘ , si considerano anche gli insiemi Ö = − H / X ( =) Ÿ B ! × la cui probabilità si indica con la notazione : (X Ÿ B! ) Ö= − H / B" Ÿ X(=) Ÿ B# × la cui probabilità si indica con la notazione : (B" Ÿ X Ÿ B# ) . Si dice funzione di ripartizione della variabile aleatoria X la funzione ‘ Ä Ò0, 1Ó che associa a ogni numero reale B la probabilità :(X Ÿ B) . Osservazione 32.8.4 Se la variabile aleatoria X assume soltanto un numero finito di valori B" , B# , á , B= oppure un’infinità numerabile di valori B" , B# , á , B8 , á , il valore della funzione di ripartizione di X resta completamente determinato dalle probabilità :(X œ B3 ) . Vediamo come si può rappresentare la situazione negli esempi considerati in precedenza. Esempio 32.8.1 Possiamo tabulare come segue le probabilità degli eventi EB! : B! : (X œ B ! ) 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 " $' " ") " "# " * & $' " ' & $' " * " "# " ") " $' Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 291 Possiamo anche disegnare un istogramma nel quale l’area della colonna corrispondente a ciascun valore B! (66) di X è la probabilità :(X œ B! ) , mentre la funzione di ripartizione si può calcolare in B! misurando l’area complessiva delle colonne “fino a B! incluso”. Esempio 32.8.2 Possiamo tabulare come segue le probabilità degli eventi EB! : B! : (X œ B ! ) 0 1 & ' " ' Possiamo anche disegnare un istogramma con le stesse convenzioni adottate per l’esempio 32.8.1 . Esempio 32.8.3 Possiamo tabulare come segue le probabilità degli eventi EB! : B! : (X œ B ! ) 1 2 3 4 -5 -6 " ' " ' " ' " ' " ' " ' Possiamo anche disegnare un istogramma con le stesse convenzioni adottate per gli esempi 32.8.1 e 32.8.2 . 66 in questo caso B! assume tutti i valori interi da 2 a 12 . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 292 32.9 - Speranza matematica. Siano dati un esperimento, uno spazio dei risultati H relativo ad esso, una misura di probabilità : su H e una variabile aleatoria X su H . Se ripetiamo 8 volte l’esperimento dato, la media dei valori che otteniamo per X è 7=! = 3œ" @ 3 B3 8 dove @3 è il numero delle volte che si è verificato l’evento EB3 ³ Ö= − H / X(=) œ B3 ×. In altri termini, 7=! = 3œ" @3 8 B3 @3 8 dove è la frequenza relativa dell’evento EB3 (cfr. 32.3) . Se vogliamo una stima “a priori” di tale media, possiamo sostituire alla frequenza relativa di EB3 la probabilità :(X œ B3 ) . Si giunge così alla seguente definizione: Se X assume soltanto un numero finito di valori B" , B# , á , B= , si dice valore medio o speranza matematica della variabile aleatoria X il numero . X ³ : (X œ B " ) † B " : (X œ B # ) † B # á : (X œ B = ) † B = œ ! : (X œ B 3 ) † B 3 . = 3œ" Questa definizione può essere estesa al caso in cui X assume un’infinità numerabile di valori B" , B# , 8 ! : (X œ B 3 ) † B 3 á , B8 , á , ponendo .X ³ lim 8 Ä _ 3œ" ma solo se esiste ed è finito il 8 ! :(X œ B3 ) † kB3 k . lim 8 Ä _ 3œ" Tale condizione garantisce che il valore medio non dipenda dall’ordine con cui si considerano gli B3 . Vediamo ora il valore medio della variabile aleatoria negli esempi visti in 32.8. Esempio 32.9.1 Il valore medio della variabile aleatoria considerata nell’esempio 32.8.1 è .X ³ 5 36 1 36 †2 †8 1 9 1 18 †3 †9 1 12 1 12 †4 † 10 1 18 1 9 †5 † 11 5 36 1 36 †6 † 12 œ 1 6 †7 252 36 œ7 quindi (effettuando un “alto” numero di lanci) ci si può aspettare di avanzare “in media” di 7 caselle per ogni lancio dei dadi. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 293 Esempio 32.9.2 Il valore medio della variabile aleatoria considerata nell’esempio 32.8.2 è .X ³ 1 6 †1 5 6 †0œ 1 6 quindi (effettuando un “alto” numero di lanci) ci si può aspettare “in media” <un sesto di successo> per ogni lancio dei dadi. Naturalmente, <un sesto di successo> non ha senso; intuitivamente, si potrebbe pensare che ciò equivalga a dire: otterremo “in media” un successo ogni sei lanci di dadi. Si veda l’esempio 32.13.3. Esempio 32.9.3 Il valore medio della variabile aleatoria considerata nell’esempio 32.8.3 è .X ³ 1 6 1 6 †1 †2 1 6 †3 1 6 1 6 †4 † ( 5) 1 6 † ( 6) œ 1 6 œ 0,1(6) quindi (effettuando un “alto” numero di lanci) ci si può aspettare di perdere poco più di 0,166 Euro (circa Lit 300) a lancio. Teorema 32.9.4 Siano H un insieme non vuoto, : una misura di probabilità su H e X una variabile aleatoria su H . Sia .X il valore medio di X . Siano + , , numeri reali con , Á 0 . Posto Y (= ) ³ + X (= ) , a = − H Y è una variabile aleatoria su H con valore medio +.X , . Dimostrazione - Dimostriamo il teorema nel caso particolare in cui X assume un numero finito di valori B" , B# , á , B= (e quindi Y assume i valori +B" , , +B# , , á , +B= , ) . Si ha :(Y œ +B3 , ) œ :(X œ B3 ) ; il valore medio di Y è dunque ! :(Y œ +B3 , ) † (+B3 , ) œ ! :(X œ B3 ) † (+B3 , ) œ = = 3œ" 3œ" œ ! :(X œ B3 ) † +B3 ! :(X œ B3 ) † , œ + † Œ ! : (X œ B3 ) † B3 , † Œ !: (X œ B3 ) œ + .X , . 3œ" 3œ" 3œ" 3œ" ðóóóóóóóóñóóóóóóóóò ðóóóóóóñóóóóóóò œ .X œ1 = = = = Una variabile aleatoria si dice centrata se il suo valore medio è zero. Abbiamo visto (esempio 32.8.3) come una variabile aleatoria può quantificare l’esito di una scommessa. Intuitivamente, una scommessa è equa se la corrispondente variabile aleatoria è centrata: infatti in tal caso (“a lungo andare”) non si vince né si perde, in media, niente. Corollario 32.9.5 Siano H un insieme non vuoto, : una misura di probabilità su H e X una variabile aleatoria su H . Sia .X il valore medio di X . Posto Y (= ) ³ X (= ) . X a = − H Y è una variabile aleatoria centrata su H . Dimostrazione - Si applichi il teorema 32.9.4 con + ³ 1 e , ³ .X . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 294 32.10 - Varianza e deviazione standard. Siano dati un esperimento, uno spazio dei risultati H relativo ad esso ed una misura di probabilità : su H. Ad ogni variabile aleatoria X su H con valore medio .X , possiamo associare un’altra variabile aleatoria (X .X )# detta deviazione quadratica di X : ad ogni risultato = − H , la deviazione quadratica associa il quadrato dello “scostamento dal valore medio” di X(=) . Sia X una variabile aleatoria su H . Il valore medio della deviazione quadratica di X si indica con Var(X) e si dice varianza di X ; la radice quadrata della varianza di X si indica con 5X e si dice deviazione standard (o scarto quadratico medio) di X . Dunque, se X assume soltanto i valori B" , B# , á , B= : Var(X) ³ ! :(X œ B3 ) † (B3 .X )# ; = 3œ" 5\ ³ Ë ! :(X œ B3 ) † (B3 .X )# . = 3œ" Osservazione 32.10.1 Per valutare di quanto una variabile aleatoria si discosta dal proprio valore medio, potremmo pensare di associare ad ogni evento EB lo “scostamento dalla media” (il termine tecnico è “deviazione”) B3 B, e calcolare poi la media di tali scostamenti; ma ciò equivarrebbe a considerare il valore medio della variabile aleatoria X .X , che (teorema 32.9.5) è sempre zero! Infatti gli scostamenti in più e in meno dalla media, se presi col loro segno, si compensano. Bisogna dunque considerare gli scostamenti dalla media indipendentemente dal segno; potremmo scegliere la cosiddetta “deviazione assoluta” kB3 .X k ma di fatto si preferisce considerare la deviazione quadratica (B3 .X )# . Nelle applicazioni alla realtà fisica, molto spesso i numeri che una variabile aleatoria associa ai risultati dell’esperimento esprimono la misura di qualche grandezza (l’altezza delle persone in un campione di popolazione; l’energia sviluppata in una interazione fra particelle; ecc. ecc.) e quindi tali numeri sono riferiti a una unità di misura (l’altezza ad esempio si può misurare in metri, centimetri, piedi, pollici, ecc. ecc.). Anche il valore medio è riferito alla stessa unità di misura. Nel calcolo della deviazione quadratica e della varianza si introduce però un elevamento al quadrato; considerando anziché la varianza la deviazione standard possiamo continuare a riferirci alla stessa unità di misura. Vediamo ora la varianza e la deviazione standard della variabile aleatoria negli esempi visti in 32.8. Esempio 32.10.2 Abbiamo visto nell’esempio 32.9.1 che il valore medio della variabile aleatoria X considerata nell’esempio 32.8.1 è .X œ 7. Si ha dunque Var(X) ³ 1 6 1 36 † (7 7)# † (7 2)# 5 36 † (7 8)# œ e 1 18 1 9 † (7 3)# † (7 9)# 1 12 1 12 † (7 4)# † (7 10)# 2532271650516273225 36 5\ ³ É 35 6 1 9 œ ¸ 2,415 . 210 36 † (7 5)# 1 18 5 36 † (7 11)# œ 35 6 . † (7 6)# 1 36 † (7 12)# œ Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 295 Esempio 32.10.3 Abbiamo visto nell’esempio 32.9.2 che il valore medio della variabile aleatoria X considerata nell’esempio 32.8.2 è .X œ 16 . Si ha dunque Var(X) ³ 1 6 † (1 1 # 6 ) 5 6 5\ ³ É e † (0 5 36 œ 1 # 6 ) È5 6 œ 25 216 5 216 œ 30 216 œ 5 36 ¸ 0,373 . Esempio 32.10.4 Abbiamo visto nell’esempio 32.9.3 che il valore medio della variabile aleatoria X considerata nell’esempio 32.8.3 è .X œ 16 . Si ha dunque Var(X) ³ 1 6 1 6 † (4 œ † (1 1 # 6 ) 1 # 6 ) 1 6 1 6 1 6 † (2 †(5 1 # 6 ) 1 # 6 ) 1 6 1 6 545 36 œ È545 6 † (3 †(6 † ˆ 49169361366258411225 ‰ œ 5\ ³ É e 1 # 6 ) 1 # 6 ) œ 545 36 ¸ 3,89 . Teorema 32.10.5 Siano H un insieme non vuoto, : una misura di probabilità su H e X una variabile aleatoria su H . Siano + , , numeri reali con + Á 0 . Posto (come nel teorema 32.9.4) Y(=) ³ +X(=) , a= − H si ha Var(Y) œ +# † Var(X) e 5Y œ k+k † 5X . Dimostrazione - Sia .X il valore medio di X ; allora, per il teorema 32.9.4, il valore medio di Y è +.X , . Per definizione, Var(Y) è il valore medio di (Y (+.X , ))# œ (+X , +.X , )# œ (+ † (X .X ))# œ +# † (X .X )# e dunque, applicando ancora il teorema 32.9.4, Var(Y) œ +# † Var(X) . Dalla definizione di 5Y si ha infine che 5Y œ ÈVar(Y) œ È+# † Var(X) œ È+# † ÈVar(X) œ k+k † 5X . Sia X una variabile aleatoria con valore medio .X e deviazione standard 5X non nulla. Si dice variabile X aleatoria standardizzata associata a X la X. 5X . Teorema 32.10.6 Sia X una variabile aleatoria con deviazione standard non nulla. La variabile aleatoria standardizzata associata a X ha valore medio 0 e deviazione standard 1 . Dimostrazione - Si applichino i teoremi 32.9.5 e 32.10.5 . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 296 32.11 - La disuguaglianza di Chebyshev. Il valore medio .X di una variabile aleatoria è in un certo senso il “centro” attorno al quale vengono a cadere i valori assunti dalla variabile aleatoria stessa; ci si aspetta che, ripetendo l’esperimento, solo “poche” volte X assuma valori “molto distanti” da .X . Sperimentalmente, si trova che i valori assunti dalla variabile aleatoria non differiscono “mai” dal valor medio per più di tre deviazioni standard . Una stima (molto più cauta) della situazione è espressa dal Teorema 32.11.1 (“disuguaglianza di Chebyshev”) Siano H un insieme non vuoto, : una misura di probabilità su H e X una variabile aleatoria su H con valore medio .X e deviazione standard 5 . Sia 2 un numero reale positivo. E*2 ³ Ö= − H / kX(=) .X k 25 × œ Posto si ha :(E*2 ) 1 2# . Ciò si esprime anche scrivendo :(kX .X k 25 ) 1 2# EB , kB .k 25 . Dimostrazione - Omettiamo la dimostrazione di questo teorema. Osservazione 32.11.2 La probabilità che la variabile aleatoria differisca dal valore medio per più di tre deviazioni standard si può stimare mediante la disuguaglianza di Chebyshev ponendo 2 ³ 3 . Si ottiene :(kX .X k 35 ) 19 . Come si è già osservato, questa stima è fin troppo cauta. Esempio 32.11.3 Applichiamo la disuguaglianza di Chebyshev con 2 ³ 2 alla variabile aleatoria X considerata nell’esempio 32.8.1 . Abbiamo visto che .X œ 7 (esempio 32.9.1) e 5X ¸ 2,415 (esempio 32.10.2) . Per il teorema di Chebyshev si ha :(E*2 ) 41 . * In realtà, essendo E2 œ E# E$ E"" E"# (con gli E3 , come sappiamo, a due a due disgiunti), si ha 6 :(E*2 ) œ :(E# ) :(E$ ) :(E"" ) :(E"# ) œ 36 œ 16 . 32.12 - Esperimenti binomiali. Un esperimento si dice di Bernoulli se lo descriviamo mediante uno spazio dei risultati che ha esattamente due elementi (67) ; tali due risultati vengono convenzionalmente indicati come “successo” e “insuccesso” . 67 In sostanza, un esperimento è di Bernoulli quando nel descriverne i possibili risultati ci interessa soltanto se una certa situazione si verifica oppure no. Non è dunque l' esperimento in sé che merita un nome particolare, ma il nostro modo di esaminarne i risultati. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 297 Esempi 32.12.1 32.12.2 32.12.3 32.12.4 32.12.5 32.12.6 32.12.7 (3) (33) (333) Lancio di una moneta. Lancio di una moneta truccata (tappo di barattolo; puntina da disegno). Lancio di un dado (successo ³ “esce un numero pari”) . Lancio di un dado (successo ³ “esce 3”) . Lancio di due dadi (successo ³ “escono numeri doppi”) . Lancio di una freccetta contro un bersaglio (successo ³ “si colpisce il settore centrale”) . Estrazione del lotto sulla ruota di Napoli (successo ³ “è uscito il terno che ho giocato”) . Sia U un esperimento di Bernoulli. Un esperimento X si dice esperimento binomiale (associato a U ) se: X consiste nel ripetere più volte U ; ogni ripetizione di U si dice un tentativo; la probabilità di successo non varia al variare dei tentativi; gli eventi <al 4 simo tentativo si verifica un successo> sono a due a due indipendenti al variare di 4 . Sia U un esperimento di Bernoulli, e sia H lo spazio dei risultati associato. Sia 8 un numero intero positivo. All’esperimento binomiale X8 consistente nel ripetere 8 volte U si può associare come spazio dei risultati il prodotto cartesiano H ‚ H ‚ á ‚ H œ H8 . ðóóóóóóñóóóóóóò 8 volte Sia X : H8 Ä Ö0, 1, á , 8× l’applicazione che associa a ogni 8 pla ordinata di elementi di H il numero dei successi che vi compaiono. Questa X è una variabile aleatoria, detta numero dei successi (su 8 tentativi). Teorema 32.12.8 Sia U un esperimento di Bernoulli, con probabilità di successo + e probabilità di insuccesso , (cosicché , œ 1 +). Sia X8 l’esperimento binomiale che consiste nel ripetere 8 volte U , e sia X la variabile aleatoria “numero dei successi” ad esso associata. Per 5 ³ 0, 1, á , 8 , si ha :(X œ 5 ) œ ˆ 85 ‰ +5 , 85 . Inoltre, il valore medio di X è 8+ e si ha Var(X) œ 8+, , 5X œ È8+, . Dimostrazione - Calcoliamo :(X œ 5 ) per 5 ³ 0, 1, á , 8 . Tale probabilità è la somma delle probabilità dei diversi eventi elementari nei quali si verificano 5 successi; tali eventi elementari (cioè 8 ple ordinate di elementi di H ) sono in numero di ˆ 85 ‰ perché corrispondono ai diversi modi di scegliere 5 indici tra 1 e 8 ; inoltre, la probabilità di ciascuno di essi è +5 , 85 (poiché le probabilità di successo e insuccesso non variano al ripetersi di U , e gli esiti dei tentativi ripetuti sono eventi indipendenti). Dunque :(X œ 5 ) œ ˆ 85 ‰ +5 , 85 come si voleva dimostrare. Notiamo che 8 8 ! :(X œ 5 ) œ ! ˆ 8 ‰ +5 , 85 œ (+ , )8 œ 18 œ 1 3œ" 3œ" come ci si aspettava. Calcoliamo ora il valor medio di X : 5 .X ³ ! :(X œ 5 ) † 5 œ ! 5 † ˆ 85 ‰ +5 , 85 œ œ ! 5 † ˆ 85 ‰ + , 8 5œ" 8 8 5œ! 5œ! 8 5 85 Teorema 13.4.5 (- ) ! œ 5œ" 1 ‰ 5 85 1 ‰ 5" 85 8 † ˆ 8 œ 8+ ! ˆ 8 , œ 51 + , 51 + 8 5œ" 3 ³œ 5 " 8+ ! ˆ 81 ‰ +3 , Ð8"Ñ3 œ 8+(+ , )8" œ 8+ † 18" œ 8+ 3 8" 3œ! Dunque ci aspettiamo “in media” (68) 8+ successi eseguendo 8 esperimenti di Bernoulli. 68 la media è riferita a più ripetizioni dell' esperimento binomiale X8 Þ Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 298 Calcoliamo ora la varianza di X : Var(X) ³ ! :(X œ 5 ) † (5 .X )# œ ! :(X œ 5 ) † (5 8+)# œ ! : (X œ 5 ) † (8# +# 28+5 5 # ) œ 8 8 5œ! 8 5œ! 5œ! œ 8# +# ! :(X œ 5 ) 28+ ! :(X œ 5 ) † 5 ! :(X œ 5 ) † 5 # œ 8 5œ! 8 8 5œ! 5œ! œ 8# +# † 1 28+.X ! :(X œ 5 ) † 5 # œ 8# +# 28# +# ! : (X œ 5 ) † 5 # . 8 8 5œ! 5œ! ! :(X œ 5 ) † 5 # œ ! 5 # ˆ 8 ‰ +5 , 85 œ 5 Si ha 8 8 5œ! 5œ! œ ! 5 # ˆ 85 ‰ +5 , 85 8 Teorema 13.4.5 (- ) œ 5œ" œ 8+ ! 5 8 5œ" 1‰ ˆ 8 51 + 5" 85 , ! 58 ˆ 81 ‰ +5 , 85 œ 51 8 5œ" Ò3 ³ 5 "Ó Ò7 ³ 8 "Ó œ 8+ ! (3 1) ˆ 73 ‰ +3 , 73 œ 7 3œ! œ 8+ Œ ! 3 ˆ 73 ‰ +3 , 73 ! ˆ 73 ‰ +3 , 73 œ 8+ a7+ (+ , )7 b œ 8+ a(8 1)+ 17 b œ 7 7 3œ! 3œ! œ 8+(8+ + 1) œ 8+(8+ , ) œ 8# +# 8+, cosicché infine si è trovato che Var(X) œ 8# +# 28# +# ! :(X œ 5 ) † 5 # œ 8# +# 28# +# 8# +# 8+, œ 8+, 8 5œ! e quindi possiamo infine calcolare la deviazione standard 5X ³ ÈVar(X) œ È8+, . Osservazione 32.12.9 Possiamo tabulare come segue le probabilità :(X œ 5 ) : 5 : (X œ 5 ) 0 ,8 1 8+, 8" 2 ˆ 8# ‰+# , 8# á á 81 8+, 8" 8 ,8 Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 299 Possiamo anche disegnare un istogramma nel quale l’area della colonna corrispondente a ciascun valore 5 (69) di X è la probabilità :(X œ 5 ) , mentre la funzione di ripartizione si può calcolare in 5 misurando l’area complessiva delle colonne “fino a 5 incluso”. Si tenga presente che valori diversi di +, , e 8 danno naturalmente luogo a istogrammi diversi. Osservazione 32.12.10 Sia X8 l’esperimento binomiale che consiste nel ripetere 8 volte un fissato esperimento di Bernoulli U , e sia X la variabile aleatoria “numero dei successi” ad esso associata. Raddoppiando 8 raddoppia il valor medio di X (e raddoppia la varianza di X) ma la deviazione standard viene moltiplicata per È2 (e È2 è sensibilmente più piccolo di 2). Passando da 8 a 1008 ripetizioni dell’esperimento di Bernoulli, il valor medio di X è moltiplicato per 100 ma la deviazione standard (che misura il margine di variazione rispetto alla media) viene moltiplicato solo per 10 : il margine percentuale di errore, quindi, diminuisce! Esempio 32.12.11 Esperimento: lancio di un dado. Successo: Esce un quadrato perfetto (cioè 1 oppure 4). Probabilità di successo: + œ 13 ; probabilità di insuccesso: , œ 1 + œ 23 . Su 300 lanci: valor medio 100; deviazione standard É 2†300 9 œ È 66,6 ¶ 8,16 . Il numero di successi sarà quasi scarto 25 certamente compreso tra 75 e 125 (tre deviazioni standard attorno al valore medio); il rapporto successi è 100 , ossia il 25% di margine in più o meno. Su 30.000 lanci: valor medio 10.000; deviazione standard É 2†30.000 œ È6666 ¶ 81,6 . Il numero di successi 9 sarà quasi certamente compreso tra 9.750 e 10.250 (tre deviazioni standard attorno al valore medio); il rapporto scarto 250 25 successi è 10.000 œ 1.000 , ossia il 2,5% di margine in più o meno. Esempio 32.12.12 Sappiamo che in un certo libro di 500 pagine ci sono 300 errori “distribuiti casualmente”. Qual è la probabilità che a pag. 37 ci siano esattamente 3 errori? Possiamo ragionare così: l’ipotesi che la distribuzione degli errori sia casuale esprime il fatto che per ciascun errore ogni pagina ha uguale probabilità che vi compaia. Dunque: per 1 ogni errore, la probabilità che esso sia a pag. 37 (“successo”) è 500 ; la probabilità che esso sia in una qualsiasi 499 altra pagina (“insuccesso”) è , œ 1 + œ 500 . Ogni errore è un esperimento di Bernoulli; l’insieme dei 300 errori è un esperimento binomiale costituito da 300 esperimenti di Bernoulli (8 œ 300). La probabilità che a pag. 1 499%*( ˆ 83 ‰ +$ , 8$ œ ˆ 300 ‰ 500 37 ci siano esattamente 3 errori è dunque $ † 500%*( . 3 Si noti che non è immediato calcolare questo numero! 69 in questo caso 5 assume tutti i valori interi da 0 a 8 . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 300 32.13 - Fino a raggiungere il successo. Consideriamo l’esperimento X che consiste nel ripetere un dato esperimento di Bernoulli U finché non si ottiene un successo. Possiamo scegliere ™ come spazio dei risultati: la variabile aleatoria che si considera in questo caso (detta tempo di attesa) è l’identità su ™ (essa associa 8 al risultato di un esperimento che ha richiesto 8 ripetizioni di U per ottenere un successo) . Teorema 32.13.1 Sia U un esperimento di Bernoulli con probabilità di successo + e probabilità di insuccesso , (cosicché , œ 1 +). Sia X l’esperimento che consiste nel ripetere U finché non si ottiene un successo, e sia X la variabile aleatoria “tempo di attesa” ad esso associata. Si ha :(X œ 5 ) œ +, 5" a5 − ™ e il valore medio di X è +1 . Dimostrazione - L’unico risultato di X al quale X associa il valore 5 è quello per il quale nelle prime 5 1 ripetizioni di U si ha un insuccesso e nella 5 sima ripetizione di U si ha un successo . Poiché i risultati nelle ripetizioni di U sono indipendenti, la probabilità di quanto sopra è +, 5" , come si voleva. Omettiamo il calcolo del valore medio di X . Osservazione 32.13.2 Nella situazione vista sopra, le :(X œ 3) formano una successione geometrica con termine iniziale + e ragione , . Esempio 32.13.3 Giocando a “Monopoli”, per “uscire di prigione” bisogna fare “numeri doppi”. Quanti turni ci si deve aspettare di rimanere, in media, in “prigione”? L’esperimento di Bernoulli qui considerato è quello visto all’esempio 32.12.5, con “successo” ³ “numeri doppi” . La probabilità + di successo è 16 (perché?) e il valore medio della variabile aleatoria “tempo di attesa” è +1 cioè 6 . Ci si deve dunque aspettare di rimanere “in prigione”, in media, 6 turni. Esempio 32.13.4 Al “Gioco delle Carriere”, si resta alla “Panchina al Parco” finché tirando i dadi non si realizza 7, 11 o “numeri doppi”. Quanti turni ci si deve aspettare di rimanere, in media, alla “Panchina al Parco”? L’esperimento di Bernoulli qui considerato consiste nel lancio di due dadi, con “successo” ³ “7, 11 o numeri 7 doppi” . La probabilità + di successo è 18 (perché?) e il valore medio della variabile aleatoria “tempo di attesa” è 1 18 cioè . Ci si deve dunque aspettare di rimanere alla “Panchina al Parco”, in media, poco più di 2 turni e + 7 mezzo. Esercizio 32.13.5 Al “Gioco delle Carriere”, si resta all’“Ospedale” finché tirando (entrambi) i dadi non si realizza 5 o meno di 5 . Quanti turni ci si deve aspettare di rimanere, in media, all’“Ospedale”? Esercizio [*] 32.13.6 Nel gioco “La grande abbuffata” di Alex Randolph, si avanza con la pedina su un percorso di ventuno caselle tirando i dadi con la seguente regola. Si lancia un dado e si osserva il punteggio B" ottenuto; si può scegliere se avanzare di B" caselle oppure lanciare un altro dado; in quest’ultimo caso, detto B# il punteggio ottenuto col secondo dado, se B" B# 7 si torna alla partenza, se invece B" B# Ÿ 7 si avanza di 2 † (B" B# ) caselle. Stabilire una strategia per decidere (in funzione di B" e della casella su cui ci si trova) se conviene lanciare il secondo dado. Suggerimento: si valuti in funzione di B" e della casella su cui ci si trova la speranza matematica di avanzamento quando non si tira il secondo dado e quando invece lo si tira. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 301 32.14 - Variabili aleatorie con immagine non numerabile. Siano H un insieme non vuoto, : una misura di probabilità su H e X una variabile aleatoria su H . Se X assume un’infinità non numerabile di valori, le :(X œ B! ) sono spesso tutte uguali a zero, e comunque non consentono in generale di determinare la probabilità degli eventi “interessanti” individuabili mediante X : si ricorre quindi ad un approccio completamente diverso, che possiamo descrivere qui soltanto per grandi linee e in un caso particolare. Sia f una funzione ‘ Ä ‘ con la proprietà che: detta F la funzione di ripartizione della variabile aleatoria X (cfr. sez. 32.8), si ha FÐB! Ñ œ ' fÐtÑ dt . B! (æ) _ Non è detto in generale che una tale f esista; se essa esiste, si dice che f è la densità di probabilità associata a X e (comunque presi B" , B# − ‘ con B" Ÿ B# ) si ha :ÐB" Ÿ X Ÿ B# Ñ œ ' fÐtÑ dt . B# B" Si definiscono per X il valore medio .X , la varianza Var(X) e la deviazione standard 5X ponendo .X ³ ' x † f(x) dx _ _ Var(X) ³ ' (x .X )# f(x) dx _ e _ 5X ³ ÈVar(X) . La funzione x# f! (x) ³ / 2 È 21 si dice densità normale standard. Il suo grafico è approssimativamente il seguente: Esercizio 32.14.1 Si studi la funzione x# f! (x) ³ / 2 È 21 e se ne tracci approssivamente il grafico. Si dice che una variabile aleatoria X ha distribuzione di probabilità normale standard se la densità di probabilità ad essa associata è la densità normale standard. Si dimostra che una variabile aleatoria con distribuzione di probabilità normale standard ha valore medio 0 e deviazione standard 1 . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 302 Per calcolare approssimativamente le probabilità di una variabile aleatoria con distribuzione di probabilità normale standard, si può usare la seguente tabulazione dei valori di ' f! (t) dt per 0 Ÿ B Ÿ 4 : B ! Tabella 32.14.T1 ' f! (t) dt B 0,0000 0,0199 0,0398 0,0596 0,0793 0,0987 0,1179 0,1368 0,1554 0,1736 0,1915 0,2088 0,2257 0,2422 0,2580 0,2734 0,2881 0,3023 0,3159 0,3289 1,00 1,05 1,10 1,15 1,20 1,25 1,30 1,35 1,40 1,45 1,50 1,55 1,60 1,65 1,70 1,75 1,80 1,85 1,90 1,95 B B B 0,3413 0,3531 0,3643 0,3749 0,3849 0,3944 0,4032 0,4115 0,4192 0,4265 0,4332 0,4394 0,4452 0,4505 0,4554 0,4599 0,4641 0,4678 0,4713 0,4744 2,00 2,05 2,10 2,15 2,20 2,25 2,30 2,35 2,40 2,45 2,50 2,55 2,60 2,65 2,70 2,75 2,80 2,85 2,90 2,95 B ! 0,00 0,05 0,10 0,15 0,20 0,25 0,30 0,35 0,40 0,45 0,50 0,55 0,60 0,65 0,70 0,75 0,80 0,85 0,90 0,95 ' f! (t) dt ' f! (t) dt B 0,4772 0,4798 0,4821 0,4842 0,4861 0,4878 0,4893 0,4906 0,4918 0,4929 0,4938 0,4946 0,4953 0,4960 0,4965 0,4970 0,4974 0,4978 0,4981 0,4984 3,00 3,05 3,10 3,15 3,20 3,25 3,30 3,35 3,40 3,45 3,50 3,55 3,60 3,65 3,70 3,75 3,80 3,85 3,90 3,95 B ! ' f! (t) dt B ! ! 0,4987 0,4989 0,4990 0,4992 0,4993 0,4994 0,4995 0,4996 0,4997 0,4997 0,4998 0,4998 0,4998 0,4998 0,4999 0,4999 0,4999 0,4999 0,5000 0,5000 Poiché la f! è una funzione pari (cfr. sez. 21.4) e f! (B) ¸ 0 se B 4 , la tabella 32.14.T1 consente di stimare :ÐB" Ÿ X Ÿ B# Ñ quando X ha distribuzione di probabilità normale standard. Esempio 32.14.2 Sia X una variabile aleatoria con distribuzione di probabilità normale standard. Utilizziamo la tabella 32.14.T1 per stimare approssimativamente :Ð 1 Ÿ X Ÿ 2Ñ. Per considerazioni di simmetria, :Ð 1 Ÿ X Ÿ 2Ñ œ :Ð0 Ÿ X Ÿ 1Ñ :Ð0 Ÿ X Ÿ 2Ñ . Dalla tabella si ricava che :Ð0 Ÿ X Ÿ 1Ñ ¸ 0,3413 e :Ð0 Ÿ X Ÿ 2Ñ ¸ 0,4772 . Pertanto :Ð 1 Ÿ X Ÿ 2Ñ ¸ 0,8185 . Esempio 32.14.3 Sia X una variabile aleatoria con distribuzione di probabilità normale standard. Utilizziamo la tabella 32.14.T1 per stimare approssimativamente :ÐX Ÿ 1Ñ. Per considerazioni di simmetria, :ÐX Ÿ 1Ñ œ :Ð1 Ÿ XÑ œ 12 :Ð0 Ÿ X Ÿ 1Ñ . Dalla tabella si ricava che :Ð0 Ÿ X Ÿ 1Ñ ¸ 0,3413 . Pertanto :ÐX Ÿ 1Ñ ¸ 0,1587 . Si dice che una variabile aleatoria X ha distribuzione di probabilità normale se la variabile aleatoria standardizzata ottenuta da essa (cfr. sez. 32.10) ha distribuzione di probabilità normale standard. Se conosciamo il valore medio e la deviazione standard di una variabile aleatoria X con distribuzione di probabilità normale, possiamo ancora utilizzare la tabella 32.14.T1 per stimare approssimativamente :ÐB" Ÿ X Ÿ B# Ñ per B" , B# − ‘ con B" Ÿ B# . Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 303 Esempio 32.14.4 Il signor Rossi deve essere in ufficio ogni giorno alle 9:00 . Egli fa in modo di arrivare attorno alle 8:55 : la differenza, espressa in minuti, tra l’ora di effettivo arrivo del signor Rossi e le 8:55 può essere descritta con una variabile aleatoria X con distribuzione di probabilità normale che ha valor medio 0 e deviazione standard 2,5. Qual è la probabilità che il sig. Rossi arrivi al lavoro in ritardo (cioè dopo le 9:00) ? 0 2 Dobbiamo calcolare :Ð5 Ÿ XÑ , ossia (passando alla variabile aleatoria standardizzata Y ³ X 2,5 œ 5 X) , dobbiamo calcolare :Ð2 Ÿ YÑ . La tabella 32.14.T1 ci fornisce :Ð0 Ÿ Y Ÿ 2Ñ ¸ 0,4772 . Ricordando che :Ð0 Ÿ YÑ œ 12 , si trova che :Ð5 Ÿ XÑ ¸ 0,0228 . Pertanto il sig. Rossi arriva in ufficio in ritardo meno del 2,3% delle volte. Esempio 32.14.5 Nella gelida Brutopia, la temperatura nel mese di Dicembre può essere descritta mediante una variabile aleatoria X con distribuzione di probabilità normale che ha valor medio 8! C e deviazione standard 5! C . Qual è la probabilità che in un dato istante la temperatura sia superiore a 0! C ? 8 Dobbiamo calcolare :Ð0 Ÿ XÑ , ossia (passando alla variabile aleatoria standardizzata Y ³ X 5 ) , dobbiamo calcolare :Ð1,6 Ÿ YÑ . La tabella 32.14.T1 ci fornisce :Ð0 Ÿ Y Ÿ 1,6Ñ ¸ 0,4452 . Ricordando che :Ð0 Ÿ YÑ œ 12 , si trova che :Ð0 Ÿ XÑ ¸ 0,0548 . Pertanto nel mese di Dicembre in Brutopia la temperatura supera gli 0 gradi Celsius solo il 5,48% delle volte. 32.15 - Approssimazione mediante variabili aleatorie con distribuzione di probabilità normale. Sia dato un esperimento, e sia X una variabile aleatoria ad esso associata. Se X assume “molti valori” in un certo intervallo aperto (+, , ) di numeri reali, può essere “matematicamente conveniente” descrivere l’esperimento mediante una variabile aleatoria che assume tutti i valori di quell’intervallo. Consideriamo un caso concreto. L’esperimento consista nello scegliere a caso un cittadino italiano maggiorenne; e la variabile aleatoria X associ a ogni risultato (cioè a ogni cittadino italiano maggiorenne) il suo peso espresso in chilogrammi. è chiaro che X ha immagine finita, perché è definita su un insieme finito! La distribuzione di X può essere tabulata mediante un istogramma, avendo scelto un certo numero di ampiezze di pesi: L’istogramma è fatto in modo che l’area di ogni blocco sia proporzionale al numero di individui che hanno il peso compreso nell’intervallo indicato alla base del blocco. Se l’area totale è uguale a 1, possiamo interpretare l’area di ciascun blocco come la probabilità che un individuo abbia peso compreso nell’intervallo indicato alla base. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 304 Per migliorare la rappresentazione fornita dall’istogramma possiamo aumentare il numero degli intervalli, diminuendone di conseguenza le ampiezze per mantenere uguale a 1 l’area totale : Continuando ad aumentare il numero degli intervalli diminuendone le ampiezze (in modo che l’area totale resti uguale a 1), l’istogramma si “avvicina” sempre più al grafico della densità di probabilità di una variabile aleatoria con distribuzione di probabilità normale, dalla caratteristica forma “a campana”: Stimando valore medio e deviazione standard della variabile aleatoria, si possono applicare le tecniche viste nella sezione 32.14 per calcolare la probabilità che la variabile aleatoria assuma valori in un assegnato intervallo. Si dimostra che la variabile aleatoria “numero dei successi su 8 tentativi” (cfr. sez. 32.12) può essere approssivamente descritta, per 8 “sufficientemente grande”, mediante una variabile aleatoria con distribuzione di probabilità normale. Marco Barlotti - appunti di ISTITUZIONI DI MATEMATICHE - v. 7.1 - Pagina 305 Esempio 32.15.1 Si consideri nuovamente il problema visto nell’esempio 32.12.12. Il valore :(X œ 3) può essere stimato sostituendo alla variabile aleatoria X “numero dei successi su 300 tentativi” la variabile aleatoria X" con distribuzione di probabilità normale che ha lo stesso valore medio 35 e la stessa deviazione standard É 3†499 5†500 ¸ 0,77 , e calcolando :(2,5 Ÿ X" Ÿ 3,5) . Per effettuare il calcolo, dobbiamo ricondurci alla variabile aleatoria standardizzata Y ottenuta da X" ; si ha Y³ X" 35 77 100 œ 100†X" 60 77 290 e dobbiamo calcolare :( 190 77 Ÿ Y Ÿ 77 ) ossia : (2,5 Ÿ Y Ÿ 3,8) . Utilizzando la tabella 32.14.T1 si trova che :(0 Ÿ Y Ÿ 2,5) ¸ 0,4938 e :(0 Ÿ Y Ÿ 3,8) ¸ 0,4999 per cui la probabilità cercata è circa 0,0061 .